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Storia della lingua italiana e italiano

fuori d'Italia
Storia della lingua italiana
Università per stranieri di Perugia (UNISTRAPG)
31 pag.

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Storia della lingua italiana e italiano fuori d’Italia
Malagnini

Parte istituzionale
- C. Marazzini, La lingua italiana. Storia, testi, strumenti, 2^ edizione, Bologna, il Mulino, 2010
- S. Covino, La lingua letteraria dalle origini all’Ottocento, in www.elleu.org
Parte monografica
- E. Banfi, Lingue d’Italia fuori d’Italia, Bologna, il Mulino, 2014
- F. Bruni, L’italiano fuori d’Italia, Roma, Carocci, 2013, capp. 1, 4, 5, 7
Esame 1h: buona prosa (semplice e chiara), risposta diretta e dopo approfondimento.

1^ lezione (2/10/2017)
Differenza lingua/dialetto e strumenti
Lettura degli obiettivi formativi
!! Differenza lingua-dialetto
Lingua → grammatica normativa (Crusca) e dizionario istituzionale (tradizione scritta+orale);
dialetto → quasi tutti i dialetti delle grandi città hanno dizionari dialettali, ma non ne esiste uno
istituzionale, e la loro grammatica (lessico, morfologia, sintassi) è affidata alla tradizione orale;
Italiano neo-standard: presenta tratti linguistici dell’italiano contemporaneo, considerati errori, che
sono in realtà tratti che risalgono all’italiano antico. Essi sono stati censurati nel passato, ma sono
fenomeni tipici della nostra lingua. Ogni lingua ha una propria armonia e costruzione grammaticale
(non per forza presente nelle grammatiche normative).
es. Boccaccio→ usava regolarmente lui/lei con funzione di soggetto.
Questi tratti “incriminati” possono essere utilizzati liberamente nel parlato, ma non nello scritto.
L’evoluzione semplifica una lingua e la ristruttura.
Italiano fuori dall’Italia → italiano unica lingua diplomatica che si è affermata senza uno Stato
nazionale alle spalle. Altre lingue (spagnolo, francese, inglese, arabo) si sono imposte
successivamente ad una conquista militare, l’Italiano come lingua di commercio, cultura e
diplomazia (veicolando concetti attraverso nomi, e la cultura attraverso i concetti).

GLI STRUMENTI DELLA DISCIPLINA (Marazzini, cap. 3)


La Storia della lingua italiana è una disciplina relativamente nuova, nata negli anni ‘60, quando
Bruno Migliorini (prima cattedra di storia della lingua italiana nel ‘37-’38) inizia a studiare i
fenomeni della lingua italiana in fase diacronica, scrivendo un manuale (riedito poi dodici volte)
dedicato ai fenomeni evolutivi dell’italiano attraverso i secoli, analizzando i testi. La sua eredità
venne raccolta dai volumi di Storia della Lingua Italiana Einaudi, curati da Luca Serianni e Pietro
Trifone. Questi pionieri hanno fondato e strutturato la disciplina.
Gli storici della lingua vanno alla ricerca di testi antichi di TUTTI i tipi: letterari, burocratici, del
diritto, delle scienze, scritte sui muri. Una volta trovati, li analizzano e li interpretano per risalire
alle lingue orali del passato (→ edizioni diplomatiche e critiche). I testi sono le tracce di una parlata
scritta, di cui ci sono rarissime testimonianze, anche a causa del costo dei supporti di scrittura
(pergamena). Inoltre esse ci aiutano a capire molti tratti culturali del passato tuttora nascosti: es. le

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donne scrivevano, entravano nei monasteri spesso per sfuggire a matrimoni forzati, e scrivevano! I
manoscritti che si trovano negli antichi conventi sono stati in gran parte trascritti da donne.
Sulla scia di Migliorini, Francesco Bruni ha curato la collana monografica Storia della Lingua
Italiana, scritti da storici della lingua e suddivisa per secoli.

2^ lezione (3/10/2017)
Strumenti e intro Italiano
Elenco di testi di consultazione ( molti disponibili alla biblioteca Morlacchi)
Saggi:
• Il Mulino → L’italiano letterario, La grammatica storica, (? Serianni ).
• Migliorini, Storia della lingua italiana, 1960
• Devoto, Profilo di storia della lingua italiana, 1953
• Vitale, La questione della lingua, 1960 e 1978
• De Mauro, Storia linguistica dell’Italia unita,
• 1992: nascita dell’ASLI (Associazione degli Storici della lingua Italiana)

opere a più mani (la curatela consiste in: scelta degli autori, individuazione degli obiettivi e dei
destinatari, coordinazione del lavoro complessivo):
• Storia della lingua italiana (curata da Bruni, 1989-2003)
• Storia della lingua italiana (Serianni-Trifoni, 1993-’94)
• L’italiano nelle regioni (Bruni, 1993-’94)
• Storia della lingua (Bruni per Il Mulino)
• Italiano per generi (Librandi)
• L’italiano scritto (Carocci)
• Enciclopedia dell’italiano (Treccani) → ONLINE

Riviste:
Lingua Nostra, Studi linguistici italiani, Lingua e stile, Lingua italiana d’oggi, Studi di grammatica/
filologia/lessicografia italiana (Crusca)

Grammatiche:
Storiche
• Meyer-Lubke, Italienische Grammatik (1890)
• Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti (1966-’69) [scrisse anche
Atlante linguistico dell’Italia e della Svizzera meridionale→ interviste ad anziani di luoghi
sperduti sulla nomenclatura di strumenti di uso comune nell’Italia agricola tradizionale,
“lessico materiale”]
• Castellani, Grammatica storica (solo introduzione)
• Patota

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Normative e descrittive
• Luca Serianni (Grammatica – Grammatica italiana, UTET), esempi dall’italiano letterario e
dall’italiano d’uso comune;
• Trabalza→ Patota→ Fornara
• Grande grammatica italiana (Renzi, Salvi, Cardinaletti)
• Grammatica dell’italiano antico (Salvi, Renzi)

Manuali di metrica e retorica


• Beltrami, La metrica italiana
• Balduino
• Mortara Garavelli
• Beccaria, Dizionario di linguistica, filologia, metrica, retorica, 2004

Atlanti linguistici
• Atlante linguistico dell’Italia e della Svizzera meridionale
• Atlante linguistico italiano, Bartoli (incompiuto)
• Atlanti linguistici regionali → Ruffino <3

Dizionari dell’uso
• Zingarelli (Zanichelli)
• Devoto-Oli (ora Serianni, per Le Monnier)
• DISC (Dizionario Italiano Sabatini-Coletti, Giunti)
• GRADIT (Grande dizionario italiano dell’uso, di De Mauro per Paravia-Bruno Mondadori)
• Duro (Treccani)

Dizionari storici
• GDLI (Grande dizionario della lingua italiana, di Battaglia per UTET)
• Tommaseo-Bellini
• TLIO (dalle origini al 1375)

Dizionari etimologici
• DEI,
• DELI (Dizionario etimologico della lingua italiana, di Cortelazzo-Zolli per Zanichelli),
• DELIN,
• LEI (Lessico etimologico italiano, di Max Pfister → voci raccolte secondo la base
etimologica)
→ lessico colto deriva dal latino, ma con molti ingressi dal greco

Risorse elettroniche

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• LIZ→BIZ (Zanichelli, utile per le occorrenze)
• TLIO=OVI
• LEI
• DOP (Dizionario d’ortografia e pronuncia)
• VoDIM (tutti i dizionari italiani messi insieme, ancora in fase di progettazione)
• Biblioteca virtuale, Dizionario degli accademici della Crusca

!! (es. Quali sono gli strumenti … : Risp: Elencarle tutte inizialmente, focalizzarsi su una categoria
e sviscerarla)

L’italiano (Marazzini cap.1)


Lingua di origine indoeuropea (prima nel mondo per numero di parlanti).
Vi rientrano quasi tutte le lingue europee e alcune dell’Asia meridionale.
Conquista coloniale del Cinquecento e estensione delle lingue indoeuropee.
In Europa tre gruppi linguistici maggioritari:
• romanzo: portoghese, gallego, spagnolo, catalano, francese, provenzale, romeno, dalmatico
(oggi estinto), italiano+dialetti;
• germanico: inglese, tedesco, olandese, norvegese, finlandese…;
• slavo: russo, ucraino, polacco, ceco, serbo, croato, macedone, bulgaro… .
Idiomi minoritari non indoeuropei: ceppo ugro-finnico (ungherese, finlandese, estone, lappone),
turco, basco, maltese, lingue zingaresche, albanese, greco.
In Italia i dialetti sono più attivi al Sud che al Nord, anche se si nota molto meno a causa della
cadenza di coloro che parlano anche solo l’italiano. (? boh)
All’indomani dell’unificazione, alle donne che appartenevano a famiglie borghesi, con istruzione
familiare elevata, fu assegnata l’istruzione nelle classi elementari e medie.
Varietà linguistiche: variante nazionale, dialetti e italiani regionali (pur parlando italiano, il parlante
assorbe elementi della regione linguistica di appartenenza).
Dove si parla l’italiano: Stato italiano, San Marino, Stato Vaticano (la lingua ufficiale è in latino,
ma le comunicazioni vengono fatte in italiano), ai confini del territorio nazionale: in alcuni cantoni
della Svizzera, a Nizza (oggi il nizzardo è usato prevalentemente per motivi turistici) e nel
Principato di Monaco, costa dalmatica e albanese (Slovenia, Croazia, Albania) perché erano territori
veneziani; Corsica (terra italiana fino a poco prima di Napoleone, in cui si parlavano dialetti
toscani, ma colonizzata dai Francesi che hanno una fortissima identità linguistica, le testimonianze
di questa lingua sono affidate a testi letterari dialettali e a pochissime altre eco), a Rodi e in alcune
parti del Corno d’Africa (sempre meno). Era parlato a Malta (dialetti siciliani), ma dopo la
conquista inglese è rimasta la lingua materna delle persone colte. Persone di origine italiana
emigrate in Romania, parlano ancora l’italiano. Nuova emigrazione dei pensionati esporta anche la
lingua (Portogallo, Romania, Bulgaria, Ungheria...).
L’Italia ha subito periodi di emigrazione (prima della II guerra mondiale) e di immigrazione (oggi
filippini, paesi dell’est-Europa, Africa).

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3^ lezione (4/10/2017)
Lingue d’Italia
Nell’Italia meridionale ci sono alcune colonie in cui si parla il grico (nel momento in cui ci sono
state avanzate ottomane, alcune comunità si sono stabilite dalla Grecia nel leccese, Salento,
Basilicata, Calabria, zona percepita ancora all’epoca come vicina Magna Graecia) e l’albanese
(stabilitisi in zone del Molise, Calabria e Sicilia). Queste comunità hanno una diglossia costituita da
italiano meridionale e grico (greco del 1500) o arberesh (albanese del ‘500).
Gli italiani che emigravano agli inizi del ‘900, all’imposizione dell’inglese da parte degli
statunitensi, hanno opposto due reazioni diverse: gli uomini hanno imparato la lingua inglese e
imposto ai figli di impararlo anche attraverso la scuola, le donne (soprattutto le meridionali) si
rifiutavano di imparare la lingua del luogo, continuando a parlare un italiano dialettale antico. (→
testimonianza di Rocco Montano)
La situazione odierna è più sfumata rispetto alla diglossia netta degli anni ‘50 (italiano standard
+dialetti). Oggi gli italiani regionali (italiani che hanno tradotto costruzioni dialettali in italiano)
influenzano i dialetti e viceversa.
Alloglotti (minoranze linguistiche): greco, albanese, Alto Adige e Val d’Aosta, franco-provenzale,
ladino (nel bellunese, romancio in Svizzera, quest’ultimo influenzato dai dialetti alto-lombardi),
Sardo, Friulano.
Comunità tedescofona in Alto Adige, isole greche in Calabria e in Salento, colonie slave in Molise,
isole albanesi rifugiatesi nel XV sec. Contro l’avanzata dei turchi nei Balcani, zingari.

I dialetti d’Italia
L’Italia è la nazione europea più ricca e variegata per varietà linguistiche. Bisogna ricordare che le
regioni linguistiche non corrispondono quasi mai alle regioni amministrative. L’italiano regionale
lombardo avrà un po’ di influenza del Piemonte, dell’italiano parlato in Svizzera e del Veneto.
L’italiano ha un prestigio superiore a quello dei dialetti su base letteraria e di diffusione. Non si può
però affermare una superiorità linguistica tra italiano e dialetti. Anche i dialetti hanno il loro lessico,
grafia, morfologia etc., essi non hanno però avuto una continuità nella stesura di vocabolari e
grammatiche. L’italiano è l’evoluzione del fiorentino (una delle varietà linguistiche toscane), ma i
fiorentini non hanno mai avviato studi linguistici né tanto meno canonizzato grammatica e lessico.
Il lustro di questa lingua è legato in primis a Dante, in seguito a Petrarca e Boccaccio. Pietro
Bembo, veneziano del ‘500, scrisse delle prose (senza titolo) nel cosiddetto volgare, che
costituiscono un primo resoconto normativo della lingua italiana: ne stabilì una grafia, una
morfologia, e una sintassi (→ Grammatichetta di Alberti). Questa prima norma ebbe successo e
addirittura Ariosto adattò la terza edizione del suo Orlando Furioso alle regole stabilite da essa.
Qualche secolo dopo Manzoni adattò la versione di Fermo e Lucia del 1827 alla lingua fiorentina
(“sciacquare i panni in Arno”) prima di dare alla luce i Promessi sposi del 1840.

Lingua e dialetto: apparente differenza? Raggiungimento dello status per l’italiano

4^lezione assente (9/10/2017)


Status linguistico dell’Italiano

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5^ lezione (10/10/2017)
Carta di Pellegrini e macrofenomeni
Pellegrini, dialettologo dell’università di Padova, ha costruito la carta dettagliata dei dialetti
d’Italia.
Ai confini settentrionali le isoglosse risentono delle lingue confinanti (francese, tedesco). Isole
dialettali più definite quelle del Veneto e della Campania (potenze medievali), al centro le isoglosse
più intrecciate. In Salento e nel sud della Calabria le isoglosse non seguono più l’andamento degli
Appennini, ma si estendono orizzontalmente.
Isoglosse principali: La Spezia-Rimini e Colli Albani-Ancona (Ravenna: arcidiocesi e confine tra
popoli gallici e gli etruschi).
!! MACROFENOMENI DELLE AREE DIALETTALI
!! ‘xxxx’: la parola in questione presenta i fenomeni x, y e z, quindi è dell’Italia settentrionale/
centrale/meridionale
Caratterizzazioni dei dialetti a Nord di La Spezia-Rimini
• sonorizzazione delle occlusive sorde in posizione intervocalica: le consonanti -t- e -k- tra
vocali diventano -d- e -g-: fradel, formiga. La consonante occlusiva sorda bilabiale -p- in
posizione intervocalica, attraverso una fase intermedia -b- e il successivo fenomeno di
betacismo, può passare a -v- (cavei).
• apocope della vocale finale, ad eccezione della -a (nell’area veneta avviene solo con le
parole terminanti in n o r) : cane→ can;
• scempiamento delle geminate: spala, gata, bela;
• contrazione delle sillabe atone, fenomeno centro-occidentale (slar per sellaio, sellaro, tlar
per telaio, telaro)
• presenza delle vocali turbate ü e ö (tranne per il Veneto)

Caratterizzazioni dei dialetti centrali, in particolare dell’area Toscana (che fa parte per se
stessa)
• sostituzione della prima persona plurale dell’indicativo presente con il costrutto si+3^ pers
sing (noi si va, noi si mangia)
• la gorgia (spirantizzazione delle occlusive sorde intervocaliche): amico→ amiho
Non si rilevano altri fenomeni tipici perché sono quasi tutti confluiti nell’italiano.
→ area centrale (tra le isoglosse La Spezia-Rimini e Colli albani-Ancona)
• inizio dell’assimilazione nd>nn, mb>mm

→ Il dialetto di Roma, vicino al napoletano fino al Cinquecento, dopo il 1527 e l’insediamento dei
papi fiorentini nelle corti si è fortemente toscanizzato, presentando suffissi in -aro (macellaro,
palazzinaro) e le desinenze in -amo, -emo, -imo (cantamo, vedemo, sentimo). In seguito, tutti i
dialetti del centro-sud, anche grazie alla televisione, si sono romanizzati.

6^ lezione (11/10/2017)
Famiglie dialettali (dispensa Lingua e società della Prof.)
Lingua e società
I fenomeni comuni dei dialetti sono:

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- settentrionali→ la sonorizzazione di p-t-k in v-d-g;
- centrali→ nt>nd, nd>nn, mb>mm, possessivo enclitico;
- meridionali→ tenere, femmina per donna, uso invertito degli ausiliari (essere/avere).

I dialetti dell’area settentrionale da occidente a oriente sono: Franco-provenzale, provenzale,


gallo-italico Tedesco, Ladino, Veneto, Friulano.
Tra loro si differenziano in:
Dialetti settentrionali occidentali o gallo-italici (piemontese, ligure, lombardo, emiliano,
romagnolo)
• vocali turbate
• la a tonica diventa è, fenomeno di palatizzazione
• nesso consonantico latino -ct- → nel piemontese centro-occidentale e ligure divente -it-
(lait, noit); piemontese orientale e lombardo diventa lac, noc; in veneto diventa lat,not
• caduta delle vocali finali atone in fine di parola (se diverse da a ed e del plurale) can, cavàl
(ma anche cavao), cavre (ma anche crave)
Veneto
• non ci sono vocali turbate
• si mantengono le vocali finali anche dopo n e r.
Friulano
• palatalizzazione di ka e ga: dal latino volgare casam si passa a ciasa (con plurale sigmatico
di derivazione latina ciasis)
• conservazione della s finale del latino (cian→cianis, fruto→frutis), morfologia verbale (tu
amis)
• conservazione dei gruppi consonantici con l: pl, bl, gl, cl, fl: planta, flor
• le vocali lunghe e brevi hanno funzione distintiva: paas per pace, pas per passo
• il suffisso latino -arium (panària, la madia)

Dialetti centrali
Toscano
Varietà: fiorentino, pisano-lucchese-pistoiese, senese e grossetano, aretino-chianaiolo.
L’affresco Il buono e il cattivo governo mette a confronto il governo fiorentino con il senese. I
Senesi affermano che il vero toscano sia il loro: mentre Firenze ha il primato letterario, Siena ha
quello della valorizzazione e degli studi sulla lingua.
I Fiorentini, come avviene oggi per l’inglese (soprattutto con gli americani), si sentivano superiori
a tutti gli altri italiani, dunque non studiavano la grammatica e l’evoluzione della propria lingua. Al
contrario i Senesi, per rivaleggiare con in Fiorentini, hanno una tradizione di studi più sostanziali.
Il Grossetano soprattutto ha influenzato il Sardo e il Corso (prima della francesizzazione).
L’Aretino (a cavallo tra Arezzo e la Val di Chiana).

I fenomeni rilevanti sono:


• gorgia toscana;
• suffisso latino -arium che evolve in -aio;

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• dittonghi -uò- -iè- stabilizzati (uòmo, chiède…), adesso comune in tutta Italia. Fino a una
trentina d’anni fa esisteva il dittongo mobile (suonare>sonare);
• anafonesi famiglia> fameglia.

Dialetti centro-meridionali
• conservazione delle sorde intervocaliche p-t-k;
• conservazione delle geminate;
• metafonesi;
• meridionale estrema: conservazione di nd, mb, nt, mp, nc, ll>dd.

Sardo
Lingua delle minoranze secondo la legge del 1994. Lingua altamente conservativa del latino.
• conservazione della -s finale (tempus, onus, femina);
• morfologia verbale (cantas, cantat);
• conservazione dei gruppi consonantici con l;
• passaggio dei nessi consonantici con l da xl a xr: plus>prus, flamma>framma;
• conservazione delle occlusive velari sorde e sonore davanti a e ed i (chentu, gheneru);
• conservazione lessicale: domus>domo, cuius es? (chi è?), ponemi tres panes in bertula
(mettimi tre pani nella bisaccia);
• assenza di dittongazione: bonum>bono, pes/pedis>pede;
• conservazione del part passato suettu da subiciere (impastare).

Varietà dell’italiano
Gli italiani hanno un bagaglio linguistico variegato: Italiano (neo)standard, italiano regionale,
dialetto regionale, dialetto rurale. L’italiano regionale è proprio di ciascun natìo, ma anche di chi
impara la lingua stanziandosi in una zona precisa.
Il dialetto rurale è un dialetto parlato nelle zone più periferiche, in genere più conservative e più
interessanti per i linguisti.

7^ lezione (16/10/2017)
Geosinonimi e schema di Berruto
(articolo su Rita Librandi al Corriere)
Geosinonimi: parole dallo stesso significato che variano diatopicamente (es. stampella, gruccia,
croce, attaccapanni…). I geosinonimi che hanno a che fare con il linguaggio giovanile cambiano
anche in maniera diacronica (es. marinare la scuola→ fare banca, buttarsela, fare salina, far
filone...)
Fenomeni dell’Italiano contemporaneo.
Quando si parla di contemporaneità, si parla dell’italiano d’oggi. Lo schema redatto da Gaetano
Berruto, pubblicato già nel 1987, fa riferimento a studi precedenti, dunque rispecchia una realtà
linguistica di almeno 35 anni fa. Nel frattempo l’italiano si è evoluto e si è semplificato (come

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succede a tutte le lingue). Inoltre il repentino progresso tecnologico e i cambiamenti della società
hanno accelerato i processi di cambiamento linguistico.
Lo schema di Berruto è organizzato in quadranti:
• l’asse orizzontale rappresenta la diamesia: scrittura a sinistra (più conservativa), oralità a
destra (in generale non è grammaticalmente coerente);
• l’asse verticale indica la diastratia: i registri più curati in alto, quelli più spontanei in basso.
All’epoca dello studio di Berruto esistevano delle classi culturali ben marcate.
Parlavano l’italiano standard coloro che ad esempio avevano frequentato le scuole medie ginnasiali,
generalmente figli di borghesi già istruiti che vivevano in città, vivevano in un ambiente
acculturato, frequentavano persone dello stesso rango sociale e parlavano in dialetto solo con i
lavoratori domestici, e che possibilmente, indipendentemente dall’intelligenza, andavano ad
occupare i posti dirigenziali.
Tutto il resto d’Italia parlava dialetto, l’istruzione era ai livelli basilari: dopo le elementari in genere
c’era la scuola di avviamento al lavoro (che aveva come sbocco una scuola professionale o il
lavoro) e si parlava e scriveva italiano in maniera circoscritta al luogo di lavoro.
C’erano casi di ragazzi provenienti dai ranghi più poveri, i quali però mostravano un’intelligenza
brillante e allora venivano orientati dagli insegnanti ad andare a studiare in seminario. Le scuole
seminariali erano corrispondenti al liceo classico.
La diafasia lavora sui registri linguistici. Teoricamente, il parlante potrebbe possedere tutti i registri
linguistici nello schema.
Manca nello schema la variabile della diatopia, pure molto importante all’epoca, oggi abbastanza
scemata a causa dei mezzi di comunicazione di massa.

8^lezione (17/10/2017)
Schema di Berruto, analisi
Analisi della linea diafasica di Berruto
La situazione definita dallo schema è verosimile per una quarantina d’anni fa, ma nel tempo si è
delineata una tendenza centripeta. Partendo dall’alto a sinistra:
• Italiano formale aulico: non esiste quasi più, perché era l’italiano parlato in passato da una
classe sociale dirigenziale con un iter culturale più elevato rispetto al resto della nazione.
Quando si parla di “nazione colta” vuol dire invece che la maggior parte della popolazione
ha un livello culturale alto.
• Italiano tecnico-scientifico: la scrittura tecnico-scientifica già da Berruto assolve al compito
di modello linguistico costituito in passato dall’italiano letterario (che oggi è influenzato
dagli italiani regionali, colloquiali etc). Al giorno d’oggi, quasi tutte le pubblicazioni
scientifiche vengono redatte in inglese, con eccezione per la linguistica italiana. Questa
varietà ha delle caratteristiche particolari di linearità: stile paratattico, subordinazione usata
quando necessario e con connettivi propri e precisi, soggetto grammaticale coincide sempre
con il soggetto logico…
• Italiano burocratico: si trova immediatamente sotto l’italiano scientifico, perché deriva
dall’italiano giuridico. È la varietà della burocrazia e che si usa nelle istituzioni. Però in
questo passaggio dal modello giuridico (caratterizzato da precisione strutturale) a quello
burocratico, la lingua dev’essere capita, interpretata e riscritta. Ciò provoca stravolgimenti
causati dal fatto che i nuovi redattori non hanno una formazione giuridica, dunque applicano
male sentenze giuridiche che non arrivano a comprendere appieno. Questa varietà è ricca di
parole gonfiate (effettuare, implementare…), parole di plastica (cioè di moda). Questa

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antilingua (vedi Calvino) ha creato ingorghi comunicativi, ma la persona che ha accesso
all’istruzione di massa senza una vera guida culturale avverte queste parolone e questi giri
di parole come se fossero importanti (Dott. Azzeccagarbugli) e ne resta affascinata.
Passando al quadrante inferiore destro:
• Italiano parlato colloquiale: italiano normale, infarcito di battute, motti, punte dialettali. È
un italiano non troppo sorvegliato.
• Italiano regionale popolare: il termine popolare è usato qui in senso spregiativo. L’italiano
regionale mantiene delle costruzioni sintattiche tipiche del dialetto, trasposte lessicalmente
e morfologicamente in italiano (es. so’ drio a far...→ sono dietro ad andare a fare….).
• Italiano informale trascurato: italiano parlato da persone che vivono isolate o in comunità
ristrette, che hanno avuto un’istruzione minima. Situazioni di grande disagio sociale (sia
anziani che giovani). Abbastanza vicino all’italiano gergale.
• Italiano gergale: caratterizzato da codici, vicino all’italiano informale trascurato, con grande
influenza del dialetto.
Al centro dello schema troviamo due varietà:
• Italiano standard letterario: italiano ricco, parlato dalle persone ben alfabetizzate, dalla
grande varietà letteraria e lessicale, capacità di comprendere tutte le tipologie di testo (non
è ad esempio fruibile dagli analfabeti di ritorno). Cultura fondata sull’italiano letterario
(buona base lessicale = buona base concettuale). Oggi molti giovani hanno difficoltà anche
a capire un semplice testo argomentativo (es. articolo di fondo di un giornale).

9^ lezione (18/10/2017)
Tratti dell’italiano medio, Sabatini
Sabatini, come Berruto, ha analizzato delle campionature di produzioni linguistiche di tutti i tipi e
varietà. In questo lavoro di raccolta e campionatura la scelta ricade su testi medio-alti, perché gli
errori trovati a quei livelli saranno sicuramente presenti anche nei testi peggiori.
Il testo che Sabatini ne ha tratto illustra i !! tratti dell’italiano nell’uso medio (indicane tre e
analizzali → importanti morfologia e sintassi, tematizzazione, se si sceglie un tratto fonetico è
opportuno fare riferimenti alla grammatica storica... OPPURE riformulare una frase e commentarla
analizzando i tratti dell’italiano medio).
SS=substandard (fenomeno avvertito come scorretto)
NS=neostandard (entrato nell’uso, con più o meno )
Vengono messe in luce osservazioni linguistiche e tratti considerati ancora substandard.
Come in tutti gli spogli linguistici ci si basa sulle categorie grammaticali (fonetica, morfologia,
sintassi, testualità).
Fonologia
1. Distinzioni tra vocali aperte e chiuse stenta ad entrare anche tra le persone di livello colto.
Le varietà dialettali fanno sì che ogni italiano abbia una pronuncia imperfetta, perché
influenzata dal dialetto di provenienza. C’è ad esempio un’ambiguità tra botte e bòtte, tra
pèsca e pésca.
2. La distinzione tra s intervocalica sorda [s] e sonora [z] secondo la norma fiorentina è
impraticata dalla maggior parte degli italiani. Le s sono tutte sorde al sud, tutte sonore al
nord. Al sud è presente un ipercorrettismo dato dalla volontà di parlare come al nord,
pronuncia che viene percepita erroneamente come più colta.

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3. Il raddoppiamento fonosintattico è poco avvertito: è assente nella pronuncia settentrionale e
dei Sardi; nelle pronunce dei centro-meridionali non toscani manca dopo da, come, dove. Le
pronunce a ccasa, da pparte mia sono avvertite come regionalismi toscani.
4. La i prostetica davanti al nesso iniziale s+cons, dopo una parola che finisce per consonante,
è di uso raro. Resiste per iscritto nella lingua parlata e scritta, ma è raro in Isvezia, in
Isvizzera ecc.
5. Ed, ad, od (in ordine di frequenza) sono impiegate limitatamente davanti a parola che inizia
per la stessa vocale Lino ed Elena, ad Anna. Od e ad sono quasi in disuso. La d eufonica di
ed è ancora rimasta nell’insegnamento, ma non è realmente necessaria per l’eufonia del
discorso. Infatti un testo non deve avere punte elevate e punte basse, ma deve mirare ad
un’omogeneità stilistica.
6. Sono rare le forme di elisione, l’armi, s’è visto, m’è capitato, s’aggiunga, ch’io sappia (per
l’elisione) e dir tutto, quel che dico, sembrar dubbio (troncamento) sono avvertiti come
arcaicizzanti. In alcuni momenti storici si usava molto l’elisione, poiché il modello
linguistico era l’italiano letterario. Il troncamento invece resiste ancora perché riguarda la
morfologia e non la fonetica.
7. La regola del dittongo mobile (alternanza tra suòno e sonàre, muòvere e movéva) è sostituita
da forme consolidate con il dittongo: nuocere, suonare, mietere.

Pronomi
1. SS Te in funzione di soggetto, tratto regionale in area toscana, tratto substandard nel resto
d’Italia. Es Questo lo dici te.
2. NS Lui, lei, loro in funzione di soggetto, al posto di egli, ella, essa, esso, esse, essi è la
norma nel parlato e nelle scritture che rispecchiano atti comunicativi reali. L’uso di egli,
ella, essa, esso, esse, essi è ristretto al parlato celebrativo e alle scritture argomentative e
asituazionali.
Il pronome di terza persona femminile ella è usato ancor meno degli altri, si usa solo in
funzione reverenziale. Oggi anche questa funzione è riempita dal pronome personale
complemento lei, anche al maschile. Ciò causa ambiguità tra la forma maschile e femminile.

È un tratto linguistico attestato nell’italiano antico (dunque spontaneo), condannato da


Bembo (censurato dalla grammatica normativa), ma impiegato da Boccaccio e Manzoni.
Allora che fare? Nel caso del femminile evitare l’uso del pronome ma usare direttamente il
nome del soggetto, nel caso del maschile allo scritto va bene egli.
3. NS-SS. Lui, lei, loro riferito a cose (L’automobile anche lei fa quello che può con queste
salite.) Costruzioni affettive e di comodità quotidiana. Forse indica anche un fattore di
affezione per gli oggetti (la lingua si adegua alla società).
4. SS. Gli per a lei (Ho visto Maria e gli ho detto di venire anche a lei.)
5. NS. Gli per a loro, maschile e femminile (Ho visto quelli della III B e gli ho detto di venire
anche loro.) La forma dativale gli con tutti i valori: a lui, a lei, a loro per il maschile e
femminile. La forma gli per a lui e a loro è usata da Manzoni.
6. NS. Declino di loro come allocutivo di cortesia (Loro si rendono conto. / Voi vi rendete
conto.) Nella sfera dei pronomi allocutivi di cortesia Lei è impiegato al posto di ella; voi al
posto di loro.
7. NS. Dimostrativi usati come pronomi personali, spesso con una sfumatura negativa. (Ora
questo mi si presenta, e cosa gli dico? Quelli non ne vogliono sapere.)

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8. NS-SS. Forme rafforzate (aggettivi e pronomi dimostrativi) questo qui, quello lì (Se
continua a mantenere quell’atteggiamento lì, fa poca strada.) Fenomeno di origine
settentrionale.
9. SS. Forme aferetiche come ‘sto, ‘sta etc per questo, questa etc, connotano la lingua
colloquiale ma sono panitaliane. Forme consolidate e fuse originatesi dal fenomeno sono
stamattina, stasera.
10. NS. Niente usato come aggettivo (Niente scherzi, mi raccomando!) Fenomeno attestato in
epoca antica.
11. Tra gli aggettivi e pronomi dimostrativi codesto e tra gli avverbi di luogo costì, costà al di
fuori della toscana sono confinati all’uso burocratico.
Tempi e modi verbali
(vedi Weinrich, Tempus → primo testo di linguistica testuale)
Il modo più frequente è l’indicativo, perché è il modo della realtà, all’interno di esso alcuni tempi
vengono usati troppo frequentemente. È stata studiata la distinzione tra il MA (momento
dell’avvenimento), ME (momento dell’enunciazione) e MR (di riferimento), e questi momenti sono
in rapporto tra loro, dunque una lingua curata dovrebbe tenere conto di questi rapporti.
1. NS. Presente indicativo per il futuro (Stasera danno un film giallo, Mi laureo fra due anni).
In tutte le lingue è difficile rappresentare lo scorrere del tempo e in italiano l’aspetto verbale
(azione compiuta, in svolgimento e da compiere) tende ad essere abbastanza trascurato, ciò
provoca una riduzione dell’uso dei vari tempi verbali: in italiano il presente indica azioni sia
abituali che puntuali. Anche se al parlato viene spontaneo usare il presente pro futuro, per
una reale precisione è bene usare il futuro.
→ Il presente è un “tempo senza tempo”, viene detto anche “tempo della divinità”.
10^ lezione (23/10/2017)
2. NS-SS. Presente per il passato (presente storico vivace). È un tempo verbale da studiare
perché riserva delle sorprese: è cambiato nel corso dei secoli e non è ancora perfettamente
codificato. Oggi è circoscritto alle biografie, perché il presente rende il classico un autore
senza tempo, ma il presente storico sostituisce il passato remoto anche per dare più vivacità
e snellezza al testo. Negli anni ‘40 si usava meno di oggi, ma anche meno di quanto lo
usasse Manzoni. Nella versione dei Promessi sposi del ‘27 il presente storico è attivissimo e
indica il culmine di un’azione. La lingua di oggi ha perso questa funzione. (Si mette lì in
fila, e chi si trova davanti?)
3. NS-SS. Passato prossimo invece del passato remoto nelle narrazioni storiche. (Nel 1968 il
sindacato ha condotto delle lotte molto dure. Renzo e Lucia alla fine si sono ritrovati dopo
molte peripezie.) Il passato remoto si usa ancora in Toscana, al nord della linea La Spezia-
Rimini il passato remoto è inutilizzato, nell’Italia meridionale e meridionale estrema si nota
un uso quasi esclusivo del passato remoto. A nord di La Spezia-Rimini l’alternanza è tra
imperfetto e passato prossimo, al sud il passato prossimo non è usato quasi per niente. Oggi
al sud c’è la tendenza ad imitare la parlata del nord per motivi di prestigio sociale, ma ciò
impoverisce la lingua e fa perdere capacità espressiva. La soluzione più corretta sarebbe
diffondere in tutta Italia l’uso corretto dei due tempi. La nomenclatura di questi due tempi
(remoto e prossimo) esprime bene la riduzione che se ne è fatta, dal momento che il passato
remoto è in realtà un passato compiuto e il prossimo incompiuto (a prescindere dalla
distanza tra il MA e il ME).
4. NS-SS Passato prossimo per futuro anteriore. (Quando ho finito il servizio civile mi metto a
cercare lavoro. Dopo che il Parlamento ha approvato la finanziaria forse si apre la crisi di
governo.)
5. NS Imperfetto attenuativo di cortesia. Tempo inflazionato come il presente, anch’esso ha usi
diversificati (Volevo dirti una cosa.)

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6. NS-SS Imperfetto usato per il condizionale nelle ipotetiche dell’irrealtà. (Se me lo dicevi in
tempo, ti potevo dare una mano coglie un momento colloquiale e rende la comunicazione
più svelta; ma non Se Kennedy accettava i missili sovietici a Cuba, era una sconfitta per gli
Stati Uniti.) Alcuni esempi si trovano in Dante, Machiavelli e Manzoni.
7. NS-SS Imperfetto per il futuro nel passato. (Ha detto che veniva domani ma non La corte ha
dichiarato che emetteva la sentenza domani.)
8. NS-SS Imperfetto per significare intenzione e previsione (Partiva stasera ma non La ditta
appaltratrice consegnava l’edificio restaurato entro giugno).
9. NS-SS Indicativo al posto del congiuntivo in proposizioni dipendenti (esempi vari).

Preposizioni e particelle avverbiali


1. NS-SS Preposizioni + articoli partitivi (Sul tavolo c’è un bicchiere con del latte. Ma non Si
sono messi in delle situazioni difficili.), uso sconsigliato dalle grammatiche, ma di largo
impiego.
2. SS Gli per ci locativo (ipercorrettismo da ci italiano popolare per gli: ce lo dico io ) → Non
portarglielo il bambino in quell’ambulatorio.
Posizione dei clitici
1. NS Risalita del clitico con verbi modali (Non ci posso credere invece di Non posso crederci.
Ora te lo posso dire; Non ti voglio far perdere tempo; Lo devo incontrare.) In presenza di un
verbo servile il pronome clitico tende a risalire, cioè a passare da enclitico del verbo
semanticamente più importante (ma dipendente) a proclitico del verbo servile (che è
reggente).
2. Ma: SS Risalita lunga del clitico in complessi verbali (Ci continuano a far aspettare, la sto
cercando di rintracciare).
Fenomeni di tematizzazione
1. NS Frase segmentata (Il giornale non l’ho ancora letto; Le conosco bene, queste situazioni;
Lo so che non è vero). Quando l’ordine SVO (caratterizzato da una continuità tematica e
dunque uno sviluppo lineare) viene modificato, la frase non è più neutra, ma diventa
marcata. C’è una tematizzazione a sinistra o a destra del dato noto assunto come tema, e
ripresa di esso mediante un pronome nella frase che predica l’informazione nuova, cioè il
rema. La tematizzazione è una tecnica spontanea per puntare l’attenzione dell’interlocutore
sul rema. Ad esempio Il giornale, lo compro ogni mattina sta per (Io) compro il giornale
ogni mattina. Non cambia il valore della frase in sé, ma sull’elemento messo in evidenza,
prendendo il ruolo di soggetto logico. Bisogna stare attenti ad usare le tematizzazioni allo
scritto, è bene usarle solo per fare la mimesi dell’oralità, ma è meglio evitarle in un testo
scritto normale.
11^ lezione (24/10/2017)
2. SS Anacoluto o nominativus pendens (L’ingegner Bertocchi, non ne voglio più sentir
parlare. I figli, ci pensa lei.) Il tema è pura enunciazione, senza alcun raccordo sintattico con
il rema [esempi attestati anche in Dante].
3. NS Frase scissa. (Sono io che lo chiedo a te. È Giovanna che si è tirata indietro. È per
amicizia che ti ha fatto questa proposta. quand’è che ci vieni a trovare? Chi è che deve
prendere il suo posto? Non è che ce l’hai con me, per caso?) Nel momento in cui non ci
sono subordinazioni, le esigenze di semplificazione della lingua tematizzano il rema. La
proposizione si spezza in due frasi, di cui la prima, con il verbo essere, mette in forte rilievo
il nuovo, mentre la seconda contiene il noto.

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!! (le seguenti frasi presentano dei tratti evidenziati da Sabatini. Il candidato osservi la frase, la
riformuli secondo l’ordine neutro e indichi i fenomeni coinvolti.)
Che polivalente (Il che polivalente era inizialmente relativo, divenuto con il tempo connettivo
generico con molte funzioni. Questo fenomeno si riscontra anche nell’italiano antico e in qualche
testo latino: è da sempre caratteristico della nostra lingua. Però oggi il che polivalente ha una
presenza eccessiva e rischia di abbassare il livello dei testi. La soluzione sta nel valutare se questo
fenomeno sia adatto al contesto, e in ogni caso è sempre bene sostituirlo quando possibile.)
1. NS Con valore temporale (Il giorno che ci siamo incontrati. Mi sono alzato che era ancora
notte.), finale (Vieni, che te lo spiego.), consecutivo, finale o causale (aspetta che te lo
spiego, vieni che ti pettino), o di subordinazione generica.
2. NS in frase scissa (è qui che ci siamo incontrati lo scorso anno, per fortuna che sei arrivato,
Dov’è che hai comprato queste scarpe?)
3. NS nessi dichiarativi che, all’interno della frase, esprimono un legame dichiarativo o
causale (il fatto che etc), sono stati ridotti, con ellissi di elemento nominale (Tieni conto che
abbiamo poco tempo).
4. SS con funzione apparente di soggetto e oggetto contraddetta da una successiva forma
pronominale che ha funzione di complemento indiretto (la valigia che ci ho messo i libri,
quel mio amico che gli hanno rubato la macchina, quel film che ne hanno detto meraviglie).
Frase relativa
1. NS-SS Che invariabile + clitico di ripresa (è un gatto che non gli piace la carne, il problema
del conflitto di interessi è un problema che non se ne esce).
2. SS Che invariabile SENZA clitico di ripresa (ho un amico che la madre lavora all’asl. È
un’azienda che i dipendenti non si trovano bene) a volte poco distinguibile dal che
congiunzione polivalente.
3. Ss Di cui/a cui + clitico di ripresa (è proprio questo di cui non posso farmene carico).
4. NS Cosa interrogativo invece di che, che cosa (cosa sei venuta a fare?). Già la parola cosa
è molto inflazionata (parola passepartout). Tra le frasi interrogative, specialmente dirette, ha
perduto terreno che cosa e si afferma sempre più cosa, di provenienza settentrionale, mentre
il che è di provenienza meridionale: che so, di che si tratta? Che vuoi?
In funzione di aggettivo interrogativo che è molto più usato di quale (che via faremo per
andare a siena? Non so che regalo fargli).
5. NS Che + aggettivo in funzione esclamativa (che bello! Che gentile Guido!)

Connettivi
L’uso parlato ha portato a una notevole selezione tra i tipi di congiunzione causale, finale e
interrogativa:
1. per le causali che precedono la proposizione principale, parlando si dà netta prevalenza a
siccome o dato che rispetto a poiché e giacché. (Siccome fa molto freddo, preferisco non
uscire. Siccome lui non era pronto, ci ha fatto aspettare due ore.)
2. per le finali, l’uso di affinché, che primeggia nelle grammatiche normative, è rarissimo. La
subordinata finale nel parlato è introdotta da perché o viene trasformata in un costrutto
implicito che incorpora un verbo causativo (te lo dico per fartici andare; ti ho detto una
bugia per non farti agitare)
3. per le interrogative è molto frequente l’uso di come mai (come mai non sei uscito oggi?)
4. l’avverbio allora con valore non temporale ma consecutivo ha un largo impiego, non solo
come correlativo di causale (Siccome non si era fatto vivo, allora decidemmo di andarlo a
trovare), ma anche come elemento riassuntivo e conclusivo che introduce o segue domande,

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ordini, affermazioni, con il significato di insomma (allora ci andiamo al cinema?) [→
parola prenditempo che permette di recuperare l’informazione]

Concordanze a senso
1. NS Concordanza a senso di verbo plurale con soggetto collettivo + compl di specificazione
(Una decina di sciatori rimasero bloccati dalla bufera.) Il soggetto logico (sciatori) prevale
su quello grammaticale (una decina).
2. Ma SS Concordanza a senso di verbo plurale con soggetto collettivo (La gente muoiono)
3. NS o SS Concordanza del verbo con la persona del soggetto logico, tipicamente
settentrionale (Io sono uno che mi alzo presto; Voi siete dei giudici che non perdonate).
4. Riprese anaforiche a senso di verbo plurale con soggetto collettivo
5. SS Mancata concordanza del verbo con soggetti posposti che rappresentano il NUOVO
(Non c’è problemi/problematiche; Ci vorrebbe degli strumenti adatti) → La concordanza tra
participio passato e l’oggetto sotto forma di pronome relativo o antecedente è raramente
rispettata (I libri che ho letto anziché I libri che ho letti.)
Altre costruzioni
1. NS Costruzioni pronominali affettive (Ci prendiamo un tè. Stasera mi guardo la partita.
Fatti una bella dormita. La vacanza non me la sono goduta per niente.), autorizzate nell’uso
comune da pubblicità televisive (come “Me prendo un caffè caffè.” o “A me, me piace.”), i
cui testi sono formulati scientemente dagli autori, allo scopo di riprodurre un tono
colloquiale. Costruzione dei verbi con forma pronominale per indicare una più forte
partecipazione affettiva o di interesse, costruzione riflessiva apparente o di affetto, frequente
coni verbi mangiare, bere.
2. NS Costrutti vari di senso impersonale: III p pl senza soggetto espresso (finalmente hanno
ridato la luce, dicono che sarà un’estate tropicale); soggetto indefinito uno (capita sempre
quando uno non se l’aspetta), o il tu generico (Tu credi di aver finito, e ti danno altro lavoro
da fare).
3. NS Giustapposizione di due sostantivi (treno lampo, marito modello, notizia bomba, mondo
cane…) si verifica perché il secondo sostantivo ha funzione di aggettivo che determina il
primo sostantivo (si formano binomi cristallizzati in cui non si può modificare l’ordine); - il
tipo treno merci, carro attrezzi, sala parto, fine mese, fine stagione → Binomi studiati a
lungo dai linguisti della scuola di Praga.
4. NS Ripetizione dello stesso sostantivo per rafforzarne la semantica (vorrei un caffè caffè,
speriamo che sia una vacanza vacanza). Il fenomeno risale a qualche secolo fa.

Lessico
Il lessico varia continuamente: alcune parole si modificano (bontade→ bontà, …), altre
scompaiono nel tempo (attestate nella letteratura o in vocabolari antichi, ad esempio alcune forme
ottocentesche), altre ancora entrano nel lessico a seguono di prestiti o calchi, altre vanno di moda
per un periodo e poi si normalizzano (parole di plastica).
1. SS Affatto e assolutamente usati con significato negativo, specialmente nelle risposte (Te la
sei presa? Assolutamente!)
2. NS Si capisce per ‘è ovvio, è sottinteso, certamente’ (Si capisce che questi prezzi poi vanno
scontati.)
3. Vari elementi lessicali, che però svolgono funzione sintattica, specialmente a livello testuale,
possono caratterizzare la lingua media distanziandola dallo standard. Si trovano nel parlato
e nella narrativa, ma anche nella scrittura giornalistica (ci vuole, ci vogliono, si capisce, si

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vede, mi sa, sennò, lo stesso, per forza, affatto e assolutamente, solo che, non posso farci
niente)
scrittura giornalistica → bisogna distinguere la tipologia: gli articoli di fondo (testi
argomentativi curati e ben scritti), dagli articoli di cronaca (tipologia testuale diversa,
lessico meno ricercato, costruzioni frasali meno curate).
4. NS SS Quello che è / quelli che sono (veniamo ora a quelli che sono gli sviluppi della
situazione…).

12^ lezione (25/10/2017)


Italiano tecnico-scientifico
Analisi del testo tecnico-scientifico “il pronome”, di Luca Serianni

13^ lezione (30/10/2017)


Italiano aulico, colloquiale e semi-colto
Il linguaggio tecnico-scientifico è una lingua scarna e schematica, ma estremamente precisa.
• Titolo parlante: indica l’argomento.
• Segni convenzionali:
• Parentesi tonde: glossa.
• Parentesi quadre: integrazione autoriale.
• Per evidenziare che un errore fa parte di una citazione e non è nostro: “… squola (sic)...”
• Virgolette: ‘’ (apici), uso di un termine in un’accezione diversa da quella propria;
“” (alte) e «» (a sergente), servono a riportare un enunciato altrui (a volte le virgolette
alte servono a riportare una citazione nella citazione, che sarà indicata con le virgolette
a sergente).
• […] : omissione nella citazione;
• L’asterisco indica che la frase seguente è agrammaticale.
• Impaginazione:
• - una citazione che supera le due-tre righe viene riportata fuori corpo, lasciando cioè una
riga bianca e cambiando la dimensione del carattere;
• - un rientro isola i blocchi informativi.
Ordine chiaro (SVO), paratassi e frasi brevi, unità informative racchiuse dai punti fermi, continuità
tematica e uso dei costituenti.

Italiano aulico
Discorso di C.A. Ciampi, esempio di linguaggio aulico che mantiene la costruzione lineare della
frase (25 aprile 2004).
Stile semplice e chiaro, ma aulico nonostante sia indirizzato ai giovani (non cade in un finto
giovanilismo). C’è un’abbondanza di incisi, perfettamente marcata dall’uso interpuntivo. Scelta
delle parole di registro aulico (insigne, corale…).
• … che egli visse...→ uso di egli e del passato remoto (azione lontana, ma anche
perfettamente conclusa;
• allora utilizzato con connotazione temporale;

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• noi inclusivo;
• perifrasi per non nominare qualcuno;
• anafora di un sostantivo ripetuto in prima posizione
!! Tre-quattro righe di testo, individuare la tipologia testuale e commentare.
Italiano parlato colloquiale e informale
Articolo di Trocino: Di Pietro e l’inglese maccheronico: mi serve per le donne. «Se mi danno
dell’ignorante mica mi offendo. In vacanza non ho portato libri» (9 agosto 2007)
L’argomento ilare permette un abbassamento di tono anche da parte del giornalista (lui,
punzecchiare, appollaiati...).

Italiano semi-colto
La definizione di questa varietà cambia da un’epoca all’altra. In passato si trattava di persone che
sapevano leggere e scrivere ma a livelli basilari.
I testi semi-colti non coincidono con i testi d’italiano popolare, essi sono prodotti in origine da
persone che sapevano leggere e scrivere ma avevano un’istruzione minima (prima e seconda
elementare, al massimo quinta elementare). Nelle testimonianze d’archivio sono presenti testi in
maggioranza di uomini (spesso andati in guerra), raccolti a partire dagli anni ‘60 e pubblicati con
un’analisi linguistica.
Il primo a dare l’etichetta di semi-colto è stato Bruni riferendosi a scritti medievali.
Questa definizione varia di epoca in epoca e la prof. Malagnini ha stabilito una differenza tra
l’italiano semi-colto di una sessantina d’anni fa e quello di oggi.
Testo F ggia (sic) 30-10-1958
Caro cuggino con affetto
ti ofriamo questa nostra
foto, cidevi scusare
che siamo usciti male
ma pru purtroppo
io credo che laccette_
rai lostesso, vi salute
a tutti vostotro cuggini
Pietro e Antonietta.

Si capisce che è una lettera per l’allocuzione “Caro...”, in cui la categoria parentale sostituisce il
nome. La scrittura è continua (le epistole hanno una loro prassi fin dalla latinità), per ignoranza.
Cuggino/ti ofriamo → errori opposti, l’uno ipercorrettismo della degeminazione settentrionale,
l’altro trascrizione del verbo così come pronunciato. Scriptio continua cidevi, univerbazione dovuta
ad una cattiva padronanza della lingua, risalita del clitico. Che polivalente. Usciti male. Pru→
errore tipico del nord Italia. Nesso cr qui intatto, generalmente è sostituito da gr. Vi salute a tutti →
doppia ripresa pronominale. Vostotro→ errore di scrittura non corretto.
Testo semi-colto, messaggio sotto forma di lettera sul retro di una foto. La tipologia testuale è
sempre rispettata, anche se la punteggiatura manca e il procedimento sintattico va per accumulo,
essendo in sostanza un orale scritto, con microprogettazione e riformulazioni in corso di scrittura.

14^ lezione (31/10/2017)


Analisi di testi semi-colti
Posta militare 152, 21/11/42 (XX)

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• ortografia: geminazioni (ipercorrettismo, egreggi, sappere, doppo) e scempiamenti (fredo, ),
cuindi (ma anche quindi, segnale di incertezza), pancio (?), comincia fare unpo’, o per ho e
anno per hanno, e per è, l’aradio (segmentazione scorretta), mancanza di segni
paragrafematici, cosi per così, cio per ci ho, perche, cuì per qui;
• sintassi: che polivalente, “su un bel posto” regionalismo settentrionale, “niente non mi
manca” (doppia negazione), “non si può farlo” (ripresa pronominale superflua), ellissi di
congiunzioni, marca di avverbi (presto spero di ritornare), “assieme di”;
• lessico: regionalismi (comincia a farsi serio, i pensieri per preoccupazioni) e dialettismi
(noialtri, assieme di, non mi rimane da dirvi), espressioni stilizzate dai registri letterari
scolastici (egreggi signori, bel paese, ad ascoltare, salutarvi distintamente).

4 sett 1956 // Carissima X


(emigrato del Friuli trasferito in Australia)
• ortografia: virgole usate in maniera inappropriata, e per è, eper → e per, ce per c’è, anchio,
un po;
• sintassi: omissione di connettivi;
• coerenza testuale: parla della condizione lavorativa, poi cambia argomento tramite un
riferimento intertestuale (alla lettera ricevuta).

12/12/1990
→ Ipercorrettismi: nuove per nove, ispanismi: continuaba, tratamiento, que per che, dialettismi:
riunìa.

Testo 6→ analfabetismo di ritorno


testo di uno studente della specialistica di architettura
→ errori di ortografia (qui per cui, coferma per conferma), sintassi (essendo che), morfologia (sta
per questa)
Testo 7 → testo scritto dal ciabattaio vecchietto preso in giro.
→ Nonostante il basso livello scolastico, si comprende benissimo il messaggio e la finalità del
testo.
Testo 12 → universitaria bocciata che voleva bluffare.
I testi semi-colti di un tempo, prodotti da persone con un basso livello di scolarizzazione,
veicolavano correttamente il messaggio, seppur in una forma scorretta. I testi semi-colti attuali sono
prodotti da persone non semi-colte, addirittura spesso si tratta di laureati magistrali, e non
presentano solo problemi formali ma anche e soprattutto di coerenza testuale, gerarchizzazione
delle informazioni e strutturazione del pensiero [→ testi non efficaci perché non vengono pianificati
pensando alla destinazione].

15^ lezione (6/11/2017)


Italiano gergale
Da mettere in relazione con i testi semi-colti di vecchia generazione (che sono scritti da persone con
una cultura limitata, pur veicolando il messaggio in maniera efficace).
Moggi&Mazzini, Moggi padre e figlio, Moggi e Pairetto,
Lingua in situazione telefonica, incomprensibile a chi non conosce il contesto, presenta tratti di
neostandard e substandard, nonché regionalismi romaneschi.

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Analisi del testo: testo orale tratto da una conversazione telefonica avvenuta tra due persone
consapevoli del contesto, ragion per cui alcune informazioni sono omesse. Il testo presentato è
caratterizzato da una lingua gergale ricca di parolacce e tratti tipici della comunicazione informale-
volgare. Il testo è caratterizzato da frasi non lineari, che non rispettano l’ordine SVO, alcune frasi
rimangono sospese. Anafora di “Ma” con valore testuale avversativo. Ricchezza di segnali tipici
dell’oralità (capito? …). Uso di clitici superflui. E congiunzione di raccordo. Questo qui tratto
dell’italiano ss. E per il trofeo Berlusconi, mi raccomando. → Tema sospeso, dice il non detto.
Vabbé → univerbazione con raddoppiamento fonosintattico.
[le inserzioni del giornalista presentano tratti arcaici, presente storico…]
un momentino→ parole di plastica
!! Il candidato descriva la situazione e la lingua del testo sotto riportato.
Il testo presentato è tratto da un articolo di giornale riportante un’intercettazione telefonica;
presenta dunque due tipologie linguistiche ben distinte: una legata all’italiano gergale e l’altra ad un
italiano standard.
La trascrizione della conversazione telefonica riflette chiaramente una lingua orale non sorvegliata
con tendenza alla volgarità, con molti tratti caratteristici: dislocazioni (Lo vediamo subito come
tira), espressioni idiomatiche tipiche dell’oralità (come tira l’aria, mica, andare avanti), neologismi
che riflettono la creatività dell’orale (Sportilia), ripetizioni (Bene bene; no no), congiunzioni di
raccordo avversative (Ma non è…; Però adesso… ), aferesi (‘sto corvo, ‘sta testa). L’informazione
procede per segmenti; il tono della conversazione è gergale e non è informativo bensì allusivo,
ciononostante i due interlocutori condividono lo stesso codice informativo e dunque lo scambio di
informazione è efficace.
Il giornalista riprende il tema (non può andare avanti... / La conversazione va avanti...)
Parte giornalistica: sintassi regolare che rispetta l’ordine SVO, con uso del lessico calcistico (cittì),
prevale lo stile paratattico, espressioni tipiche del calcio (cittì) e di altri linguaggi, come quello
medico (fibrillazione), pubblicitario (Juventus e non solo).

16^ lezione (7/11/2017)


Tratti dell’italiano antico
Dardano e la formazione delle parole
(Manualetto di linguistica, Zanichelli, Bologna 2000)
[La presenza capillare dell’italiano nell’Italia pre-unitaria è provata anche dalle testimonianze di
italiano fuori dall’Italia: l’italiano era lingua franca per i rapporti diplomatici.]
L’italiano si è diffuso senza l’uso delle armi, per il prestigio della lingua letteraria e per la bellezza
del suono. L’italiano ha sette vocali e sillabe sonore, che ne fanno una lingua armoniosa.
!! Tratti dell’italiano antico (indicare se parole come ‘x, y, z’ sono parole ancora in uso, se non
lo sono qual è la loro formazione?)
1. FORMAZIONE DELLE PAROLE
• Composizione → pochi composti V+N, quelli con il tratto animato erano spesso vocaboli
specifici settoriali (cangiacolore, guardacuore), quelli con tratto più ‘umano’ avevano una
connotazione comica e negativa (tagliaborse ‘borsaiolo’, piacchiapetto ‘bacchettone,
bigotto’).
• Derivati: alta frequenza, nell’italiano d’oggi molti suffissi sono andati perduti.
• -ade/-ude: bontade, cittade, servitude, vertude (→ oggi parole tronche, con perdita del
suffisso);
• -gione: condannagione, mendicagione, stimagione;

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→ alla scomparsa di questi ultimi si è contrapposto l’aumento dei suffissati in -zione e dei deverbali
con suffisso zero. Analogamente sono scomparsi alcuni prefissati in mis- (misleale, misprendere,
commettere una colpa).
Si sono poi ridotti i suffissi (molto produttivi dal Trecento in su) in:
• -anza (abitanza, continuanza ‘continuazione’, fidanza ‘fiducia’, prestanza ‘prestito’);
• -mento (assalimento, donamento, mostramento, ristoramento);
• prefissi in dis- (disaiutare, disamare, disenfiare ‘sgonfiare’).

2. MORFOLOGIA VERBALE
Importanti modifiche delle desinenze verbali. Queste forme nella letteratura italiana erano
cangianti, perché spesso definite da esigenze di metrica e rima, ma vennero cristallizzate da
Manzoni.
Osserviamo la seconda persona singolare:
Presente indicativo: in ita antico l’uscita era in -e (tu ame, tu parle, tu pense), in -i quella delle altre
tre classi (tu apprendi, tu conosci, tu odi). Forma canonizzata da Bembo e Manzoni.
Presente congiuntivo: -i nei verbi della prima classe (che tu favelli/nieghi), -e quella delle altre
classi (che tu abbie/vede/debbie). In realtà la corrispondenza era in -e in corrispondenza del latino -
as e in -i in corrispondenza del latino -es/-is/-is.
Imperfetto indicativo: il verbo terminava in -a (io amava, io avea/aveva/avevo, io era). Queste
forme, approvate da Bembo nelle prose del 1525 sopravvissero fino all’ottocento , quando Manzoni
cambiò in -o tutte le desinenze in -a per la I persona sing. nella seconda versione dei Promessi
sposi.
In italiano moderno si assiste ad una riduzione di allotropia verbale. Fino alla riforma manzoniana
c’era invece alternanza tra siano/sieno, vedo/veggio/veggo, vedono/veggiono/veggono, devo/
deggio/deggo, deve/dee/debbe, chiedo/chieggio.
Nell’italiano moderno dittongo mobile sempre meno mobile: mieto e metiamo > mieto e mietiamo;
arrolare e arruolo > arruolare e arruolo.

3. LEGGE DI TOBLER E MUSSAFIA O DELL’ENCLESI


Nell’italiano moderno l’enclesi dei pronomi è determinata dal modo del verbo (si verifica con i
tempi infiniti e con l’imperativo). In quello antico il pronome atono non può trovarsi all’inizio di
una frase, quindi si unirà in posizione enclitica al verbo da cui dipende nei seguenti casi:
• all’inizio del periodo: Rispuosemi: non omo, omo già fui. (Inf. I,67);
• dopo la congiunzione e: e menommi al cespuglio che piangea (Inf. XIII, 131)
raddoppiamento fonosintattico perché il verbo è ossitono;
• dopo la congiunzione ma: ma sforzami la tua chiara favella (Inf. XVIII, 52)
• all’inizio della reggente, laddove questa sia posposta alla subordinata: Ma quando tu
sarai nel dolce mondo, priegoti ch’a la mente altrui mi rechi (Inf. VI, 89)

17^ lezione (8/11/2017)


4. ORDINE DEI COSTITUENTI
Lettura di un testo antico: leggerlo più di una volta, identificare i verbi, trovare il soggetto e
riorganizzare la frase (→ operazione di parafrasi).

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Nel fiorentino antico la successione dei pronomi atoni in combinazione con lo, la, li, le, ne era
inversa rispetto a quella dell’italiano moderno: si aveva infatti prima il complemento oggetto e poi
il complemento indiretto: lo mi dici, farloci proprio del Duecento; nel secolo successivo si afferma
l’ordine moderno dativo+accusativo (uso che si afferma all’inizio prevalentemente nel fiorentino,
poi si espande altrove). Ancora più rapido è il declino di gliele (dativo+accusativo) invariabile per
qualsiasi genere e numero. Risalita del pronome atono a prima del verbo reggente:
egli venne ad annunziare in Nazarette.
All’influsso del latino si devono vari fenomeni di inversione che caratterizzano l’organizzazione del
periodo nella prosa antica (prosa latina classica → Cicerone). Un tipico latinismo sintattico è la
collocazione del verbo alla fine del periodo, tratto che venne canonizzato da Boccaccio nella prosa
antica:
niuna quantunque leggiadra o bella o gentil donna fosse…;(topos: la donna che non rifiuta l’amore
del poeta)
verso l’Occidente miserabilmente s’era ampliata. [soggetto incluso]
Sempre al modello latino si rifanno due costrutti che riguardano la posizione del verbo; si tratta
dell’anteposizione del participio all’ausiliare e di quella del verbo servile all’infinito da cui dipende:
se io avessi potuto onestamente per altra parte menarvi…
con quegli piaceri che aver poteano…
Riproducono l’ordine libero delle parole tipico della lingua latina altri fenomeni come la possibilità
di spezzare il nesso ‘ausiliare-participio’ e ‘verbo servile-infinito’:
fu da molte immondizie purgata
cominciò i suoi dolorosi effetti, e in miracolosa maniera, a dimostrare.

5. FENOMENI DI ACCORDO
In italiano moderno, se i soggetti sono più di uno il verbo va normalmente al plurale, nell’italiano
antico si trova sovente l’accordo del verbo al singolare:
la prima vita del ciglio e la quinta ti fa maravigliar… (paradiso XX, 100-101)
cortesia e onestade è tutt’uno (Convivio, II,X, 8)
Il participio passato in unione con l’ausiliare avere si accordava originariamente con il
complemento oggetto:
ha rifiutata la nobile cittade (Novellino, 3)
aveva la luna, essendo nel mezzo del cielo, perduti i raggi suoi (Decameron VI Intr.)
Questo tipo di accordo ha alla base il costrutto latino DOMUM CONSTRUCTAM HABEO ‘ho una
casa costruita’, quindi, ‘ho costruito una casa’, successivamente, perdutasi la consapevolezza del
significato di base, si è verificata la tendenza a lasciare invariato il participio passato.

6. FENOMENI DI OMISSIONE O ELLISSI


L’articolo determinativo in italiano antico poteva essere omesso in alcuni casi in cui in italiano
moderno è di norma richiesto:
a. con il possessivo: desideri mio nome (Novellino 45); ritornare in mia terra (Novellino).
[!! Commentare la frase: L’espressione riporta una frase infinitiva e presenta un uso
preposizionale coerente, ma anche ellissi dell’articolo determinativo. Potrebbe essere tratta
da un testo di italiano antico (in cui l’articolo determinativo era un tratto non marcato) ma
anche da un testo semicolto (o di un apprendente), per la presenza dell’infinito e per l’uso
dell’articolo determinativo è incerto, a maggior ragione in abbinamento ad una
preposizione.]

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Tracce consistenti di questo fenomeno si trovano anche nella lingua ottocentesca, per
esempio in Foscolo: unico spirto a mia vita raminga (Dei Sepolcri, 12) e tornami a doler di
mia sventura (Leopardi, A Silvia 35)
!! Il candidato riferisca le sorti dell’articolo in italiano in chiave diacronica. [L’uso
dell’articolo nell’ita cont è marcato, in quello antico non era marcato...]
b. Con i nomi astratti: la miglior cosa di questo mondo è misura (Novellino, 1). L’ellissi
dell’articolo con i sostantivi astratti si riscontra ancora nel linguaggio poetico
dell’Ottocento:
invidia tace / non desta ancora ovver benigna (Leopardi, Le ricordanze, 124-125).
Anche l’articolo indeterminativo poteva essere assente in circostanze nelle quali oggi è richiesto:
brigata di cavalieri cenavano una sera (Novellino, 89)
Que’ che mi domanda è giuculare (Novellino, 3)

!! due domande di teoria (definizioni dei dialetti, principali caratteristiche dei dialetti x, quali
sono le caratteristiche principali dei dialetti dell’area mediana, elenco di fenomeni tipici
appartenenti a macro-classificazioni e chiedere di identificare i dialetti di appartenenza,
differenza tra dialetto e italiano regionale, illustrare a scelta tre tratti dell’ita dell’uso medio e
commentarli) e due pratiche: commentare fenomeni dell’italiano antico riemersi nell’italiano
contemporaneo, domanda su lingua d’uso e grammatica (tematizzazione, frase scissa, anacoluto,
marcata, tema/rema→ accompagnare con un breve commento). Prima rispondere con precisione
alla domanda, dopo argomentare.

Una delle caratteristiche più salienti della prosa antica è l’omissione del che, sia come congiunzione
subordinante sia come pronome relativo. (→ vedi che polivalente)
Ma queste cose so ti paiono nulle (L.B. Alberti)
Vidi a nostro padre bisognava nulla (L.B. Alberti)
Per quel vedevo e udivo (Lorenzo de’ Medici)

7. USO DEI MODI E DEI TEMPI


Nell’italiano d’oggi per indicare in futuro del passato è di regola il condizionale composto (disse
che sarebbe venuto), nell’italiano antico era di regola il condizionale presente (disse che verrebbe):
l’uso del tempo semplice si è protratto fino a Manzoni e anche oltre.
disse che egli il sicurerebbe della mercatantia la quale avea in dogana (Decameron II 5)
visto finalmente uno che veniva in fretta, pensò che questo […] gli risponderebbe subito, senz’altre
chiacchiere (I Promessi Sposi)
L’italiano moderno si è orientato verso la soluzione più complessa e che non ha riscontri nell’area
romanza.

18^ lezione (13/11/2017)


Un tempo verbale oggi raro e che invece era usato in passato è il passato remoto.
Nell’italiano antico il gerundio spesso non condivide il soggetto del verbo finito come invece
avviene nell’italiano moderno. Diversità di soggetti quando il gerundio si riferisce ad un
complemento oggetto o di termine.
Indi m’ han tratto sù li suoi conforti,
salendo e rigirando la montagna
che drizza voi che ’l mondo fece torti.

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costrutti di questo tipo si trovano anche nell’italiano moderno anche se si preferisce “l’ho trovata
che piangeva” a “l’ho trovata piangendo”. [??]

8. PARAIPOTASSI
Sull’organizzazione dell’italiano antico agiscono due spinte contrastanti: la pressione del modello
altro di derivazione latina e la spinta del parlato sullo scritto, è soprattutto al secondo di questi punti
che si devono nell’italiano antico e moderno alcuni costrutti frequenti.
Uno di questi è la paraipotassi, procedimento sintattico misto tra paratassi e ipotassi, simultanea
presenza di un segnale coordinativo e uno subordinativo. Legame che compare in una frase in cui
una subordinata (temporale, causale, ipotetica) è anteposta e collegata alla reggente per mezzo della
congiunzione e:
La sub può essere anteposta
Il fenomeno riguarda non solo la sintassi ma anche l’ordine delle parole

9. ASPETTI DELLA SUBORDINAZIONE


Un fenomeno speculare a quello dell’omissione del che è quello della ripetizione del che
subordinante dopo l’inserimento di un’incidentale:
Poi a lui promettere si fè che, poi ch’elli averia Isocta al re Marco menata, ch’esso tornaria a lui in
Sorlois
(→ progressione per accumulo, l’informazione data avanza per pezzi)
Un costrutto caratteristico della prosa antica è il sollevamento di soggetto , che si realizza quando il
soggetto di una subordinata completiva (soggettiva, oggettiva, interrogativa indiretta) diventa
complemento oggetto del verbo della reggente:
riputava lo fummo che non era del cuoco (Novellino 79)

10. ASPETTI DELLA TESTUALITÀ


(linguistica testuale sempre più studiata negli ultimi anni)
Un altro aspetto in cui l’italiano antico diverge da quello moderno riguarda il tema della frase,
spesso posizionato dopo il rema.
Questo dono vi manda Paolo.
Oltre alla costruzione della frase, si ricordi che le opere medievali erano spesso lette e recitate: ciò
consentiva, riproducendo il parlato, di mettere a tema molto di più di quanto accade nell’italiano
moderno scritto.

CENNI DI FONETICA (fare dal libro, cap.2)


• VOCALI
L’italiano ha 7 vocali perché la /e/ e la /o/ sono aperte è/ò e chiuse é/ó. Tale distinzione ha valore
fonematico: distingue infatti parole altrimenti omografe (pésca/pèsca, bótte/bòtte; cfr. italiano
dell’uso medio di Sabatini: oggi la pronuncia non è diversificata).
Le vocali possono essere centrale o media o di massima apertura (a), anteriori o palatali (i, é, è),
posteriori o velari o labiali o arrotondate (u, ó, ò).

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• DITTONGHI
I dittonghi non possono essere pronunciati da soli e hanno quindi bisogno di una vocale di
appoggio: possono essere ascendenti (piede e uomo) o discendenti (fai, causa). Il dittongo è
ascendente quando è formato da una semiconsonante e da una vocale (piatto, piede, chiodo, piuma,
guerra, buono, guida); è discendente quando è formato da una vocale e da una semivocale (mai,
farei, noi, Palau, pneumatico).
All’interno del dittongo, la i e la u sono chiamate semiconsonanti quando sono seguite da una
vocale e non sono accentate, o semivocali quando sono precedute da una vocale e non sono
accentate, e la loro pronuncia è j=jod e w=wau (pron. vau). J e W sono in pratica una i e una u non
accentate e precedute o seguite da una vocale. Semiconsonanti: ieri (jod+e) e uomo (wau+o);
semivocale: guizzo (u+jod).

• TRITTONGHI
Sono gruppi vocalici più complessi e sono formati da una semiconsonante + una vocale + una
semivocale [i]: miei, cambiai (j+vocale+semivocale); suoi, guai (w+vocale+semivocale) oppure da
due semiconsonanti + una vocale: aiuola (j+w+vocale); inquiete (w+j+vocale).

• IATO
Quando due vocali si pronunciano separatamente e appartengono a due sillabe diverse.
I casi principali sono due:
- due vocali (né i né u) sono vicine: paese, leone, Boezio, reale;
- una delle due vocali è una i o una u, e sono accentate, seguite da a/e/o: armonia, zia, zio,
mormorio, cocaina, teina, moine, sue, sue, paura…

• CONSONANTI
Per identificare le consonanti dell’italiano bisogna tener conto di tre fattori fondamentali:
- modo in cui vengono articolate (occlusive, fricative o affricate),
- luogo in cui vengono articolate (bilabiali, labiodentali, dentali, palatali, velari),
- tratto sordità/sonorità che può caratterizzarle.
Alcune consonanti si distinguono anche in base alla partecipazione della cavità nasale (nasali) o ai
movimenti della lingua (laterali e vibrante).

• CONSONANTI SCEMPIE E INTENSE


Due consonanti in posizione intervocalica possono essere pronunciate (attenzione: NON
SCRITTE!) con una diversa energia articolatoria: possono essere cioè scempie o intense.
È sempre scempia in posizione intervocalica:
- la fricativa sibilante sonora /z/ in posizione intervocalica.

Sono sempre intense in posizione intervocalica:


- la nasale palatale /ɲ/;
- fricativa laterale palatale sonora /ʎ/;
- fricativa sibilante palatale /ʃ/.

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19^ lezione (14/11/2017)
Grammatica storica (fare dal libro, cap.2)
Dal latino all’italiano
!! due o tre righe di testo antico→ individuare i principali fenomeni di grammatica storica
Per convenzione le basi latine si trascrivono in MAIUSCOLETTO, gli esiti italiani corrispondenti
sono indicati in minuscolo corsivo. Il simbolo > significa ‘passa a’, mentre > significa ‘viene da’.
L’asterisco * indica una forma supposta.

Il latino aveva 10 vocali (a, e, i, o, u) con durata e quantità.


Le vocali toniche latine, dalle palatali alle velari (con la a al centro) erano le seguenti: ī, ĭ, ē, ĕ, ā, ă,
ŏ, ō, ŭ, ū.
Anche l’italiano ha vocali lunghe e brevi: una qualunque vocale, seguita da consonante semplice, è
lunga (pāla, mola); la stessa vocale, seguita da una consonante doppia, è breve (pălla, molla).
Da un certo momento in poi anche nel latino parlato le vocali lunghe incominciarono ad essere
pronunciate come chiuse e le vocali brevi come aperte. VeNIT (breve) fu pronunciata vénit e
VENIT (lunga) fu pronunciata come vènit. Tale indistinzione si dovette alla semplificazione
linguistica ma anche all’allargamento ad altri popoli (popolazioni dell’Africa mediterranea in
particolare). Dalla quantità latina si passò al timbro (o qualità).
Dal latino all’italiano le vocali cambiarono in questo modo: (→ maiusc:lunga, minusc:breve)
I→ i
i/E→ é
e→ è
A/a→ a
o→ ò
O/u→ o
U→ u
[la m dell’accusativo va sempre tra parentesi, perché non tutte le declinazioni latine avevano il
nominativo uguale, dunque per risalire alla radice si prende l’accusativo, che risulta il caso più
normato]
esempi: VINUM> vino; LIGNUM> legno // TELAM>téla; FeSTAM>fèsta // SOLEM>sole //
PoRCUM> pòrco // MURUM> muro // GuLAM> gola.
Il vocalismo atono dell’italiano, ovvero quello che riguarda le vocali su cui non cade l’accento, non
distingue tra chiuse e aperte, si riduce così a sole cinque vocali, sempre chiuse.
I>i; i/E/e>e; A/a>a; o/O/u>o; U>u
Il vocalismo tonico italiano presenta due trasformazioni in più rispetto alle trasformazioni del
latino.
I>i; i/E>e; e>jé/è; a/A>a; o>wò/ò; O/u>o; U>u.

!! Presentare il sistema vocalico atono e quello tonico.

Fenomeni di vocalismo

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• Monottongamento di AU, AE, OE.
Il latino classico aveva tre dittonghi (AU, AE, OE). Una tendenza tipica del latino parlato e
delle varietà più basse fu monottongare queste forme. Essendo il dittongo composto da due
vocali, il risultato sarebbe dovuto essere quello di una vocale lunga.
Perciò:
• AU: CAUDA>CODA>cosa; FAUCEM>FOCE(M)>foce; AU>o; AURU(M)>òro;
CAUSA(M)>còsa; LAUDO>lodo.
• AE si monottongò in E, pronunciata subito aperta: LAETU(M)>lièto; MAESTU
(M)>mèsto; PRAESTO>prèsto.
• OE si monottongò in E, che in italiano ha dato regolarmente [e]: POENA(M)>pena.

20^ lezione (15/11/2017)


assente

21^ lezione (20/11/2017)


[DITTONGAMENTO TOSCANO]
Il dittongamento di ĕ ed o toniche in sillaba libera non si verifica nei seguenti casi:
• nelle parole dotte che [dieci….]
• nella maggior parte ma non in tutte le parole preparossitone lievito<LEVITUM, con e ed i
brevi, chiedere quaerere, tiepido tepidum, ma anche pecora per tradizione popolare non ha
dittongato perché pecora è il nom e acc plu di pecus, nome neuto, la cui traduzione letterale
avrebbe dovuto essere le vestue; i parlanti hanno percepito l’uscita in a come desinenza sing
demm e pecora è stato inteso come la pecora senza dittongamente, anche operam >opera.
• In tre parole parossitone: bène<BeNE, nòve<NoVEM, lèi<*(IL)LAEL (latino volgare). Il
mancato dittongamento dell’avverbio bene si spiega perché bene era accompagnato –
praticamente sempre – da un’altra parola BeNE DICTUM> bene detto, ben detto in cui
l’accento, nella pratica della lingua che vede le due parole vicine, cade sulla parola vicina a
bene (quindi su detto) facendo perdere alla prima l’accento sulla vocale (che non è più
tonica e quindi non permette l’apertura del dittongo).
• Il numerale nove non dittonga nonostante la o tonica in sillaba libera probabilmente per
distinguerlo da nuove novas, fem plu dell’aggettivo nuovo.
• *(IL)LAEI è forma del latino volgare del fativo femminile singolare (a quella /a lei)
proveniente dal latino ille/illa/illud. Il latino classico aveva la forma dativa unica ILLI, il
latino volgare (dopo il VII secolo) lo sostituì con ILLUI e *ILLAEI. Da ILLUI e * forse per
aferesi della sillaba iniziale si ebbero lui e lei. La spiegazione è possibile, ma non certa.
• Nell’italiano contemporaneo il dittongamento non compare nelle parole era e erano, terza e
sesta persona dell’ind imp di essere e provenienti dalla vase latina erat e erant, entrambe con
e tonica originale. Fa queste basi in it ant si è avuto ièra e ièrano; la scomparsa del dittongo
è ascrivibile alla stessa vausa che ne spiega l’assenza in bene. Difficilmente era e erano
potevano trovarsi da sole, erano generalmente seguite da un’altra parola, all’interno della
quale si colloca l’accento principale della frase; in tal modo la e di erat ha perduto la qualità
di vocale accentata e il dittongo non si è prodotto.
• nell’it attuale il dittonfamento non compare nelle parole in cui è ed ò provengono da e o Ae
e o toniche latine che seguono una consonante +R: breve brevem, tremo, provo probo, trovo
tropo. Fino al Trecento il dittongamento anche in questo contesto era normale (cfr
Decamerone e Comoedia), e le forme ridotte non esistevano ancora. Tale fenomeno di

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riduzione iniziò a Firenze nel Quattrocento per influenza dei dialetti pisano e lucchese, che
non avevano il dittongamento di e/o dopo consonante +r. Nel Quattrocento e ancor più nel
Cinquecento ci furono altre riduzioni: da iè a è, da uò a ò: brieve breve, pruovo provo etc. A
partire dalla seconda metà del Cinquecento, la riduzione da iè a è, da uò a ò dopo
consonante + r si estese dal fiorentino all’italiano dei letterati. La scomparte dei dittonghi
non gu immediata e talvota fino all’Ottocento si trovano i dittonghi. Nella lingua poetica
sono frequenti forme come còre, foco, novo, fero, senza dittongo anche se provenienti da
basi latine e/o toniche *CoRE (diverso dal latino CoR, CoRDIS) tali forme sono dovuto
all’influsso del siciliano e della scuola poerica di Fedetico II perché nel vocalismo siciliano
la e/o toniche in sillaba libera non dittongano ma producono una e ed o aperte (cori, focu,
novu, feru). Tale fenomeno è durato alternato fino a Manzoni.
→ Nell’ita contemporaneo i dittonghi mobili sono sempre meno mobili (vedi tratti di Sabatini)
Lettura della novella Chichibio e la gru.
!! Individuare i dittonghi nella sezione di testo che segue, e spiegarne l’origine. (5-6 righe)
Currado Gianfigliazzi, sì come ciascuna di voi e udito e veduto puote [dittongo ascendente, prootto
del dittongamento di o breve in sillaba tonica POTET> puote] avere, sempre della nostra città è
stato notabile cittadino, liberale e magnifico, e vita cavalleresca tenendo continuamente [] in cani e
in uccelli s’è dilettato, le sue opere maggiori al presente lasciando stare. Il quale con un suo falcone
avendo un dì presso a Peretola una gru ammazzata, trovandola grassa e giovane, quella mandò a un
suo buon cuoco [dittongamento di o breve in sillaba tonica CoCU(M)>cuoco], il quale era chiamato
Chichibio e era viniziano; e sì gli mandò dicendo che a cena l’arrostisse e governassela bene.
Chichibio, il quale come nuovo bergolo era così pareva, acconcia la gru, la mise a fuoco e con
sollecitudine a cuocer la cominciò. La quale essendo già presso che cotta e grandissimo odor
venendone, avvenne che una feminetta della contrada, la quale Brunetta era chiamata [dittongo
dovuto all’esito di CLA in chia] e di cui Chichibio era forte innamorato, entrò nella cucina, e
sentendo l’odor della gru e veggendola pregò caramente Chichibio che ne le desse una coscia.
22^ lezione (21/11/2017) Sabatini
23^ lezione (22/11/2017)
Analisi di un brano dell’Orlando Furioso (35, stanze 18 e 19)
Tu déi saper che non si muove fronda
Là giù che segno qui non se ne faccia.
Ogni effetto convien che corrisponda
In terra e in ciel, ma con diversa faccia.
Quel vecchio, la cui barba il petto inonda,
Veloce sì che mai nulla l’impaccia,
Gli effetti pari e la medesima opra
Che ’l Tempo fa là giù, fa qui di sopra.

[19]
Volte che son le fila in su la ruota,
Là giù la vita umana arriva al fine.
La fama là, qui ne riman la nota;
Ch’immortali sariano ambe e divine,
Se non che qui quel da la irsuta gota,
E là giù il Tempo ognor ne fa rapine.
Questi le getta, come vedi, al rio;
E quel l’immerge ne l’eterno oblio.

In questo brano tratto dall’Orlando Furioso si possono rilevare vari fenomeni linguistici. Fra i tratti
vocalici e consonantici emergono dittongamenti da vocali brevi in sillaba aperta (muove, convien,

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ruota), indebolimenti di consonante intervocalica (déi) e contrazioni di sillabe atone (opra). Sul
piano fonosintattico abbondano le apocopi (saper, convien, ciel, son, riman, ch’, ognor). Al livello
lessicale, possiamo notare l’alternanza di elementi popolari e colloquiali (impaccia, come vedi) e di
latinismi (segno, opra, rapine, rio). Abbonda la presenza di che polivalenti (un solo che è
effettivamente relativo e un altro introduce una proposizione oggettiva).

Fenomeni vocalici, consonantici, morfologici e sintattici.


!! 6-7 righe di testo, sarà chiesto di individuare alcuni fenomeni indicati in maniera chiara:
Nel seguente testo si trovano dei condizionali. Come divergono dall’uso attuale e come si sono
formati? // Il seguente testo presenta dittonghi di tipo toscano/ dittonghi e falsi dittonghi /… :
il candidato li identifichi.

24^ lezione (27/11/2017)


Anafonesi
Trasformazione che riguarda due vocali in posizione tonica: [e] proveniente da E ed I latine e da [o]
proveniente da O e u latine. In determinati contesti fonetici la é>i e la o> u e costituisce un
innalzamento articolatorio: nella realizzazione di i in luogo di è e di u un luog… la lingua e le
labbra sono più in alto. È tipica din un’area ristretta: Firenze…. (?)

Familiam>fameglia>famiglia. Da FAMILIA(M)>faméglia, come esito di i breve in é, in tutta italia.


A firenze
Dalla base latina GRAMINIA si è avuta la forma graminea, con chiusura in i della E in iato (-nea>-
nia): questo passaggio ha originato un nesso -nj-. Quindi con -nj- si è creatp un contesto
anafonetico: infatti la i tonica ha dato origine é: gramegna (stato di evoluzione presente ancora nei
dialetti). A firenze, invece, si è avuto un ulteriore passaggio anafonetico: la é tonica, seguita da n
palatale proveniente da -nj-, si è chiusa in i dando luogo a gramigna.
CILIUM>CILIU>céglio → per anafonesi ciglio
CONSILIUM> CONSILIU>consélio>conséglio→ per anafonesi consiglio
l’anafonesi si produce solamente se n palatale deriva dal nesso latino -nj-. Infatti se n palatale
deriva da -gn- come in LIGNU>légno (con il solo passaggio di I a é). Attenzione:
lìgneo<LIGNEUM che è parola dotta, ha un’altra storia.

Secondo caso di anafonesi


La [e] tonica proveniente da E e da i latine e [o] tonica proveniente da O e da u si chiudono
rispettivamente in [i] e [u] se sono seguite da nasale velare, cioè da una n seguita da velare sorda k
o sonora g, come nelle sequenze -enk eng ong. l’anafonesi non si produce con onk se non nel caso
IUNCUM>gionco>giunco.
TINCAm>ténca
LINGUA
FUNGUM
VINCO
EXPINGO
TINGO
UNGULAM

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Non bisogna pensare che CONSILIUM LINGUA e FUNGUM abbiano dato direttamente consiglio,
lingua e fungo: da una i e da una u toniche non si possono dare i e u in italiano. Anche a Firenze
(…) c’è stata un’evoluzione per cui si ebbe conséglio, lengua e fongo da cui, in un secondo
momento, createsi le condizioni anafonetiche, si evolvettero in consiglio, lingua, fungo. Tale
fenomeno è una delle prove più evidenti dell . Infatti, l’anafonesi è sconosciuta ai dialetti del resto
d’italia, per cui ...
!!L’italiano letterario deriva prevalentemente dall’evoluzione del fiorentino. Il candidato
ricorda un fenomeno che attesti linguisticamente tale provenienza? → Anafonesi
Manzoni nel passaggio dal F&L ai promessi sposi sostituisce al pron pers sogg egli ella le
forme lui/lei. Il candidato spieghi l’evoluzione morfologica di tali pronomi.
Chiusura delle vocali toniche in iato
la è/é e la ç/o toniche, se precedono un’altra vocale diversa da i, con cui formano uno iato e non un
dittongo, tendono a chiudersi fino al grado estremo, quindi in è>i e o>u.
Lio stesso fenomeno di ego si è verificato nelle parole DEUM, meum, meam,
La chiusura di e e di o non si produce se queste vocali sono in iato con i: se da meum mèu méu, mio
dl plurale MeI abbiamo miei, in cui la e tonica, in iato con i, non si chiude ma dittonga in iè.
Il fenomeno della chiusura in iato non si produce nella é tonica presente nelle forme di imperfetto
senza v dei verbi della seconda coniugazione (avea, tenea, temea, vedea). La chiusura non è
avvenuta semplicemente perché forme simili si sarebbero confuse con le forme di imperfetto senza
v dei verbi di terza coniugazione (sentia, udia, venia).
Chiusura della e pretonica (o protonica) in i
In posizione pretonica (prima della sillaba accentata), una e chiusa (che può provenire da e,E,i e AE
atoni del latino volgare) tende a chiudersi in i. Alla base di DeCeMBREM in italiano antico
abbiamo avuto prima decembre>dicembre (fenestram, mensuram, ciconiam).
Tale processo non è databile sempre allo stesso modo: se megliore, nepote e segnore hanno resistito
fino al Trecento, pregione e seracchia sono passati a prigione e sirocchia solo agli inizi del
Quattrocento.
Chiusura della o pretonica (o protonica) in u
in posizione pretonica una o chiusa (< o,O,u,AU atoni) in qualche caso si è chiusa in u. OCCIDO,
COCINAM, POLIRE.

CONSONANTISMO
Conservazione delle consonanti
In italiano alcune consonanti (DMNLRF) presenti nelle parole latine si conservano in posizione
iniziale e mediana. (DARE, TIMOREM, NAVEM, MULUM).
Assimilazione consonantica o assimilazione consonantica regressiva (toscana e quindi italiana)
L’a.c.r. è il fenomeno per cui, in un nesso di due consonanti difficile da pronunciare, la seconda
consonante assimila, ovvero rende ufguale a sé la prima, trasformando la sequenza di due
consonanti diverse in un’unica consonante doppia:
CS : FIXARE, SAXUM
CT: DICTUM, PACTUM
DV: ADVENIRE, ADVISARE
MN: DAMNUM, SOMNUM

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PS: SCRIPSI, IPSUM
PT: APTUM, SCRIPTUM
Alcuni dialetti centro-meridionali conoscono invece l’ass. cons. progressiva, ovvero la prima
consonante assimila la seconda:
ND: MUNDUM>monno, quando>quanno
MB: PLUMBUM

Caduta delle consonanti finali


Tre consonanti latine ricorrevano in posizione finale: MTS. M e T caddero molto presto (la caduta
di mè attestata in documenti lapidei che risalgono a qualche secolo prima di Cristo, la cadutra di T
è attestata in scritture parietali presenti a Pompei (79 aC)).
La S che rappresentava l’uscita dell’accusativo plurale o non è caduta o è caduta producendo varie
trasformazioni:
• nei monosillabi:
• la -s finale in alcuni casi si è palatalizzata e si è trasformata nella vocale palatale i:
NOS>noi; VOS>voi;
• in altri casi, la -s finale si è assimilata alla consonante iniziale della parola successiva:
TRES CAPRAS>tre capre (con pronuncia [trèk’kapre]), TRES CANES>Treccani
(antroponimo);
• nei polisillabi: a -s finale prima di cadere ha palatalizzato la vocale precedente, ovvero l’ha
palatalizzata aumentando il grado di palatalità: nella parola CAPRAS, la -s finale, prima di
cadere, ha trasformato la A in -e quindi > capre.
Dissimilazione
Fenomeno opposto all’assimilazione: il fenomeno si verifica quando due suoni simili sono situati
vicini all’interno della stessa parola ARBOREM (dissimilazione della prima r a causa della
seconda), VENENUM.
Sonorizzazione delle consonanti
In tutta l’area romanza occidentale e nell’it settentrionale le occlusive sorde latine PTK (seguite da
AOU) in posizione intervocaliza e interconsonantica sonorizzano nelle sonore corrispondenti.
La sonorizzazione, Toscana esclusa, è sconosciuta nelle aree mediane.
In Toscana, e quidni in italiano, vi sono grosso modo esempi di sonorizzazione e altri di
conservazione: cons della labiale sorda APEM>ape; sonor della labiale RIPAM>riva; cons della
velare sorda AMICUM>amico, sonor della velare LACUM; cons della dentale sorda
ACUTUM>acuto; MATREM>madre; QUATERNUM>quaderno.

!!Quali fenomeni tra quelli indicati (sonorizzazione, assimilazione etc) interessano l’Italia
settentrionale? {→ la sonorizz si verifica prevalentemente nell’italia settentrionale}

Spirantizzazione della labiale sonora intervocalica


B latina in posizione iniziale si è conservata BASIUM, B seguita da r è diventata intensa FABRUM.
In posizione intervocalica si trasforma in v passando da occlusica a costrittiva (o spirante):
FABAM, FABULAM.

25^ lezione (28/11/2017)


Max Pfister e il LEI

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26^ lezione (29/11/2017)
Presentazione del libro Il lazzaretto nuovo di Venezia

27^ lezione (4/12/2017)


Italiano fuori dall’Italia

28^ lezione (5/12/2017)


presentazioni

29^ lezione (6/12/2017)


Italiano fuori d’italia
30^ lezione (13/12/2017)

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