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«Letterature del mondo oggi»

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MARIA ANTONIETTA SARACINO

L’India si racconta

Se fisso il paese abbastan-


za a lungo
riesco a sollevarlo dalla
carta
lo alzo come un lembo di
pelle.

Talvolta è un calendario
dell’avvento
ogni città ha una finestra
che lascio aperta
ogni volta un po’ di più.

L’India è maneggevole,
più piccola della
mia mano, il fiume Ma-
hanadi
più sottile della linea della
vita.

(Moniza Alvi, Mappa dell’India)1

T racciare un percorso in grado di abbracciare anche solo a grandi linee la letteratura


dell’India o, per meglio dire, delle numerose espressioni letterarie di questo com-
plesso e affascinante subcontinente, sarebbe impresa pressoché impossibile e
dunque da abbandonare in partenza: troppo grandi sono infatti la varietà e ricchezza di
testimonianze scritte e orali che, nel tempo, da questa parte del mondo ci sono perve-
nute, a partire dalle più antiche e note; si pensi solo ad opere quali il Mahābhārata,
con il Rāmāyana uno dei più grandi poemi epici dell’India, nonché uno dei più impor-
tanti testi sacri della religione induista e della letteratura di tutti i tempi. Opere di mi-
gliaia di versi che si fanno risalire al IV secolo a.C., nate e tramandate per secoli in
forma orale. Per non parlare delle letterature scritte, apparse nel tempo in molte delle
diverse lingue del paese, oltre all’hindi che ne è la principale; lingue alle quali, per ef-
fetto della colonizzazione britannica, a partire dalla fine del Settecento si è aggiunto

1
Moniza Alvi, Mappa dell’India, in Andrea Sirotti (a cura di), L’India dell’anima, Firenze, Le Lette-
re, 2000, pp.84-85.
1
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l’inglese, vera e propria lingua franca a tutt’oggi largamente diffusa sul continente pur
essendo un retaggio dell’antico colonizzatore.

Idioma detestato e osteggiato da molti, amato da altri e tuttavia strumento utile


quanto accessibile per assicurare una rapida ed efficace comunicazione con il resto del
mondo, in grado di garantire una diffusa visibilità in un contesto ricco di centinaia di
lingue, non tutte scritte, e di migliaia di dialetti; ma soprattutto, ciò che più conta, lin-
gua non legata a uno specifico credo religioso o politico2. Nelle parole di Salman Rush-
die, il più famoso e celebrato scrittore indiano contemporaneo, che dell’uso di questo
idioma nella sua scrittura fa una scelta precisa: «l’inglese è una lingua essenziale per il
paese, non solo per la terminologia tecnica e per i contatti internazionali che rende pos-
sibili, ma anche solamente per permettere a due indiani di parlarsi in una lingua che
nessuno dei due odia»3. Quanto poi alla letteratura inglese, prosegue Rushdie riferen-
dosi qui a quella in lingua inglese, questa «ha una sua diramazione indiana. La lettera-
tura inglese, quindi, è anche letteratura indiana: non vi sono problemi di incompatibili-
tà. Se la storia crea la complessità, non è nostro compito semplificare. Dunque – con-
clude lo scrittore - l’inglese è una fra le lingue letterarie indiane e oggi, grazie a scrittori
come Tagore, Desani, Chaudhuri, Mulk Raj Anand, Raja Rao, Anita Desai ed altri, pos-
siede un “pedigree” di tutto rispetto»4.

Questo scriveva Salman Rushdie nel 1981, aprendo un dibattito ancora oggi più
che mai attuale nel subcontinente indiano, perché fa questione attorno al tema e al si-
gnificato profondo del concetto di identità, sempre più sentito in culture – molte anche
tra quelle a noi più vicine - che eventi storici, politici o religiosi hanno ‘ibridato’, per co-
sì dire; talvolta con drammatiche fratture con la storia e le tradizioni del passato, impo-
nendo mutamenti repentini e imprevisti, con migrazioni forzate di intere comunità;
eventi dei quali gli ultimi centocinquant’anni sono stati spesso testimoni e che hanno
toccato direttamente il subcontinente indiano; provocando, in positivo, la fine del colo-
nialismo britannico e la formazione dell’India contemporanea, al tempo stesso favo-
rendo la nascita di una sempre più ricca e interessante produzione letteraria in lingua
inglese che è arrivata fino a noi. A questa va il grande merito di aver fatto conoscere agli
occidentali, dalla viva voce dei suoi protagonisti e dei suoi scrittori, un’India finalmen-
te vicina alla realtà, libera da molti degli stereotipi e degli esotismi che nei secoli

2
Il numero di lingue parlate in India è di circa 180, solo 21 delle quali riconosciute ufficialmente co-
me lingue usate in atti pubblici. 1652 sono i dialetti. La Costituzione non riconosce una lingua nazionale;
l’hindi è la lingua ufficiale del governo e la più diffusa nel paese. Con l’avvento del colonialismo britan-
nico l’inglese diviene lingua di comunicazione parlata e scritta in gran parte del subcontinente. cfr. Diet-
mar Rothermund, Storia dell’India, Bologna, Il Mulino, 2007; Domenico Amirante, India, Bologna, Il
Mulino, 2007; Stanley Wolpert, Storia dell’India. Dalle origini della cultura dell’Indo alla storia di oggi,
Milano, Bompiani, 2000.
3
Salman Rushdie, Non esiste una letteratura del Commonwealth, in Patrie immaginarie,Milano,
Mondadori, 1994, p.73 [Imaginary Homelands, London, Granta, 1981].
4
Ibid., p.74.
2
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l’Occidente le aveva costruito addosso offrendoli come veritieri, come scriveva lo stu-
dioso palestinese Edward Said nel celebre saggio Orientalismo, definendo una simile
operazione come “orientalizzare l’Oriente”; cosa che avveniva dopo aver immaginato e
proposta come reale «l’esistenza di un ambito teorico riguardante una entità geografica,
culturale, linguistica ed etnica chiamata “Oriente”, della quale l’India rappresentava un
elemento centrale»5.

Si deve proprio a questa costruzione di un Oriente interpretato come ‘altrove


esotico’ se per buona parte del Novecento l’idea dell’India continua ad essere associata,
nell’immaginario comune, a un universo di favola e sogno: sete preziose intessute di fili
dorati e corpi di donne avvolte da profumi e gioielli, spesso presentate così già dalla ci-
nematografia americana degli anni ʼ50; e poi maharaja di immense ricchezze e sceno-
grafiche tigri congelate nell’atto di aggredire, come nei romanzi di Emilio Salgari, ri-
proposti in Italia nei primi sceneggiati televisivi, sullo sfondo di improbabili quanto
lussureggianti foreste; e palazzi dalle mura tempestate di gemme, come quel Taj Mahal
che risplende nel buio, ad Agra, durante le notti di luna piena. Questo sì, autentico, ma
isolato, nella fantasia dei più, dalla mancanza di informazioni sul suo complesso conte-
sto culturale.

È su questa India, parziale nel segno dell’iperbole, scaturita dalla fantasia di nar-
ratori europei, che in gran parte si costruisce l’immaginario occidentale su un mondo
che arriva ai più come frutto della creatività letteraria, come surrogato di un irraggiun-
gibile oriente: una sorta di proiezione fantastica offerta al posto dell’oggetto reale. Sal-
gari accanto a Kipling, Gide e E. M. Forster, ma anche a George Orwell, Aldous Huxley,
Anthony Burgess e molti altri. E come moltiplicato dalla luce di un prisma, più tardi,
nel cuore degli anni Sessanta e Settanta, ecco quello stesso mondo farsi meta di viaggi,
anzi del viaggio, di iniziazione spirituale e conoscenza. Qui è l’Oriente eletto a meta di
un moderno Grand Tour, universo da cui trarre energia, in cui ritrovare se stessi, ri-
temprandosi fra gli incensi degli ashram, per poi tornare, rigenerati e senza grandi con-
tatti con l’esterno, a casa propria. Infine, in anni a noi più vicini, ecco un’altra India an-
cora, quella che affascina intellettuali tra loro diversi, per lingua, provenienza e forma-
zione, come il rumeno Mircea Eliade e il tedesco Herman Hesse, ma anche gli italiani
Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia o Giorgio Manganelli, che di quell’incontro, spesso
prolungato nel tempo come nel caso di Eliade, ci restituiscono opere a metà fra repor-
tage e narrativa, tra filosofia e saggistica, scritti che già a partire dai titoli non fanno
mistero circa l’intensità dell’esperienza vissuta: La biblioteca del maharaja, Erotismo
mistico indiano, Il pellegrinaggio in Oriente, L’odore dell’India, Un’idea dell’India,
Esperimento con l’India, e così via.

5
Edward Said, Orientalismo, Torino, Bollati Boringhieri, p.53 [Orientalism, N.Y., Pantheon,1978].
3
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Per parte sua, intanto, quel mondo, con la sua complessa realtà sembrava tacere,
offrendosi muto, poverissimo e splendente a un tempo, agli occhi dei suoi fantasiosi in-
terpreti. E questo anche se muto non lo era affatto, perché «risale infatti al 1794 il pri-
mo libro scritto in inglese da un indiano, Sake Deen Mahomed, collaboratore di vari pe-
riodici di Calcutta, al tempo la città culturalmente più vivace dell’Impero, seconda solo
alla stessa Londra», scrive Silvia Albertazzi in un seminale saggio sulla letteratura in-
doinglese6. Il testo in questione, The Travels of Dean Mahomed, autobiografia
dell’autore corredata da un lungo sottotitolo, è il primo di una serie di scritti, i cui au-
tori faticano a misurarsi con la difficoltà di mettere insieme mondi linguisticamente e
culturalmente diversi, con risultati non sempre felici. Prosegue Albertazzi:

[…] Queste produzioni, nate quasi come esperimenti di laboratorio, lontano dal contatto diretto con la
realtà, non hanno un lettore ben identificato cui rivolgersi. E tuttavia, consci del fatto che i loro scritti po-
tranno suscitare qualche interesse in Occidente, piuttosto che in patria, i primi autori indo inglesi prestano
maggior attenzione alla proprietà linguistica e al bello stile che non ai contenuti delle loro opere. Ci vorrà
più di un secolo perché questo complesso linguistico d’inferiorità scompaia: nel frattempo, lo scrittore an-
gloindiano di lingua inglese continuerà ad essere lacerato fra un mezzo di comunicazione straniero, stru-
mento di un’acculturazione forzata, e la propria ricerca di un’identità nazionale, personale e linguistica, in
una realtà culturale e sociale complessa e variegata quant’altre mai7.

Perché la situazione raggiunga un punto di reale cambiamento si dovrà atten-


dere ben più di un secolo, periodo durante il quale gli inglesi arriveranno a dominare
tutta l’India, amministrandola in maniera diretta e trasformandola in colonia britanni-
ca sotto il mandato di un viceré; al contempo dichiarando l’inglese lingua ufficiale e in-
coronando la regina Vittoria, nel 1877, “Imperatrice delle Indie”. Il tutto - scrive lo sto-
rico Michelguglielmo Torri facendo sua una metafora usata dagli studiosi dell’India - in
un clima nel quale la Storia sembra solo apparentemente sotto controllo, essendo inve-
ce più simile a un oceano in tempesta, nel quale

[…] mentre la superficie è sconvolta da venti e marosi, a pochi metri di profondità le acque appaiono
perfettamente immobili. Allo stesso modo, mentre la storia politica dell’India appare caratterizzata da con-
tinui sconvolgimenti, la storia sociale ed economica non muta, o muta pochissimo e, in ogni caso, quel ri-
dotto mutamento che si verifica, ha origini recenti (la conquista coloniale) e recentissime (l’operato dei go-
verni dell’India indipendente)8.

6
Silvia Albertazzi, La letteratura indoinglese, in Agostino Lombardo (a cura di), Verso gli Antipodi.
Le nuove letterature di lingua inglese:India, Australia, Nuova Zelanda, Roma, La Nuova Italia Scientifi-
ca, 1995, pp. 15-57. Cfr. anche, di S. Albertazzi, La letteratura postcoloniale. Dall’Impero alla World
Literature, Roma, Carocci, 2013.
7
Ibid.,p17
8
Michelguglielmo Torri, Storia dell’India, Bari, Laterza, 2000, p. VIII.
4
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Mentre il mondo dorme


È proprio nel cuore della notte, alla mezzanotte del 14 agosto del 1947, che a Delhi
viene convocato il Parlamento, al cui cospetto il Primo ministro Jawaharlal Nerhu pro-
nuncia un famoso discorso per annunciare alla nazione la fine del dominio britannico e
la proclamazione dell’indipendenza. Un progetto al quale lo stesso Nehru e Lord
Mountbatten, fino a quel momento viceré e da allora governatore generale, lavoravano
da tempo. La data, scrive lo storico Dietmar Rothermund, era stata decisa da Mount-
batten, ma la scelta dell’ora veniva dagli astrologi indiani, ai quali era stato affidato il
compito di individuare il momento più propizio. In questo caso era la mezzanotte, il che
avrebbe consentito, nelle parole di Nehru, di avvolgere l’evento di quell’aura di solenni-
tà e persino di sacralità, che il momento richiedeva e che avrebbe rappresentato nel
tempo un ricordo indelebile, difficile da dimenticare:

Molti anni orsono prendemmo appuntamento col destino, e ora è finalmente venuto il momento di
onorare il nostro impegno, se non completamente, almeno nella sua parte essenziale. A mezzanotte, men-
tre il mondo dorme, l’India si desta alla vita e alla libertà. È questo un momento che solo di rado la storia
concede: ci liberiamo dal vecchio e andiamo incontro al nuovo, un’epoca finisce e l’anima della nazione, a
lungo repressa, si esprime liberamente e senza ostacoli. In questo momento solenne dobbiamo impegnarci
a servire l’India e il suo popolo, e a servire l’umanità […] Dobbiamo lavorare, lavorare duro, affinché i no-
stri sogni si possano tramutare in realtà. Sono i sogni dell’India, ma sono anche i sogni del mondo, perché
tutti i popoli e le nazioni sono strettamente legati l’uno all’altro e nessuno può più pensare di poter vivere
solo per proprio conto. La pace, si dice, è indivisibile, e ciò vale anche per la libertà e il benessere, e anche
per le disgrazie, in questo Mondo Unico, che non si lascia più dividere in frammenti isolati9.

Ma ecco che di lì a breve, quasi a smorzare l’euforia dell’evento, scaturita dal so-
gno di un mondo che “non si lascia più dividere in frammenti”, nei giorni nei quali
l’India festeggia la conquistata indipendenza, in una parte del paese si scatena la san-
guinosa guerra civile tra mussulmani e indù per la spartizione dei territori, in vista del-
la creazione di un nuovo stato a base confessionale; guerra che fra lotte e spargimento
di sangue farà seguito alla Partition e alla nascita del Pakistan, la “terra dei Puri”, abi-
tata da mussulmani. Tanto doloroso e violento sarà questo momento della Storia – che
Gandhi chiamò «la vivisezione dell’India»10 - da segnare indelebilmente non solo la vi-
ta degli esseri umani che lo avevano subìto, ma anche quella della letteratura indiana
che se ne farà testimone, comparendo da protagonista nelle pagine di molti dei suoi
scrittori, a partire dal più famoso, il già citato Salman Rushdie. Sarà lui a consegnare al
mondo, in lingua inglese, un romanzo tra i più importanti del Novecento, nel quale la
Storia regna sovrana. Si tratta de I figli della Mezzanotte (1981), narrazione che a par-
tire dall’evento che aveva cambiato la storia del subcontinente indiano, costruirà una

9
Cit. in Dietmar Rothermund, Delhi, 15 agosto 1947. La fine del colonialismo, Bologna, Il Mulino,
2000.
10
Ibid., pag.10.
5
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narrativa destinata a rivoluzionare la forma stessa del romanzo indiano contempora-


neo, ma non solo. L’incipit è folgorante:

Sono nato nella città di Bombay… tanto tempo fa. No, non va bene, impossibile sfuggire alla data: sono
nato nella casa di cura del dottor Narlikar il 15 agosto 1947. E l’ora? Anche l’ora è importante. Be’, diciamo
di notte. Bisogna essere più precisi… Allo scoccare della mezzanotte, in effetti. Quando io arrivai le lancette
dell’orologio congiunsero i palmi in un saluto rispettoso.[…] nell’istante preciso in cui l’India pervenne
all’indipendenza, io fui scaraventato nel mondo […] grazie alle tirannie occulte di quelle lancette dolcemen-
te ossequianti, io ero stato misteriosamente ammanettato alla storia e il mio destino indissolubilmente le-
gato a quello del mio paese. Nei tre decenni successivi non avrei avuto scampo11.

Testo anomalo per molti versi, affascinante quanto difficile da contenere sul pia-
no dell’intreccio, per la ricchezza e la molteplicità dei racconti che al suo interno si di-
panano; racconti che di questo romanzo fanno un unicum nella letteratura contempo-
ranea, per stile e forza immaginativa, per capacità di mescolare linguaggi e registri lin-
guistici; per ricchezza di figure retoriche e ampiezza di riferimenti letterari delle prove-
nienze più disparate; per la capacità di fondere generi diversi e attingere a piene mani
dalla Storia, dal cinema, dalla politica e da numerosi altri campi del sapere; con tale
fantastica spregiudicatezza da rappresentare un modello non facilmente ripetibile; al
tempo stesso capace di proporsi con tale autorevolezza da segnare un punto di svolta
nella narrativa indiana, inducendo molti degli scrittori che sarebbero venuti poi, a met-
tere in discussione il proprio rapporto con la forma-romanzo, o comunque a confron-
tarsi con questo modello. Al centro del quale sta un nuovo soggetto che nasce e vive
“ammanettato alla Storia”: è l’ibrido, il bastardo, il figlio di più mondi, come Rushdie
definisce se stesso; lui che è indiano e pakistano, ma anche americano e figlio dell’ex
impero britannico, plurilingue; mussulmano per nascita ma ateo per vocazione e spirito
critico; che è vissuto in Inghilterra ma conosce la cultura classica europea; migrante
senza patria per vicende della Storia, ma profondamente segnato dalla cultura indiana
che porta dentro di sé; cittadino di quella imaginary homeland che è la letteratura, ve-
ro luogo di riferimento per uno scrittore come lui che irrompe sulla scena letteraria con
un romanzo tra i più premiati (a partire dal Booker Prize del 1981), tradotti e conosciu-
ti. E riferimento, anche, da allora in poi, per molti altri scrittori indiani che – seguendo
l’esempio di Rushdie - interverranno sulla forma narrativa, abbandonando il modello
del romanzo borghese ereditato dalla letteratura inglese. I figli della mezzanotte darà
loro la spinta a cercare orizzonti narrativi più vasti e variegati, capaci di ‘modellare’ la
forma–romanzo per dar voce alle numerose diverse culture presenti nel subcontinente
indiano, creando narrazioni stilisticamente varie e affascinanti.

11
Salman Rushdie, I figli della mezzanotte, Milano, Garzanti,2002, p.11 [Midnight’s Children, Lon-
don, Cape, 1981].
6
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A Midnight’s Children e al suo autore dedica parole di grande ammirazione lo


scrittore Italo Calvino, che definisce Salman Rushdie «il rapsodo di un’epopea
dell’India moderna in chiave comica e grottesca, dove i cattivi odori e tutta la dimen-
sione fisiologica della vita indiana vengono celebrati con lo sfarzo e i colori d’una festa
rituale sul Gange. [Qui] i codici del sapere pratico indiano sono molti, e I figli della
mezzanotte tende a farsi enciclopedia». Ma non basta. Affascinato dal susseguirsi di
trame fantastiche, dal racconto dei mille bambini dotati di poteri magici venuti al mon-
do alla mezzanotte del 15 agosto del 1947, attratto da una affabulazione corale che «si
dilata, si ramifica, prolifera, si moltiplica in un continuo processo di metamorfosi e te-
ratomorfosi, come sulla facciata di un tempio indù», in questo romanzo-palinsesto Cal-
vino legge anche, in filigrana, insieme a una dolente meditazione su un trentennio di
storia indiana, sconfitta dalla incapacità politica di superare le divisioni, anche
l’emblema «del fallimento universale del secolo ventesimo»12.

A partire da quel primo folgorante inizio Salman Rushdie pubblica una lunga se-
rie di romanzi – a partire da I versi satanici per il quale nel 1989 sarebbe stato colpito
dalla condanna a morte per blasfemia dall’ayatollah Khomeini – tra i quali L’ultimo so-
spiro del Moro, La terra sotto i suoi piedi, oltre a importanti raccolte di saggi quali Pa-
trie immaginarie o Superate questa linea; e poi racconti, e una autobiografia, Joseph
Anton, nella quale ripercorre i lunghi anni passati sotto protezione, a seguito della con-
danna a morte, poi fortunatamente cancellata13.
La violenza della Storia, con la guerra civile che esplode all’indomani
dell’indipendenza e la dolorosa lacerazione prodotta in intere comunità dalla Partition,
con conseguenti spostamenti incrociati di masse umane in punti diversi del subconti-
nente, verso gli stati di nuova formazione, entra di prepotenza nel romanzo indiano.
Uno dei più intensi, su questo tema, è La spartizione del cuore, della scrittrice Bapsi
Sidhwa, classe 1940. Qui l’autrice rielabora in forma narrativa i suoi stessi ricordi di
bambina, con i momenti drammatici della Partition, che di colpo fanno di lei e della
sua famiglia - indiani di etnia parsi, e come tali del tutto apolitici - dei cittadini paki-
stani, in quanto residenti a Lahore, con le violenze reciproche delle due comunità in lot-
ta, indù e mussulmana, che accompagnano i suoi ricordi. È lei, la piccola Lenny, prota-
gonista e io-narrante del romanzo – successivamente divenuto film con il titolo di
Earth per la regia di Deepa Mehta - la bambina di sette anni che, angosciata davanti a
qualcosa di troppo grande per lei, si pone domande nel tentativo di capire che cosa si-
gnifica dividere un paese, e perché lo si faccia:

12
Italo Calvino, L’India nel lenzuolo, “La Repubblica”, 8.5.1984.
13
Salman Rushdie, I versi satanici, Oscar Mondadori,1989 [The Satanic Verses, 1988]; L’ultimo so-
spiro del Moro, Milano, Mondadori, 1995 [ The Moor’s Last Sigh,1995]; La terra sotto i suoi piedi, Mi-
lano, Mondadori,1999 [ The Ground Beneath Her Feet,1999]; Patrie immaginarie, Milano Mondado-
ri,1991 [Londra,Granta,1991; Superate questa linea, Milano, Mondadori,2007 [Step Across this Line,
New York, The Modern Library,2002]; Joseph Anton, Milano, Mondadori, 2012, [Joseph Anton, London,
Vintage,2012].
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Corrono molte voci allarmanti. L’India sta per essere spaccata in due. Si può spaccare un paese? E che
succede se la spaccatura passa proprio per casa mia?[…] Lo chiedo a Cugino.«Balle», dice lui, «nessuno
spaccherà l’India. Mica è fatta di vetro». Lo chiedo ad Ayah.«Scaveranno un canale», dice, azzardando
un’ipotesi. «Da questa parte l’Industan, dall’altra parte il Pakistan. Se vogliono tirar fuori due nazioni, que-
sto è quello che devono fare: dividere l’India con un canale lungo lungo»14.

Il tema della Storia, in relazione a comunità numericamente minori come quella


dei parsi, discendenti degli antichi rifugiati persiani e di religione zoroastriana, è al
centro anche del primo romanzo di Bapsi Sidhwa, Il talento dei Parsi (1978), mentre
con La sposa pakistana (1983), ma soprattutto con Acqua (2006), Sidhwa conferma la
grande finezza nel tratteggiare figure femminili, in particolare le bambine. Acqua, che
nasce come soggetto cinematografico per l’omonimo film realizzato con la regista
Deepa Mehta e solo successivamente in forma di romanzo, affronta con grande delica-
tezza di toni il drammatico tema della condizione delle vedove bambine, una realtà pur-
troppo ancora oggi molto presente in India.
Al tema della storia, qui filtrato dal linguaggio della narrativa, si affianca una
saggistica prettamente storica, assai ricca di voci, alla quale si è accennato; e accanto a
questa numerosi studi a metà tra lo storico e l’antropologico-culturale che si propon-
gono di offrire al lettore non indiano una possibile chiave di lettura di un universo
complesso e variegato, cercando di catturare, per come possibile, “lo spirito dell’India”.
È l’obiettivo che si pongono Sudhir e Katharina Kakar con Gli indiani. Ritratto di un
popolo(2007)15, percorso nel quale i due studiosi toccano temi quali la religione, le ca-
ste, la condizione femminile, i conflitti e altri importanti nodi tematici. A questi fa da
contraltare il punto di vista opposto, quello del poeta, prosatore e filosofo indiano Ra-
bindranath Tagore (1861-1941), premio Nobel per la Letteratura nel 1913, scrittore pro-
lifico, che in L’anima dell’Occidente. Un giudizio16, del 1925(2013), mette a confronto i
due mondi, successivamente riprendendo alcune di queste tematiche, in forma di rac-
conto, nella raccolta Il vagabondo (2010)17.

14
Bapsi Sidhwa, La spartizione del cuore,Milano, Neri Pozza, 1999, pp. 105-106 [Cracking India,
Minneapolis, Milkweed, 1991]; Il talento dei Parsi, Vicenza, Neri Pozza, 2000 [The Crow Eaters, Lon-
don, Cape1978]; La sposa pakistana, Vicenza, Neri Pozza, 2002 [The Bride, London, Cape,1983]; Ac-
qua, Vicenza, Neri Pozza, 2006 [Water, London, Cape, 2006].
15
Sudhir & Katharina Kakar, Gli Indiani. Ritratto di un popolo, Vicenza, Neri Pozza, 2007 [The In-
dians.Portrait of a
People, 2007].
16
Rabindranath Tagore, L’anima dell’occidente. Un giudizio, Roma, Castelvecchi, 2013 [Judgement,
in Visba Barathi Quarterly, vol. III, 1925].
17
Id., Il vagabondo, Parma, Guanda, 2010.
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Un viaggio nella letteratura indiana, con una attenzione al tema della storia, non
può non tener conto della figura del Mahatma Gandhi, sul quale e del quale numerose
sono le opere disponibili, a partire dagli scritti autobiografici quali – tra i molti - La
mia vita per la libertà (2010), Il mio credo, il mio pensiero (2010), Per la pace. Afori-
smi (2002) o il saggio Teoria e pratica della nonviolenza (2011)18, ai quali si affianca il
corposo studio dello psicanalista tedesco Erik H. Erikson, La verità di Gandhi. Le ori-
gini della nonviolenza militante (2013)19 e un singolare saggio-racconto del già citato
Sudhir Kakar, intitolato Mira e il Mahatma (2005)20 sulla relazione tra una donna in-
glese, Madeleine Slade che per nove anni ne fu la più stretta collaboratrice, e il Mahat-
ma, documentata da un fitto carteggio, e che offre un ritratto inedito del padre della na-
zione indiana.

Un treno di racconti

Chi abbia memoria del film Gandhi, di Richard Attenborough, del 1982, che
molto ha contribuito a creare in occidente un immaginario cinematografico sull’India,
ne ricorderà forse la scena iniziale, nella quale il futuro Mahatma, qui giovane avvocato
del Foro di Londra inviato a patrocinare una causa in Sudafrica, viene letteralmente af-
ferrato e buttato giù dal treno, dalla carrozza di prima classe nella quale lui, indiano,
aveva osato sedersi. È da quel gesto di sopraffazione che in questo racconto tutto ha ini-
zio, segnando un percorso di resistenza nonviolenta che di lì a qualche decennio avreb-
be portato al crollo dell’Impero britannico in quella che l’Inghilterra considerava la sua
roccaforte più sicura e prestigiosa. E più avanti si vedrà Gandhi con i suoi seguaci diste-
si sui binari della ferrovia, a protestare perché il governo conceda il voto agli intoccabili.
In treno il Mahatma percorrerà in lungo e in largo il paese predicando il verbo della re-
sistenza nonviolenta. Se la strada è lo spazio nel quale la libertà simbolicamente comin-
cia, il treno, elemento reale ma anche dell’immaginario, mezzo di trasporto e veicolo di
Storia, sta all’India come l’automobile sta all’America.

Sarà certo per questo che l’immagine del treno abita la geografia del sub-
continente, così come la cinematografia e le pagine di parecchi romanzi , facendo di
questo mezzo di trasporto un potente elemento simbolico. Tristemente noti, in questo
senso, i cosiddetti treni-fantasma, che nell’estate del 1947, nelle settimane successive
alla Partition, arrivano a destinazione pieni unicamente di cadaveri; ed è difficile trova-
re un romanzo che affrontando tematiche legate a quel momento della storia dell’India,
non ne parli, mentre sono numerosi gli scritti nei quali questo tema è in vario modo af-

18
Gandhi, Per la pace. Aforismi, Milano, Feltrinelli, 2002 [Gandhi on Non-Violence, New Direc-
tions,1964].
19
Erik H.Erikson, La verità di Gandhi. Le origini della nonviolenza militante, Roma, Castelvecchi,
2013 [Gandhi’s
Truth.On the Origins of Militant Nonviolence, Norton,1969].
20
Sudhir Kakar, Mira e il Mahatma, Vicenza, Neri Pozza, 2005 [Mira and the Mahatma, 2004].
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frontato. Tra questi, Quel treno per il Pakistan (1988), di Khushwant Singh, (1915-
2014)21 una delle voci più importanti della sua generazione. Qui la Partition è racconta-
ta dal punto di vista delle comunità mussulmana e sikh, quest’ultima alla quale Singh
appartiene, ed è ambientato in un villaggio lungo la ferrovia dove le due comunità, ori-
ginariamente pacifiche, cominciano a scannarsi per l’improvviso esplodere del recipro-
co odio etnico; il tutto scandito dal passaggio dei treni e dal loro sferragliare sulle ro-
taie. Così pure, nella già citata La spartizione del cuore, di Bapsi Sidhwa, è presente il
drammatico racconto di uno dei treni che una volta arrivati alla stazione si scoprono
pieni di corpi massacrati; mentre Acqua, della stessa autrice, si chiude con l’immagine,
drammatica e poetica al tempo stesso, di una donna che corre lungo il binario sul quale
sosta il treno di Gandhi, faticosamente stringendo tra le braccia Chuya, la vedova bam-
bina altrimenti destinata alla prostituzione, per affidarla al Mahatma, che viaggia su
quel treno, e salvarle la vita. Locomotive che trasportano la storia, nel bene e nel male.
Quella con la S maiuscola.

Al contrario, Il treno di notte (1988) deliziosa raccolta di racconti di Ruskin


Bond (1934)22, decano degli scrittori angloindiani, non trasporta la grande storia, ma
piccole storie individuali. Frammenti di vita, di una vita che ha il respiro poetico di un
mondo d’altri tempi e d’altro tempo. Il tempo lento dei ricordi, di momenti d’amore
vissuti o solo sognati, in un’India come ci piacerebbe che fosse, e come certamente, an-
che, è. Un mondo di attese, di sguardi, di sorrisi, di incontri fugaci che lasciano intuire
più che svelare, ma che della vita dei singoli personaggi costituiscono spesso il centro, il
momento attorno al quale anni di ricordi si raccolgono e coagulano. Trenta racconti
brevi, composti dall’autore a partire dagli anni Cinquanta. Il tutto tenuto insieme dalla
costante presenza del treno. Ed è lo stesso Bond, in una sorta di ‘lettera al lettore’, così
la chiama, e che fa da prefazione al volume, a spiegarne il perché: «nei miei racconti
sentimento e avventura trionfano, spesso associati ai treni. La gente non fa altro che
spostarsi in treno e andare in treno dappertutto, ma solo qualche volta succede che due
persone si incontrino, che i loro sentieri si incrocino, e anche se presto si dovranno di
nuovo separare, le loro vite saranno modificate in qualche indefinibile modo».23 Quasi
sconosciuto in occidente, Bond, che nasce da genitori inglesi in India dove ha trascorso
l’intera esistenza, è autore di culto in India, dove i suoi romanzi e racconti – circa ottan-
ta volumi oltre a raccolte di saggi e poesie - sono viceversa molto letti e comunemente
presenti in ogni biblioteca familiare. Di Ruskin Bond è apparsa in italiano anche una
seconda raccolta di racconti, La stanza sul tetto (1956)24, anche qui narrazioni brevi di

21
Khushwant Singh, Quel treno per il Pakistan,Venezia, Marsilio, 1996 [Train to Pakistan,1988].
22
Ruskin Bond, Il treno di notte. Storie e racconti dall’India,Roma, Donzelli, 2006, pp. 3-5 [The
Night Train at
Deoli,Penguin Books, India, 1988].
23
Ibid., pp.3-5
24
Ruskin Bond, La stanza sul tetto, Roma, Donzelli, 2006.
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grande fascino, nelle quali prevalgono il rumore di sguardi e di pensieri, con


l’incrociarsi e lo sfiorarsi di vite, spesso in cerca d’amore.

E ancora: è in una rigida notte di dicembre, in una sala d’aspetto della stazione di
Agra, nei pressi del Taj Mahal, dove sono costretti a passare la notte in attesa del treno,
che quattro uomini che fino a quel momento non si conoscevano – un imprenditore, un
funzionario dell’esercito, un medico e uno scrittore - si ritrovano a raccontarsi le loro
singole storie. Sono i protagonisti di La ragazza del mio cuore (1951), di Buddhadeva
Bose, (1908-1974)25, uno dei maggiori scrittori bengalesi del ventesimo secolo, tradut-
tore in bengali di opere di Baudelaire, Hölderlin e Rilke. Qui la sala d’aspetto fa da cor-
nice al racconto che ciascuno dei quattro uomini, a turno, fa agli altri. Storie d’amore e
nostalgia, ricordi lontani mai sopiti, suscitati dall’improvviso ingresso, in sala d’attesa,
di una coppia di novelli sposi, anch’essi costretti a passare lì la notte nell’attesa che
venga ripristinato il traffico ferroviario interrotto a causa di un incidente. E se il ro-
manzo di Bose mette in scena una narrativa tutta al maschile, a far da contraltare, ecco
Cuccette per signora (2001) di Anita Nair (1966)26 dove uno scompartimento riservato
alle signore, in un treno in partenza da Bangalore, fa da palcoscenico e al tempo stesso
da contenitore al racconto di sei narrazioni femminili di altrettante donne di età diver-
se, tutte in vario modo in fuga da una vita che non le rende felici. In viaggio verso la
stessa destinazione, le donne parlano, di sé e del loro mondo, con narrazioni che si in-
trecciano e si rincorrono sulla pagina in una sorta di autobiografia a più voci. Un rac-
conto avvincente, che si apre con gli odori del binario, del marciapiede di cemento, del-
la umanità che nelle stazioni si accalca, per concludersi con una appendice di ricette di
cucina, relative alle pietanze delle quali nel testo si parla. Scrive l’autrice in una nota
d’autore che accompagna il testo:

Nella stazione ferroviaria di Bangalore, fino agli inizi del 1998, esisteva uno speciale
sportello di biglietteria per “signore, anziani e portatori di handicap”; così pure, sui tre-
ni notturni con scompartimenti riservati di seconda classe, esistevano le “cuccette per
signora”. Dopo d’allora, gli sportelli per signore sono stati aboliti in tutte le stazioni
ferroviarie. Sono stata anche informata, da vari funzionari delle ferrovie, in particolare
capistazione e controllori, che le cuccette per signora non esistono più e che nelle car-
rozze di nuova costruzione sono state del tutto abolite27.
Narrazioni intense, tutte nell’alveo della forma classica del romanzo, quelle di Anita
Nair, che oltre a Cuccette per signora, il suo romanzo di maggior successo, ha al suo
attivo una ricca produzione narrativa che spazia tra generi diversi, dal thriller psicolo-

25
Buddhadeva Bose, La ragazza del mio cuore,Vicenza, Neri Pozza, 2010.
26
Anita Nair, Cuccette per signore, Vicenza, Neri Pozza, 2002 [Ladies Coupé, Penguin Books India,
2001].
27
Ibid., p.6
11
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gico di La ferocia del cuore,28 a racconti di vite che mutano all’improvviso a seguito di
un accendersi di consapevolezza, come ne L’arte di dimenticare29; a individui che han-
no il dono di leggere nel cuore degli altri, come in Un uomo migliore30, o il tema dolo-
roso della scelta d’amore, come nel ponderoso Padrona e amante31, fino alla bella rac-
colta di favole e miti indiani La mia magica India (2007)32 che l’autrice racconta esser-
le stati tramandati dalla madre e dalla nonna. Narrazioni che, come in una ideale ge-
nealogia al femminile, sembrano raccogliere il testimone da alcune autrici della genera-
zione precedente, prima fra tutte Anita Desai (1937).
La più internazionalmente nota delle scrittrici indiane, molto premiata in India
e in Gran Bretagna, ma anche in Italia dove riceve il premio Moravia e il Grinzane Ca-
vour e dove la sua opera è interamente tradotta, Anita Desai, madre tedesca e padre
bengalese, è autrice prolifica di narrative segnate da una prosa lucida e intensa, come in
Digiunare, divorare33; o drammatica come in Fuoco sulla montagna34, che presenta
una indimenticabile figura di bambina; o dolente, come in Notte e nebbia a Bombay35,
che presenta al lettore un’India filtrata dallo sguardo di un ebreo tedesco in fuga dalle
persecuzioni naziste. Racconti di complessi rapporti familiari, come in Chiara luce del
giorno36, con la storia di due sorelle, Tara e Bim, segnate da scelte di vita diverse, una
intellettuale e indipendente e l’altra che vive nel solco di una femminilità tradizionale,
tra la fine del dominio britannico e i primi decenni dell’indipendenza. E se è vero, come
scrive Anna Nadotti, che il punto di forza della ricerca della scrittrice è «quasi mezzo
secolo di meticolosa ricerca di senso che l’autrice compie attraverso una scrittura che
ha nel dettaglio il suo motivo ispiratore»,37 vero è anche che Desai è maestra nella co-
struzione di personaggi femminili, di diversa età e condizione sociale. Così fa anche ne
L’artista della sparizione (2013)38, un ‘retablo a tre ante’ incentrato su figure marginali
che cercano di compensare il dolore di esistenze che si vorrebbero diverse inventandosi
un presente destinato a rivelarsi illusorio. Malinconico e struggente il racconto intitola-
to Tradurre, tradursi, incentrato sulla figura di una oscura insegnante di letteratura
inglese che si cimenta con la versione in inglese di un romanzo in oriya, sua lingua
madre, e che nell’entusiasmo del sentirsi creativa ne modifica l’originale facendone una
cosa diversa e tutta sua, che non verrà accettata dall’editore, costringendo la donna a
ritirarsi nell’ombra.

28
Ead., La ferocia del cuore,Parma, Guanda, 2012 [A Cut-like Wound, 2012].
29
Ead., L’arte di dimenticare, Parma, Guanda, 2010 [Lessons in Forgetting, HarperCollins 2010].
30
Ead., Un uomo migliore, Parma, Guanda, 2011 [The Better Man, Penguin, India,1999].
31
Ead., Padrona e amante, Vicenza, Neri Pozza, 2006 [Mistress,2005]
32
Ead., La mia magica India,Roma, Donzelli, 2008 [Magical Indian Myths, Penguin India, 2007].
33
Anita Desai, Digiunare, divorare, Torino, Einaudi, 2001 [Fasting,Feasting,1999].
34
Ead., Fuoco sulla montagna,Torino,Einaudi, 2006 [Fire on the Mountain,.1993].
35
Ead., Notte e nebbia a Bombay, Milano, La Tartaruga,1992 [Baumgartner’s Bombay,1988].
36
Ead., Chiara luce del giorno, Torino, Einaudi,1998 [Clear Light of Day,1980].
37
A. Nadotti, Nota della curatrice a Anita Desai,Tutti i racconti, Torino, Einaudi, 2009. La Nadotti è
la curatrice e traduttrice di tutta l’opera di Anita Desai, come di un amplissimo numero di opere di autori
e autrici indiani apparsi in traduzione sul mercato italiano.
38
Anita Desai, L’artista della sparizione, Torino, Einaudi, 2013 [The Artist of Disappearance, 2011].
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In tema di traduzione varrà ricordare il triplo passaggio che ci consente di acce-


dere ad alcune opere di autori e autrici che hanno scelto di non scrivere in inglese, ma
nella propria lingua-madre come fa Mahasweta Devi, nata a Dacca, nel Bengala orien-
tale (oggi Bangladesh) nel 1926, la più importante autrice bengalese dopo Tagore, del
quale Devi era stata allieva. Docente di letteratura inglese, attivista in difesa dei diritti
dell’ambiente e delle donne, Devi ha al suo attivo una sterminata produzione letteraria
fatta di articoli, romanzi, racconti «di un’India che si conosce poco, che si preferisce
non vedere e che non viene neppure sfiorata dagli agenti letterari del primo mondo, in
cerca di immagini e storie volte a preservare e aggiornare un tranquillizzante esoti-
smo», scrive Nadotti nella postfazione alla raccolta La preda, cui fanno seguito, per
l’editrice Filema, La trilogia del seno e Invisibili 39, racconti accompagnati da impor-
tanti saggi critici di Gayatri Spivak, una delle massime voci degli studi postcoloniali e di
genere, bengalese lei stessa e traduttrice di Devi in inglese.

Nell’alveo di una letteratura segnata da una riflessione di genere merita segnalare


Migritude: un viaggio epico in quattro movimenti 40, raccolta bilingue inglese-italiano
di poesie, teatro e reportage, di Shailja Patel, indiana residente in Kenya, sul tema della
migrazione e della condizione femminile in quattro continenti: testi incentrati sul sari,
inteso come elemento culturale ed emblema di genere. Più marcato l’impegno di Arun-
dhati Roy, originaria del Kerala, che, dopo il grande successo del romanzo Il dio delle
piccole cose (1997)41 – una intensa storia sull'amore di una donna per un paria, narrata
dal punto di vista dei due figli gemelli di lei - ha infatti deciso di mettere la sua scrittura
al servizio di un impegno civile e politico a tutto campo, declinato in saggi quali Guida
all’impero per la gente comune (2006), Guerra è pace (2002), Ahisma. Scritti su im-
pero e guerra (2003), In marcia con i ribelli (2012)42

Tra gli autori più interessanti, sul piano narrativo ma anche stilistico, degli ul-
timi anni, va ricordato Vikram Chandra, nato a Delhi nel 1961 ma vissuto in Rajasthan
in una famiglia di donne, madre e sorelle sceneggiatrici cinematografiche. Ed è certo
l’influenza del cinema, presente nei racconti di Amore e nostalgia a Bombay43, come
nell’esperienza di ogni autore indiano d’oggi, unita alla cultura americana assorbita ne-

39
Mahasweta Devi, La preda e altri racconti, Torino, Einaudi,2004; La trilogia del seno, Napoli, Fi-
lema, 2005 [Breast Stories,Seagull Books,1997], Invisibili, Napoli, Filema,2007 [Seagull Books,1999]
40
Shailja Patel, Migritude: un viaggio epico in quattro movimenti, a/c di Marta Matteini e Pina Picco-
lo, Faloppio, LietoColle, 2008.
41
Arundhati Roy, Il dio delle piccole cose, Parma, Guanda, 1997 [The God of Small Things,1997]
42
Id., Guida all’impero per la gente comune (2006), Guerra è pace (2002), Ahisma. Scritti su impe-
ro e
guerra (2003), In marcia con i ribelli (2012).
43
Vickram Chandra, Amore e nostalgia a Bombay, Torino, Instar, 1998 [Love and Longing in Bom-
bay, London, Faber, 1997].
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gli anni dell’università, a fare di Terra rossa e pioggia scrosciante44, suo primo roman-
zo, una narrativa insolita e affascinante, con un intreccio di grande originalità; qui, il
tema del racconto che sconfigge la morte, come ne Le mille e una notte, viene rielabora-
to dall’autore che al centro del racconto mette una scimmia sapiente, nel cui corpo è in-
trappolato lo spirito di un antico poeta, Parasher. Non potendo comunicare a parole, la
scimmia, seduta su un letto, batterà a macchina i racconti suggeriti dal poeta, su fogli
di carta che a turno qualcuno degli astanti leggerà agli altri, man mano traducendoli
nelle diverse lingue indiane dei convenuti, così tenendo desto l’uditorio e guadagnan-
dosi il diritto a non morire; una corposa narrazione che fa di Vickram Chandra, che con
la raccolta Amore e nostalgia a Bombay e il successivo, corposo, Giochi sacri 45 ci con-
segna un magistrale affresco della città di Bombay, l’erede naturale de I figli della mez-
zanotte di Salman Rushdie.
Poco maggiore per età, lo scrittore Vikram Seth (1952) ha un percorso narrativo
dissimile ma altrettanto interessante perché composto di opere tutte diverse tra loro
per tipologia e linguaggio. Seth esordisce nel 1993 con l’avvincente Il ragazzo giusto46,
romanzo-monstre per lunghezza con le sue milleseicento pagine, che gli regala una fa-
ma immediata; da lì passa a cimentarsi con il resoconto di viaggio con Autostop per
l’Himalaya. Viaggio dallo Xinjiang al Tibet47, poi a un romanzo in versi, Golden Gate,
590 sonetti in rima ispirati all’Evgenij Onegin di Puskin,48 e da questo a Una musica
costante49, romanzo interamente britannico, anzi londinese, incentrato su una delicata
e tormentata relazione d’amore tra due musicisti, venata di qualche elemento di miste-
ro. E Amitav Ghosh (1956), uno fra i grandi autori indiani contemporanei e anche tra i
più prolifici, che in uno dei saggi della raccolta Estremi orienti, del 1993, di se stesso
scrive: «Come molti indiani sono cresciuto nutrendomi di storie di altri paesi: luoghi in
cui i miei genitori e parenti avevano vissuto o viaggiato prima della Repubblica indiana,
nel 1947»50. E questa molteplicità di sguardi e di luoghi, che hanno contribuito alla sua
formazione, è molto presente nei suoi scritti. È, il suo, un incessante fermare sulla carta
mondi in rapido e tumultuoso mutamento, non necessariamente in meglio. Storia e
geografia si intrecciano e si confrontano, in dialogo tra loro senza soluzione di continui-
tà, mentre lo spazio interagisce con il tempo. Dalla Cambogia alla Birmania, da New
York a Calcutta, con racconti che alternano piccole storie intimiste e computer interat-
tivi divenuti personaggi: un viaggio che va dai primi titoli, Il cromosoma Calcutta51 e

44
Id., Terra rossa e pioggia scrosciante,Torino, Instar,1998 [Red Earth and Pouring Rain, London,
Faber,1995].
45
Id., Giochi sacri, Milano,Mondadori, 2007 [Sacred Games, London, Faber,2006].
46
Vickram Seth, Il ragazzo giusto, Milano, Corbaccio,1996 [A Suitable Boy,1993].
47
Id., Autostop per l’Himalaya. Viaggio dallo Xinjiang al Tibet,Torino, EDT, 1992 [From Heaven
Lake,1983].
48
Id., Golden Gate, Parma, Guanda, 2012 [The Golden Gate,London, Faber,1986].
49
Id., Una musica costante, TEA, 2006 [An Equal Music, Orion,1999].
50
Amitav Ghosh, Estremi Orienti,Torino, Einaudi,1998, p.85 [Dancing in Cambodia and Burma,
London,1993].
51
Id., Il Cromosoma Calcutta, Torino, Einaudi, 1996 [The Calcutta Chromosome,1995].
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Lo Schiavo del manoscritto52, fino alle opere più recenti, i primi due ponderosi romanzi
della ‘trilogia dell’oppio’, Mare di papaveri e Il fiume dell’oppio53.
Il racconto della storia continua, una storia narrata dal basso, dalle miserie di un
mondo dove la corruzione impera sovrana, i codici morali sbiadiscono e a fare da con-
traltare allo scintillio dell’India da rotocalco è la miseria di milioni di individui stremati
dalla vita: La tigre bianca,54 viaggio in forma di lettera attraverso l’altra faccia di
un’India che vorremmo non vedere, è la straordinaria opera prima di Aravind Adiga,
classe 1974, che con questo romanzo ottiene il prestigioso Booker Prize, e con Fra due
omicidi e L’ultimo uomo nella torre55 si è confermato come uno degli autori più inte-
ressanti della letteratura indiana di oggi.
Ma continua, questo racconto, anche attraverso forme narrative e scelte tematiche
non convenzionali, come dimostra un nutrito drappello di autori con racconti che af-
frontano tematiche che rappresentano uno scarto dalla tradizione consolidata del ro-
manzo indiano, come Il mio ragazzo, di R. Raj Rao56, narrazione a tema omosessuale
ambientata a Bombay, una città «che ha più omosessuali di Londra e Parigi», con storie
ambientate in luoghi d’incontro spesso fatiscenti, o negli anfratti delle stazioni - ecco il
tema che ritorna - dove non contano casta di appartenenza, ricchezza o cultura, ma so-
lo l’identità di genere, nel nome della quale brahmani e intoccabili possono incontrarsi,
amarsi, e diventare amici per la vita. O come in Nel cuore di Smog City, prima graphic
novel indiana, di grande bellezza, anch’essa con venature omosessuali cui si fa cenno
con levità, della scrittrice e illustratrice Amruta Patil57. O ancora, Il basso ventre
dell’Impero, raccolta di racconti di Ambarish Satwik58, chirurgo vascolare e scrittore,
che compie una sorta di viaggio nella storia dell’Impero britannico usando come meta-
fora le malattie del basso ventre, quelle coperte, innominabili, talvolta frutto di vizi, in
alcune figure-chiave dell’India coloniale. Uno sguardo che da un “basso”, per l’appunto,
osserva e giudica un “alto” – il potere coloniale, dal quale non si escludono nemmeno
religiosi e missionari sbarcati in India per salvare l’anima dei più derelitti; potere os-
servato nella oscenità, in senso proprio, etimologico, di funzioni corporali rese dolorose
da infezioni e patologie.
L’India, si è detto all’inizio, è un subcontinente difficile da contenere e raccontare
altro che nella forma di una minuscola carta geografica da tenere sul palmo della mano,
come ci dicono i delicati versi della poetessa Moniza Alvi posti in esergo a questo scrit-

52
Id., Lo schiavo nel manoscritto, Torino, Einaudi,1993 [In an Antique Land, London,2002].
53
Id., Mare di papaveri, Vicenza, Neri Pozza, 2008 [Sea of Poppies,2008]; Il fiume dell’oppio, Neri
Pozza, 2008 [River of Smoke,2011].
54
Aravind Adiga, La tigre bianca,Torino,Einaudi,2008 [The White Tiger, London, 2008].
55
Id., Fra due omicidi, [Between the Assassinations, Picador, 2008] L’ultimo uomo nella torre [Last
Man in Tower, 2011].
56
R.Raj Rao, Il mio ragazzo, Milano, Metropoli d’Asia, 2010 [The Boyfriend, Penguin, 2003].
57
Amruta Patil, Nel cuore di smog city.Graphic novel, Milano, Metropoli d’Asia,2010 [Kari, Har-
perCollins India,2008].
58
Ambarish Satwick, Il basso ventre dell’Impero, Milano, Metropoli d’Asia,2010 [Perineum.Nether
Parts of the Empire, Penguin, India, 2007].
15
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to. E come ci suggeriscono le migliaia di romanzi, racconti, reportage, film, saggi, che
sull’India e dall’India arrivano sino a noi. Perché «dell’India è facilissimo innamorarsi»
scrive Shobbaa Dé59, giornalista, narratrice, icona culturale con molto seguito persona-
le in patria, in un lungo scritto a metà tra il saggio e l’autobiografia, intitolato India su-
perstar. Da incredibile a inarrestabile (2010), nel quale, in un fluire discorsivo incal-
zante, l’autrice passa in rassegna gran parte delle questioni storiche, sociali e culturali
che ancora fanno del suo paese una terra di estremi, sul piano sociale e umano; un pae-
se, scrive, nel quale le donne, se vogliono sopravvivere, ancora oggi debbono farsi invi-
sibili e mute, ma dove, al tempo stesso «la grande famiglia indiana, nei secoli, ha forni-
to il filo della continuità per il tessuto sociale della nostra complessa società. Noi, in
diecimila anni di storia, non abbiamo mai invaso nessuno», sottolinea con fierezza60. E
per mettere in evidenza quanto l’impegno individuale nei confronti della comunità non
debba mai venir meno, soprattutto da parte di quanti, come lei più fortunati per nasci-
ta, possono permetterselo, conclude Shobbaa Dé:
Questo libro è la lettera d’amore che scrivo al mio Paese. Voglio che il mondo si in-
namori dell’India. […] Ero nel ventre di mia madre quando l’India ha conquistato
l’indipendenza. Sono nata esattamente un anno e diciannove giorni prima della pro-
clamazione della repubblica. Quando ci penso mi sento estremamente privilegiata: so-
no nata nell’India libera, quarta e ultima figlia. Ho l’età del mio paese, mese più, mese
meno. E per molti aspetti ho la sensazione di non avere semplicemente assistito, in
questi sessant’anni, a un mutamento straordinario, ma in un modo semplice, strano
quanto dolce, di essere io stessa il mutamento. Io sono l’India61.

59
Shobbaa Dé, India superstar. Da incredibile a inarrestabile, Milano, TEA, 2010 [Superstar India,
Penguin Books,2008].
60
Ibid., p.314.
61
Ibid., p.23.
16

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