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Tic-toc, tic-toc, tic-toc. La pioggia cade giù battente, la senti, mamma? La senti, bastarda?

No, tu
non la senti più, perché la pioggia non arriva in fondo al pozzo. Cammino. Sono un uomo comune,
una persona qualunque. Le persone, gli Inutili, neanche mi guardano in faccia. E perché
dovrebbero? Non sono bello, non ho lo sguardo intelligente, anzi, i miei occhi sono appena visibili
dietro le lenti degli occhiali. Non che questo sia il vero colore dei miei occhi, no. Affondo un piede
nella pozzanghera, impreco anche se non me ne importa niente. Le persone normali farebbero così,
giusto? Guardo di sbieco tutti questi Inutili che corrono da un posto all’altro, le teste chine, i passi
veloci, le spalle afflosciate e li vedo, minuscoli e facilmente schiacciabili, come luridi insetti,
rinchiusi nei loro cubicoli negli uffici o ad ingrassarsi davanti al televisore. Sapevo che non sarei
mai diventato uno di loro, io. Hai visto, mamma? Tu avevi torto ed io ragione. Perché, alla fine, ho
un lavoro degno di nota, e mi pagano pure bene. La donna che dovrò far fuori stamattina – l’Inutile
– mi porterà via giusto cinque minuti e poi potrò andare al bar a fare colazione. Secondo i miei
calcoli lei prepara sempre la colazione molto presto, anche se non esce per andare al lavoro prima
delle nove. All’inizio, lo ammetto, la cosa mi ha incuriosito, ma lo sanno tutti che gli Inutili spesso
si comportano in maniera inspiegabile. Forse la tipa aveva dei figli, degli schifosi, piccoli Inutili
che, una volta cresciuti, sarebbero diventati rimpiazzabili, sbiaditi e banali come te e quello schifo
di uomo che ti sei sposata. Ma no, niente figli. E neanche un uomo. Molto meglio per me. Mi secca
dover perdere tempo con persone che si mettono in mezzo, mariti che vogliono fare gli eroi, e dover
uccidere anche loro. Non è sempre sicuro che il datore di lavoro mi paghi per una morte in più, un
qualcosa che non aveva richiesto. Comunque, l’Inutile di stamattina – Eleonora Camerini, 43 anni,
giornalista d’inchiesta e potrei raccontare tutto ciò che è successo nella sua miserevole vita in meno
di 5 minuti – vive completamente sola. Anzi, no, ha un cazzo di gatto! Odio, odio, odio i gatti! Tu
puzzavi sempre di loro e li carezzavi e preparavi loro dei manicaretti e quelle bestiacce, che non ti
filavano neanche, s’ingozzavano fin quasi a scoppiare ed io guardavo i cartoni animati scorrere
sullo schermo del televisore, che ogni tanto perdeva colore, e aspettavo il mio turno. Ma tu non ti
voltavi verso di me, non con un bel piatto di pasta, un sorriso o una carezza, come invece riservavi a
loro, a quegli ammassi di pulci che chiamavi “i miei bambini”.

Ammazzerò anche il gatto. Non me ne importa se non vedrò neanche un Euro in più. Lo ucciderò, e
lo farò lentamente, perché deve pagare per tutto l’amore che quei suoi simili ti hanno portato via e
tu non ne avevi abbastanza anche per me. Eccomi davanti al palazzo. Questo è tanto banale come
mi potevo aspettare. Voglio dire, ho già visto dozzine di foto e video dell’edificio e ci sono passato
davanti almeno venti volte, sempre con un travestimento diverso, impegnato in qualche banale
attività come parlare al telefono o fare jogging. Sai che cos’ho imparato, poco dopo aver ucciso la
mia prima vittima? Un sicario non deve andare nell’occhio. Devo essere bravo a camuffarmi, certo,
i guanti, le lenti a contatto, il passamontagna ma sono più che altro precauzioni prese per abitudine
anche perché, onestamente, l’Inutile di oggi – così come tutti quelli che sono venuti prima di lei –
non avrà modo di raccontare niente a nessuno. Il segreto, dicevo, è passare inosservato. Il portone
d’ingresso del palazzo si apre e mi ritrovo davanti un uomo anziano, forse un pensionato, che porta
un cane minuscolo al guinzaglio. Questo abbaia ferocemente nella mia direzione.

- Buono, Ercole, buono – lo ammonisce l’Inutile ed io dico qualche sciocchezza tipo, “Non si
preoccupi” e intanto mi chiedo come si possa dare un nome del genere a un cane poco più
grosso di un ratto.
Ogni tanto succedono questi incontri fortuiti e non richiesti con Inutili che potrebbero notare
qualcosa di sospetto, semplicemente la mia presenza, ma sai che cos’ho imparato in tutti questi anni
come sicario? La gente non ha la smania di andare dalla polizia e immischiarsi nei casi di omicidio.
Comunque, decido di tirar dritto e di non entrare subito nel palazzo. Aspetto che l’Inutile e il suo
ratto abbaiante svoltino a destra e poi estraggo il telefono di tasca. Mi metto a parlare da solo ma
fingo di essere nel bel mezzo di una conversazione con mia moglie. Chiedo alla mia fantomatica
donna a che ore usciranno da scuola i bambini, do loro perfino dei nomi, Simona e Matteo. Mi
sarebbe piaciuto avere dei figli, sai? Io li avrei amati tanto e trattati come si deve. Non li avrei mai
fatti rinchiudere in uno sgabuzzino da un patrigno tanto magnetico quanto malvagio né mi sarei
dimenticato dei loro compleanni o dei regali di Natale. Forse un giorno lo farò, sai? Troverò una
donna che mi ama e che mi vede per quello che sono, riporrò gli attrezzi del mestiere e smetterò di
vedere i tuoi occhi in quelli di tutti gli Inutili che incrocio e di godere così tanto nel vederli morire.
Lentamente, spesso fra lacrime e suppliche, proprio come hai fatto tu. Ogni volta in cui ammazzo
uno di loro, ti uccido un altro po’.

Finalmente la strada è deserta. È una via secondaria, con una quantità inimmaginabile di bidoni
dell’immondizia da entrambi i lati, che non spiega gli ammassi di spazzatura lungo il marciapiede.
L’Inutile di poco fa ha lasciato il portone accostato. Sorrido ed entro, “grazie nonnino”. L’androne è
buio, con solo qualche fiotto di debole luce esterna che macchia di quadrati giallastri le pareti. Evito
l’ascensore. Mi chiedo se ci siano telecamere e mi guardo intorno assumendo l’aria di uno che è
stato invitato a casa di un amico, o magari di una donna, per la prima volta. Sono confuso, non so
dove andare, a quale campanello suonare…

Ho uno zainetto sulle spalle, uno di quelli di marca ma che hanno un prezzo abbordabile. Fa parte
del travestimento, ovviamente, perché se dovessi scegliere uno zaino per me ne comprerei uno di
pelle, di quelli che costano quanto lo stipendio mensile di un impiegato. Sono ricco, mamma, lo sai?
Tu che dicevi che non avrei combinato niente di buono nella vita, beh, ti sei sbagliata. Per anni hai
dipeso da quella carcassa di uomo, che cercava di vendere il vendibile a chiunque fosse abbastanza
allocco da credergli, e mi dicevi che era così che un uomo faceva soldi e si creava una reputazione.
Ingannando, rubando, giocherellando con le menti della gente come una sorta di prestigiatore ma io
non ho mai avuto abbastanza tempo, abbastanza pazienza. Ero troppo impegnato a cercare di farmi
vedere da te. Il rossetto sulle labbra che ti ha strappato solo una breve risata, gli ottimi voti a
matematica che non ti hanno neanche fatto alzare lo sguardo dal corpo nudo del mio patrigno, lì in
attesa sul divano, qualche battuta, delle lacrime, dei favori – vuoi un po’ di torta da mangiare,
mamma? Oggi è la tua festa – ma ho sempre ricevuto indietro sguardi assenti, risate denigratorie e
parole al vetriolo. Da oltre la porta dello sgabuzzino, che era stato svuotato apposta per me, sentivo
la tua voce amorevole mentre ti prendevi cura dei gatti, e poi quei versi smorzati mentre lui si
prendeva te. E, seduto in quell’oscurità, piangevo e mi chiedevo perché tutti gli altri sì ed io no. Che
cosa ti avevo mai fatto di male? Cosa? Non hai mai avuto il coraggio di confessare, neanche quando
i tuoi occhi erano arrovesciati e il filo che ti stavo stringendo intorno alla gola stava cominciando a
lasciare un segno.

Sto per uccidere Eleonora, l’Inutile giornalista, allo stesso modo. Cerco sempre di usare un filo per
far fuori le donne. Ne ho una collezione intera a casa, forse ti sarebbe piaciuta. Fili di ogni colore e
dimensione, ma tutti ugualmente resistenti. Me ne prendo cura come altri, suppongo, si occupano
con attenzione dei loro francobolli, delle cartoline o di qualsiasi altro cazzo di oggetto collezionino!
Inspira, devo inspirare, inspirare… appartamento A2. Secondo piano. Forzo la serratura e, come
sempre, il rumore è talmente minimo che perfino io mi chiedo se l’ho davvero sentito o se, invece,
l’ho solo immaginato.

Apro la porta lentamente e sento dei suoni soffusi. Mi accorgo che la porta all’altra estremità del
corridoio è accostata. So che la cucina si trova lì. Sono le sette e mezzo del mattino e, com’è
prevedibile, Eleonora l’Inutile sta preparando la colazione. Cosa cazzo lo fa a fare? Voglio dire, non
ha un uomo, non ha figli, va al lavoro con la faccia da funerale e rientra che pare già morta (bella
battuta, vero?). A chi cazzo importa se lei mangia la colazione o no? A nessuno! Lei è un’Inutile
nessuno, come te, come tutti quanti ed io sono stato chiamato per liberare il mondo da gente come
voi, che è uno spreco di spazio, avida d’amore, incapace di fare qualsiasi cosa che non sia piangersi
addosso e dire “ne voglio ancora, ancora!”. Mi accorgo che, da dietro la porta accostata, quello
schifoso gatto mi guarda. È molto più bello di quelli che avevi tu, sai? Pelo bianco con delle
macchiette nere sul muso e un delizioso nasino rosa. Mi viene voglia di spaccarglielo. Anzi, vorrei
correre lì, afferrare quella bestiaccia a e sbatterla in una casseruola. Chissà se l’Inutile mangerebbe
il suo gatto a colazione.

Chiudo lentamente la porta d’ingresso e il gatto si mette a miagolare. Serro gli occhi, “Stai zitto, stai
zitto!”. Non posso sparargli o l’Inutile si allarmerebbe e magari anche i vicini. No, devo inspirare,
mantenere la calma. Lo ucciderò. Prima ammazzerò l’Inutile, che mi frutterà la bellezza di 100.000
Euro, e poi farò a fette il suo gatto. Potrei davvero metterlo a cuocere e poi portarlo a te, mamma,
laggiù in fondo al pozzo. Chissà se hai paura, là tutta sola, al buio. Io ne avevo, sai? Chiuso nello
sgabuzzino, un giorno dopo l’altro, e quando andavo a scuola guardavo gli insegnanti e cercavo in
loro tracce di qualcosa. Amore, comprensione? Non lo so. Avrei potuto dire loro quello che
succedeva a casa ma non l’ho mai fatto. Se avessi aperto bocca, mi avrebbero portato via da te.

- Chi sei?

L’Inutile è davanti a me. Qualche metro ci separa. Dio, quanto è brutta. Le donne oltre i 40 anni
dovrebbero essere uccise in blocco. Sarebbe un bel risparmio di tempo e di spazio. Controllo
mentalmente di essermi preparato per bene: porto i guanti, il passamontagna e sono tutto vestito di
nero. Lei aggrotta leggermente la fronte, forse per guardarmi negli occhi. Povera sciocca, crede
davvero che queste iridi color nocciola siano le mie? Non ha mai visto i tuoi, di occhi, di un azzurro
così intenso da far impallidire il mare, come diceva quello stronzo che ti ha anche convinta a
sposarlo.

All’improvviso, l’Inutile afferra la borsetta, una di quelle che sono così piccole che ti chiedi come
diavolo facciano le donne a infilarvi dentro mezza casa, ed estrae il portafoglio: - Vuoi soldi?

Sventola una banconota da cento Euro davanti alla mia faccia. Povera, povera piccola, stupida
Inutile! Cosa ci faccio con 100 dollari? Il mio primo impiego come sicario mi ha fruttato 10.000
Euro. Una miseria, lo so, ma era un incarico facile. Un amico di un amico di un amico, beh, hai
capito l’antifona, aveva bisogno di un tizio abile con le armi, nei camuffamenti e soprattutto che
non si facesse prendere dalla paura o dal senso di colpa. Lo scopo sarebbe stato uccidere tale
Pamela, che nei miei ricordi è sempre l’Inutile Numero Uno, la sua compagna che era stata scoperta
a farsela con l’allenatore di pilates. L’amico dell’amico dell’amico non aveva intenzione di parlarne
con lei, no, voleva farla fuori. Ed io mi sono candidato.
In questo mestiere non esistono curriculum ma le referenze sono più importanti che mai. Mi sono
fatto un nome, mamma, proprio io che ai tempi della scuola, durante le ore di educazione fisica, non
venivo mai scelto per le partite di pallavolo. Bene. Ora la gente fa la fila per me, ora tutti chiamano
il mio nome, ed io faccio pagare cari i miei servi. Andreuzzi, per esempio, è una grande testa di
cazzo. È così grasso e vuoto e stupido che mi fa ribollire il sangue nelle vene ma, sai, mamma, non
posso essere troppo selettivo con i clienti, specialmente quando questi ti mandano un acconto da
20.000 Euro un’ora dopo il colloquio. Andreuzzi ce l’ha con questa tipa, Eleonora l’Inutile, perché,
a quanto pare, lei è in gamba nel suo lavoro e ha scoperto qualcosa di cui non avrebbe dovuto
sapere niente. Ma non solo, lo ha spiattellato su un giornaletto che nessuno si fila ma poi anche i
grandi media lo hanno riportato e Andreuzzi è furioso. Ho letto l’articolo, mi sembra buono.
Insomma, non sono mai stato uno che ama leggere, lo sai, o forse no, ma beh… mi devo informare
il più possibile sulla vittima.

E, adesso che me la ritrovo davanti, è così patetica che mi chiedo come cazzo abbia fatto, un essere
tanto insignificante, a venire a conoscenza di uno dei segreti di Andreuzzi e ad averlo saputo
scrivere in maniera così sconvolgente. Beh, suppongo che la sua morte sarà una vera perdita per il
mondo del giornalismo. Sghignazzo dentro di me ma, dall’esterno, non muovo un muscolo.

All’improvviso, l’Inutile si strappa la camicetta e rimane con le tette mezze di fuori. Indossa un
reggiseno di pizzo, rosso fuoco. Mi viene voglia di vomitare. Vorrei dirle “rivestiti, stronza!”,
invece rimango in silenzio perché l’Inutile non deve sentire la mia voce. Non ho mai parlato durante
nessun omicidio e non comincerò oggi. Lei è in attesa, farnetica qualcosa, forse si aspetta che la
scopi, ma, Dio santo!, perché dovrei voler fare una cosa del genere? Tutto di lei mi fa schifo. Le
mani, le labbra, il viso, il corpo e quelle tette che sembrano fissarmi, minacciose. “Vieni in camera,
Rosso, tesoro” e la tua voce si mescola alla sua, ma è dolce e non al vetriolo, così stridula come
quella di tutte le vittime che sono venute prima di lei.

Devo farla finita con lei, e subito. Avanzo di qualche passo e, in un attimo, estraggo il filo dalla
tasca del cappotto e glielo rigiro attorno al collo. Mi piace pensare che le sto mettendo una collana
di perle, anche se non la merita. Lei emette un verso, strabuzza gli occhi, tutte cose che ho già visto
decine di volte. Voglio andarmene da qui e, all’improvviso, mi sento osservato. Abbasso lo sguardo
e mi ritrovo a fissare il gatto che, a sua volta, sembra fissare me. Ha gli occhi gialli e le iridi nere.
Gli do un calcio e quello sparisce correndo. Stringo il filo attorno al collo dell’Inutile con ancora più
forza e intanto mi chiedo se, una volta ucciso il gatto, dovrei farlo sparire. Non ho mai portato via
niente da nessuna scena, figurarsi il cadavere di un merdoso gatto, e Andreuzzi potrebbe andare su
tutte le furie, ma l’idea di gettarlo in fondo al pozzo, e immaginare il cadavere che ti cade in faccia,
mi stuzzica così tanto che temo non riuscirò a resistere.

Ne ho abbastanza. Quest’Inutile mi annoia, tutti mi annoiano. Io non sono come loro, sono come te.
Le mie mani stringono con ancora più forza il filo attorno a questa gola che non serve a niente, una
patetica vita che finisce in modo altrettanto patetico. L’Inutile piange, si lamenta, forse supplica, chi
lo sa?, io no di certo. Non l’ascolto. Mi sembra di essere tornato alla sera in cui mi hai chiamato per
darti una mano. Il pervertito, il tuo compagno, il tuo marito nuovo di zecca giaceva a terra in una
pozza di sangue e tu avevi un coltello in mano. Ti ho aiutato a tagliuzzare quel corpo grasso che,
come per magia, è diventato piccolo davanti ai nostri occhi. Per la prima volta, mi hai visto.
Abbiamo lavorato fianco a fianco e alla fine mi hai baciato e mi hai ripetuto che non avrei
combinato niente nella vita, ma quella sera la tua voce mi è sembrata meno sicura.

L’Inutile muore. Un attimo respira e l’attimo dopo no. Tuttavia, non mi fido. È accasciata per terra,
con la camicetta ancora mezzo aperta, che schifo!, ma mi guardo bene dal toccarla. Le do un colpo
all’altezza del fianco, poi alla testa. Lei rimane immobile. Mi piacerebbe spararle un colpo o due,
giusto per accertarmi che sia davvero morta, poi ho un’idea migliore. Il gatto si avvicina al cadavere
della sua padrona, che scena commovente. Disgraziate creature, tutti quegli ammassi di pelo non
hanno fatto neanche “miao” quando tu non sei tornata. Improvvisamente si sono accorti di me,
l’unico rimasto vivo in quella casa, e hanno cominciato a strusciarsi contro le mie gambe, a
miagolare, a reclamare cibo e attenzioni. Troppo tardi. Era troppo tardi per me, per voi, per loro e
ora è troppo tardi per Eleonora l’Inutile e per il suo patetico gatto. Lo afferro per la collottola, si
dimena, sto attento a non farmi ferire e poi decido di ucciderlo con un filo identico a quello che ho
usato per soffocare la sua padrona. Che sensazione, quella di tenere il gatto per la collottola e
sentirlo dimenarsi mentre cerca disperatamente un po’ d’aria. All’improvviso, si ferma. Il corpo
diventa pesante, gli occhi sono spalancati, vitrei, sembra quasi guardare Eleonora l’Inutile che,
adesso ne sono certo, ha tirato le cuoia già da qualche minuto, altrimenti si sarebbe messa a
starnazzare nel vedermi fare del male al suo patetico animale.

Guardo la tavola, non ancora apparecchiata, e la tazza di caffè poggiata vicino all’acquaio. Mi
piacerebbe fermarmi qui per un po’, fare colazione con quel caffè e della carne di gatto, ma non
posso. Prima di uscire, invio un messaggio in codice ad Andreuzzi poi, gettato il cadavere del gatto
accanto a quello della padrona, me ne vado con la stessa velocità e semplicità con cui sono entrato,
percorrendo una strada deserta in una mattina romana come tante, piovosa e invernale. Sono tutti e
sono nessuno, mamma, ma sto venendo a trovarti. Forse, laggiù in fondo al pozzo, oppure seduto lì
sul bordo, con le gambe penzoloni come quelle di un bambino, e ti racconterò una bella storia,
quella di Eleonora l’Inutile e del suo gattino.

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