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Lestate buia

Rossella Martielli

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Il lago si stendeva intorno a noi come un mantello fatto di specchi. La sua superficie si spezzava a intermittenza, riflettendo ostinatamente immagini di tramonti sovrapposti, dorati e scintillanti da perderci la testa. Cate mi stava di fronte, lo sguardo fisso sul legno consunto del fondo della barca. Non remava pi, e dopo un po mi fermai anchio. Eravamo arrivate proprio al centro, nel punto dove lacqua si faceva oscura e profonda. Lestate appena finita si era portata via con s quel poco di amicizia che era esistita tra noi. Non le staccai gli occhi di dosso mentre osservava assorta il sole del tramonto, una sfera color porpora che scivolava lentamente nellacqua. Dovette sentirsi addosso il mio sguardo indagatore, perch volt la testa di scatto, infastidita. Allora esord. Non avevi detto che dovevi parlarmi? Questa volta fui io a distogliere lo sguardo. Annuii impercettibilmente. Allora? mi incalz lei, sbuffando. Sapevo che stava perdendo la pazienza. Volevo Spiegarti balbettai, ben sapendo che le parole che avrebbero dovuto uscirmi di bocca erano altre. Sentivo che mia cugina era sul punto di riprendere i remi in mano e ordinarmi di andarcene, cos feci qualcosa che non avrei mai sospettato di poter fare. Il mio corpo si mosse da solo, inarcandosi verso il suo. Cate non reag, sorpresa quanto me. In un attimo le mie labbra furono sulle sue. Ma dur appena un istante

Ricorderei quellestate anche se vivessi un milione di anni. marchiata a fuoco nella mia memoria, saldata

dal calore di un luglio insopportabilmente afoso. Maturit alle spalle, tempo di progetti e pensieri in grande, tempo di sogni sfrenati, di certezze che ci avrebbero messo solo pochi mesi a crollare, facendo un frastuono che mi sarebbe servito da monito. In tutto questo Cate cera sempre. Era la variabile costante della mia vita, inevitabile come lo scorrere del tempo, se si esclude mia madre, che proprio in quei mesi stava cercando di affrontare labbandono definitivo da parte di mio padre. Ovviamente non era il primo, e certo non sarebbe stato lultimo, se mia zia Giulia non avesse deciso di mollare marito e figlia per scappare con lui. Mia madre e zia Giulia erano diverse come il sole e la neve. Mi ero sempre chiesta come avesse fatto mio padre a scegliere mia madre. Forse perch, quando le aveva conosciute entrambe a una festa di paese, la bella Giulia era lontana e inavvicinabile, circondata comera da pretendenti e ammiratori. Mio padre invece era un tipo scialbo, uno che si confondeva tra la gente imitandone i colori e le attitudini. Per notarlo bisognava avvicinarsi a lui fino a sbatterci contro. Solo allora ti accorgevi degli occhi blu cobalto, intensi e tranquilli, e del sorriso sornione tipico di chi ha capito tutto della vita. E qualcosa doveva averla capita davvero, se mia zia aveva deciso di mollare tutto per seguirlo chiss dove. E cos eravamo rimaste sole. Ma quando dico sole, non intendo sole per davvero. Eravamo io, mia madre, mia nonna e mia cugina Cate. Cate aveva reagito allabbandono della madre con unindifferenza che strideva impietosamente col suo carattere debole, zuccheroso e piagnucolante. A giugno, quando la nonna era stata ricoverata per unoperazione

allanca, si era trasferita da noi e con mio grande dispiacere cera rimasta. E come avrei potuto biasimarla? Mia madre le girava attorno come un cagnolino, scodinzolante e ansiosa di compiacerla. Chiss, forse rivedeva in lei la figlia che mio padre avrebbe voluto avere. Forse pensava che mettere al mondo un tale splendore giustificasse ogni cosa. Nel caso non si fosse capito, Cate era bella. Non una bella tra tante. La sua bellezza era di quelle che quando camminava per strada nessuno riusciva a fare a meno di voltarsi a guardarla. Del resto spesso le disgrazie arrivano vestite a festa, come un piacevole diversivo. In quei giorni osservavo mia madre con lattenzione che un gatto riserva alla sua preda: misurata e attenta, ma tutto sommato ansiosa. Al primo passo falso le sarei stata addosso. Una sera, appiccicosa e rovente come ogni cosa quellestate, rimanemmo sole sul portico, a dondolarci pigramente ascoltando uno stupido programma in tv. Cate era uscita presto, diretta a una festa in spiaggia cui io non ero stata invitata. Lavevo aiutata a prepararsi, le avevo spazzolato i lunghi capelli scuri e annodato il fiocco di raso del vestito. Era splendida. Mi ero trattenuta a stento per tutto il tempo in cui eravamo state chiuse in camera, spettegolando come se niente fosse sugli intrighi della nostra comitiva adolescenziale. A un certo punto per avevo temuto di esplodere. Ahi! aveva strillato Cate, portandosi istintivamente le mani alla testa. Lodore di capelli bruciati aveva avuto leffetto di calmarmi allistante. Quella ciocca era irrimediabilmente rovinata, ma forse importava? Non mi illudevo certo che una rosa appassita potesse rovinare un rigoglioso giardino in

fiore. Avevo tirato il fiato solo quando Cate si era chiusa la porta di casa alle spalle. Era davvero convinta che non mi importasse nulla di quella stupida festa. Avevo raggiunto mia madre sul portico. Nonostante il sudore le imperlasse la fronte di minuscole goccioline salate, continuava a sferruzzare tenace il maglioncino che Cate le aveva fatto vedere su un giornale di moda. Mi sedetti accanto a lei, e subito mi sentii invadere dal disgusto. La sua pelle puzzava, intrisa di sudore e umori indefiniti, e i capelli sporchi formavano unorribile cresta che si sollevava sulla fronte. Mia madre non era mai stata bella in famiglia era un ruolo che spettava a sua sorella Giulia ma cera stato un tempo in cui almeno ci provava. Sforzandomi di superare il disprezzo che nutrivo per lei, aprii la bocca per parlare. Nonostante leco stridulo, vagamente insolente, la mia voce mantenne un tono pi o meno cordiale. Devi per forza stancarti cos? le chiesi. Che ti importa di quella stupida maglia? Mia madre non alz nemmeno lo sguardo. Tra due settimane il compleanno di Cate si limit a replicare, come se fosse la cosa pi naturale del mondo. Mi alzai, sbuffando rumorosamente. Mi misi di fronte a lei e le strappai il lavoro di mano con un gesto veloce. Mia madre alz lentamente la testa, lo sguardo mite acceso di stupore sotto la spessa montatura in osso degli occhiali. Zia Giulia ci ha portato via pap! strillai, in risposta alla sua muta domanda. Ottenni il solito sospiro carico di rassegnazione. Non puoi farne una colpa a Cate. E tu non puoi far finta di niente! Cosha di tanto speciale quella smorfiosa per piacerti tanto?

Mia madre scosse la testa, rassegnata. Farle la guerra non ti porter a nulla. Linvidia logora chi la prova, e non serve certo a cambiare le cose. Quello che fai tu a che serve, invece? replicai con disprezzo. Tornai in casa sbattendo la porta. La zanzariera vibr a lungo, sibilando come un serpente. Mia zia e mia cugina si assomigliavano come due gocce dacqua. Avevo amato mia zia al punto che quasi mi ero ammalata del desiderio che fosse lei mia madre. Quando avevo sei anni e avevo appena cominciato le scuole, le notti di primavera faticavo ad addormentarmi, cos mamma mi lasciava dormire a casa di Cate. Io aspettavo che lei si addormentasse per scendere in cucina, dove sapevo che avrei trovato mia zia intenta a fumarsi una sigaretta, gli occhi lucidi e la vestaglia aperta sul petto scarno. Quando respirava si sollevava piano, e io sentivo le ossa aprirsi mentre mi stringeva a s, cullandomi sulla sedia a dondolo. In quei momenti aspiravo forte il profumo di latte e tabacco che emanava la sua pelle, un profumo che non mi abbandonava nemmeno quando tornavo a letto, accompagnandomi mentre scivolavo in un sonno pieno di turbamenti. Di tanto in tanto mi svegliavo e mi mettevo in ascolto. Ogni volta che percepivo il respiro di Cate, profondo e regolare, sentivo unondata di delusione travolgermi. Cate esisteva. Quando zia Giulia se ne and, trascin via con s tutto il desiderio che riempiva i miei ricordi. Rest lamaro, un amaro che aveva il sapore dellinganno. Mi ero dovuta accontentare delle briciole del suo amore, e alla fine non mi erano rimaste neanche quelle. E poi Cate. Cate era perfetta. A nulla valeva il fatto che fosse la fotocopia, pi giovane e infinitamente meno

triste, di sua madre; la mia, di madre, ladorava, e cos mia nonna, i miei amici, la gente e chiunque la incontrasse, uomo o animale che fosse. Quello che proprio non riuscivo a sopportare era che a volte ladoravo anchio, nello stesso modo ambiguo e oscuro in cui avevo idolatrato mia zia. Sarebbe stato pi semplice odiarla. Allora forse non avrei dovuto combattere contro la fortissima attrazione che esercitavano su di me i suoi occhi magnetici, le labbra morbide e imbronciate. E invece negli anni delladolescenza gravitavo attorno a lei come farebbe un minuscolo e ammaccato corpo celeste intorno a uno sfavillante sole, oscura e infelice. Sentivo che ruotando in quel modo perdevo parte di me, mi smarrivo, rodendomi dentro. La mia fervente ammirazione non conosceva limiti, era assoluta e incrollabile, eppure conteneva qualcosa di oscuro che si andava via via allargando, come una macchia di caff su unimmacolata tovaglia di lino. Era qualcosa che non comprendevo, a cui non pensavo mai. Quellestate Cate fece lamore per la prima volta. So esattamente quali vestiti indossava quella fatidica sera, come si chiamava lui e che lavoro faceva, saprei perfino indicare il punto esatto della spiaggia in cui aveva parcheggiato la sua Punto scassata. So che indossava dei boxer blu dallelastico troppo stretto, e che Cate si vergogn moltissimo dei suoi slip, bianchi e semplici, di cotone stinto al sole. Faticai moltissimo a convincerla che anche con quelli addosso era irresistibile. E lo pensavo davvero. Cate mi raccontava ogni cosa con una dovizia di particolari disarmante. Quellestate ci furono innumerevoli convegni notturni, e io ogni volta laspettavo sveglia, il cuore che

palpitava forte al pensiero che in quel momento, a pochi chilometri da casa mia, mia cugina faceva tutto quello che una vera donna dovrebbe fare. Il mattino dopo, Cate si infilava in fretta e furia il costume, afferrava lasciugamano e schizzava al lago senza nemmeno fare colazione. Io invece mia attardavo in camera anche per ore. Chiudevo a chiave la porta e davo inizio al rituale che scandiva le mie giornate, regalandomi gli attimi pi intensi che riesca a ricordare. Tiravo fuori la sua biancheria dal cesto della roba sporca, spiegavo il tessuto secco di umori e me lo portavo al viso, sprofondando le narici nellodore pi eccitante che esista, lessenza di Cate mischiata a un forte odore di sperma. Lo riconoscevo perch era lodore che impregnava la nostra stanza dalla notte in cui lei aveva perso la verginit. Al mattino Cate spalancava la finestra per disperderlo, ma non appena andava via io la richiudevo, eccitata dalla sensazione di proibito che evocava. Una mattina mi guardai allo specchio e mi vidi per ci che ero. Patetica. Brutta. Le labbra sottili rese ridicole da strati di rossetto color fragola, il mento pronunciato, impossibile da cancellare, i capelli crespi e il colorito giallognolo nonostante il miglior fondotinta esistente sul mercato. Mi strappai i vestiti di dosso i vestiti di Cate, ovviamente, quelli che aveva indossato la sera prima, stropicciati e profumatissimi e mi rifugiai sul terrazzino a fumare una sigaretta dietro laltra. Un sentimento incredibilmente simile alla rabbia minvase allimprovviso, incontenibile, senza darmi il tempo di scansarlo. O di resistergli. Forse per questo il giorno dopo non mi curai pi di chiudere a chiave la porta della nostra camera.

Cate torn dal lago prima del solito il mal di testa o qualche altra cazzata che ora non ricordo e quando mi trov con i suoi vestiti addosso, intenta a masturbarmi sul suo letto, lanci un grido acuto. Come avrebbe potuto capire? Lei viveva nel suo mondo di plastica e trucchi, un mondo in cui tutto era dovuto, quasi scontato. Non aveva pi una madre, ma era forse una ragione sufficiente per avere tutto il resto? E cosa me ne facevo in fondo io di una madre che sapeva solo insegnarmi la rassegnazione, laccettazione passiva di ogni forma dingiustizia? Mentre mia cugina esplodeva in insulti e minacce, fui invasa dalla stessa, prepotente rabbia del giorno prima. Lunica differenza che questa volta la riconobbi come parte di me. Non minacciava pi di esplodere. Era gi dilagata, contaminando ogni cosa. Cate and via da casa nostra quella sera stessa. La notte non chiusi occhio, passando da pensieri cupi e distruttivi al dolce sentore del suo profumo al gelsomino, che ancora aleggiava nellaria. Dormii nel suo letto, per riuscire a fingere un altro po di essere lei. La rabbia mi scaldava nella brezza fresca di un autunno imminente, e il pensiero di Cate non mi dava pace. Pensavo a mia madre, sola e sconfitta dopo anni passati a recitare la parte dellombra. E ormai viveva tra le ombre, confondendosi con esse al punto che nessuno riusciva pi a distinguerla, nemmeno io. Quando il sole si lev allorizzonte, i miei pensieri finalmente si fecero meno confusi. La spinsi gi con un gesto forte e deciso. Non fu difficile. La sua impressionante magrezza, unita alla sorpresa per quello che era

appena successo tra noi, resero quel compito pi facile e indolore del previsto. Si dibatteva tra le onde scure che improvvisamente avevano preso a increspare lacqua. A un certo punto smise di gridare, consapevole di aver ingerito troppa acqua. Mi addolorava sapere che quella creatura meravigliosamente sensuale non sarebbe pi esistita, eppure nello stesso tempo ero felice. Chi non lo prova, non capir mai linsostenibile incoerenza di un sentimento come linvidia. Non nasce dallodio, anche se finisce pericolosamente per assomigliargli. Al contrario troppa ammirazione, troppa attrazione, troppa confusa e morbosa passione per qualcosa che non si pu essere n avere. Mi sarei accontentata di essere il suo zerbino, se solo Cate me lavesse permesso. Ma non mi aveva mai voluto, come sua madre prima di lei. E finch cera Cate, non mi avrebbe voluto nessun altro. Cos lho guardata affondare nel blu profondo, e per la prima volta mi sono sentita davvero libera.

Rossella Martielli Editor e scrittrice, classe 1982, si laureata in Sociologia con una tesi sulla strumentalizzazione del corpo femminile dal titolo La taglia 42: il burka delle donne occidentali. Specializzatasi in Editoria e Giornalismo presso lUniversit di Urbino, attualmente collabora con diverse case editrici. Ha vinto numerosi concorsi letterari per racconti, pubblicando, tra gli altri, per Arpanet e Edizioni Croce. Di recente la 0111Edizioni ha pubblicato il suo primo romanzo, In ricordo di noi, un romance dedicato al mondo femminile, e presto uscir il secondo, Ritratto di una vita, edito Gugol. Se potesse scrivere come un autore famoso, sceglierebbe senza alcun indugio Jeffrey Eugenides, ed convinta che nessun posto al mondo sia bello come la sua amata Puglia.

Prova un odio viscerale nei confronti delleditoria a pagamento. Blog: http://www.rossellamartielli.blogspot.com/ Sito del Romanzo: http://inricordodinoi.blogspot.com/ Mail to: rossella_martielli@libero.it

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