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Capitolo 3: L’Italia e l’unione europea

La comunità europea è articolata, in una forma di governo complessa, in una serie di organi, detti
istituzioni. Le istituzioni sono il Parlamento, il Consiglio europeo, il Consiglio, La commissione europea, La
Corte di Giustizia dell’unione europea, la Banca centrale europea e la Corte dei Conti.

Le fonti dell’unione europea

Il sistema normativo dell’UE comprende:


 fonti di diritto primario: ovvero i trattati istitutivi delle comunità europee e la carta dei diritti
fondamentali, a partire dall’entrata in vigore del trattato di Lisbona;
 fonti di diritto secondario o derivato: ovvero gli atti adottati dalle istituzioni comunitarie;
 una categoria di fonti eterogenea composta da: norme di diritto internazionale generale, accordi
internazionali e principi generali dell’ordinamento europeo.

Il diritto primario

Le norme contenute nei trattati istitutivi delle Comunità europee e negli accordi internazionali
successivamente stipulati costituiscono la fonte primaria del sistema normativo dell’unione. Esse si
distinguono in norme materiali, volte a disciplinare i rapporti tra soggetti dell’ordinamento, e norme
formali (o meta-norme), volte ad istituire ulteriori fonti, attribuendo portata normativa agli atti posti in
essere dalle istituzioni europee. Il Trattato CEE costituisce la Carta costituzionale di una comunità di diritto.
A livello formale nasce come accordo internazionale, cioè per la stesura dello stesso si è seguito il
procedimento proprio di un trattato internazionale; a livello sostanziale non può escludersi che il trattato,
nel definire il quadro istituzionale della comunità, le fonti, i rapporti dei soggetti dell'ordinamento, assolva
ad una funzione costituzionale. A differenza dei comuni trattati internazionali, il trattato CEE ha istituito un
proprio ordinamento giuridico integrato nell’ordinamento giuridico degli stati membri all’atto dell’entrata
in vigore del Trattato e che i giudici nazionali sono tenuti ad osservare: in primo luogo, la ratio sottesa
all'istituzione delle comunità europee (ovvero la realizzazione di un mercato unico e di un Unione sempre
più stretta fra i popoli europei), induce a rilevare che il trattato, in quanto strumento dell’integrazione
europea, sia molto di più di un mero accordo internazionale (come anche affermato dalla Corte di giustizia,
la comunità costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a
favore del quale gli Stati hanno rinunciato, sia pure in settori limitati, ai loro poteri sovrani. Un ordinamento
dunque che riconosce come soggetti non soltanto gli Stati membri ma anche i loro cittadini, quindi non è
possibile definire il trattato come un accordo internazionale poiché questa caratteristica fa assumere
all'unione europea un rilievo primario e qualificante).

Il diritto derivato

Caratteristica essenziale del sistema dell’Unione europea è la possibilità per le istituzioni europee di
adottare atti normativi che costituiscono le fonti di diritto secondario o derivato. È opportuno distinguere
tali fonti in “atti tipici” e “atti atipici”. I primi sono espressamente previsti dall’art. 288* TFUE (trattato sul
funzionamento UE), i secondi sono contemplati da altre disposizioni del Trattato e hanno efficacia diretta o
indiretta negli Stati. Quanto agli atti tipici, la loro finalità di riavvicinare le legislazioni nazionali mediante
atti immediatamente applicabili in tutti gli Stati membri o mediante atti che fissano principi generali a cui le
singole legislazioni devono uniformarsi. Le due principali fonti comunitarie sono gli atti legislativi: i
regolamenti e le direttive. Il regolamento ha portata generale, è obbligatorio in tutti i suoi elementi e
direttamente applicabile a ciascuno degli Stati membri, e quindi possiamo notare il carattere normativo del
regolamento. La direttiva in primis (a livello comunitario) vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto
riguarda il risultato da raggiungere, mentre in secondo luogo (a livello nazionale) lascia liberi gli organi
nazionali di scegliere discrezionalmente le forme e gli atti per recepirlo. I trattati disciplinano inoltre
ulteriori forme di normazione: le decisioni (atti vincolanti diretti a destinatari specificamente individuati); le
raccomandazioni ed i pareri (atti ad efficacia non vincolante). Le raccomandazioni sono manifestazioni di
carattere esortativo e indirizzate a Stati membri, istituzioni europee o privati cittadini affinché orientino il
loro comportamento conformemente agli interessi dell’Unione. Diverse dalle raccomandazioni sono i pareri
con i quali le istituzioni europee esprimono opinioni su fatti e questioni. Le modifiche introdotte dal
trattato di Lisbona hanno anche previsto la possibilità di una normazione delegata, di carattere
prettamente secondario (vedi art. 290* TFUE). Queste nuove facoltà appaiono interessanti anche perché
creano un ulteriore gerarchia nelle fonti dell'unione europea introducendo esplicitamente fonti di rango
secondario.

Le fonti direttamente applicabili

Hanno portata dirompente gli atti direttamente applicabili, quali i regolamenti e le direttive self-executing,
ad essi viene riconosciuta immediata e completa prevalenza sulle norme interne e confliggenti. La natura
sui generis dell'ordinamento dell'Unione europea, quale ordinamento giuridico integrato con quelli
nazionali, implica quindi la prevalenza fisiologica del diritto dell'Ue sul diritto interno. In altre parole, la
primautè del diritto Ue è indispensabile condicio sine qua non per il funzionamento ed anzi per la stessa
esistenza dell'Unione europea. La capacità delle norme dell’Ue di produrre effetti diretti negli ordinamenti
nazionali si salda quindi con il principio della primautè. Quest'ultimo esclude che qualsiasi norma nazionale
possa ostacolare l'applicazione del diritto dell'Unione, pertanto, quando una norma direttamente efficace
incontra la norma interna incompatibile, la primautè impone che la norma dell'unione prevalga su quella
interna. La prevalenza del diritto dell’UE comporta la disapplicazione delle norme nazionali. La
disapplicazione della norma interna incompatibile con quella dell’Unione europea non implica l’invalidità,
l’abrogazione o la nullità della stessa, bensì uno stato di quiescenza. Naturalmente lo Stato interessato
provvede all’abrogazione della norma incompatibile o alla sua modifica. Il diritto direttamente applicabile
entra immediatamente nel nostro ordinamento e prevale sulle fonti interne confliggenti, rimane comunque
aperto il problema dell’estensione di tale prevalenza e della collocazione delle fonti dell’Unione europea
nel sistema interno delle fonti. Sulla base della copertura costituzionale dell’art. 11 Cost.* si è infatti
riconosciuto che le norme direttamente applicabili prevalgono rispetto alle norme di rango costituzionale,
con il limite però, dei principi supremi dell’ordinamento e dei diritti inviolabili dell’uomo. Questa forza para-
costituzionale delle fonti dell’Unione deve comunque tener conto di principi supremi e diritti inviolabili,
diciamo che il diritto dell’Unione come fonte si configura in una posizione mediana tra i principi
fondamentali e le comuni norme costituzionali.

Le fonti non direttamente applicabili

Esse pongono soltanto un obbligo di risultato per gli Stati membri. La corte di Giustizia ha sviluppato una
serie di orientamenti giurisprudenziali tesi ad aumentare il grado di vincolatività. Vige naturalmente
l’esigenza per gli Stati di astenersi dall’adottare disposizioni che possano gravemente compromettere la
realizzazione del risultato indicato dalla direttiva, come vige anche l’obbligo per i giudici nazionali di
interpretare la normativa nazionale conformemente alle disposizioni prive di effetto diretto e, in
particolare, alle direttive non attuate. Si parla di responsabilità patrimoniale nei confronti degli Stati per
danni provocati dalla mancata attuazione, nel caso in cui anche venisse meno l’attuazione, o non fosse
sufficiente. Anche in virtù di questa maggiore spinta al recepimento delle fonti non direttamente
applicabili, il legislatore italiano ha cercato di superare la sua tradizionale lentezza attuativa ricorrendo
all’innovativo strumento della legge comunitaria (Legge n. 86, 9 marzo 1989) che permette e assicura un
adeguamento periodico dell’ordinamento nazionale all’ordinamento dell’Unione europea. Le fonti nazionali
hanno perso la loro primarietà, in quanto condizionate e subordinate, rispetto alle fonti dell’Ue. Le
giurisdizioni nazionali sono vincolate dal rispetto delle norme europee. Il controllo sulle leggi non è più
accentrato nella sola Corte costituzionale, dato il potere diffuso di disapplicare le leggi nazionali
contrastanti con il diritto dell’Ue, conseguenze simili anche con l’introduzione della cittadinanza europea, e
alle libertà economiche.

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