Musumeci
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Lorigine 5
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La terra era una massa informe e vuota e le tenebre erano sulla superficie dellabisso . Cos ha inizio il racconto della Creazione nel racconto biblico. L' universo ancora increato, privo denergia e allo stato di "zero entropia", vi figurato come "massa abissale informe e vuota, immersa nelle tenebre". E Dio dissse: <sia la luce> e la luce fu. Sappiamo che la luce formata da una infinita moltitudine di particelle che chiamiamo <fotoni> e che essi rappresentano la forma radiante della energia. Con <luce> si deve allora intendere la pi attuale significazione di energia <Ed Egli vide che la luce era buona>. Cio adatta al suo scopo creativo. Si pu affermare che levoluzione del pensiero scientifico, sia consistito nei diversi e continui tentativi di trovare una esauriente spiegazione al concetto espresso in questi pochi brevi versi biblici.
Lorigine
Il desiderio di esplorare oltre i limiti del mondo conosciuto, appartiene alla natura umana. E oltre questi confini che luomo, sin dai suoi primi albori intellettuali, ricerca le sue origini ed allora che concepisce il soffio perenne dellinfinito spazio che tutto che riempie tutto di s e dell infinito tempo che si dilata fino alleterno. In origine doveva essere solo quello incomprensibile tutto-nulla-infinito. Possiamo immaginarci l origine come un punto dello spazio-tempo dove era condensata tutta la materia-energia. Raggiunta una temperatura elevatissima, di miliardi di miliardi di gradi, quella materia doveva esitare lintero creato entro uno spazio dilatato di un fattore pari a 1030 .in un tempo incredibilmente breve durato appena 10-30 secondi. Questa teoria, meglio conosciuta come teoria della <grande esplosione> ipotizza che, a seguito di quella colossale esplosione di materia primordiale, sebbene la temperatura cadesse rapidamente, per tutta la durata del primo minuto si doveva mantenere sopra i dieci miliardi di gradi Kelvin. Per lungo tempo luniverso si present come un plasma caldo di particelle libere da cui doveva in seguito nascere la materia barionica, la materia cio fatta di particelle elementari instabili e particelle stabili (nucleoni ed elettroni) assieme a particelle di luce primordiale fatte di sola energia (fotoni). Leptoni e barioni formavano una sorta di brodo primordiale caldissimo con cui ebbe origine lintero universo. Dopo circa 10.000 anni di espansione, luniverso si era raffreddato sufficientemente perch anche lultima delle particelle cariche venisse incorporata a formare le particelle atomiche: i protoni si combinavano attraverso varie reazioni nucleari, per formare i diversi nuclei atomici. Da quel momento dovevano
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trascorrere circa un miliardo di anni perch, per effetto dellespansione, quella materia primordiale si raffreddasse abbastanza per consentire il formarsi delle prime stelle e delle prime galassie. Una volta giunti in un ambiente relativamente pi freddo i nuclei che si erano andati formando, catturavano gli elettroni prodotti dallo stesso decadimento neutronico che li aveva generati, dando cos origine ai primi atomi. La materia primordiale era cos diventata materia elementare. Ma la sua inarrestabile evoluzione continuava e gli atomi ulteriormente rafffreddati cominciarono a stabilire tra loro dei legami. La materia elementare si era trasformata in materia molecolare. Per i successivi 13 miliardi di anni l universo continu ad espandersi (e a raffreddarsi) fino a raggiungere le dimensioni attuali. il Sole, e i pianeti che lo circondano, si formarono allincirca 5 miliardi di anni fa. La terra era una sfera incandescente formata prevalentemente di idrogeno e elio, ma anche di elementi pesanti come carbonio, azoto, ossigeno, ferro e silicio che erano stati proiettati nello spazio dallesplosione della supernova che aveva avuto modo di sintetizzare al suo interno molti elementi pesanti a partire da idrogeno e elio, prima di disintegrarsi. Terminata la scrematura cosmica rimasero sul posto gli elementi che cominciarono a differenziarsi, per azione della gravit, in un nucleo centrale formato quasi esclusivamente di ferro e nichel, in un mantello sovrastante costituito di ossidi di elementi pesanti e in una crosta superficiale fatta soprattutto di silicati di elementi leggeri come alluminio, potassio e sodio. Durante la formazione e il consolidamento della crosta i gas pi leggeri in parte reagirono con gli elementi pi pesanti e in parte si dispersero nello spazio. In particolare si allontan quasi tutto lelio, che un gas leggero e niente affatto reattivo, mentre una parte dellidrogeno, lelemento pi leggero di tutti, si combin con altri elementi formando composti idrogenati semplici come il metano (CH4), lammoniaca (NH3), lacido solfidrico (H2S) e lacqua (H2O). Attraverso le spaccature presenti nella crosta si liberavano molecole allo stato gassoso che andavano formanto quella che possiamo considerare la primordiale atmosfera della Terra, sicuramente priva di ossigeno, e piuttosto ricca di idrogeno. Le condizioni ambientali dovevano essere diverse da quelle attuali e in particolare doveva essere diversa la composizione dell'atmosfera che avvolgeva il nostro pianeta e, sicuramente, priva di ossigeno, anche qualora lossigeno fosse stato presente in piccole tracce, questo avrebbe immediatamente reagito con molti degli elementi esistenti, ossidandoli. Ma Come ha avuto inizio la vita sul nostro pianeta? Quali processi fisici e chimici hanno potuto trasformare la materia molecolare in uno stupefacente organismo vivente? Per quella continua ineluttabile trasformazione che investe ogni cosa oggetto delluniverso le molecole si dovevano organizzare in livelli strutturali sempre pi elevati. L evoluzione della materia molecolare, iniziata sul nostro pianeta circa cinque miliardi danni or sono, sarebbe proseguita con la selezione di alcune specie molecolari, adatte a sostenere e sviluppare la vita. Con levoluzione di alcune specie
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molecolari, per cos dire privilegiate, si dovevano concretare i tre regni della natura: il regno minerale (costituito dai corpi inorganici), ed il regno dei sistemi viventi distinto in regno vegetale ed animale. Se non si accetta l'ipotesi che la vita possa essere arrivata sulla Terra provenendo dallo spazio gioco forza ammettere la possibilit della generazione spontanea, con una differenza, tuttavia, rispetto al passato. Prima di Pasteur si pensava infatti che il processo generativo avvenisse velocemente e continuamente, mentre la moderna teoria sull'origine spontanea della vita sostiene che il processo sia avvenuto lentamente e una volta sola. Due sono le ipotesi sulla su questa generazione spontanea: quella autotrofa e quella eterotrofa. Secondo la prima di queste ipotesi il primo essere vivente sarebbe stato un autotrofo cio un organismo simile alle attuali piante verdi, capace di sintetizzare sostanze organiche utilizzando sostanze inorganiche attraverso quella complessa serie di reazioni chimiche, che prende il nome di fotosintesi clorofilliana; nella seconda ipotesi il primo essere vivente sarebbe stato un eterotrofo, cio un organismo che non in grado di fabbricarsi da solo gli alimenti, ma deve prenderli gi belli e pronti da altri organismi viventi. Lipotesi autotrofa nasce dallosservazione che gli animali (eterotrofi) per vivere hanno bisogno delle piante (autotrofe), mentre le piante per vivere non hanno bisogno di nessuno. Ma come possibile, ci si chiede, che gli autotrofi, che sono organismi costituiti di sostanza organica ben organizzata, siano comparsi prima delle sostanze che essi stessi producono? Gli studiosi, ritenendo molto improbabile la comparsa di organismi complessi in un ambiente fatto di forme molecolari semplici, si sono orientati verso laltra ipotesi avviando ricerche volte a dimostrare la possibilit di una transizione spontanea dal semplice al complesso, cio dal mondo inorganico delle piccole molecole a quello organico delle grandi molecole e poi ancora oltre fino alle strutture finemente coordinate presenti negli esseri viventi. Le prime idee al riguardo furono avanzate, alla fine degli anni Venti, dal biologo anglo-indiano John Burdon Sanderson Haldane (1892-1964). Egli partiva dall'osservazione che la Terra primitiva doveva avere caratteristiche molto diverse da quelle attuali. In essa, tanto per cominciare, non c'era la vita, mentre in quella attuale la vita c'. Se oggi si formasse spontaneamente del materiale organico - egli faceva notare - questo verrebbe immediatamente fagocitato da qualche organismo vivente, mentre sulla Terra primitiva, senza la presenza di organismi viventi, la materia organica che fosse comparsa spontaneamente non sarebbe stata decomposta dai batteri o da altri microrganismi e quindi avrebbe avuto tutto il tempo per svilupparsi ed eventualmente accrescere la sua complessit. Le stesse idee di Haldane erano state avanzate, in precedenza, da un ricercatore sovietico, Aleksandr Ivanovic Oparin. Le idee di Haldane e Oparin non vennero accettate di buon grado da chi riteneva che la vita non poteva essere nata attraverso l'incontro fortuito di atomi, e per tale motivo non poteva che essere il frutto di un intervento divino. Ad esempio le proteine - essi dicevano - sono molecole molto complesse e pretendere che si possano formare attraverso l'incontro casuale degli atomi che le costituiscono privo di logica.
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La radiazione ultravioletta del Sole sar stata sicuramente una fonte di energia importante per la sintesi dei composti organici, ma non lunica, anche perch quel tipo di radiazione oltre che formarle, decompone molte molecole organiche. Le altre radiazioni elettromagnetiche provenienti dal Sole e in particolare la componente visibile di esse, non ebbero alcuna efficacia per le sintesi primordiali dei composti organici, mentre saranno determinanti nei successivi stadi dello sviluppo della vita. Molto importante, invece, per le sintesi organiche primordiali, fu lenergia derivante dalle scariche elettriche. Secondo la teoria dellevoluzione sulla terra sono apparsi dapprima esseri molto semplici, dai quali sono derivati, col trascorrere dei tempi geologici le forme di vita pi complessa. Gli studiosi, ritenendo molto improbabile la comparsa di organismi complessi in un ambiente fatto di forme molecolari semplici, si sono orientati verso unipotesi di una transizione spontanea dal semplice al complesso, cio dal mondo inorganico delle piccole molecole a quello organico delle grandi molecole e poi ancora oltre fino alle strutture finemente coordinate presenti negli esseri viventi. Prove sicure sulla composizione dellatmosfera primitiva non ce ne sono, ma di una si pu esser certi e cio che in quellatmosfera non esisteva ossigeno libero, O2, nemmeno in quantit modestissime. Come si formarono allora gli oceani primordiali nei quali si suppone si venivano organizzando le prime forme di vita? Un ruolo molto importante per le sintesi organiche primordiali, dovette giocarlo lenergia derivante dalle scariche elettriche. I primi organismi svilupparono la capacit di elaborare pigmenti fotorecettori in grado di realizzare la sintesi di nuovi composti utilizzando la luce solare quale fonte di energia. Da un punto di vista strettamente biochimico ogni organismo vivente pu essere considerato una complessa soluzione acquosa di macromolecole organiche in continua evoluzione dinamica e in grado di processare (metabolizzare) altri composti attraverso complesse sequenze di reazioni chimiche (metabolismi) da cui ricava lenergia necessaria al mantenimento delle sue stesse funzioni vitali. Per far ci egli abbisogna di molecole adeguate allo scopo e sempre pi specializzate. Con la comparsa della vita comunque doveva iniziare un nuovo tipo di evoluzione dovuta alla selezione di quelle molecole, ritenute dagli organismi viventi adatte al mantenimento delle loro funzioni vitali. Questa scelta, operata dagli stessi organismi sulla base del principio di selezione funzionale doveva portare alla affermazione di solo quattro grandi classi di composti naturali: protidi, glicidi, lipidi ed acidi nucleici, come oggi li conosciamo sono il risultato di quella lenta e continua selezione operata dalla materia vivente sin dal suo primo apparire. Dal regno animale dovevano ancora evolvere i primi vertebrati e con essi i primati da cui ha origine il primo ominide a postura eretta: lhomo erectus. Dapprima arboricolo scende poi sul terreno e conquista la prateria, e affinata la sua mano come strumento di presa, diventa homo abilis. La stazione eretta, rendendo libere le mani, ha aperto ad essa un campo di attivit con cui impegnava le sue facolt cognitive e con esse ha inizio un circolo virtuoso attivitpensiero con
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cui impara ad elaborare il suo linguaggio ed a migliorare le sue capacit di comunicazione: tutto ci gli permette di affermare la sua migliore qualit che quella di formulare nuove idee. Cos, divenuto sapiens, avrebbe infine conquistato l'ultimo e pi elevato gradino dellintera scala evolutiva, essendo egli divenuto il solo animale in grado di produrre la forma pi evoluta di pensiero che la base di ogni sua conoscenza. Levoluzione doveva cos concludersi con laffermazione delle scienze umane, grazie al cui progredire, stato possibile ripercorrere oggi le tappe di questa incredibile storia cosmica che si trova tutta scritta, capitolo dopo capitolo, nelleterno libro del Creato.
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cos via - che non ad una scienza vera e propria, nella quale era prevalente il ruolo della teoria sulla pratica, sulla conoscenza delle cause che non sullosservazione degli effetti. Molte concezioni filosofiche generali sulla natura, sulla materia e sulle loro trasformazioni, presenti nei testi di alchimia, costituivano un patrimonio intellettuale comune a tutti gli uomini di scienza e sovente lalchimista era anche medico, filosofo ed astrologo. Il linguaggio ed i simboli che servivano a denotare determinate sostanze o classi di sostanze, cui si attribuiva carattere spirituale, erano comuni. Linsieme dottrinario alchemico consisteva in un metodo con cui procedeva lalchimista riassunto nelle due operazioni opposte:<<solve et coagula>>. Gli obiettivi fondamentali dell'opera alchemica era la trasmutazione dei metalli in oro e la scoperta di una medicina universale in grado di guarire tutte le malattie e riportare l'organismo alla sua integrit originaria erano le manifestazioni
pi appariscenti e sensibili dell'alchimista. I sette metalli (oro, argento, rame, stagno, piombo, ferro e mercurio) erano in relazione coi sette astri (Sole, Luna, Venere, Giove, Terra, Marte, Mercurio); ed entrambi con le parti anatomiche e le sette viscere dell'uomo. I metalli erano in relazione anche con le qualit morali degli esseri umani: il piombo corrispondeva al loro stato di imperfezione interiore, alla loro caduta; l'oro, invece, alla perfezione dovuta alla loro rinascita e alla loro liberazione, tramite una conoscenza concepita come illuminazione e unione intima col tutto. In questo contesto, la trasmutazione dei metalli vili (a partire dal piombo, il pi vile ed imperfetto di tutti) in oro era appunto segno visibile e allusione metaforica di una rigenerazione spirituale. Per queste sue finalit l'alchimia pu essere considerata piuttosto che una chimica prescientifica, un sapere mistico e sovrarazionale. Il dogma fondamentale era l'idea della perfettibilit della materia e della sua tendenza alla stabilizzazione. I diversi metalli avevano la stessa origine: o erano prodotti dalla mistione degli stessi principi eterogenei, o derivavano da una materia prima omogenea. I metalli, infatti, erano considerati composti e non corpi semplici e come tali chimicamente distinti e irriducibili. In quanto composti o prodotti della evoluzione finalistica di una materia prima, essi si trovavano a diversi stadi del processo naturale di questo perfezionamento, che dovevano concludere con la finale trasmutazione in oro. La formazione e lo sviluppo naturale dei minerali e dei metalli nelle viscere della terra erano considerati analoghi a quelli dello sviluppo degli organismi viventi: cos come il feto conteneva in s le potenzialit dell'uomo adulto, allo stesso modo era possibile naturalmente il passaggio graduale dai metalli imperfetti alloro. Le differenti propriet possedute dai metalli rappresentavano stati accidentali di imperfezione che potevano essere loro tolti artificialmente per condurli, cos, allo stadio finale di perfezione, cio all'oro un metallo prodotto di una amicabile e perfettissima mistione di sostanze elementali, con egual quantit e qualit, l'una e l'altra apportionate e sottilissimamente purifiate grazie al calore esistente nelle viscere della
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Terra (Pirothecnia, 1540). Paracelso nel suo Tresor de Tresors ci descrive le tre sostanze che compongono ogni cosa ossia lo zolfo, il mercurio ed il sale: queste tre sostanze si uniscono formando ci che si chiama un corpo. Wilhelm Homberg sosteneva che i metalli erano formati dai principi del mercurio e dello zolfo, o materia della luce. Il processo di metallizzazione sarebbe avvenuto grazie ad una lenta e differenziata penetrazione della materia della luce nel mercurio, attraverso successivi e continui gradi di perfezionamento, fino alla formazione dell'argento e poi dell'oro. Per questo raggiungimento <<la materia della luce deve impiegare molto meno tempo per largento che per la perfezione delloro>>. Fu tuttavia grazie agli sforzi di quegli studi che si ponevano seppur scompostamente la basi di una nuova scienza basata sullo studio della trasformazione della materia e delle sue leggi. Per laffermazione del un metodo scientifico nella ricerca dobbiamo attendere laffermarsi del pensiero galileiano con cui si enunciano i principi del metodo sperimentale. La scienza abbandona con Galieo le pretese di un sapere sistematico e chiuso per divenire consapevolmente un metodo aperto, affrancato dai ceppi della tradizione dogmatica; il seme gettato dal grande italiano era destinato a dare ben presto i suoi frutti. Il XVII I. secolo segna laffermazione dei principi della scienza moderna cui viene riconosciuta la centralit nel complesso della cultura. Boyle che rigett per primo lantica teoria degli elementi pu essere considerato il primo chimico scientifico. Le grandi scoperte chimiche avvennero nella seconda met del secolo XVIII Ci che caratterizza la chimica di questo periodo la capacit sperimentale. A. Lavoisier nella ssua opera Trattato elementare di Chimica enuncia una moderna definizione di corpo puro e di elemento. Egli fornisce inoltre una spiegazione scientifica del fenomeno di combustione come combinazione dei corpi con lossigeno che gli permette una chiara enunciazione del principio di conservazione della materia con cui ebbe impulso lo sviuppo dei principi della analisi quantitativa che permise lenunciazione delle prime leggi ponderali. Alla fine del Settecento, Jeremias Benjamin Richter enunci un altro principio di conservazione della chimica, quello della neutralit dei sali nelle reazioni di doppio scambio: se si mescolavano due soluzioni neutre di sali, e si aveva una reazione fra questi, i prodotti finali erano anch'essi neutri. Da ci Richter dedusse che gli elementi dei reagenti iniziali e dei prodotti finali dovevano trovarsi in rapporti determinati per quanto riguardava le loro masse. Ma Richter elabor (1792) anche una fondamentale legge della combinazione chimica, la legge degli equivalenti, secondo la quale le quantit di alcali (o di acidi) che si combinano con qualsiasi acido (o alcale) conservano tra loro gli stessi rapporti nelle combinazioni con tutti
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Laboratorio alchemico
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gli altri acidi (o alcali).
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Attraverso una serie di ricerche condotte dal 1797 al 1809 sulla composizione degli ossidi metallici del ferro, del rame, dello stagno e su alcuni solfuri metallici (soprattutto del ferro), arriv ad enunciare la legge delle proporzioni definite, secondo la quale ogni composto chimico era costituito da una proporzione fissa e costante dei componenti, indipendente dalle condizioni sperimentali nelle quali esso veniva formato. Per Proust, dunque, nelle sue produzioni materiali la natura era rigorosamente discontinua, e agiva secondo regole ponderali precise e immutabili. Lo stesso poteva dirsi della sperimentazione artificiale di laboratorio: questa dava luogo a composti esattamente identici a quelli naturali poich esattamente identici erano i rapporti ponderali in atto tra i reagenti. Riprese alla met del XIX secolo, esse costituirono il punto di partenza per la formulazione della legge di azione di massa degli equilibri chimici enunciata nel 1879 dai danesi Maximilian Guldberg e Peter Waage. Nei primi decenni dellottocento linglese Davy poneva i fondamenti dellelettrochimica ottenendo lisolamento del sodio e del potassio per elettrolisi e dimostrando al contempo che il cloro era un corpo semplice e che lidrogeno era lelemento comune a tutti gli acidi. Nel 1860 s svolgeva a Karlsruhe (Germana) un Congresso che riunva 130 chimici pi influenti d'Europa allo scopo fare il punto sulla conoscenza raggiunta in relazione alle teorie atomiche e definire una convenzione sul significato dei termini, le simbologie ed il peso degli atomi. Per Cannizzaro, fu l'occasione per la divulgazione delle sue idee sui i pesi molecolar ed i pesi atomici di quasi tutti gli elementi allora conosciuti. Negli anni successivi tutti i chimici, convinti dell'esattezza del metodo di Cannizzaro, poterono usufruire di una pi precisa e completa tabella di pesi atomici relativi, ricavati sperimentalmente e completata ad opera del gruppo di Berzelius. Con l'opera di Cannizzaro la Chimica prendeva definitivamente il suo avvio. Ma tutto il grandissimo insieme di ricerche che ha avuto luogo lungo i tre secoli di ricerche e studi dovevano concludersi con una radicale riconsiderazione sulla reale struttura della materia. Uno di questi aspetti riguarda il suo carattere particellato e discontinuo questione che verr affrontata con laffermazione della equivalenza materia-energia, equivalenza basata sul presupposto che entrambe sono formate da gruppuscoli, i quanta; ponendo cos le basi di una nuova meccanica non pi razionale bens quantistica,
Sondando la materia infino ai suoi ultimi componenti strutturali si dovette ammettere che ognuno dei gruppuscoli che formavano gli atomi accanto al comportamento proprio delle particelle manifestava comportamenti propri delle onde (diffrazione, interferenza ecc.). Accanto
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alla tradizionale meccanica razionale, che descriveva il comportamento dei corpi fisici, veniva elaborata una nuova meccanica che veniva perci detta ondulatoria , basata cio sul presupposto che lenergia posseduta da quelle particelle subatomiche doveva essere descritta in termini onde di opportuna lunghezza e frequenza. Il primo esempio di connessione tra variabili di tipo corpuscolare e ondulatorio si ha nei lavori di M.Planck sulla radiazione termica e di Albert Einstein sulleffetto fotoelettrico. Lipotesi essenziale della meccanica ondulatoria, formulata da L.V.de Broglie nel 1924, che ad ogni particella sia associata unonda. Grazie a E. Schrdinger la nuova meccanica disponeva di una equazione con cui veniva descritta la legge di propagazione di queste onde materiali e dei previsti livelli di energia associata. La meccanica quantistica coordina in uno schema coerente le teorie elaborate per superare le difficolt che le teorie classiche incontravano, nellinterpretazione di alcuni fenomeni, in particolare di quelli spettroscopici. Nello stesso tempo W.Heisenberg sviluppava la meccanica delle matrici. Il riconoscimento della equivalenza tra la meccanica delle matrici e meccanica ondulatori segn la nascita della meccanica quantistica, formulata nella sua forma attuale da P.A.M.Dirac Saranno queste ultime teorie a consentire lattuale poderoso sviluppo di quel sapere autonomo e distinto che ancora oggi chiamamo col nome misterioso di
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scienza sperimentale che si occupa dello studio della materia e deille leggi che governano ogni sua trasformazione nei suoi duplici aspetti, macroscopici e microscopici.
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Nelle questioni naturali la cognizione degli effetti quella che ci conduce allinvestigazione e ritrovamento delle cause, senza quella il nostro sarebbe un camminare alla cieca. Galileo Galilei
(I dialoghi dei Massimi sistemi ) Il metodo sperimentale si realizza in quattro tempi che sono: osservazione, ipotesi , verifica, conclusione. La ricerca comincia con losservazione dei fenomeni che si intendono studiare. Si avanza una ipotesi teorica sulla legge che esso sembra esprimere. Si procede quindi nel lavoro di verifica sperimentale che inizia con la raccolta dei dati di misura di cui si valuta la laccuratezza, ripetitivit e la riproducibilit, nel senso che debbono sempre poter essere ripetuti in qualsiasi altro luogo ed qualsiasi altro momento. la verifica delle ipotesi poste in premessa permette la conclusione dello studio con la formulazione di un eventuale enunciato di carattere universale. Ciascuna ipotesi pu essere sempre soggetta a revisione, giammai lo possono ciascuno dei dati ottenuti sperimentalmente .
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1 I primi 92 elementi esistono in natura, gli altri 11 sono stati creati in modo artificiale. Il peso a cui ci riferiamo il "peso atomico", dato dalla somma dei pesi dei suoi componenti, ed il stingue gli elementi il "numero atomico", che corrisponde al numero di protoni contenuto nel nucleo dell'atomo. Gli elementi chimici sono contraddistinti da un simbolo, uno diverso dall'altro, costituito da una o due lettere, come potete vedere dalla tabella che segue. Quindi anche il numero degli a relativamente pochi elementi vengono costruiti tutti gli svariatissimi aspetti della materia che conosciamo, ossia vengono formate le molecole. Tabella dei pesi atomici relativi degli elementi
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CAP. I
1.1 Materia ed energia
La materia
Isaac Newton
Albert Einstein
Quello di materia un concetto che ha subito nel tempo parecchie variazioni di significato. Esso compare descritto nel <Philosophiae naturalis principia matematica> di I. Newton come uno dei due oggetti fondamentali della meccanica classica, essendolaltro il moto. Spetta ad A.L. Lavoisier averne dimostrato per primo il principio di conservazione. Nel XIX secolo fattosi pi complesso il quadro concettuale della fisica, accanto al concetto di materia si associano i concetti di massa ed energia. Il problema dei rapporti tra questi enti fisicamente distinti doveva essere risolto da A. Einstein con la sua teoria ristretta della relativit. Questa, per molti aspetti rivoluzionaria teoria, afferma il principio di equivalenza tra massa ed energia per cui lesistenza della materia presuppone lesistenza della energia essendo luna direttamente convertibile nellaltra. Facendo ricorso ad una definizione classica possiamo affermare semplicemente che materia tutto ci che occupa uno spazio in quanto dotato di massa e chiamare corpo ogni sua porzione definita da un preciso contorno volumetrico. La tendenza dei corpi a permanere nel loro stato di quiete (o di moto uniforme) chiamata inerzia e la sua misura quantitativa massa. Il valore della massa una grandezza invariante cio indipendente dalla situazione fisica del corpo stesso (sua velocit, forze agenti su di esso, suo calore, ecc.). La descrizione delle leggi di moto o dello stato di quiete di ciascuna massa sono raccolte nellambito della meccanica razionale ove la definizione classica di massa ricavata dalla legge di Newton:
F= ma (1)
Qualsiasi corpo possiede oltre la massa anche energia, che risulta essere proporzionale alla velocit, v, che il corpo assume nello spazio, essendo la costante di questa proporzionalit la massa stessa del corpo. Questo tipo di energia prende il nome di quantit di moto, q, il cui valore espresso dalla relazione:
q = mv (2)
Ogni corpo in movimento possiede dunque una determinata quantit energia il cui valore direttamente proporzionale alla velocit dello spostamento. Se il corpo aumenta la sua velocit (accelera) perch aumentata la sua energia, ma la sua massa, m, rimane costante sempre la stessa (invariante); essa rappresenta la costante di proporzionalit tra lenergia, espressa come quantit di moto, q, e velocit, v, posseduta dal corpo di massa. Tuttavia, per velocit elevatissime, cio paragonabili a quella della luce, lo schema della meccanica classica non vale pi e quanto descritto dalla meccanica razionale deve essere sostituito dalle leggi della meccanica relativistica. Prima di Einstein comunemente si operava una distinzione tra l'energia, E, e massa, m, ma Einstein con la sua famosa equazione ricavata dalla teoria della relativit generale, annull questa distinzione considerando le due grandezze equivalenti, essendo Energia e materia due grandezze della stessa natura e quindi di-
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rettamente proporzionali tra di loro; la costante di questa proporzionalit risult essere pari al quadrato della velocit della luce e lintera equivalenza veniva scritta come:
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E = m c2 (3)
La (3) ci permette di affermare che possibile ricavare energia dalla materia, come avviene nei reattori nucleari e, viceversa, si pu ottenere materia dallenergia, come avviene negli acceleratori di particelle. Dato il valore di c molto grande, basta una piccola quantit di materia per ottenere una grandissima quantit di energia, e, viceversa, necessaria tantissima energia per ottenere una piccola quantit di materia. La massa associata ad ogni particella elementare, non pi una grandezza invariante ma aumenta con laumentare della velocit per cui per tutte le particelle di massa finita risulta impossibile raggiungere una velocit v che uguagli la velocit della luce, c (pari a 298.000Km/sec); tale valore limite irraggiungibile giacch la massa avrebbe valore infinito stessa in accordo alla relazione relativistica di Einstein: MolecoleAtomiparticelle elementari. Ciascuna molecola formata da un insieme ordinato di atomi u l t er i o r me n te sc i n d ib i l i i n particelle pi semplici di massa infinitesima il cui moto non pi descrivibile negli stessi termini descritti dalla meccanica classica, ma richiede una nuova meccanica: la meccanica ondulatoria e la succedanea meccanica quantistica
E= m0c2/(1-v2/c2)
(4)
dove v la velocit della particella di massa a riposo m0 e c la velocit della luce. Dalla (4) si pu vedere facilmente che il valore limite di energia si ha per v = c, a questo valore corrisponde un valore di massa inerziale infinita. Questa velocit limite dunque raggiungibile solo dalle particelle praticamente prive di massa tali sono i fotoni, che si devono considerare non gi come vere e proprie particelle di massa definita bens come particelle di energia definita (quantum). Il moto di queste particelle, non pi descrivibile in termini di quantit di moto come previsto dalla meccanica classica, ma richiede una nuova meccanica: la meccanica ondulatoria. La fisica delle particelle elementari ammette per ogni particella elementare un duplice aspetto, quello corpuscolare e quello ondulatorio: al movimento di una particella corrisponde la propagazione di un gruppo di onde e, viceversa, ad una propagazione ondosa corrisponde uno sciame di particelle. Le equazioni di moto delle particelle elementari, anzich dalle classiche funzioni lineari, sono quindi meglio rappresentate da equazioni donda formulate tenendo conto delle opportune correzioni ricavate dalla teoria dei quanti. Poich per una particella classica l'energia funzione della posizione e della velocit, M. Born afferm che la probabilit di trovare una particella di massa m nella posizione x allistante t era espressa proprio da una funzione d'onda (x, t) . L'ipotesi essenziale della meccanica ondulatoria, formulata da L. V, de Broglie nel 1924, che al moto di ogni particella sia associata un moto ondoso. Tale ipotesi trov conferma sperimentale nell'osservazione degli effetti di diffrazione che si verificano quando un fascio di elettroni incide su di un cristallo; esperienze analoghe sono state successivamente effettuate anche con altre particelle (p.e. i neutroni) ottenendo sempre risultati che si accordano con le teorie di de Broglie. La meccanica ondulatoria parte dal presupposto che il comportamento dei costituenti ultimi della materia possa essere descritto mediante onde di opportuna frequenza () e lunghezza d'onda (= 1/). Questa meccanica, valida per le particelle elementari (quali sono, ad esempio, gli elettroni), permette la descrizione della loro quantit di moto e degli stati gli stati energetici ad esso associati, che risulta essere non pi proporzionale alla loro massa, bens alla frequenza dell onda che ne descrive il moto:
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E = h (5) essendo h la nuova costante di proporzionalit che prende il nome di costante di Planck. Un postulato fondamentale di questa teoria che le particelle elementari possono scambiare energia solo per valori discreti di energia , perci detti quanta denergia. Il primo esempio di connessione tra variabili di tipo corpuscolare e ondulatorio si ha nei lavori di M. Planck sulla radiazione termica e di A. Einstein sull'effetto fotoelettrico. Restava insoluto, tuttavia, il problema di trovare la legge di propagazione per queste onde di materia; il merito della soluzione spetta a E. Scrdinger, che ragion in analogia con la meccanica classica arrivando a formulare l'opportuna equazione d'onda. Nel caso di sistemi per i quali l'energia totale indipendente dal tempo, l'equazione di Schrdinger prevede l'esistenza di stati stazionari e di calcolare i relativi valori energetici (livelli). La meccanica ondulatoria ha originato (insieme alla meccanica delle matrici) la moderna meccanica quantistica che fornisce la descrizione pi accreditata dei fenomeni fisici che coordina in uno schema coerente rende conto dellesistenza dei livelli energetici di energia stazionaria che dipende dalla struttura interna del sistema. Un atomo pu avere qualsiasi valore di energia traslazionale ma solo determinati valori di energia per ciascuno degli elettroni perinucleari, i cui stati energetici sono descritti da numeri interi che vengono detti numeri quantici. Gli elettroni possono passare da un livello, E1, allaltro, E2, solo se scambiano il quantum di energia corrispondente alla differenza dei due livelli quantici, ovvero alla differenza delle loro frequenze donda; infatti dalla (5) si ricava: E2-E1= h2 h1 = h(2 1) (6)
1.2 Antimateria
La materia allo stato molecolare quella che conforma la realt del mondo in cui viviamo. Sulla superficie del nostro pianeta la materia esiste allo stato molecolare. Sono le molecole che realizzano i corpi distinti in sostanze minerali e organismi viventi. Ciascuna molecola formata da un insieme ordinato di atomi cos detti perch erano una volta considerati indivisibili. Ci che si ritiene indivisibile oggi cosa ben diversa dagli atomi di Democrito che sono risultati essere ulteriormente scindibili in particelle pi semplici cui si da il nome di elementari . Il principio che caratterizza tutte le particelle elementari quello della loro indistinguibilit. Secondo questo principio due particelle aventi le stesse caratteristiche sono tra loro identiche e non possono essere in alcun modo distinte; da questo principio discende il principio di identit. Cos, ad esempio, due elettroni sono tra di loro indistinguibili e per essi vale lidentit: da cui consegue la semplice relazione: 18 18
e= e
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e e = 0 (7) in cui il significato matematico ci ben chiaro, ma non altrettanto lo il corrispondente significato fisico. Com possibile azzerare per sottrazione di una particella da un'altra? Quale realt fisica si cela sotto questa semplice relazione? Siamo nel 1928, a quel tempo Dirac era alle prese con la sua equazione con la quale descriveva il comportamento di un elettrone che considerava come una particella che alla propria massa associava una determinata quantit di energia (il quantum); questa equazione, per qualunque soluzione di energia positiva, forniva altrettante soluzioni che mostravano valori di energia negativa, in netto contrasto con il senso fisico comune, che attribuisce un significato solo alle particelle con masse ed energia di valore positivo. Egli intu allora che doveva esistere un tipo diverso di elettrone, prima dallora sconosciuto, con una carica elettrica positiva e che chiam <antielettrone>, cio un elettrone di massa uguale ma carica elettrica opposta; con questa ipotesi Dirac poteva ora dare dava una corretta interpretazione alle equazioni in cui comparivano le masse di segno negativo: il loro significato fisico andava interpretato come: m = antiparticella = m+ (8) Queste antiparticelle, teorizzate in base alle equazioni della meccanica quantistica, furono in seguito scoperte sperimentalmente. Nel (1932) veniva scoperto lantielettrone cui venne dato il nome di positrone; nel 1956 veniva scoperto lantiprotone, cio la particella di massa unitaria e carica elettrica negativa. In seguito veniva verificata sperimentalmene la presenza delle altre antiparticelle. Per ciascuna delle particelle note coesistevano altrettante anti-particelle (antiprotoni, anti-elettroni, anti-neutroni, ecc,) ciascuna avente massa uguale alla corrispondente particella ma energia di segno e carica opposta. Trovava sostegno sperimentale cos lipotesi delleffettiva esistenza di quella che era stata gi chiamata l<antimateria>, cio di una materia tutta fatta di antiparticelle. In linea di principio possiamo supporre, infatti, che come linsieme delle particelle forma la materia cos linsieme delle antiparticelle forma lantimateria. Accanto ad ogni particella coesistono dunque altrettante anti-particelle (antiprotoni, antielettroni, antineutroni, ecc,) ciascuna avente massa uguale alla corrispondente particella ma energia di segno e carica opposta. E cos ipotizzabile un mondo fatto di antimateria cio tutto costituito di antiparticelle che danno vita ad antiatomi in cui i nuclei sono formati da antiprotoni ed antineutroni attorno cui orbitano i positroni. Per questi antiatomi varrebbero le stesse leggi che valgono per i nostri atomi e sarebbero le nostre particelle ad avere vita breve. Nel nostro mondo fisico, le particelle sembrano essere pi numerose rispetto alle antiparticelle, ci per la brevissima vita media di queste ultime. Quando sincontrano particella e antiparticella avviene il fenomeno dell annichilazione, cio entrambe scompaiono e al loro posto compare una equivalente particella di energia radiante pura, corrispondente alla loro massa in accordo alla equivalenza data dalla (3) e (5): E = h = mc2 con: h = costante di Planck, = frequenza della radiazione emessa, m = massa delle particelle annichili-
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Energia materia+antimateria La creazione simultanea di una coppia negatone-nositone (elettrone negativo-elettrone positivo) pu avvenire in prossimit di un nucleo ad alta energia per effetto di una interazione forte (decadimento ad uno stato meno eccitato). Questo processo ha costituito una evidente conferma del principio relativistico di equivalenza tra massa ed energia di Einstein ed ha anche confermato la teoria quantistica di Dirac in quanto le previsioni teoriche sono risultate in ottimo accordo con i dati sperimentali: Energia elettrone + positone
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Chimica generale
te, c = costante, (pari alla velocit della luce). Adesso possiamo comprendere meglio il significato della (6) che alla luce della (7) diventa:
e + e+ = 0 (9) Levento descritto nella (9) meglio conosciuto come processo di annichilazione della coppia particella antiparticella. Tutti i costituenti fondamentali della materia vanno a coppie; per ogni tipo di particella vi un antiparticella di uguale massa, ma opposta per quanto riguarda ogni altra propriet (carica elettrica, spin, ecc.). Il processo di accoppiamento particella-antiparticella stato ampiamente dimostrato sperimentalmente e coppie di esse sono state create, mediante collisioni ad alta energia, allinterno degli acceleratori di particelle. Nel 1930 Carl David Anderson, facendo interagire un fotone ad alta energia con il campo elettromagnetico di un nucleo, osservava la contemporanea formazione di una coppia elettrone-antielettrone. Losservazione sperimentale della produzione fu realizzata alla fine del 1974 a Brookhaven (New York) e Stanford (California) con fasci di elettroni e positoni ad alta energia che si scontravano in corrispondenza di opportuni apparati di rilevazione. Lesperimento permise di accertare che la <nascita> di nuove particelle di materia era bilanciata con la creazione di altrettante antiparticelle di antimateria. Il principio di annichilazione descritto dalla (9) sancisce, al contrario, che quando si incontrano una particella con la propria antiparticella esse annullano tanto la loro carica quanto la loro massa che si trasforma in una corrispondente quantitum di energia radiante sotto forma di una coppia di raggi gamma. Questo processo deve dunque essere inteso come reversibile nel senso che lenergia di due fotoni che interagiscono pu essere interamente convertita nella massa di una coppia particella-antiparticella. Il processo di annichilazione deve essere dunque considerato come un processo reversibile. La massa delle due particelle che si annichilano trasformata in due corrispondenti fotoni gamma () emessi in direzioni opposte cos come e due fotoni gamma che interagiscono creano una corrispondente coppia particella antiparticella:
..
L'ipotesi essenziale della meccanica ondulatoria, formulata da L. V, de Broglie nel 1924, che a ogni particella elementare sia associata un'onda. Tale ipotesi trov conferma sperimentale nell'osservazione degli effetti di diffrazione che si verificano quando un fascio di elettroni incide su di un cristallo; esperienze analoghe sono state successivamente effettuate anche con altre particelle (p.e. i neutroni) ottenendo sempre risultati che si accordano con le relazioni di De Broglie.
La (10) e la (11) pur descrivendo due eventi antitetici, realizzano chiaramente la medesima interazione e vengono rappresentati dallo stesso diagramma spazio-temporale di Feynman letto nelle diverse direzioni (vedi 1.5). Lenergia dunque lessenza della materia, come la materia lessenza dellenergia. Materia ed energia costituiscono, infatti, una sola inscindibile realt, potendosi luna convertire nellaltra e compendiare questa visione nellaforisma secondo cui una particella come un quantum di <energia condensata> e viceversa un quantum di energia come una particella di <materia sublimata>.
1.4. Le interazioni
Quando due particelle si trovano in prossimit luna dellaltra, esse interagiscono esercitando una reci20 20
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proca attrazione o repulsione, tale fenomeno prende il nome dinterazione. Linterazione si realizza grazie allo scambio di quanti di azione che variano a seconda della natura delle particelle. Tutti i processi interattivi che si osservano nella realt fisica sembrano essere riconducibili a soli quattro tipi diversi di interazione le cui grandezze fanno riferimento alla intensit di interazione unitaria che quella forte: interazioni forti di intensit unitaria, interazioni elettromagnetiche di intensit 10-2 volte pi piccola, interazioni deboli (10-13) e gravitazionali (10-38). I diversi tipi di interazioni si distinguono ance in base al quanto di azione scambiato per come meglio appresso specificato: Interazione nucleare forte: attrazione reciproca esercitata dai nucleoni nella formazione dei nuclei atomici; la forza dinterazione nucleare non sembra estendersi oltre la distanza pari al raggio nucleare (forza a breve distanza) e non sembra distinguere le particelle che differiscono solo per il valore di carica elettrica (Es. protoni e neutroni; pioni positivi negativi e neutri). La legge che esprime la forza dinterazione nucleare non nota. Il quanto di azione scambiato un tipo di mesone che prende il nome di pione o mesone , particella elementare di massa a riposo intermedia tra quella dellelettrone (me) e quella del protone (1838 me). Interazione nucleare debole: la forza responsabile del decadimento nucleare, cio di quel processo per cui un nucleone, emettendo un elettrone (o un positrone), trasforma il nucleo nel suo isotono isobaro. Le interazioni deboli sono responsabili del decadimento di un mesone p (pione) in un mesone m (muone). Esso svolge un ruolo importante nei processi devoluzione della materia in quanto causa della trasformazione della materia adronica in materia atomica. I quanti di interazione scambiati nei processi di interazione debole sono i bosoni intermedi (W) (vedi diagramma di Feynman di pag.24) Quando un neutrone ddu decade in un protone duu un suo quark cambia il sapore (da d ad u), emettendo al contempo un bosone intermedio W di carica unitaria 1 che a sua volta decade in un elettrone (di carica -1) ed un antineutrino. In tale processo si conserva la carica ma non la parit. Il neutrino una particella di spin 1/2 come l'elettrone e il quark, ma non ha n massa n carica, per cui non interagisce coi fotoni. Non interagisce neanche coi gluoni, ma solo col W (fig. a lato). I W sono bosoni di spin 1, come i fotoni e i gluoni. Essi cambiano il sapore e la carica dei quark (il quark d, di carica - 1/3, viene cambiato in 'quark u, di carica + 2/3) ma non il loro colore . Il W trasporta carica - 1 e la sua antiparticella, W + , porta carica + 1, per cui essi interagiscono anche coi fotoni. Il decadimento beta impiega un tempo molto maggiore di quello caratteristico per le interazioni tra fotoni ed elettroni, per cui si pensa che, a differenza di fotoni e gluoni, i W hanno massa molto alta (circa 80.000 MeV). Interazione elettromagnetica: attrazione esercitata da tutte i corpi dotati di massa e carica elettrica. E responsabile della formazione strutturale degli atomi e delle molecole. Sono le interazioni meglio conosciute; la legge di forza nota come Legge di Coulomb. La forza coulombiana, che pu essere attrattiva (per le cariche eterologhe) o repulsiva (per le cariche omologhe), si esercita anche a grandi distanze. Il quanto di azione scambiato nel processo di interazione elettromagnetica il fotone. Interazione gravitazionale: attrazione esercitata da tutti i corpi anche a grande distanza; essa regola la
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dinamica dei corpi celesti. La legge di forza espressa dalla legge di Newton. Il quanto di azione si suppone essere il gravitone. Nel 1953 Heisenberg iniziava la ricerca di una nuova teoria di unificazione generale, secondo la quale tutte le particelle e tutti i campi di forza dovrebbero derivare da un'unica equazione fondamentale. Il sistema utilizzato per descrivere uninterazione tra particele elementari il cosiddetto diagramma spaziotemporale di Feynman a fianco rappresentato. Nel piano dello spazio-tempo si riportano le interazioni e gli eventi che modificano lo stato posizionale rispetto al tempo. Nella figura riportata a fianco rappresentata linterazione di un elettrone (tratto rettilineo) con un fotone (tratto ondulato). Linterazione fotone-elettrone comporta solo cambiamento delle coordinate dellelettrone mentre scompare il fotone che ha interagito. Lo stesso diagramma pu anche servire per descrivere un processo in cui un fotone si disintegra con creazione di una coppia elettrone-positone (ovvero la coppia annichila la loro massa trasformandola in un fotone). Una conseguenza dello studio delle interazioni la formulazione del principio di conservazione con cui si afferma che durante una interazione energia, carica, spin, quantit di moto e momento magnetico devono rimanere costanti. Se una interazione genera nuove particelle esse dovranno soddisfare il principio di conservazione, pertanto dovranno avere caratteristiche tali che la somma dei loro singoli valori eguagli le grandezze della particella iniziale: allorigine di ogni particella deve sempre corrispondere una antiparticella cio una particella che ha massa uguale ma caratteristiche intrinseche opposte.
Tutte le particelle composte da quark appartengono a una di due possibili classi; quelle fatte da un quark e da un antiquark (mesoni), e quelle da tre quark (barioni); protoni e neutrone sono gli esempi pi comuni di queste ultime. Le cariche dei quark u e d si combinano in modo da dare + 1 per il protone e zero per il neutrone (in basso sono riportati un neutrone a sinistra ed un protone a destra.
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B) leptoni: Gruppo di 12 particelle elementari, 6 sono veri e propri leptoni: elettroni , muoni, particelle tau, tre diversi tipi di neutrini e 6 sono i corrispondenti antileptoni. Si tratta di particelle sensibili sia alle interazioni nucleari deboli sia a quelle elettromagnetiche. I leptoni sono,probabilmente, insieme ai quark le uniche particelle realmente elementari. C) adroni: distinti in mesoni e barioni. I mesoni, particelle instabili con massa a riposo intermedia tra quella dellelettrone e quella del protone, decadono spontaneamente dando origine a particelle stabili (leptoni, neutrini, fotoni). I barioni comprendono i nucleoni protoni e neutroni. La forza di coesione del nucleo dell'atomo (interazione nucleare forte) dovuta allo scambio di un mesone, particella neutra con una massa di circa 200 volte quella dell'elettrone. I primi fasci di mesoni furono generati nel 1948 nel il ciclotrone di Lawrence.
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u(2/3)
Anti neutrino
Elettrone-1
d(-1/3)
Quando un neutrone ddu decade in un protone duu un suo quark cambia il sapore (da d ad u), emettendo al contempo un bosone intermedio W di carica unitaria 1 che a sua volta decade in un elettrone (di carica -1) ed un antineutrino. In tale processo si conserva la carica (ma non la parit)
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1.6. I nucleoni
Protoni e neutroni, li ritroviamo quali costituenti dei nuclei atomici ove addensano la quasi totalit della massa atomica. Le dimensioni nucleari sono dellordine di 10-13 cm, mentre quelle atomiche sono dellordine di 10-8 cm., cio il nucleo circa centomila volte pi piccolo dellintero atomo. Nel nucleo stazionano i protoni, che sono barioni stabili di massa e carica elettrica positiva unitaria, ed i neutroni, di massa anchessa unitaria ma privi di carica elettrica. Data la complessit della realt nucleare la descrizione dei fenomeni nucleari richiede limpiego di modelli teorici in grado di giustificare il loro comportamento. A tali schemi si da il nome di modelli nucleari. Essi si dividono essenzialmente in due classi: la prima classe che presuppose il moto di un nucleone strettamente correlato a quello degli altri componenti e talmente complicato da richiedere lapplicazione di metodi statistici, ad es. il modello a goccia liquida che si mostra particolarmente utile nella descrizione degli stati altamente eccitati; la seconda classe di modelli in cui il movimento di ciascun nucleone descritto considerandolo, in prima approssimazione, come indipendente dagli altri componenti (modelli a particella singola). Il modello a particella singola, detto modello a gusci, ammette che ogni nucleone si muova in un potenziale medio che ne definisce il livello energetico dello stato, a tale livello la meccanica quantistica da il nome di strato o, in analogia al modello quantistici dellelettrone, orbita. Quando le particelle elementari sono costrette a condividere uno spazio limitato, (tale situazione quella delle particelle che costituiscono lo stesso sistema atomico), la loro energia si distribuisce lungo un percorso che prende il nome generico di orbita: fintanto ch la particella occupa una determinata orbita essa non scambia in alcun modo energia (stato energeticamente stazionario). Passare dallorbita ove risiede ad unaltra vuol dire per la particella dover passare da uno stato denergia, E1, ad un altro, E2. La particella dovr, quindi, scambiare il corrispondente quantum di energia che pari alla differenza tra le due quote permesse:
Interazione di un elettrone (tratto rettilineo) con un fotone (tratto ondulato). Linterazione comporta solo cambiamento delle coordinate spazio-temporali dellelettrone mentre il fotone viene assorbito completamente.
E = E 2 E 1= h2h1
Le particelle elementari stabili che costituiscono latomo sono dunque: Elettroni (e-), particelle di carica elettrica negativa e massa circa duemila volte pi piccola della massa unitaria di riferimento, che viene detta: unit di massa atomica = uma; e = 1/1870 uma; ossia 1830 e = 1 uma. Si producono, assieme ai protoni, nel processo di decadimento neutronico Protoni (p+), particelle di carica elettrica positiva e massa unitaria. Lunit di massa (atomica) un uma.. I protoni sono particelle stabili. Neutroni (n), particelle di massa unitaria ma prive di carica elettrica. Sono stabili se interagiscono ciascuno con un a coppia, o doppietto, formata da un protone ed un neutrone prende il nome di nucleone. I nucleoni sono stabili e fortemente coesi per effetto della cosiddetta forza di interazione forte.
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Il postulato fondamentale della meccanica quantistica che ciascuna particella pu scambiare (cedere o assumere) energia soltanto per valori discreti che vengono detti quanta (quantum al singolare). Gli stati di energia permessi ad una qualsiasi particella elementare sono quelli caratterizzati da valori, detti livelli, rappresentati dai relativi numeri quantici. Il numero quantico principale, n. descrive lo stato energetico per essere completamente definito richiede che siano assegnati altri tre valori quantici: la determinazione dello stato energetico richiede quindi una quaterna di numeri. Ciascuno dei nucleoni risulta caratterizzato univocamente da una quaterna di numeri quantici n, l, j, m, cos definiti: n, numero quantico principale e definisce lenergia della particella; n pu assumere tutti i valori interi da 1 a infinito n=1,2,3,4,5... l, numero quantico azimutale e definisce la forma dellorbita; l pu assumere tutti gli (n-1), (n-3), (n5). valori fino a 1, o zero. Ad es. per n=1 si ha un solo valore di l (l =0), per n=2 l= 1, se n=3l= 2, 0 j, numero quantico di spin, ci dice se il moto della particella nellorbita procede nella stessa direzione o in direzione opposta al suo spin; j pu assumere i l+1/2 ed l-1/2 valori positivi. Nellesempio sopra riportato il nucleone che risiede sul terzo livello n=3 avr due diversi numeri di spin: se l=0 J= (1/2) se l=2 J=(1/2) e J=(3/2). m, numero quantico magnetico, ci dice qual lorientazione dellorbita nello spazio rispetto ad una direzione data; m pu assumere i valori che vanno da j, (j-1), (j-2), 0.. fino a j. Nellesempio sopra riportato i cinque valori che m assume per J=(3/2) sono ( 3/2), (1/2), 0, - (1/2), - (3/2). Assegnare una quaterna di valori quantici ad un nucleone, vuol dire definirne completamente lo stato energetico. Per le particelle elementari vale sempre il principio di esclusione detto anche principio di Pauli. Tale principio esclude che possano coesistere nello stesso sistema atomico due particelle caratterizzate dalla stessa quaterna quantica. Utilizzando tutti i valori permessi dai numeri quantici possibile fare un elenco completo delle orbite permesse per ciascun nucleone. Per n=1 si ha un solo valore di l (l=0), un solo valore di j (j=0) e due valori di m (1/2 e -1/2). Al primo livello di energia troviamo quindi due nucleoni ciascuno caratterizzato da una propria quaterna quantica (1, 0, 0, +1/2) e (1, 0, 0, -1/2). I nucleoni che differiscono solo per il numero quantico di spin si dice che formano un doppietto. Ogni nucleone del doppietto vincolato rispetto allaltro dalla forza di legame nucleare. Le grandezze caratteristiche delle particelle sono la loro massa, la carica elettrica, il momento magnetico angolare intrinseco (spin) , il momento magnetico e la parit, per come specificati appresso: 1) La massa che dipende dalla velocit assunta dalla particella stessa, in base alla formula relativistica: m = m0c2/ 1-v2/c2 2) la carica elettrica, che pu essere negativa, positiva o nulla 1,0,+1 3) lo spin o momento angolare intrinseco; la grandezza che esprime il momento di rotazione della particella sul suo asse. Si misura in unit h/2 dove h la costante di Planck, e rappresenta le possibili orientazioni che la particella pu assumere rispetto ad una data direzione (se s il numero quantico di spin il numero di tali orientazioni 2s+1).
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4) Il momento magnetico che pu essere negativo positivo o nullo (si misura in multipli del magnetone di Bhor,, dato dalla relazione =/4m dove e la carica dellelettrone ed m la sua massa). 5) La parit ossia la grandezza che esprime il comportamento della funzione donda associata alla particella (vedi 2.2) rispetto allinversione delle coordinate spaziali. La parit di una particella di momento angolare orbitale l (ovvero con numero quantico azimutale l) risulta essere (-1)l , cio pu essere positiva o negativa a secondo che nellinversione il segno cambi o no. In generale una funzione donda associata ad una particella pu essere rispetto allorigine simmetrica (pari) o antisimmetrica (dispari). Il concetto di parit proprio della meccanica quantistica. La conservazione della parit richiede che se due particelle che interagiscono la cui somma dei valori di l pari prima deve essere pari anche dopo linterazione. Ad esempio due nucleoni con l=4 che interagiscono possono finire uno in un orbita con l=1 e laltro in l =3 essendo sempre un numero pari la somma prima dellurto (l=4+4=8) e dopo lurto (l=3+1=4) . Per tutte i tipi di interazioni la parit, si conserva nel tempo; solo nel caso delle interazioni deboli (responsabili dei processi di decadimento e delle disintegrazioni), la parit non viene conservata.
P+
n + e+
Il positone, e+, si forma anche da processo di decadimento protonico per cui un protone decade in un neutrone emettendo un positone ed un neutrino. I decadimenti sono tipici processi di trasformazione con conservazione di carica: un neutrone di carica elettrica zero decade in un elettrone (carica -1) e in un protone (carica +1) oltre a un neutrino (carica zero); la carica totale dei prodotti del decadimento neutronico quindi zero. Nel decadimento protonico invece si conserva la carica elettrica +1: un protone (carica +1) decade in un positrone (carica +1) e un neutrone e un neutrino entrambi con carica zero.
n p+ + e + anti. p+ n +e++
Questevento accompagnato da liberazione di una quota discreta (quantum ) di energia pari a 0,786 MeV. Nel nucleo atomico i diversi nucleoni saranno disposti secondo i diversi livelli di energia. Al primo e pi basso livello caratterizzato dal numero quantico principale n=1, possiamo trovare o un neutrone isolato instabile ovvero un protone isolato stabile; nel primo caso si tratta di un atomo di idrogeno allo stato primordiale, nel secondo di un vero e proprio nucleo dellatomo di idrogeno, chiamato anche prozio, simbolo chimico H, il pi semplice di tutti gli atomi . Nello stesso livello n=1 possiamo trovare un doppietto nucleonico formato dalla coppia stabile protoneneutrone (a tale coppia si da il nome di deutone) con un solo elettrone perinucleare. Si forma cos il deuterio, D. Col deutone si completa il livello n=1. Tra i due nucleoni si esercita una intensa forza di reciproca attrazione, che tuttavia diventa repulsiva se essi distano meno di 0,4x10-13 cm; si dice anche che essi formano uno stato di
Decadimento neutronico beta: N P + e + anti Decadimento protonico beta+: P + N + e+ + Cattura elettronica(C.O.): P+ + e- = Annichilazione: e + e+ 2 26 26
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doppietto. Se il nucleo formato da tre nucleoni, una coppia di essi star nel livello n=1 mentre il terzo rimane isolato nel livello superiore n=2; se esso un protone (stabile) si conformer il nucleo dellisotopo di elio He stabile (A=3, Z=2), se invece il il livello n=2 e occupato da un neutrone esso rimarr allo stato isolato e costretto a decadere in breve tempo. Il nucleo cos formato prende il nome di trizio, T, radioattivo. Quando entrambi i livelli n=1 ed n=2, sono occupati dai rispettivi doppietti deuteronici il nucleo viene detto a strati chiusi: tale il caso del nucleo di He4, eccezionalmente stabile e il nucleone ulteriore eventuale dovr collocarsi sul livello n=3. Nel decadimento di un singolo neutrone si forma il pi semplice di tutti gli atomi, qual latomo di idrogeno, nel cui nucleo risiede il protone formatosi e che, grazie alla propria carica elettrica positiva, mantiene in orbita il proprio elettrone. Il decadimento di un neutrone da un doppietto di neutroni produce un nucleone, anchesso stabile, che prende il nome di deuterone (D): nn* np+ + e .Con tale tipo di decadimento si forma un atomo isotopo dellidrogeno il cui nucleo costituito dal deuterone, D+, e sempre da un solo elettrone orbitalico. Il simbolo del deuterio pertanto 2H. Il numero dei protoni nucleari distingue chimicamente un atomo dall altro. A tale numero, si d il nome di numero atomico, e viene indicato con la lettera Z. Il numero che esprime la somma complessiva dei protoni e neutroni prende il nome di numero di massa, e si indica con A. Atomi che hanno lo stesso numero atomico e differiscono per il numero di massa prendono il nome di isotopi. Atomi che hanno lo stesso numero di massa ma numero atomico diverso, prendono il nome di isobari. Un ipotetico nucleo formato da da una popolazione di n neutroni (con n 20 ) tutti allo stato di singoletto, la met di essi sono dstinati a decadere in un isotopo che ha numero di massa pari a n e numero atomico pari a n/2. Protoni e neutroni che si trovano associati a formare i nuclei degli atomi si ritiene che siano essenzialmente la stessa particella in quanto indistinguibili se non per la carica elettrica ma le forze che si esercitano tra di loro i (vedi interazioni forti, 2.2) sono sempre della stessa intensit si tratti di coppie protone-protone, o protone neutrone che neutrone-neutrone. Queste coppie rappresentano lo stesso stato nucleare, la stessa particella, che si presenta in due stati con carica diversa (Z= 0, 1) e alla quale viene dato il nome di nucleone (vedi il modello a quark). La struttura atomica rappresentata essenzialmente da tre tipi principali di particelle: neutroni, protoni ed elettroni. Queste particelle sono qualitativamente identiche per tutte le specie di atomi: solo il numero e la differente combinazione di esse a determinare le differenti propriet fisico-chimiche che distinguono le diverse specie chimiche. Gli atomi hanno un nucleo attorno al quale ruotano gli elettroni. Il nucleo, la porzione in cui concentrata tutta la sua massa (oltre il 99% della massa totale), esso non viene coinvolto in alcuna delle trasformazioni chimiche. l'atomo appare circondato da una zona decisamente meno densa, la nube elettronica. Sono gli elettroni che determinano i cambiamenti che caratterizzano le reazioni chimiche. Il numero di protoni costituisce lidentit chimica di ciascun atomo (numero atomico=Z); dato che ogni elemento formato da atomi uguali, il numero atomico caratteristico di ciascun elemento. I neutroni contribuiscono a dare stabilit al nucleo, anche in presenza di forze di repulsione tra i protoni
note
Le propriet chimiche degli atomi isotopi dello stesso elemento sono assolutamente identiche dato che esse dipendono dal numero atomico.Per distinguere gli isotopi si scrive davanti al simbolo chimico il numero di massa in alto e il numero di atomico in basso
Simbolo elemento
il numero atomico spesso si omette perch surrogato dallo stesso simbolo chimico.
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tutti positivi. La presenza dei neutroni nel nucleo contribuisce a determinare la massa dellatomo. Esistono atomi dello stesso elemento che hanno per massa diversa: due atomi dello stesso elemento hanno lo stesso numero Z ma se la loro massa diversa significa che diverso il numero di neutroni. Il numero che si ottiene sommando i protoni e i neutroni di un atomo viene definito numero di massa a indicato con la lettera A Ne consegue direttamente che:A Z = numero di neutroni. Assegnando valore unitario al protone e al neutrone si ottiene facilmente il peso atomico per ciascun isotopo che viene cos espresso in unit di massa atomica (uma). . I nuclei meno stabili sono quelli che contengono un numero dispari di neutroni e di protoni; tutti i nuclei di questo tipo, tranne quelli di quattro elementi, sono radioattivi. In genere, un numero di neutroni molto superiore a quello dei protoni rende il nucleo instabile; i nuclei di tutti gli isotopi degli elementi oltre il bismuto posseggono questa caratteristica, e infatti sono tutti radioattivi. La maggior parte dei nuclei stabili contiene un numero pari di protoni e di neutroni.
note
Un nucleone che si trova a livelli energetici superiori decade al livello pi basso consentitocce rappresenta il suo stato fondamentale, cedendo la differenza sotto forma di quantum di energia elettromagnetica, h cio sotto forma di fotone, ad altissima frequenza che prende il nome di raggio gamma, .
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minore. Nel decadimento detto beta il nucleo varia il suo numero atomico o per emissione di un elettrone o per emissione di un positrone. In entrambi i casi il suo stato nucleare varier da n a n 1: Il decadimento beta former lisobaro n+1, il decadimento beta+ former invece lsobaro n-1. Se il numero di massa tale da mantenere uno stato di equilibrio, principalmente tra le forze colombiane e le forze dellinterazione nucleare, allora il nucleo risulter stabile. Il generale possiamo dire che se il numero di protoni in eccesso rispetto a questo stato di equilibrio allora esso decadr in un positrone ed un neutrino. I positroni emessi vanno incontro al processo di annichilazione . Le masse delle due particelle scompaiono e trasformata in due fotoni gamma emessi in direzioni contrapposte. Oltre al decadimento protonico (+) si conosce un processo di decadimento neutronico(), il processo responsabile della formazione di materia atomica. Occorre naturalmente che ciascun elettrone sia catturato dal proprio protone, ristabilendo in tal modo la stessa neutralit di carica che il neutrone possedeva prima di decadere. Un terzo tipo di decadimento quello che comporta la cattura, da parte di un protone, di un elettrone perinucleare dello strato K o L, con conseguente sua conversione in neutrone. Questo processo equivalente al decadimento protonico ed spesso in competizione con questo; ad esempio il nuclide Pm141 decade per il 57% per emissione postonica e per 43% per cattura elettronica. La cattura di un elettrone converte un protone in un neutrone (vedi diagrammi di Feynman a lato). Come si pu facilmente costatare, tutti e tre tipi di decadimento si realizzano con conservazione della carica e della massa. I decadimenti beta rientrano nellambito dei processi di interazione debole. La velocit di disintegrazione, definita come periodo di semitrasformazione o tempo di dimezzamento, una variabile specifica e costante per ogni specie isotopica. Il tempo di dimezzamento (t) il tempo richiesto perch si disintegri la met dei nuclei contenuti nel campione radioattivo. Oltre il decadimento per emissione beta esistono le radiazioni conosciute come radiazioni e . Le radiazioni e consistono in vere e proprie particelle (elioni, elettroni o antielettroni rispettivamente) mentre le radiazioni gamma consistono in fotoni ad alta energia. Il decadimento alfa interessa solo isotopi che hanno elevato numero atomico (i cos detti nuclei pesanti).
NEUTRONE(0)
NEUTRONE(0)
positrone(+1)
()
W+
PROTONE(+1)
PROTONE
(+1)
anti() elettrone(-1)
Abbiamo visto come il decadimento nucleare neutronico converta un neutrone in un protone per contemporanea emissione di un elettrone (particella beta) e un antineutrino. Se consideriamo un singolo neutrone isolato, esso per effetto di una interazione debole in breve tempo, decade dando origine ad un atomo di idrogeno H: n* p+ + = 1H1. = Idrogeno o prozio, numero atomico 1, numero di massa 1, simbolo H. Con questo decadimento la materia neutronica si trasforma in materia atomica, nel nucleo dei quali si
1H1
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trovano i protoni ed altrettanti elettroni richiesti per la formazione degli orbitali. Occorre naturalmente che ciascun elettrone sia catturato dal proprio sistema nucleare che lo ha generato, formando in tal modo un atomo elettricamente neutro. Questa riappropriazione dellelettrone emesso avviene per successivi riavvicinamenti, durante i quali esso realizza traiettorie sempre pi prossime al nucleo, e quindi di energia pi bassa; ciascuno dei livelli energetici occupati dallelettrone prende il nome di orbitale. Il decadimento di un neutrone a partire da due neutroni genera un atomo di deuterio (numero atomico 1, numero di massa 2, simbolo D); La coppia protone-neutrone che si viene a formare prende cos il nome di deuterone. Il processo cos schematizzato: 2n = nn*(instabile) (np+) + D1 (stabile) Il decadimento di un solo neutrone a partire da tre neutroni genera un atomo di trizio (numero atomico 1, numero di massa 3, simbolo T) che a sua volta decade ulteriormente (con una semivita 12,5 anni) dando origine a formazione di un atomo di elio (numero atomico 2 numero isotopico di massa 3, simbolo He): 3n = (Dn*) + = 3 T (radioattivo per decadimento neutronico) + 3He A partire da due coppie di neutroni si ha formazione di una coppia di deuteroni particolarmente stabile cui si d, il nome di particelle alfa (elioni): 4n = (nn* nn*) 2D + 2 = 4He Con analoghi decadimenti si ha formazione del Litio 5, e cos oltre sino a ottenere tutti i diversi isotopi stabili che troviamo sul nostro pianeta. In conclusione: col decadimento neutronico la materia neutronica si trasforma in materia barionica; pertanto se n neutroni legati tra loro con forza nucleare forte decadono, si ha formazione di un atomo che ha n protoni nucleari, ed n elettroni perinucleari, oltre ad n antineutrini. I neutroni che non decadono contribuiscono a mantenere la stabilit del nucleo in quanto servono a smorzare le forze elettrostatiche di repilsiome che si esercitano tra protoni positivamente carichi.
note
Il pi semplice nucleo quello formato da un singolo protone, H, o da un singolo deuterone, cio da un doppietto nucleonico protone-neutrone, D. Il deuterone completa il primo livello di energia. Per un nucleo invece formato da tre nucleoni essendo il primo livello occupato dal doppietto il terzo nucleone si colloca al secondo livello. Se esso un protone. si ha formazione di un elione a massa 3 stabile; se invece si colloca un neutrone esso risulta isolato ed quindi destinato a decadere nell'isobaro elione stabile. Si formato cio il trizione. Una popolazione di n atomi di trizio risulta in un tempo di appena 11 secondi praticamente dimezzata (si dice meglio che la loro semivita di 11 sec). Il secondo livello si completa con una coppia protone neutrone e sia il pi stabile elione a massa 4 il nucleo pi stabile perch completa o ,come si dice in gergo quantistico, chiude il secondo strato: con lelione si ha infatti il primo nucleo a strati chiusi che particolarmente stabile (particella ).
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note
Il principio di Heisenberg espresso matematicamente dalla relazione:
Chimica generale
risulta pari alla somma dei protoni, Z, e dei neutroni, N, che vi risiedono. Il numero che esprime tale somma viene detto numero di massa, A (A=Z+N). Tutti i nuclei con uguale Z, seppure con valori diversi di A, appartengono allo stesso elemento chimico, e vengono detti isotopi; tutti i nuclei che hanno lo stesso valore di A, seppure con diversi valori di Z, prendono invece il nome di isobari. Nuclei che hanno lo stesso numero di neutroni e diverso numero atomico prendono il nome di isotoni. Ciascun elemento in realt formato da una mescolanza di isotopi, cos , ad esempio, per lidrogeno, il pi piccolo elemento che si conosca, formato da un solo protone ed un solo elettrone perinucleare. La sostanza comunemente chiamata idrogeno costituita in realt da una miscela di prozio e deuterio naturalmente presenti nella proporzione di circa 1: 6000. Le molecole di H2, HD e D2 contenute nellidrogeno molecolare ordinario possono essere separate sulla base del loro peso molecolare differente in quanto queste molecole sono formate da atomi che hanno massa diversa.
x=errore nella misura d ella posizione; mv= errore nella misura della quantit di moto; h = costante di Planck= =6,62617610-34 Js
x x mv h (1.12)
la costante h viene detta costante di Planck e vale 6,6256 10-34 x s. Dalla (1.12) risulta evidente che misurando la posizione con lincertezza x, la sua velocit non potr essere misurata simultaneamente con unincertezza 31 31
Chimica generale
minore di h/x. Il principio di Heisemberg indica chiaramente limpossibilit di descrivere con precisione le traiettorie delle particelle elementari che si muovono con una data quantit di moto. Questa difficolt rimossa dalla meccanica quantistica che descrive lo stato di ciascuna particella considerandone solamente i valori di energia (discreta) da assegnare a questultima. Data lestrema piccolezza di h, il principio di indeterminazione non influisce in pratica sulle misure di grandezze macroscopiche, ma interessa esclusivamente i fenomeni che si svolgono nel dominio atomico e nucleare.
note
1.14. Radionuclidi
I radionuclidi sono isotopi instabili che decadono per emissione di particelle fino a trasformarsi in isotopi stabili. Esistono radionuclidi naturali quali luranio, il torio il radio e radionuclidi preparati artificialmente mediante bombardamento con particelle ad alta energia (p.e. neutroni, deutoni, elioni) o per irraggiamento con neutroni prodotti dai reattori nucleari o per fissione nucleare o per fissione (frazionamento) del nucleo atomico di un elemento pesante in due o pi parti. Nei primi anni Trenta, gli esperimenti compiuti dai fisici francesi Irne e Frdric Joliot-Curie mostrarono che i nuclei di elementi stabili potevano essere resi radioattivi in modo artificiale, bombardando gli atomi con particelle nucleari accelerate, oppure con radiazioni di frequenza opportuna. Questo procedimento determina la formazione di isotopi radioattivi, detti anche radioisotopi, che sono il prodotto di complesse reazioni nucleari. Lo sviluppo di potenti acceleratori di particelle, che permette di accelerare i proiettili nucleari a energie molto elevate, ha reso possibile l'osservazione di migliaia di reazioni nucleari e lo studio del comportamento di isotopi radioattivi di diversa natura. Nel 1932 i due scienziati britannici John Cockcroft ed Ernest Walton furono i primi a impiegare particelle accelerate artificialmente per disintegrare nuclei atomici. Nel corso di un celebre esperimento, essi bombardarono un bersaglio di litio con un fascio di protoni accelerato da un moltiplicatore di tensione. I nuclei di litio 7 si spezzarono in due frammenti, ciascuno dei quali era un nucleo di elio 4. La reazione nucleare che ha luogo in questo processo pu essere espressa per mezzo dell'equazione: 7 Li+ 1 H =2 4 He; Il litio 7, l'idrogeno fondamentale e l'elio 4 hanno rispettivamente massa 7,018242 uma, 1,008137 uma e 4,003910 uma. La somma delle masse dei reagenti uguale a 8.026379 uma, mentre quella dei prodotti vale 8,007820 uma: la reazione comporta quindi una perdita di massa pari a 0,018559 uma. Ricorrendo all'equazione di Albert Einstein che esprime l'equivalenza tra massa ed energia, si conclude che 1 uma equivale a 931,3 MeV, e che la reazione nucleare indicata accompagnata dal rilascio di 17,28 MeV. La quantit di massa persa si trasforma in energia cinetica dei nuclei di elio.
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note
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Bq= disintegrazioni/s = N0
Nt=. N0 e-t
t = 1/
t = 1,44 t1/2
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e nella datazione dei fossili e dei resti archeologici (basato sul tempo di decadimento dei radionuclidi) etc. I radioisotopi naturali sono piuttosto rari (proprio in virt della loro instabilit), ma per mezzo dei reattori nucleari si possono produrre in grandi quantit atomi radioattivi, bombardando altri atomi con particelle altamente energetiche. ugualmente possibile ottenere elementi comunemente presenti nel mondo biologico sotto forma di specie marcate con radioisotopi. La reazione emessa rivelatile in varie maniere. Gli elettroni si possono rivelare con il contatore di Geiger, grazie alla ionizzazione che inducono in un gas, oppure con uno scintillatore in fase liquida, per le emissioni luminose causano da parte di opportuni fluidi. I metodi suddetti consentono di dosare quantitativamente un particolare isotopo presente in un campione biologico. possibile pure localizzare l'isotopo sfruttandone l'azione sui granuli d'argento di una emulsione fotografica, che verr poi sviluppata mettendo in evidenza le macchie (autoradiografia). I metodi di rivelazione descritti assicurano sensibilit elevatissime, tanto che, possibile rivelare praticamente uno per uno gli eventi di disintegrazione e, quindi, ogni singolo atomo che subisce il decadimento radioattivo. Uno dei primi impieghi della radioattivit in biologia consistette nel determinare il percorso chimico del carbonio durante la fotosintesi. Si immersero alghe verdi unicellulari in un'atmosfera contenente CO2, marcata (14CO z) e, dopo averle esposte alla luce solare, se ne separarono mediante cromatografia su carta i contenuti solubili a intervalli di tempo regolari. Disponendo una lastra fotografica sul cromatogramma essiccato si rivelarono piccole molecole che avevano incorporato il 14C proveniente dalla CO2. Il metodo permise di identificare la maggior parte dei componenti principali dell'iter fotosintetico che ha inizio con la CO2, e si conclude con la sintesi dello zucchero. Le molecole radioattive possono servire a seguire il corso di quasi qualunque processo cellulare. Un'esperienza tipica consiste nell'aggiungere alle cellule un precursore radioattivo, in modo che le molecole marcate si mescolino con quelle marcate gi esistenti; differendo solamente per la massa nucleare le due e vengono trattate dalla cellula nella medesima maniera, e si possono seguire i mutamenti di ubicazione o di forma chimica delle molecole radioattive in one del tempo. Si pu sovente esaltare la risoluzione di esperimenti come questi ricorrendo alla tecnica di marcatura intermittente (pulse and chase), nella quale il materiale radioattivo si aggiunge solo per un brevissimo periodo (pulse), eliminandolo poi per lavaggio e sostituendolo con materiale non radioattivo (chase). A differenti intervalli si prelevano campioni, identificando volta per volta la forma chimica o l'ubicazione della radioattivit. Metodi del genere facilitano lo studio perfino di molecole stabili e inerti come le proteine della cartilagine e dell'osso. I traccianti radioattivi, infatti, hanno dimostrato che quasi tutte le molecole di una cellula vivente subiscono continuamente la demolizione e la sostituzione. (turnover) Processi cos lenti di ricambio sarebbero praticamente impossibili da scoprire se non ci fossero gli isotopi radioattivi. Al giorno d'oggi virtualmente possibile marcare con isotopi radioattivi qualunque molecola biologica. Uno degli impieghi importanti della radioattivit in biologia cellulare la localizzazione dei composti radioattivi in sezioni di cellule intere o di tessuti, cosa che si effettua per mezzo dell'autoradiografia. In questa procedura si espongono brevissimamente le cellule a un determinato composto radioattivo e poi si mettono a
note
Amedeo Avogadro (1776-1856) studi le leggi di combinazione dei gas introducendo la fondamentale distinzione fra atomo e molecola. La sua legge, valida per i gas perfetti, afferma che volumi uguali di gas nelle stesse condizioni di pressione e temperatura contengono un ugual numero di molecole
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note
Il Litio ha peso atomico pari a 6,9258;Tale valore il risultato della media ponderale delle due percentuali isotopiche: 6Li= 6x 0,0742+ 7Li=7 x 0,9258.
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incubare per periodi variabili di tempo prima di fissarle o di trattarle per la microscopia ottica o elettronica. A questo punto si ricopre il preparato con pellicola fotografica sottile e lo si conserva al buio per parecchi giorni, durante i quali il materiale radioattivo decade. Alla fine si effettua lo sviluppo dell'emulsione, determinando cos la posizione della radioattivit nella cellula in base a quella dei granuli neri dell'argento. Incubando, per esempio, le cellule con un precursore radioattivo del DNA ([3H-timidina), si constata che il DNA viene fabbricato nel nucleo e vi permane. A1 contrario, marcando le cellule con un precursore radioattivo dell'RNA ([3H-]uridina) si osserva che l'RNA inizialmente fabbricato nel nucleo si accumula poi rapidamente nel citoplasma. Isotopi di alcuni elementi in grado di emettere positroni, come il C11 , O15, N13 e F18, sono utilizzati come traccianti radioattivi in quanto, se inseriti in particolari molecole capaci di localizzarsi in determinati tessuti, renderanno tali tessuti emittenti. Questa metodica consente una realizzazione radiografica e prende il nome di PET. Il metodo PET ha consentito, ad esempio, di evidenziare un maggiore consumo di glucosio-C11 nelle regioni sensoriali del cervello. Si poteva osservare cos che in alcuni pazienti, dopo stimolazione visiva di un occhio, un incremento nellutilizzo di glucosio nella regione sensoriale controlaterale del cervello. Gli elementi che emettono positroni hanno un tempo di dimezzamento molto breve che varia da 2 min a 2 ore, il che consente dosi massive di somministrazione causando nei pazienti tempi di esposizione alle radiazioni relativamente piccoli. Cos uno stesso paziente pu essere sottoposto a ripetute indagini.
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minata quantit di sostanza espressa in grammi nel corrispondente numero di moli (n) o viceversa. Per far ci ovviamente necessario conoscere il peso di una mole o Peso molare. Il Peso molare PM (pi correttamente Massa Molare) il peso (massa) di 1 mole e si misura in g mol-1 (pi correttamente in kg mol-1). Il Peso molare di una sostanza rappresenta quindi un fattore di conversione che permette di trasformare una quantit di sostanza espressa mediante il suo peso (Weight), nellequivalente numero di moli n e viceversa. Infatti se consideriamo il peso in grammi W(g) di una sostanza e vogliamo sapere a quante moli n corrispondono dobbiamo dividere W per il peso di una mole, cio per il Peso molare.
n ( mol ) = W (g) PM ( g / mol )
note
Viceversa se vogliamo calcolare quanti grammi pesa un determinato numero n moli di una sostanza, sar sufficiente moltiplicare il numero n di moli per il peso di una mole, cio per il Peso molare.
cos possibile introdurre una definizione pi generale di mole: una mole una quantit di sostanza contenente un numero di Avogadro di particelle costituenti. Diventa cos possibile parlare, ad esempio, di una mole di elettroni senza far riferimento al loro peso, ma al loro numero e, in definitiva alla loro carica complessiva, e quindi ad una certa quantit di carica elettrica (1 mole di elettroni corrisponde ad 1 Faraday = 96.485,34 Coulomb). Una conseguenza del principio di Avogadro che un medesimo numero di moli di una qualsiasi sostanza gassosa devono occupare sempre il medesimo volume (a P e T costanti). Infatti se volumi uguali di gas diversi nelle stesse condizioni di T e P contengono lo stesso numero di particelle., allora se ne deduce che gas che contengono lo stesso numero di particelle devono occupare lo stesso volume e che una mole di un qualsiasi gas, contenendo sempre lo stesso numero di particelle (il numero di Avogadro) deve occupare sempre il medesimo
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volume ed in particolare, a 0C e alla pressione di 1 atm occupa un volume pari a 22,414 l, detto volume molare standard. .
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Cap II
Latomo
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Tale ipotesi metteva in crisi la teoria elettromagnetica classica e decretava la nascita di una nuova meccanica detta quantistica". A.Sommerfeld (1919) proponeva un modello atomico, basato sulle proposte di Bohr, introducendo anche il concetto che le orbite degli elettroni non sono eguali fra loro, ma circolari od ellittiche e praticamente paragonabili a "gusci". Nel 1932, il fisico britannico James Chadwick scopriva il neutrone, una particella nucleare avente massa quasi identica a quella del protone, ma priva di carica elettrica. Oggi si sa che tutti i nuclei sono costituiti esclusivamente da protoni e neutroni; inoltre, in ogni atomo il numero di protoni uguale al numero di elettroni, e quindi al numero atomico. In tal modo l'atomo, possedendo un ugual numero di cariche positive e negative, risulta elettricamente neutro. Gli isotopi di uno stesso elemento possiedono un ugual numero di elettroni e di protoni, e quindi manifestano le stesse propriet chimiche, ma differiscono per il numero dei neutroni Gli atomi hanno dimensioni di circa 10-8 cm di diametro, (in un grammo di una qualsiasi materia vi sono circa 1023 atomi, una quantit enorme, che sfugge alla nostra immaginazione. Malgrado la presenza di elettroni, protoni e neutroni, gli atomi sono, per la massima parte, occupati da spazio vuoto! Il modello atomico proposto da Bohr-Sommerfeld, anche se presenta alcune incongruenze, tuttora considerato in linea di principio valido. Nel 1920 Rutherford teorizzava un nucleo formato da un numero di protoni eguale al suo numero atomico e da particelle neutre, senza carica elettrica, aventi una massa eguale a quella dei protoni, supposizione confermata pi tardi da James Chadwick, con la scoperta dei neutroni (19329). Uno dei principali successi dei fisici teorici fu la spiegazione degli spettri a righe caratteristici di ciascun elemento. Atomi eccitati da un'opportuna sorgente esterna di energia emettono radiazione elettromagnetica, di frequenza ben definita. Ad esempio, idrogeno gassoso tenuto in condizioni di bassa pressione in un tubo di vetro, emette luce visibile di color rosso, quando il tubo attraversato da cariche elettriche. L'esame di questa radiazione, eseguito a mezzo di uno spettroscopio, mostra che in realt il gas emette uno spettro a righe, ovvero radiazione di una serie di frequenze a distanza regolare una dall'altra. La teoria di Bohr permetteva di calcolare le lunghezze d'onda dello spettro di emissione in modo semplice e preciso, ipotizzando che ciascuna riga spettrale corrisponda al salto di un elettrone da un livello di energia superiore, e quindi pi distante dal nucleo, a un livello caratterizzato da una energia inferiore. Gli elettroni che normalmente occupano i livelli quantici pi vicini al nucleo, e perci hanno energia pi bassa, vengono "eccitati" dalle scariche elettriche, ovvero assorbono energia, e saltano a livelli quantici superiori; da qui possono "ricadere" ai livelli inferiori, cedendo nuovamente energia all'esterno sotto forma di radiazione elettromagnetica. Molti atomi pesanti possono essere eccitati in modo da coinvolgere gli elettroni pi vicini al nucleo e da provocare transizioni elettroniche tra livelli energetici interni. Queste transizioni richiedono grosse quantit di energia, e determinano l'emissione di raggi X, radiazioni molto penetranti a frequenza altissima. Louis Victor de Boglie e Erwin Schrdinger, a partire dal 1925, basandosi sui concetti della
note
Il modello di Rutherford aveva insite due contraddizioni: le forze repulsive coulombiane agenti tra le cariche positive protoniche, confinate in un limitato volume, avrebbero dovuto infatti dar luogo ad una istantanea disgregazione del nucleo. Infatti in base alle leggi dellelettrodinamica classica, ogni carica che si muove di moto non uniforme irradia onde elettromagnetiche a spese della propria energia di moto. In un tempo molto piccolo un elettrone atomico (circa 10-8 sec) dovrebbe quindi cadere sul nucleo. Era impossibile cos giustificare la stabilit temporale dellatomo Il primo problema fu risolto con lintroduzione delle forze nucleari agenti solo allinterno dei nuclei: la cosiddetta interazione nucleare forte Il secondo problema fu risolto da Bohr nel 1913 ricorrendo alle nuove ipotesi connesse con la teoria dei quanti elaborata da Planck nei primi anni del 1900.
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meccanica ondulatoria, affermavano che non si pu pi parlare di orbite atomiche, perch l'elettrone non pi esattamente localizzabile nello spazio, introducendo la teoria della probabilit, ossia che esso, ad un dato istante, si trovi in un determinato punto dello spazio. W. Pauli, nel 1931, ipotizza l'esistenza del neutrino, che verr poi osservato nel 1953. Werner Heisenberg formula lipotesi che protoni e neutroni stiano insieme nel nucleo grazie a forze di interazioni che nascono per esigenze di simmetria. Nel 1947 viene formulata la teoria della elettrodinamica quantistica (E.Q.) e nel 1949 la teoria delle interazioni fra le particelle elementari. Uno dei principali successi dei fisici teorici fu la spiegazione degli spettri a righe caratteristici di ciascun elemento: atomi eccitati da un'opportuna sorgente esterna di energia emettono radiazione elettromagnetica, di frequenza ben definita. Ad esempio, idrogeno gassoso tenuto in condizioni di bassa pressione in un tubo di vetro, emette luce visibile di color rosso, quando il tubo attraversato da cariche elettriche. L'esame di questa radiazione, eseguito a mezzo di uno spettroscopio, mostra che in realt il gas emette uno spettro a righe, ovvero radiazione di una serie di frequenze a distanza regolare una dall'altra.
Gli elettroni che normalmente occupano i livelli quantici pi vicini al nucleo, e perci hanno energia pi bassa, se "eccitati" saltano a livelli quantici superiori; da qui possono "ricadere" ai livelli inferiori, cedendo la stessa quantit di energia assorbita sotto forma di radiazione elettromagnetica di frequenza in accordo alla relazione di Planck E=h.
Niels Bohr
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cresta
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cresta vincolo
in cui h la costante di Planck ed m rappresenta la massa della particella che si muove con velocit v. Se supponiamo che l'elettrone nel suo moto orbitale si comporti come un'onda, affinch ci possa avvenire in maniera stabile si deve realizzare un'onda stazionaria stabile; in questo caso necessario che la circonferenza dell'orbita, 2r, sia uguale ad un numero intero, n, di lunghezze d'onda, ; ovvero: Se cos non fosse le onde interferirebbero "distruggendosi" e rendendo quindi instabile latomo. Nel 1926, Schroedinger propose un'equazione che mette in relazione l'energia cinetica e l'energia potenziale con'energia totale del sistema in esame, per ogni punto delle coordinate spaziali. La soluzione di questa equazione la funzione d'onda del sistema, e si indica con . L'interpretazione della funzione d'onda nasce da un'idea di Max Born, in analogia con la teoria ondulatoria della luce, secondo la quale, il quadrato dell'ampiezza di un'onda luminosa ha il significato di intensit, che in termini quantistici equivale al numero di fotoni presenti. Cos, mentre pu essere visto come ampiezza della funzione d'onda, 2 esprime la probabilit di trovare l'elettrone in un determinato punto di coordinate x, y, z. Pi esattamente, se in un punto r(x,y,z) la funzione d'onda dell'elettrone ha ampiezza , la probabilit di trovare l'elettrone nel volume infinitesimo v proporzionale a 2. Per trasformare questa proporzionalit in una uguaglianza sufficiente introdurre una adeguata costante di proporzionalit, scelta in modo che la somma delle singole probabilit, estesa a tutto lo spazio, sia uguale a 1, ovvero:
cavo cavo
cavo
2r = n.
= 2 L Vibrazione fondamentale
= L Prima armonica
nodo
nodo
2 L 3
2 L 4
Seconda armonica
Terza armonica
Questo procedimento si dice normalizzazione della funzione d'onda. Per l'elettrone dell'atomo di idrogeno nello stato fondamentale, la funzione d'onda normalizzata :
esempi di onde stazionarie lineari in risonanza armonica: le diverse lunghezza donda pari a 2L/n; devono soddisfare la condizione quantica cio che n non pu assumere valori frazionari ma solo valori interi: la vibrazione fondamentale si ha per n=1, la prima armonica per n=2, la seconda per n=3 e la terza per n=4.
Dove a0 = 0.53 e r distanza dal nucleo. Quindi, la probabilit di trovare l'elettrone in un elemento di volume infinitesimo , a distanza r dal nucleo, data dalla relazione:
Il grafico di questa funzione, descrive la cosiddetta densit di probabilit elettronica. Come si pu osservare, la densit per unit di volume massima sul nucleo e decresce progressivamente allontanandosi da esso, fino a diventare zero a distanza infinita. essenziale capire che tutto ci non significa che la probabilit di trovare l'elettrone sul nucleo
esempio di onda stazionaria circolare di lunghezza donda =2r/n,, n deve assumere solo valori interi cio deve sempre soddisfare la condizione quantica.
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massima. Se confrontiamo un elemento di volume in prossimit del nucleo con uno identico lontano da esso, riscontriamo in effetti che pi probabile trovare l'elettrone nell'elemento di volume pi vicino al nucleo. Tuttavia, man mano che ci allontaniamo dal nucleo, il numero degli elementi di volume cresce proporzionalmente al quadrato della distanza (l'area di una superficie sferica data da 4p r2). Quindi, molto pi indicativo considerare la funzione che descrive la probabilit di trovare l'elettrone su una superficie sferica. Dato che r2 aumenta in modo quadratico al crescere del raggio, mentre 2 diminuisce, la funzione di distribuzione radiale assume la forma illustrata in figura dove si evidenzia un massimo che corrisponde al raggio pi probabile, r = a0, al quale si pu incontrare l'elettrone intorno al nucleo. Per l'atomo di H nello stato fondamentale questo valore coincide con il raggio di Bohr in cui l'elettrone si trova solo ad una distanza definita dal nucleo. Secondo la meccanica ondulatoria l'elettrone invece del tutto "non localizzato" , ma si trova con maggior probabilit a distanza 0.53 dal nucleo: in ogni punto distante r dal nucleo e massima la probabilit di localizzare l'elettrone all'intera superficie di massima probabilit si da il nome di orbitale. E conveniente, descrivere un elettrone peri-nucleare come una nuvola elettronica, cio dobbiamo rappresentarlo non pi come una particella, ma come una superficie di distribuzione di una carica diffusa. Questa superficie avr la forma propria dell'orbitale e sar pi o meno estesa intorno al proprio asse con una probabilit del 90 o 95%: ci vuol dire che l'elettrone passa il 95 % del proprio tempo all'interno di questa determinata superficie"; ovvero il 95% della carica elettronica localizzato all'interno di quella determinata superficie". Gli elettroni si collocano a varie distanze dal nucleo nella cosiddetta corteccia elettronica ove individuano i diversi livelli denergia, che si succedono secondo valori crescenti, individuando le orbite. Nell'ambito dogni orbita gli elettroni possono stazionare in un dato numero di orbitali.
2.3. Gli orbitali atomici Densit di probabilit elettronica 2 in funzione della distanza dal nucleo, r, (in ngstrm)
Gli elettroni, secondo il modello quantistico, possono "saltare" da un'orbita all'altra ed ogni salto accompagnato da uno scambio di energia elettromagnetica quale sono i fotoni. Il livello denergia sar tanto maggiore quanto pi grande sar la distanza fra l'orbita di Bisogna tener conto che il nucleo esercita sull'elettrone una forza dattrazione tanto maggiore quanto pi vicino ad esso si trova lelettrone, di conseguenza si avr assorbimento di energia quando esso passa da un'orbita pi interna ad una pi esterna; col movimento di avvicinamento al nucleo al contrario lelettrone passa da stati di energia elevata verso stati di energia inferiore, radiando lenergia corrispondente ai salti effettuati, fino a raggiungere il livello stazionario pi basso consentito, cio collocandosi su orbitali che hanno man mano traiettorie sempre pi prossime al nucleo. Tale modello, completamente descritto dalla meccanica quantistica, assume che ciascuna orbita venga considerata come stato (o livello) di energia stazionaria. Il concetto di stato stazionario richiede per essere descritto in termini quantistici di quattro numeri detti, appunto, numeri quantici. Fino a quando lelettrone permane nel suo stato stazionario (la sua orbita) esso non scambia in alcun modo energia e mantiene la stessa quaterna quantica; se, al contrario, assorbe il quantum di energia necessario a collocarlo su una nuova orbita
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egli raggiunger il nuovo stato di energia superiore e il nuovo stato sar descritto da una nuova quaterna quantica (il livello raggiunto sar detto stato energeticamente eccitato. Lelettrone perinucleare pu essere visualizzato come una nuvola di carica elettrica negativa che avvolge il nucleo. Questa nuvola viene descritta matematicamente da un equazione differenziale di Schrodingher, detta anche funzione donda , le cui soluzioni (o autofunzioni), sono ottenute sulla scorta di autovalori, i quattro numeri quantici, prendono il nome di orbitali atomici (O.A) n,l,m,s,. Il valore attribuito a ciascuna quaterna quantica (n,l,m,s) non pu essere assegnato arbitrariamente, essendo essi vincolati da una serie di restrizioni, come di seguito descritto. 1) n, numero quantico principale: numero intero i cui valori vanno da 1 , 2 . ad n; esso assegna il valore di energia di ciascuna orbita permessa e ne definisce la grandezza. 2) l, numero quantico azimutale; esso descrive la geometria dellorbitale; i valori di l sono solo i numeri interi compresi tra zero ed n-1 (l= 0,1,2,.n-1); Ci significa che se n=1, l pu essere solo zero; se n=2, l pu assumere due valori possibili: zero ed 1; se n=3 i tre valori possibili di l saranno zero. 1 e 2, e cos oltre. 3) m, numero quantico magnetico; esso esprime il grado di degenerazione dellorbitale; i valori di m sono ristretti dal valore di l, essendo essi tutti i valori interri, compreso lo zero, che vanno da -l a +l cio: -l < m < +l, ci comporta che se l=0 allora m pu assumere il solo valore zero, se l=1 allora m pu avere solo tre valori, lorbitale sar quindi tre volte degenere: m=-1, 0, +1; per l=2 si hanno 5 valori di m, lorbitale sar quindi 5 volte degenere m=-2, -1, 0, +1, +2, e cos oltre. 4) s, numero quantico di spin esso assume solo i valori semi-interi +l/2 e -1/2 In assenza di un campo magnetico esterno lenergia di un orbitale atomico determinata solo dai valori di n ed l. IIl numero di elettroni che un atomo mette a disposizione nella formazione di un legame con un altro atomo uguale o diverso viene detto genericamente valenza. I soli elementi del sistema periodico che praticamente non reagiscono sono i gas nobili in quanto le loro configurazioni elettroniche esterne sono complete: tutti i gas nobili, ad eccezione dell'elio, presentano nello strato esterno otto elettroni di cui due si trovano sull'orbitale s,mentre gli altri sei occupano l'orbitale p. La configurazione elettronica esterna s 2p6 (ottetto) perci una configurazione particolarmente stabile che gli atomi tendono a raggiungere con la formazione di legami chimici scambiando elettroni con altri atomi al fine di raggiungere una configurazione ottieziale Gli orbitali atomici vengono praticamente designati con i termini ottenuti dalla osservazione dei loro spettri le cui righe apparivano diverse per aspetti qualitativi (in inglese: Sharp, Principal, Diffuse; Fondamental). Le iniziali di questi attributi fornivano il nome ai diversi tipi di orbitali s, p, d, f in corrispondenza dei diversi valori quantici di l e precisamente: l=0 s, l=1 p, l=2 d, l=3 f. Il numero quantico che definisce il tipo di orbitale dunque il numero quantico secondario l: quando il valore di l zero lorbitale sar di tipo s; se l 1 lorbitale sar di tipo p; se l = 2 lorbitale sar di tipo d; se infine l=3 lorbitale sar di tipo f. Ciascuna orbita e caratterizzata da un determinato valore di energia (livello quantico) e comprende uno o pi orbitali. Possiamo cos riassumere come segue: Prima orbita (K) n= 1; un solo orbitale l=0 che ospita fino ad un massimo di due elettroni (1s2).
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0.53 ngstrom.
la funzione di distribuzione radiale evidenzia un massimo che corrisponde al raggio pi probabile, r = a0, con a0 =
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note
Chimica generale
Lelemento che completa la prima orbita il gas nobile elio. Seconda orbita (L) 2 orbitali l=0 2s e l=1 2p che ospitano fino ad un massimo di otto elettroni (2s2 2p6). Lelemento che completa la seconda orbita il gas nobile neon. Terza orbita (M) 3 orbitali 3s, 3p, 3d che ospitano fino ad un massimo di diciotto elettroni (3s2 3p6 3d10). Quarta orbita (N) 4 orbitali 4s, 4p, 4d e 4f che ospitano fino ad un massimo di trentadue elettroni (4s2 4p6 4d10 4f14). Quinta orbita (O) 4 orbitali 5s, 5p, 5d e 5f che ospitano fino ad un massimo di trentadue elettroni (5s2 5p6 5d10 5f14). Lelemento che completa la quinta orbita il gas nobile xeno. Sesta orbita (P) 4 orbitali 6s, 6p, 6d e 6f che ospitano fino ad un massimo di trentadue elettroni (6s2 6p6 6d10 6f14). Lelemento che completa la sesta orbita il gas nobile radon. Settima orbita (Q) 4orbitali 7s, 7p, 7d e 7f che ospitano fino ad un massimo di trentadue elettroni (7s2 7p6 7d10 7f14. Occorre sin dora precisare che lordine di riempimento degli elettroni negli orbitali non rispetta lordine di successione del numero quantico principale n, ad esempio lorbitale s della quarta orbita si trova ad un livello energetico inferiore dell orbitale 3d della terza orbita ( auffbau).
Chimica generale
note
Quando latomo H si trova nel suo stato fondamentale, vale a dire allo stato stazionario, lelettrone ruota attorno al nucleo su unorbita conservando costante la sua energia totale (in pratica senza irradiare energia). Quando latomo viene energeticamente eccitato lelettrone pu saltare in unorbita successiva di raggio pi elevato per caratterizzata da un ben definito e costante contenuto denergia chiamata da Bohr stati stazionari. Se non viene fornita la quantit esatta denergia che pari alla differenza tra lenergie delle due orbite, il salto dellelettrone non avviene. Una volta cessata leccitazione energetica ogni elettrone ritorna al proprio stato fondamentale rimettendo lenergia acquistata sotto forma di un fotone di frequenza
45
note Per orbitale si intende la regione perinucleare ove si ha la massima probabilit di trovare un lettrone. durante il suo movimento. Gli elettroni, secondo il modello quantistico, possono "saltare" da un'orbita all'altra: ogni salto accompagnato da uno scambio di energia elettromagnetica sotto forma di quantum fotonico, di energia pari alla differenza tra i due livelli: E = h n2- h n 1 . Linsieme di
questi quanti, opportunamente registrati, formano il cosiddetto spettro atomico
Chimica generale
Elementi del III gruppo: hanno tre elettroni periferici che ugualmente tendono a cedere (metalli terrosi). Elementi del IV gruppo: avendo 4 elettroni periferici, possono cederli o acquistarli, hanno perci un comportamento metalloidico o anfotero. Elementi del V, VI, e VII gruppo: avendo rispettivamente 5, 6, 7 elettroni periferici, tendono, per raggiungere una configurazione stabile, ad acquistare gli elettroni mancanti da altri elementi disposti a cederli; il loro comportamento chimico qello tipico dei non-metalli. Elementi del gruppo VIII : lo strato esterno saturo di elettroni (8); essi si trovano in uno stato di massima stabilit, per cui non tendono a combinarsi con nessun elemento, vengono perci detti gas nobili.
2.6.3 Lantanidi
due elettroni che risiedono sullo stesso orbitale devono avere spin opposto (antiparalleli) e formare cos un doppietto elettronico.
Sono detti attinidi i quattordici elementi che riempiono gli orbitali 5f prendono il nome dal primo di essi l Attinio e vengono perci detti Attinidi.
2.6.4 Attinidi
Fu Enrico Fermi (1901-1954) ad individuare nel neutrone la particella pi adatta a penetrare nei nuclei degli atomi pesanti e a rimanerne intrappolata. I nuovi nuclei che ne risultavano per la maggior parte erano instabili e tendevano a ripristinare la stabilit liberandosi di un elettrone e di un antineutrino (decadimento beta); in altri termini bombardando con neutroni lenti il nucleo di un elemento pesante se ne formava un isobaro di quello sottoposto al trattamento. Nel 1940 Edwin M. McMillan e Philip H. Abelson estrassero da un campione di uranio, che in precedenza era stato irradiato con neutroni, lelemento 93, il primo al di l delluranio. Ad esso dettero il nome di nettunio dato che Nettuno il primo pianeta dopo Urano. Nel corso degli anni quaranta e cinquanta un gruppo di fisici, continuando le ricerche scoprirono il oltre al plutonio dal pianeta Plutone) tutta una serie di nuovi elementi che andavano ad occupare i posti compresi fra il numero 95 e il 100; essi erano: americio, curio, berkelio, californio, einstenio e fermio, tutti prodotti per cattura neutronica e susseguente decadimento beta. Con il fermio terminava per la possibilit di ottenere atomi attraverso il bombardamento con neutroni lenti perch al di l di un certo assembramento di particelle allinterno del nucleo non si realizzava pi il decadimento beta. Per continuare a produrre elementi sempre pi pesanti si doveva cambiare strategia. Il nuovo metodo che venne adottato fu quello di far collidere nuclei
46 46
Chimica generale
relativamente leggeri (carbonio, azoto e ossigeno) con elementi transuranici. Per eseguire questi esperimenti era per necessario imprimere ai proiettili grandi velocit. Furono quindi studiati acceleratori di nuova concezione. Nel 1955 il gruppo di Berkeley sintetizzava lelemento 101 per fusione di elio e einstenio e ad esso era stato dato il nome di mendelevio. Poi, fra il 1958 e il 1974 furono sintetizzati gli elementi nobelio (102), lawrencio (103), rutherfordio (104), dubnio (105) e seaborgio (106). Poco dopo vennero anche sintetizzati lelemento 108 e il 109. Al primo fu assegnato il nome di assio (dalla regione tedesca dellAssia dove si trova Darmstadt) e al secondo il nome di meitnerio (in onore di Lise Meitner, la straordinaria fisica austriaca morta nel 1968 allet di novanta anni). Fra il dicembre del 1994 e il febbraio del 1996 il gruppo di fisici tedeschi riusc a sintetizzare, non senza difficolt, pochi atomi degli elementi numero 110, 111 e 112 a cui a tuttoggi non ancora stato assegnato un nome ufficiale. Ma lambizione dei fisici quella di riuscire ad aggiungere alla serie altri sei elementi, fino ad arrivare a quello con numero atomico 118, in modo da completare il settimo periodo del Sistema Periodico. A titolo di esempio utilizziamo il principio di costruzione per lelemento che ha numero atomico 53 cio esso possiede 53 elettroni che saranno cos distribuiti: 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 4s23d104p6 5s2 4d10 5p5 Per quanto detto esso avr una distribuzione (in ordine di energia crescente) del tipo: Prima orbita (k) due elettroni 1s2 Seconda orbita (L) otto elettroni 2s2 2p6 (primo periodo) Terza orbita (M) diciotto elettroni 3s2 3d10 3p6 ( secondo periodo) Quarta orbita (N) diciotto elettroni 4s2 4d10 4p6. ( primo grande periodo) Quinta orbita (O) sette elettroni 5s2 5d5 (secondo grande periodo) Si tratta di un elemento che in orbita esterna possiede sette elettroni; esso quindi un non metallo del VII gruppo. Col numero atomico 53 troviamo infatti lelemento Iodio (alogeno) .
note
Il numero di ossidazione di un elemento in una molecola tiene conto del numero di elettroni che esso impegna complessivamente nella formazione dellintera molecola. Nel caso dellacido solforico H2SO4 il n. di ox dello zolfo (S) +6. Vediamo perch: il numero nella molecola (N.O.=0) di H2SO4 pari a +1x2=2 relativamente allH; 2x4=8 relativamente all O; il S deve quindi avere N.O, +6 (essendo la somma pre lintera molecola zero: 28+6=0). Esso dunque definibile a posteriori.
Energia di ionizzazione: lenergia necessaria a staccare un elettrone da un atomo con formazione di uno
ione positivo. Lenergia di prima ionizzazione lenergia occorrente per allontanare il primo elettrone esterno di un atomo.
47
note
Chimica generale
durezza, lucentezza e buona conducibilit del calore e dellelettricit (propriet fisiche).I metalli hanno unelevata capacit di cedere elettroni e propriet tipiche dei metalli sono durezza, lucentezza e buona conducibilit del calore e dellelettricit (propriet fisiche). I metalli hanno unelevata capacit di cedere elettroni e sono quindi in grado di formare ioni positivi hanno energie di ionizzazione e affinit elettronica basse. I non metalli hanno energie di ionizzazione e affinit elettroniche alte, sono gas o solidi friabili; la loro superficie opaca e isolanti. Come propriet chimica i non metalli hanno la capacit di prendere elettroni e perci sono in grado di formare ioni negativi. Infine alcuni elementi hanno propriet sia metalliche che non e vengono indicati come semi metalli; per esempio il silicio. Le propriet metalliche lungo un periodo diminuiscono procedendo da sinistra verso destra. I raggi atomici aumentano procedendo nella tavola periodica dallalto in basso e da destra verso sinistra. I metalli I gruppi B mostrano tutti propriet metalliche e anche attinidi e lantanidi. enzialmente dalla capacit che gli elementi hanno di scambiare elettroni (mediante cessione, acquisto o compartecipazione) con altri atomi. Questa capacit viene espressa in diverse maniere e precisamente come potenziale di ionizzazione , affinit elettronica, elettronegativit, valenza e numero di ossidazione. A tali propriet, che variano periodicamente al variare del gruppo, si d il nome di propriet periodiche. Si definisce potenziale di ionizzazione lenergia richiesta a per portare allinfinito uno o pi elettroni da un atomo neutro con formazione del relativo catione. Si esprime in elettronvolt eV. Lenergia per strappare il primo elettrone viene detta energia di 1 ionizzazione, lenergia per strappare il secondo elettrone viene detta energia di 2 ionizzazione e cos via; mentre laffinit elettronica lenergia che si libera quando un elettrone viene associato ad un atomo neutro allo stato gassoso per formare un anione. Anche per le affinit elettroniche vale il criterio di periodicit: esse diminuiscono con laumentare del numero atomico dellelemento nello stesso gruppo. Misurata per gli elementi alogeni ossigeno e carbonio. Pi gli elettroni si allontanano dal nucleo e meno sono attratti dalle cariche positive dei protoni. La terza maniera di esprimere la tendenza a scambiare elettroni di ciascun elemento, e che combina le prime due, quella introdotta da L.Pauling e R.Millikan definita come elettronegativit. nella Tabella che segue sono riportati i valori di elettronegativit di alcuni elementi, secondo Pauling. L'elettronegativit una propriet periodica degli elementi, Come si pu osservare gli elementi classificati nel I A possiedono tutti nellultima orbita un solo elettrone (cio ns1), essi hanno tipico comportamento metallico essendo caratterizzati da una scarsa propensione a trattenere questo elettrone, cio hanno bassissimo valore di elettronegativit (<1). Gli elementi del II gruppo A possiedono tutti due elettroni sullultima orbita e precisamente ns1; sono anchessi elettrondonatori (bassa elettronegativit) hanno quindi caratteristiche metalliche . Nella tavola periodica il carattere metallico aumenta dallalto verso il basso e diminuisce da sinistra verso destra. Il cesio quindi il metallo pi attivo; il fluoro il non metallo pi attivo.
Prima orbita K Quarta orbita K; n=1; l=0 m=0: n=4, l=0, l=1,l=2,
Chimica generale
Elettronegativit di alcuni elementi, secondo Pauling
note
H 2.1 Li 1.0 Na 0.9 K 0.8 Be 1.5 Mg 1.2 Ca 1.0 B 2.0 Al 1.5 C 2.5 Si 1.8 N 3.0 P 2.1 As 2.0 O 3.5 S 2.5 Se 2.4 Te 2.1 F 4.0 Cl 3.0 Br 2.8 I 2.5
Le propriet periodiche che meglio devono essere conosciute sono quelle che si riferiscono al numero di elettroni ellultima orbita; tali propriet, che fanno direttamente riferimento alla capacit di ciascun elemento a formare i diversi legami con altri atomi, sono la covalenza ed il numero di ossidazione. Covalenza La covalenza quel numero assoluto che esprime la capacit dellelemento a formare legami covalenti. Tale numero corrisponde quindi al numero di elettroni spaiati che ciascun elemento possiede sullultima orbita. La valenza di ciascun elemento dunque definibile a priori essendo ricavabile dalla posizione che esso occupa nella tavola periodica: IA monovalenti: (Li, Na, K, Ru, Cs) IIA bivalenti (Be, Ca, Mg, Sr, Ba) IIIA trivalenti (B,Al, Ga, In, Tl) IVA tetravalenti (C, Si, Ge; Sn, Pb) VA trivalenti (N, P, As, Bi, Sb) VIA bivalenti (O, S, Se, Te, Po) VIIA monovalenti (F, Cl, Br, I) definisce il numero di elettroni effettivamente impegnati nella formazione di legami interatomici. Tale numero pu essere conosciuto solo dopo aver definito lintera molecola (composto) alla cui formazione concorre lelemento. Il numero di ossidazione di ciascun elemento dunque definibile a posteriori: esso pu essere determinao solo dopo che si conoscono i tipi di lagame che esso realizza nellintera molecola cui appartiene. Per ciascun elemento si possono solo prevedere, a priori solo i valori minimi e massimi in base al gruppo di appartenenza, per come riportato di seguito: IA N.O min 0 max +1
Il.riempimento degli orbitali avviene secondo la direzione indicata dalle frecce. La successione degli orbitali, in ordine crescente di energia dunque:1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 4s23d104p6 5s2 4d10 5p6 6s2 4f14 5d10 6p6 7s2 ...........
Energie di 1 ionizzazione
25 20 eV 15 10 5 0 0 5 10 15 Z L energia di ionizzazione segue il criterio di periodict degli elementi, aumenta cio con il progredire del periodo e i suoi valori sono comparabili nellambito del gruppo . 21,56 17,41 14,45 13,61 11,26 9,32 8,98 8,29 5,39 5,01
49
note
IIA N.O min 0 max +2
Chimica generale
IIIA N.O min 0 max +3 IVA N.O min 4 max +4 VA N.O min3 max +5 VIA N.O min 2 max +6
Regola dellottetto: il livello pi esterno di ogni atomo pu contenere fino ad un massimo di otto elettroni cio la configurazione del gas nobile, Fanno eccezione lidrogeno e lelio il ci orbitale si completa con due elettroni. La regola dellottetto costituisce la base razionale per la previsione del comportamento chimico di ogni elemento.
VIIA N.O min 1 max +7 Le convenzioni che permettono di calcolare il N.O. sono: A) Ciascun elemento che forma legami con se stesso (stato elementare) ha un numero di ossidazione zero. B) L idrogeno combinato ha sempre N.O. = +1 (ad eccezione degli idruri ove ha valore 1) C) Lossigeno combinato ha sempre N.O. = 2 (ad eccezione dei perossidi O-O in cui assume il valore di 1). D) Il numero di ossidazione dellintera molecola deve essere zero N.O. = Il numero di ossidazione di uno ione corrisponde alla sua carica ionica. E) Per ogni altro il suo N.O. deve essere calcolato come numero algebrico in modo che lN.O. dellintera molecola sia sempre pari a zero.
2.8.Spettroscopia
Le radiazioni elettromagnetiche (sia visibili che non) sono caratterizzate da una frequenza n pari al numero di oscillazioni nell'unit di tempo (espressa perci in s-1). La radiazione si propaga con velocit c che massima nel vuoto: c = 2,997925x10-8 ms-1 (cio circa 300.000 km/s). Possiamo schematizzare lo spettro elettromagnetico come un insieme di bande di lunghezze d'onda decrescente in scala esponenziale, dalle onde radio fino ai raggi gamma:
La lunghezza d'onda lo spazio percorso nella direzione di propagazione x in una oscillazione completa. A l'ampiezza, che corrisponde all'intensit della radiazione. La lunghezza d'onda legata alla frequenza attraverso la relazione = c/, in cui c la velocit della luce.
Gli atomi e le molecole se eccitati emettono radiazioni del tipo : infrarosso (IR) 9 x 10-2 8 x 10-5 cm; visibile (Vis) 8 x 10-5 4 x 10-5 cm; ultravioletto (UV) 4 x 10-5 2 x -6 cm 10 Ad ogni radiazione corrisponde un quanto di energia dato dalla relazione di Planck: secondo la relazione
50 50
Chimica generale
note
E = h
quantizzata secondo la costante di Planck h che vale: h = 6,626196 x 10-34 J s L'interazione luce-materia comporta scambi di E ed avviene per quanti o fotoni, pacchetti di energia hn Se eccitiamo degli atomi (sono gli elettroni a subire l'eccitazione, passando a livelli pi alti di energia) questi, tornando al loro stato iniziale, emettono radiazioni che possiamo analizzare con un metodo che le disperda: pu essere un prisma (per il visibile), come nello schema precedente, oppure un appropriato reticolo (per altre radiazioni). Analizzando lo spettro emesso dall'idrogeno nella zona del visibile, Johann Jacob Balmer (1825-1898), fisico svizzero, scopr l'esistenza di una certa regolarit nelle righe dello spettro:
radiazioni possono venire disperse (o scomposte) nelle componenti, mediante prismi o reticoli. Lo schema rappresenta la dispersione della luce visibile, da parte di un prisma, nelle diverse lunghezze donda componenti.
51
note
Chimica generale
1 GRUPPO: METALLI ALCALINI. Hanno un elettrone nel livello esterno. Litio (Li), Sodio (Na), Potassio (K). Hanno valenza rispetto H =1. 2 GRUPPO: METALLI ALCALINO-TERROSI. Hanno due elettroni nel livello esterno. Berillio (Be), Magnesio (Mg), Calcio (Ca). Hanno valenza rispetto H =2. 3 GRUPPO: ELEMENTI TERROSI. Hanno tre elettroni nel livello esterno. Boro (B), Alluminio (Al). Hanno valenza rispetto H =3. 4 GRUPPO: GRUPPO DEL CARBONIO. Hanno quattro elettroni nel livello esterno. Carbonio (C), (Si), Stagno (Sn), Piombo (Pb). Hanno valenza rispetto H = 4 . 5 GRUPPO: GRUPPO DELL'AZOTO. Hanno cinque elettroni nel livello esterno. Azoto (N), Fosforo (P), Arsenico (As). Hanno valenza rispetto H =3 6 GRUPPO:CALCOGENI Hanno sei elettroni nel livello esterno. Ossigeno (O), Zolfo (S). Hanno valenza rispetto H =2, 7 GRUPPO: ALOGENI . Hanno sette elettroni nel livello esterno. Fluoro (F) , Cloro (Cl) Bromo (Br), Iodio (I) .Hanno valenza rispetto H = 1. 8 GRUPPO: GAS NOBILI. Hanno otto elettroni nel livello esterno. Elio (He), Neon (Ne), Argon (Ar), Krypton (Kr), Xeno (Xe), Radon (Rn). Hanno valenza rispetto H = 0 (zerovalenti)
La covalenza corrisponde al numero di elettroni spaiati che ciascun elemento possiede sullultima orbita. La valenza di ciascun elemento definibile a priori, conoscendo la posizione che esso occupa nella tavola periodica
52 52
Chimica generale
note
53
2,1
idrogeno
1,0080
idrogeno
1,0080 1(-1)
2,1 2 note
He
Elio
4,0
1S
1(-1)
3 1,0 4 1,5 5 2,0 6 2,5 7 3,0 8 3,5 9
4,0 10
2
11
Li
6,941
litio
1
9,01218
berillio
2
Be
10,81
Boro
3
Carbonio
12,011
14,0067
azoto
15,9994 18,9984
Ossigeno
-2(-1)
Fluoro
Ne
20,179
2S2P
Neon
4(2)
1,5 14
5(4)3(2,1)
16
(+1)-1
3,0 18
1,0 12
1,2
13
1,8 15 2,1
2,5 17
3 4
Na
22,9898
sodio
1
Magnesio
24,305
Mg
2
Alluminio
26,9815
Al
3
28,086
Silicio
4
Si
30,9738
Fosforo
32,06
Zolfo
35,453
Cloro
Cl
Ar
39,948
3S3P
Argo
5(4)3(1)
1,8 33 2,0
6,4(2) 7,5,3,1
34 2,4 35 2,8 36
19
0,8 20
1,0
21
1,3 22
1,5 23
1,6 24
1,6 25
1,5 26
1,8 27
1,8 28
1,8 29
1,9 30
1,6
31
1,6
32
potassio
39,102
K
1
Calcio
2
Ca
40,08
44,9559
Scandio 3
Sc
Titanio
47,90
Ti
50,9414
Vanadio
51,996
Cromo
Cr
Manganese
54,9380
Mn
Fe
55,847
Ferro
3,2
58,9332
Cobalto
3,2
Co
58,71
Nichel
(3)2
Ni
Cu
63,546
Rame
2(1)
Zn
65,37
Zinco
2
Ga
69,72
Gallio Germanio
72,59
Ge
4
74,9216
Arsenico
5,3
As
Selenio
78,96
Se
79,904
Bromo
(5)1
Br
83,80
Cripto
Kr
4S(3D)4P
4(3)
5,4-(3,2)
6,3(2)
7,6(4,3)2
(6)4(-2)
37
0,8 28
1,0
39 1,3
40
1,4 41
1,6 42
1,8 43
1,9 44
2,2 45
2,2 46
2,2 47
1,9 48
1,7
49
1,7 50
1,8 51
1,9
52
2,1 53
2,5 54
5 6 7
85,4678
rubidio
1
Rb
Stronzio
87,62
Sr
2
88,9059
Ittrio
3
Zirconio
91,22
Zr
4
Nb
92,9064
Niobio
(5)3
Molibdeno
95,94
Mo
98,9062 7
Tecnezio
Tc
101,07
Rutenio
Ru
Rh
102,9055
Rodio
Palladio
106,4
Pd
(4)2
107,868
Argento
(2)1
Ag
112,40
Cadmio
2
Cd
In
114,82
Indio
3
118,69
Stagno
4,2
Sn
Antimonio
121,75
Sb
5,3
Tellurio
Te
127,60 126,9045
Iodio
Xe
131,30
5S(4D)5P
Xeno
6(5,4,3)
1,7 75
(8,6)4,3(2)
1,9 76
(4)3(2)
2,2 78
(6)4(-2)
84
7(5)1
2,2 86
55
0,7 56
0,9
57*
1,1 72
1,3 73
1,5 74
2,2 77
2,2 79
2,4 80
1,9
81
1,8
82
1,8 83
1,9
2,0 85
Cs
132,9055
cesio
1
Ba
137,34
Bario
2
138,9055
Lantanio
3
La
Hf
178,49
Afnio
4
180,9479
Tantalio
5
Ta
Timgsteno
183,85
Re
186,2
Renio
Osmio
190,2
Os
192,22
Iridio
Ir
195,09
Platino
4,2
Pt
Au
196,9665
Oro
Mercurio
200,59
Hg
2(1)
204,37
Tallio
(3)1
Tl
Piombo
207,2
Pb
4,2
208,9806
Bismuto
(5)3
Bi
Polonio
(210)
Po
(4)2
Astato
(210)
At
Rn
(222)
6S(4F)(5D)6P
Rado
6(5,4,3)
(3)1
(7,5,3) 1
87
0,7 88
0,9
89**
1,1 104
105
francio
(223)
Fr
1
Ra
226,0254
Radio
2
Attinio
(227)
Ac
3
Curciatovio
(204)
Ku
4
Ha
(260)
Anio
4f *
58
1,1 59
1,1 60
1,2 61
62
1,2 63
64
1,1 65
1,2 66
67
1,2
68
1,2
69 1,2
70
1,1
71
1,2
Ce
140,12
cerio
Praseodimio
140,9077
Pr
Neodimio
144,24
Nd
Promezio
144,24
Pm
Samario
150,4
Sm
Europio
Eu
151,96
Gadolinio
157,25
Gd
Tb
158,9254
Terbio
Disprosio
162,50
Dy
Ho
164,9303
Olmio
Er
167,26
Erbio
Tm
168,26
Tulio
173,04
Itterbio
Yb
174,97
Lutezio
Lu
(4)3
5f **
90
1,3 91
1,5 92
1,7 93
1,3 94
1,3 95
1,3
96
97
98
99
100
101
102
103
Th
232,0381
torio
4
Protoattinio
231,0359
Pa
238,029
Uranio
237,0482
Nettunio
Np
Plutonio
(244)
Pu
Americio
(243)
Am
Cm
(247)
Vurio
Berchelio
(247)
Bk
Californio
(251)
Cf
Einsteinio
(254)
Es
Fm
Fermio
(257)
Mendelevio
(258)
Md
Nobelio Laurenzio
(259) (260)
No
Lr
Chimica generale
note
Elemento Attinio Alluminio Americio Antimonio Argento Argon Arsenico Astato Azoto Bario Berkelio Berillio Bismuto Boro Bromo Cadmio Calcio Californio Carbonio Cerio Cesio Cloro Cobalto Cromo Curio Disprosio
Simbolo Ac Al Am Sb Ag Ar As At N Ba Bk Be Bi B Br Cd Ca Cf C Ce Cs Cl Co Cr Cm Dy
Numero Peso AtoAtomico mico 89 227.0278 13 26.98154 95 51 18 33 85 7 56 97 4 5 35 48 20 98 6 58 17 27 24 96 66 (243) 121.75 39.948 74.9216 (210) 14.0067 137.33 (247) 9.01218 10.81 79.904 112.41 40.08 (251) 12.011 140.12 35.453 58.9332 51.996 (247) 162.50
Elemento Einsteinio Elio Erbio Europio Fermio Fluoro Fosforo Francio Gadolinio Gallio Germanio Hafnio Hahnio Hassio Holmio Idrogeno Indio Iodio Iridio Ferro Krypton Lantanio Lawrencio Litio
Simbolo Es He Er Eu Simbolo F P Fr Gd Ga Ge Hf Ha Hs Ho H In I Ir Fe Kr La Lw Li
Numero Ato- Peso Atomico mico 99 (252) 2 4.00260 68 63 100 9 167.26 151.96 (257)
Elemento Lutezio Magnesio Manganese Meitnerio Mendelevio Mercurio Molibdeno Neodimio Neon Nettunio Nickel Nielsbohrio Niobio Nobelio Oro Osmio Ossigeno Palladio Piombo Platino Plutonio Polonio Potassio Praseodimio
Simbolo Lu Mg Mn Mt Md Hg Mo Nd Ne Np Ni Ns Nb No Au Os O Pd Pb Pt Pu Po K Pr Pm
Numero Peso AAtomico tomico 71 174.967 12 25 109 101 80 42 60 10 24.305 54.9380 (266) (258) 200.59 95.94 144.24 20.179
47 107.8682
18.998403 15 30.97376 87 64 31 32 72 105 108 (223) 157.25 69.72 72.59 178.49 (262) (265)
93 237.0482 28 107 41 102 76 8 46 82 78 94 84 19 58.69 (262) 92.9064 (259) 190.2 15.9994 106.42 207.2 195.08 (244) (209) 39.0983
83 208.9804
79 196.9665
55 132.9054
59 140.9077 61 (145)
Promezio
Chimica generale
note
Elemento
Protoattinio Radio Radon Rame Renio Rodio Rubidio Rutherfordio Rutenio Samario Scandio Seaborgio Selenio Silicio Sodio Stagno Stronzio Tallio Tantalio Tecnezio Tellurio Terbio Titanio Torio Tulio
Simbolo
Pa Ra Rn Cu Re Rh Rb Rf Ru Sm Sc Sg Se Si Na Sn Sr Tl Ta Tc Te Tb Ti Th Tm
Elemento
Tungsteno Unnilhexio Ununnilio Uranio Vanadio Xenon Ytterbio Yttrio Zinco Zirconio Zolfo
Simbolo
W Unh Uun U V Xe Yb Y Zn Zr S
56
note
Chimica generale
Cap. III
3.1. IA Metalli alcalini:
I metalli di questo gruppo (Li, Na, K, Ru, Cs) hanno struttura elettronica con un solo elettrone sullorbitale pi esterno s1 per cui, a causa del loro basso valore dei potenziali di prima ionizzazione, allo stato naturale piuttosto che come metalli si trovano allo stato ossidato e i loro cationi come sali minerali molto solubili. Tra questi cationi solamente o il sodio ed il potassio svolgono un ruolo significativo nei sistemi biologici. Essi sono presenti, in natura, in quantit praticamente equivalenti, tuttavia la loro distribuzione nei vari organi ben diversa: in generale si pu dire che Na+ l'elettrolita pi abbondante nei fluidi biologici extracellulari mentre K+ lo nei fluidi intracellulari. Ci dovuto fondamentalmente ad un processo di scambio attivo intracellulare che prende il nome di pompa sodio-potassio. Essi sono tra i principali responsabili oltre del mantenimento della pressione osmotica e di una serie di importanti funzioni quali il mantenimento dei potenziali elettrici nelle cellule nervose. Insieme agli ioni Mg++ e Ca++ concorrono a regolare il tono muscolare e l'attivit nervosa, agendo inoltre come mediatori nel processo della visione. In conseguenza della molteplicit delle funzioni svolte, evidente che qualunque sbilanciamento dell'equilibrio Na'/K' pu sere responsabile di gravi alterazioni fisiologiche. Cos, ad esempio, una eccessiva sudorazione, che provoca una perdita degli ioni, in particolare di Na+' e K+, pu causare alcuni disturbi a carico dei sistemi nervoso e muscolare i cui segni con la comparsa di disturbi quali nausea, vomito, astenia e crampi muscolari.. La richiesta giornaliera di Na+ di circa 2-3 grammi e quella di K+ circa il doppio. Il loro sovradosaggio alimentare, in particolare per quanto riguarda il cloruro (sale da cucina) pu essre motivo di alcuni disturbi principalmente correlati alla comparsa di fenomeni ipertensivi (ipertensione arteriosa).
note
sostegno, ecc.)
Chimica generale
allo stato di cationi liberi che immobilizzati sotto forma di minerali insolubili. (calcoli, tessuto osseo di I1 magnesio un tipico catione di supporto dell'attivit di alcuni enzimi, e risulta abbondante all'interno dei sistemi cellulari dove partecipa alle pi disparate attivit metaboliche e fisiologiche grazie alle sue repentine variazioni di concentrazione intracellulare dove raggiunge il valore millimolare (mM), mentre estremamente scarso nei liquidi extra-cellulari. Il Ca presenta invece presente nel comparto cellulare in concentrazioni micromolare ( M.). Questa altissima concentrazione pu subire variazioni di concentrazione di uno o pi ordini di grandezza dovute al rilascio da parte di organelli di deposito o alla complessazione da parte di altri sistemi, possono essere repentine e causare una rapida regolazione di diversi meccanismi biologici. Il Calcio realizza complessi esacoordinati il che lo rende adatto ad occupare siti di regolazione enzimatica con gruppi proteici gi legati in una struttura complessa. Esso costituisce circa il 2% del peso corporeo essendo immobilizzato per di circa il 99% come idrossiapatite 3 Ca3(P04)2.Ca(OH)2; fluoroapatite CaF23 Ca3(P04)2; cloroapatite CaC12 . 3Ca3 (P04)2 ; dallite CaC03.3 Ca3 (P04)2 che conferiscono ai vari apparati la necessaria rigidit (ossa , denti, ecc.), mentre Il rimanente 1% si trova praticamente nei liquidi extra-cellulari o in depositi intra-cellulari dai quali pu essere rilasciato a seguito di stimolazioni chimiche opportune. Il mantenimento di una bassa concentrazione dello ione Ca++ libero nel liquido citoplasmatico assicurato dai sistemi di trasporto attivo (le pompe ioniche) che estrudono il Ca++ agendo contro gradienti di concentrazione. Tra le funzioni regolate da questo ione ricordiamo: la contrazione muscolare, il corretto svolgimento delle attivit nervose, la coagulazione del sangue e la regolazione dei flussi di altri ioni attraverso le membrane cellulari. In questa ultima veste il Ca++ si rivela un vero e proprio coordinatore di una gran parte delle funzioni cellulari anche quando non coinvolto direttamente in quelle attivit in quanto partecipa a mantenere nei limiti richiesti le concentrazioni di molti ioni. Il Mg++ non ha funzioni di supporto ma assolve a funzioni di regolazione essendo spesso un elemento da sito attivo cio essenziale per lo svolgimento di attivit enzimatiche. In particolare in grado di formare complessi con i nucleotidi trifosfati (ad esempio l'adenosintrifosfato, ATP) essenziali per l'attivit catalitica di molti enzimi. Va ricordato infine il ruolo he svolge nella formazione della clorofilla, il composto che forse pi di ogni altro ha contribuito a modificare le condizioni ambientali dellintero pianeta.
3.3. VI A Calcogeni
Gli elementi del sesto gruppo (O, S, Se, Te; Po)) sono caratterizzati dal fatto di possedere in orbita esterna sei elettroni distribuiti negli orbitali s2 p4. Tra i non-metalli di questo gruppo tre sono quelli di rilevante interesse bio58 58
Chimica generale
logico O, S e Se. Con H danno composti binari con caratteristiche acide le cui costanti di dissociazione acida aumentano all'aumentare del peso atomico dell'elemento. L'ossigeno l'elemento pi abbondante sulla crosta terrestre ove si trova di norma combinato a formare H 2 O e ossidi. La sua abbondanza relativa del 53,8%, il che lo rende di gran lunga pi rappresentato di altro elemento. Nell'atmosfera O 2 si presenta libero con una abbondanza relativa di circa il 21 % e nel corpo umano esso rappresenta il 25,6 %.Di grande interesse per lo studio dei fenomeni biologici la elevata presenza di O 2 nell'atmosfera. L'ossigeno molecolare libero deriva dalla presenza degli organismi capaci di liberarlo . La sua comparsa in quantit apprezzabili sulla Terra si ritiene sia cominciato circa due miliardi di anni fa in concomitanza con un notevole sviluppo delle alghe verdi fotosintetiche contenenti clorofilla. Un altro importante fattore per il mantenimento della vita sulla Terra, dovuto alla presenza nellatmosfera di ozono (uno stato allotropico dellossigeno con formula O 3 ) che schermando i raggi ultravioletti ha contribuito notevolmente al mantenimento degli organismi.. Le forme attivate di O2 prendono il nome di ossigeno singoletto, O', e sono estremamente reattive. Per andare nello stato caratteristico di singoletto necessario fornire energia. L'entit di tale energia potrebbe acquistarla dalle radiazioni solare la cui energia non in grado di eccitare la molecola. Ci pu invece avvenire mediante il legame che esso esercita con i pigmenti respiratori qual la protoporfirina. Alcune manifestazioni cliniche di questo fenomeno possono essere osservate nelle patologie note come porfirie in cui si ha emolisi dei globuli rossi, a seguito dell'esposizione alla luce solare, probabilmente mediata da O'. L'ossigeno oltre ad essere essenziale per la vita pu quindi rivelarsi anche un agente tossico. Grande importanza assumono infatti i meccanismi di detossificazione dai derivati reattivi dell'ossigeno la cui riduzione porta alla formazione dell'anione superossido. La reazione questo radicale pu andare incontro la sua dismutazione in acqua ossigenata e, probabilmente, O'. L acqua ossigenata un agente ossidante ta reazione tossica porta alla formazione di radicale HO c;he il pi potente ossidante conosciuto pu agire sullo ione ferroso emoglobinico ossidandolo a ione ferrico: H2O2 + Fe++ OH - + HO- + Fe+++ Nelle cellule aerobiche la concentrazione di questo anione raramente raggiunge i valori necessari per la sua la spontanea dismutazione e pertanto il radicale superossido pu reagire con altre molecole danneggiandole. Per questo motivo esiste in tutte le cellule aerobiche un enzima scavenger (letteralmente: spazzino) la superossido dismutasi, (SOD) che catalizza la reazione di dismutazione anche a concentrazioni estremamente basse proteggendo cos le altre strutture cellulari. La pi importante funzione sostenuta da O2 nei tessuti animali la respirazione cellulare, durante la quale
note
59
note
Chimica generale
una molecola di O2 reagisce con quattro atomi di idrogeno per formare H ZO ed energia che viene poi immagazzinata prevalentemente sotto forma di ATP. La riduzione di O2 consiste nella somma in sequenza di 4 elettroni. Questa riduzione reazione fortemente esoergonica la fonte primaria di energia per tutte le cellule aerobiche. Lo zolfo formalmente, simile ad O. In realt la totale disponibilit degli orbitali 3d vuoti, la cui energia di poco superiore a quella degli orbitali 3s e 3p, conferisce allo zolfo caratteristiche umiche ben diverse del suo omologo inferiore: presenta diversi numeri di ossidazione (da - 2 a +6.). Negli stati di ossidazione pi elevati esso d luogo ad anidridi che portano alla formazione di due ossiacidi:H2SO4 e H ZSO3, entrambi acidi forti cio completamente dissociati. Allo stato di massima riduzione forma lacido solfidrico, composto omologo dellacqua. Il caratteristico gruppo sulfidrilico (-SH) lo troviamo in molti composti tra i quali ricordiamo la cisteina che, formando il suo dimero cistina e nel glutatione che risulta essenziale per la detossificazione dai derivati reattivi di O2 grazie allazzione di ossidazione del glutatione ridotto a glutatione ossidato. Altri composti che sontengono il sulfidrile sono laminoacido treonina ed il coenzima A, questultima specializzata nel trasporto di radicali acilici, che lega al proprio gruppo -SH. proprio il suo caratteristico modo di ossidarsi che d luogo alla formazione di gruppi disolfuro (S-S), Nello stato di massima ossidazione (+6), d luogo alla formazione dello ione solfato (S04) che, oltre a costituire la forma in cui questo elemento viene eliminato dall'organismo, entra anche a far parte della struttura di alcuni importanti mucopolisaccaridi quali ilcondroitin-solfato, e l'acido ialuronico. In tutte queste molecole la presenza di ioni solfato e solfito ne aumenta la idrofilicit e fa s che con lacqua esse formino dei gel stabili che sono essenziali per il mantenimento delle propriet strutturali delle cartilagini e della pelle. Sempre nello stato di massima ossidazione S partecipa alla eliminazione di metaboliti rendendoli pi solubili in H2O e permettendone cos l'escrezione urinaria. Il s e l e n i o . N o n ostante la sua configurazione elettronica sia simile a quelle di O e S, poich gli elettroni di valenza si trovano nel quarto livello e quindi molto schermati dal nucleo, la minore elettronegativit espressa fa s che le propriet dell'elemento non siano pi decisamente non metalliche ma risultino tipicamente anfoteri. Il selenio un elemento essenziale nella dieta ma in quantitativi estremamente modesti, circa in centinaio di microgrammi al giorno. Elevati dosaggi di Se risultano tossici provocando danni al meccanismo della visione e necrosi del fegato. In quantit molto basse invece indispensabile per la normale attivit dell'enzima glutatione perossidasi che svolge un ruolo essenziale per la detossificazione dei fluidi biologici dai perossidi. L'elevata tossicit di Se dipende dalla sua capacit di sostituire S in molti composti dando luogo a individui chimici estremamente pi reattivi
Chimica generale
Tutti gli elementi di transizione hanno due elettroni nellorbitale esterno s2 ed uno o pi elettroni nell orbitale d. Tutti gli elementi di transizione sono dunque metalli caratterizzati dalla possibilit di dare luogo alla formazione di ioni complessi con molecole aventi una o pi coppie di elettroni disponibili per formare legami di tipo dativo. Il Fe pu che ha configurazione elettronica 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 3d6 4s2 pu cedere i due elettroni 4s ossidandosi a ione ferroso Fe ++ che pu ulteriormente ossidarsi a ione ferrico cedendo un elettrone dal 3d; gli ioni Fe++ e Fe+++ possono poi dare luogo alla formazione di ioni complessi esacoordinati con gruppi in grado di donare coppie di elettroni. Un esempio di questi donatori lo ione cianuro: CN- che complessandosi con gli ioni Fe d luogo a: ione ferrocianuro [Fe(CN)6]----; ione ferricianuro [Fe(CN)6]---. Nell'uomo la quasi totalit di Fe si trova sotto forma di composti di coordinazione con molecole capaci di donare una coppia di elettroni. Il sistema costituito da quattro anelli pirrolici uniti fra di loro da ponti metinici per formare la porfirina, Lemoglobina un tetramero formato da 4 catene polipeptidiche, due a due uguali, ed ogni catena associata ad un gruppo prostetico, l'eme, che contiene un atomo di ferro bivalente (Fe`). L'emoglobina nel polmone, dove la pressione parziale dell'ossigeno alta, in grado di legare a ciascuna subunit una molecola di ossigeno. L'ossigeno viene liberato nei tessuti e impiegato nella respirazione cellulare d luogo ad una struttura che permette agli atomi di azoto pirrolici di coordinarsi stabilmente con gli ioni Fe. Questo tipo di complesso costituisce leme presente sia nell'emoglobina che nei citocromi che sono le macromolecole deputate al trasporto di Ossigeno e di elettroni rispettivamente. C=O o lo ione CN sono in grado di dare complessi stabili sia con l'emoglobina che con i citocromi rendendoli quindi indisponibili a svolgere le proprie funzioni. Si spiega cos perch la loro tossicit L'eme formato da uno scheletro costituito da 4 anelli pirrolici uniti da 4 ponti metinici (-CH=). A causa della risonanza la posizione dei singoli e dei doppi legami nel nucleo tetrapirrolico dell'eme non pu essere definita e la formula riportata a lato non che una delle diverse formule che possono essere scritte. I numerosi doppi legami fanno s che la struttura sia piana. Il nucleo tetrapirrolico privo di sostituenti sugli atomi di carbonio periferici si chiama porfina, un composto che non esiste in natura. Esistono invece numerosi derivati che si differenziano per il tipo di sostituenti. Nella protoporfirina i sostituenti sono 4 radicali metilici, 2 vinilici e 2 di propionato. La distribuzione di questi gruppi pu essere varia per cui esistono 15 forme isomeriche di protoporfirina. Quella dell'eme la protoporfirina IX. I 4 azoti, rivolti all'interno del nucleo tetrapirrolico planare, costituiscono un sito capace di alloggiare ioni metallici come Fe
2+, Fe 3+ e,
note
Il Fe ha configurazione elettronica 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 3d6 4s2 pu cedere i due elettroni 4s ossidandosi a ione ferroso Fe ++ che pu ulteriormente ossidarsi a ione ferrino cedendo un elettrone dal 3d; gli ioni Fe++ e Fe+++ possono poi dare luogo alla formazione di ioni complessi esacoordinati per ibridazione Ibridazione sp3d2: tali orbitali si realizzano per mescolamento di un orbitale s con tre orpitali p e due orbitali d; si formano quindi sei orbitali ibridi diretti lungo i vertici di un ottaedro regolare e in grado di formare legami cocrdinativi con gruppi in grado di donare coppie di elettroni.
negativa ciascuno; le due cariche negative sono distribuite uniformemente sui 4 atomi di azoto per effetto della risonanza. Sia il ferro ferroso che il ferro ferrrico formano 6 legami di coordinazione: 4 61
note
Chimica generale
giacciono sul piano tetrapirrolico mentre gli altri due sono ortogonali a detto piano; uno utilizzato per legare il residuo istidinico della globina, e laltro per legare leventuale molecola di O=O o C=O nel primo caso si ha formazione di ossiemoglobina HbO 2 , nel secondo si forma la carbossiemoglobina (HbCO). Per capire il meccanismo innanzitutto necessario considerare i legami dell'Fe2+ con la porfirina e la globina. Il'Fe2+ varia il tipo di legame coordinativo con l'ossigenazione: prevalentemente ionico nella deossiemoglobina e prevalentemente covalente nell'ossiemoglobina. Questa variazione dimostrata dallo stato degli elettroni degli orbitali esterni dell'Fe2+. La deossiemoglobina una sostanza paramagnetica e questo indica che vi sono elettroni spaiati (sono 4) negli orbitali 3 d del ferro e che lFe
2+
unito ai 4 azoti
dell'anello tetrapirrolico e a quello dell'His con legami coordinativi prevalentemente ionici. Quando l'O2 si lega al sesto legame i 4 elettroni spaiati dell'Fe2+ vengono spinti ad occupare due soli orbitali 3 d e i 6 orbitali esterni ricevono doppietta elettronici dai 5 azoti e dall'ossigeno (figura a lato). I legami di coordinazione sono in questo caso prevalentemente covalenti. L'ossiemoglobina una sostanza diamagnetica perch priva di elettroni spaiati. Nella deossiemoglobina l Fe2+ a causa della situazione dei suoi elettroni troppo voluminoso per entrare nel centro dell'eme e si trova spostato verso l'istidina della globina. L'ossigeno legandosi al sesto legame di coordinazione modifica la situazione degli orbitali del Fe2+; il cui raggio ionico diminuisce del 13 % circa. Il Fe2+ pu cos inserirsi al centro della porfirina. Ne risulta un movimento di circa 1 A del ferro che trascina verso leme l His. globinica. Il piccolo cambiamento nel raggio del ferro viene cos amplificato in un movimento di maggiore entit della catena globinica. Questo movimento rappresenta la prima delle complesse modificazioni molecolari provocate dall'assunzione di ossigeno.
Ferroprotoeme (eme)
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note
Chimica generale
Chimica generale
Ibridazione ottaedrica sp3d2: si realizzano per mescolamento di un elettrone in s con tre elettroni in p e due elettroni in d; si formano quindi sei orbitali ibridi diretti lungo i vertici di un ottaedro regolare.
note
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note
Chimica generale
direzionali che danno strutture lineari, tetraedriche e ottaedriche.
a) 2 doppietti
Presentano struttura di questo tipo, p.e.:l'anidride carbonica CO2 O=C=O l'acido cianidrico HCN HCN
definitiva una forza repulsiva pi intensa. In generale le intensit della repulsione esercitata tra coppie di elettroni varia in maniera decrescente secondo: repulsione tra doppietti > repulsione tra doppietti liberi e di legame > repulsione tra doppietti di legame. Sulla base di queste semplici premesse possiamo esemplificare alcune delle strutture geometriche molecolari previste dalla teoria VSEPR distinguendo i seguenti casi: A) 2 doppietti Il caso pi semplice consiste in un atomo centrale con due coppie di elettroni. La teoria prevede in tal caso una struttura lineare con i doppietti elettronici equidistanti, a formare angoli di 180, come a lato esemplificato. B) 3 doppietti La teoria prevede una struttura trigonale planare con angoli di 120. Possiedono tale struttura, ad es. lo ione carbonato CO3 (vedi figura a lato). Nel caso di un doppietto non impegnato in alcun legame esso esercita una repulsione maggiore sui due doppietti impegnati, i quali si avvicinano leggermente. Ne risulta una struttura con un angolo di legame leggermente inferiore a 120. possiedono strutture di questo tipo l'anidride solforosa SO2 e l'ozono O3 . C) 4 doppietti La teoria prevede una struttura tetraedrica con angoli di legame di 109,5. Hanno strutture di questo tipo il metano CH4 e lo ione solfato SO42-. Nel caso uno dei doppietti non sia condiviso rimane una struttura a piramide triangolare, con gli angoli leggermente compressi, minori di 109,5 (intorno ai 107). Le strutture VSEPR con pi di 4 doppietti elettronici sono pi complesse, specialmente quando vi sono coppie elettroniche non impegnate in legami. Diamo di seguito solo le strutture con pi di 4 doppietti e tutte le coppie impegnate in legami. Nel caso di un doppietto non impegnato in alcun legame si ha una struttura a piramide triangolare, con gli
b) 3 doppietti
Struttura trigonale relativa a 3 doppietti impegnati nella formazione di legami. p.e. lo ione carbonato CO3
Struttura trigonale planare con un doppi etto n on impegnato. Possiedono tate struttura lanidride solforosa e lozono.
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Chimica generale
angoli leggermente minori di 109,5 (intorno ai 107) p. es. lammoniaca e lo ione solfitoNel caso le coppie non impegnate in legami siano 2 rimane una struttura angolare con angoli ancor pi compressi (per le presenza di due doppietti liberi), intorno ai 103 - 104.P.e. l'acqua H2O e l'acido solfidrico H2S. E) 5 doppietti La teoria prevede una struttura bipiramidale triangolare (due piramidi a base triangolare, aventi la base in comune. Presenta una struttura di questo tipo il pentacloruro di fosforo PCl5. f) 6 doppietti La teoria prevede una struttura ottaedrica (due piramidi a base quadrata con la base in comune. Presenta una struttura di questo tipo l'esafluoruro di zolfo SF6. g) 7 doppietti La teoria prevede una struttura bipiramidale pentagonale (due piramidi a base pentagonale, aventi la base in comune). Presenta questa struttura l'eptafluoruro di iodio IF7. Le strutture previste dalla teoria VSEPR sono state ampiamente confermate dai dati sperimentali. L'introduzione del concetto di orbitale ibrido una diretta conseguenza dei buoni risultati che tale teoria consente di ottenere nel prevedere la geometria delle molecole. In altre parole se la teoria prevede per una certa molecola una struttura tetraedrica e tale struttura viene sperimentalmente confermata, diventa necessario ipotizzare che l'orbitale s e i 3 orbitali p superficiali si siano mescolati a formare 4 orbitali perfettamente identici (ibridazione sp3). Vi dunque una stretta corrispondenza tra geometria delle molecole e tipi di ibridazione. E' opportuno sottolineare che una particolare ibridazione viene assegnata solo dopo che le previsioni VSEPR sulla geometria della molecola sono state sperimentalmente confermate. c) 4
note
doppietti
Struttura tretraedica con angoli di legame di 109,5 (a sinistra) e con un doppietto non impegnato nella formazione di legami.(a destra).
Esempi di molecole con due doppietti di legame e due doppietti non impegnati nella formazioni di alcun legame.
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note
Chimica generale
Reazione di trasferimento di un elettrone da un atomo di F ad uno di Cl e formazione di ioni Na+ e Cl ciascuno configurante lottetto dei gas nobili Ne e Ar
Chimica generale
composto cloruro di sodio (NaCl). Questi ioni si arrangiano nello spazio impaccandosi in reticoli, detti cristallini, in quanto danno origine per ripetizione in tutte le direzioni dello spazio danno luogo al vero e proprio cristallo.
note
EN % ionicit
0.2
0.4
0.6
0.8
1.0
1.2
1.4
1.6
1.8
2.0
2.2
2.4
2.6
2.8
15
22
30
39
47
56
63
70
76
82
86
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note
Chimica generale
Due differenti teorie sono state sviluppate per spiegare la diminuzione di energia che accompagna la formazione di un legame covalente. La teoria del legame di valenza la pi vecchia e, in genere, descrive bene le geometrie molecolari. Tuttavia, raramente fornisce informazioni quantitativamente esatte sugli stati di energia delle molecole. La teoria degli orbitali molecolari migliore della prima per quello che riguarda l'aspetto energetico del problema. Esamineremo i concetti base di ciascuna teoria poich ambedue forniscono descrizioni delle molecole qualitativamente corrette. Esse differiscono radicalmente soprattutto nel modo di descrivere il processo di formazione del legame covalente. La teoria del legame di valenza individua la formazione di legami covalenti nella sovrapposizione di orbitali atomici. Quando due atomi si avvicinano l'un l'altro, gli orbitali atomici si sovrappongono e si viene a formare un orbitale di legame. Se i due elettroni hanno spin opposti all'avvicinarsi degli atomi l'energia del sistema diminuisce per la comparsa di nuove forze attrattive tra nuclei ed elettroni. L'energia decresce fino a che un ulteriore riduzione della distanza interatomica provoca un brusco aumento della repulsione fra i nuclei. Quindi, la curva di energia passa per un minimo che, per la molecola H2, corrisponde a 0,74 A: questa la distanza di legame della molecola. Per distanze interatomiche minori o maggiori, il sistema possiede energia maggiore. La massima densit elettronica si trova lungo l'asse di legame, ma gli elettroni sono distribuiti anche attorno ai due nuclei, incluse le regioni esterne dello spazio internucleare. Per avere un minimo dell'energia potenziale necessario che i due elettroni abbiano spin opposto. Se gli spin sono paralleli, l'energia potenziale cresce. In questo caso non si verifica legame e il sistema consegue l'energia minima quando gli atomi sono separati, a distanza infinita.Oltre a soddisfare questi requisiti energetici, gli orbitali debbono avere geometrie opportune per formare legami. Soltanto gli orbitali s hanno simmetria sferica intorno al nucleo e, quindi, possono interagire in qualsiasi direzione con altri nuclei. Vediamo, per esempio, il ruolo degli orbitali p nel legame della molecola di fluoro, F2, e nell'acido fluoridrico, HF. Nel fluoro, l'orbitale di legame costituito da uno degli orbitali atomici 2p di ciascun atomo di fluoro. Analogamente, il legame H-F risulta dalla combinazione dell'orbitale ls dell'idrogeno e dall'orbitale 2p del fluoro. I legami, in ambedue le molecole, giacciono nella direzione in cui gli orbitali atomici 2p del fluoro hanno alta densit elettronica. Esaminiamo sotto questo aspetto la molecola N2 . Questa pu essere rappresentata come :N: : :N: ovvero: NN
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Chimica generale
ed caratterizzata da un triplo legame. L'atomo di azoto ha la seguente struttura elettronica fondamentale 1sz2s22px12py12pZ1 ed facile quindi capire che il triplo legame nasce dalla sovrapposizione dei tre orbitali 2p dei due atomi dazoto In generale quando due atomi di uno stesso elemento si uniscono tra di loro il legame che si forma un legame apolare,in quanto entrambi gli atomi posseggono la stessa elettronegativit. In questo caso si ammette che il legame avvenga con la messa a comune degli elettroni di valenza. Questo tipo di legame detto legame covalente apolare. Ogni orbitale molecolare ospita cosi un doppietto di elettroni a spin antiparallelo, detto doppietto di legame. La forza del legame , come detto, tanto pi grande quanto maggiore la sovrapposizione degli orbitali atomici che concorrono alla sua formazione. A seconda della densit di distribuzione elettronica di tate doppietto, i legami si distinguono in e ,
note
5.3.1 Legame
Un legame covalente si dice di tipo sigma () quando la massima'densit elettronica si trova lungo la con) giungente i nuclei dei due atomi. La pi semplice molecola con legame quella dell'idrogeno, dove l'orbitale molecolare dovuto alla sovrapposizione di due orbitali atomici s. Un legame si dice di tipo pi-greco () quando il massimo di densit elettronica si trova al di fuori della congiungente i nuclei: Il legame ha origine per sovrapposizione laterale di due orbitali p fra loro paralleli. Nel caso della formazione di una molecola di cloro (Cl2), ad esempio, si ha che i due atomi di cloro di configurazione elettronica 1s 2,2s2,2p6,3s2,3p5, completano il loro ottetto mettendo in comune un elettrone per ciascuno Indicando con un trattino le coppie di elettroni scriveremmo anche: Cl C l Gli elettroni che formano il legame sono quelli che da soli occupano un orbitale p e perci detti spaiati.
5.3.2. Legame
E' frequente il caso in cui gli elettroni messi in comune tra due atomi siano pi di due; in tal caso il legame si dice doppio: uno e laltro . Gli elettroni messi in comune nel doppio legame sono quattro. Un legame si dice triplo ( uno e due ) se gli elettroni condivisi sono sei. Nella molecola di acetilene (C2H2), ad esempio ciascun atomo di carbonio mette in comune anche i due lettroni spaiati e si forma un triplo legame (uno e due , ovvero :
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Chimica generale
H C C H Il legame covalente si verifica anche tra atomi diversi che presentano valori di elettronegativit non molto differenti tra loro In tal caso il legame covalente anche parzialmente ionico o polare. Ad esempio nel caso della molecola di acido cloridico (HCl) l'atomo di cloro pi elettronegativo dell'atomo di idrogeno; ne consegue che la coppia di elettroni messa in comune non egualmente condivisa tra i due atomi, ma pi spostata verso il cloro per cui la moleco di HCl un dipolo:Questo significa che il legame che tiene uniti gli atomi di idrogeno e di cloro della molecola di HCl in parte di tipo covalente ed in parte di tipo ionico. La polarit di una molecola non dipende solo dalla differenza di elettronegativit ma anche dalla sua geometria che viene definita dagli angoli di legame soprattutto quando la molecola poliatomica. Se un atomo unito ad altri due atomi langolo compreso tra i due assi di legame detto angolo di legame. La distanza tra i nuclei di due atomi legati covalentemente lungo lasse di legame detta distanza di legame oppure lunghezza di legame. Questa lunghezza non costante perch il legame si comporta come se fosse una molla: gli atomi vibrano come se il legame si allungasse e si contraesse alternativamente. Quando il legame covalente riguarda molecole costituite da atomi aventi diversa elettronegativit, uno degli atomi attrae il doppietto di legame pi energicamente dellaltro. Le sostanze costituite da molecole polari hanno punti di ebollizione pi elevati dei composti non polari. Molti composti costituiti da molecole polari in condizioni ambientali sono dei solidi. Le strutture di lewis sono spesso sufficienti per descrivere il legame covalente in quanto rappresentano gli elettroni di valenza come singoletti e doppietti. Sono gli elettroni allo stato di singoletto che vengono compartecipati covalentemente, mentre gli elettroni allo stato di doppietto possono essere impegnati nella formazione di legami di tipo dativo.
Chimica generale
rica, posta in corrispondenza del doppietto di legame. Il valore assoluto della carica elettrica dipende dalla differenza di elettronegativit fra i due atomi. I valori estremi di sono: =0 nel caso di un legame covalente puro, di un legame cio tra atomi di uguale elettronegativit; =1 nel caso di un legame ionico, di un legame cio tra atomi di grande differenza di elettronegativit. In tutti gli altri casi si avr: 0<< 1 Nel caso di una catena carboniosa la polarizzazione si trasmette lungo tutta la catena anche se con intensit decrescente. Se la catena contiene solamente legami semplici, l'effetto si attenua rapidamente ed praticamente nullo oltre il terzo legame. Gli effetti induttivi convenzionalmente vengono confrontati prendendo come riferimento il legame carbonio-idrogeno: quei sostituenti, che attraggono elettroni di legame in misura maggiore dell'idrogeno, si dice che esercitano effetto -I; quei sostituenti, che attraggono elettroni di legame in misura minore dell'idrogeno, si dice che esercitano effetto +I.
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B) effetto mesomero.
Nel caso di un sistema di doppi legaca che prende il nome di legame delocalizzato. Un modo di spiegare tale fenomeno quello di ammettere lo spostamento di una coppia di elettroni da un atomo all'altro della molecola. Si crea cos una nuova distribuzione elettronica dalla quale si pu riottenere quella iniziale per spostamento a ritroso dei doppietti in questione: Questa interpretazione del fenomeno rende conto della formazione di forme polari limiti, la cui esistenza deve essere necessariamente postulata per comprendere il comportamento chimico dei composti contenenti doppi legami coniugati (dieni, polieni). Allorquando, per una data molecola, possibile formulare due o pi strutture limiti elettroniche, senza cambiare la disposizione degli atomi, ma solamente la distribuzione elettronica (come abbiamo visto nel caso dei doppi legami coniugati), si ha il fenomeno della mesomeria, Le strutture limiti costituiscono particolari isomeri detti elettromeri. In realt, nessuna delle forme limiti rappresenta la distribuzione attuale degli elettroni all'interno della molecola. mi coniugati gli elettroni p risultano distribuiti lungo rutto il sistema coniugato. Si realizza infatti, per tali sistemi, un nuovo tipo di distribuzione di densit elettroni-
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Chimica generale
Nell'esempio del butadiene n la formula dello stato fondamentale CH 2=CHCH=CH2 n le due formule polari limiti + CH 2 CH=CHCH2 + CH 2 CH=CHCH2
La molecola di anidride solforosa SO2 e in risonanza tra due strutture polari limiti a pi alta energia n cui si ha separazione di carica elettrica.
possono essere considerate come una rappresentazione fedele della reale distribuzione della densit elettronica in seno alla molecola, ma deve essere inteso come un ibrido tra queste strutture mesomere. L'ibrido di risonanza la struttura che meglio si presta all'interpretazione delle caratteristiche chimicofisiche peculiari di composti contenenti sistemi coniugati. Ad esempio le lunghezze dei legami C-C nel butadiene sono apprezzabilmente diverse rispetto alle distanze di 1,54 del legame semplice C-C e di 1,33 del legame doppio C=C. Infatti le distanze non risultano essere: 1,33 1,54 1,33
Acido ipocloroso HClO HOCl Acido cloroso HClO2 ( + ) () HOClO acido clorico HClO3 (++) H-O-C1O() O() Acido perclorico HClO4 O() (+++) HOClO() O()
C=CC=C
come ci si dovrebbe attendere se i doppi legami fossero localizzati, bens: 1,35 1,46 1,35 il che equivale ad ammettere che il legame semplice centrale ha un parziale carattere di doppio legame e che i doppi legami hanno un parziale carattere di legame semplice. Il concetto di mesomeria non limitato a sistemi di doppi legami coniugati, ma va esteso ad una vasta classe di molecole contenenti legami multipli. Alla base del concetto di mesomeria sta il pi generale concetto quantomeccanico di risonanza. Secondo la meccanica quantistica, una molecola pu esistere in una serie di stati quantici stazionari ,le energie associate a questi stati sono quantizzate e definite. Lo stato fondamentale di un sistema definito come lo stato quantico stazionario corrispondente al livello energetico pi basso. Nell'esempio citato del butadiene le forme polari limiti si trovano ad uno stato di energia superiore, rispetto all'ibrido di risonanza, che pertanto deve essere inteso come lo stato fondamentale della molecola che per convenzione si dice risonante fra le strutture limiti a), b), c). La differenza fra l'energia associata alla molecola mesomera nel suo stato fondamentale e l'energia associata alla molecola nelle forme limiti viene, detta energia di risonanza.
C=CC=C
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Chimica generale
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5.6. Legami intermolecolaI legami intermolecolari si reastenza (sia esso solido liquido o
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lizzano tra le molecole e ne influenzano lo stato si esigassoso. Queste forze che sono forze deboli in quanto
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Chimica generale
sono molto pi deboli dei legami intramolecolari, si manifestano essenzialmente tra molecole polari e sono dovute allattrazione dipolo-dipolo. I composti covalenti apolari mostrano anch esse questa attrazione soprattutto se allo stato gassoso. Anche in questo caso le forze, dette di Van DerWaals sono dovute allattrazione dipolo-dipolo degli elettroni di un atomo verso i protoni dellaltro. Due molecole della stessa sostanza o di sostanze diverse possono presentarsi come dipolari e saranno entrambe dipoli permanenti verranno attratte luna dallaltra. Due molecole apolari invece saranno attratte solo al momento del loro urto. In prossimit di questo evento le le nuvole elettroniche si respingono deformando cos la densit di distribuzione degli elettroni perinucleari creando tra le due molecole di una situazione di momentaneo dipolo (dipolo indotto) per cui esse sono attratte luna allaltra. tensione sterica correlata alle forze di Van der Waals, forze molto deboli che si generano tra gruppi non polari per la comparsa in essi di momentanee fluttuazioni di carica nelle nuvole elettroniche, con conseguente formazione di dipoli temporanei. Le forze di Van der Waals hanno un raggio di azione molto piccolo, differente per ogni atomo (o raggruppamento chimico). quindi possibile definire, per ogni atomo, una distanza, detta Raggio di Van der Waals, che ne definisce le dimensioni in termini di capacit di interazione con gli altri atomi. Il raggio di Van der Waals di un atomo ne definisce il suo ingombro sterico (steric hindrance). Quando due atomi non legati vengono avvicinati, lattrazione dovuta alle forze di Van der Waals aumenta fino a diventare massima quando i loro nuclei si trovano ad una distanza pari alla somma dei loro raggi di Van der Waals. Qualora si tenti di avvicinare ulteriormente gli atomi, lattrazione di Van der Waals si trasforma in una repulsione via via crescente, che tende ad aumentare lenergia potenziale del sistema, destabilizzandolo e generando una tensione sterica.
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unaltra molecola (molecole associate).
Chimica generale
Questo tipo di legame,sebbene sia un legame energicamente assai debole, tuttavia di notevole importanza poich influenza notevolmente te propriet fisiche e strutturali delle sostanze in cui esso presente. Questo tipo di legame, sebbene sia energicamente assai debole, tuttavia di notevole importanza poich influenza notevolmente le propriet fisiche e strutturali delle sostanze in cui esso presente.Ad esempio il legame idrogeno che s'instaura tra molecole di acqua ne modifica notevolmente lo stato di aggregazione, influendo sulla sua temperatura di ebollizione, e la temperatura di fusione.
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Chimica generale
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Chimica generale
ossidazione con ossigeno atmosferico, come, ad esempio, le reazioni di combustione dei composti carboniosi, che portano a formazione di CO2 ed H2O. Se le suddette reazioni di ossidazione avessero, al contrario, un basso valore di energia di attivazione tale da potersi realizzare a temperatura ambiente, i composti organici, e con essi ogni forma di vita, subirebbero l'inesorabile destino della combustione. La chimica del carbonio conoscerebbe allora un solo composto: la CO2 La conoscenza degli stati energetici iniziali e finali importante per una valutazione termodinamica della reazione, tuttavia fornisce scarse informazioni riguardo alla cinetica di reazione. La maggior parte delle reazioni organiche procedono a velocit misurabili e molte sono lente. Ci dovuto al fatto che le molecole reagenti, come detto, devono passare attraverso lo stato intermedio attivato che non deve essere inteso come uno stato reale, stabile o metastabile, ma piuttosto come uno stato transitorio fra due stati stabili. Una reazione nella quale l'energia libera dei prodotti inferiore a quella dei reagenti si dice esoergonica, tale il caso della reazione rappresentata in figura; una reazione nella quale l'energia libera dei prodotti superiore a quella dei reagenti si dice endoergonica. Di solito i processi che implicano l'interazione tra ioni avvengono molto velocemente generalmente esse avvengono in tempi dellodine dei millisecondi o microsecondi. Quando si avvicinano ioni di carica opposta essi si attraggono e reagiscono senza doversi preventivamente orientare l'uno rispetto all'altro. Al contrario molecole o gruppi con legami covalenti reagiscono spesso lentamente, questo perch il legame covalente per essere rotto richiede che le particelle reagenti abbiano reazione. La frazione di collisioni che porta a reazione bassa perch molte collisioni non sono sufficientemente energiche e perch alcune collisioni pur avvenendo con alta energia le molecole collidono con orientazione sbagliata. Considerando una molecola di A e una di B nell'unit di volume, possiamo postulare una possibilit di collisione entro un certo intervallo di tempo. Se poniamo una seconda molecola di A nello stesso volume di reazione, ci saranno due possibilit di collisione nello stesso intervallo di tempo. Un ulteriore aumento delle molecole di A a parit di volume produrr un aumento proporzionale del numero di possibilit di collisione tra la molecola A e la molecola B. Se si aggiungono pi molecole di B troviamo che il numero di possibilit di collisione il numero delle molecole A moltiplicato il numero delle molecole B. La teoria delle collisioni o degli urti per la reazione semplice tra le ipotetiche molecole A e B si pu estendere a reazioni chimiche reali che coinvolgono un gran numero di molecole. Al numero di molecole nell'unit al momento dellurto 1'energia necessaria (energia di attivazione) e i loro legami devono essere opportunamente orientati ai fini della
La possibilit di collisione espressa dal prodotto del numero di molecole A per il numero di molecole B: se abbiamo 6 molecole di A e 3 molecole di B ci sono 18 possibili combinazioni di collisioni.
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Chimica generale
di volume si possono sostituire i valori di concentrazione in termini di molarit o di pressione parziale. La simbologia comunemente adottata usa le parentesi: [A] sta per moli di A per litro quando A in soluzione mentre si usa PA (pressione parziale di A) quando A un gas. Il profilo energetico di una reazione pu essere ben seguito in un diagramma che riporta la variazione di energia libera dei reagenti in funzione degli intermedi e relativi prodotti di reazione: la reazione illustrata in figura a lato ha un andamento esotermico perch il valore di entalpia dei reagenti Hr maggiore del valore di entalpia dei prodotti Hp. Quindi si ha:
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H= HpHr < 0.
variazione di energia libera per una generica reazione esotermica. Si noti che il valore entalpico dei prodotti di reazione (H prodotti) inferiore del valore entalpico dei reagenti (H reagenti)
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Chimica generale
reazioni con rottura di legame omolitico (radicali) reazioni con rottura di legame eterolitico (ioni) I reattivi, a loro volta, vengono classificati in elettrofili, nucleofili e radicali. Gli elettrofili sono dotati di parziale o totale carica positiva e quindi attratti da siti molecolari di elevata densit elettronica. I nucleofili sono, al contrario, dotati di parziale o totale carica negativa e quindi attratti da siti molecolari dotati di parziale carica positiva nucleare. Infine se il reagente si presenta con un elettrone a spin disaccoppiato esso viene detto radicale. Le reazioni si possono distinguere in reazioni omogenee, se avvengono tra specie chimiche tutte nella stessa fase (solida, liquida o gassosa) e reazioni eterogenee se avvengono tra specie chimiche che si presentano in fasi diverse. Tipico esempio di reazioni omogenee sono quelle che avvengono tra specie gassose, mentre tipiche reazioni eterogenee sono la combustione di solidi con lossigeno atmosferico. Le reazioni che possibile descrivere utilizzando ununica equazione stechiometrica e ununica equazione cinetica vengono dette reazioni singole; le reazioni multiple sono invece quelle per le quali occorrono pi equazioni stechiometriche e cinetiche per descrivere le modalit di variazione dei diversi componenti del sistema. Esempio di reazioni multiple sono le cosiddette reazioni in serie, nelle quali la trasformazione da reagenti in prodotti avviene passando attraverso fasi intermedie nelle quali pi di una reazione coinvolge uno stesso reagente. Le reazioni chimiche possono essere ancora suddivise sulla base del verso seguito dalla reazione, per cui si parla di: reazioni reversibili e di reazioni irreversibili. Gran parte delle reazioni sono reversibili. quando ci si avvicina alla condizione di equilibrio la velocit delle reazioni diretta e inversa divengono confrontabili e la reazione pu essere considerata come reazione reversibile Supponiamo un'ipotetica reazione chimica, in cui una molecola di A entri in reazione chimica con se stessa. Questa reazione si rappresenta con l'equazione chimica A B. Assumiamo di poter seguire questa reazione e di poter conoscere ad intervalli di tempo le variazioni di concentrazioni di A o di B (Se ad esempio A ha un color rosso e B incolore, potremmo usare un colorimetro per misurare la velocit di scomparsa di A dall'indebolirsi del colore rosso) la velocit di questa reazione proporzionale alla concentrazione iniziale di A e la velocit anche descritta dal rapporto tra la variazione di concentrazione di A e il tempo in cui questa variazione ha luogo. Se uniamo questi termini che descrivono la velocit di questa reazione abbiamo: velocit di reazione: = k [A ] =
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Da questa espressione deduciamo che la concentrazione di A nel termine k [A] compare alla prima potenza: questa reazione dunque del primo ordine. La stechiometria fosse stata 2AB la cinetica sarebbe stata del secondo ordine cio v = k[A]2 ; fermo restando che l'espressione matematica si deve accordare con i dati sperimentali della cinetica di reazione. Come si giustifica questo risultato con la teoria delle collisioni? Una molecola che reagisce pu acquistare attraverso una collisione, energia sufficiente per subire decomposizione o un riarrangiamento interno di legami originando nuovi prodotti. La particella con cui urta non un reagente ma la collisione necessaria per fornire alla specie che reagisce l'energia richiesta per fare avvenire la reazione stessa. Tornando alla ipotetica reazione A B, la velocit di questa reazione funzione non solo della diminuzione della concentrazione del reazione ma anche dell'aumento di concentrazione del prodotto. Dipende dalla specifica reazione in esame in quale modo sia pi conveniente esprimere la velocit di reazione. Per esempio, se il reagente colorato e il prodotto incolore sperimentalmente pi facile seguire la diminuzione di colore quale misura variazione di concentrazione del reagente. Se facile misurare la quantit di prodotto, allora lequazione diventa: K[A] =
Vi = Ki[C]cx[D]d
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Chimica generale
lunghi. Lo scopo della termodinamica quello di studiare le condizioni di equilibrio per una data reazione chimica, mentre obiettivo della cinetica quello di studiare le modalit con le quali tali condizioni di equilibrio termodinamico vengono raggiunte. Lo stato di equilibrio invariante cio mantiene costante nel tempo nel tempo ogni sua propriet, se le condizioni restano le stesse. Tale equilibrio si dice che dinamico in quanto, nellunit di tempo, un ugual numero di molecole passa da uno degli stati allaltro; ci conseguenza delleguaglianza di velocit di trasformazioni opposte; raggiunto spontaneamente ed indifferentemente a partire da uno qualsiasi degli stati coesistenti; esso si mantiene stabile. All equilibrio le due reazioni, quella diretta e quella inversa procederanno fino a raggiungere lo stato di equilibrio, cio reazione inversa non saranno uguali: fino a quando le due velocit della reazione diretta e della
Vd = Vi , cio:
La curva V1 relativa alla cinetica della reazione diretta (Vd), la curva V2 relativa alla cinetica della reazione inversa (Vi): quando le due velocit si eguagliano il sistema ha raggiunto lo stato di equilibrio e la velocit di reazione si mantiene costante (tratto rettilineo)
Kd ___ = Ki
Kd Ed essendo -- = Keq (il rapporto di due costanti e sempre una costante) si ha la relazione: Ki
Keq
Dove Keq prende il nome di costante di equilibrio chimoco. Questa relazione esprime la legge dellazione della massa detta anche legge di Guldber e Waage in , secondo la quale in una reazione omogenea e reversibile a temperatura costante che ha raggiunto il suo stato di equilibrio costante il rapporto delle concentrazioni dei prodotti e dei reagenti ciascuna elevata al proprio coefficiente stechiometrico. Lo stato di equilibrio viene rappresentato con due frecce parallele e di verso discorde poste tra le specie in equilibrio. 82 82
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trazione del substrato, ma raggiunto un valore massimo (Vm) si mantiene costante anche se viene aumentata ulteriormente la concentrazione di S. La velocit massima raggiungibile, a sua volta, funzione della concentrazione dell'enzima. Infatti dalla relazione K' = K [E] si nota che aumentando la concentrazione dell'enzima aggiunto alla reazione aumenta il valore di K' e quindi
La reversibilit un processo ideale praticamente impossibile a realizzarsi. Questo non impedisce, tuttavia, la possibilit di estendere i concetti termodinamici relativi a trasformazioni infinitesime, che avvengono in tempi infinitamente lunghi, alle trasformazioni reali In termodinamica la reversibilit implica che si pu invertire una reazione per piccolissime variazioni di P, T o di concentrazione in qualsiasi momento e che la reazione va di pochissimo nella direzione opposta. Quando si inverte una reazione in questo modo, la reversibilit prevede che non ci siano effetti termici sull'intorno, il che praticamente irrealizzabile.
anche il valore della velocit massima raggiungibile. Iottenuto sperimentalmente riportando su un sistema di assi coordinati cartesiani il valore della velocit di reazione (V) in funzione della concentrazione del substrato S. Dallandamento della curva si nota che la velocit di reazione nel primo tratto della curva del ordine cio la v aumenta proporzionalmente con laumentare della concentrazione nel secondo tratto devia per raggiungere un andamento asintotico Si pu notare come la velocit della reazione enzimaticma, (SE).m Successivamente l'intermedio si scinde neii prodotti di reazione (P) e nell'enzima libero (E); cio la reazione: enzima + substrato f prodotti + enzima avviene attraverso due stadi intermedi di cui il primo reversibi le (doppia freccia) e molto pi veloce del secondo. Quindi il secondo stadio che determina la velocit della reazione globale: K1 10 stadio: S+E K2
SE
K3 2 stad io: SE
P+E
In tale schema Ki. K2 e K3 sono le costanti di velocit delle relative reazioni. Tenuto conto che la velocit con cui si forma 1'intermedio, SE, molto pi elevata della velocit con cui l'intermedio si scinde nei prodotti, logico che la velocit dell'intera reazione enzimatica sia regolata da quella del secondo stadio.La velocit data dall'espressione V = K3[SE] e dipende quindi dalla concentrazione dell'intermedio SE. Questo significa che, per concentrazione costanti di enzima, la velocit di reazione proporzionale alla concentrazione del substrato,dato che per concentrazioni superiori di S diventa maggiore il numero di molecole di substrato legate all'enzima e quindi aumenta la concentrazione dell'intermedio SE. La velocit della reazione per cresce con l'aumentare della concentrazione del substrato fino a raggiungere un valore massimo. La cinetica inizialmente di primo ordine (tratto rettilineo), dato che a basse concentrazioni del substrato realmente la ve locit di reazione aumenta proporzionalmente con l'aumentare di S. La velocit massima raggiungibile (Vm) l'asintoto verso cui tende la velocit di reazione (V) al crescere di [S]. Raggiunta la veloci t massima la reazione essa si mantiene costante anche per ulteriori aggiunte di substrato. Cio la velocit di reazione di ordine zero rispetto ad S; si pu quindi scrivere: V=K' x [S] = K'x1= K 86 86
Chimica generale
Questo comportamento della reazione enzimatica dovuto alla formazione di un complesso intermedio instabile, substratoenzi-ma, (SE) che successivamente si scinde nei. prodotti di reazione e nell'enzima libero (E); cio la reazione avviene attraverso due stadi intermedi di cui il primo reversibile (doppia freccia) e molto pi veloce del secondo: 1) E + S ES 2) ES prodotti + enzima E i l s e condo stadio che determina la velocit della reazione globale.in quanto la velocit con cui si forma 1'intermedio, SE, molto pi elevata della velocit con cui l'intermedio si scinde nei prodotti: la velocit dell'intera reazione enzimatica dunque regolata dal secondo stadio, la cui velocit dipende dalla concentrazione dell'intermedio SE. Questo significa che la velocit di reazione proporzionale alla concentrazione del substrato, dato che per concentrazioni superiori di S diventa maggiore il numero di molecole di substrato legate all'enzima e quindi aumenta la concentrazione dell'intermedio SE. La velocit della reazione aumenta con l'aumentare della concentrazione del substrato fino a raggiungere un valore massimo,cio finch lulteriore l'eccesso di substrato trova tutte le mo1ecole dell'enzima impegnate cio l'enzma in condizioni di saturazione. La velocit massima si raggiunge quindi quando sar [SE] = [E] e cio sar Vm = K3 [SE] = K3 [E] . Si con facili passaggi matematici, che la relazione che esiste tra velocit iniziale della reazione e concentrazione del substrato espressa dall'equazione: Vmx[S] V= ____________ Km + [S] Questa equazione nota come equazione di Michaelis e Menten e graficamente rappresentata da un ramo di iperbole equilatera a fianco rappresentata. La costante Km, detta costante di Michaelis, la costante relativa all'equilibrio del primo dei due stadi attraverso cui si svolge la reazione enzimatica il cui valore corrisponde a quella concentrazione di substrato per cui si ha una velocit di reazione semimassimale. Tanto minore il valore di Km quanto maggiore sar la velocit di reazione enzimatica velocit che espressione dell'affinit dell'enzima per il substrato.Le curve di cinetica enzimatica si ottengono sperimentalmente riportando le velocit di reazione in funzione dellaumento della concentrazione del substrato. Il valore di Km, si ricava per estrapolazione dai valori della curva sperimentalmente ottenuta e corrisponde a quella concentrazione di substrato per cui si ha una velocit di reazione semimassimale: pi piccolo il valore di Km, pi grande la specificit dellenzima per quel dato substrato .
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Chimica generale
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Cap VII
7.1
L'idea di reversibilit in termodinamica presenta analogie col concetto di idealit di comportamento di un gas ideale. Nessun gas obbedisce veramente alla legge dei gas PV=nRT, e, tuttavia, il modello di gas ideale ha permesso una utile e fondamentale interpretazione del comportamento dei gas. In maniera analoga, la reversibilit non si verifica mai nella realt ed nient'altro che una notazione per indicare che una reazione pu procedere in ambedue le direzioni. . Una trasformazione chimica avviene quasi sempre con assorbimento o cessione di calore. La quantit di calore in gioco in una trasformazione tra sistema e intorno dipende da quanto lavoro contemporaneamente effettuato dal sistema. Ci implica il dovere identificare, oltre l'energia interna e l'entalpia, altre funzioni di stato cio l'entropia S e l'energia libera G. L'entropia S di un sistema una funzione che esprime la misura del suo disordine; quando si fornisce calore al sistema, esso diventa pi disordinato. L'equazione descritta si applica ad una trasformazione reversibile in un sistema a pressione e temperatura costante, ma si pu applicare a tutte le trasformazioni, con l'avvertenza che la variazione di entropia di un processo, S, uguale o maggiore del rapporto: q T Le misure termochimiche rendono possibile il calcolo di variazioni entropiche, particolarmente se si sceglie per le entropie assolute un punto di riferimento arbitrario. L'entropia di un cristallo perfetto allo zero assoluto si assume abbia valore nullo (non c' disordine in questo sistema): In base a questo valore assunto l'entropia pu essere calcolata misurando il calore necessario per scaldare la sostanza da circa 0 a 298 Kelvin. Poich S (0K ) = 0, l'entropia nello stato standard si calcola sommando la variazione di entropia di ogni stadio reversibile per l'aumento di temperatura da 0 K fino a 298 K. Quello che misuriamo il calore necessario ad innalzare la temperatura della sostanza ed a far avvenire tutti i passaggi di stato previsti in questo intervallo di temperatura. Questo calore si divide per la temperatura alla quale avviene lo scambio termico in ogni stadio. Poich l'entropia una funzione di stato, la sua variazione lungo una trasformazione si pu calcolare conoscendo le entropie dello stato iniziale S1 e finale S2:
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G=H-S
Non possibile, n necessario conoscere il valore assoluto di H e di G ma possibile misurare la loro variazione H e G. G, rappresenta l'energia disponibile per compiere lavoro e questa energia minore del contenuto entalpico H di una quantit TS, frequentemente indicata come energia inutilizzabile. Poich il sistema tende ad andare verso stati di energia pi bassi, un processo sar spontaneo quando il valore G negativo mentre sar all'equilibrio se G uguale a zero. La spontaneit, di una trasformazione in un sistema chiuso cos legata sia alla variazione di entalpia che di entropia. Quando G = 0 il sistema all'equilibrio, ma ogni qualvolta G negativo (l'energia libera decresce per effetto del processo) la trasformazione spontanea. Queste considerazioni sono la base della affermazione che l'energia libera dell'universo tende ad un minimo e l'entropia tende ad un massimo. Poich, come abbiamo visto, G contiene il termine entalpico e quello entropico, una trasformazione spontanea, a pressione e temperatura costante, si pu ottenere in diversi modi; deve comunque essere verificato che AG < 0: a) Se H < 0, il termine - S pu essere sia negativo che positivo. In questo secondo caso deve essere: | S| < |H | b) Se 0H > 0, il termine - TAS pu essere solo negativo e deve verificarsi che 89 89
Chimica generale
|S| > |H| Questo il caso delle trasformazioni spontanee endotermiche (per esempio la fusione del ghiaccio). c) Se AH = 0, il termine - S deve essere negativo. In questo caso il fenomeno spontaneo come il caso del mescolamento nelle soluzioni ideali. Le calorie fornite ad 1 mole(18g) di acqua a 0C (=273K) ed 1 atm sono necessarie per il passaggio dallo statto solido a quello liqido. Questo calore scambiato a temperatura costante di 273K pari ad 1440/273=5,2 calorie/K e rappresenta le unit entropiche necessarie per la sua fusione. Analogamente,il calore necessario per convertire una mole di acqua (18g) a 100 C in vapore la variazione d'entropia 9720/373= 26 unit antropiche. Questo significa che lacqua allo stato vapore pi disordinata di quanto non sia allo stato liquido. Analogamente, allo stato solido essa possiede pi ordine (meno entropia) che allo stato liquido.Il congelamento lento dell'acqua a ghiaccio a 0 C ed 1 atm una trasformazione reversibile solo se il ghiaccio si pu ritrasformare in acqua aggiungendo lentamente la stessa quantit di energia ceduta nel I congelamento. Una trasformazione si pu considerare re- ( versibile solo se una volta riportata allo stato iniziale non provoca effetti sull'universo. Una trasformazione , invece, irreversibile se nel tentativo di tornare al suo stadio iniziale, produce trasformazioni d'energia del sistema o del suo intorno. Un semplice criterio di reversibilit rappresentato dalle relazioni seguenti:
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S= q/T
relativa ad una trasformazione reversibile
S q/ T
relativa ad una trasformazione non-reversibile.
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Chimica generale
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Chimica generale
Ciascuno elemento caratterizzato da specifiche propriet sostanziali che nel loro insieme definiscono il carattere chimico vale a dire la complessiva capacit a scambiare legami con altri elementi; ci avviene nel corso di un evento che prende il nome di reazione chimica. Il composto chimico pu essere meglio definito come un insieme di molecole che ha una propria natura, cio un proprio comportamento chimico (reattivit,) e propriet fisiche (colore, grado di durezza, temperatura, ecc.) che lo caratterizzano. Il peso molecolare la somma dei singoli pesi degli atomi che la compongono.I corpi si offrono alla nostra osservazione per le proprie caratteristiche che vengono perci dette propriet. Le propriet che eccitano i nostri organi di senso (colori, sapori odori) si dicono anche organolettiche.
Chimica generale
componenti ciascuno dei quali si presenta alla nostra osservazione per le proprie caratteristiche che vengono perci dette propriet. Ogni propriet si pu esprimere come grandezza cio correlabile alla nozione di numero reale. Ciascuna propriet deve essere misurabile; la misurazione che rende ogni fenomeno sperimentalmente determinabile ed i numeri ne sono lespressione. Losservazione scientifica si propone di confermare laccordo tra le misure effettuate sperimentalmente ed i principi teorici espressi con le relazioni ricavate dalla logica matematica. I corpi si offrono alla nostra osservazione per le proprie caratteristiche, perci dette propriet. E attraverso losservazione condotta al fine di ricavare le informazioni necessarie per la valutazione delle propriet di un corpo che si realizza la complessiva conoscenza. Il metodo scientifico realizza tale conoscenza mediante misurazioni delle propriet che vengono espresse come rapporti (in lat. rationes) tra le grandezze osservate e le unit di misura scelte come riferimento. Le scienze sperimentali pertanto sono anche dette scienze razionali perch realizzano la conoscenza mediante tali misurazioni. Le propriet che eccitano i nostri organi di senso, si dicono anche organolettiche, (tali sono il colore, il sapore, lodore ecc.) Un processo evolutivo di un sistema tale in quanto, alcuni (o tutti) dei suoi componenti mostrano cambiamento misurabile di una o pi delle loro propriet Ogni parametro necessario per descrivere uno stato viene definito funzione di stato. Pertanto, nella equazione dei gas ideali la pressione, il volume e la temperatura sono funzioni di stato. Anche l'energia una funzione di stato. importante ricordare che, se si specificano i valori di alcune funzioni di stato, tutti i valori delle altre funzioni vengono fissati di conseguenza. Per esempio, se si specifica la pressione e il volume di una mole di gas ideale, ne risulta fissata anche la temperatura (come pure l'energia e altre funzioni di stato). Una delle caratteristiche fondamentali delle funzioni di stato consiste nel fatto che le loro variazioni, lungo una trasformazione, non dipendono dal cammino percorso. Per esempio, se si varia il volume di un gas da VI a V2, la variazione A V non dipende da come si effettuata la trasformazione. Quindi, per determinare le variazioni di una funzione di stato, necessario conoscerne soltanto i valori iniziali e finali.
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considerare equivalenti, anche se la trasformazione inversa non si effettua facilmente.
B) energia meccanica. si presenta sotto diverse forme tra cui possiamo citare l'energia cinetica e quella potenziale. In termodinamica, la forma di energia meccanica pi frequente il lavoro misurato in termini di forza x distanza o di pressione x volume. Le unir dimensionali del lavoro sono uguali nei due casi perch la pressione una forza per unit di superficie. Pertanto, il prodotto PV di un gas, rappresenta una energia e ha quindi le dimensioni di un lavoro. Questo tipo di lavoro fatto dal sistema sul suo intorno. C) Energia chimica
Se i componenti di un sistema variano la loro forma (i propri volumi,) lasciando inalterata la natura della sostanza, si dice che essi hanno subito un cambiamento dello stato fisico: i corpi hanno semplicemente scambiato energia con lambiente circostante (cio si sono riscaldati o raffreddati). Lo scambio di energia pu comportare un cambiamento dello stato fisico (passaggio di stato) o della natura chimica in questultimo caso si dice che il componente ha subito cambiamento dello stato chimico, cio nel sistema intervenuto un fenomeno che prende il nome di reazione chimica. Lenergia che si libera quando due atomi si legano tra loro per formare la molecola viene detta energia di legame. Lenergia dei un legame covalente tra due elementi A e B di uguale elettronegativit uguale alla media delle energie di legame delle molecole A-A e B-B dei due atomi costituenti, mentre se lelettronegativit dei due atomi che si legano molto diversa, lenergia di legame rispetto alla media delle energie di legame degli atomi costituenti risulta superiore un termine detto energia di risonanza, La molecola cio risulta pi stabile per la possibilit che ha di rimanere tra una forma covalente e una forma ionica.
8.4. Le fasi
Secondo il loro stato di esistenza i corpi possono essere gassosi, liquidi o solidi. I primi posseggono il volume e la forma del contenitore i secondi posseggono la forma del contenitore ma volume proprio, gli ultimi, infine, posseggono forma e volume propri. Se due stati coesistono, essendo separati da una ben distinta superficie, a ciascuno di essi si da il nome di fase. Tale , ad esempio, il sistema formato dal ghiaccio fondente, vale a dire acqua in fase solida (ghiaccio) in presenza della sua fase liquida; la medesima sostanza pu dunque esistere contemporaneamente in due diversi stati di aggregazione, quando si realizza tale circostanza si dice allora che essa realizza un sistema bifasico; in opportune condizioni (cio per determinati valori di temperatura e pressione) il composto realizza lequilibrio trifasico, cio si trova contemporaneamente allo stato solido, liquido e gassoso. Due liquidi diversi tra di loro immiscibili formeranno un sistema di due fasi (bifasico) mentre se sono completamente miscibili formeranno una fase unica (sistema monofasico) che prende il nome di soluzione, se sono 94 94
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parzialmente miscibili formeranno un sistema bifasico. Il cambiamento dallo stato solido a quello liquido prende il nome di fusione, il cambiamento dallo stato liquido allo stato gassoso prende il nome di ebollizione, il passaggio dallo stato gassoso a quello liquido prende il nome di liquefazione e da liquido a solido solidificazione. Un particolare passaggio di stato prevede il passaggio dallo stato solido allo stato di vapore tale passaggio viene detto sublimazione e brinamento il passaggio inverso. Lo stato gassoso di un composto che in condizioni normali si trova allo stato liquido o solido, prende il nome di vapore. Se invece cambia la natura della sostanza del corpo, si dice che esso ha subito un cambiamento dello stato chimico e cio che si realizzato un fenomeno che prende il nome di reazione chimica. Ciascun corpo pu esistere in uno dei tre diversi stati di aggregazione in funzione di quella che si chiama energia interna. Un corpo si dice che allo stato solido se con la sua massa occupa un proprio volume, un corpo si dice che allo stato liquido se esso possiede massa propria ma occupa il volume del suo contenitore, si dice infine che esso allo stato di gas (ovvero di vapore) se la sua massa occupa tutto il volume che gli offre il circostante ambiente. In linea di principio possiamo affermare che a bassi valori di energia i corpi mantengono lo stato solido, per valori intermedi lo stato raggiunto quello liquido, per alti valori i corpi si trovano allo stato di gas. Per tutti i corpi sono sempre possibili scambi di energia sotto forma di calore, ne risulta che il riscaldamento (o raffreddamento) comporta una modificazione dello stato fisico, meglio conosciuta come cambiamento di fase. La misura facilmente realizzabile per questi scambi di calore la temperatura. Gli atomi che formano le molecole di ciascun componente allo stato solido non sono immobili, ma oscillano in continuazione e questa loro oscillazione aumenta con l'aumentare della temperatura dellintero sistema. Quindi l'energia termica propria del corpo, quella che noi avvertiamo come la sua temperatura, data dall'energia prodotta dal movimento degli atomi. Quando la temperatura del corpo raggiunge determinati valori, le aumentate oscillazioni degli atomi fanno s che essi non occupino pi il loro posto ma si trovino circondati da altre molecole anchesse in moto disordinato. A questo punto si verifica la fusione del corpo, che da solido diventa fluido. La stessa cosa avviene in un liquido, che si trasforma in gas o, come si dice, evapora
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Da tempo si sapeva che il volume di un gas tendeva ad aumentare allaumentare della temperatura. Nel 1793 si interess a questo problema Alessandro Volta, il quale intu che il volume dei gas aumentava linearmente con laumentare della temperatura. Fu il fisico Charles a rilevare che il volume di gas differenti aumentava di una stessa frazione del volume occupato a 0C. Pi tardi Gay-Lussac enunci la legge (detta isobara di Charles e Gay-Lussac o . Tale legge afferma che: a pressione costante, il volume di un gas per ogni variazione di 1C della temperatura varia di 1/273 del volume Vo misurato alla temperatura di zero gradi centigradi : Vt = VO + 1/273 VO T= VO (1 + 1/273 T) La seconda legge o isocora di Charles e Gay-Lussac assume che: a volume costante, la pressione di un gas varia di 1/273 della pressione che il gas esercita a 0C, per ogni grado centigrado di variazione della temperatura: Pt = PO + 1/273 Pot. Il valore 1/273 viene denominato coefficiente di dilatazione termica di un gas. La temperatura di -273C rappresenta la temperatura pi bassa alla quale pu essere rappresentata la materia; essa non pu essere sperimentalmente raggiunta e perci viene indicata come lo zero assoluto della scala Kelvin. Le leggi finora viste possono essere combinate in ununica legge che espressa dalla relazione:
PV/T = costante
Da questa relazione si pu ottenere la relazione generale:
PV = nRT
dove n sono le moli di gas. La costante R detta costante universale dei gas ideali Le regolarit osservate da Gay-Lussac nei rapporti di combinazione dei gas hanno consentito ad Avogadro di: sviluppare la teoria atomico-molecolare e porre le basi per la determinazione dei pesi molecolari e delle masse atomiche degli elementi chimici. Questo perch: le particelle dei gas sono molto distanti le une dalle altre il volume occupato dalle particelle di un gas pu essere considerato trascurabile rispetto al volume totale occupato dal gas. Secondo il principio di Avogadro il volume di una mole di qualunque gas costante e corrisponde a 22,4 litri, alla temperatura di 273 oK e al valore di pressione unitario di una atmosfera. Tale volume contiene un numero sostante di molecole il cui valore pi approssimato pari a 6,022 x 1023; tale valore si pu ottenere con misurazioni basate sui pi disparati fenomeni quali la radioattivit, lelettrolisi, la teoria cinetica dei gas, la diffusione della luce, ecc. Per i gas reali le leggi enunciate valgono soltanto quando si opera a basse pressioni e a temperature elevate.
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ne di vapore del liquido. Essa ha un valore tipico per ogni liquido puro e viene misurata con una canna barometrica. La tensione di vapore dipende da due fattori: la massa molecolare del liquido in quanto le molecole pi pesanti si muovono pi lentamente delle molecole pi leggere hanno minor tensione di vapore, e le forze intermolecolari che determinano la coesione del liquido stesso. Liquidi caratterizzati da forze intermolecolari elevate richiedono una notevole quantit di energia e la loro tensione di vapore elevata.
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Le particelle interne sono statisticamente attratte dalle altre particelle in Tutte le dire z ioni. me ntre que lle superficiali risentono di una forza attrattiva risultante diretta verso l'interno. Solo le molecole dotate di grande valore di energia possono passare nel sovrastante fase vapore (evaporazione). Ela
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da prendere in considerazione la temperatura. All'aumentare della temperatura l'energia cinetica delle molecole aumenta e quindi i legami che si sono formati tra le molecole di gas e quelle dell'acqua sono rotti pi facilmente. Ne risulta che la solubilit di un gas diminuisce all'aumentare della temperatura. E esperienza comune che portando a temperatura ambiente un bicchiere di birra fredda, dopo un po' di tempo, man mano che la birra si riscalda, si formano delle bollicine, proprio perch all'aumentare della temperatura la solubilit dei gas diminuisce. Se si porta all'ebollizione dell'acqua, la solubilit dei gas disciolti (azoto ed ossigeno) diminuisce talmente che l'acqua pu considerarsi deareata. L'acqua bollita, per esempio, non pu essere immediatamente utilizzata per i pesci, perch non contiene ossigeno. L'effetto della temperatura sulla solubilit di un gas in un liquido ha importanza anche per la respirazione umana. Il trasferimento di ossigeno dagli alveoli nel flusso sanguigno aiutato dal fatto che la temperatura del sangue che lascia i polmoni leggermente inferiore a quella del sangue che vi arriva.
La Concentrazione 1)la percentuale in volume (%): numero di centilitri (Vi) di un componente, i, contenuti in 100 ml di soluzione
%= Vi litri soluto 100 = litri soluzione Vt 100
2)la frazione molare (xi): rapporto fra il numero di moli (ni) del componente i e il numero di moti totali (nt=n1+...+ni) presenti in soluzione
xi = ni nt con xi = 1 i
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solvente; liquido-liquido; gas-liquido; solido-liquido; solide; le soluzioni solide possono essere costituite da una delle seguenti coppie soluto-solvente: liquido-solido; gas-solido; solido-solido. La quantit relativa di una sostanza nota come la sua concentrazione e viene espressa secondo diverse serie comuni di unit. La ragione delluso effettivo di diverse unit di misura legata al fatto che esistono diversi metodi sperimentali per determinare le concentrazioni e che alcune leggi delle soluzioni possono essere espresse per mezzo di formule matematiche particolarmente semplici scegliendo una opportuna unit di misura per la concentrazione. In generale si definisce concentrazione di una soluzione la quantit di soluto presente in un volume unitario di soluzione, restando sottinteso che la soluzione allo stato liquido, essendo il solvente lacqua. La concentrazione viene, infatti, comunemente espressa come grammi/litro cio grammi di soluto presenti in un litro di soluzione (g/l). Nei calcoli si preferisce esprimere la quantit di soluto in numero di moli. Una mole corrisponde al peso molecolare espresso in grammi. Una maniera abituale di esprimere la concentrazione anche il percento, vale a dire il rapporto tra la quantit di soluto, misurata in peso o in volume, e la quantit di soluzione riferita a 100 parti in peso, ovvero in volume. La notazione percentuale cos seguita dalle unit di misura prescelte (% g/g, % g/v ovvero %v/v). Infine pu essere utile esprimere la concentrazione come rapporto fra il numero di moli del soluto e il numero di moli totali (soluzione pi soluto). I modi pi comuni per esprimere le concentrazioni sono dunque i seguenti: Percentuale in peso (%): numero di grammi (gi) di un componente i contenuti in 100 g di soluzione. Se una soluzione viene preparata pesando le quantit dei vari componenti, pu essere comodo esprimere la concentrazione di un componente come rapporto fra la massa del componente in questione e la massa della soluzione. 2) La molarit (M): numero di moli n, di soluto contenuti in un litro (=1000 cc) di soluzione 3) la molalit (m): numero di moli ni di un soluto i contenuti in 1000 g di solvente. La molalit una unit utile nei calcoli di crioscopia (punto di congelamento) e di ebullioscopia delle soluzioni, ma poich difficile pesare i solventi liquidi, la molalit scomoda per il comune lavoro da laboratorio. Per soluzioni acquose molto diluite (ossia numero di moli di soluto piccolo rispetto al numero di moli di solvente) la molalit circa uguale alla molarit, poich la densit della soluzione circa uguale ad 1 (densit dellacqua). Per le soluzioni in cui i singoli componenti isolati siano allo stato solido (in genere tali sono i sali), le quantit solitamente si esprimono in grammi (g); per le soluzioni i cui componenti sono allo stato fluido (liquido o gas) le quantit si esprimono in litri, l, o nei sui sottomultipli i millilitri, ml (1). Se non altrimenti specificato, per solvente si deve sempre intendere lacqua e la soluzione deve essere sempre intesa come soluzione acquosa. Nei calcoli chimici le concentrazioni sono anche espresse in:
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3) normalit (N) in cui la quantit di soluto calcolata come numero di grammo-equivalenti (o pi semplicemente equivalenti) di soluto presenti in un litro di soluzione, essendo: Grammo equivalente = grammomolecola/n Con n numero intero. Per calcolare n occorre prima definire la natura chimica del soluto e precisamente nel caso di acidi n uguale al numero di protoni acidi ovvero, nel caso di basi di ioni ossidrile che essa dissocia; nel caso che il soluto debba essere impiegato in un sistema di ossido-riduzione n corrisponde alla differenza del numero di ossidazione prima e dopo la reazione stessa. Si hanno diversi tipi di soluzione secondo la diversa natura chimica di ciascuno dei suoi componenti oltre che del loro stato di aggregazione. Una soluzione in cui il solvente allo stato di gas e il soluto un solido prende il nome di fumo; nel caso in cui il solvente sia allo stato solido ed il soluto allo stato gassoso si parla di pomici. Nel caso di una soluzione il cui solvente in fase liquida e di un soluto in fase gassosa, si parla di schiuma. Alle soluzioni, in cui il solvente un liquido (in particolare il mercurio) ed il soluto un solido (in particolare un metallo) si d il nome di amalgama. Un amalgama particolare quello realizzato sciogliendo nel mercurio (liquido) diversi metalli quali loro, il sodio ecc. Nel caso che il soluto sia una macromolecola o un polimero, cio una molecola formata da molte decine o centinaia di migliaia di atomi (tali sono alcuni polimeri naturali come l amido o gli acidi nucleici) si ottengono particolari soluzioni dette colloidi. Esistono delle sostanze, dette tensioattive, che fanno diminuire sensibilmente la tensione superficiale dell'acqua, anche se aggiunte in piccole quantit, migliorandone le capacit emulsionanti e detergenti.
8. 8. Metodi di separazione
I principali metodi per separare un sistema eterogeneo nelle fasi che lo costituiscono sono di due tipi: metodi fondati sulla differenza di densit tra le fasi sfruttando lazione della forza di gravit (sedimentazione) o della forza centrifuga (centrifugazione); metodi fondati sulla differenza di dimensioni (filtrazione) delle particelle che costituiscono le fasi: il sistema passa attraverso un materiale poroso che funziona da filtro. I metodi che permettono di separare un solido da un liquido sono la decantazione sono la decantazione, la filtrazione e la centrifugazione
8.8.1 La decantazione
Il procedimento della decantazione sfrutta la forza di gravit che spinge verso il basso le particelle solide in
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soluzione. Per eseguire una decantazione basta lasciare sedimentare il solido al fondo del contenitore e allontanare quindi il liquido sovrastane per versamento.
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8.8.2 filtrazione
La filtrazione la tecnica pi comunemente usata sia che si voglia recuperare la fase liquida, sia che interessi raccogliere la fase solida. Il materiale comunemente adottato nellallestimento di un sistema filtrante la carta da filtro costituita da semplici fibre di cellulosa. Gli interstizi tra le diverse fibre definiscono la porosit e quindi le dimensioni delle particelle che essa in grado di filtrare. Altri filtri possono essere fatti di porcellana o di asbesto o anche polvere di diatomee (farina fossile). Questi materiali che possiedono fori piccolissimi sono impenetrabili ai comuni batteri ma non ai virus, per cui vengono spesso usati nelle tecniche di batteriologia. Filtri a porosit ancora minore (ultrafiltri) vengono utilizzati per filtrare le particelle colloidali. Tali dono i filtri dializzatori di cellophan che vengono impiegati nelle tecniche di biologia molecolare.
8.8.2 centrifugazione
La centrifugazione il metodo pi convenientemente usato nei laboratori quando si voglia separare un solido da un liquido o da un altro liquido di diversa densit per mezzo della forza centrifuga. Tale tecnica diventa esclusiva nel caso si vogliano recuperare piccole quantit di solido molto finemente disperso in soluzioni di tipo colloidali: tale il caso delle macromolecole biologiche e degli organuli sub-cellulari. La sostanza da trattare viene immessa in un rotore posto in rapida rotazione intorno al proprio asse Laccelerazione centrifuga che ne deriva per effetto della rotazione agisce sui corpi in soluzione che tenderanno a disporsi sul fondo della provetta che li contiene Le comuni centrifughe cosiddette da tavolo raggiungono una velocit di sole 3.000-5.000 giri al minuto (r.p.m.) Le supercentrifughe raggiungono i 20.000-50.000 r.p.m. e le ultracentrifughe superano i 70.000. r.p.m.
8.8.3 distillazione
Nel caso di un sistema omogeneo per la separazione dei diversi componenti si sfrutta il loro diverso grado di volatilit mediante il procedimento della distillazione. Una distillazione si esegue mediante ripetute evaporazioni e condensazioni in modo da arricchire gradualmente il vapore del componente pi volatile; la distillazione impiegata, ad esempio, per ottenere i cosiddetti distillati dalle bevande alcoliche di fermentazione naturale e quindi a basso tenore alcolico: I distillati, al contrario, pu arrivare ad un contenuto alcolico fino al 50-70% e oltre in contenuto alcolico.
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Condizione essenziale affinch si possa eseguire una distillazione che i componenti non si decompongano per effetto del riscaldamento. La distillazione si dice semplice se comporta la separazione di un liquido volatile da una o pi sostanze non volatili. Al contrario si dice frazionata se comporta la separazione di un composto da una miscela di due o pi liquidi con differente temperatura di ebollizione. La distillazione semplice la miscela viene posta in un palone e riscaldata fino a quando il componente a pi basso valore di temperatura di ebollizione non si separa ed il vapore raccolto (distillato) da un condensatore. Nella distillazione frazionata si interpone fra il pallone ed il condensatore una colonna di distillazione: il vapore che sale nella colonna per effetto del calore si condensa nella colonna; continuando il riscaldamento sale altro vapore che scambia col liquido della colonna il proprio calore facendo evaporare una frazione pi volatile che sale per ricondensarsi sul piatto della colonna pi in alto. In tal modo solamente la frazione pi volatile riuscir a raggiungere la testa della colonna e a distillare. Quando passata la prima frazione si aumenta il riscaldamento facendo distillare la seconda frazione.
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Pi = xiPi
dove Pi e xi sono la pressione parziale e la frazione molare del componente i-esimo e Pi la tensione di vapore del componente i-esimo puro alla stessa temperatura. Per soluzione ideale si intende una soluzione la cui diluizione abbastanza diluita tale che nel suo comportamento rispetta appunto la legge di Raoult. Una soluzione ideale deve essere tale in quanto nella miscelazione dei suoi componenti non viene scambiato calore e inoltre il volume complessivo deve essere uguale alla somma dei volumi dei singoli componenti. Cos, ad esempio, una soluzione di acqua ed alcol non ideale in quanto nella miscelazione acqua-alcol etilico si ha contrazione di volume. Nel caso di una soluzione il cui soluto poco o niente volatile (tali sono i sali) si ha un netto abbassamento della tensione di vapore del solvente (acqua). A questo abbassamento corrisponde un innalzamento del punto di ebollizione ed un abbassamento del punto di congelamento. Labbassamento della tensione di vapore di un liquido causato dall aggiunta di un soluto non volatile pu variare facilmente allinterno di una canna barometrica. Tale abbassamento visualizzato dallinnalzamento del livello del mercurio nella canna barometrica rispetto al livello raggiunto dal solvente puro. Tale diminuzione proporzionale al numero di mole di un soluto presente nella soluzione considerata. Ci significa che in uguali quantit in peso di un medesimo solvente si solubilizza, ad esempio, lo stesso numero di moli di soluti diversi si osserva che labbassamento della tensione di vapore ha lo stesso valore per ogni soluzione. Come abbiamo detto la temperatura di ebollizione corrisponde a quel valore di temperatura alla quale la
Chimica generale
P tensione di vapore eguaglia la tensione atmosferica (760 millimetri di mercurio). Si comprende allora che lab(mmHg) bassamento della tensione di vapore di una soluzione la temperatura di ebollizione aumenter rispetto alla temperatura di ebollizione del solvente puro. Se consideriamo una generica soluzione acquosa essa bollir non piu a 100 gradi bensi ad una temperatura superiore. Tale aumento risulta essere proporzionale alla concentrazione espressa in molarit:
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liquido ghiaccio
Teb=kebxm
Dove: keb=costante ebuldoscopica m=concentrazione in molarit All'innalzamento della temperatura di ebollizione corrisponde un'abbasamento della temperatura di fusione; tale abbassamento si musura con un apparecchio detto criostato. Tale abbasamento sempre proporzionale al numero di moli del soluto:
760
vapore 0 t
eb
Temperatura (C)
Tcr=kcrxm
Dove: kcr=costante croscopica m=concentrazione in molarit La costante criosopica 1,86C. il che vuol dire che un po di soluto della soluzione si innalzer di 1,86C
. .
.. . .. . . . . B. . . . .
A
innalzamento livello
. .
solvente
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Chimica generale
pretabile come modello delle membrane semipermeabili in quanto realizzano un processo di solubilit selettiva. Quando due soluzioni hanno la stessa concentrazione in particelle, hanno la stessa pressione osmotica; si dicono allora isotoniche, nelle soluzioni isotoniche gli scambi di solvente si equilibrano e non si manifesta pressione osmotica. Il comportamento delle molecole di soluto all'interno della soluzione simile a quello delle molecole di una massa gassosa. Per la pressione osmotica, vale la stessa equazione trovata per i gas. Il suo valore infatti calcolabile con una espressione perfettamente identica a quella del gas sostituendo al valore della pressione P il valore della pressione osmotica si ottiene la relazione:
V = n R T
possiamo esprimere la in f unz ione della molarit:
V = [M]RT
dove: = pressione osmotica in atm n = numero di moli R = 0,0821 atm/mol K (costante universale dei gas perfetti) V = volume della soluzione in litri [M] = molarit della soluzione
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ndissociate niniziali
Il grado di dissociazione evidentemente uguale a 0 per i non-elettroliti, pari a 1 per gli elettroliti forti e assume valori compresi tra 0 ed 1 per gli elettroliti deboli. Se una sostanza presenta ad esempio un grado di dissociazione pari a 0,3 significa che per ogni 100 molecole che sono state poste in soluzione, 30 si sono dissociate in ioni, mentre 70 sono disciolte senza essere dissociate. Per esemplificare quanto detto prendiamo in considerazione la pressione osmotica. Abbiamo visto che la pressione osmotica si calcola dalla relazione:
= MRT
La pressione osmotica di una soluzione 0,1 M di un qualsiasi soluto a 20C dovrebbe dunque essere pari a
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Chimica generale
dizioni di temperatura, troviamo un valore doppio, pari a 4,8 atm. Tale fenomeno si spiega facilmente se consideriamo che il cloruro di sodio, come quasi tutti i sali, un elettrolita forte ( = 1) ed quindi completamente dissociato. In soluzione non si trovano dunque 0,1 moli per litro di molecole di NaCl, ma 0,1 mol/l di ioni Na+ e 0,1 mol/l di ioni Cl-,
Poich la pressione osmotica una propriet colligativa, il suo valore effettivo dipende dal numero di particelle effettivamente presenti, che in questo caso particolare risultano essere esattamente il doppio di quelle teoricamente immesse in soluzione. In generale dunque per ottenere dei valori attendibili per le propriet colligative sar necessario moltiplicare il numero di moli teoriche per un coefficiente che ci dia il numero di particelle effettivamente presenti in soluzione. Per trovare il numero di particelle effettivamente presenti possiamo procedere in questo modo: supponiamo di mettere in soluzione n moli di un elettrolita E il quale si dissoci in n ioni e presenti un grado di dissociazione . Allora: n = numero di moli inizialmente presenti n = numero di moli che si dissociano n - n = numero di moli indissociate n = numero di ioni che si formano dalle moli dissociate
(n - n) + n = numero di moli indissociate + numero di ioni che si formano = numero totale di particelle.
Raccogliendo a fattor comune il numero di moli n inizialmente presenti si ottiene
n (1 - + )
La quantit (1 - + ) detta numero i di van't Hoff e rappresenta per l'appunto il coefficiente per cui necessario moltiplicare il numero di moli iniziali n per ottenere il numero di particelle effettivamente presenti in soluzione. Il numero i di van't Hoff rappresenta quindi il coefficiente per cui necessario moltiplicare il valore teorico di una propriet colligativa per ottenere il valore effettivo. Nel caso della pressione osmotica possiamo dunque scrivere
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Chimica generale
note = c RT = Pressione osmotica c= concentrazione in molarit R = costante universale dei gas perfetti= 0,0821 T = temperatura in K = C +273 i= coefficiente di van 't Hoff = sperimentale calcolato
effettiva = teorica i =
quilibrio:
( n i ) RT
V
Consideriamo ad esempio un generico elettrolita debole A B, per il quale esiste in soluzione il seguente e-
AB <-> A+ BEd indichiamo con a il grado di dissociazione e con v il numero di ioni che provengono dalla dissociazione di una singola molecola. Il numero totale di particelle dopo la dissociazione dato dallespressione:
sperimentale I = calcolato
numero totale di particelle dopo dissociazione 1+(v1) = = - = 1+(v+1) numero totale di particelle disciolte 1
Nel caso di elettroliti forti i dunque un numero intero esprimente il numero di particelle ioniche dissociate. Abbiamo visto che un elettrolita debole si pu considerare dissociato completamente solo a diluizione infinita, per cui una soluzione di elettroliti debole contiene generalmente anche molecole di soluto non dissociate (a < 1). Il totale delle particelle di elettroliti debole presenti in soluzione, ntot, sar quindi dato dalla somma delle particelle dissociatesi (ioni), pari a n, e di quelle rimaste indissociate (molecole), pari a: n -
10.2. Osmolarit
Labbassamento della tensione di vapore, linnalzamento della temperatura di ebollizione, labbassamento delle temperatura di congelamento e la pressione osmotica sono tutti fenomeni causati dall'aggiunta di un soluto. Tali propriet sono funzioni del numero delle particelle di soluto effettivamente presenti in soluzio-
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Chimica generale
ne, per cui, piuttosto che di molarit si deve parlare di osmolalit di una soluzione. Viene definita osmole di una sostanza la quantit della stessa che, in soluzione realizza una mole di particelle. Se prendiamo in esame, ad esempio, il cloruro di sodio che si d issocia in Na + e Cl - , per avere una osmole necessario prendere 1/2 mole del sale. Quindi: 1 mole = 58,5 g; 1 osmole = 58,5 g/2 = 29,25 g. Per il CaCl2, che sciolto in acqua d 3 ioni, la osmole sar pari a 1/3 di mole. Quindi 1 osmole = 111 g/3 = 27g. Quindi: 1 mole = 58,5 g; 1 osmole = 58,5 g/2 = 29,25 g
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Lunita di misura dei pesi il grammo, g che corrisponde al peso di un centimetro cubo di acqua. Spesso vengono anche impiegati i suoi sottomultipli che sono mg= 0,001g = 10-3 g; pg= picogrammo = 0,000001g = 10-6 g; ng= nano grammo = ,000000001g = 10-9g. nei calcoli tecnici si usano spesso alcuni multipli del grammo che sono: Kg (chilogrammo)=1000g= 103 g; Ton = tonnellata = 1.000.000 g = 106 g Lunita di misura usata per misurare i volumi il centimetro cubo (cm3, ovvero cc); nella pratica la misura dei volumi si esprime in litri l, che equivale a 1000 cc. Conoscere il volume occupato da un corpo di massa m, V, vuol dire determinarne la densit, , dalla semplice relazione di proporzionalit : V = x m = m/V. Per un liquido di densit unitaria, ed questo il caso dellacqua, si ha luguaglianza tra la sua massa espressa in peso e suo volume: V = m, cio 1 cc=1
Chimica generale
Cap XI La misura
11.1 strumenti di misura ed errori
La misura del valore di ciascuna grandezza viene realizzata mediante limpiego di opportuni strumenti. Ogni strumentazione tuttavia sempre soggetta ad errori insiti con la meccanica di costruzione; tali tipi di errori vengono allora detti sistematici. Gli errori che dipendono dalla capacit di lettura delloperatore, sono invece detti errori casuali. Ogni misurazione per essere attendibile deve presentare un alto grado di riproducibilit. Quando la stessa misura viene ripetuta pi volte quanto pi sono i valori tra loro vicini quanto pi alto il grado di precisione. La conversione di una grandezza fisica in un valore numerico di un fenomeno qualitativamente osservabile consente la sua trasposizione in un modello matematico sperimentalmente misurabile. L'idea che guida il ricercatore nell'elaborazione di tale modello che una situazione sperimentale qualsiasi determinata. Lo studio del fenomeno che costituisce questa situazione sperimentale consiste nel mettere in evidenza possibili cambiamenti che si possono spiegare con meccanismi che modificano le probabilit di risposta. La serie di avvenimenti che si verifica, di prova in prova, pu essere espressa dalle modificazioni di tali probabilit. Quando ci si trova in presenza di un numero elevato di situazioni, le modificazioni, sotto forme diverse, portano a un modello probabilistico.
Chimica generale
un ragionamento che non fosse sostenuto dallo strumento matematico. Il confronto statistico la tappa successiva nella quale il confronto delle predizioni teoriche del modello e i dati sperimentali pongono problemi che la metodologia statistica pi delle volte risolve. Si pu pensare a priori che, quando il confronto delle predizioni teoriche del modello e i dati sperimentali sono in accordo, le ipotesi di base del modello siano confermate sperimentalmente; ci nondimeno esse non lo sono tutte sistematicamente e in tutti i casi: le stesse predizioni sono in questo caso ricavate solo da una parte delle ipotesi. Si allora potuto mettere in evidenza la compatibilit del modello iniziale con tutta una classe di modelli (modi lo generale), di cui il modello iniziale sarebbe solo un rappresentante. In genere, le situazioni particolari dei diversi possibili modelli possono essere sottoposte a un'analisi che metta in evidenza serie di particolarit, le quali servono da elementi per il modello generale. Infatti si pu affermare che lo studio dei modelli mostra come essi acquisiscono un senso completo e una loro utilit proprio nei confronti tra vari esperimenti, La realizzazione un modello richiede comunque un'analisi critica severa e sistematica della teoria; inoltre essa pu programmare la ricerca, servendo di guida per nuove ipotesi che potranno a lo volta essere di guida per la formulazione finale di una legge.
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composto chimico le masse degli elementi sono sempre presenti in un rapporto definito e costante
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Lavoisier dimostr che in una 12.2.3 Legge delle proporzioni multiple (legge di Dal ton)
Dalton nel 1804 elabor la teoria atomica che pu essere cos riassunta: la materia costituita da particelle piccolissime e indivisibili chiamate atomi. latomo la pi piccola parte di un elemento. gli atomi di uno stesso elemento sono tutti uguali e hanno la stessa massa, ma atomi di elementi differenti sono differenti e hanno masse diverse. le reazioni chimiche avvengono fra atomi interi e non frazioni di atomi. in una reazione chimica gli atomi degli elementi conservano la loro identit e non vengono distrutti. Egli trov che alcuni elementi potevano combinarsi insieme secondo pi rapporti di combinazione. (es. e 3 parti di carbonio potevano combinarsi sia con 8 che con 4 parti di ossigeno per formare 2 composti differenti. Il primo il diossido di carbonio, il secondo il monossido di carbonio). Dalton nel 1803 arriv ad enunciare la legge delle proporzioni multiple: se due elementi formano pi di un composto le masse di un elemento, che si combinano con una massa costante del secondo, stanno fra loro in un rapporto espresso da numeri piccoli e interi. Le leggi riguardanti i rapporti di combinazione degli elementi chimici sono state enunciate tutte sotto forma di leggi dei rapporti ponderali di combinazione Gay-Lussac misur, in condizioni di temperatura e pressione uguali,:i volumi dei gas che reagiscono tra loro e i volumi dei gas che si formano, giunse alla seguente generalizzazione, nota come legge dei volumi di combinazione: in una reazione chimica tra sostanze allo stato gassoso, i volumi dei gas che si combinano e quelli dei gas prodotti nella reazione stanno fra loro in rapporti espressi da numeri semplici. Nella decomposizione dellacqua il volume di idrogeno doppio rispetto a quello dellossigeno. Se invece mescoliamo idrogeno e ossigeno per formare acqua il loro rapporto volumetrico di sar di 2 a 1 reazione chimica si conserva: la massa totale delle sostanze reagenti: in una reazione chimica gli atomi dei singoli elementi: si conservano e non si possono trasformare gli uni negli altri Lavoisier aveva: dimostrato che lidea degli alchimisti (gli elementi potevano essere trasformati tra di loro) era sbagliata; aveva cos fornito una prova indiretta dellesistenza degli atomi e della conservazione della loro massa in una reazione chimica
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Per ogni sostanza venne stabilito di riferirsi a una quantit contenente tante molecole quante sono contenute in 12g di carbonio. Questo si trovava in contraddizione con la legge di Gay-Lussac. Se volumi uguali di gas differenti contenevano lo stesso numero di atomi, allora il volume di idrogeno avrebbe dovuto dare un volume di cloruro di idrogeno: la molecola di cloruro di idrogeno doveva essere costituita da un atomo di idrogeno e uno di cloro. Gay-Lissac otteneva invece due volumi anzich uno. Per avere una spiegazione concreta della legge di Gay-Lussac si dovette aspettare Avogadro, che ebbe unintuizione veramente eccezionale: introdurre il concetto di molecola e di distinguerlo da quello di atomo. Avogadro definiva allora molecola la particella pi piccola di una sostanza, capace di esistenza indipendente: latomo era la particella pi piccola di un elemento che entra nella formazione dei suoi composti. Egli si accorse inoltre che alcuni elementi (idrogeno, ossigeno, azoto, cloro) dovevano avere molecole biatomiche (2 atomi identici). La sua ipotesi gli permise di enunciare il seguente principio: volumi uguali di gas differenti, nelle stesso condizioni di temperatura e pressione, contengono lo stesso numericelle che Avogadro chiam molecole integranti per distinguerle dalle molecole elementari (gli atomi) Numero di Avocado. Lutilizzazione dei pesi molecolari delle sostanze pone un problema pratico in quanto questi pesi sono espressi in unit di peso atomico e lunit di peso atomico molto piccola. Il peso di ogni singola molecola cos basso che impossibile misurarlo in laboratorio per cui per un uso pi pratico necessaria ununita pi grande. Lunit di peso che si usa in laboratorio il grammo (g); possiamo scegliere allora un numero di atomi il cui peso complessivo espresso in grammi sia numericamente uguale al peso di un atomo espresso in unit di peso atomico. Questo numero di atomi andr bene per tutti gli elementi. I chimici hanno trovato che 6,02 x 1023 atomi di un elemento hanno un peso in grammi uguale al numero che esprime il peso di un suo atomo in unit di peso atomico (per esempio un atomo di idrogeno pesa 1,0079 uma; 6,02 x 1023 atomi di idrogeno pesano 1,0079 g). Questo numero (6,02 x 1023 ) chiamato numero di Avogadro; il simbolo per indicare questo numero N.
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di idrogeno posto uguale a 1. Il peso molecolare corrisponde alla somma dei singoli pesi atomici degli atoni che compongono la molecola. Esso un numero adimensionale che indica quante vale la massa di una molecola di un certo elemento maggiore di quella dellunit di misura. Oggi lunit di misura delle masse atomiche corrisponde a 1/12 della massa dellisotopo 12 del carbonio. Il volume molecolare di un gas ideale pari a 22,412L in condizioni normali. Tale valore considerato una invariante, la mole occupa sempre un volume pari a 22,412 litri. In una mole di qualsiasi gas contenuto sempre lo stesso numero di molecole. Questo numero (N), noto come numero di Avogadro, grandissimo: N = 6,023 * 10. La massa di una mole di sostanza espressa in grammi viene definita massa molare e corrisponde a 6,023x1023 atomi o molecole della sostanza. Un grammoatomo di un elemento cos la massa atomica relativa al peso atomico espressa in grammi. Una grammomolecola o mole pari al peso molecolare espresso in grammi. Per stabilire il valore della massa molare di un qualsiasi gas basta misurare il volume, in condizioni standard di pressione e temperatura, di un campione di sostanza, a, e pesarlo. Esso pu essere calcolato con una proporzione: M : 22.4 = a : b in cui M rappresenta la massa molare, a la massa del campione e b il suo volume che esso. occupa Una mole di una qualsiasi sostanza contiene sempre il numero di Avogadro di atomi o molecole. Quando Canizzaro nel 1858 pubblic il libro Sunto di un corso di filosofia della chimica, riusc a far accettare lipotesi di Avogadro e a precisarne limportanza per la determinazione dei pesi molecolari delle sostanze gassose. Egli espresse una regola per la determinazione dei pesi atomici che afferma: il peso atomico di un elemento chimico il numero corrispondente alla pi piccola quantit di esso contenuta nei pesi molecolari dei suoi composti.
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Volumi uguali di gas differenti, nelle stesso condizioni di temperatura e pressione, contengono lo stesso numero di molecole. N (= 6,02x1023) atomi di un elemento hanno un peso in grammi pari al loro peso atomico. A tale peso si d il nome di grammoatomo. N (= 6,02x1023) molecole di un composto hanno un peso in grammi pari al loro peso molecolare. A tale peso si da il nome di grammomolecola o mole.
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Nel caso dei composti per ottenere il peso della molecola si devono sommare i pesi atomici di tutti gli atomi di quella molecola. Nel caso dei composti ionici improprio parlare di peso molecolare, perci il peso di un composto ionico definito peso formula.
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Lesempio su riportato si riferisce ad una reazione in cui ciascuna specie interviene una sola volta, cio i re-
lativi coefficienti stechiometrici sono uguali allunit: Se consideriamo invece la reazione p.e. tra idrogeno (H2) ed azoto (N2) che da come prodotto ammoniaca (NH3) lequazione richiede lintroduzione di coefficienti stechiometrici in quanto in effetti la reazione prevede che tre molecole di idrogeno reagiscono con due molecole di azoto per dare due molecole di ammoniaca: 3H2 + N2 2NH3; occorre pertanto introdurre i coefficienti stechiometrici per far s che la reazione sia bilanciata ovvero siano uguali il numero di atomi che intervengono nella reazione (al primo e secondo membro); i sei atomi di idrogeno e i due atomi di azoto avranno formato due molecole di ammoniaca in accordo al principio della conservazione della massa: si dice allora che la reazione stechiometricamente bilanciata.
Formula sterica
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Ora sia il ferro che l'azoto sono bilanciati. Bilanciamo il carbonio. Vi sono 3 atomi di carbonio tra i reagenti e 1 tra i prodotti di reazione. Poniamo quindi un coefficiente "3" davanti all'acido carbonico Fe2(CO3)3 + 6HNO3 2Fe(NO3)3 + 3H2CO3 Contiamo l'idrogeno: 6 atomi tra i reagenti, 6 atomi tra i prodotti di reazione. L'idrogeno bilanciato. Verifichiamo infine l'ossigeno. 27 atomi tra i reagenti, 27 tra i prodotti di reazione. L'equazione bilanciata!
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%=
m=
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dissociazione irreversibili) e deboli se in soluzione acquosa si dissociano solo parzialmente in quanto danno luogo a reazioni di dissociazione reversibili. Sono elettroliti gli acidi le basi ed alcuni Sali.
Ioni solvatati in acqua (in alto) con relativo orientamento e numero di idratazione (in basso).
Ad un acido forte corrisponde dunque una base coniugata debole; ad un acido debole corrisponde una base coniugata forte; ad una base forte corrisponde un acido coniugato debole; ad una base debole corrisponde un acido coniugato forte. Si pu scrivere la costante di equilibrio keq, che: nel caso di un acido, si chiama costante di acidit ka ; nel caso di una base, si chiama costante di basicit kb. La ka di un acido si pu ricavare la kb della base coniugata e viceversa, in base alla relazione:
Ka Kb = kw = 10-14
Gli acidi di Brnsted sono le molecole che contengono un H legato ad un atomo pi elettronegativo; le basi di Brnsted sono le molecole che contengono un atomo che ha un doppietto delettroni in grado di legare un protone. Gli acidi reagiscono lacqua formando ioni H3O+ dissociando quella che viene detta la loro base coniugata. In pratica possiamo schematizzare tutte le reazioni acido base nei due casi generali:
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Dissociazione Acida: HA + H2O = A- + H3O+ Dissociazione Basica: B + H2O = BH+ + OHCom' facile osservare ogni specie chimica pu essere considerata come una coppia acido/base. Prendiamo l'esempio dell'ammoniaca: 1) 2) NH3 + H2O =NH4+ + OHNH4+ + H2O = NH3 + H3O+
note Arrhenius definisce acidi quelle sostanze che in soluzione acquosa dissociano uno (o pi) protoni H+, basi i composti che in soluzione acquosa dissociano uno (o pi) ioni idrossido, OH- . Brnsted e Lowry definirono: acidi quelle sostanze che in soluzione acquosa dissociano uno o piu protoni H+, o meglio, H3O+; base quei composti che sono in grado di accettare ioni idrogeno H+. Secondo questa definizione gli acidi di fatto dissociano una base ad essi coniugata. Lewis definisce un acido come una molecola o uno ione che pu accettare una coppia di elettroni e base una sostanza che pu cedere
Notiamo che nella prima relazione NH3 si comporta come una base mentre nella seconda NH4+ a comportarsi come un acido. Quindi una stessa specie chimica pu essere vista come una coppia coniugata acido-base (nel caso dell'ammoniaca la coppia acido-base NH4+ / NH3 ). Vediamo di seguito alcuni esempi di acidi e basi coniugate con relativi valori di Ka e Kb:
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.. H H + + H :N: H [ H:N: H] + H H
evidente che la teoria di Lewis si applica non soltanto al comportamento chimico descritto dalla teoria di Bronsted ma anche a molte reazioni chimiche che non prevedono trasferimento di protoni.
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pu attrarre un atomo di idrogeno di un'altra molecola che tendono a mantenersi tra loro unite. Allo stato di vapore ciascuna molecola si muove invece liberamente nello spazio e l'evaporazione dell'acqua consiste proprio nella rottura dei legami di idrogeno presenti nell'acqua allo stato liquido. La struttura dipolare dell'acqua favorisce la dissociazione e la solubilit dei sali e in generale delle sostanze a carattere ionico; la molecola dipolare si dispone infatti a contatto o entro il reticolo ionico salino annullando parzialmente con le sue cariche l'attrazione elettrostatica tra gli ioni: di conseguenza l'agitazione termica prevale sulla coesione liberando gli ioni del sale in soluzione. L'acqua liquida presenta una conducibilit elettrica molto bassa, pari a 3,810-8 ohm cm a 18 C. La densit aumenta con l'aumentare della temperatura e raggiunge il valore massimo (unitario) a una temperatura di 4 C. per poi nuovamente diminuire. A pressione ambiente (1 atmosfera) lacqua bolle alla temperatura di 100 oC e alla temperatura di 0 C l'acqua solidifica cedendo il suo calore latente di solidificazione che pari a 79,4 cal/g. Con il variare della pressione i punti di fusione e di ebollizione variano: con l'aumentare della pressione il punto di ebollizione aumenta mentre il punto di congelamento si abbassa e risulta p. es. di -2,5 C alla pressione di 336 atm e di -20 C a quella di 2042 atmosfere. Questa influenza della pressione sulla diminuzione dei punti di fusione dovuta al fatto che l'acqua, come pochissime altre sostanze (il bismuto metallico e la ghisa tra quelle pi note), congelando aumenta di volume. Il fatto che il ghiaccio sia pi leggero del suo liquido e quindi in grado di galleggiare sull'acqua ha grande importanza per tutte le specie animali marine che vivono in prossimit dei poli in quanto il ghiaccio formatosi per labbassamento della temperatura galleggia mantenendo lacqua sottostante in forma liquida.
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15.3 Ebollizione
Lacqua a 760 mmHg bolle a 100 C ( in assenza di legami ad idrogeno, il punto di ebollizione dovrebbe essere di circa 80C). Ci significa che occorre fornire alle molecole di acqua una grande quantit di energia per farle passare allo stato gassoso. Questa energia misurata in calore latente di evaporazione che nellacqua molto elevato e viene restituito quando lacqua passa di nuovo allo stato liquido (calore latente di condensazione). In altri termini lacqua quando evapora assorbe dallambiente una quantit di calore che cede quando condensa, precipitando come pioggia.
15.5 Lidrosfera
La terra lunico pianeta del sistema solare cos ricco dacqua: il 70% della sua superficie infatti, ricoperto dallacqua degli oceani, dei mari, dei ghiacciai, dei fiumi e dei laghi; una certa quantit di acqua presenta anche nel sottosuolo e come vapore nellatmosfera. Linsieme delle acque che si trovano sulla superficie
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terrestre costituisce lidrosfera. Lacqua dellidrosfera non una sostanza pura ma sempre una soluzione: quando la concentrazione dei sali disciolti (salinit) elevata si parla di acqua salina o marina, quando bassa si parla di acqua dolce. La distribuzione dellacqua sulla terra non omogenea, ci fa si che il suo consumo sia molto variabile.
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Gli alimenti contengono quantit variabili di acqua e si ritiene che circa il 70% in peso della massa alimentare sia costituita da acqua; la quantit di acqua apportata giornalmente con gli alimenti in media 1 litro\1 litro e mezzo: tale quantit aumenta se prevalgono la frutta e i legumi verdi e si abbassa se lalimentazione a base di legumi secchi e cereali. La quantit giornaliera dacqua introdotta direttamente come bevanda ( comprendendo le minestre, il vino, le bibite) pu essere considerata nella misura media di un litro. Complessivamente, in una forma o nellaltra, si pu calcolare che luomo assuma circa tre litri dacqua al giorno. Lacqua viene eliminata attraverso varie vie: con il sudore, la respirazione, le feci, le urine; la quantit bevuta non deve mai scendere sotto un certo livello per evitare un lavoro eccessivo al rene. Le acque destinate potabili devono presentare caratteristiche particolari, devono cio essere limpide, fresche, senza coloranti e odori particolari, esenti da microrganismi patogeni e sostanze tossiche, e i vari sali minerali in esse disciolti non devono superare determinate concentrazioni. Le fonti idriche di approvvigionamento sono costituite, tralasciando le acque meteoriche o piovane, da acque sorgive, acque profonde e acque superficiali. In Italia, diversamente da quello che avviene nella maggior parte delle nazioni europee, lapprovvigionamento fornito dalle acque sotterranee e solo in minor misura da quelle superficiali. Le acque profonde derivano da acque meteoriche che non sono evaporate ma si sono infiltrate nel suolo; vengono distinte in acque di falda quando il terreno costituito da strati alterni permeabili di sabbia o ghiaia e impermeabili di argilla ed acque di vena rocciosa quando lacqua, dopo aver attraversato rocce compatte di natura silicea o calcarea, scorre fino ad uno strato impermeabile dando origine ad una vena idrica. Le acque sorgive e profonde dovrebbero essere considerate potabili senza bisogno di trattamenti in quanto protette da inquinamenti. Le acque superficiali che possono essere impiegate a scopo potabile sono lacqua di mare, che richiede un processo di dissalazione, le acque di lago, di fiume e dei bacini artificiali. Ma anche in questo caso linquinamento intervenuto e quindi questo approvvigionamento, pur offrendo grandi quantit dacqua, richiede sempre trattamenti di potabilizzazione.
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natura e sono il prodotto della decomposizione della materia organica nelle zone umide, della combustione spontanea della vegetazione e delle eruzioni vulcaniche. Il flusso degli ossidi di zolfo e dazoto provenienti dalle attivit umane, risulta essere fino a dieci volte maggiore dei valori naturali determinando profonde alterazioni allambiente. Gli ossidi di zolfo e dazoto, una volta emessi in atmosfera, tendono a trasformarsi rispettivamente in acido solforico (H2SO4) e nitrico (HNO3) e vengono trascinati poi al suolo con la pioggia, causando labbassamento del pH dellacqua, da valori di circa 5,6 (dovuti alla presenza dacido carbonico) a valori mediamente compresi fra 4 e 3 e talvolta anche meno.
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Abbiamo precedentemente osservato come una specie chimica si presenti come una coppia coniugata acidobase. Le costanti di equilibrio di una stessa coppia coniugata acido-base sono legate fra loro. Prendiamo nuovamente in considerazione un generico acido HA. La sua dissociazione acida sar: HA + H2O = A- + H3O+ Da cui ricaviamo la sua costante di acidit:
Prendiamo ora in considerazione il coniugato basico dell'acido generico HA, ovvero A-, e determiniamone la reazione di dissociazione basica: A- + H2O = HA + OHDa cui otteniamo la costante di basicit:
e semplificando otteniamo:
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Ka Kb = [ H3O+ ] [ OH- ] Poich Ka e Kb sono costanti possiamo concludere che anche il rapporto tra gli ioni H+ e gli ioni OH- costante all'interno di una soluzione.
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H3O+ + OH-
da cui possiamo ricavare la costante di dissociazione dell'acqua: Kw = [ H3O+ ] [ OH- ] Osservando attentamente questa costante notiamo che questa identica a quella ottenuta come rapporto tra la costante di acidit e di basicit di una coppia coniugata. Ovvero: Kw = Ka Kb Quindi, conoscendo la costante di acidit (o di basicit) di una qualsiasi specie chimica possibile ricavare la costante di basicit (o acidit) della specie chimica coniugata. Questa costante, definita come Kw (ovvero costante acqua) ha un valore sperimentale ed equivale a: Kw = 1,00 10-14 Dal valore ottenuto per la Kw possiamo facilmente intuire il motivo per cui l'acqua praticamente non dissociata: infatti la Kw talmente piccola che la reazione quasi in modo assoluto spostata verso i reagenti, quindi verso l'acqua pura. Ritornando alla Kw possiamo ricavare la concentrazione di ioni H+ presenti in una soluzione neutra. Di fatto abbiamo: Kw = [ H3O+ ]x[ OH- ]; Poich lacqua una soluzione neutra possiamo accettare luguaglianza: [ H3O+ ] = [ OH- ]
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Da cui ricaviamo: Kw = [ H3O+ ] [ H3O+ ] = [ H3O+ ]2 E infine risolvendo per [H3O+] otteniamo: ;
ovvero:
pH + pOH =7 La notazione: p=-log fu introdotta dal chimico danese Sorensen per semplificare il calcolo.
16.3. Il pH
La notazione di Sorensen viene utilizzata per la definizione di pH dove per H si intende la concentrazione idrogenionica. Il PH dunque il cologaritmo della concentrazione idrogeninica effettivamente presente in soluzione acquosa:
pH = -log[H+]
La caratteristica acida o basica di una soluzione determinata dalla concentrazione di ioni H+ all'interno della soluzione. Poich il prodotto tra la [H+] e la [OH-] costante possiamo determinare la caratteristica acida o basica di una soluzione attraverso lo schema riportato: [ H3O+ ] = [ OH- ] Soluzione neutra [ H3O+ ] > [ OH- ] Soluzione acida [ H3O+ ] < [ OH- ] Soluzione basica Quindi possiamo definire il pH di una soluzione come l'attivit degli ioni H+ all'interno di una soluzione. In realt gli ioni H+ non esistono nelle soluzioni acquose, perch sono punti estremamente piccoli di lelettricit positiva, che tendono a disperdere la loro carica sulla pi ampia superficie possibile; ci avviene sulle stesse molecole non dissociate di acqua, perch l'ossigeno dell'acqua, elemento fortemente elettronegativo, rende disponibili suoi elettroni allo ione H+: si ottiene cos lo ione idrossonio H3O+. Naturalmente la minima quantit di molecole di acqua cos sottratte fa in modo che il prodotto ionico sia sempre 10-14. Ai fini pratici
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perci indifferente parlare di concentrazione di ioni H+ o di ioni idrossonio H3O+. Il prodotto ionico mantiene lo stesso valore nelle soluzioni acquose diluite di un acido o di una base, ma in una soluzione acida la concentrazione di H+ prevale sulla concentrazione degli ioni OH-, mentre accade il contrario in una soluzione basica. Per es., in una soluzione decinormale (N/10) di acido cloridrico, si ha un valore molto vicino a [H+] = 10-1, e in una soluzione N/10 di soda, [OH-] = 10-1 cio [H+] = 10-13. Se conosciamo il pH di una soluzione acida e la concentrazione dell'acido possiamo ricavarci dalla relazione generale sull'equilibrio chimico il valore della costante di acidit o viceversa, se conosciamo la costante di acidit e la concentrazione dell'acido, possiamo ricavarci il pH della soluzione. Possiamo applicare lo stesso ragionamento per una soluzione basica cio utilizzando come variabile dipendente la concentrazione degli ioni OH-. Il risultato sar espresso come: pOH = log [ OH- ]; ed essendo pH + pOH = 14 si ottiene la relazione: pH = 14 pOH
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Da cui l'equazione:
ovvero:
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{ {
Un acido debole in presenza del suo sale con una base forte formano un sistema a due componenti che ha la propriet di opporsi a variazione del pH per piccole aggiunte in soluzione di acidi o di basi
1 1 [CH3COO-] log = log , [H3O+] Ka [CH3COOH] E introducendo la notazione di Sorensen p=-log si ha: [CH3COO-] pH = pK + log [CH3COOH]
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Questa espressione detta equazione di Henderson-Hasselbach. Supponiamo ad esempio, di preparare una soluzione tampone mescolando in acqua una mole di acido acetico e una mole di acetato di sodio fino ad ottenere un litro di soluzione totale. In soluzione si instaura l'equilibrio che gi conosciamo: CH3COOH + H2O CH3COO- + H3O+ Se alla soluzione aggiungiamo ora una piccola quantit di un acido forte, per esempio 0,01 moli di HCl, gli H+ si uniranno alla base CH3COO-, presente in abbondanza, formando molecole di CH3COOH e spostando a sinistra l'equilibrio. Aggiungendo invece piccole quantit di base, gli ioni OH- strapperanno gli H+ dall'acido trasformandolo in CH3COO- e quindi producendo uno spostamento dell'equilibrio a destra. Per capacit tamponante di una soluzione tampone si intende la quantit massima di acido o di base che essa in grado di neutralizzare prima che il suo pH cambi in misura apprezzabile. E' facile verificare che quando il rapporto fra la quantit di sale e di acido debole (o di sale e di base debole) presente in soluzione esattamente uguale a 1, si notano le minime variazioni di pH per l'aggiunta di acidi (o di basi) forti. E poich in queste condizioni si ha pH = pK, si pu affermare che una soluzione al massimo delle sue possibilit tamponanti quando il suo pH uguale al pK dell'acido debole (o della base debole) utilizzati per la sua preparazione. E evidente che il valore del pH dipende dalla Ka dell'acido (o dalla Kb della base) che stato scelto per preparare la soluzione e dal rapporto delle concentrazioni del sale e dell'acido che sono stati posti in soluzione. Quando il rapporto tra le concentrazioni del sale e dell'acido uguale a 1 il pH della soluzione uguale al pK dell'acido. Variando opportunamente il rapporto [sale]/[acido], possibile comunque variare, entro certi limiti, il valore del pH. Se si dovesse, ad esempio, preparare una soluzione tampone nella quale fosse necessario che il pH si mantenesse intorno al valore di 6,36, allora potremmo utilizzare il sistema tampone H2CO3/HCO3 (acido carbonico/bicarbonato) nel rapporto di 1:1 (il quale si ottiene mescolando l'acido carbonico e un suo sale acido come ad esempio il bicarbonato di sodio NaHCO3. in concentrazioni equimolecolari. La Ka' dell'acido carbonico 4,1 10-7 a cui corrisponde pK=6,36. Se si dovesse invece operare in condizioni di perfetta neutralit, la nostra soluzione tampone dovrebbe avere un pH = 7. Per preparare una tale soluzione potremmo scegliere, ad esempio, il sistema tampone H2PO4-/HPO4-- cui compete Ka" = 6,2 10-8 e quindi pK = 7,21. Dovremmo quindi mescolare in acqua il fosfato monosodico NaH2PO4 e il fosfato bisodico Na2HPO4, ma non in quantit equimolecolari, in questo caso il pH risulterebbe
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uguale a 7,21; mescolando invece in quantit opportune il sale e l acido, si ottiene il pH desiderato, tenendo sempre presente che sono consentite variazioni di pH entro il limite di una unit: pK-1<pH< pK+1.
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esistono altri importanti sistemi tamponanti sia plasmatici, quali le proteine che eritrocitari quali il sistema l'emoglobina/ emoglobinato. L'eliminazione dei protoni compito precipuo del rene. Nelle cellule del tubulo prossimale, ove esiste l'anidrasi carbonica, l'H2CO3 viene scisso in H+ e HCO3. L'H+ viene scambiato con Na+, dalle cellule del lume tubulare generando una urina acida e ripristinando la riserva alcalina. Gli H+ nel luma tubulare si coniugano con gli anioni presenti nella preurina formando acidi o Sali monopodici (NaH2PO4, NaHSO4 e HCl) Cl. Il risultato che il pH urinario si acidifica fino e non oltre il valore di 4,5. Il rene supplisce a questa limitazione scambiando l Na riassorbito con lo ione ammonio che si forma nelle cellule tubulari principalmente dalla deaminazione della glutamina ad acido glutamico. La quantit di H+ escreta sotto forma di fosfati e solfati acidi viene chiamata acidit titolabile, la escrezione
netta di acidi data invece dalla somma della acidit titolabile e della escrezione di ammoniaca meno i
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bicarbonati escreti. Occorre menzionare infine il sistema tampone fosfato monosodico/fosfato bisodico la cui azione diviene significativa nellambiente intracellulare ed il sistema tampone pasmatico proteine/proteinati; nel plasma dove le proteine si comportano da acidi deboli. Un cenno a parte merita lemoglobina eritrocitaria, la cui principale caratterista ai fini della regolazione del pH consiste sta nel suo diverso comportamento acido nelle due forme ossigenata e desossigenata: la desossiemoglobina infatti un acido pi debole dellossiemoglobina (cio lega un maggior numero di H+ rispetto allossiemoglobina. Quindi la sua funzione sar da un lato fornire O2 ai tessuti e nella forma deossigenata capta protoni (ion H+); In tal modo il pH del sangue periferico modifica di poco. E importante notare che disturbi e alterazioni al sistema respiratorio possono modificare la concentrazione di CO2 nel sangue. Ad esempio alcuni stimoli e situazioni patologiche provocano un aumento della ventilazione con conseguenza diminuzione della pressione parziale di ossigeno sistemica, come ipossia, stati di ansia, gravidanza, malattie cardiopolmonari. Un cattivo funzionamento dei sistemi tampone causa stati di acidosi o alcalosi. Un disordine primitivo consiste in una alterazione del meccanismo di rimozione polmonare di anidride carbonica sia in difetto (apnea) che in eccesso (iperventilazione), causando acidosi o alcalosi respiratoria, rispettivamente. Nell'uomo abbastanza frequente riscontrare alterazioni del pH come stati di acidosi e di alcalosi di natura metabolica. Lacidosi metabolica si riscontra quando il bicarbonato scende al di sotto di 24 meq/L.
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[In-] log = pH - pK = 7 - 5 = 2. [HIn] Poich 2 il logaritmo di 100, abbiamo che [In-]/[HIn] = 100 e quindi la concentrazione della specie ionica di colore giallo risulta 100 volte maggiore dalla concentrazione della specie molecolare di colore rosso. Una soluzione con pH minore di 5 risulterebbe colorata, per la presenza del nostro indicatore, in rosso. Comunemente si usa dire che gli indicatori servono per indicare l'acidit o la basicit di una soluzione, ma ci non esatto. Gli indicatori sono in grado solo di specificare se la soluzione in cui vengono immersi ha un pH maggiore o minore del pK dell'indicatore stesso. Quando il pK dell'indicatore uguale al pH della soluzione si dice che si sul punto di viraggio: in corrispondenza di questo valore di pH la soluzione cambia di colore per l'aggiunta di piccole quantit di acido o di base. Nella pratica non possibile cogliere con precisione il punto di viraggio in quanto, in prossimit di tale punto, sufficiente l'aggiunta di una piccolissima quantit di acido o di base alla soluzione per scavalcarlo nettamente. Bisogna parlare allora pi propriamente di intervallo di viraggio, cio di un intervallo di pH entro il quale, diventa apprezzabile il cambio di colore dellindicatore. ll valore pH = pK, detto punto di viraggio. .
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reazione neutra e non fanno variare il pH. Lo stesso non pu dirsi per quei sali formati dalla salificazione di basi deboli come, ad esempio NH4Cl che in soluzione si dissociano ioni NH4+ Cl; Tra gli ioni Cl e H+ presenti nella soluzione non si ha reazione alcuna (HCl un acido forte e quindi totalmente dissociato). Gli ioni NH4+ e OH invece reagiscono tra loro per formare molecole indissociate di ammonio idrato in equilibrio di dissociazione secondo la reazione: NH4++ HOH NH4 OH +H+ . Tale reazione si verifica giacch il composto NH4OH una base debole e quindi poco dissociata pertanto in soluzione aumenter la concentrazione idrogenionica pertanto il pH si abbasser. A tale fenomeno si da il nome di idrolisi acida. Se invece in soluzione si scioglie un sale formato dalla salificazione di un acido debole (Es. NaHCO3, CH3 COONa) si avr aumento degli ioni OH
H2CO3 + OH; ; pertanto in soluzione aumenter la concentrazione ossidrilionica pertanto il pH aumenter. A tale fenomeno si da il nome di idrolisi basica.
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La concentrazione di [AgCl] indissociato nella soluzione , in presenza del suo corpo di fondo, una costante per cui pu essere conglobata nella costante di equilibrio: K[AgCl] = [Ag+][Cl] = Kps Il prodotto di due costanti una costante per cui possiamo enunciare la seguente legge generale della solubilit: il prodotto delle concentrazioni specie ioniche in equilibrio di solubilit col corpo di fondo (cio in una soluzione satura) costante. Il corpo di fondo prende il nome usuale di precipitato. Da questa espressione si deduce che in una soluzione satura di un sale poco solubile il prodotto delle concentrazioni dei suoi ioni in soluzione ciascuna elevata al proprio coefficiente stechiometrico costante a temperatura costante. Kps detto prodotto di solubilit del sale, I sali sono elettroliti forti e come tali in soluzione si trovano pressoch totalmente dissociati. Ad esempio dalla dissociazione di una mole di AgC1 si ottengono praticamente un grammoione di Ag + ed un grammoione di C1 e quindi sar [Ag+1 = [C1 ]. Pertanto esprimendo la solubilit, di AgCl in moli per litro, essa sar uguale alla concentrazione di ciascuno ione espressa in grammoioni per litro, e cio: S (solubilit) = [Ag+] = [C1] e l espressione del prodotto di solubilit pu essere anche scritta nella for ma: [Ag+]2 = [C1]2 = KpsAgCl da cui: e quindi la solubilit S di AgCl risulta eguale a: __________ [ A +] = [[C1] = KpsAgCl ______ 2,8x10-10 = 1,7x 109
Dall'espressione del prodotto di solubilit si pu valutare l'effetto che l'aggiunta di uno ione comare comporta sulla solubilit di un sa le poco solubile: chiaro che se si aumenta la concentrazione di uno ione, affinch rimanga invariato il valore del Kps del sale deve ne cessariamente diminuire quella dell'altro ione. Se ad una soluzione satura di cloruro d'argento viene aggiunto del xcloruro di sodio (sale molto solubile e fortemente dissociato nei suoi ioni) la concentrazione degli ioni cloruro aumenta notevolmente, allontanandosi dal valore che ad essa spetta in base al valore del Kps di AgCl. Per ripristinare le condizioni di equilibrio parte de gli ioni C1 reagiscono con gli ioni Ag + per formare AgCl indissociato, che sotto forma di solido si deposita sul fondo del recipiente e la precipitazione continua finch la concentrazione dello ione Ag+ in soluzione non si sia ridotta abbastanza da soddisfare la relazione [Ag +][Cl ] = 2,8 x 10 -10 Questa diminuzione della solubilit del cloruro d'argento in conseguenza dell'aggiunta di cloruro di sodio uno degli effetti dello ione a comune. Da quanto detto deriva che quando il prodotto delle concentrazioni degli ioni supera il valore del prodotto di solubilit il sale precipita e la reazione continua fino a che il prodotto delle concentrazioni de gli ioni rimasti in soluzione non si riporti al valore definito e costante del prodotto di solubilit; a fianco
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sono riportati i valori del prodotto di solubilit di alcuni Sali a 25 oC. Il principio del prodotto di solubilit ha grande rilevanza nellinterpretazione di molti fenomeni di interesse biologico. Basti ricordare il processo di. ossificazione che si realizza per per la precipitazione di fosfato tricalcico sulla matrice proteica delle ossa, evento che si verifica quando il prodotto della concentrazione degli ioni calcio per quella degli ioni fosfato supera il valore del prodotto di solubilit del fosfato di calcio. I calcoli che si formano nelle vie urinarie sono dovuti a precipitazione di sali poco solubili quali gli urati e gli ossalati. I calcoli, in genere, sono formati da ossalato di calcio, fosfato di calcio, fosfato ammonico-magnesiaco, acido urico e urati. Sodio potassici poco solubili E' stato visto che se nella soluzione satura di un sale poco solubile viene aggiunto uno ione a comune diminuisce la solubilit del sale e si ha precipitazione di una certa quantit di quest'ultimo.
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17 .2. L i di Va nt off Le espressioni relative alle grandezze colligative,(abbassamento della tensione di vapore innalzamento del punto ai ebollizione, abbassamento del punto di gelo e pressione osmotica) delle soluzioni ideali sono state ricavate considerando che le molecole dei soluti rimanessero integre nel passare in soluzione acquosa. Le propriet colligative,come detto, dipendono dal numero di particelle presenti in soluzione siano esse molecole indissociate che particelle ioniche; se ne deduce che,per soluzioni acquose di elettroliti,i valori di abbassamento della tensione di vapore,di innalzamento del punto di ebollizione, di abbassamento del punto di gelo e di pressione osmotica risultano minori rispetto alle stesse propriet determinate sperimentalmente. Ad esempio la pressione osmotica, determinata sperimentalmente, di una soluzione 0,2M di NaCl 9,5 atm a 20C. Calcolando invece lo stesso valore mediante l'uso della formula = c RT si ottiene un valore di pressione
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osmotica eguale a 4 ,8 atmosfere ( = 0,2 x 0,0821 x293 = 4,8 atm). Questa differenza dovuto al fatto aumentato il numero di particelle rispetto a quelle che si avrebbero state in assenza della dissociazione. E' chiaro, quindi, che le formule, relative alle propriet colligative, perch siano valide anche per le soluzioni elettrolitiche devono essere modificate introducendo un fattore che tenga conto dell'aumento del numero di particelle in conseguenza della dissociazione elettrolitica. Tale fattore, detto fattore di van 't Hoff, si ricava dal rapporto tra il valore di una delle propriet colligative misurato sperimentalmente ed il valore della stessa grandezza calcolato in base molare. Esso viene indicato col simbolo i che risulta uguale al rapporto: valore sperimentale valore calcolato Per una soluzione ideale di un non elettrolita il fattore di vani Hoff uguale a 1, e per una soluzione molto diluita di un Per esempio il valore di i per soluzioni molto diluite di NaCl 2; mentre per soluzioni molto diluite di BaC12 il valore di i uguale a 3. Questo significa che il rapporto: numero totale di particelle dopo dissociazione numero totale di molecole disciolte e quindi nel caso di NaCl e BaC12, essendo questi elettroliti forti, avremo rispettivamente due e tre ioni dissociati dai rispettivi sali: NaCl Na+ + Cl; BaC12Ba++ + 2 Cl cio da una mole di NaCl si originano due moli di ioni, e tre nel caso di BaC12. Le espressioni che consentono di calcolare, per soluzioni elettrolitiche, ( l'abbassamento della tensione di vapore, l'innalzamento della temperatura di ebollizione, l'abbassamento della tempera tura di congelamento, e la pressione osmotica,) saranno quindi i-volte pi grandi e quindi le relative grandezze colligatiive dovranno essere corrette per i ad es.:
= cRT i
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18.1. I colloidi
Le soluzioni, come si visto, costituiscono dei sistemi omogenei, in cui le particelle di soluto (molecole, ioni, atomi) sono disperse nel solvente, cos da essere invisibili sia a occhio nudo sia con l'uso di strumenti ottici. In un sistema eterogeneo o miscuglio le dimensioni delle particelle sono invece di dimensioni tali da essere visibili, almeno al microscopio; ne sono esempio le sospensioni, in cui particelle solide sono disperse in un liquido. Intermedie tra questi due tipi di sistemi sono le dispersioni colloidali o soluzioni colloidali, contenenti particelle il cui diametro compreso all'incirca tra 10 e 1000 ngstrm. Le particelle di una soluzione colloidale hanno dimensioni sub-microscopiche, tuttavia, come vedremo, esse sono visibili all'ultramicroscopio, diffondono in genere con molta lentezza e non passano attraverso gli ultrafiltri. Le soluzioni colloidali vengono classificate, in base allo stato di aggregazione delle fasi costituenti, in quattro categorie: soli, geli, emulsioni, aerosoli. I soli sono dispersioni in liquidi di solidi costituiti da particelle di grandi dimensioni o da aggregati di particelle pi piccole. Qualunque sostanza che allo stato molecolare sia insolubile in un solvente pu generare, se dispersa in esso, una soluzione colloidale; tali soluzioni, per essere stabili nel tempo, richiedono per che le particelle rechino delle cariche elettriche tutte di egual segno, le quali, essendo situate alla loro superficie, impediscono ad esse di riunirsi in aggregati pi grandi e quindi di precipitare come corpo di fondo sotto l'azione della forza di gravit. Le cariche in superficie si generano per l'adsorbimento di ioni presenti in soluzione. Consideriamo, per esempio,i- una soluzione di un sale di argento; se ad essa si aggiunge un eccesso di ioduro di potassio, si ha la formazione della specie AgI, pochissimo solubile in acqua; le particelle di ioduro di argento per possono adsorbire sulla loro superficie ioni ioduro, per cui, invece di riunirsi in aggregati di maggiori dimensioni e quindi precipitare, si stabilizzano respingendosi. La coagulazione o precipitazione di questi sistemi pu avvenire spontaneamente, per l'instabilit propria presentata da questo tipo di soluzioni, ma pu anche essere accelerata con l'aggiunta di elettroliti capaci di diminuire o annullare le cariche presenti in superficie; nell'esempio considerato sopra ci risulter dall'azione di ioni carichi positivamente, che, permettendo l'avvicinamento delle particelle, favoriscono la formazione del coagulo; in generale uno ione tanto pi attivo quanto maggiore la sua carica elettrica.
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I geli sono soluzioni in cui il soluto presenta una particolare affinit per il solvente, che viene trattenuto dal soluto anche dopo che avvenuta la precipitazione. Un esempio di gel inorganico rappresentato dalla formazione di allumina colloidale, che si osserva durante la precipitazione dei sali di alluminio. Anche i geli possono avere una carica elettrica; questa non tuttavia indispensabile alla stabilit della soluzione. Essi possono essere precipitati per aggiunta di notevoli quantit di elettroliti o mediante agenti disidratanti. Le emulsioni sono colloidi costituiti da un liquido disperso in un altro liquido; possono essere ottenute mescolando liquidi immiscibili e sottoponendo poi il miscuglio a forte agitazione. Alcune emulsioni sono molto stabili; ne un esempio il latte, il cui caratteristico aspetto bianco deriva in gran parte dalla presenza di lipidi dispersi in acqua. Gli aerosoli, infine, sono costituiti da particelle di solidi o liquidi dispersi in un gas. Esempi di questo tipo di colloidi sono i fumi e le nebbie. I colloidi passano attraverso i filtri comuni; essi vengono invece trattenuti dagli ultrafiltri, costituiti da membrane di colloidi solidi, come il cellofan, o da membrane naturali, animali o vegetali, tipo la pergamena. Mentre le soluzioni vere e proprie dializzano, cio attraversano una membrana di pergamena posta tra la soluzione ed il solvente puro, le soluzioni colloidali non dializzano. Su questo principio basata la dialisi cio facendo circolare acqua pura allesterno di un sistema membranario contenente il colloide: le sostanze non colloidali diffondono attraverso la membrana e, dopo un tempo pi o meno lungo, si ottiene allinerno della membrana una soluzione colloidale pura. Come abbiamo detto sopra, le particelle delle soluzioni colloidali sono visibili all'ultramicroscopio. Quest'ultimo consiste di un comune microscopio cui applicato un dispositivo d'illuminazione laterale.Le soluzioni colloidali danno luogo all'effetto Tyndall, dovuto al fatto che le particelle colloidali con diametro dell'ordine della lunghezza d'onda della luce incidente disperdono questa in tutte le direzioni, creando in questo modo una luminosit che permette di seguire il cammino del raggio ottico: osservata all'ultramicroscopio, una soluzione colloidale mostra diversi punti luminosi dispersi in tutto il sistema; si pu cos mettere in evidenza lesistenza presenza dei moti browniani , dovuti agli urti delle molecole di solvente con le particelle colloidali. L'entit della dispersione della luce dipende dalle dimensioni e dalla forma delle particelle, dalla loro struttura e dalla differenza tra gli indici di rifrazione del solvente e delle particelle. Si adopera il termine colloide anche per sostanze di alto peso molecolare (colloidi molecolari). Essi consistono di molecole di stinte, anche se di grandi dimensioni e formano quindi soluzioni vere e proprie. Tuttavia per raffreddamento o concentrazione, queste possono dare geli trasparenti (gelatine), che inglobano tutto il Solvente. Le macromolecole biologiche, come gli acidi nucleici, le proteine ed i polisaccaridi hanno tutte un peso molecolare
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molto elevato e ci fa s che le loro soluzioni possano presentare propriet colloidali. Questo comportamento alla base del loro ruolo fisiologico. Ad esempio i mucopolisaccaridi acidi, che agiscono come lubrificanti (ad esempio nel liquido sinoviale delle articolazioni) o come sostanze cementanti intercellulari in vari tessuti. Il mucopolisaccaride acido pi importante l'acido ialuronico, che, oltre che nel liquido sinoviale, presente nell'umor vitreo dell'occhio. Le sue soluzioni si presentano altamente viscose per la tendenza delle sue lunghe catene polianioniche ad aggregarsi tra loro per interazioni mediate dai cationi polivalenti, come il Ca'. Si formano in questo modo delle particelle di dimensioni colloidali, che inglobano quasi tutto il volume d'acqua a disposizione. La repulsione tra le residue cariche negative superficiali di tali particelle impedisce la formazione di aggregati di maggiori dimensioni, garantendone la loro solubilit.
di per
formazione di adsorbimento
di di
colloidali
ioduro
cariche negative.
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comporta la perdita di due elettroni da parte dello zinco (ossidazione dello zinco) e un guadagno di due elettroni da parte del rame (riduzione del rame). Lo zinco viene ossidato ed lagente riducente, il rame viene ridotto ed lagente ossidante. numero di ossidazione come la differenza tra il numero atomico e il numero di elettroni orbitali, o pi semplicemente come la carica netta presenta sullatomo, o carica dello ione. Cos gli stati di ossidazione di S2-, Cl-, Co2+ e Fe3+ sono rispettivamente -2, -1, +2 e +3. Lo stato di ossidazione di una specie elementare in qualsiasi forma allotropica sempre zero.
evidente che gli elementi allo stato elementare debbano avere n.o. eguale a zero; infatti se consideriamo, ad esempio, lidrogeno elementare, H2, la coppia di elettroni di legame deve essere egualmente ripartita tra i due atomi in quanto essi sono identici e pertanto la loro carica formale sar eguale a zero. Per i composti ossigenati, consideriamo, ad esempio H2O. Le due coppie di elettroni che formano i due legami OH devono essere attribuite allossigeno in quanto pi elettronegativo dellidrogeno e quindi ne segue che lidrogeno
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presenter una carica formale +1 e lossigeno una carica formale -2. Nei composti detti perossidi come H2O2, acqua ossigenata o perossido di idrogeno, abbiamo, applicando il criterio sopra esposto, che lidrogeno presenta carica formale +1 e i due atomi di ossigeno, considerati nel loro complesso, avranno carica formale -2; pertanto ogni atomo di ossigeno in H2O2 presenta una carica formale eguale a -1. Infine il composto OF2 rappresenta lunico caso in cui lossigeno ha n.o. positivo; ci agevolmente comprensibile in quanto questo anche lunico esempio di composto in cui lossigeno sia legato ad un atomo pi elettronegativo. Ogni qualvolta incontriamo una reazione chimica la prima cosa che dobbiamo chiederci se essa o meno una reazione di ossido-riduzione. IL CONCETTO DI SEMIREAZIONE. Laspetto pi significativo delle reazioni redox che possono essere condotto con i reagenti separati nello spazio e connessi solo da un conduttore elettrico. Si consideri la cella galvanica di figura che implica la reazione fra zinco metallico e ione rame:
Zn(s) + Cu + + (aq ) = Zn + + (aq ) + Cu( s)
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La cella formata da due bicchieri, uno dei quali contiene una soluzione di un sale di Cu e una bacchetta di rame, e laltro una soluzione di un sale di Zn e una bacchetta di zinco. I due contenitori sono connessi con un ponte salino, un tubo contenente una soluzione elettrolita, in genere una soluzione acquosa di KCl, che ne assicura il contatto elettrico tra le due soluzioni ma ne ostacola il mescolamento per diffusione degli ioni. Quando le due bacchette sono collegate ad un amperometro si ha immediata evidenza di una reazione chimica. La bacchetta di zinco inizia a passare in soluzione e il rame metallico si deposita sulla bacchetta di rame. La soluzione Zn2+ diventa pi concentrata e la soluzione di Cu2 si diluisce. Lamperometro indica che c un flusso di elettroni dallo zinco al rame. La reazione continua fino a che la connessione o il ponte salino non vengono rimossi e fino a che diversa da zero la concentrazione di tutti i reagenti. Si ha evidenza che gli elettroni fluiscono dalla bacchetta di zinco a quella di rame nel circuito esterno e che gli ioni zinco si formano man mano che la bacchetta si discioglie. Queste osservazioni possono essere espresse scrivendo:
Zn = Zn + + ( aq ) + 2e (sulla bacchetta di zinco)
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Inoltre si nota che gli elettroni fluiscono sulla bacchetta di rame, che il numero di ioni rame in soluzione diminuisce e che il rame metallico si deposita:
Cu 2 ( aq ) + 2e = Cu (sulla bacchetta di rame)
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Il ponte salino evita un accumulo di ioni o cariche in ognuno dei bicchieri permettendo agli ioni negativi di abbandonare il bicchiere di destra e passare in quello di sinistra, diffondendo attraverso il ponte. Contemporaneamente ci pu essere una diffusione di ioni positivi da sinistra a destra. Se non avvenisse la migrazione di ioni per diffusione, laccumulo di carica impedirebbe il flusso di elettroni attraverso il circuito esterno e la reazione si fermerebbe: tale passaggio necessario per assicurare la neutralit elettrica delle soluzioni delle due semicelle e il funzionamento della pila. Anche se il sale non prende parte alla reazione chimica nella cella, esso deve essere presente perch la cella possa funzionare. Lanalisi di questa cella suggerisce che la reazione redox globale pu essere separata in due semi-reazioni:
(ossidazione) (riduzione)
Zn + Cu++ = Zn++ + Cu
(redox)
Molte altre reazioni red-ox possono essere condotte con successo in celle galvaniche ed naturale pensare a questi processi come a semi-reazioni che avvengono ai due elettrodi. Pertanto ogni reazione red-ox che avvenga in qualsiasi condizione pu essere separata concettualmente di due semi-reazioni. Le semi-reazioni possono essere molto utili nel bilancio delle equazioni redox e inoltre costituiscono lo strumento per la comparazione della forza degli agenti ossidanti e riducenti. Per bilanciare le equazioni redox pu essere adottato un metodo pratico che prevede quattro momenti di calcolo: 1) Identificazione delle specie che si sono ossidate o ridotte 2) Scrivere le semi-reazioni separate per i processi di ossidazione e riduzione. 3) Bilanciare queste semi-reazioni rispetto agli atomi e alla carica elettrica. 4) Combinare le semi-reazioni bilanciate per formare la reazione totale di ossido-riduzione. Celle galvaniche Le celle elettrochimiche possono essere usate per paragonare la forza degli agenti
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ossidanti e riducenti. Si consideri ad esempio la cella galvanica di Daniel i cui elettrodi siano connessi ai terminali di un voltmetro. Si pu osservare sperimentalmente che, a temperatura costante, il voltaggio della cella funzione del rapporto delle concentrazioni dello ione zinco e dello ione rame. Se la temperatura e 25C e le concentrazioni degli ioni Zn2+ e Cu2+ sono uguali, il voltmetro legge 1,10 V. Se la concentrazione dello zinco viene aumentata, o quella del rame diminuita, il voltaggio diminuisce, e viceversa. Si immagini ora che la semicella Cu/Cu2+ venga sostituita da una semicella contenente un filo dargento immerso in una soluzione di nitrato di argento. Anche in questo caso il voltaggio misurato funzione delle concentrazioni ioniche in soluzione: quando queste sono uguali il potenziale della cella 1,56 V. Pertanto voltaggio di una cella galvanica caratteristico sia delle sostanze chimiche sia delle loro concentrazioni. Per poter paragonare le diverse celle galvaniche, bisogna misurare il voltaggio di ognuna nelle stesse condizioni standard di concentrazione e temperatura. Le condizioni standard scelte sono: concentrazione 1 m (molalit) la pressione di 1 atm e la temperatura di 25C. Il voltaggio misurato in queste condizioni detto potenziale normale (o standard) di cella ed indicato con il simbolo E. Quando una cella opera in condizioni standard, il suo voltaggio, E, dipende solo dalla natura chimica dei reagenti e dei prodotti. Daltro canto la quantit di carica che una cella pu fornire dipende dalla quantit di sostanza disponibile per la reazione della cella. Pertanto tra i fattori che determinano la capacit di una cella elettrochimica a compiere lavoro, solo il DE direttamente legato alla natura chimica delle specie reagenti. Il potenziale standard pu essere considerato una misura quantitativa della tendenza dei reagenti nel loro stato standard a formare prodotti nel loro stato standard. In breve, E rappresenta la forza che pilota (driving force) la reazione chimica: se una reazione procede spontaneamente da sinistra a destra, il E positivo, se la direzione spontanea da destra a sinistra, E assume segno negativo. Per quanto riguarda il segno di E opportuno ricordare che pi positivo il valore del E, maggiore la tendenza della reazione a procedere da sinistra a destra. Nel caso della cella rame-zinco, il valore di E pu essere accettato come misura della tendenza dello zinco metallico a perdere elettroni e a dare ioni zinco e dello ione rame ad accettare elettroni e diventare rame metallico. In altre parole, E una rappresentazione simultanea della forza dello zinco metallico come riducente e della capacit ossidante del rame. Cos per poter comparare la forza di diversi ossidanti e riducenti sarebbe opportuno avere una misura della tendenza di una semi-reazione a procedere e, cio, sarebbe utile avere i valori dei potenziali standard di semicella, piuttosto che i valori di E. Il valore di E pu essere considerato correttamente come la somma di due potenziali di semicella, ognuno
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associato con ciascuna delle semireazioni della cella. Ma poich ogni cella galvanica coinvolge due reazioni, non possibile misurare il valore assoluto del potenziale di una semicella, ma solo la somma algebrica di due valori. Di conseguenza, possibile avere i valori numerici per i potenziali di semicella solo assegnando arbitrariamente il valore zero al potenziale di una semicella. Pertanto si convenuto dare alla semireazione idrogeno elementare (gas)/idrogenione il valore zero quando i reagenti ed i prodotti sono negli stati standard:
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H 2 (1 atm) = 2H + + 2e
Per assegnare il potenziale di semicella alle altre semi-reazioni, si misura il valore della forza elettromotrice relativa alla cella ottenuta accoppiando la semi-reazione in oggetto con la semicella ad idrogeno. Quando la semicella zinco-zinco ione accoppiata allelettrodo standard a idrogeno, la misura della f.e.m. d il valore 0,76 V e gli elettroni fluiscono dallelettrodo a zinco a quello a idrogeno, mentre quanto la semicella rame-rame accoppiata allelettrodo ad idrogeno, la misura della f.e.m. d 0,34 V e gli elettroni fluiscono dallelettrodo a idrogeno al rame. La direzione delle reazioni di cella spontanee :
Zn(s) + 2 H + (1 M)
Zn 2 + (1 M) + H 2 (1 atm) Cu + 2 H + (1 M)
Cu 2 + (1 M) + H 2 (1 atm)
Questa informazione ci permette di dire che il valore assoluto del potenziale della coppia Zn-Zn2+ 0,76 V e il valore assoluto del potenziale della coppia Cu-Cu2+ 0,34 V. Per quanto riguarda, invece, il segno di tali potenziali, se si adotta la convenzione di scrivere le reazioni come riduzioni il valore e il segno del potenziale devono riflettere la tendenza relativa delle reazioni a procedere da sinistra a destra. Ora, gli esperimenti riportati in precedenza dicono che nella cella zinco-idrogeno riduce spontaneamente lidrogeno ione. Pertanto il potenziale di semicella della reazione idrogeno ione-idrogeno deve essere pi positivo di quello della reazione zinco ione-zinco, poich quando le due reazioni vengono combinate la prima procede da sinistra a destra. Similmente gli esperimenti con la cella rame-idrogeno mostrano che lo ione rame un ossidante migliore dello ione idrogeno o che la semireazione Cu2/Cu ha una tendenza pi spiccata a procedere da sinistra a destra rispetto alla coppia H+/H2. Ne consegue che il potenziale della coppia Cu2+/Cu deve essere pi positivo di quello della reazione ione-idrogeno.
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Si ha pertanto:
Zn 2 H + + 2e H 2 Cu 2 + + 2e Cu Zn + 2 e E = 0 ,76 V E = 0 ,00 V E = + 0 ,34 V
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da tenere presente che laumento del potenziale sta ad indicare una tendenza crescente per le semireazioni a procedere da sinistra a destra. Si possono cos riassumere le convenzioni concernenti i potenziali delle semicelle:
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Allelettrodo standard a idrogeno si attribuisce il valore convenzionale di potenziale zero (volt). Scrivendo tutte le semi-reazioni come riduzioni, le reazioni che procedono verso destra pi facilmente di quanto si ha per la coppia H+/H2 avranno potenziale positivo, quello che manifestano una tendenza minore hanno un potenziale di semicella negativo. Il valore (in senso algebrico) del potenziale di semicella una misura quantitativa della tendenza di una reazione a procedere da sinistra a destra. Se si inverte il verso di una semi-reazione si cambia il segno del potenziale. Se una semi-reazione moltiplicata per un numero positivo, il potenziale resta invariato. opportuno classificare i semielementi in base alle loro caratteristiche costitutive. In un primo tipo si possono includere i semielementi metallici: sono quelli gi visti e sono costituiti in genere da una lamina metallica (elettrodo) immersa in una soluzione contenente ioni del metallo stesso. L'elettrodo ha la duplice funzione di condurre gli elettroni e di partecipare alla reazione. Al secondo tipo appartengono gli elettrodi a gas. Essi sono costituiti da un elettrodo metallico, generalmente platino la cui superficie trattata in modo da adsorbire il gas che viene fatto gorgogliare su di esso ad una determinata pressione. Nella soluzione ci sono gli ioni corrispondenti ad uno stato ossidato o ridotto dell'elemento gassoso adsorbito sull'elettrodo. Pertanto sono semielementi a gas con pressione unitaria del gas, i seguenti: Pt (CI2) | Cl PC12 = 1 atm Pt (CI2) | CIOg PC12 = 1 atm Pt
(H2) |H30+
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pH2 = 1 atm Si noti che in questo tipo di semielementi l'elettrodo non partecipa alla reazione ma ha funzione sia di supporto al gas, sia di conduzione elettronica. Infine nel terzo tipo di semielementi sono compresi i semielementi le cui specie redox sono ambedue in soluzione. In questo caso l'elettrodo ha solo una funzione di conduzione elettronica. La tendenza di una particolare coppia redox a subire ossidazione o riduzione in una pila pu essere misurata costruendo una cella come quella in figura. Una pila sempre costituita da due semielementi o semipile. una di riduzione e l'altra di
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ossidazione. Se vogliamo misurare il potenziale di una particolare semipila, questa deve essere accoppiata con un'altra semipila, di potenziale noto. Dalla misura della differenza di potenziale totale possibile ricavare il potenziale redox di quella particolare semipila. Tradizionalmente, la semipila di riferimento costituita da un semielemento standard ad idrogeno, consistente in un elettrodo di platino. coperto di platino nero spugnoso, immerso in una soluzione di H30 + 1 M, saturato con H, gassoso alla pressione di 1 atmosfera a 25 C. La reazione elettrodica nella semicella standard 2H 30+ + 2e-_ H2 + 2H 2O Poich le concentrazioni e la temperatura influenzano il potenziale elettrochimico di una reazione reversibile, necessario specificare le condizioni in cui si trovano tutti i reagenti. Alla semicella standard ad idrogeno si assegnato convenzionalmente un potenziale di 0,00 volt. Il potenziale redox di una semireazione pu essere misurato per confronto con quello della semicella standard ad idrogeno. Per esempio, il potenziale standard E del sistema Zn` + 2e <-- Zn e quindi misurato a 25 C. ad 1 atmosfera e con [Zn Zn i Zn
2+1M il H30+ 21] unitaria,
M i Pt, H2 (1 atm)
Il segno del potenziale elettrochimico indica la facilit di ossidarsi o di ridursi. Allo zinco si assegna un potenziale negativo perch questo elemento viene pi facilmente ossidato che non ridotto, mentre un potenziale positivo indica che la sostanza viene ridotta pi facilmente dello ione idrogeno. Il potenziale standard del rame +0,34 V, e questo valore una misura del suo carattere redox nei confronti dello ione idrogeno. 1Per convenienza si usano come elettrodi di riferimento altre semicelle, oltre a quella ad idrogeno. L'elettrodo a calomelano uno di questi. Tuttavia, il loro potenziale sempre riferito alla semicella ad idrogeno. Il voltaggio della semicella a calomelano Hg | HgzClz,( KCl satura) pari a +0,245 V rispetto a quella ad idrogeno. La cella a calomelano di uso frequente per la sua praticit e riproducibilit. Nella tabella 16.2 si riportano i potenziali standard per alcuni semielementi. La tabella mostra gli elementi pi facilmente ossidabili in cima all'elenco e termina con i pi riducibili.
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Chimica generale
La concentrazione degli ioni che partecipano alla reazione redox in un semielemento di una cella galvanica esercita una influenza ben precisa sul voltaggio della cella. In una semicella a zinco l'equilibrio tra zinco metallico e ioni zinco pu essere spostato combiando la concentrazione di Zn` e cambiando quindi il potenziale della semicella. Quando [Zn`] 1 M, il potenziale standard -0,76 V ma se [Zn di una reazione ad avvenire, il potenziale elettrochimico della semicella diventa pi negativo. La relazione che descrive questo comportamento quantitativamente la equazione di Nernst (v. riquadro): E = Eo + Dove: RT In [OX] nF [rid] (16.8)
z+]
Cella zinco-idrogeno
E il potenziale standard, R la costante universale dei gas perfetti T la temperatura assoluta, n F il numero di elettroni scambiati nella reazione redox, il Faraday,
[OX] la concentrazione di Zn` [RID] la concentrazione di Zn metallico. Vediamo ora l'espressione della equazione di Nernst per i tre tipi di semielementi precedentemente considerati. Per un semielemento Fe |Fe 2 + si ha: E-= E + RT In
nF [ Fe++]
[ Fe]
In realt l'equazione di Nerst si riferisce ad una cella e non ad un semielemento; tuttavia, pi conveniente descrivere separatamente la dipendenza del potenziale di un semielemento dalla concentrazionedellidrogeno . Questo si realizza separando le due semireazioni e accoppiandole alla reazione standard dellidrogeno
158 158
note
Chimica generale
19.2 Idrossidi
note CaII + O2 CaO 2Ca + O2 2 CaO 2Mg + O2 2MgO 2Ba + O2 2BaO 4Al + 3 O2 2Al2O3 4Fe + 3O2 2Fe2O3 2Fe + O2 2FeO 4Cu + O2 2Cu2O 2Cu + O2 2CuO 2Pb + O2 2PbO
Chimica generale
Ossido di calcio Ossido di magnesio Ossido di bario Ossido di alluminio Ossido di ferrico Ossido ferroso Ossido rameoso Ossido rameico Ossido di piombo
.
Per il ferro che presenta due stati di ossidazione (+2 e +3) la nomenclatura differente, lossido FeO con N.O. inferiore prende la desinenza oso; lossido Fe2O3 con N.O. superiore prende la desinenza ico. La stessa regola vale per tutti i metalli che hanno numeri di ossidazione diversi.
MgII+ O2 MgO BaII + O2 BaO AlIII + O2 Al2O3 FeIII + O2 Fe2O3 FeII + O2 FeO CuI + O2 Cu2O CuII + O2 CuO PbII + O2 PbO
160 160
Chimica generale
Sono formati dalla reazione: OSSIDO BASICO + ACQUA= IDROSSIDO. Sono caratterizzati dalla presenza di uno o pi gruppi -OH chiamato ossidrile; monovalente: ci sono tanti gruppi -OH quanto lo stato di ossidazione del metallo
note
Nomenclatura IUPAC. Sono denominati con lespressione idrossido di... + nome del metallo. Nel
caso che ci siano pi atomi o pi composti -OH si aggiungono al termine idrossido i consueti prefissi (mono, di, tri...). Esempi: NaOH idrossido di sodio; Ca(OH)2 diidrossido di calcio; Al(OH)3 triidrossido di alluminio; Fe(OH)2 diidrossido di ferro; Fe(OH)3 triidrossido di ferro; Cu(OH) idrossido di rame; Cu(OH)2 diidrossido di rame. Sono anche denominati con lespressione "idrossido di" + nome del metallo. Nel caso di metalli con pi valenze, si mette tra parentesi il numero romano che indica lo stato di ossidazione del metallo. Esempi: Ca (OH)2 idrossido di calcio (II); Al(OH)3 idrossido di alluminio (III); Fe(OH)2 idrossido di ferro (II); Fe(OH)3 idrossido di ferro (III). Nel caso che il metallo sia monovalente, sono denominati con lespressione "idrossido di" + nome del metallo. Nel caso di metalli con pi stati di ossidazione, sono denominati con l'espressione "idrossido" + radice del nome del metallo + il suffisso: -oso per lo stato di ossidazione pi basso; -ico per per lo stato di ossidazione pi alta. Es: Fe(OH)2 idrossido ferroso; Fe(OH)3 idrossido ferrico; Cu(OH) drossido rameoso; Cu (OH)2 idrossido rameico
Nomenclatura IUPAC
Sono denominati col termine acido + il numero di atomi do ossigeno (prefissi monosso-, diosso-, triosso-...) + radice del nome del non metallo + suffisso -ICO + tra parentesi lo stato di ossidazione del non metallo. Se sono presenti pi atomi del non metallo, il nome di questo viene preceduto dai soliti prefissi. Es. H2SO3
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Chimica generale
note
acido triosso solforico (IV); H2SO4 acido tetraosso solforico (VI); HNO2 acido diosso nitrico (III); HNO3 acido triosso nitrico (V); HClO acido monosso clorico (I); HClO2 acido diosso clorico (III); HClO3 acido triosso clorico (V); HClO4 acido tetraosso clorico (VII)
Nomenclatura tradizionale
Sono denominati col termine "acido" + la radice del nome del non metallo + il suffisso: -OSO per lo stato di ossidazione minore; -ICO per lo stato di ossidazione maggiore. Es.: H2SO3 acido solforoso; H2SO4 acido solforico; HNO2 acido nitroso; HNO3 acido nitrico; HClO acido ipocloroso; HClO2 acido cloroso; HClO3 acido clorico; HClO4 acido perclorico.
19.4.1 I Sali
Derivano dagli acidi per sostituzione completa o parziale dei loro atomi di idrogeno con atomi di un metallo (salificazione).
Nomenclatura IUPAC
Radice del nome del non metallo + il suffisso -ATO + la valenza del non metallo tra parentesi + la preposizione DI + il nome del metallo (se ci sono pi atomi metto i soliti prefissi). Es.: HNO2 NaNO2 diosso nitrato (III) di sodio; HNO3 NaNO3 triosso nitrato (V) di sodio; H2SO3 K2SO3 triosso solfato (IV) di di potassio; H2SO4 K2SO4 tetraosso solfato (VI) di di potassio; HClO LiClO monosso clorato (I) di litio; HClO2 LiClO2 diosso clorato (III) di litio; HClO3 LiClO3 triosso clorato (V) di litio; HClO4
NOMENCLATURA TRADIZIONALE
Sono denominati colla radice del nome del non metallo + il suffisso:-ITO al nome del corrispondente acido oso; -ATO per la lacido ICO + la preposizione di + il nome del metallo. ESEMPI: HNO2 NaNO2 nitrito di sodio; HNO3 NaNO3 nitrato di sodio; H2SO3 K2SO3 solfito di potassio;
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Chimica generale
H2SO4 K2SO4 solfato di potassio; HClO LiClO ipoclorito di litio; HClO2 LiClO2 clorito di litio; HClO3 LiClO3 clorato di litio; HClO4 LiClO4 perclorato di litio:
note
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Chimica generale
Ad esempio se dissociamo separatamente il cloruro di sodio NaCl ed il cloruro platinico PtCl4, si ottiene NaCl Na+ + ClPtCl4 Pt4+ + 4Clma se mescoliamo le due soluzioni si ottiene un sale complesso, l'esacloroplatinato di sodio Na2PtCl6, il quale non un sale doppio, ma un sale complesso in quanto si dissocia in Na2PtCl6 2Na+ + PtCl62La soluzione presenta quindi caratteristiche diverse da quelle delle soluzioni dei sali semplici. I sali complessi dissociandosi possono dar luogo ad un anione complesso (come nell'esempio precedente), ad un catione complesso o ad entrambi. Sali con anioni complessi: Si conoscono molti sali con anioni complessi derivati dagli idracidi. SiF62AuCl4 SnCl6 PtCl6 Fe(CN) Fe(CN)
6 6 -
note
anione esafluosilicato anione tetracloroaurato anione esaclorostannato anione esacloroplatinato anione esacianoferrato o ferricianuro anione esacianoferrito o ferrocianuro
Tutti questi sali possono essere considerati come derivati da acidi complessi, alcuni dei quali sono in grado di esistere allo stato libero come: HBF4 HAuCl4 H2SiF6 H4Fe(CN)6 solfuri metallici e solfuri di semimetalli. Na2S + CS2 Na2CS3 (solfocarbonato o tritiocarbonato sodico) Lo zolfo, che appartiene allo stesso gruppo chimico dell'ossigeno, presenta per certi versi una chimica ad esso parallela. La reazione tra il solfuro di sodio e il solfuro di carbonio, ad esempio, analoga a quella che avviene tra un ossido e un'anidride. Se sostituiamo lo zolfo con l'ossigeno otteniamo infatti la reazione: Na2O + CO2 acido fluoborico acido cloroaurico acido fluosilicico acido ferrocianidrico
Un gruppo particolarmente numeroso di sali complessi sono i solfosali, che si formano per reazione tra
Na2CO3
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Chimica generale
Cos i solfuri metallici possono essere pensati come solfoossidi, mentre i solfuri dei semimetalli come solfoanidridi. La loro reazione produce dei solfosali. 3CaS + As2S5 Ca3(AsS4)2 solfoarseniato (o tetratioarseniato) di calcio 3CaO + As2O5 Ca3(AsO4)2 arseniato di calcio Analogamente si possono ottenere solfoarseniti (o tritioarseniti) come Na3AsS3, solfoantimoniti (o tritioantimoniti) come Na3SbS3, solfostannati (o tritiostannati) come Na2SnS3 etc.
note
Cationi complessi si formano ad esempio ogni volta che un sale ferrico viene sciolto in acqua. Il Fe3+ forma infatti con sei molecole d'acqua il catione complesso Fe(H2O)6+++ ione esaacquoferrico, responsabile del colore porpora delle soluzioni dei sali ferrici. Il colore giallastro, molto comune nelle soluzioni dei sali ferrici, prodotto dalla sostituzione di una molecola d'acqua con un ossidrile: Fe(OH)(H2O)5 ++ (ione penta-acquo idrossi ferrico)
Naturalmente si possono formare anche sali in cui sia l'anione che il catione sono complessi, come: Co(NH3)(H2O)3Fe(CN)6 esacianoferrato (o ferricianuro) di trammino-triacquo-cobalto Cu(NH3)43(AsS4) tetratioarseniato tetraamminorameico Cr(NH3)4Cl2Pt(NH3)Cl3 monoammino-tricloro-platinito tetrammino-dicloro-cromico
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Chimica generale
note
Sistematica
LA VALENZA RISPETTO ALL'OSSIGENO L'ossigeno appartiene al 6 gruppo e al 2 periodo; pu ricevere al massimo 8 elettroni nel livello di valenza, in quanto ne ha gi 6 ha valenza 2 (bivalente) La valenza degli altri elementi rispetto all'ossigeno si esprime meglio come numero di ossidazione (n.ox) COMPOSTI BINARI CONTENENTI OSSIGENO
A)
Sono denominati col termine "ossido di" seguita dal nome del metallo. Per indicare il numero di atomi si usano i prefissi mono-, di-, tetra-, penta-, esa- e epta- che precedono i omi; Negli ossidi l'ossigeno ha valenza 2. Nelle Metalli e non-metalli
formule il simbolo dell'ossigeno preceduto dal simbolo dell'elemento con cui si combina. Sono denominati col termine "ossido di" seguita dal nome dell'elemento, senza bisogno di prefissi. Quando l'elemento ha pi di 1 valenza si mette "ossido di" + nome dell'elemento + la valenza dell'elemento tra parentesi Es.: FeO ossido di ferro (II); Fe2O3 ossido di ferro (III) La nomenclatura tradizionale opera la distinzione tra metalli e non metalli: metallo + ossigeno OSSIDI BASICI i metalli monovalenti vengono denominati col termine "ossido di" + nome del metallo i metalli bivalenti vengono denominati col termine "ossido" + radice del nome del metallo +:suffisso -OSO per la valenza pi bassa; suffisso -ICO per la valenza pi alta. Es.: CaO ossido di calcio; FeO ossido ferroso; Fe2O3 ossido ferrico. Anche i non metalli reagiscono con lossigeno per formare composti che si chiamano anidridi o ossidi acidi. Non metallo + ossigeno formano gli ossici acidi denominati anidridi + nome del non metallo seguito dal suffisso -OSO per il numero di ossidazione pi bassa; suffisso -ICO per il numero di ossidazione pi alto. Esempi: N2O3 anidride nitrosa; N2O5 anidride nitrica; P2O3 anidride fosforosa; P2O5 anidride fosforica; SO2 anidride solforosa; SO3 anidride solforica.
SALI BINARI: metallo + non metallo:Se monovalenti, sono denominati con la radice del nome del non metallo + il suffisso -URO + DI + nome del metallo, Esempi: NaCl cloruro di sodio; LiF fluoruro di litio.
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Chimica generale
Si dice che il catione centrale "coordina" intorno a s le molecole leganti. Per questo motivo i composti complessi sono anche detti composti di coordinazione. I cationi che pi facilmente formano complessi sono quelli che presentano le pi elevate densit di carica (ione piccolo con carica elevata). Il numero di leganti che un catione in grado di coordinare detto numero di coordinazione dello ione complessante. Il numero di coordinazione di gran lunga pi frequente il 6. Abbastanza comuni anche il 2 e il 4. Molto pi rari i numeri dispari. Il numero di coordinazione di un catione quasi sempre pari al doppio del suo nox pi elevato. Ad esempio: il Ferro (n.ox +2, +3) presenta numero di coordinazione 6 I complessi esacoordinati sono ottaedrici; ad esempio nello ione complesso esammino cromico, Cr(NH3)63+, lo ione Cr3+, forma 6 orbitali ibridi sp3d2, con disposizione ottaedrica, disponibili per formare 6 legami dativi con altrettante molecole di ammoniaca I complessi tetracoordinati sono tetraedrici o quadrati planari. I complessi bicoordinati sono lineari numero di coordinazione 6; il Rame (n.ox +1, +2) presenta numero di coordinazione 4; l'Argento (n.ox +1) presenta numero di coordinazione 2; il Cobalto (n.ox +2, +3) presenta
note
il metallo con desinenza -ato, seguito dal suo numero di ossidazione in numeri romani tra
parentesi, secondo la notazione di Stock, codificata dalla convenzione IUPAC, oppure, secondo la vecchia terminologia, il metallo con desinenza -ato o -ito in relazione al suo stato di ossidazione. Es.: Fe(CN)64 anione esacianoferrato (II) (leggi: esacianoferrato due) oppure anione esacianoferrito Fe(CN)63 anione esacianoferrato (III) (leggi: esacianoferrato tre) oppure: anione esacianoferrato il metallo seguito dal suo nox in numeri romani tra parentesi, secondo la notazione di
CATIONI COMPLESSI:
Stock, codificata dalla convenzione IUPAC oppure, il metallo con desinenza -oso o -ico, in relazione al suo numero di ossidazione: Cu(NH3)42+ ione tetraammino rame (II); oppure: ione tetraamminorameico.
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