Sei sulla pagina 1di 11

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

ALTA FORMAZIONE ARTISTICA E MUSICALE


CONSERVATORIO DI MUSICA “SANTA CECILIA”

DIPLOMA ACCADEMICO DI SECONDO LIVELLO IN


CHITARRA CLASSICA

PROGRAMMA DI SALA
29/3/2023

RELATORE CANDIDATO
M. LEONARDO DE ANGELIS LEONARDO
AVALLONE
MATRICOLA 4799BN

ANNO ACCADEMICO 2021-2022

“SIGNIFICATIVE E DIFFERENTI INFLUENZE DELLA


MUSICA POPOLARE NEL REPERTORIO
CHITARRISTICO CONTEMPORANEO.”
Programma

DUSAN BOGDANOVIC “Six Balkans Miniatures”

1. “Jutarnie Kolo (Morning Dance)


2. “Zalopoika” (Lament)
3. “Vranjanka”
4. “Makedonsko Kolo” (Macedonian Dance)
5. “Siroko” (Wide Song)
6. “Sitni Vez” (Tiny-knit Dance)

CARLO DOMENICONI “Toccata in Blue”

LEONARDO DE ANGELIS “Danze Gravi”

RADAMES GNATTALI “Toccata em ritmo de samba”


n.1

ERNESTO CORDERO “Tres Cantigas Negras”

1. “Canto Negroniano”

2. “Danza del Cimarròn”

3. “Elegia Negra”
“Six Balkans Miniatures” Dusan Bogdanovic

Dusan Bogdanovic (Belgrado- 1955) è un chitarrista e compositore serbo


che fin dagli albori della sua carriera ha attraversato vari stili musicali, dalla
musica colta al jazz, passando per la musica etnica. Da questo bagaglio di
esperienze musicali così eterogenee, Bogdanovic ha elaborato un proprio
stile originale che “sintetizza” magistralmente tali diversi ambiti
compositivi.

“Six Balkan Miniatures”, pubblicata nel 1993, è una composizione ispirata


al folklore serbo, macedone, ma anche rumeno e bulgaro e rappresenta una
sintesi di ritmo, melodia e armonia balcanica. Nasce come una risposta
musicale alle tragedie subite dal paese d’origine del compositore, la
Jugoslavia, dilaniato dalla guerra; l’opera è infatti dedicata alla pace nel
mondo nella accorata prefazione dello spartito.

Bogdanovic fa riferimenti ed adopera patterns tipici di differenti regioni


dell’area balcanica, facilitato dalla struttura chiusa delle singole miniature
che gli permettono di cambiare improvvisamente lo spirito e
conseguentemente il tempo, la tonalità, lo stile. La suddivisione della
composizione in sei piccoli brani indipendenti, rende possibile il progetto
del compositore di associare ognuno di essi ad una regione differente dei
Balcani, seguendo l’idea della forza unificante della musica.

La relazione tra le miniature si basa sul contrasto di carattere e tempo, e


analogia nel materiale melodico e ritmico. In tutti i movimenti, l'armonia è
basata sulla modalità, ed i modi più comuni sono il Lidio ed il Dorico, a
volte alterati. Nella costruzione delle linee melodiche, il compositore usa
spesso un intervallo di seconda aumentata, caratteristica tipica di alcune
scale della regione ed è evidente la grande attenzione rivolta al disegno
melodico delle diverse voci.

Il ritmo asimmetrico rappresenta una delle caratteristiche vitali del folclore


musicale balcanico ed è stato denominato dai musicologi “AKSAK” (dal
turco “zoppo”), volendo indicare quel sistema ritmico, risalente alla
tradizione musicale ottomana, che consiste in una matrice risultante dalla
combinazione di cellule ritmiche binarie e ternarie. In base al numero di
pulsazioni, alla tipologia delle loro suddivisioni, binarie o ternarie, e al
modo in cui sono combinate, troviamo diverse tipologie di ritmi aksak.

Bogdanovic impiega i ritmi aksak in quattro delle sei miniature: Jutarne


Kolo (11/16), Vranjanka (7/8), Makedonsko Kolo (5/8),e in Sitni Vez, l’ultima
miniatura.

La struttura e la
forma delle miniature è costruita sulla ripetizione di frasi e locuzioni, ed il
motivo caratteristico che ascoltiamo
attraverso l'intero brano (in diverse
variazioni) è presentato proprio
all'inizio, nelle prime due battute.

Nelle Miniature vengono impiegate


tecniche esecutive appartenenti al
repertorio popolare per strumenti a
corda come il “golpe”, un suono
percussivo ottenuto dal corpo della
chitarra o la tecnica dello “strumming”
(strimpellamento) degli accordi con
l’indice, perpendicolarmente alle corde.
Esempi di strumming veloce nella
musica popolare balcanica si possono
trovare nel repertorio di strumenti a
corda come il bouzouki, il tambura e il
baglama.

“Toccata in Blue”
Carlo Domeniconi (Cesena - 1947) è un noto compositore e chitarrista
Italiano sicuramente da citare tra quegli artisti che hanno attinto dagli stili
musicali popolari extraeuropei; soprattutto, nel caso della sua produzione,
quello turco ed indiano.

Nella “Toccata in blue” il compositore si trova però ad esplorare un diverso


ambito compositivo, questo brano è infatti chiaramente ispirato al blues,
ma presenta importanti riferimenti all’impressionismo e simbolismo
francese e citazioni della Rapsodia in Blue di G. Gershwin a cui è
abbastanza dichiaratamente ispirato.

Il termine toccata deriva da “ricerca improvvisata sullo strumento” e


consiste nella ripetizione ed intersezione di scale ed arpeggi, con
l’invenzione di variazioni atte a trovare nuovi spunti melodici e armonici
che dallo strumento stesso possono avere origine.
Il disegno compositivo della sezione iniziale e della ripresa rispetta alla
perfezione la “tessitura” di questa forma musicale antichissima, risalente
alla prima metà del XVI secolo.

In quest’opera la pentatonica blues, oltre ad aprire il brano, affiora


ripetutamente nel suo disegno compositivo, che si articola in arpeggi,
scale, accordi, salti e passaggi virtuosistici, in perfetta sintonia con lo stile
toccatistico. Servendosi di uno stile compositivo altamente idiomatico, che
denota una grande conoscenza dello strumento e competenza tecnica,
l’autore riesce ad addentrarsi in diversi ambiti sonori e compositivi,
fondendoli ed accostandoli con grande perizia compositiva.

La sezione centrale abbandona momentaneamente lo spirito verace del


blues e, pur conservando le calde tinte dell’elegante Blues sinfonico di
Gershwin, sembra sposare l’essenza più trasognata dell’impressionismo
musicale francese. Le atmosfere divengono rarefatte e suggestive, il tempo
si dilata per accogliere quell’ambiguità armonica e quel fascino ipnotico
che caratterizzano questo stile compositivo; le linee melodiche ora più
semplici danno vita ad un intreccio denso di suggestioni e risonanze
interne, richiamando in alcuni momenti la metrica delle Gymnopedie di E.
Satie. Questa sezione si chiude con un’altra citazione, quella del trillo di
clarinetto, celebre incipit della Rapsodia in Blue di G. Gershwin.

Dalla ripresa ricomincia a dominare lo stile idiomatico e toccatistico del


brano ed il suo ritmo incalzante; pian piano la pentatonica blues ricompare
e sembra reclamare il suo spazio con sempre maggior insistenza fino alla
chiusura, in cui tornerà a dominare la scena in un finale in cui l’essenza
dirompente del blues è riproposta, come all’inizio del brano, nella sua veste
più sincera e verace.
“Danze Gravi”
Leonardo De Angelis

Un altro compositore-chitarrista che si inserisce in questo panorama


è Leonardo De Angelis (Roma 1962) e le sue composizioni sono
considerate a livello mondiale come rappresentative dell’integrazione
tra la tradizione strumentale chitarristica ed i nuovi linguaggi
contemporanei.

“Danze Gravi” contiene nella denominazione stessa l’origine della sua


ispirazione, infatti evoca le atmosfere emotive che accompagnano le
tappe e le varie fasi della gestazione e del parto.

Il brano è strutturato su uno schema ABA ed introduce fin dalle prime


battute il modo frigio di mi bemolle, su cui è costruito, richiamando
l’atmosfera delle falsetas flamenche, con l’alternarsi di piccole e
rapide figurazioni melodico-ritmiche ed ampi respiri densi di
risonanze. Questo inizio incarna la condizione emotiva della fase
iniziale della gravidanza, e dei sentimenti di gioiosa attesa che
l’accompagnano.

Le atmosfere e i colori evocati cominciano poi a spaziare ed aprirsi


verso un ambito più intimo ed armonicamente consonante, che
richiama quella condizione introspettiva dello stato d’animo che si
crea nelle prime settimane dal concepimento. L’eleganza e la dolcezza
del tema proposto dopo l’introduzione è però intrisa di una
suggestiva e malinconica vena di ansia ed incertezza, mantenuta in
vita dal modo frigio che torna a dominare nella conclusione della
prima sezione, quasi a preludere la fase del travaglio.

Segue quindi una sezione centrale di stampo toccatistico e


virtuosistico, suddivisa in tre sottosezioni. In esse, tramite
l’avvicendarsi di rapidi passaggi di scale, arpeggi e suoni legati, con
l’impiego di un’armonia che nella terza sottosezione rasenta l’atonale,
l’autore intende ripercorrere emotivamente la condizione di ansia
crescente e le preoccupazioni ricorrenti, quasi ossessive, che
caratterizzano la fase tardiva della gestazione.
Questa sezione si chiude bruscamente ed improvvisamente con una
serie di cluster di suoni armonici che sta a simboleggiare il momento
della nascita.

Nella terza sezione, che potremmo chiamare A’ per le sue sottili


differenze rispetto alla prima, ricompare l’elegante ed enigmatico
tema principale nella sua quasi totale interezza, seppur con variazioni
minimali; è il momento riflessivo e rielaborativo dell’esperienza. Il
brano si avvia così verso una chiusura che conserverà quel carattere
sospeso e malinconico che ha connotato anche la prima parte della
composizione.
“Toccata em ritmo de samba n1”

Radames Gnattali

Proseguendo in questa rassegna di autori contemporanei che sono


riusciti a dissolvere le barriere tra musica erudita e musica popolare,
è bene citare Radames Gnattali (1906 Porto Alegre- 1988 Rio de
Janeiro). Figlio di immigrati italiani in Brasile, rappresenta una figura
fondamentale nella musica brasiliana del ventesimo secolo,
ritrovandosi ben presto nella sua lunga carriera a lavorare per
emittenti radiofoniche e televisive brasiliane e dirigendo l’orchestra
brasiliana “Radames Gnattali”.
La musica popolare è la componente più importante alla base del suo
sostegno economico, ma la formazione classica e la vocazione alla
ricerca compositiva colta sono quanto mai vive in lui; il compositore
si ritrova così a trattare entrambi gli ambiti musicali, sviluppando un
approccio compositivo sinfonico nelle composizioni di natura più
popolare ed adottando procedure melodiche ed armoniche
tipicamente popolari e jazz nelle composizioni “colte”.

La “Toccata em ritmo de samba” n 1 fa parte di un trittico denominato


“Tre brani da concerto” che comprende anche la “Dansa Brasileira” e
la “Toccata em ritmo de samba” n 2, composto nell'arco di un
trentennio, tra i primi anni ‘50 e il 1981.

Già dal titolo della composizione è evidente l’intenzione dell’autore di


attenersi a stilemi e tecniche compositivo-esecutive toccatistiche,
servendosi però di materiale ritmico, melodico ed armonico ispirato al
Samba ed al Jazz.

Scritta in forma tripartita ABA, la toccata mostra fin da subito il suo


seducente andamento metrico sincopato, costruito con cellule
ritmiche prese in prestito al samba.

La tessitura ritmica che si crea tra basso e voci superiori richiama


l’accompagnamento chitarristico denominato “Baixarias” tipico del
Choro, altro stile popolare brasiliano strettamente imparentato con il
Samba, eseguito da una o due chitarre, a sei o sette corde, nelle
orchestre o nei piccoli organici strumentali brasiliani.

La successione di accordi e le loro risoluzioni a volte non permettono


di stabilire un vero centro tonale, essi vengono per lo più
individualizzati e collegati dalle molteplici note di tensione che
contengono e da rapidi passaggi cromatici che permettono
modulazioni “insolite”. Questa tecnica compositiva è sicuramente in
voga nel jazz, stile che ha nutrito e influenzato il Samba brasiliano.

L’autore decide di servirsi del modo misolidio di Mi in alcuni passaggi


scalari del brano, con l’intento di riproporre un modo ampiamente
utilizzato nella musica popolare attribuibile alle zone Nord-Est del
Brasile.

Le lunghe scale cromatiche, che hanno a volte una funzione


cadenzale all’interno del brano, alludono ai “glissando” degli
strumenti ad arco, di cui il compositore si serviva nei suoi
arrangiamenti per orchestra, ma il riferimento agli archi è ancora più
tangibile nella sezione B del brano, caratterizzata da un andamento
lento ed in cui è espressamente richiesto dall’autore un suono “legato
espressivo”.
“TRES CANTIGAS NEGRAS” Ernesto
Cordero

Composta nel 1986 ad opera del compositore e chitarrista portoricano Ernesto


Cordero (New York 1946), noto nell’ambiente della musica colta per il sapore
caraibico delle sue composizioni.

Il titolo della composizione rimanda fin da subito ad una terminologia


medioevale, “Cantiga” è infatti il genere tipico della poesia lirica risalente al
XII-XIV secolo, scritta prevalentemente in galego-portoghese e accompagnata
musicalmente. Testi e musiche erano composti dai “trovatori”, cantati in
monodia ed accompagnati strumentalmente da giullari o menestrelli, a volte
essi stessi trovatori.

L’opera combina elementi ed archetipi della cultura musicale africana,


attingendo profondamente alla sua ideologia ed estetica.

Il primo movimento, “Canto Negroniano”, allude chiaramente al repertorio


liturgico del canto gregoriano, che viene qui citato e riproposto in chiave
strumentale. Il brano sembra ricalcare musicalmente la struttura dei rituali
religiosi afro-caraibici, divisi in due fasi collegate da un “ponte”.
L’ incipit consiste nell’esposizione di una monodia gregoriana di grande
potere evocativo che fin da subito focalizza l’attenzione su come il canto
gregoriano, praticato anche in Africa da religiosi e missionari europei, abbia
contribuito a creare quel substrato melodico da cui, in secoli di rielaborazioni
e contaminazioni, si è poi giunti alla pentatonica e al blues. Questo inizio
starebbe a simboleggiare, secondo l’autore, una sorta di invocazione della
divinità cattolica ed è seguito da un’altra invocazione, questa volta diretta alle
divinità africane, attraverso l’uso timbri più secchi, nonché di tambora ed altri
effetti percussivi sullo strumento. I due riti religiosi sembrano fondersi e
sovrapporsi nella seconda parte della composizione, in questa sezione finale
la melodia gregoriana viene infatti armonizzata con materiale melodico e
armonico richiamante il blues, a testimonianza dell’antica parentela che esiste
tra questo genere musicale e il repertorio vocale che ha accompagnato la
liturgia cristiana fin dall’ottavo secolo d.C.

Il secondo movimento è chiamato “Danza del Cimarròn”.


“Cimarrones” venivano denominati quegli schiavi africani che riuscivano a
fuggire dalle colonie del Sud America ed a trovare rifugio tra i monti o nelle
foreste, entrando così in contatto con le popolazioni indigene e con la
componente spagnola già radicata nel continente sudamericano.
In questo brano l’influenza del blues, dei suoi ritmi e delle sue scale, è
facilmente riconoscibile, con l’impiego consistente della scala pentatonica che
appartiene a questo genere. Un’ampia sezione centrale è dedicata ad un
utilizzo strettamente percussivo dello strumento, anche in forma di
improvvisazione, a rievocare la componente ritmica affidata ai molteplici
strumenti a percussione della musica tradizionale africana.
Nel finale si può apprezzare un altro elemento tipico della musica africana sub-
sahariana, ovvero la poliritmia, che si viene a creare tra il basso e la voce
superiore man mano che si procede nel “fade out” che caratterizza la chiusura
del brano.

“Elegia Negra” è il terzo movimento, dal carattere rapsodico e virtuosistico.


Questo brano non segue uno schema compositivo fisso ma si presenta come
una sequenza di spunti melodici e diversi episodi musicali. Ciò conferisce dei
toni quasi improvvisativi alla composizione, con il ripetuto alternarsi di rapidi e
sinuosi frammenti melodici ed atmosfere oniriche, a tratti ipnotiche.

Potrebbero piacerti anche