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Sabato 18 marzo, 9:37 pm.

Arriva una telefonata in ufficio, deserto, dato che erano in piena


vigilia di le feste a San Giuseppe falegname. Era Giorgio Roccello che chiede dal questore, chi a
questo punto era già uscito. La chiamata, quindi, è presa dal brigadiere. Il commissario domanda chi
è; il brigadiere gli risponde che un tale che chiede di farvi urgentemente una cosa trovata in casa
sua. Al sospetto del commissario, il brigadier dice che non ha fatto riferimento nessuno a un
cadavere, e quando gli da il nome e l’indirizzo di chi ha effettuato la chiamata, il commissario non
riesce a credere che sia tal cosa, argomentando che questo signore è un diplomatico che da lungo
tempo non vive nel paese, che la casa dove abitava è chiusa, abbandonata e quasi in rovina. Il
brigadiere si offre andare a controllare, ma il commissario si oppone poiché sicuramente si tratta di
un scherzo: il meglio è che il brigadiere passi la mattina dopo a dare un'occhiata.
L'indomani il brigadiere va in pattuglia con due agenti all'indirizzo lasciato per Roccella.
Infatti la casa era quasi abbandonata, chiusa con catenacci nuovi. Lì, attraverso il vetro della
finestra, loro scoprono un uomo un'uomo crollato seduto a una scrivania. L’uomo, lo stesso, è
Roccella morto: aveva un grumo nerastro tra le mandibola e la tempia, e a terra c'era la pistola.
Sulla scrivania, un foglio ove il uomo aveva cominciato a scrivere “Ho trovato”. Il brigadiere
chiede agli agenti di tornare in questura, di riferire e di venire subito medico, fotografo ed esperti
scientifici. La scena, che potrebbe essere chiaramente quella d'un suicidio, non convince il
brigadiere. La casa non sembrava essere disabitata.
Due ore dopo arrivano il questore, il medico, il fotografo, il giornalista, i carabinieri e il
colonnello. Il questore sostiene che il caso è soltanto un suicido, e cerca di persuadere dallo stesso
al colonnello. Il brigadiere provo di raccontare il suo argomento, ma non è ascoltato dal questore:
tutto quello che abbia per dire, lo dirà nel suo rapporto. Non convinto, il brigadiere gli fa sapere
tutto al colonello atraverso i sui carabinieri.
Cominciano ad arrivare in questura qualche informazione: L'identità della vittima è Giorgio
Roccella di Monterosso, diplomatico in pensione. Separato dalla sua moglie da dodici anni. Abitava
in Edimburgo con suo figlio. È tornato in Italia dopo quindici anni ed era arrivato in città proprio
quel giorno. Il questore continua con la sua ipotesi ipotesi di suicidio, ma il brigadiere lo fa
riffletere sopra quanto poco fosse plausibile quel caso. Questo fa arrabbiare il questore, che gli
chiede di fare tornare subito il commissario.
Il commissario torna in ufficio lunedì alle otto, dove già stava il brigadiere. Dopo arriva in
ufficio il professor Carmelo Franzò, vecchio amico della vittima. Racconta che lo stesso sabato
aveva visto Roccella, che gli aveva spiegato la ragione del suo viaggio: voleva recuperare dei
pacchetti di vecchie lettere che erano in una cassapanca sul solaio del villino. Le lettere erano di
Garibaldi e di Pirandello. Gli chiede al professore di accompagnarlo nel pomeriggio al villino, ma
Franzò aveva cose da fare (dialisi). Si avevano dato appuntamento per l'indomani.
La sera di quel sabato Roccella chiama loro per telefono dicendo che aveva trovato quel
famoso quadro scomparso anni fa. Franzò non riesce a ricordare di quale quadro si trattasse, ma gli
consiglia di chiamare la polizia.
Nel fratempo, un giorno dopo la morte di Rocella, accade un altro sucesso particolare:
vengono uccisi un capostazione e un macchinista. Alla stazione di Monterosso si era fermato un
treno per più di mezz'ora. Il semaforo della stazione non cambiaba la segnale. Di conseguenza il
capotreno chiede a un automobilista -proprietario di una Volvo- che si era fermato di andare in
stazione per vedere cosa succedeva. Il proprietario della Volvo lo fa, ma non torna indietro. Per
tanto sono il capotreno e i passaggeri che scoprono i corpi. La polizia ed i carabinieri cominciano la
ricerca di quell'uomo sospetto proprietario della Volvo che, una volta ritrovato, è portato in
questura. Il uomo testimonia essere farmaceutico e soltanto avere visto tre uomini provando di
arrotolare ciò che secondo lui era un tappeto. Il commisario gli domanda anche se ha qualcun
rapporto con le droghe e sospettando di lui, decidi trattenerlo. Poi arrivano in questura il figlio di
Roccella e la sua ex moglie, chi non aggiugono nessuna informazione. Il figlio menziona al Padre
Cricco (petre con cui il suo padre se scriveva per essere a conoscenza dello stato della sua proprietà)
che anche è chiamato a testimoniare e argomenta che secondo lui Roccella si era suicidato e che non
aveva avuto mai le chiavi del villino.
Il brigadiere torna al villino per un'altra perquisizione. La casa non aveva più dei catenacci.
Lui comincia a sospettare dal commisario, che non avendo stato mai in quel posto, tuttavia sapeva
alcune particolaritate di quella casa come, per esempio, dove si trovava la luce della scala.
L'indomani il brigadiere non ha più dei dubbi: Roccella è stato ucciso e il commisario è coinvolto. Il
commisario avendosi rendere conto dei sospetti da parte del brigadiere prova di sparargli, ma il suo
bersaglio diventa più veloce ed è lui stesso che diviene morto.
La situazione viene nominata come un incidente. L'uomo della Volvo viene rilasciato e
quando esce vede passare al Padre Cricco, a chi riconosce come uno dei uomini che ha visto
nell'uficcio del capostazione.

Leonardo Sciascia nace in Racamulto, provincia di Agrigento, l'8 gennaio di 1921. Studia in
Caltanissetta, ottenendo il diploma di maestro elementale. Lì se dedica a la insegnamento e
comincia la sua attività letteraria, e poi si trasferisce a Palermo dove continua lavorando come
professore.
Posteriormente comincia la sua carriera periodistica, diventando uno degli autori più importanti
della letteratura italiana della dopoguerra.
Dopo 1976, si dedica sopratutto al suo lavoro come saggista di letteratura e politica. Dopo essere
stato iscritto al Partito Radicale, viene eletto sia nel Parlamento europeo come nell'italiano.
Muore il 20 novembre a Palermo.

Coment personale

Ho trovato il romanzo
Un romanzo pieno d'intrighi, con una scrittura piena di detagli. Molto emozionante, trascina al
lettore fino a sospettare d'ogni personaggio, non mollando mai la tensione che va increscendo linea
a linea, pagina dopo pagina. Una semplice storia che di semplice non ha niente. È il discorso di
Sciascia lo più davvero avvincente in un tema molto frequentato com'è il genere giallo. Questo è
stato il mi primo contatto con un'opera di lui.

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