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Luciano Arcella

Discreti Ricordi d’amore


Adattamento molto libero del romanzo di Svevo, La coscienza di Zeno

Personaggi
Zeno: appare in diversi momenti della sua vita.
Psicoanalista: Signore cinquantenne dall’aria professionale
Signor Giovanni Malfenti: Sessantenne, grassoccio, gioviale.
Ada: ragazza molto attraente, sui 25 anni. Una delle quattro figlie della famiglia Malfenti.
Augusta: Donna trentenne, una delle sorelle Malfenti, bruttina, ancora nubile.
Guido: Giovane spigliato, brillante seduttore.
Carla: Ragazza molto giovane, amante di Zeno.
Copler: Signore di circa 50 anni, amico di Zeno.

SCENA I
Zeno, signore anziano (circa 80 anni) e alquanto incerto nei suoi movimenti entra nello
studio di uno psicoanalista dove è affissa l’immagine di Freud. Zeno guarda con curiosità
la foto assumendo diverse espressioni, fra il dubbioso, il compiaciuto, l’incerto. È solo
nello studio, si guarda attorno e finalmente si dirige al pubblico.
Zeno: È il mio ultimo tentativo dopo tanti fallimenti, ma sono convinto che questa volta
andrà a buon fine, perché pago, e non poco. A proposito…
Zeno trae dal portafogli alcune banconote, le conta e le tiene da parte.
Zeno: Perché qui si paga in anticipo, affinché la cura abbia effetto. Cura di che? Mi
chiederete. Del mio vizio più grave, un vizio pressoché incurabile. Pensate che si tratti di
droga? Sì, in fondo è una droga, ma non si tratta, come certamente penserete, della volgare
cocaina, popolare fra politici in carriera o artisti votati all’insuccesso, ma di qualcosa di
elitario, nobile, il distruttivo tabacco. Io fumo e prima o poi questo vizio mi porterà alla
rovina, alla tomba. (Tossisce forte). Sentite? Se non fosse per questa maledetta sigaretta
potrei vivere cent’anni (Intanto trae dalla tasca una sigaretta e la pone tra le labbra)
Senza che Zeno se ne accorga entra nella stanza lo psicoanalista, che allo stesso tempo
toglie la sigaretta dalla bocca di Zeno e prende i soldi che ha in mano.
Psicoanalista: Solo cent’anni! Perché non più a lungo? (Rivolgendosi poi al pubblico). La
gente pensa di comprare con pochi spicci la salute, e soprattutto acquistarla da uno
psicoanalista. Che illusi!
Zeno: Mi ha detto qualcosa?
Psicoanalista: Io non dico, sono qui per ascoltarla, per questo lei mi paga.
Zeno: Non capisco, non dovrebbe essere il contrario?
Psicoanalista: Assolutamente no; chi parla paga e chi si assume il peso dell’ascolto riceve
il giusto consenso. Lei parla, io ho la pazienza di ascoltarla, paga, e così guarisce. La prego
pertanto di essere sintetico, di non sfidare la mia pazienza e di non consumare inutilmente il
tempo che le è concesso, a meno che non vuole vedersi accreditare uno scatto di tariffa?
Zeno: In somma, più a lungo si parla, più si paga?
Psicoanalista: Giusta deduzione.
Zeno: Vengo al dunque, le dico la malattia, il vizio dal quale voglio curarmi.
Psicoanalista: Un momento, cerchiamo di rispettare la forma, quella della tradizione
psicoanalitica. Capisco che è la prima volta che entra in uno studio terapeutico, ma avrà pur
visto una rappresentazione teatrale di una seduta! Prima di tutto io mi metto comodo nella
mia poltrona, metto in bocca la mia pipa per assumere un atteggiamento di saggezza,
mentre lei… (Trae una pipa da un cassetto e la mette in bocca senza accenderla). Lai si
accomoda.
Zeno: Sì, sì, proprio come al teatro, ma non vedo il lettino da paziente, ma solo una sedia.
Che faccio?
Psicoanalista: Lettino… roba superata. Oggi è sufficiente una sedia, vada, si accomodi e
mi dica qual è il suo male.
Zeno: Ho il vizio del fumo e non riesco a togliermelo; voglio che lei mi aiuti, che me lo
tolga, per stare bene, per non tossire più, per sentirmi giovane, per poter… (Sostituisce le
parole con gesti concitati delle mani di dubbia interpretazione).
Psicoanalista (Interpretando il gesto come atto sessuale): Ho capito, non c’è bisogno che
lo sottolinei con questo gesto volgare.
Zeno: Che ha capito, io intendevo dire che non riesco… (agitando le mani)
Psicoanalista: Ho capito, e le dico che è normale, per la sua età, per l’età della sua
compagna; dovrebbe cercare una persona più giovane che possa aiutarla, una d’esperienza,
una di quelle…, mi capisce? E magari – le rivelo un segreto che da psicoanalista non dovrei
- utilizzare una di quelle pillole miracolose ben più efficaci di tante sedute.
Zeno: No dottore, le ripeto che si sta sbagliando, volevo dirle che non riesco a liberarmi dl
vizio del fumo per stare meglio, non per… (Compie chiaramente il gesto dell’atto
sessuale).
Psicoanalista: Lasciamo allora da parte queste sciocchezze, si rilassi e incominci a
raccontare.
Zeno: Che cosa racconto?
Psicoanalista: Quanto c’è di più semplice: la sua povera vita, gli eventi che l’hanno
caratterizzata in tutta la loro banalità. Incominci da quando prese il vizio del fumo e in che
modo.
Zeno: Il vizio, il maledetto vizio mi prese quando morì mio padre. Forse perché sentii
molto la sua improvvisa assenza, o forse…
Psicoanalista: O piuttosto perché si sentì colpevole e volle espiare la sua colpa.
Zeno: Colpevole di che?
Psicoanalista: Di averlo voluto uccidere, è ovvio.
Zeno: Io uccidere mio padre?
Psicoanalista: Proprio così, come fanno tutti quelli che portano un minimo di rispetto a
Freud e al suo figlioccio Edipo. Non mi dica che non lo sapeva! Ora mi tocca a che fare
anche con pazienti ignoranti! È cosa risaputa. Da sempre i figli vogliono uccidere il padre
per poter… (gesto volgare) con la madre. Perciò lei, come tutti gli Edipo del mondo, resosi
conto della sua colpa, decise di espiare: l’originario si accecò, lei si avvelena con le
sigarette.
Zeno: Non la comprendo ma se lo dice lei con le sue profonde conoscenze… Io però
amavo mio padre e soffrii profondamente per la sua morte. Provai e provo un po’ di
rimorso per non aver saputo comprendere le sue sofferenze, né condividere il suo terrore
dinanzi al momento terminale.
Psicoanalista: Vede che è proprio come le dico? Lei è colpevole come tutti i figli del
mondo; lei voleva uccidere suo padre e se non lo fece fu per un banale ritardo: fu preceduto
dalla sua morte accidentale. Ma ora lasciamo da parte queste superflue diatribe e veniamo
al punto. Mi racconti della sua vita: che accadde dopo il potenziale omicidio? Mi dica
(intanto si allontana), continui a parlare, vado un momento al bagno, lascio la porta aperta
così la posso ascoltare.
Si sentono rumori provenire dal bagno, acqua che scorre.
Zeno: (molto imbarazzato, a voce alta): Cercai di riorganizzare la mia vita, ma mi sentivo
molto solo; già era morta mia madre ed era venuto a mancare anche mio padre. Cercai di
portare avanti la sua attività commerciale, ma non era facile data la mia inesperienza. Sentii
allora la necessità di trovare un altro…
Psicoanalista: (arrivando dal bagno): Un altro padre vorrebbe dire. Lo trovò? Chi era?
Zeno: È passato tanto tempo che non riesco a ricordarlo, a determinare la sua fisionomia, la
sua voce i suoi modi.
Psicoanalista: Per questo sono qua io: l’aiuterò. Assumerò i tratti di quel signore.
Zeno: Come fa se non lo conosce?
Psicoanalista: Lei lo conosce, ed anche se si è parzialmente cancellato dalla sua coscienza,
il suo inconscio lo tiene ben presente, vivo. Lei mi guiderà, ed io parlerò come lui, mi
muoverò come lui, sarò come lui.
Zeno: Non capisco come, come potrà manifestarsi.
Psicoanalista: Lo estrarrò dal suo inconscio per mezzo della mia tecnica maieutica, della
mia potenza ipnotica. (Si avvicina a Zeno e compie i gesti dell’ipnotizzatore, mentre si
ascolta una delicata musica di fondo). Si lasci andare, liberi i suoi ricordi e mi dica. Alto?
Grasso? Di sinistra o forse di destra? Vegetariano o carnivoro? Cerchi nei suoi oscuri
ricordi.
Zeno a poco a poco si addormenta, sino a russare.
Psicoanalista (indispettito): No, non è possibile, come si permette! Io mi sforzo di
ipnotizzarla e lei si addormenta! Lei non se ne rende conto ma sta oltraggiando la scienza
psicoanalitica di ultima generazione, quella che non solo penetra i lati occulti della vita
presente del paziente, ma scopre le vite passate. Capisco che lei è un sempliciotto, un
ignorante direi, ma la perdono e le chiedo di essere serio e di svolgere correttamente la sua
parte, altrimenti mi vedrei obbligato a raddoppiare la mia parcella per meritare la sua
attenzione e il dovuto rispetto.
Zeno: No, per favore, abbia pazienza, attenda che mi concentri.
(Lo psicoanalista riprende la pratica di ipnosi)
Zeno: Ecco, ricordo il suo nome: si chiamava Giovanni, Giovanni Malfenti. (Lo
psicoanalista rimane prima immobile poi incomincia a mutare d’espressione). Un tipo
allegro, grassottello con una pancia rispettabile (Lo psicoanalista seguendo quel che dice
Zeno si trasforma nella persona di Malfenti), gioviale. Oltre la giacca indossava una
cravatta molto colorata e anche un cappello. Era venditore, commerciante, esperto in borsa,
così si diceva. Gli piaceva molto il vino, ma soffriva di gastrite (Giovanni prende un
bicchiere di vino ma deve lasciarlo perché è assalito da una fitta al ventre. Zeno guarda
con stupore lo psicoanalista che si è trasformato in Giovanni). È proprio lei, signor
Giovanni: che ci fa qui dopo tanto tempo?
Giovanni: Certo che sono io. Mi domanda che cosa ci faccio qui quando è proprio lei che
mi ha evocato?
Zeno: Ma lei era morto, completamente morto.
Giovanni: E adesso sono vivo, perché lei mi ha richiamato in vita.
Zeno: Non posso crederlo, perché sono passati tanti anni e lei è qui, è lo stesso come se il
tempo non sia trascorso. Faccia fresca, nessun sintomo di vecchiaia né di malattia: un vero
miracolo!
Giovanni: Nessun miracolo ma una semplice ragione. Adesso non sono quel Giovanni che
invecchiò e morì anzitempo di cirrosi, sono un personaggio. Non si rende conto, signor
Zeno, che siamo in un teatro? Perciò sono rimasto così come l’artista mi aveva creato:
l’uomo d’affari Giovanni Malfenti, figura di un certo rilievo nella storia, e quindi ben
disposto a entrare nella sua vita.
Zeno: Mi trova disposto ad accoglierla, soprattutto in un momento di difficoltà per la morte
di mio padre e la mia scarsa conoscenza della borsa. Lei con la sua esperienza è l’unica
persona alla quale posso chiedere consiglio.
Giovanni: Non esiti, signor Zeno Cosini, mi chieda.
Zeno: Che faccio? Compro?
Giovanni: Assolutamente no, venda, venda!
Zeno: Bene, ora che faccio, vendo?
Giovanni: No, sarebbe una pazzia, ora compri!
Zeno (rivolgendosi al pubblico): Fu così che il signor Malfenti, quale gran espero nella
borsa mi fece perdere il mio capitale. Per fortuna, assieme a un minimo di prudente
sfiducia, potei conservare una piccola parte del patrimonio.
Giovanni: Ancora a lamentarsi, se ha perduto una parte del suo misero capitale, guadagnò
in esperienza ed apprese un principio fondamentale: non fidarsi mai di chi vuole dare
consigli. Ed allo stesso tempo ottenne la mia fiducia, che dico? La mia amicizia. Al punto
che la invitai a casa mia.

SCENA II
Appare la sala piuttosto elegante della casa della famiglia Malfenti; il signor Giovanni
precede Zeno e lo invita ad entrare.
Giovanni: Venga, si accomodi, consideri che è casa sua. Avverto le mie donne della sua
presenza.
Giovanni si allontana; Zeno rimane alquanto imbarazzato e si guarda in giro, quindi si
rivolge al pubblico.
Zeno: Entrare in casa Malfenti fu un evento decisivo nella mia vita, quasi come il vizio del
fumo. Questa è la casa, quella che possono immaginare più che vedere: un salone
moderatamente lussuoso con alcuni specchi e comode poltrone. Per quanto mi riguarda, so
che non posso presentarmi come sono ora, vecchio e trascurato: devo riportarmi a quel
tempo, quando ero giovane e discretamente elegante.
Zeno si allontana dal centro del palcoscenico e si avvicina a un attaccapanni dove ci sono
degli abiti. Si toglie la cipria che imbianca i suoi capelli, indossa una giacca più elegante,
assume una postura giovanile. Intanto sulla scena appare Ada, la più bella delle quattro
figlie di Giovanni; Zeno, che è di spalle, non si rende conto della sua presenza.
Ada: Benvenuto nella nostra casa signor Zeno, nostro padre ci ha parlato molto di lei.
Zeno, colto di sorpresa, si volge verso Ada e rimane colpito e ammutolito.
Ada: Si senta come a casa sua, si segga, qui lei è in famiglia. Sono Ada e come le mie
sorelle ero molto ansiosa di conoscerla.
Zeno: Anch’io desideravo conoscere la casa, la famiglia, e lei, signorina Ada. È per me una
grande gioia trovarmi in una bella famiglia. Ho bisogno di una famiglia.
Ada: Anche noi abbiamo bisogno di un uomo serio e forte al quale appoggiarci.
Zeno: Voglio essere quell’uomo d’appoggio, voglio dire uno serio e forte sul quale possano
contare.
Entra in scena Giovanni Malfenti.
Giovanni: Allora, signor Zeno, che le sembra la mia casa? E la mia bella figlia Ada? È un
vero tesoro, la più bella delle mie figlie, che però sono tutte belle. È intelligente, allegra,
canta, è elegante ma sa anche badare alle faccende domestiche. È un vero tesoro, beato chi
la sposerà. La guardi, che grazia.
Ada assume varie pose per farsi ammirare
Ada: Occhi di padre, non sono tutto quel che lui dice. Che ne pensa, signor Zeno?
Zeno: La penso come suo padre o no, no…di più, molto di più.
Giovanni: Tutto vero, ma non si possono dimenticare le altre, tutte virtuose e belle, anche
se in maniera diversa, e tutte meritano un uomo di valore al loro fianco.
Ada: È vero, ma per Anna è troppo presto per pensare a un marito, ha solo otto anni la
poverina alla quale mancò la madre quando la dava alla luce. Poi viene Alberta, diciotto
anni, studentessa dell’ultimo anno di liceo, tutta concentrata nei suoi studi e nel progetto
universitario. Finalmente Augusta, la più grande – non le dico l’età perché a lai non fa
piacere che si sappia – la zitellona. È molto buona, sempre serena e attiva, non l’ho mai
sentita lamentarsi, anche se la natura non è stata generosa con lei, non avendole dato il dono
della bellezza. Mi comprenda, non è brutta, ha una sua bellezza molto particolare, riservata
a chi la sappia comprendere. La conoscerà e chissà che lei, che è un uomo di valore, sappia
apprezzarla e che magari possa nascere…mi comprende?
Zeno (rivolgendosi al pubblico): Che mi poteva importare di conoscere Augusta! Io già
amavo Ada, desideravo solo Ada, volevo per me la sua bellezza incomparabile che mi dava
emozione al solo avvicinarmi alla casa. La famiglia, la casa, il suo calore, ma soprattutto
lei, Ada…Ada…Ada (sospirando).
Oscurità, si sente una musica romantica, quindi si accendono le luci nel salone e si vede
Ada che con espressione allegra danza con un giovane di bell’aspetto, Guido. Mentre
Zeno, che appare frustrato, è seduto accanto ad Augusta. Improvvisamente Zeno si alza, si
avvicina alla coppia e chiede il cambio per danzare con Ada.
Zeno: Signorina, permette?
Guido va a sedersi accanto ad Augusta.
Ada (con espressione di disappunto): Se me lo chiede. (Incominciano a ballare). Poteva
però invitare Augusta che è rimasta sola.
Zeno: C’è Guido che può invitarla.
Guido invita Augusta a ballare
Ada: Ha ragione, perché Guido è un vero gentiluomo ed infatti la sta invitando.
Nella sala si vedono le due coppie ballare.
Zeno (ad Ada, ballando): Posso farle una confessione?
Ada (annoiata): Se necessario, mi dica.
Zeno: Mi sento molto bene in questa casa, in questa famiglia, con lei.
Ada: Lo vedo, soprattutto quando si tratta di mangiare. A casa sua non ha nessuno che le
cucini?
Zeno: Qui è diverso, qui il cibo ha un altro sapore, ha sapore di casa, di famiglia.
Ada: Sono contenta che lei si senta bene nella nostra casa, noi l’apprezziamo molto, le
vogliamo bene. Anzi, le dico di più, per me lei è come un fratello, il fratello maggiore che
non ho.
Zeno (deluso): Un fratello?
Ada: Sì, uno della famiglia.
Zeno: Vorrei davvero entrare a far parte di questa famiglia, da tanto tempo avrei voluto
dirglielo ma mi è mancato il momento, l’occasione, ora però…
Ada (soddisfatta): Finalmente, mi rallegro che si sia deciso, signor Zeno. Augusta è una
persona buona, ha un’anima bella, sarebbe per lei una moglie ideale, la renderebbe felice.
Zeno (sorpreso o pressoché sconvolto): Sì, desidero una famiglia, ma non così, non ora.
Ada: Non sia timido, ha fatto bene a confessarsi con me, tuttavia ora dovrà dirlo anzitutto a
mio padre e poi a lei, Augusta. Mia sorella l’ammira profondamente, ma vediamo se si
sentirá sentirà pronta per affrontare un passo tanto importante come il matrimonio.
Zeno (alterato): No, no! Lei mi ha frainteso. Io amo lei, mia dolce, cara Ada. Voglio
sposare lei e non sua sorella Augusta.
Ada (guardando Zeno con disprezzo): Mi dica che è solo uno scherzo, signor Zeno, che
non parla sul serio.
Zeno: Sono serio, profondamente serio come mai nella mia vita: voglio lei e non sua
sorella.
Ada: Come osa disprezzare mia sorella? Chi crede di essere? Lei non la merita la mia
bella…buona sorella.
Zeno: Non disprezzo nessuno tantomeno la sua bella…buona sorella, ma desidero lei, solo
lei, Ada, mia amata.
Nel dire queste parole Zeno va verso Ada per abbracciarla, ma lei con sdegno lo respinge,
sì che Zeno, umiliato va via in fretta, quasi correndo. Guido torna a ballare con Ada,
mentre Augusta torna a sedersi. Trascorre poco tempo che Zeno torna, si dirige verso
Augusta e, ponendosi in ginocchio dinanzi a lei, le parla.
Zeno: Mia cara signorina Augusta, glielo chiedo in maniera ufficiale. Acconsentirebbe a
sposarsi con me?
Augusta: Signor Zeno, lei scherza, mi prende in giro, e non è cortese da parte sua.
Zeno: Assolutamente no, dico sul serio, le chiedo di sposarmi. Mentre ballavo con sua
sorella Ada le ho chiesto di sposarmi, ma lei mi ha rifiutato con sdegno; allora sono andato
da Alberta, e l’ho chiesto a lei, che mi ha rifiutato con garbo. Ora lo chiedo a lei, con la
speranza che acconsenta; sono stanco di essere solo, amo questa casa, ne voglio far parte,
ne ho bisogno.
Augusta: La comprendo, signor Zeno, la stimo ed apprezzo la sua sincerità. Lei non mi sta
ingannando e non mi ingannerà. So che ha bisogno di una donna che si prenda cura di lei,
che le voglia bene. Io voglio essere questa donna. So che lei ora non mi ama, ma so anche
che col tempo saprà volermi bene e che un giorno mi amerà.
Entrano Giovanni, Ada e Guido applaudendo. Ada abbraccia Zeno.
Ada: Bisogna festeggiare, ora che lei fa veramente parte della nostra famiglia. Ci lascia un
poco di tristezza perché ci porta via la nostra parte migliore, la nostra amata Augusta. Ma
siamo anche lieti di affidargliela, affinché la rispetti, la ami, la renda felice e possano
trascorrere assieme in armonia una lunga vita.
Giovanni (battendo le mani): Per una lunga vita felice!
Ada (abbracciando Zeno): Ora, caro Zeno, deve essere grato alla vita che le concede questa
gioia. È felice?
Zeno (quasi piangendo): Sì, sì, sono felice, devo esserlo, ora e per tutta la vita! (le parole
vengono soffocate dalla commozione, dal pianto).

SCENA III
È notte e fa freddo. Zeno e Guido, usciti da casa Malfenti passeggiano e chiacchierano.
Guido: Congratulazioni, mio caro amico, sono contento che abbia trovato la compagna per
la vita, tuttavia devo confessare che ci ha sorpresi tutti. Non pensavamo che avrebbe preso
una decisione così importante tanto rapidamente, senza alcun preambolo. Non ce
l’aspettavamo.
Zeno: Confesso di aver sorpreso anche me.
Guido: Qui mente, sono convinto che l’aveva progettato, che ha approfittato di un
momento di intimità per compiere il gran passo. L’ha fatto con piena consapevolezza e con
calcolo.
Zeno: No, davvero non ho calcolato, non ho pensato, a meno che a pensarlo sia stato il mio
inconscio e a spingermi a compiere l’azione la casa…ah la casa!
Guido: Che significa la casa? Lei sposa Augusta e non la casa. Sia sincero. Le vuole bene?
La ama? O ci sono altri interessi a spingerla al gran passo? Il signor Malfenti è uomo
d’affari, possiede capitali e soprattutto un’attività commerciale molto ben avviata. Lei mi
capisce.
Zeno: No, questo no, e posso assicurarle che non l’ha pensato il mio conscio e neppure il
mio inconscio. Lei piuttosto, ha interesse per Ada? Ha intenzione di sposarla? La ama?
Guido: Amare, parola molto grave per qualcosa di così leggero. Amare. Come si può
amare una donna, essere tanto dolce quanto superficiale? Essere inferiore, priva di
memoria, di genialità.
Zeno: Ada è differente, non solo è bella, è anche…
Guido: È una donna, come le altre.
Zeno: Tuttavia pensa di sposarla.
Mentre discutono si avvicinano a un muretto che affaccia su un precipizio. Guido vi si
sdraia.
Guido: Sposarsi, può darsi, si tratta di un atto amministrativo, una convenzione sociale che
non implica necessariamente sentimenti. Una pura formalità insomma.
Zeno: Comunque la sposerà?
Guido: penso di sì, anche per me è venuto il momento di organizzare la mia vita, di trovare
un punto fermo per assicurarmi un futuro, soprattutto per l’aspetto economico. Lei è uomo
d’affari e mi capisce. La famiglia Malfenti ha una solida base economica: è questo che
conta. L’attrazione, l’amore? Un trucco, un inganno, la sottile seduzione della natura per
favorire la procreazione, per preservare la specie. E noi siamo gli idioti che le prestiamo
fede, che ci prestiamo al suo gioco. Bellezza, passione… Ada. Una poverina incosciente
che crede alla favola dell’amore, che si lascia ingannare dalla natura! Ascoltate
Schopenhauer!
Nell’ascoltare queste parole Zeno appare alterato, lentamente si avvicina a Guido che
guarda verso l’alto, lo tocca appena, come se abbia intenzione di spingerlo nel vuoto, ma
improvvisamente si arresta colto da una forte fitta al fianco.
Zeno: Ebbi davvero l’intenzione di farlo, volevo spingerlo nel vuoto lo scettico, maschilista
e ingrato Guido, nell’ascoltare le frasi offensive dirette contro la nobile Ada. Lo facevo per
un senso di giustizia oltre che eliminare il mio avversario in amore. Tuttavia il mio super
ego, il guardiano severo con la sua rigida morale entrò in azione con quel dolore
provvidenziale che mi bloccò, arginò il mio impeto così come faceva il demone con
Socrate, e mi lanciò la freccia d’uno spasimo insopportabile, che sebbene non si ripeté con
l’impeto di quella notte, ha lasciato la sua impronta con un fastidio costante a volte anche
intenso. Guardate, osservate come zoppico. (Zeno si muove zoppicando).
Guido va via e Zeno rimane solo.

SCENA IV
Studio dello psicoanalista.
Psicoanalista: Vedo come zoppica, ne conosco la causa e posso diagnosticarne l’origine.
Zeno: È chiaro anche a me, che di scienza della psiche ne so poco, così come deve risultare
evidente a questo pubblico di incerta acculturazione, comunque operante nel politicamente
corretto. Si tratta dei banali rudimenti freudiani, delle scorie dell’inconscio.
Psicoanalista: È così, l’inconscio non perdona, non concede favori a nessuno, non si lascia
corrompere da facili guadagni.
Zeno: Forse lei rappresenta un’eccezione, perché grazie all’inconscio mantiene i suoi
privilegi, sostiene i suoi ricchi emolumenti.
Psicoanalista: Per favore, non si metta ora nei panni del marxipopulista, del moralista da
domenica in tv, pensi piuttosto al suo problema, alla sua grave situazione e mi racconti.
Inoltre lei sa bene che se non si paga non si guarisce, e che quanto più si paga maggiore è la
possibilità di ottenere la salute. Pertanto è un obbligo professionale esigere il giusto
compenso.
Zeno: Mi rendo conto che lei è molto professionale, comunque, come lei dice, andiamo ai
fatti, ai miei ricordi ai quali con il suo aiuto sto dando vita. Perché il passato si renda
presente ed i ricordi prendano corpo. Soprattutto lei, affinché ritorni, lei che non chiese mai
nulla e che non si stancò di dare con umile discrezione, la mia amata Augusta.
Appare Augusta, con un vestito elegante ed un ampio cappello.
Zeno: Vieni avanti, mia sposa amata, non essere timida per la presenza di questa gente. Si
tratta solo di spettatori, forse non hanno pagato neppure un biglietto, e se l’han fatto si è
trattato di un costo molto modesto, sì che non hanno diritto di giudicare lo spettacolo e
tantomeno i personaggi.
Augusta: Davvero posso venire avanti, entrare in scena?
Zeno: Te lo ripeto, vieni avanti. (Augusta va lentamente verso Zeno e il centro della scena).
Che cos’è questo capello così strano?
Augusta: Non lo ricordi? È il cappello che portavo durante la nostra luna di miele, il nostro
magnifico viaggio di nozze. Venezia, Roma: chissà se anche allora ti sembrò strano ma non
me lo dicesti. Non c’era ancora confidenza fra noi.
Zeno: Non ricordo questo particolare, ma se lo dici tu non ne dubito. Piuttosto ricordo il
tuo buon umore, il tuo entusiasmo. Volevi visitare tutto, palazzi antichi, chiese, e ascoltavi
con meraviglia i diversi accenti dei passanti, con la sensazione di scoprire nuovi mondi.
Augusta: Per me tutto era meraviglioso, perché mi trovavo con la persona che più amavo al
mondo. E tu invece? Ti sentivi stanco, pensavi solo a fermarti nei ristoranti, pur se cercavi
di mostrarti attento, partecipe. Ti capivo, ancora non mi amavi e la luna di miele ti appariva
piuttosto come un obbligo sociale.
Zeno: Non è così, ti amavo, ti volevo bene, ma in modo diverso.
Augusta: Dimostramelo allora se davvero mi amavi, affidati a me, chiudi gli occhi e
seguimi. Anzi, con il fazzoletto che mi regalasti ti bendo perché non devi vedere dove ti
guido ma sentirlo. (Augusta lo benda con il suo foulard). Affidami la tua fiducia e il tuo
amore, lasciati guidare verso il passato.
Augusta guida Zeno che le sta a fianco. Si ascolta il vocio di persone e quindi la musica di
Com’è triste Venezia cantata da Aznavour.
Zeno: Dove siamo?
Augusta: È una piazza meravigliosa, fa un lato il mare dall’altro un edificio antico che
sembra un ricamo, e per il resto tanti colori. Riesci a vedere?
Zeno: Non vedo, ma capisco e lo sento.
Augusta: Che cosa senti, emozione?
Zeno: Sì, emozione, ma anche qualcosa di più vitale, più concreto.
Augusta: Che cosa?
Zeno: Un intenso odore di merda di queste colombe pestifere alimentate dai turisti che a
Venezia non trovano niente di più interessante da fare di farsi foto ricoperti da colombe che
gli cacano in testa.
Augusta (procedendo nella passeggiata): Va bene, lasciamo Venezia ed andiamo in un
altro posto dove trascorremmo la nostra luna di miele. (Nel procedere Zeno inciampa
leggermente, mentre si incomincia ad ascoltare la musica di Arrivederci Roma). Sai dove
siamo? Che senti sotto i tuoi piedi?
Zeno: Domanda facile. Le buche millenarie di Roma, dove incomincio a volerti bene e
soprattutto a vederti più graziosa se non più bella.
Augusta: Non so se credere davvero in queste tue parole che sono frutto della tua bontà.
Zeno: Ti sbagli, non sono buono, sono egoista e geloso ed ho paura che ora che sei così
bella tu possa lasciarmi.
Augusta: Non preoccuparti, è certo che non ti lascio, almeno per il tempo che permette la
nostra vita.
Augusta dà un bacio a Zeno, saluta il pubblico e va via. Zeno rimasto da solo e con gli
occhi ancora bendati, si rivolge al pubblico.
Zeno: Lei parla così per la sua infinta gentilezza, ma so che quando sarò morto o forse
ancora prima, visto che è diventata così bella, troverà un altro. Che cosa pensate? Che sono
geloso? Sì, sono profondamente geloso. Perché, voi non siete gelosi dei vostri amori?
Entra lo psicoanalista che gli strappa la benda.
Psicoanalista: Che fa, parla da solo?
Zeno: Diciamo che parlavo con me stesso per dirmi che sono geloso.
Psicoanalista: Di chi?
Zeno: Della morte, che me la porterà via. Dopo tanti anni assieme. È ingiusto, inumano,
solo un dio infinitamente crudele poteva immaginare un simile supplizio.
Psicoanalista: Ma lei non morirà adesso; il suo racconto deve ancora proseguire e ci sono
anni e fatti ancora a venire.
Zeno: Lo so che non muoio adesso, comunque morirò presto, perché la mia malattia è
grave.
Psicoanalista: Grave sì, ma non seria, per questo lei ha bisogno di uno psicoanalista.
Silenzio, buio, musica di fondo.

SCENA V
Appare il salone della casa Malfenti, al centro della scena Guido e Ada. Lei appare
malvestita, imbruttita, mentre lui ben vestito e giovanile.
Ada: Poiché non sono più attraente come un tempo non mi ami più e ti vuoi liberare di me?
Guido: Sbagli, a dirti la verità, no t’ho mai amata.
Ada: Tuttavia mi parlavi d’amore e chiedesti la mia mano.
Guido: Formalità, il semplice rispetto dell’etichetta, una benevola finzione. In fondo si
trattava d’una sfida: eri la più bella, la più amata e il povero Zeno moriva per te. Volli
dimostrare la mia superiorità.
Ada: E adesso?
Guido: Adesso guardati come sei ridotta, sei diventata il simbolo del mio fallimento,
vecchia e imbruttita. I miei affari sono andati in rovina e la tua famiglia non mi ha voluto
aiutare, mentre a Zeno tutto è andato bene, si è arricchito, e persino la scialba Augusta è
diventata una donna piacevole quasi attraente. Maledetta famiglia, maledetto destino!
Ada: Che cosa hai deciso? Mi vuoi lasciare?
Guido (con enorme enfasi, in atteggiamento da melodramma): Sì lasciarti con la tua
nefasta famiglia, lasciarti per sempre, lasciare questa vita infame: io mi suicido!
Dinanzi a questa teatralità Ada sorride, ma ecco che Guido estrae dalla tasca una pistola e
se la punta alla tempia.
Guido (con tono sempre più drammatico): Mi suicido! Mi suicido! Ho detto che mi
suicido!
Nel ripetere questa minaccia si evidenzia che non ha alcuna intenzione di suicidarsi ma
attende che i presenti corrano in soccorso per togliergli la pistola dalla mano. Infatti ecco
che accorrono Ada, Zeno, Giovanni ed Augusta per evitare che compia il gesto. Nasce un
trambusto, Zeno gli strappa la pistola ma parte un colpo che ferisce mortalmente Guido.
Colpo di pistola, buio.
Voci: È stato colpito! È morto!
Si riaccende la luce e si trovano nel salone Ada e Zeno.
Ada: So che non l’hai ucciso volontariamente, che il colpo è partito senza volerlo, ma
intanto io sono rimasta sola e tu prosegui con la tua vita tranquilla accanto ad Ada. Non è
giusto.
Zeno: Come tu sai, si è trattato di un accidente, è stato il destino.
Ada: Un destino al quale hai dato una mano, invece di opporti, di ostacolarlo. No solo al
momento del gesto, ma prima, quando potevi aiutarlo, sostenerlo e invece dinanzi ai suoi
insuccessi ti lavasti le mani e pensasti solo ai tuoi interessi. Sei stato tu la vera causa, con la
tua invidia e la tua fortuna, tu che lo istigasti al suicidio.
Zeno: Ma no, lui non aveva alcuna intenzione di suicidarsi, voleva solo attrarre la nostra
attenzione, sentirsi vittima, farsi commiserare. In somma cercava di prendersi gioco di noi e
invece…
Ada: Ecco che viene fuori la tua invidia, il tuo mal nascosto rancore. Lo insulti anche
adesso che è morto il mio povero Guido. Nessuno l’ha capito, nessuno l’ha amato.
Zeno: Non l’ho invidiavo, gli volevo bene e cercavo di dargli consigli: era diventato il mio
migliore amico. Peccato che non seppe ascoltarmi, che insisteva nei suoi folli investimenti
e che non seppe esserti fedele.
Ada: Ancora invidia perché scelsi lui e non te. Ti disprezzo.
Zeno: Veramente allora ti desiderai e ti amai, ma poi ho sempre voluto il tuo bene e mi
faceva soffrire che lui non ti amava e non ti rispettava.
Ada: Basta, solo invidia e bugie. Lui mi amava, mi ha sempre amato tantissimo. Taci!
Momento di silenzio, Ada si allontana a e va a mettere la musica, la stessa che
accompagnava il ballo in cui Zeno le aveva dichiarato il suo amore, ed invita Zeno a
ballare. Zeno appare imbarazzato, comunque ballano al ritmo della musica romantica.
Ada: Vorresti firmi qualcosa? Parlami, non essere timido, dimmi quello che provi, puoi
farlo adesso che non c’è più il tuo rivale.
Zeno (stupito): Che cosa?
Ada: Dimmelo che mi desideri, che mi ami, che lascerai Augusta che non hai mai amato
per stare con me il resto della vita.
Zeno: Sì, un tempo davvero ti ho amata, ma ora è tardi, amo la mia bella e buona Augusta.
(Trae dalla tasca il portafogli). Ma se posso aiutarti in questo momento difficile lo farò
volentieri.
Ada: Che cosa? Un’elemosina? Così pensa di liberarsi di me il gran signor Zeno? Mi rifiuta
perché non sono più bella come un tempo, ma tenga un po’ di pazienza e vedrà come saprò
rimettermi in forma, vedrà di nuovo la bella e affascinante Ada.
Ada si slancia verso Zeno per abbracciarlo, ma lui la respinge
Ada (gridando infuriata): Aiuto, mi sta aggredendo, Zeno, lasciami! Aiuto!
Buio, si sente il trambusto di gente che arriva, il cui vocio si confonde con le grida di Ada,
poi silenzio.

SCENA VI
Studio dello psicoanalista seduto dinanzi a Zeno.
Zeno: Lei capisce che non avevo nessuna intenzione di violentarla, che per lei provavo
pena e disgusto, soprattutto confrontando la sua antica bellezza con lo stato attuale: malata
e imbruttita, era una vera offesa al mio ricordo.
Psicoanalista: Perché lei gridò? Perché chiedeva aiuto?
Zeno: Certamente lo intuisce, non avevo intenzione alcuna di aggredirla, non desideravo
alcun rapporto con lei, si è trattata della misera vendetta d’una donna rifiutata, dalla mente
malata e colta da un male incurabile. Il morbo di Basedow. Mi misi a studiare questa
malattia e compresi che tutti gli organismi si distribuiscono su una linea, ad un capo della
quale sta il morbo di Basedow che implica il generosissimo, folle consumo della forza
vitale ad un ritmo precipitoso, il battito di un cuore sfrenato, e dall’altro stanno gli
organismi immiseriti per avarizia organica, destinati a perire di una malattia che
sembrerebbe di esaurimento ed invece è di poltronaggine. Il giusto medio fra le due
malattie si trova al centro e viene designato impropriamente come la salute che non è che
una sosta. Ada stava dalla parte di Basedow, era imbruttita, gli occhi le uscivano dalle
orbite, un osceno gozzo le deformava il collo, la follia le si mostrava in volto. Come potevo
desiderarla? Per lei provavo solo tanta pietà.
Psicoanalista: La gente però dopo quell’incidente che cosa pensò?
Zeno: Quel che era giusto e conveniente pensare, così che per il bene di Ada e un naturale
egoismo si decise di rinchiuderla in una clinica per curare il suo male, un onesto
manicomio.
Psicoanalista: Per lei fu un gran guadagno, visto che poté condurre la sua tranquilla vita
familiare con la cara moglie, ed a perseverare nel suo vizio: fumava e fumava.
Zeno: Mi sorprende signor dottore, che lei parli di tranquilla vita familiare, come se possa
esistere tranquillità nella vita umana, comunque carente.
Psicoanalista: Bene, allora andiamo avanti, mi racconti quali eventi agitarono la sua vita
dopo che Ada uscì di scena.
Zeno: Come precedentemente lei mi ha indicato, per ricordare chiaramente gli eventi
passati devo poterli rivivere, e lei in questo mi può aiutare. Mi ipnotizzi, faccia in modo che
il passato ritorni e con questo un personaggio che, sebbene non fu decisivo, ebbe un ruolo
importante nella mia vita.
Psicoanalista (avvicinandosi a Zeno e compiendo i gesti dell’ipnotizzatore): Si rilassi ma si
concentri: pensi intensamente a quella persona, a quel tempo, perché il tempo ritorna e con
lui le persone che gli diedero forma e vita.

SCENA VII
Piccola sala con u divano e alcune sedie. È la casa di Carla, bella ragazza di circa 18
anni, che si muove per la stanza. Cerca di mettere a posto alcuni oggetti e nello stesso
tempo cura la sua persona guardandosi allo specchio. Sente suonare alla porta e va ad
aprire. Entrano Zeno e un amico, il signor Copler, un poco più anziano di Zeno, almeno
all’apparenza, anche per il suo abbigliamento più modesto. Zeno dimostra una
cinquantina d’anni ed è vestito con una certa eleganza.
Carla: Entri signor Copler, entrino signori. È un onore riceverli nella mia umile casa.
Copler: Gentile signorina Carla, è per me una gioia rivederla e soprattutto presentarle il suo
benefattore, l’esimio signor Zeno.
Carla: (rivolgendosi a Zeno che le bacia la mano): È per me una grande gioia conoscerla,
signor Zeno, e come prima cosa devo ringraziarla per il pianoforte che mi ha regalato, che
mi permetterà di continuare i miei studi di canto.
Copler: Non si dimentichi di me, anch’io ho contribuito nel presentarle il signor Zeno.
Carla: È certo che non dimentico, per lei nutro un grande affetto, per me lei è come un
padre, il padre che non ho più.
Copler (contrariato si rivolge a Zeno): Un padre proprio no, ma non mento se dico che se
ora possono condurre una vita accettabile, la povera Carla la mamma, lo devono anche a
me. Sono io che le ho strappate da una vita misera, infelice, infame direi.
Zeno: Non dica questo, così la sta umiliando la poverina.
Copler: Parlo così perché non è altro che la verità. Non è la verità, signorina Carla?
Carla: È così come lei dice, signor Copler.
Copler: Bene, ed ora per dimostrare la sua gratitudine, la signorina Carla ci farà ascoltare
la sua bella e melodiosa voce. Vero, signorina?
Carla: Per carità, non ora, sono raffreddata e la mia voce oggi non va… magari in un altro
momento.
Copler: Che raffreddata! Lei ha una voce dolce, melodiosa, magnifica, ed educata
soprattutto, grazie a me che l’ho seguita costantemente nei suoi studi e ho pagato per lei un
maestro eccellente e caro. Ci faccia sentire, non può deluderci e soprattutto mancare di
rispetto al suo benefattore che ha creduto in lei, l’ha sostenuta e continuerà a farlo.
Carla: Non mancherei mai di rispetto al signor Zeno, il mio buon benefattore: canterò per
lei e sappia che farei molto di più.
Carla incomincia a cantare, Zeno le si avvicina e le prende la mano, mentre Copler,
attento al canto appare avulso dalla scena e non si rende conto che Zeno si avvicina
sempre più alla ragazza, la bacia e la conduce fuori dalla scena. Copler, sorpreso dal fatto
che Carla abbia smesso di cantare, si volge verso di lei e vede la scena della seduzione,
quindi triste e deluso si rivolge al pubblico.
Copler: Le mie intenzioni erano buone e confidavo nel sostegno disinteressato da parte del
vecchio amico Zeno, per cui allontanai il sospetto che lui volesse altro che offrire un
sostegno disinteressato a una famiglia bisognosa. Del resto avevo bisogno di lui, perché con
le mie modeste entrate non potevo sostenere le spese necessarie. Devo ammettere che ero
geloso, ma volevo illudermi e credere nel puro sentimento dell’amicizia. Ma da qual
momento, da quando Carla offrì il suo canto e qualcosa di più, non potei fare altro che, pur
essendo geloso, accettare di buon grado quel che stava accadendo. Del resto mi rendevo
conto che io ero troppo vecchio per la bella e giovane Carla che per me rimaneva
irraggiungibile. Sebbene, penserete, Zeno non fosse certo un giovanotto. Giusto, ma lui era
abbastanza ricco da oscurare il problema dell’età, e come tutti sanno il potere di
ringiovanimento del danaro è straordinario. A questo punto non ho scelta se non un
dignitoso allontanamento dalla scena. Me ne vado.

SCENA VIII – Studio dello psicoanalista


Nello studio dello psicoanalista si trovano lo psicoanalista e Zeno.
Psicoanalista (al pubblico): Come risulta evidente, sin dal primo momento, la ragazza non
si limitò ad esercitare il canto, fece molto di più per ringraziare il signor Zeno, che a sua
volta fu abbastanza generoso.
Psicoanalista (a Zeno): Così lei divenne amante della giovane Carla, amante ufficiale.
Zeno: No, non potevo, il mio senso morale me lo impediva in quanto sposato. Per cui
Carla, la poverina, dovette rimanere nell’ombra, silenziosa, furtiva, in modo che i nostri
incontri apparissero occasionali, o comunque legati alla mia funzione di benefattore.
Psicoanalista: Intanto lei a causa della sua coscienza critica si castigava fumando.
Zeno: Sì, fumavo e fumavo e forse per il senso di colpa che provavo aumentava d’intensità
e di frequenza il dolore che mi faceva zoppicare. Soprattutto quando tornavo a casa, da
Augusta, quel dolore aumentava, ed io, che volevo essere consolato, dicevo che doveva
essere il sintomo di un male incurabile. Augusta, col suo senso pratico, mi diceva che si
trattava di un dolore passeggero e che ero piuttosto un malato immaginario.
Psicoanalista: Tuttavia malato, anche se non si trattava di un male che potesse condurre
alla morte.
Zeno: Ecco il mio dramma, soffrire di un male non chiaramente diagnosticabile, uno di
quelli che possono portare alla morte, ma dai quali con la medicina giusta si possa guarire e
ritornare alla salute. Un’infezione, la presenza di un pericoloso batterio contro il quale si
possa combattere. Invece la mia malattia era vigliacca, bussava alla mia porta e poi si
nascondeva, si dileguava e poco dopo tornava.
Psicoanalista: Questo le succedeva per non aver incontrato la terapia giusta, o meglio un
buon terapeuta in grado di ascoltarla e di curarla.
Zeno: Un terapeuta non lo trovai, però trovai una terapia che almeno parzialmente
funzionò.
Psicoanalista: Interessante, mi parli della cura che sperimentò.
Zeno: Si trattò di una scelta radicale che coinvolse la giovane Carla. Ecco, senza il suo
aiuto sono in grado di evocarla, di riportarmi a quel tempo e a quei luoghi, la sua casa
modesta e le mie visite furtive.

SCENA IX
Casa di Carla. La ragazza appare triste e con la voce strozzata si rivolge a Zeno.
Carla: Davvero hai deciso di lasciarmi? Perché?
Zeno: Perché ti voglio bene e non voglio farti soffrire. Purtroppo sono un uomo sposato,
cerca di capirmi, lo faccio per te, per il tuo bene, dovresti essermi grata.
Psicoanalista: Che mascalzone! Un vero furfante!
Zeno (allo psicoanalista): Stia zitto non può intervenire, deve rispettare la riservatezza del
paziente.
Psicoanalista: Ha ragione, starò zitto.
Carla (a Zeno): Lo so che sei buono, che vuoi il mio bene, ma a me non importa soffrire,
non voglio perderti.
Zeno: Non è giusto, non puoi obbligarmi a farti del male!
Sia Zeno che Carla accentuano la loro emotività e i loro interventi appaiono estremamente
retorici, pressoché grotteschi.
Carla: Come potrei volere il tuo male? Posso solo esserti grata per tutto quello che hai fatto
per me. La casa, le spese, le cure per la mamma malata, la lavatrice, il frigorifero, la cucina,
la tv ultimo modello, e soprattutto il pianoforte affinché fingessi di studiare e tu potessi
venire a visitarmi, a esaminarmi.
Psicoanalista: Questa sì che è buona, un pianoforte come scusa e tanti regali. Era davvero
molto generoso con la sua amichetta, mentre con me pensa solo a risparmiare, si comporta
da ero taccagno.
Zeno: Non mi importuni con i suoi bassi interessi, col suo volgare materialismo in una
situazione così delicata, così emotiva.
Carla: Mi fai soffrite tanto, ti chiedo solo un po’ di cuore.
Zeno: È il cuore che ti sto dando, sapessi come soffro, quanto soffro. Ti chiedo pietà,
lasciami, abbandonami, rifiutami.
Carla: Povero, povero Zeno!
Zeno: Povero me!
I due si abbracciano piangendo.
Psicoanalista (al pubblico): Per certe persone non è sufficiente uno psicoanalista, occorre
un manicomio, un onesto manicomio.

SCENA X
Spazio vuoto in ombra. Sulla scena Zeno e Augusta in età avanzata. Appare prima Zeno
che si imbianca i capelli per evidenziare l’invecchiamento. Augusta gli si avvicina e gli
prende la mano. Si sente la musica che li fece incontrare.
Zeno: La senti? È la nostra musica che ci fece incontrare e ci ha accompagnati nel corso
degli anni, nei quali siamo sempre stati fedeli. Non mi hai mai tradito, vero?
Augusta: Che vai pensando! Anche se lo avessi voluto, chi mi avrebbe scelto?
Zeno: Tutti gli uomini, nessuno escluso, per quanto eri bella e come ancora lo sei. Per
questo sono geloso ed ora più che mai.
Augusta: Apprezzo la tua delicata dichiarazione d’amore pur se dettata dal tuo buon cuore,
ma ora lasciamo perdere questi giochi, alla nostra età si richiede maggior serietà.
Zeno: Non voglio essere serio e non mi vergogno di manifestare la mia gelosia, ma tu
piuttosto, sei mais tata gelosa? Perché non mi hai mai domandato se ti sono stato fedele?
Augusta: Che vuoi che mi importi? Quel che conta è che mi sei sempre stato vicino,
attento. A volte ti allontanavi per i tuoi affari, ma sapevo che potevo sempre contare su di
te, che ti avrei sempre avuto al mio fianco, uomo forte al quale appoggiarmi.
Zeno: Bene, anche se non vuoi saperlo, ti dico che non ti ho tradito, che mai ti ho… Ahi!
(Un forte spasimo lo fa gridare. Nello stesso tempo incomincia anche a tossire). Il fumo,
questo vizio maledetto che non vuole lasciarmi!
Augusta: Non devi maledirlo, in fondo è il solo male che hai. Bisogna pur averne uno
altrimenti di che morirai? Non si può morire sani. Ora però devo lasciarti mio amato
compagno, il mio buon tempo si è consumato. Mi stanno chiamando, papà, il buon signor
Malfenti, e la mamma che ci lasció prima, e con loro la sventurata Ada. Li senti?
Zeno: No, non andartene, non lasciarmi solo, te lo giuro, non fumerò mai più.
Augusta: Perché? Non devi assolutamente smettere di fumare, ti ho amato per questo vizio
e per tanti altri. Anzi, prima che me ne vada, fammi un regalo, lascia che sia io ad
accenderti una sigaretta, affinché possa respirare un’ultima volta il gusto caldo, familiare,
vitale del tuo fumo.
Augusta prende una sigaretta dalla tasca di Zeno, gliela accende e lentamente si allontana.
Zeno fuma tranquillamente
Zeno (Si rivolge al pubblico): Augusta ha ragione, per questo non tornerò dallo
psicoanalista che con la sua presunzione pensava di potermi guarire. Lui ignora che a
differenza di tutte le altre malattie, la vita non ha cure, perché è sempre mortale. Che non ha
senso cercare la salute. L’umanità è inesorabilmente malata e forse solo attraverso una
catastrofe inaudita conquisteremo la salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un
uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un
esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno
considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma
degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra
per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme
che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassito
e di malattie.
Zeno potrebbe accendere una candela da torta di compleanno che emette scintille o
qualcosa di simile.

FINE

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