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SISF – ISRE
SCUOLA SUPERIORE DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE
aggregata alla FSE dell’UNIVERSITA’ PONTIFICIA SALESIANA
di Roma – Venezia – Mestre

CORSO TRIENNALE DI SPECIALIZZAZIONE UNIVERSITARIA


IN COUNSELING EDUCATIVO

TESI

La relazione d’aiuto
nel processo di elaborazione della perdita
Counseling tra reale e virtuale

Candidato: Relatore:
Maria Vernali Prof.ssa Castrenza Caradonna

ANNO ACCADEMICO 2004 - 2007


2

Ai miei figli
3

Indice

Premessa…………………………………………...……………..…..………5

CAPITOLO 1
UN PROFILO...IN CONTROLUCE
1.1 La mia gestalt……………………………………………………....……....9
1.2 Un triennio di studi………………………………………………..……...12

CAPITOLO 2
ANALISI TRANSAZIONALE
2.1 Dalla struttura al gioco di copione………………………………...……...14
2.2 Applicazione……………………………………………………...………18
2.3 La scrittura creativa come processo……………………………...…….…19

CAPITOLO 3
COUNSELING EDUCATIVO E COUNSELOR
3.1 Definizioni…………….……………………….….………………………22
3.2 le competenze. Ascolto attivo………………………….……..….………..22
3.3 Applicazioni……………………………………….………………………24

CAPITOLO 4
UN SITO OSSERVATORIO SUL TERRITORIO
4.1 La relazione d’aiuto. Guardando oltre……………….…………….………27

CAPITOLO 5

IL PROGETTO

5.1 Il gruppo di auto aiuto……..………………………………………..……...30


5.2 Un modo per conoscersi………………………………….…………..…….33
5.3 Counseling tra reale e virtuale…………………………….…………..…....34
5.4 La mia esperienza nel reale. Gruppo AMA “ Girasole”…..…….……..…..41
4

CAPITOLO 6
SCRITTURA CREATIVA.

6.1 Raccontarsi per elaborare la perdita……………..……….………..……..44

CAPITOLO 7
LA COMM VIRTUALE
7.1 cuoreacuraacuore: spazio web autogestito……………………….……….53

Conclusioni........................................................……....………………..........65

BIBLIOGRAFIA…………………………………………………...….…….67

APPENDICE………………………………….…………...………..…....….69
5

PREMESSA

Non è facile far rientrare nei canoni schematici e formali, una stesura di tesi sperimentale
come la mia. Il risultato non so se sia il migliore per chi legge, è certamente il migliore per
chi scrive, è ciò mi rende felice.
Faccio fatica ad imbrigliare la creatività…e molto spesso. In queste pagine ho rinunciato a
farlo, preferendo che passasse la spontaneità e il cuore. Lo studio di base riesce così ad
alleggerirsi dall’intellettualizzazione e viene trasmesso con una comunicazione semplice, ma
al contempo, profonda. L’ambito dell’ Auto Mutuo Aiuto non è a tutti conosciuto, mi muovo
su terreno poco tracciato ancora, ma per queste vie, che non sono le solite, (quelle cioè della
psicoterapia, o psichiatria come unica risorsa di cura del “mal di vivere”) , vado spedita e
sono a mio agio, perché le trovo adatte, sia al lavoro del Counselor, che alla attività di
prevenzione che contraddistingue questo profilo professionale, anch’esso relativamente nuovo
nel nostro paese. Come è nuova la creazione di una rete nazionale di gruppi AMA. Poco si
conosce dell’auto aiuto in Italia, e ahimè anche tra i tecnici del disagio. Chi fa terapia non
accetta quella che immagina concorrenza, senza capire che insieme ed in sinergia è il futuro.
Si programmano molti progetti educativi nelle scuole, e certo a nessuno viene in mente di
parlare della morte, si preferisce negarla, La nostra è la società del “NON SENTIRE”
….finchè si può; salvo poi, a leggere sulla cronaca nera, degli effetti di una mancata gestione
delle emozioni. Quest’ultime, non elaborate, in un processo fisiologico di ridimensionamento
della perdita., producono stili affettivi di attaccamento evitanti. Questi vengono trasmessi
dalle figure stimate caregiver, da genitori ai figli. La distanza diventa sempre più grande,
alienando spesso, le emozioni autentiche dal proprio SE: la centralità e sacralità di ogni
essere umano. Il corpo,(soma) conseguentemente, diventa segno e il dolore nascosto,
malattia. La scuola, insieme ad altre istituzioni , sanitarie, agenzie educative, o socio-
aggreganti, chiamate a trasmettere abilità sociali, manda i segnali di un malessere profondo.
La risorsa umana offerta, che sia pedagogica o didattica dirigenziale o quant’altro, sempre
sotto stress, di fretta, impegnata a fare progetti che recuperino denaro, dai contributi europei,
ma poco seguiti dai giovani, si pone poche domande e da poche risposte. I discenti. non si
riconoscono nelle modalità di somministrazione delle informazioni. L’approccio direttivo
ormai è fallito, perché dimostra l’incoerenza di un sistema scolastico e familiare che “ predica
bene e razzola male” Tutto improntato sul tempo che è denaro, tutto sul produrre e
consumare. I nostri giovani vivono male e muoiono peggio. Ma come diceva Hickmet, poeta
turco del mio cuore:” la cosa più triste è portare dentro la prigione, e tanti uomini vi sono,
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uomini onesti e laboriosi che potrebbero amarsi come io ti amo” lui era in prigione davvero e
dalla cella scriveva le sue lettere d’amore alla moglie. Scriveva e pensava che le parole
fossero “uomini vivi” e riuscì a trasmettere con esse, al popolo turco, il valore della dignità.
Lui prigioniero del regime, nessuno avrebbe potuto segregarlo nell’anima. Nessuno ha il
diritto, in nome del profitto, di rubare i sogni ai nostri giovani, loro hanno invece tutto il
diritto di sperare nel loro futuro. A loro non si può rubare impunemente la speranza. Il prezzo
in disperazione da pagare è troppo alto, e la scuola non è in grado da sola di arginare il
disagio, la famiglia da sola non può farcela. L’uno delega l’altro di una responsabilità che va
affrontata insieme. Cosa c’entra questo discorso? Credo che l’arte di educare nel senso di ex
– ducere, va appresa prima di essere impartita. Credo che non c’è possibilità di
apprendimento se non c’è una disponibilità a mettersi in seria discussione e a crescere,
liberando se stesso da stereotipi, giudizi, razionalizzazioni, principi introiettati e ormai poco
realistici, perché non più funzionali ad una età adulta. Credo che non ci sia possibilità di
crescita esistenziale se non si affrontano i propri stili di attaccamento infantili e i propri
vissuti di perdita. Noi possiamo fare tutti i progetti educativi del mondo ma se non
affrontiamo alla base il problema della gestione della perdita in senso lato, non ne verremo
mai fuori. Forse alla fine abbiamo solo perso un paradiso, ma non per questo bisogna
sopravvivere nell’inferno di relazioni copionali, nella scena di un rappresentazione inreale
che non ha fine.
L’articolarsi del contenuto di questa tesi, ha inizio dalla centralità esistenziale per me, della
creazione di un gruppo di auto aiuto che trattasse la problematica correlata alla perdita e in
specifico alla elaborazione del lutto. La morte del mio compagno nel 2001 e quella di mio
padre nel 2003, hanno cambiato il corso del mio destino umano, dandomi oltre il dolore,
anche la gioia di riscoprirmi come persona sensibile ma non solo. L’anima frigge e dalle
ceneri rinasce araba fenice. La vita si ri- inventa ed in queste pagine lascia traccia di sé, in
progetti che coinvolgono persone e cose. Il passato ed il presente si ri- dimensionano in
attimo di tempo curvo, dove il qui ed ora, come scrive Eliot, smettono di avere importanza.
La fine diventa inizio e veramente “ casa è da dove si parte”, in una circolarità di movimento
intra ed interpersonale che è comunque, quantunque, nonostante vita: Vita oltre.
7

STO ASPETTANDO

Sto aspettando.
Aspetto
Che torni.
Tu non puoi.
Aspetto.
Sto aspettando.
Sono accoccolata
Sulla mia sedia.
Sto aspettando.
Aspetto.
Non ti vedrò mai più.
Non sarai nel giorno,
non sarai nella mia notte
Aspetto.
Non vedo, non sento.
Sto aspettando
Che torni con i nostri sogni
che non possiamo più sognare.
Aspetto.
Mentre tutto intorno a me
continua a vivere
tu perché non vivi più?
Sto aspettando
e la vita resta sospesa
come noi.
Aspetto:
Dovrebbe arrivare.
Sto aspettando accoccolata
che torni.
Passerai ancora di qui,
Speranza?
8

Quando Lascia
Lasciache cheililtuo
tuo
Quandopiombipiombinella
nella
disperazione istinto
istinto
disperazionepiù piùcupa,
cupa,
ti si offre l’opportunità di Tracci
Tracci la larotta
rottaper perlala
ti si offre l’opportunità saggezza,
scoprire
di scoprire saggezza,
la e
e fa
fa che
cheleletuetuepaure
paure
la tua
tua vera
veranatura.
natura. siano
Proprio come i sogni siano
Proprio come i sogni sconfitte dalla
prendono vita sconfitte dalla
prendono vita speranza.
Quando meno te lo speranza.
Quando
aspetti, meno te lo
(da IL DELFINO di Sergio
Bambarén)
aspetti,
così accade per le (da IL DELFINO
così accade
risposte per le
ai dubbi di Sergio Bambarén)
risposte ai dubbi
che non riesci a risolvere.
che non riesci a
risolvere.
La perdita di un affetto può inserirci in una
corrente emotiva negativa,
La perdita di un affetto può inserirci in una corrente emotiva
che credevamo lontana, sommersa nel
negativa,
nostro
che credevamo cuore.
lontana, sommersa nel nostro cuore.
Permetterle Permetterle di risalire
di risalire e diventare
e diventare onda,
onda,
per lasciarlaper infrangere
lasciarla infrangere
sulla sulla rivanuove
riva di di nuove
autoconsapevolezze
è autoconsapevolezze
un atto d'amore verso se stessi e gli altri.
è unIl atto d'amore
gruppo verso
di autoaiuto se stessi
on line e gli sperimentabile
può renderlo altri.
Il gruppo di autoaiutonel onquiline
ed può
ora. renderlo
Non terapia psicologica,
sperimentabile nel qui maedsolidarietà
ora. che aiuta.
Un contesto, spazio contenitore,
Non terapialuogopsicologica, ma solidarietà che
della memoria, dove dimensionare
aiuta. lasciandolo andare,
nel presente,
Un contesto, spazio contenitore,
il passato,
luogo della memoria, perdove dimensionare
poi proseguire.
nel presente, lasciandolo andare,
il passato,
per poi proseguire.
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CAPITOLO 1

1. UN PROFILO….. IN CONTROLUCE

1.1 La mia gestalt

Sono Maria Vernali

Ho 52 anni, sono vedova da 5. Ho due figli: Giuseppe di 27 anni e Clara di 25.

Ho lavorato per diversi anni nell’ambito della prevenzione del disagio giovanile e della
tossicodipendenza, svolgendo volontariato prima, e poi istituendo una biblioteca specialistica
nelle tematiche della tossicodipendenza e disagio giovanile, famiglia, psicologia, sessuologia.
Riconosciuta nel 1991 dalla Regione Sicilia, ricoprendone il ruolo di responsabile tecnico e
amministrativo.

Ho frequentato un corso di Operatore alle tossicodipendenze nel 1987.

La prevenzione primaria è sempre stata il mio interesse.

Il Centro Sociale “G. La Pira” di Siracusa, dove ho svolto dal 1987 al 1995 la mia attività, mi
ha dato l’opportunità di sperimentarmi nell’ambito della tossicodipendenza e del disagio
giovanile. Il mio lavoro era di sensibilizzazione e animazione sociale…..la cosa che mi
appagava di più, credo. Il relazionarmi con le famiglie e i ragazzi che abusavano di sostanze
stupefacenti ha cambiato notevolmente il mio modo di pensare. Attraverso i gruppi di auto
aiuto per genitori, mi mettevo in discussione, ho imparato a farlo. Credo che non si possa fare
altrimenti in quell’ambito. Avevo circa 30 anni e due bambini, di 6 e di 4 anni che mi
ponevano davanti a responsabilità e scelte nuove per me, avevo un compagno che mi chiedeva
di crescere e mi rendevo conto che quando stavo bene io anche loro stavano bene. Mi
rendevo conto che la differenza di approccio educativo ci poneva in conflitto me e mio
marito, e capivo che i nostri figli meritavano una madre che facesse quello che amava di più,
che fosse soddisfatta di sé e di se stessa nel mondo. Mi occupavo per tutto il giorno di loro,
perché mio marito lavorava fino a tardi la sera, rinunciavo spesso ai miei spazi per i bisogni
10

della famiglia, solo anni dopo ho capito che era “copionico”1, allora non ne ero in grado.
Piano, piano, prendevo coscienza di me, del mio essere donna e del mio essere una donna
naturalmente e socialmente impegnata. Amavo giocare con i bambini e mentre loro
crescevano ed io con loro, la casa mi si riempiva di amichetti e amichette. Mi accorgevo che
non facevo fatica a comunicare con loro anche senza parole, disegnavamo o pasticciavamo e
insieme scoprivamo la gioia di creare dal niente. Racconto questo per dire che sono stati
sempre il dono più grande per me, che la vita mi ha dato. Non è retorica perché i figli sono
sempre gioie e dolori ma sono figli e questo tutto supera. Quindi la scelta di crescerli a tempo
pieno, di essere loro compagna e madre è stata primaria nella mia vita, e tutto il resto è stato
condizionato da questa scelta. Oggi non ne sono pentita, perché se sono una donna autentica è
grazie ai loro stimoli. Col tempo ho imparato che la cosa più preziosa che una madre può
dare ai propri figli è quella di desiderare e agire per la loro autonomia. E ho capito con il
tempo che la vita è la loro e ne sono quindi artefici. Credo che i genitori siano custodi dei
loro corpi e attraverso il rispetto nella cura di essi, trasmettano ai bambini, il seme dell’amore
sano di sé, che diventerà amore sano e responsabile per il loro prossimo. Nessuno è perfetto
ed il compito è arduo, perché siamo anche umani ed quindi anche egoisti, ma provarci
almeno, è stata per me una bella avventura.

Negli anni 70 e 80 l’eroina mieteva le sue messi di sangue innocente, agnelli al macello in
una società che negava il valore più profondo: l’amore per tutto ciò che è vivo. Mi chiedevo
cosa potesse fare una piccola pulce come me. Cosa potesse essere prevenzione nella mia città.
Andai a scoprirlo e facendolo mi ritrovai a scoprire capacità sconosciute in me di creatività
mai espressa. La mia prima amica “tossico” mi apri una finestra su un mondo aberrante ed
alienante: spaccio, bische clandestine, promiscuità, furti, violenza, famiglie disgregate.
Adesso è una donna in gamba anche lei. Ce l’ha fatta a vincere la sua “scimmia”. Ricorda
sempre, mi dice, quando ci incontriamo, come piangevo, mentre andava via, ma rimanevo
ferma. Piangevo perché dopo l’ennesima disintossicazione con il fisico “pulito” era ad alto
rischio di overdose. Fu allora che decisi, di occuparmi di tossicodipendenza in maniera
informata, a da allora ho sempre scelto una formazione continua. Lavoravo anche dentro la
comunità “Rinascita” e in “Accoglienza” Costruivo la biblioteca specialistica e una sezione
staccata di lettura per i residenti all’interno della comunità. La specialistica, avrebbe fornito
materiale informativo e avrebbe fatto da ponte per chi si occupava a vario titolo di disagio

1
BERNE, E., Analisi Transazionale e psicoterapia: un sistema di psichiatria sociale e individuale, Roma,
Astrolabio, 1971.
11

giovanile. Il mio intento era quello di aprire ad un largo pubblico, tramite il servizio di
prestito, le conoscenze di base che riguardassero i settori della famiglia e del disagio
giovanile: sessuologia, psicologia, tossicodipendenza, sociologia. Era anche un modo per
facilitare l’incontro tra i vari sistemi sociali e sensibilizzare al volontariato come mezzo di
acquisizione di abilità sociali. Io che venivo dal disagio potevo capire. Ritagliavo il tempo
appena potevo, avevo deciso di informatizzare il servizio, mi formavo studiando da
autodidatta biblioteconomia e informatica, spesso di notte e quando i ragazzi erano a scuola. I
50 libri diventarono 3000 in pochi anni, ero riuscita ad interessare le case editrici, la
Soprintendenza ai Beni Culturali. La piccola pulce lavorava in assoluto silenzio per ore, in un
ambiente freddo ed umido in inverno, non certo ideale per le sue ossa dolenti, con i ragazzi
che facevano “accoglienza” in una sorta di suo rifugio spirituale. Il Ministro della Pubblica
Istruzione concesse i contributi da me richiesti e il mio lavoro di rendiconto aumentava. Mi
occupavo in quegli anni anche di teatro, con una associazione di volontariato.”Nuova
Acropoli” con loro nel mentre mettevo in scena . “Donna eterna dea” un escursus, storico -
mitologico sulla figura femminile nel passato presente e immaginavo il futuro, credo che fu li,
con questi ragazzi che condivisi la speranza. Lavoravo con i ragazzi cosiddetti “sani”.
Insomma ero mamma e molto impegnata lo stesso: mi piaceva molto. Ho sempre amato il
teatro. Anche qualche hanno fa mi sono fatta coinvolgere, mettermi in gioco mi piace da
pazzi!!!

Purtroppo dopo il fallimento di quella Organizzazione privata, dalla quale ero diventata
dipendente in partime, persi il lavoro da me costruito.

Sono ritornata a lavorare in Biblioteca dopo la morte di mio marito nel 2001. Questa volta
nella struttura della Facoltà di Architettura.

Quasi tutta la mia vita sono stata, quindi, insieme ai giovani, a chi sta cercando di costruire il
futuro, attraverso il proprio impegno. In Facoltà, i ragazzi sono sempre meritevoli di
attenzione ed ascolto e farlo in maniera empatica, attraverso l’ “ascolto attivo” 2
, fornisce
loro una risorsa in più. Lavoro 36 ore la settimana, adesso, in biblioteca di Architettura nella
mia città, con un precariato che oggi rispecchia per intero la mia vita: Nulla di certo.

2
COLASANTI, R.T. e MASTROMARINO, R.( a cura di), Ascolto Attivo: Elementi ed esercitazioni per la
conduzione del colloquio., Roma, Ifrep, 1994
12

Il lavoro che qui presento a fine corso, trae la sua motivazione dalla mia esperienza di lutto. E
vorrebbe essere un progetto da poter presentare alle Strutture Amministrative Locali.

Riguarda la creazione di un sito che possa servire da primo contatto con chi ha bisogno di
ascolto, tramite e mail, e successivamente con l’utilizzo delle chat. Nel contempo l’attivazione
sul territorio di gruppi di auto mutuo aiuto che trattino la tematica della perdita.

Penso che in internet si possa fare un lavoro di sensibilizzazione e prima accoglienza…..e poi
vedremo….ho istituito una COMM per chi voglia scrivere su internet. Ma devo dire che forse
la Comm, non è la soluzione migliore. Credo che sia necessario proprio un sito, protetto per
quanto riguarda la chat, con la possibilità di accesso solo agli iscritti. L’iscrizione potrebbe
essere anche a modico prezzo e mensile, almeno per coprire le spese. Credo che sarebbe
efficace se sponsorizzata dagli Uffici delle Politiche Sociali. Il sito potrebbe anche fornire
informazioni sulla professione del Counselor e i suoi ambiti di intervento, potrebbe essere
anche osservatorio informativo in ambito territoriale di attività svolte verso la relazione
d’aiuto3. Quindi ancora informazione, ancora prevenzione, ascolto e eventuale indirizzo
terapeutico, dove necessitasse un supporto oltre il gruppo di auto aiuto.

Inserisco qui di seguito oltre il progetto. Alcune pagine che possano riassumere il senso di un
percorso durato 5 anni.. Molte di esse sono già inserite nella Comm da me istituita.

1.2 Un triennio di studi


Il Corso di Counseling educativo che ho frequentato, mi ha dato, principalmente, la
possibilità di acquisire una professionalità che potesse supportare la motivazione a
concretizzare il mio progetto. Questo triennio di studi mi ha fornito gli strumenti idonei per
l’ approccio alla tematica della elaborazione della perdita. Strumenti teorici e tecniche di
intervento nel qui ed ora, adeguati a trattare il dolore ed il disagio in maniera efficace per
l’utente nella relazione d’aiuto. Sia che essa avesse, come setting, la consulenza a due o il
gruppo di auto mutuo aiuto. Il modello teorico dell’Analisi Transazionale4 privilegiato da
questo approccio, anche se non il solo trattato dal piano di studi( che comprendeva in maniera

3
CARKHUFF, R., L’arte di aiutare: manuale, Trento, Erickson, 1987.

4
STEWART, I., JONES V., L’Analisi Transazionale: Guida alla psicologia dei rapporti umani, Varese,
Garzanti,2004.
13

sinergica la tecnica del counseling5, la dinamica di gruppo, e il role play, la psicodinamica


della coppia e l’approccio sistemico familiare),6 ha, a mio parere, fornito un modello
integrato di intervento che si presta ad un approfondimento continuo ed ad una
personalizzazione degli schemi teorici di riferimento. Spero che questo mi fornisca una
buona” base sicura”7 per le mie successive esplorazioni. I momenti strutturati in fine
settimana sono stati, alternati in lezioni frontali, terapie singole in gruppo protetto( circa 12
elementi), supervisioni di consulenze: Questo, e la mia decisione di intraprendere un mio
percorso di crescita in terapia personale transazionale individuale, con un mio docente, mi ha
permesso di ridecidere un mio nuovo destino, o copione come lo definiva E. Berne,
sicuramente più stimolante nella mia vita. Non so dove mi porterà. Penso che ìmportante sia
il processo e non la fine del processo o dove mi porti, perché intuisco che mi porterà a vivere
meglio comunque la mia dimensione umana, al di là degli sbocchi professionali, sicuramente
difficili o da inventare, in questo momento e sul nostro territorio. Per me che vengo da un
vissuto che ha nella perdita il suo tema natale, credo che diventare promotore della sua
elaborazione per chi non ha avuto i miei doni – talenti, o per chi non si accorge ancora di
averli, forse può essere la vocazione di un codice dell’anima di cui parla Hilmann8, nella
teoria della ghianda. Qualcosa che se non espressa in maniera attiva produce disagio.

5
ALLEN E.,IVEY e BRADFORT, M. E., Il colloquio intenzionale e il counseling., Roma, Las, 2004
6
JELLOUSCHEK, H., Le regole della coppia: relazioni che funzionano: crisi che fanno crescere., Milano,
Urra Feltrinelli, 2005.
7
BOWLBY, J., Una base sicura: Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento, Milano, Raffaello
Cortina Editore, 1989.
8
HILLMAN, J., Il Codice dell’ Anima, Milano, Adelfhi Edizioni, 1997.
14

CAPITOLO 2

ANALISI TRANSAZIONALE

Di quanti “io” è composta la personalità di ogni individuo? Nel 1961 il dott. Eric Berne,
psichiatra canadese, sviluppò questo sistema di analisi. E’ una rappresentazione teorica
dell’esistenza, nello stesso individuo, di più “io interiori”, identificandoli con: Io Adulto, Io
Bambino, Io Genitore. L’analisi transazionale aiuta l’individuo ad operare la sua innata
capacità di cambiare.
2.1 Dalla struttura al gioco di copione
Secondo Berne ogni persona sceglie un “copione”, inteso come il componimento della storia
della propria vita. Un romanzo che iniziamo a scrivere fin dalla primissima infanzia e che
intorno ai sette anni di età è quasi ultimato. L’autore potrà unicamente modificarlo, se lo
vorrà, dall’adolescenza in poi. Il copione è una strategia elaborata da tutti i bambini per
sopravvivere e per farsi accettare dal mondo degli adulti. Il bambino entra in contatto con il
mondo dopo la nascita e sviluppa il suo io bambino, è il primo dei tre stati dell’io a
manifestarsi. Il bambino che è in noi è quello che noi eravamo un tempo, vuole giocare,
gioire, divertirsi, è simpatico, allegro, salta, non sta mai fermo, non si fa molti scrupoli, mette
le dita nella torta per assaggiarla, non ha pazienza, ha scarso autocontrollo, è tendenzialmente
libero. Il bambino conosce ed interagisce con le figure genitoriali. Tutti impariamo per
assorbimento dalle persone che stimiamo. L’Io Genitore dentro di noi è rappresentato dal
modo in cui il padre o qualsiasi figura paterna comunica le sue funzioni: stabilisce i limiti,
consiglia, disciplina, guida, protegge, fissa le regole e le difende, insegna, giudica, critica.
L’io genitore determina il modo in cui il bambino considera i suoi genitori, l’autorità e la
collettività (società). Lo stato dell’Io Adulto è l’ultimo a formarsi, inizia ad apparire poco
prima del compimento del primo anno di vita e matura completamente intorno ai dodici anni.
Grazie all’io adulto, il bambino inizia a strutturare in se la consapevolezza della differenza tra
il pensiero di vita che gli è stato inculcato dai genitori, la vita che egli desidera e sogna (il
sentito) e la vita che piano piano scopre (il pensiero di ciò che egli sperimenta). L’Io adulto
rappresenta il funzionamento logico e razionale di un individuo, raccoglie i dati dell’io
genitore, ascolta i segnali dell’io bambino, li pondera, quindi decide. E’ tanto più efficace
quanto le altre due istanze sono bilanciate tra loro. Quindi:
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 L’Io Genitore. Il genitore fissa i limiti, consiglia, guida, disciplina, pone le regole,
insegna, nutre, giudica e critica. Il modo in cui la figura paterna comunica queste
funzioni a suo figlio, determina il suo modo di considerare i suoi genitori, la società,
lo stato. Il genitore, così come “inglobato” dal bambino, sarà prevalentemente:
normativo o critico(GN), affettivo o protettivo(GA). Il genitore normativo adotta
atteggiamenti autoritari, di disprezzo, di svalutazione, limita l’espressività e la
creatività individuale, è solito a frasi tipo:
Quante volte ti ho detto…! Non ti permettere di…! Che cosa dirà la gente….?! E’
necessario…. Bisogna tornare.
 Il genitore affettivo protegge, aiuta, consiglia, insegna e non impone, discute e
trova soluzioni. Il comportamento del genitore affettivo offre un sentimento di
protezione, di sicurezza, incoraggia il bambino ad esprimersi e a fare le sue naturali
esperienze di vita. Le sue frasi tipiche sono:
Non preoccuparti, ci sono io. Ti aiuto. Non aver paura. Rilassati, ti insegno quel
lavoro, non è difficile, imparerai presto. Tuttavia, un eccesso di protettività potrebbe
impedire al bambino la sua crescita ed il suo passaggio ad adulto. In alcuni casi, una
comportamento esageratamente affettivo che impedisce al bambino di crescere,
rappresenta uno degli obiettivi inconsci del genitore. E’ il genitore che ha “paura” di
perdere il suo ruolo.

 L’Io Bambino può manifestarsi con tre modalità: Bambino Libero (BL), Bambino
Creativo (BC) e Bambino Adattato (BA). Il bambino libero è il bambino
primitivo, spontaneo, sensuale, disinibito, curioso, affettuoso, come se la società non
avesse su di lui esercitato alcuna influenza. Per questo motivo è anche timoroso, si
spaventa facilmente, è egocentrico ed aggressivo. Il suo comportamento è finalizzato
alla soddisfazione dei propri bisogni, alla ricerca del piacere ed alla fuga da ogni
sofferenza. Questa espressione consente all’individuo adulto di essere felice della
vita, I suoi difetti emergono con le difficoltà di cui la vita è intrisa, è egocentrico,
indifferente per i sentimenti degli altri, egoista, aggressivo, fugge dalle
responsabilità, dalla realtà ecc
 Il bambino creativo è la parte “magica” dello stato dell’io. E’ intuitivo, creativo,
opportuno. Comprende quando è il momento di piangere per ottenere qualcosa e
16

quando è conveniente stare tranquillo, per evitare conseguenze peggiori… E’ il


bambino creativo che è in noi che suggerisce un regalo riparatore per farsi perdonare
qualcosa, che coglie l’opportunità “al volo”, quando si presenta. Il suo difetto è
insito proprio nella “magia” del suo carattere, la sua personalità infantile si
manifesta principalmente nell’attesa di momenti magici, capaci di risolvere da soli i
suoi problemi esistenziali.
 Il bambino adattato è sostanzialmente l’opposto del bambino libero. Il piccolo
impara presto, spesso per paura, ad adeguarsi alle richieste di genitori normativi.
Attraverso punizione, castigo, traumi, esperienze e ricompensa, violenta il proprio
istinto e ricerca il gradimento degli adulti. Quando non riesce si isola, rifugiandosi
nel suo mondo incantato, creando forti conflitti profondi. I conflitti avviano una
sorta di “specializzazione” del bambino adattato in due categorie: il bambino
adattato sottomesso ed il bambino adattato ribelle. Possiamo trovare nella stessa
persona una forte propensione all’integrazione dell’individuo nel contesto sociale,
tale da provocare un eccesso di sottomissione e di auto-svalutazione;
controbilanciata da accessi di collera e ribellione incontrollata. Sono persone
ambivalenti che possono cambiare molto rapidamente il loro comportamento,
creando imbarazzo, disagio e paura. La vittima che diventa persecutore.
 Lo stato dell’Io Adulto è una specie di computer elettronico che analizza tutte le
informazioni provenienti dall’esterno, dall’io bambino e dall’io genitore, verifica e
decide consapevolmente, attivando se stesso, oppure gli atri due stati dell'io. L’io
adulto è in grado, nel prendere decisioni, di tenere conto anche di fattori umani. Se
rimanesse fisso alla sola razionalità, proprio come farebbe un computer, l’io adulto
non sarebbe vivibile.
 Chi esclude il genitore tende a rifiutare le regole, il classico esponente della
sottocultura, i contestatori politicizzati per eccellenza.
 Coloro che escludono l’adulto non analizzano la realtà con obiettività. Vivono forti
conflitti intrapsichici, dove genitore e bambino dialogano continuamente. Sono
persone bizzarre, spesso depresse, alternano periodi di euforia fanciullesca, con
melanconia genitoriale. Sono gli eterni indecisi.
 Chi esclude il bambino ha cancellato i ricordi della propria infanzia,
l’atteggiamento classico è freddo e cerebrale. Non si affeziona e risulta talvolta
estremamente critico.
17

Fin qui la teoria, occorre integrare la pratica del modello teorico di Berne e l’analisi strutturale
con il processo, e quindi il funzionamento nel tempo dei vari stati dell’io. I nostri copioni di
vita condizionano le nostre scelte adulte, contaminando e confondendo. Vi sono introiettate in
questo processo
le ingiunzioni :
Quando un genitore esercita violenza fisica o mentale su un figlio,il messaggio NON
ESISTERE viene espresso in modo manifesto. Questa ingiunzione compare molto spesso
nell’analisi del copione. Il bambino è indifeso, ha paura ed è facile per lui sentirsi minacciato,
senza che a volte, il genitore se ne sia accorto. Può anche ricevere un messaggio ingiuntivo
in maniera indiretta, ad esempio, se pensa per un attimo al proprio bisogno affettivo e
desiderare che il suo fratellino muoia, per esserne l’unico beneficiario, (tipico dei
secondogeniti o soprattutto per i nati tra il primogenito e l’ultimo) potrebbe di ritorno pensare
di sé essere UN ASSASSINO, ed incredibilmente dire a sé stesso da solo, pensando di non
meritare egli di vivere: NON ESISTERE.
Questa ingiunzione è una delle più difficili da trattare perché il copione che ne deriva è
perdente, ed i giochi ad esso collegati crudeli, e spesso suicidari, psicologicamente e peggio,
fisicamente. Quando un evento traumatico come il lutto si inserisce in una tematica di perdita
di identità del genere, o quando la perdita si innesca in aspetti psicopatologici, ( come nei casi
di ossessivi- compulsivi o borderline)9 allora ne diventa un problema serio l’elaborazione.
A volte il lutto non elaborato viene trasmesso ai figli, si desidererà un altro figlio alla morte
del precedente, ma se non vi è un distacco di elaborazione del lutto, il bimbo che nascerà non
vivrà mai la sua vita, e quel NON ESISTERE per se stesso diventerà la sua morte
psicologica. Vivrà la vita di un fratellino morto. Ecco l’importanza di interrompere la catena
TRIGENERAZIONALE ( Bateson) .
LE INGIUNZIONI SONO:
 NON ESISTERE
 NON ESSERE TE STESSO
 NON ESSERE UN BAMBINO
 NON RIUSCIRE
 NON CRESCERE
 NON FARE NIENTE (POTREBBE ESSERE PERICOLOSO)
 NON ESSERE IMPORTANTE

9
DSM - IV (IV edizione del manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali)
18

 NON APPARTENERE( NON FAR PARTE)


 NON ESSERE INTIMO( NON ENTRARE IN INTIMITA’)
 NON ESSERE SANO DI MENTE( NON STARE BENE)
 NON PENSARE
 NON SENTIRE

LE SPINTE SONO:
 SII PERFETTO
 COMPIACIMI(CERCA DI PIACERE)
 SFORZATI(DACCI DENTRO)
 SII FORTE
 SBRIGATI

E. Berne con il libro:"A che gioco giochiamo"10, ha descritto i "giochi"; le relazioni costruite
per procurarci stimoli, conferme d'esistenza o meglio "carezze". Il termine "carezza" è inteso
come unità di stimolo per la relazione. Le "carezze" possono essere di diverso tipo, grado e
modalità; possono essere fisiche, verbali, mimiche, mediali, condizionate o incondizionate,
distruttive o costruttive, positive o negative. Questa fame di "carezze" o di stimoli, che è fame
di riconoscimento, è tanto importante come il cibo e l'aria. Questa fame è così sentita che si
preferisce una carezza negativa (es. un rimprovero) piuttosto che l'indifferenza. Senza
"carezze" non si vive11. Che tristezza pensare a come tanta gente sconosce la gioia di ricevere
le carezze positive incondizionate!!!!!
Chi è dentro un gioco a perdere non sa ricevere e nemmeno da’.

2.2 Applicazione
Certo l’Analisi Transazionale aiuta a ripulire la motivazione di un impegno, con una catarsi,
da quella componente salvifica genitoriale che contamina in modo poco realistico le energie
del nostro adulto. Credo che fosse questo che io volevo. Mi servivano gli strumenti giusti e in
tal modo mi sono mossa nella decisione di intraprendere questo ciclo di studi. Motivazione
ed impegno non bastano, occorre una preparazione professionale, perché non si può trattare il
dolore degli altri se non si fanno i conti con sé stessi. Quando leggo il progetto del gruppo di
auto aiuto per l’ elaborazione della perdita, scritto tre anni fa, lo vedo oggi in maniera

10
BERNE, E., A che gioco giochiamo, Milano, Bompiani, 1967
11
BERNE E., Ciao!...e poi?: La psicologia del destino umano, Milano, Bompiani, 2005.
19

diversa, anche se qui viene inserito con la stessa fede nel potenziale umano che lo ha ispirato.
Questa fede aveva solo bisogno di una bella ripulita!!! E’ un lavoro questo molto difficile, che
mi affascina. Lavora “CON” come diceva Berne e non “per” o “sul” cliente è una sfida a se
stessi, principalmente. Contattare il bambino somatico, naturale, primordiale o doversi
scontrare a volte persino con il piccolo fascista, il distruttore, l’accentratore, l’aggressività
egoistica, più o meno manifesta, che sopravvive solo se vampirizza l’altrui energia è per un
counselor difficile da gestire. Eppure lo stato di perdita specie se traumatica fa “ gancio”12
come con un “elastico”13 agli eventi del passato, del vissuto infantile, producendo effetti
sconosciuti, proprio a chi prova sensazioni che lo frastornano in un momento così delicato,
che può, se ben elaborato diventare ricchezza interiore per sé e per gli altri. Perché il copione
potrà sempre, ad ogni momento essere RIDEFINITO.
J. Hillman nel libro il "Codice dell'anima", riguardo al nostro essere più profondo; dice, che
esiste in ognuno di noi una "ghianda individuale". Quello che contiene la "ghianda" è
l'immagine di un intero destino capace di racchiudere una enorme quercia.
Ogni bambino vive due vite: una dettata dall'educazione, dai luoghi, dai costumi; l'altra quella
della sua natura individuale, del suo autonomo sviluppo. Bisognerebbe dare voce alla sua
vocazione, a questa seconda vita a quella che ci ama, ci salva e vuole autonomia. E' la forza
della piccola "ghianda". Con questa "ghianda" noi siamo quello che siamo. Al pari dello
SCRIPT (copione) parentale, la "ghianda" modella la nostra vita, ma in senso positivo. Anche
il libro di Hillman si propone di smascherare la mentalità della vittima che è in parallelo lo
smascheramento del copione e dello SCRIPT. Certo che la nostra perenne unicità e
irripetibilità ci testimoniano la giustezza dell'esistenza di un seme univoco: quella che io
chiamo ESSENZA.

2.3 La scrittura creativa come processo

L’ affabulazione immaginifica è tipica del bambino transazionale. Molto spesso è sepolta


profondamente dentro di noi, quasi soffocata dalla razionalità utile ed utilitaristica più spesso,
del quotidiano vivere. La fantasia del bambino magico dell’infanzia resta isolata, ingabbiata,
molto spesso fino a quando non intervenga un evento traumatico a fare saltare quella struttura
12
Berne definisce il GIOCO come una serie di transazioni, con un GANCIO, un ANELLO, uno SCAMBIO e
un INCROCIO, che porta ad un TORNACONTO. Se mancano questi elementi non vi è in atto un GIOCO. Il
GANCIO è lo stimolo transazionale che a livello psicologico trasmette un invito ad effettuare un GIOCO.
13
ELASTICO è il punto di somiglianza tra una situazione di stress nel qui ed ora ed una sensazione dolorosa
dell’infanzia della persona , di solito non ricordata a livello consapevole e in risposta alla quale è probabile che
la persona entri nel COPIONE.
20

già costituita sbarra su sbarra , nel tempo. Spesso la creatività viene immolata, quasi uccisa:
per non sentire il dolore dell’infanzia, il nostro bambino libero, lo si consegna al silenzio. La
speranza è il prezzo da pagare a quel silenzio. Allora per convincersi di aver fatto la scelta
giusta si dice a se stessi, che non c‘è possibilità ormai di cambiamento. E si continua a vivere
pur essendo già morti. Generalizzazione esagerata? Forse paradossalmente, adatta a rendere
l’idea di quanti inferni casalinghi ci stiano intorno. Magari nel nostro o nell’appartamento
accanto.

Credo che ognuno di noi sia un bellissimo libro da scrivere, fino alla fine, fino all’ultima
pagina…..

I bambini quando giocano inventano, diventano eroi, o maestri di se stessi. Quando giocano
con i compagni, tessono trame intrecciate di racconti sottilissime, inventano e cambiano di
continuo i ruoli…tutto per loro è possibile….con la massima serietà del loro adulto, o del loro
piccolo professore, creano una realtà a loro più vivibile. Strutturano il tempo che non è mai
vuoto, ed anche nella solitudine riescono a farsi compagnia. A volte si inventano un amico
sconosciuto che vedono solo loro, e con lui parlano per ore, a volte è un bambolotto, a volte
sono le costruzioni, a volte è il disegno che fa loro da veicolo, quasi un mandala, porta
d’accesso al loro giardino segreto.

Tenere vivo quel bambino è vitale all’adulto specie nei casi di perdita. E a volte addirittura
può accadere che GRAZIE ad essa gli si permetta di avere spazio per la prima volta dopo tanti
anni. Il racconto e l’autobiografia può essere una modalità di intervento, in caso di lutto o di
perdita in senso lato per riattivare questo processo, riuscendo a portare in luce i bisogni del
bambino interiore, e liberando in questo mondo il dolore che altrimenti, se inespresso
potrebbe produrre la malattia.

Nei casi di perdita molto spesso si investe molto sulle proprie capacità genitoriali: ci sono
molte responsabilità da prendere, ad esempio , alla morte di un genitore o di un compagno ed
inevitabili sensi di colpa e inadeguatezza, c’è anche rabbia per aver subito chissà quale
ingiustizia dalla vita, e la pretesa assurda che essa debba una ricompensa per quello che si è
perso. Quando la rabbia, emozione autentica viene sostituita da quelle che Berne chiama
“emozioni parassite” , quando la “confusione” viene scelta da copione per strutturare il tempo
impedendosi di riflettere per “ non sentire”, allora la perdita ha fatto cassa di risonanza col
passato e con i vissuti della prima infanzia, ed è con il bambino e i sui stili di attaccamento
21

primari che è necessario lavorare. Ed occorre fare un intervento di “decontaminazione” e


“deconfusione” nel qui ed ora. Si attivano naturalmente in regressione i vecchi stili di
attaccamento, e tutto sembra possibile. Anche quello che credevamo superato torna
improvvisamente alle orecchie segrete del cuore in echi di un passato infantile, che il genitore
introiettato tende a nascondere. Si resta così, appesi, in bilico, tra passato e presente, con la
sensazione di non esserci mai comunque né in un modo né in un altro. Oppure si crede di
essere abbandonati, come forse in qualche angoscia infantile della primissima infanzia,
inconscia alla mente senziente, ma “tatuata” nelle sinapsi, nella amigdala. E questo essere
presi da ricordi – incubi, la notte colpisce spaventa ancora di più. Ho parlato e ascoltato
molte persone che hanno subito dei lutti specie se traumatici, hanno tutto ciò in comune.
Molto spesso negli anni successivi si ammalano di cancro, e in molti si insinua la
predisposizione all’attacco di panico, che arriva improvviso, sconosciuto. Ci sono molti
aspetti comuni a chi è superstite da catastrofi, o a chi ha parenti vittime di incidenti stradali o
di catastrofi14. La possibilità di raccontarsi può essere una via di uscita dalla angoscia per
molti. L’affabulazione chimica delle varie droghe, alcool e psicofarmaci ci deve fare
riflettere. Dentro ognuno di noi vi è un bambino somatico che ha bisogno di cura, attenzione,
ascolto. Difficile da raggiungere perché nell’inconscio.

E se è vero che la mia esperienza traumatica mi ha reso fragile, sia benvenuta perché mi ha
dato la possibilità di entrare in contatto con il mio bambino e con quello degli altri. E del resto
è quello che ho sempre fatto nella mia vita, in maniera naturale.

14
GELSOMINO, S., DENTE P. (a cura di), Dopo la catastrofe: Prevenzione e primo intervento su
vittime e soccorritori affetti da PTSD (Lega Italiana contro i disturbi d’ansia e attacchi di panico), Siracusa,
Cryteria tecnologies, , 2002.
22

CAPITOLO 3

COUNSELING EDUCATIVO E COUNSELOR


3.1 DEFINIZIONI
La definizione della professione di counselor adottata dal CNEL e trasmessa dalla SICo
(Società Italiana di Counseling), che è stata chiamata a far parte della Consulta delle
Associazioni delle professioni non regolamentate:
“Il Counselor è la figura professionale che, avendo seguito un corso di studi almeno triennale,
ed in possesso pertanto di un diploma rilasciato da specifiche scuole di formazione di
differenti orientamenti teorici, è in grado di favorire la soluzione di disagi esistenziali di
origine psichica che non comportino tuttavia una ristrutturazione profonda della personalità.
L’intervento di Counseling può essere definito come la possibilità di offrire un orientamento o
un sostegno a singoli individui o a gruppi, favorendo lo sviluppo e l’utilizzazioni delle
potenzialità del cliente. All’interno di comunità: ospedali, scuole, università, aziende,
comunità religiose, l’intervento di Counseling è mirato da un lato a risolvere nel singolo
individuo il conflitto esistenziale o il disagio emotivo che ne compromettono una espressione
piena e creativa, dall’altro può inserirsi come elemento facilitante il dialogo tra la struttura e il
dipendente.”
In conclusione, per svolgere la professione di Counselor in Italia, è necessario aver svolto una
formazione almeno triennale, ma non è obbligatoria l’appartenenza ad una associazione
professionale accreditata o albo riconosciuto.
Al momento sono in corso iniziative legislative che mirano al riconoscimento delle
associazioni abilitanti, grazie alla identificazione di standard nazionali e/o internazionali ai
quali tali associazioni devono aderire.

3.2 LE COMPETENZE. ASCOLTO ATTIVO


Serve nella relazione d'aiuto, d'appoggio e di supporto per stabilire un incontro
autoesplorativo, che favorisce la crescita, l'autosostegno, l'autostima ed una
maggiore autonomia.
E' un mezzo tecnico per l'operatore nel creare un colloquio di comprensione e
chiarificazione, inoltre serve a dimostrare interesse e ad aiutare l'interlocutore a
23

parlare, per meglio comprendere: i suoi bisogni, le sue esigenze e necessità.


L'ascolto attivo è un buon colloquio d'aiuto non direttivo, centrato sulla persona
e costituisce la centralità del COUNSELING.
Questo tipo d'intervento genera un sentimento di solidarietà affettiva ed aiuta
l'interlocutore ad utilizzare le proprie risorse in azioni più proficue, percependosi
capito meglio. Il vero ascolto
è ospitale, ( PROTEZIONE, POTERE, PERMESSO) discreto, ma potente, è uno
strumento trasformativo. Significa permettere a colui che parla di ascoltare le
sue voci interne.
Significa recepire l'allegria, la tristezza, il tremore, la sicurezza, la serenità,
l'angoscia, la paura e la rabbia, e nel contempo non farsene coinvolgere entrando
in SIMBIOSI con l’utente, ma verbalizzarle, per renderle reali nel qui ed ora.
Un Counselor che opera efficacemente per se stesso e per gli altri non può che
avere risolto, almeno, in buona in parte le “contaminazioni” del proprio
bambino e genitore sull’adulto, di modo tale da poter ascoltare attivamente l’
utente, essere capace di “sentire” con la pancia e trasformare tutto ciò in empatia
che viene verbalizzata a beneficio dell’utente, gestendo il transfert eventuale ed
il proprio controtransfert, facendolo diventare risorsa, mantenendo dei confini
chiari. Questo non può essere inventato ma gradatamente acquisito. Io credo di
essere per la giusta via. Sono soddisfatta dei risultati raggiunti. Mi sono
arricchita del lavoro dei docenti nei vari ambiti, e discipline trattate, della loro
professionalità e soprattutto esperienza di vita. Il pregio dell’insegnamento
pratico comporta il fatto di porre l’attenzione non al contenuto soltanto, ma al
modo come viene trasmessa l’informazione, rende possibile comprendere anche
meglio chi mi sta parlando e insegnando. Educare è un processo che tiene
conto della diversità di chi interloquisce con me, e ne fa arricchimento. La
diversità degli approcci teorici dei docenti e la loro peculiare applicazione, mi ha
permesso una osservazione dei vari metodi, lasciandomi la libertà di scegliere
quello a me più consono. Trovo molto efficace l’A. T., ma a mio parere va vista
24

integrata da una psicologia del profondo che mi trova molto vicina a Jung15, alla
sua teoria dell’ ombra e agli archetipi, al suo animus ed anima. Eros e Logos.
Trovo rilevante poi per mia esperienza personale un approccio gestaltico. So che
un Counselor non può deontologicamente e legalmente fare regressione e
lavorare sull’inconscio, ma questo non significa che tutto ciò non mi serva e
comunque non è detto che un giorno io non possa farlo, da clinico.

3.3 Applicazioni
Il counselor conosce i diversi stili di attaccamento della prima infanzia16 ed il
sistema comportamentale esplorativo17. Nel primo dei tre volumi di
Attaccamento e perdita, Bowlby (1969), afferma che l’assenza della figura
caregiver genera il bisogno biologico, il suo ritorno e la sua presenza lo
“spengono”. Alla fine degli anni 70 il lavoro della Ainsworth ha contribuito a
rendere più sofisticato il concetto di attaccamento. La Ainsworth ha riconosciuto
che la separazione (l’assenza fisica della madre), non era la chiave per
comprendere la risposta della bambino alla “Strange situation” da lei e i suoi
colloboratori sperimentata negli anni. Erano piuttosto la stima o la valutazione
dell’allontanamento della madre nel contesto del suo comportamento atteso che
rendevano conto della risposta del bambino..
Se la perdita del presente fa da elastico con quelle sperimentate nell’infanzia, il
nostro cliente si ritroverà a vivere un momento molto difficile di “confusione” o
peggio “contaminazione” di uno o più stati dell’”Io” che sovrapponendosi
creeranno conflitti e blocchi, limitando le energie che sarebbero potute confluire
nello stato dell’ io adulto: quello capace di ridecidere il proprio destino. Come
dire che gli stili di attaccamento del passato nel momento di grande difficoltà
della perdita o del lutto vengono a riecheggiare emotivamente ed

15
EUGENE, P., Realizza il progetto che è in te. Como, Red edizioni, 1999.
16
BOWLBY, J., Attaccamento e perdita, Torino, Bollati Boringieri, 1984
17
Ainsworth, M. D. S., Blehar, M. C., Waters, E., & Wall, S. studi su Strange situation (1978).
25

inconsciamente nel presente. Aver avuto uno stile di attaccamento cosiddetto


“sicuro” consentirebbe al soggetto pur nella perdita di sapersi riorganizzare. Il
Counselor interviene con L’ascolto attivo, l’empatia, le tecniche di
comunicazione, verbale e non verbale, per stimolare nel cliente le sue capacità
di problem solving, egli non è direttivo, non da consigli, ma opererà affinché il
cliente da solo, prenda le decisioni a lui più funzionali, per il superamento del
momentaneo disagio. A volte è necessario fare un lavoro di
“decontaminazione”18 degli stati dell’Io e di “deconfusione” per rimuovere i
blocchi (Impasse) .
Alla fine di questo corso molte sono le applicazioni che io vedo possibili, nel
reale e nel virtuale.

Nel reale:
Posso realizzare la relazione di aiuto al singolo, alla coppia, alla famiglia, in
ascolto attivo e sul qui ed ora. Rendendo fruibili le energie dell’adulto,
rinforzandolo in maniera tale che egli si dia il permesso di elaborare nuove
strategie e soluzioni;
Posso elaborare progetti di prevenzione primaria sociale del disagio, in ambiti
scolastici o associativo;
Posso essere un buon facilitatore della comunicazione nei gruppi di auto mutuo
aiuto.
Posso avere le capacità di lavorare in collaborazione con un tecnico, clinico
terapeuta in quegli ambiti dove un doppio setting può, lavorando sul qui ed ora ,
alleggerire le tematiche di un transfert troppo intenso, come nella gestione della
perdita in personalità con alcuni aspetti borderline.

18
Decontaminare vuol dire porre dei confini chiari tra i vari stati dell’Io. La contaminazione può essere del
bambino sull’adulto, del genitore sull’adulto, o di entrambi sull’adulto( si definisce ciò empasse di secondo
grado. La decontaminazione permetterà il fluire energetico e la risoluzione del conflitto alla base del blocco.
L’adulto sarà capace di prendere le sue decisioni, mediando e negoziando tra il suo genitore e il suo bambino
libero.
26

Nel virtuale:
Posso creare un sito internet : osservatorio sul territorio sulla relazione d’aiuto (
vedi “GUARDANDO OLTRE…”)
Posso applicare la dinamica di gruppo in una COMM (comunità) virtuale , (vedi
L’istituzione della comm “Cuoreacuraacuore”) utilizzando gli strumenti della
scrittura creativa e gli inserimenti d’essa in “discussioni” e “post”;
Posso creare un indirizzo e mail per dare modo a chi voglia di raccontarsi in
rete, facendo dell’autobiografia strumento di dialogo educativo, soprattutto per
chi vive la la sensazione dolorosa di solitudine e il senso di abbandono nel caso
del lutto;( vedi SCRITTURA CREATIVA)
Posso creare una chat protetta che possa fare da setting, da gruppo di auto aiuto
on line. Dove chi ha autorizzazione di accesso , possa sperimentare “Protezione
, potere e permesso”, e queste possano essere alla portata di chi lo desideri, in
un clik.

CAPITOLO 4

UN SITO OSSERVATORIO SUL TERRITORIO


27

4.1 La relazione d’aiuto. Guardando oltre19

Il mio intento è quello di volgere lo sguardo oltre … verso l’ aspetto del sociale che riguarda
la relazione d’aiuto, soffermando l’attenzione su ciò che : “ Eppur si muove!” nel nostro
ambito territoriale. Per farlo utilizzerò la prospettiva che mi è congeniale: l’intelligenza
emotiva20. E’ certo, guardare insieme, da prospettive diverse, sarebbe più proficuo, quindi
aspetto le segnalazioni di chi legge per mettere a fuoco meglio! Ringrazio chi ha già voluto
condividere questo bel-vedere, fatto di relazioni e di dialogo educativo nel senso della
maieutica. Scrive Erich Fromm: “E’ l’amore un’ arte? Allora richiede sforzo e saggezza”21.
Come tale, egli afferma, la motivazione ad essere appresa dovrebbe essere al centro dei nostri
pensieri, come in ogni altra arte. Su questa stessa lunghezza d’onda emozionale potrei
ipotizzare che anche l’aiuto efficace lo sia. In effetti, se pur nasce dal terreno fertile dello
Spirito d’ Amore (la carità perfetta scaccia ogni timore in S. Giovanni della Croce) 22 ha come
ogni arte bisogno, oltre che di attitudine, di tempo, studio e tirocinio teorico-pratico, avendo la
consapevolezza che in quanto arte, la scuola della vita non rilascia lauree per essa. Alla fine
come dice Don Divo Barsotti: ”Non è pura identificazione allo Spirito Universale, uno
smarrirsi, un perdere il proprio sé nell’infinità dello Spirito: è un riconoscersi in Dio – un
essere accolti in Lui. Nell’unità non viene meno il rapporto – è il rapporto stesso che crea
l’unità23. L’arte d’aiutare diventa nel tempo capacità imprescindibile di rimettersi in gioco
continuamente, e, alla maniera di Kipling, quando è necessario, di chinarsi a ricostruire con
logori mezzi, permettendo a chi lo desidera di compiere le sue scelte o non scelte. La
relazione d’aiuto è quella che promuove la crescita dell’altro verso l’ autonomia e a volte
l’opzione problem solving non è la più ovvia. Si stabilisce tra terapeuta e cliente, tra
counselor ed utente, tra medico e paziente o docente e discente, ma anche tra genitori e figli o
pure tra i componenti di un gruppo, specie se di auto mutuo aiuto24, tra amici o amanti.
L’asimetria riguarda solo il ruolo momentaneamente svolto nella relazione e non l’autenticità

19
Tratto da: htp://groups.msn.com/cuoreacuraacuore

20
COLEMAN, D. , Intelligenza emotiva, Milano, Bur, 2005

21
FROMM, E., L’arte di amare, Milano, Mondatori, 1988
22
S. Giovanni della Croce, Cantico Spirituale, Torino, Ed.Paoline, 1991

23
BARSOTTI, D., L’acqua e la pietra, Brescia, Morcelliana, 1978

24
SILVERMANN, P. R., I gruppi di mutuo aiuto, Trento, Erickson, 2001
28

d’essa25 . In una coppia, ad esempio, è fattore di crescita la elasticità della complementarietà


dei ruoli, e su questo punto varrebbe la pena ritornare. “Relazione d’aiuto” è un modo di
indicare un intervento di supporto momentaneo e funzionale a stimolare e condurre allo
sviluppo del sé. Attraverso la comprensione della motivazione e dei sistemi di valori,
possiamo orientare verso il benessere. L’ambito è molto delicato, perché ci si confronta con i
propri e gli altrui sentimenti e l’efficacia di queste transazioni è collegata alla capacità di
trasmettere empaticamente le proprie competenze professionali e umane, attraverso momenti
pregnanti di contatto autentico intra ed interpersonale. Proprio un bel-vedere. E l’arte è
bellezza…n’est pas?

Da: Apprendistadelfino (Messaggio originale) Inviato: 11/02/2007 16.08

Progetto: SPECCHIO DELLE MIE BRAME


VIAGGIO INTORNO ALLE METAFORE DELLA VITA L. 285/97

25
FRANTA, M., Atteggiamenti dell’educatore, Roma, Las, 2005
29

Ambito SR 3 Solarino
Associazioni ed Enti contitolari del Progetto: Comune, FIDAPA Solarino, Banda musicale Città
di Solarino, Cenacolo Domenicano.
Cell. 3343117389
Operatori: Psicologo, Pedagogista, Educatore di strada, Critico d’arte, Curatore mostra,
Volontari Ass. FIDAPA, Maestro di musica, Assistente sociale, i Componenti della Banda
Musicale.
Utenti: Minori del comune divisi in laboratori per fasce di età.
Attività: Mostra d’arte contemporanea: percorso didattico – artistico-pedagogico intorno alla
fiaba di Biancaneve. Laboratori artistico-musicali: Libro testimonianza.
Programmazione 2005/2006: Laboratori per adolescenti: Esperienze manipolative, espressive e
grafiche. Mostra finale

Progetto:Incontro socio-educativo “Dottor Sorriso & Mister DJ”


Ambito: Floridia
Associazioni ed Enti contitolari del progetto:Ass. “DIA_LOGOS” Onlus, Via Polisena 225
Floridia Cell.338-4642165
Utenti:Minori adolescenti
Operatori: Psicoterapeuta, Pedagogista-Counselor in formazione.
Attività: Serate in discoteca, risata terapia, musica terapia, animazione sociale.

Progetto: Elaborazione della Perdita GRUPPO AUTO MUTUO AIUTO IL GIRASOLE


(GRUPPI NAZIONALI AMA)
Associazioni ed Enti contitolari del Progetto: Parrocchia S.Luca,Ospedale Umberto I.
Tel. 0931-68453, e mail:parrocchia.ospedale@virgilio.it
Ambito:Siracusa.
Operatori: Facilitatore, Counselor in formazione, Componenti del gruppo.
Utenti: Genitori che vivono la perdita di un figlio. Chi vive la perdita del compagno.
Attività: Incontri periodici in gruppo per l’elaborazione del vissuto di perdita
Programmazione 2005/2006: Centro Ascolto
30

CAPITOLO 5

IL PROGETTO
5.1 Il gruppo di auto aiuto
CHIAVI DI LETTURA DEL PROGETTO
Motivazioni
Il mio progetto di istituire un Gruppo di auto mutuo aiuto, sia nel ambito reale che
nell’ambito virtuale nasce dalla consapevolezza che chiunque, nell’arco della vita, si trova
“volente o nolente” a doversi confrontare con l’esperienza della PERDITA, e dall’importanza
vitale di una sua necessaria elaborazione.
BISOGNO PRIMARIO : imprescindibile esigenza vitale.
Il riconoscimento che questo delicato percorso elaborativo assolve ad una
precisa ed imprescindibile esigenza vitale, costituisce sia la ragione d’essere
del gruppo sia la finalità stessa del suo operare.
Referenti: chi lavora nel sociale a vario titolo.
Macro obiettivi sociali:
 Creare una rete sul territorio ( spiegare cos’è l’AMA), che metta in correlazione le
varie professionalità,mediche, socio sanitarie.
 sensibilizzazione all’approccio paritario non tecnico,
 condivisione degli obiettivi: superare i pregidiudizi tra colleghi . Se chi invia al gruppo
non conosce le profonde implicazioni sociali e sono loro stessi poco convinti, il
risultato sarà negativo. Se chi opera ha difficoltà ad entrare nel gruppo difficilmente
lo suggerirà ad altri. Sensibilizzare naturalmente non è cercare di
convincere!!!!!anche questo sortirebbe esiti negativi. L’intento è quello di coniugare il
rispetto per le convinzioni di chi fa a vario titolo professione sociale, e l’assicurazione
che per gli utenti ( destinatari) che stanno provando il dolore della separazione e
abbiano anche bisogno di un supporto tecnico psicologico o psicoterapeutico, (oltre il
gruppo), potranno essere indirizzate al servizio più competente, in grado di
collaborare con il gruppo. A volte la terapia personale è necessaria come supporto, a
volte quella farmacologia. In questo caso è necessaria l’apertura ad una sinergia di
diverse figure professionali che insieme interagiscano in maniera collaborativa e senza
pregiudizio.
31

 Persone motivate ed in buona sintonia possono con la crescita nel tempo


dell’impegno aiutarci a sopportare meglio la stanchezza ed evitare crisi di burn out.
Lavorare con il dolore è difficile, meglio non essere soli.

Modalità di lavoro:
Valutare le scelte da prendere in termini di Vantaggi/svantaggi anzicchè in termini di
giusto/sbagliato ( ad esempio prendendo in considerazione se fare un incontro con uno o due
facilitatori, almeno all’inizio. Stabilire o meno un tempo massimo nel quale articolare o meno
un certo numero di incontri. Stabilire se fare un gruppo aperto o chiuso, limitandolo ad un
numero massimo di persone). Probabilmente le soluzioni saranno la sintesi delle variabili
possibili. Tenendo conto delle situazioni diverse in diversi ambiti( reparti ospedalieri o
quant’altro). Quello che conta è dare la possibilità, rispettando sempre la competenza
professionale , di esprimersi senza paura di giudizi.
L’invio è il modo con il quale le persone entrano nel gruppo. Viene fatto da chi sa
dell’attività e come funziona. Può essere fatto da medici, volontari, infermieri, psicologi,
sacerdoti, persone che già hanno avuto esperienza del gruppo. Possono essere anche persone
che leggono le locandine di sensibilizzazione e presentazione del servizio, e autonomamente
rivolgervisi. .Per tutti sarà fatto un primo colloquio preliminare.
colloquio preliminare : servirà ad una prima valutazione, naturalmente riflettiamo che
mentre noi valutiamo, siamo noi valutati dall’utente, che deciderà anche in base alla sua
valutazione e non solo alla nostra , se aderire o meno al servizio.
Consulenza: è la possibilità di ricorrere periodicamente ad un professionista esterno.
Contratto/regole: vanno espresse nel corso degli incontri.
Obiettivi: Vengono definiti come piccoli passi all’interno del progetto, ripartiti secondo i
tempi fisiologici di crescita del gruppo. E’ il gruppo stesso come sistema a farlo.
Prendersi cura: Rientra nel principio di responsabilità di ognuno verso se stesso e verso
gli altri. ( nel reale come nel virtuale).
Destinatari: chi voglia elaborare la “perdita”
A volte la perdita è lieve, in apparenza, come quella del declino delle illusioni o dei piccoli e
grandi ideali. A volte è quella che inevitabilmente consegue ad una scelta. E se crescere è una
continua scelta pensiamo a quante perdite subiamo o accettiamo crescendo. A volte
l’esperienza è più tragica se si perde un amico o una persona cara, non solo idealmente e
32

psicologicamente, ma anche fisicamente. Ogni perdita porta con sé trauma e dolore e la


sensazione di un momentaneo squilibrio emozionale che ha durata diversa da individuo ad
individuo. Alla sensazione della perdita si sussegue quella del dolore e della depressione. Il
bimbo piange quando perde un giocattolo a cui era particolarmente legato, ma si dispera se
perde il suo “oggetto d’amore”. L’adulto cresce ed impara a distinguere tra oggetto e soggetto
(si spera), ma il dolore e la depressione sono presenti come costante nella perdita di “qualcosa
di buono”. A volte la perdita è “silenziosa” e il dolore ha la caratteristica della malinconia. E’
il segno di un pianto inespresso perché a livello inconscio avvertiamo la perdita di una parte
di noi stessi, del nostro essere che non riusciamo a raggiungere, talmente lo sentiamo lontano.
In effetti non è perso veramente, è soltanto nascosto, ha solo paura. il GRUPPO si propone di
dare e darsi conforto reciproco attraverso i propri componenti nei casi di PERDITA, in un
clima di collaborazione, rispetto e dignità nel vivere il disagio che essa comporta. Al
contempo, attraverso l’esperienza dei singoli, offrirà : strumenti, punti di vista prospettici
alternativi e nuove strategie per poter meglio affrontare l’elaborazione personale del senso di
perdita ed affinché non si viva, oltre questa, anche la sensazione dell’abbandono e l’anima
possa recuperare la sua luce interiore. Tramite il gruppo verrà valorizzato l’aiuto
circolare, lo scambio, il confronto verbale ed il supporto emozionale. Il gruppo non intende
sostituirsi ad alcuna terapia psicologica; persegue come questa però, l’obiettivo del
benessere, del riequilibrio, della crescita personale e spirituale. Allora anche in gruppo “si
perde” , si , ma solo per acquisire ciò che è più adeguato al proprio benessere. Sarà salutare
perdere la sterile autocommiserazione, l’orgoglio, la presunzione di essere sempre nel giusto,
di essere l’unico detentore della verità e poi i preconcetti ed i pregiudizi. In gruppo ci si
incontrerà per fornirsi reciproca assistenza.
Luogo: contesto reale
Associazioni Come ad esempio l’AMA Associazione Nazionale che coordina i gruppi di auto
mutuo aiuto nelle diverse regioni26. Questa associazione così organizzata viene detta
“ombrello”. Si occupa altresì anche di formazione a distanza degli operatori , attivando una
rete nazionale indispensabile per incontrarsi, e riflettere sulle attività, organizzare
supervisioni, offrire supporto logistico( una sede fisica, un telefono, una riconoscibilità
all’esterno) .

26
Per quanto le informazioni riguardanti la formazione dei facilitatori dell’ AMA qui riportate, esse sono
contenute in lezioni, inedite della scuola di formazione per personale curante professionale e volontario II
edizione 2007, nell’ambito del coordinamento nazionale gruppi di auto mutuo aiuto, da me frequentata al
momento della stesura di questo elaborato.
33

Luogo: contesto virtuale (il web)


Comm, ovvero una comunità virtuale. (Vedi capitolo 7, specifico)
Valutazione dell’utilità del gruppo : Possiamo seguire il percorso di ogni persona ,
tramite
La trascrizione dell’incontro ( piccolo verbale, redatto a turno)
Scheda di autovalutazione del facilitatore che è utile per verificare il proprio stile
relazionale e comunicativo( cambiando ogni volta a turno la facilitazione dell’incontro, si
mette in evidenza da soli il propri stile e c’è la possibilità di confrontarsi fra pari anche su di
esso.
Incontri periodici tra facilitatori per aggiornare consapevolezze e competenze.
Intervista individuale ad ogni partecipante. In genere sia all’inizio degli incontri che dopo
un periodo di sei mesi o altro deciso.

5.2 un modo per conoscersi

Al gruppo si può accedere attraverso un colloquio in un setting protetto, sia virtuale (


attraverso mail o chat), con l’utilizzo di una breve raccolta di semplici domande, che
permettano al Counselor di stabilire se vi fosse una eventuale patologia correlata alla perdita,
da trattare, nel caso, in sinergia terapeutica con un tecnico della regressione psicoterapeutica
in senso stretto. Normalmente viene comunque trasmesso all’interessato che è il momento
particolare dello stato di lutto o perdita a determinare lo squilibrio e la confusione emotiva
che sente, gli sbalzi di umore, vanno qui visti in un ottica che va oltre la diagnosi di disturbo
bipolare o depressivo o ciclotimico. Bisogna qui veramente usare non due occhi, ma dieci!!!!

La scheda che è inserita in APPENDICE potrà essere usata come raccolta dati quindi, ma
altresì come locandina da poter distribuire nelle strutture di aggregazione religiose o
associative in genere. La presentazione formale d’essa, è stata da me ideata in forma molto
semplice e diretta con possibilità di anonimato. In essa trovo importante la richiesta per
conoscere la tipologia della perdita: trattare un lutto e cosa sicuramente diversa da un divorzio
o dalla perdita di un arto o da quella di un lavoro. Il gruppo viene pensato a tema specifico
che possa mettere in condivisione vissuti similari. Ovviamente il funzionamento del gruppo
potrà essere adattato a varie tematiche, tenendo conto dei bisogni diversi degli utenti. Anche
la richiesta di quantificare il tempo della perdita avrà un suo riscontro nell’inserimento nel
gruppo dell’utente. Diverso sarà l’approccio per chi nella prima fase ( il dolore è ancora
34

chiuso dentro, vi possono essere traumi o shock da trattare). Nel gruppo tutti sono bene
accetti ma occorre che l’inserimento sia, in un certo senso anche preparato se non
programmato( poco realistico).

La domanda PREVALENTEMENTE MI SENTO: è quella di un possibile incontro e del


classico: “COME STAI?” tipica di ogni inizio di comunicazione intenzionale, ma permette
una prima valutazione e stimolazione ad una presa di consapevolezza del “sentire”
dell’utente. Nessuno vorrebbe sentire il dolore, quindi la risposta va saputa leggere con molta
intuizione e soprattutto empatia. La domanda come le successive può bensì fornire degli
elementi utili da verificare in seguito sull’ andamento ciclico del dolore dell’utente, servirà
strada facendo. Le domande saranno o centrate sul pensiero dell’utente: MI CONSIDERO
UNA PERSONA o IN QUESTO MOMENTO PENSO , per avere un primo contatto sul
suo funzionamento strutturale (lo stato dell’IO genitore) e sul canale di comunicazione che
utilizza, nonchè il modo di strutturare il tempo. IN QUESTO MOMENTO MI SENTO
cerca di stabilire un ponte con il BAMBINO dell’utente. Il PENSO ALTRESI’ elenca
genitorializzazioni già espresse ed è veramente potente, a mio parere, oltre che come verifica
dello stato dell’io anche come messaggio di autoconsapevolezza per l’utente. Alla fine specie
se lo schema viene utilizzato come locandina da distribuire viene data una “carezza”
incondizionata che rassicuri comunque che malgrado il suo percorso di momentaneo
squilibrio chi legge è OK.27 E come tale può essere artefice e cambiare il proprio destino.

5.3 Counseling tra reale e virtuale

Non è importante VINCERE i sentimenti (specie quelli di collera, rimorso, senso di colpa),
sarebbe a mio parere mero spreco di energie. Non è importante, altresì, abbandonarsi
completamente alla frustrazione e alle lacrime, senza darsi un proprio contenimento.
Importante è pensare, mentre mi abbandono che intendo farlo solo per poco, giusto il tempo
indispensabile…Accetto i limiti di quel momento e li vivi, così, semplicemente. Sono onesto
con me stesso e con gli altri. E’ importante osservare ed osservarsi, sempre, anche quando mi

27
I 4 fondamentali atteggiamenti sono: IO sono OK, TU non sei OK; IO non sono OK, TU sei OK; IO non sono
OK, TU non sei OK; IO sono OK, TU sei OK.
I primi tre atteggiamenti di relazione sono viziati da uno stato dell'Io BAMBINO che ha perso la fiducia in sé
nell'altro o in entrambi. Il quarto si basa sulla fiducia reciproca che porta ad avere dalla relazione il massimo di
informazioni e di positività: è la relazione adulta. Dal libro di HARRIS. T. Io sono OK-Tu sei OK. Rizzoli, 1974
35

sembra impossibile, tanto le emozioni sono forti da sembrare avere il sopravvento. IO SONO
E SARO' ANCHE AL DI LA’ DI ESSE, senza infingimenti. Accetto i sentimenti ed accetto
il modo in cui questi sentimenti cambiano la mia vita. Individuo un nuovo stile di vita. Penso
ad un gruppo senza leader, perché permette ad ognuno dei componenti di porsi in maniera
attiva, senza deleghe di responsabilità di scelte, senza fraintendimenti su chi guida il gruppo,
soprattutto su chi debba condurre e gestire. Imparo invece a darmi volta per volta un po’ di
fiducia, abbandonandomi un po’ alla personalità dell’altro, vedo dove mi vuole condurre per
poi scegliere dove condurlo io. Insieme, ci si prende per mano, per fare un po’ di strada. Ma la
strada e la stessa solo in certi tratti: i momenti di condivisione della stessa esperienza; il resto
è pura sperimentazione del nuovo. Così nessuno ha la responsabilità per intera dell’altro che
si sente autorizzato ad appoggiarsi per farsi compiangere, nessuno in questo momento si sente
in dovere di portare pesi che non può sostenere, il farlo sarebbe dannoso per sé stesso e di
rimando per lo stesso gruppo. Il rischio è certamente quello dell’anarchia della
comunicazione. Ho osservato bene: Si parla tutti insieme, uno su l’altro. Si formano nel
contesto dello stesso gruppo due o tre conversazioni distinte. Chi più capace, parla e lo fa
troppo, monopolizzando l’attenzione a discapito dell’altro. E’ importante che ad ogni
componente sia garantito il tempo di ogni altro. Diventa allora opportuno introdurre una
nuova figura: Il “facilitatore della comunicazione”, che non diventi un leader tacito. Allora è
meglio che questo compito venga svolto da ogni soggetto componente volta per volta diverso.
Questo ha come risultato positivo che ognuno si rende conto attraverso la difficoltà vissuta nel
suo essere facilitatore di turno, della difficoltà dell’altro. E ci si rispetterà a vicenda.
Considerarsi compagni di avventura, ricercatori ed esploratori di nuovi universi. Non
aspettarsi i miracoli. Il dolore ha bisogno di molto tempo per essere articolato in ogni sua
sfaccettatura28, per poi trovare una sua dimensione nel presente. E’ impensabile poterlo
sorvolare, è impensabile poterlo negare, è impensabile però lasciarsi annientare! Il dolore va
osservato, per quello che è, va soprattutto vissuto per quello che è. Purtroppo non ci sono
scorciatoie possibili. Questo tempo sembra insostenibile per chi ha appena cominciato, e non
riesce a pensare di vivere nemmeno l’oggi. Per questo è importante che il gruppo sia formato
da persone molto diverse tra loro. Insieme a chi poco conosce ancora di questo processo si
affiancherà chi è a un punto leggermente più avanti e così via fino ad avere nel gruppo anche
chi ha gia fatto l’esperienza della PERDITA da più di due anni Quando si creerà un vuoto

28
CROZZOLI AITE, L., Assenza più acuta presenza. (Associazione Maria Bianchi vedi sito internet).
CAZZANIGA, E., MARCHESI, G. C., Isole di differenza: le dimensioni del lutto, Milano, A. M. A
Lombardia, 2004
36

perché un componente deciderà di uscire dal gruppo, si cercherà di inserire nel gruppo
qualcuno simile per tempi di crescita e cammino.

BISOGNI

Quali bisogni? E’ questa la domanda. Imparo poi ad indicare le possibili alternative.

E’ importante porsi in modo empatico, l’empatia29 è un insieme di calda accoglienza ed


ascolto sensibile, di delicato rispetto. E’ camminare a piedi scalzi per non fare troppo rumore,
questa mi sembra una immagine che possa rendere bene l’idea. L’abilita del facilitatore non
sarà quella di dire: “Come sei triste!”: Che senso ha fare piangere qualcuno? La sua abilità
sarà di osservare che l’amico è triste, prenderlo per mano e circondarlo di calore umano, chi
non sa farlo dovrà imparare se vuole aiutare veramente.

SUL FACILITARE

Il facilitatore aiuterà le persone a parlare tra loro, li incoraggerà a vedere come esse possano
liberare e mobilitare le proprie e altrui risorse al fine di aiutare se stessi aiutando gli altri. Si
metterà in evidenza la comunanza delle esperienze attuali. Il facilitatore si prodigherà in modo
che nessuna assuma il “monopolio” del dibattito, promuoverà l’interscambio reciproco,
facendo comprendere che è da esso che potranno sorgere le soluzioni possibili. Dovrà altresì,
far capire che quello che succede è normale. Cercherà, ci proverà, anche con fatica e nella
propria confusione esistenziale di spiegare agli altri l’andamento del dolore, facendolo,
acquisirà sempre più consapevolezza dei propri bisogni. Il momento di condivisione diventerà
importante per una conoscenza che a partire da sé stessi, diventerà lo scoprire la natura
dell’essere umano in senso più ampio. Sarà a quel punto che comincerà l’apertura ai bisogni e
alle tematiche comunitarie e sociali.

SUI BISOGNI

29
STEIN, E., Il problema dell’empatia, Roma, Edizioni Studiorum, 1985

BREZZI, F., Amore ed empatia, Milano, Franco Angeli, 2003

.
37

1. BISOGNI SOCIALI, EMOZIONALI, PSICOLOGICI

2. BISOGNO DI APPROFONDIRE ASPETTI GIURIDICI, FINANZIARI, PRATICI.

3. BISOGNO DI APPROFONDIRE LE TEMATICHE DEL LAVORO.

a) Il lavoro non solo sicurezza economica ma esperienza interpersonale con benefici risultati
psicologici. (Potrebbe essere normale avere poca voglia di parlarne per la depressione e la
confusione sul futuro).

b) Come essere efficienti quando si è comunque colpiti da cicli ricorrenti di intensa


sofferenza?

4. BISOGNO DI APPROFONDIRE LA PROBLEMATICA DEI FIGLI DOPO


L’EVENTUALE PERDITA DEL CONIUGE.

5. BISOGNO DI APPROFONDIRE LE TEMATICHE DEL VIVERE DA SOLI: STILI DI


VITA ALTERNATIVI.

a) La solitudine è il problema principale.

b) Come la vita può essere resa interessante e meritevole di essere vissuta?

6. BISOGNO DI SAPERE SE E’ NECESSARIO O MENO DI UNA SALTUARIA


PRESENZA DI QUALCHE “OSPITE” CONSULENTE SPECIFICO.

a) Si potrebbe prendere in ipotesi qualche intervento di esponenti del mondo del lavoro, o vari
specialisti, che volessero dare un loro contributo di conoscenza specifica in qualche settore
verso il quale il gruppo ritiene che siano orientati i bisogni. Si potrebbero invitare come
“ospiti” per un loro intervento, dedicando all’esplicitazione d’esso la prima ora dell’incontro.
Questo fornirebbe spunto di un approfondimento successivo per il gruppo. Si potrebbe
programmare un intervento mensile di un’ ora per ognuno di essi, (un referente del mondo del
settore finanziario- bancario o sindacale - lavorativo, un avvocato, un medico, un assistente
sociale, uno psicoterapeuta, un impiegato di agenzia interinale, un teologo e quant’altri
individuati dal gruppo.
38

PRIMI PASSI

un obiettivo alla volta, che assecondi la crescita del gruppo.

 Informare il gruppo sul tema trattato e sul significato di ELABORAZIONE DELLA


PERDITA.
 Esprimere le proprie speranze e aspettative.
 Comunicare date e orario degli incontri.
 Spiegare il ruolo del FACILITATORE.
 Dire che sarà il gruppo a offrire amicizia, sostegno ed incoraggiamento. Presentare i
componenti.
 Condividere l’esperienza della perdita. IL MOMENTO DI CONDIVISIONE
DOVREBBE FARE SCATURIRE DELLE LINEE GUIDA PER L’ATTIVITA’
FUTURA DEL GRUPPO.

Lo scopo della prima riunione è quello di sollevare tutte le domande possibili, non di
raggiungere il consenso di tutti. Chiedere a conclusione a chi scrive il verbale di leggere i suoi
appunti. Raccogliere i suggerimenti e riassumerli. Questo riassunto stimolerà ulteriori
discussioni, e chiarificazioni. Potrebbe così emergere meglio la direzione nella quale il gruppo
desidera andare. Verso la fine della riunione è opportuno tentare di scoprire che cosa le
persone pensino di questo incontro: Che cosa abbiamo conseguito oggi? Cosa vorreste
approfondire in futuro? Ritenete di avere avuto buona possibilità di esprimervi? La
discussione è stata tenuta troppo a freno? E’ stato permesso di divagare troppo?

PASSO SUCCESSIVO

Ulteriori obiettivi

 ARTICOLARE MEGLIO LO SCOPO DEL GRUPPO.


 ULTERIORE SPECIFICAZIONE DEI PROBLEMI DEL GRUPPO.
 MESSA APPUNTO DI POSSIBILI PROGRAMMI DI AIUTO. Scrivere i bisogni
emersi, ciò aiuta ad individuare il programma di aiuto.

Ad esempio:
39

• Il bisogno di sapere di non essere gli unici ad avere questo problema.30

• Il bisogno di apprendere e soprattutto interiorizzare che certi sentimenti non sono né


“cattivi” né “pazzi”.31

• Il bisogno di informazioni, di dati di realtà e di consigli pratici su come trattare la situazione.

• Il bisogno di compagnia, amicizia e attività sociali. A tal proposito faccio notare che è pur
vero che ci si aiuta aiutando gli altri, ma senza “strafare”: Per chi crede AMERAI IL
SIGNORE DIO TUO CON TUTTO IL TUO CUORE, CON TUTTA LA TUA ANIMA,
CON TUTTA LA TUA MENTE È, innanzi tutto, riscoprire la propria integrità emozionale,
spirituale, mentale32; questo è il primo nostro impegno, il resto sarà un richiamo ontologico
automatico. L’amore per l’altro sarà una logica conseguenza. Un passo alla volta. Ci si potrà
mettere in contatto con altre persone della comunità dando loro la possibilità di poter parlare
con noi, soprattutto con chi non ha ancora l’energia per chiedere aiuto.

ANCORA UN PASSO

OBIETTIVI PRATICI FINALMENTE! IL GRUPPO E’ FORMATO.

 Il gruppo dovrebbe essere pronto a considerare nei dettagli l’attività che vuole offrire.
 QUALI RISORSE HA IL GRUPPO? Esperienze, attitudini, idee, denaro, tempo (
disponibilità di chi?) spazio, contatti (altre associazioni di volontariato), relazioni
professionali.
 IL RACCONTO COME CONOSCENZA Scrivere di se stessi permette di: Svolgere
un lavoro di elaborazione costruttiva dei vissuti,33 rappresentare in una scena

30
LICCIARDELLO, R. Il piccolo gruppo psicologico Teoria e applicazioni, Milano, Franco Angeli, 2001
31
PANGRAZZI, A., Aiutami a dire addio. Il mutuo aiuto nel lutto e nelle altre perdite,Trento, Erickson, 2002

32
COURTOIS, G., Quando il maestro parla al cuore, Ed. S. Paolo, 2002.

33
FERRARI, N., Corrispondenze, La comunicazione epistolare come modalità di accompagnamento per le
persone in lutto( in internet Associazione Maria Bianchi.it e gruppo Eventi.it).

FERRARI, N., ( a cura di) Ad occhi aperti: la relazione d’aiuto alla fine della vita e nelle esperienze di perdita,
Verona, Edizioni libreria Cortina, 2005
40

immaginaria il proprio “psicodramma”, rivivere in una sorta di “rewind” eventuali


blocchi emotivi, con la liberazione psicosomatica di energia negativa repressa,
comprendere la natura delle proprie risorse, la qualità dei sentimenti prodotta, poter
posizionarsi all’esterno di sé per potersi meglio osservare.
 IL GRUPPO DIVENTA “CONTENITORE”, SPAZIO DI
SPERIMENTAZIONE DI UN NUOVO STILE DI VITA.

 ORDINARE LE RISORSE
 INIZIA LA VERA ATTIVITA’ SOCIALE: aiutare adesso è possibile.
 CREARE UN TELEFONO VELOCE: Prima fase: Una telefonata e tutti i
componenti sono a conoscenza di ogni novità o iniziativa del gruppo. Qualcuno può
occuparsi di ricevere le telefonate al proprio numero? Assicurare una presenza
costante al telefono vuol dire una presenza nei momenti di depressione. Un offerta di
servizio alla comunità. Una voce amica, sa cosa significa, può dare risposte di
esperienza vissuta.
 ISTITUIRE UN CENTRO ASCOLTO anche su web: Seconda fase: Formazione. E’
meglio essere pronti: ci si potrebbe trovare davanti a persone ancora in stato di shock
o che potrebbero solo iniziare a intravedere un qualche cambiamento nella loro vita.
Potrebbero non ancora accettare la loro condizione e avere bisogno di “briglie”, le
briglie scomode, antipaticissime, noiose, della ragionevolezza. In attesa di una ragione
emotiva che verrà e di una nuova, costruita, sofferta, libertà.
 CREAZIONE DI UN SITO INTERNET che permetta l’ utilizzo di un FORUM di
INCONTRO e ASCOLTO della problematica del dolore successivo alla perdita di
un affetto, con accesso controllato. ISTITUIRE un indirizzo di posta elettronica che
permetta l’utilizzo della e mail come modalità d intervento per le persone in lutto,
anche attraverso percorsi biografici. INTERVISTA come prima conoscenza
possibile anche se non indispensabile. Il gruppo adeguato e trasferito al web è un salto
nel vuoto. Diventa soggetto, risultato gestaltico che va oltre le forze componenti.
Identità distinta che attraverso il dialogo sperimenta se stesso. Fede e nient’altro: Il
coraggio di avere paura.34

34
. MOLINIÈ, M. D., Il coraggio di avere paura, O.P.edizione novembre 1995
41

5.4 La mia esperienza nel reale.

Gruppo AMA “ Girasole”

La mia partecipazione al gruppo di autoaiuto “Girasole” ha rivestito un doppio ruolo, quello


dell’essere umano che ha alle spalle il suo vissuto di lutto e quello della tirocinante di un
corso di formazione (Università Salesiana Roma) in Counseling Educativo. La mia
motivazione alla scelta di svolgere un tirocinio in questo gruppo è stata quella di acquisire una
maggiore informazione, tramite l’esperienza concreta, delle diverse metodologie di intervento
e delle dinamiche di gruppo che potevano essere attivate per stimolare la consapevolezza di
nuove risorse di elaborazione nel singolo componente.

L’impatto emotivo nel gruppo è molto forte e scegliendo di lavorare sul e con il dolore dei
componenti è impensabile non farsene contattare, la difficoltà è quella di farsene coinvolgere
empaticamente, senza però oltrepassare i confini dell’emotività, perché questo può
compromettere il lavoro di “ascolto attivo”. La difficoltà è sicuramente maggiore per chi
come me, porta il proprio vissuto traumatico di lutto. Ho cercato allora di lavorare proprio su
questa difficoltà, accettando di farmi coinvolgere dai miei vissuti, senza mai perdere di vista
quelli degli altri, provando a capirne e reggerne il carico emotivo, lasciandolo nel contempo
andare. L’effetto è stato quello di scoprire un flusso dinamico emozionale che circolava
all’interno del gruppo in maniera quasi tangibile. L’energia fluiva in maniera positiva. Il
gruppo da contenitore di emozioni, diventava soggetto di emozione, risultato gestaltico che
andava oltre l’esperienza del singolo.

Ho trovato dentro me nuove risorse attive e grazie ad esse, ho provato nel contempo a
concretizzare un'altra parte del mio progetto di vita , quella di istituire una realtà nuova,
creando dei gruppi di autoaiuto nel web.

Nell’ambito dell’elaborazione della perdita, sto cercando di fare funzionare una COM virtuale
che possa sensibilizzare alla tematica esistenziale dell’elaborazione del lutto e fornire un
nuovo metodo di approccio, dando la possibilità a chiunque abbia un pc e volesse provare, di
non sentirsi “solo” o “isolato” o “abbandonato”, stati d’animo tipici di chi si trova ad
affrontare nella vita questi momenti. La COMM è adesso funzionante ed ha URL:
htp://groups.msn.com/cuoreacuraacuore.
42

Credo che il confronto diretto con gli altri componenti del gruppo Girasole mi abbia fornito
l’energia ed il coraggio di proseguire lungo un itinerario non semplice ma in cui credo molto.
Umanamente, personalmente e professionalmente, riconosco al gruppo Girasole una
condivisione e solidarietà reciproca efficace a fornire una risposta adeguata alla richiesta di
aiuto nel qui ed ora. Ritengo che il gruppo Girasole abbia risorse, capacità di autogestione e di
autocognizione. Conoscere i miei “compagni di viaggio” è stato per me un onore e un grande
dono di ricchezza emotiva da portare dentro e custodire come ciò che già è: risorsa preziosa
che mi accompagna nel mio cammino di crescita umana e professionale. L’avere rivestito i
due ruoli contemporaneamente, quello di utente e quello di counselor è stato difficile perché
non sempre riuscivo a “contenere” , per me i contorni non sono ancora molto netti, ma questo
mi ha permesso di entrare dentro i miei vissuti di lutto e scoprire che vi è ancora molto da
capire anche rispetto al mio mettermi in discussione come persona che ha ancora tutto da
imparare. Il toccare i miei limiti mi ha fatto piangere ed emozionare ma mi ha dato il senso
bellissimo della mia umanità, mi ha fatto sentire meno sola e più partecipe di un mondo non
convenzionale di relazioni. Se penso a come i nostri cari amati fossero li, con noi, mi
sorprendo ancora, erano i figli, i compagni di tutti. E’ stato come se ci fossero due gruppi a
due livelli esistenziali diversi. Difficile da spiegare a parole. Io potevo respirare la loro
presenza nel dolore di chi restava, Eravamo lì a parlare di loro, un po’ piangendo e un po’
ridendo, e pianto e riso, avevano il gusto dolce amaro dell’amore perduto e ritrovato nel
contempo, nei nostri cuori. Il sorriso ed i capricci di una bimba dolcissima, la tenerezza di due
fidanzati, l’affetto di figli andati via troppo presto, la gioia di vivere di una figlia, il loro
coraggio ed il loro saluto, non sempre possibile, che lasciava il vuoto in un percorso che
comunque aveva un suo momento, ed un compimento. Come poter dimenticare quei volti che
il dolore condiviso mi rende così cari? Come non poter distinguere da esso un amore estremo
che supera i confini dell’umano e del naturale? Tutto ciò mi porterò dentro da questa
esperienza.

L’altra cosa che osservavo è quanto fosse difficile uniformarsi ad un metodo unico quando
tante sono le componenti e le diversità caratteriali ed esperienziali; diversi i momenti e le
tappe di uno stesso percorso di elaborazione. Anche se noi seguivamo un metodo pensato da
un sacerdote : A. Pangrazzi, di cui avevo avuto modo di leggere già da diversi anni e ritenevo
adeguato alla tematica con il suo “ Aiutami a dire addio” devo dare atto al Facilitatore di una
capacità di elasticità nei suoi interventi che hanno saputo adattarsi ai bisogni di dialogo e di
apertura con tempi anche diversi da quelli usuali. A volte il dolore rende muti e a volte molto
43

loquaci, in un gruppo c’è comunque la necessità di garantire ad ogni componente un suo


spazio e una scelta nel dire o non dire, facendo in modo che ognuno vada comunque a casa
con la sensazione di non essere stato trascurato nell’attenzione. Mi sembra che questo
obiettivo primario sia stato raggiunto.

Qui, in questo scritto sembra che non ci siano relazioni di esperienze o storie raccontate, ma
se si potesse leggere tra le righe ed oltre le parole, volutamente discrete, sarebbe possibile
trovare la mia storia e quella degli altri componenti del gruppo. Per quanto mi riguarda posso
decidere di parlare per me e del mio ricordo, delle persone che ho perso, il mio compagno da
quattro anni e il mio papà da due, ma è meglio dirvi che loro sono qui con me, mentre scrivo.
Loro sono ogni momento della giornata, nei miei scritti si, ma anche sulla punta delle mie
mani che hanno imparato un tocco diverso, più tenero e malinconico, con il senso che
comunque non possono trattenere ma solo dare. Loro sono nella mia nuova dimensione di
donna, ferita, stanca, in cerca di completezza e tranquillità. Loro sono nei miei occhi che
studiano e nei miei nuovi progetti. Sono nei muscoli che tirano e nella schiena che duole per
la fatica di vivere e di garantire la sopravvivenza ad una nuova famiglia, che non sarà mai più
intera. Loro sono nel mio cuore che decide ogni momento di imparare ad amare meglio
rispetto al giorno che è già ieri, e che ne paga il prezzo altissimo per inesperienza. Loro
asciugano le lacrime che nessuno può vedere ne capire, senza giudizi degli uomini cosiddetti
“vivi”, oramai.
44

CAPITOLO 6

SCRITTURA CREATIVA.
6.1 Raccontarsi per elaborare la perdita

Lola

Lola vuleva ‘mparare


a cusiri, a filari
ma ‘i iritedda nnichi aveva
e ‘na s’à ugghia ‘ u filu nun traseva.

‘Na ianca cupittedda


ri lana fina vuleva fari
co ‘cuori ‘ro s’ò distino
russu disignatu.

Ma i manu trimavunu
‘u filu imprughiavanu

Lola si pungiiu:
duluri sintiiu.

Lola/voleva imparare/ a cucire, a filare/ ma le ditina piccole aveva/ e


nel suo ago il filo non entrava/
Una bianca piccola coperta/ di lana fine voleva fare/ col cuore del suo
destino/ rosso disegnato/
ma le mani tremavano/ e il filo imbrogliavano/
Lola si punse/ dolore sentì.

Il riscoprire le emozioni più profonde ed autentiche, porta quasi naturalmente, è risaputo, a


parlare nella propria lingua di nascita: il dialetto appunto. La prima memoria. Partendo da ciò
si può stimolarne l’utilizzo in senso inverso, per aiutare a riscoprire i sentimenti più lontani
nel vissuto.
45

Mulia e Apprendista delfino.

Cosa mi avesse portato in quel luogo ancora non lo so. Per uno strano percorso fatto a ciottoli
scuri, prima più piccoli, poi, sempre più grandi, ero arrivata lì.
Il costone si stagliava a picco sul mare, ad una decina di metri da scogli di lava nera. Con i
piedi nell’acqua resa gelida dalla sorgenti sotterranee, ammiravo meravigliata la Timpa
verdeggiante. Ero giunta scendendo il crinale, seguendo stradine declinanti a rampe gia
tratteggiate, tra fichi selvatici, tamerici, mimose. L’estate del caldo addosso, stimolava il
desiderio di ombre e di frescure. Mi ero fermata a bere ad una fontanella, lungo
quell’itinerario naturale di oasi protetta. Le ciabatte di suola, poco adatte, scivolavano sui
ciottoli lisci e neri, lucenti; l’erba giallo arida, a separarli e a fare da contrasto cromatico.
Però, pensavo, Ne valeva la pena! Sola, molto sola, in compagnia. Il senso della solitudine è
qualcosa di soggettivo. Credo che per me venisse, in quel momento, dal contatto istintivo,
viscerale, con il non amore.
La chiamano intelligenza emotiva. Io credo che sia un canale diretto, attivo per attitudine, e
poi addestrato necessariamente dal vissuto, e perciò non obiettivo, non razionale. Credo però,
che la capacità di raziocinio, possa anche mentire, la pancia no: quando fa male, quando è il
disgusto che sale, allora è proprio non amore. Bisogna lasciargli espressione e si svelerà. A
me ha riportato la percezione quasi metafisica di una tossicità difficile da sanare. L’antidoto
non è a portata di mano quando serve, mentre chi ti avvelena, sadicamente cosciente di farlo,
rimane al tuo fianco e sorride fingendosi innocuo. L’unica soluzione è prendere la distanza e
non solo emotiva. Lasciare l’untore al suo problema irrisolto. Non si può pensare di poter
aiutare chi nel frattempo sta sfruttando cose e persone per proprio nevrotico tornaconto.
Bisogna uscire da quel gioco sado-maso, farlo in fretta, per curare un infezione che può,
metaforicamente e non solo, trasformarsi in cancrena. Uscire dal gioco vuol dire
smascherare chi ti avvelena.
Ero lì, dentro l’acqua gelida della Timpa, con negli occhi ancora la meraviglia di quel luogo
che univa paradossalmente e selvaggiamente gli opposti della natura, nel ventre il non amore.
Fu allora che cominciò. Un vortice freddo, di ghiaccio, mi portò via, inabissandomi: giù,
sempre più giù, fuori dalla coscienza e dal tempo. Probabilmente lo volevo per capire. Nel
blu tutto spariva, non so dire quanto durò. So solo che mi parve ad un tratto di scorgere un
isola nell’oceano, mentre l’onda mi riportava per un attimo su per poi tornare ad inabissarmi.
Credendola “L’isola che non c’è” dove tutto fosse possibile con l’immaginazione della
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fanciullezza, la cercai. Le forze erano ormai al limite. Fu allora che me lo trovai accanto. Era
un giovane delfino bianco, mi scuoteva con il muso per farmi riprendere i sensi, era un tocco
lieve, giocava quasi con me. Saltava accanto con abili e agili piroette e poi veniva giù, a tuffo,
sollevando schiuma bianca che sollevava me, tanto da farmi galleggiare. Avevo risposto al
suo tocco con una carezza di gratitudine e mi ero appoggiata alla sua pinna. Era
incredibilmente felice e me lo trasmetteva telepaticamente. Com’era possibile ciò? Mi disse
che voleva raccontarmi la sua storia, pregandomi di scriverla, un giorno, come sapevo fare,
colorandola a strati di piccoli punti, improvvisamente, volutamente coincisi, come un artista
del pennello che lascia all’osservatore la libertà di trattenere ciò che vuole dal suo lavoro, e lo
rende possibile preimmaginando e creando mille sintonie di comprensione per chi osserva,
lasciando la possibilità soggettiva di svilupparne il tema. Quel giorno è oggi e la storia è
questa.
Tanti anni prima aveva scelto il mare. Si era tuffato di slancio e a capofitto. L’acqua l’aveva
accolto in un abbraccio. Lo aveva, quell’amorevole azzurro, circondato, dato sostegno e
nutrimento.
Apprendista Delfino saltava, ferito, solo. Muliava per un dolore che nessun altro, fuorché se
stesso, poteva conoscere. Era riuscito anche questa volta a fuggire le reti, pur avendo scelto
per primo di entrarvi per il seguire il suo amico, Delfino n. 1, come lo chiamava
affettuosamente quando ancora giocavano nell’acqua.
Avevano cercato di arpionarlo, lo avevano colpito vicino al cuore, cuore generoso, pur se di
apprendista. E quando quei pescatori urlanti, si erano accorti di non poterlo catturare, avevano
cercato di allontanarlo, tirandogli dietro le pietre che portavano in barca.
Apprendista Delfino aveva lottato con tutte le sue forze per quell’amicizia.
Non voleva abbandonare al suo destino Delfino n. 1, caparbiamente, con tenacia, voleva a
tutti i costi aiutarlo per salvargli la vita. Poi con il suo fine udito aveva percepito la verità:
l’amico non lottava più, aveva rinunciato alla vita, accettava passivamente la rete e la gabbia
che si restringeva sempre più attorno a lui. Si dirigeva ormai senza orientamento alcuno verso
la camera della morte, come un tonnetto.
Apprendista capiva che restare avrebbe significato accettare la stessa morte ed egli voleva
vivere! Aveva ancora tanto da nuotare, guizzare, giocare con i suoi amici più generosi. Era
stato inutile comunicare tutto ciò all’amico, n. 1 non amava abbastanza il mare da desiderare
sguazzarci dentro pienamente. Come aveva potuto , si chiedeva Apprendista, pensare
invitante una gabbia, tanto da finirci dentro, quando avrebbe potuto avere a disposizione un
oceano per nuotare? Apprendista amava l’oceano ed odiava le gabbie. Quando lo aveva visto
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arpionare, tirare, strattonare, senza alcuna pietà, aveva pianto. Aveva, incurante della propria
ferita, continuato su e giù, cento, mille volte, tra le onde rossastre, come impazzito di dolore.
Aveva cercato di seguirlo mentre lo trascinavano via. Aveva rischiato la propria vita, come
solo un buon amico può fare ed aveva esaurito l’ energia rimasta avvicinandosi
pericolosamente alla riva. Non voleva abbandonarlo al suo destino, ricordava quella
vibrazione che aveva ricevuto, per quella l’aveva seguito, senza sapere dove lo avrebbe
condotto. Quel richiamo era stato vano e così me ne parlava: “Un lampo mi saettò dentro
squarciandomi il cuore. Poi il tuono ed il buio. Lo stesso sceso dentro n. 1, finito, morto lì”.
Mi disse di averlo visto trascinare per l’ultima volta, sui sassi colorati e minuti di quella riva,
ancora imbrigliato, il sangue nelle orbite opache. Restai ad ascoltare ancora il suo racconto:
“Era tempo per il delfino ferito ma vivo di tornare a casa”. Apprendista si era allora
allontanato sempre più, di una distanza infinita tra terra e mare. L’oceano lo aveva accolto e
come un figlio, curato amorevolmente, perché gli apparteneva. Poi mi disse che questa storia
andava raccontata come una fabula, ma senza morale, e me ne spiego il motivo, dicendomi
che i delfini non hanno regole se non quelle dettate dall’amore. Era molto sicuro di questo,
aggiunse: “La regola è la non regola”. Mi pregò di concluderla dicendo che nella sua storia
non c’erano né vincitori né vinti, né giusti né colpevoli. C’era in essa molta miseria ma anche
tanto amore ed era stato questo che lo aveva guarito.
Quando ebbe finito di parlarmi, mi aveva già condotta ad una nuova spiaggia. Lo avevo
accarezzato, grata, sulla testolina a punta, avevo toccato ancora naso e pinne in un abbraccio
oltre l’umano sentire. Lo ascoltavo ridere, ridere forte, felice, per avermi riportata in salvo. Mi
salutava spruzzando e mi presentava ai suoi compagni, lì intorno adesso a far mostra di salti
mortali e giravolte, girandole e suoni, che si rincorrevano, si accavallavano vibrazione su
vibrazione a creare nuova musica, meraviglia del creato e del creatore. Era arrivato il
momento dei saluti, spumeggiando ancora, mi lanciarano al volo, al guizzo anzi, un “A
presto”. “A presto” avevo risposto, amici miei. I miei piedi tornavano a toccare la sabbia
calda e sedendomi potevo ancora, farmi accarezzare dal sole, ancora un po’, prima di
riprendere il viaggio.
In questo racconto viene utilizzato il vissuto come ponte tra realtà e fantasia. La metafora può
come viene scritto “dipingere” delle scene con i colori del sogno, affinché ci sia più libertà di
dire o non dire….. Si può utilizzare dove si ritiene necessario.
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Comincia così

Veder morire chi ti è caro, lasciarlo andar via, ogni giorno un po’ di più. Insieme, pur mano
nella mano, imparare come si fa. Ci provavo con mio padre, tra il letto e l’armadio…fino alla
fine.
Il suo giardino non esiste più. La bella casetta, i suoi fiori, fanno già parte di uno scorcio di
vita vissuta, superata, perduta, forse. In quel forse mi giocavo quello che restava e poco
importava se quello che rimaneva era la mia di vita. Ostinatamente fluiva ancora, senza una
ragione apparente, senza senso. Quasi per dispetto.
Il primo periodo sembrava quasi irreale: tutto era possibile. Sentivo le voci per un miracolo
allucinatorio che mi riportava chi non c’era. Sentivo l’odore sul maglione che indossavo
l’ultima volta che lo avevo abbracciato ed invece era lì, nelle mie narici, impossibile non
sentirlo. Sui polpastrelli ancora la pelle del suo viso, le palpebre, le ciglia che accarezzavo
nell’ultimo istante. Ancora, succedeva ancora, pensavo tremando: Mio padre come mio
marito.
Continuo a farlo con chi amo: vorrei tenerlo con me in una carezza che potesse durare per
sempre. Trasmettergli senza parole, quanto sia preziosa per me la sua vita, con tutto l’ amore
di madre, di figlia, di donna, di amica, che fin lì ho imparato. Quell’ amore sarà per sempre
con me, qualsiasi cosa farò, ovunque andrò.
Buttavo via i vestiti, decidevo di cambiare casa, città; dicevo addio a mobili e pareti, dicevo
addio a tutto e mi sembrava che mi stessi strappando a pezzi l’anima. Niente mi sarebbe
rimasto?
Veder morire chi ti è caro è meno doloroso del non vederlo morire?
Non avevo visto morire mio marito, due anni prima. Quello “ A presto” e il suo sorriso
dietro la porta di una sala operatoria, per un intervento urgente “salva vita”, improvviso,
assurdo, come il suo esito mortale. Un “A presto” diventato un “ mai più”.
Le due persone che amavo di più, oltre i miei figli, i miei punti di riferimento, mi lasciavano
in un arco temporale troppo breve per non cumulare i due dolori, lungo uno stesso circuito,
destinato ad andare in corto. Tutto era saltato e niente più sarebbe tornato a posto. Quale
posto? Non certo quello fisico tra maglioni e lenzuola. Il posto della vita e quello della morte
che si faceva spazio sottile, si incuneava tra le viscere dolenti e diventava corpo di dolore. E
quel corpo era il mio. Il luogo fatto carne. Ferita dell’anima che urlava di solitudine attraverso
il trauma fisico di chi non disponeva altro per gridare. Di chi non aveva voce. Figlia,
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piangevo mio padre, mentre i miei figli piangevano il loro. E tutto si mescolava per me,
madre, moglie, figlia,mentre intorno a me c’era solo miseria interiore di chi non poteva e non
voleva capire. Di chi non voleva esserci. Restavo lì, con i miei figli, perché solo tra noi ci
“riconoscevamo”.
Comincia così la vita dopo la morte, con un urlo che ti trafigge il cuore e ti lacera i polmoni, ti
fa tremare convulsamente quando sei a letto e ti spinge a fumare spinelli quando sei sveglio.
Io e i miei figli, solo noi rimasti a capire, eppure non c’era più il ”noi”, era andato via per
sempre, con il loro papà, il loro nonno ed il mio compagno. Catenella di affetto alla quale
avevano rubato le maglie più colorate e noi, lì, a cercare di riattaccarle cocciutamente. Alla
fine mi ritrovavo tra le mani un Rosario nero che non volevo tenere: non mi apparteneva.
Comincia così la vita dopo la morte. E’ passato un altro anno di prove ed errori. L’autonomia
ha bisogno di tempi lunghi. Il lutto ha bisogno di tempi fisiologici per essere elaborato in una
nuova rinascita interiore, il dolore di essere articolato in ogni sfaccettatura.
A distanza di qualche anno mi accorgo che ogni passo, fatto da me, sola o con i miei figli, ha
comportato scelte difficili, gravi rinunce. Le persone più care, amici, familiari, il cui affetto
pensavo fosse impossibile perdere, sono andate via, lontano, a cercare altre uscite dai loro
labirinti.
Persone sconosciute hanno condiviso questa transazione con noi, dandoci, alcuni di esse,
tutto il bene, ed altre tutto il male del mondo.
Il bene dei “Figli di Dio” la comunità cattolica fondata da Don Divo Barsotti, mistico, uomo
dal sentire fanciullo. Al mio dubbio: “Quando hai creato un realtà nuova, come hai capito che
non era solo una tua velleità?” la sua risposta gioiosa, mentre mi guardava profondamente
negli occhi e mi bucava l’anima con un sorriso: “ Opera Sua e non tua”. Con lui, un
anno fa, tra i monti dell’ Asiago, la vita sembrava finalmente sorridere. Pregavo con questi
fratelli in Spirito con la liturgia delle ore, ed era bello e facile lodare Dio, mentre avevo
ancora paura di sperare. La speranza dopo appena un mese sarebbe naufragata per l’altrui
miseria ed egoismo.
Il bene di Nicola Ferrari, conosciuto per caso sul web con l’Associazione “ Maria Bianchi”
che trattava l’accompagnamento nelle malattie terminali e delle persone in lutto. La sorpresa
piacevole e il rinforzo positivo di incontrare, pur se così lontano, chi sentivo così vicino nel
trattare le miei stesse tematiche dell’elaborazione della perdita. Sentirmi non più la sola a
credere possibile la creazione di un gruppo di auto aiuto, anche on line e di un sito web.
Conferma di aver scelto, per consapevolezza personale, l’efficacia della scrittura creativa che
definivo metodo di autoguarigione. Il suo amore per l’arte mi riportava il mio, sopito. Il
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confronto sincero come costruzione e ricostruzione del sé. In quella desolazione pensare
ancora che il mio progetto potesse essere realizzabile: aiutare se stessi, aiutando gli altri. Il
credere che tutte le mie esitazioni e le crisi personali non fossero energie sprecate.
Il bene dei colleghi, conosciuti nel mio nuovo ambito di lavoro, la biblioteca della Facoltà di
Architettura, che mi permetteva di sopravvivere economicamente. La loro carica umana, un
universo da scoprire o, semplicemente, comprendere. Un nuovo quotidiano, fatto di sorrisi e
battute scherzose, qualche battibecco inevitabile. Il doversi cimentare in una esperienza
lavorativa, forse superiore alle forze emotive del momento, impegnando al massimo la poca
energia fisica e mentale per reggere un confronto umano e professionale.
Il bene degli studenti, più o meno carini, allegri o stanchi a secondo dello scadere degli
appelli universitari, sempre attenti a valutare la competenza. Mettere a frutto quello fin li
avevo imparato sulle abilità sociali. Ricordare il nome o il cognome di ognuno, per non farli
sentire soltanto numeri di matricola ma persone importanti, a cui è diretto un servizio.
Comunicare con empatia ed ascoltare attivamente le loro richieste mi stimolava. La città della
montagna rosa di Vittorini, si faceva oggetto bibliografico e Ortigia usciva dal passato,
vincendo la mia voglia di dimenticarla, perché troppo carica di ricordi. Il bisogno di
conoscenza di questi ragazzi, era servito a superare i miei limiti.
Il bene dei pochi amici della nostra famiglia, rimasti, che decidevano, con affetto immutato, di
starci ancora accanto nella difficoltà. Loro sono stati la dimostrazione concreta del vero
valore dell’amicizia.
Il bene dei pochi nuovi amici, conosciuti veramente nel e per bisogno familiare, cari, per
questo, mille volte più cari, perché non erano fuggiti, come gli altri, ci avevano teso la mano,
semplicemente, fregandosene del resto.
Gli esclusi, quelli che ci avevano venduti e regalato a piene mani l’abbandono, l’offesa
umana e cristiana, la disonestà bieca; coloro che ci avevano messi in croce, che avevano
piantato i chiodi, perché eravamo senza difese e fragili, perché eravamo teneri, fiduciosi e
bisognosi di affetto; coloro che sapevano facendolo, di distruggerci e lo avevano compiuto,
senza scrupoli e tentennamenti; loro non meritavano menzione.
Comincia così la vita dopo la morte, come una nascita; con un urlo che prova ad uscire, si fa
aria e i polmoni imparano a respirare autonomamente; diventa pianto dove annegare o
imparare a stare a galla.
Il desiderio di avere un compagno, diventava fonte ulteriore di errori, perpetuando la mia
attitudine a farmi ferire. Pensavo; almeno i morti riposano! Beati loro!
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Ero qui, respiravo piano, molto piano ancora, l’ultima avventura mi aveva lasciato sfinita.
Con i miei figli ci scambiavamo i ruoli di tanto in tanto ed imparavamo ad essere genitori di
noi stessi, inventavamo, momento per momento una nuova dinamica familiare, sgangherata.
Loro provavano ad impegnarsi ed io, guardandoli, ringraziavo il cielo di non aver finito per
distruggerli. Dal cassetto dove avevo conservato con un ghigno la mia morte in pillole,
pensando che ci sarebbe stato sempre tempo, avevo ritirato fuori il mio progetto di gruppo di
auto aiuto, al quale avevo dato il nome di mio marito. In fondo non lo avevo mai messo da
parte. La tematica dell’elaborazione della perdita è, a parer mio, di importanza vitale.
Penso che sia una conquista, un bene imprescindibile per vivere rapporti significativi, fondati
sulla condivisione di valori immutabili. Credo che il modello liberista, spacciato per nuovo
stile sociologico, sia solo un modo di allucinare ed abbagliare chi ha poca autostima, chi
confonde e mette insieme, amore, sesso, carriera e poi per mettersi a posto la coscienza
chiama questa paccottiglia, oscena o scema, amicizia. Questo nuovo “oppio dei popoli” ha
degli spacciatori che usano i mass media come canali di distribuzione, creando
teledipendenti, “figli” di soap opera e “amici” di falsi talent scout, che sfruttano il disagio
esistenziale di giovani ed adulti ”sballandoli” di illusioni. Cosi viene creato il disagio per
fornire soluzioni consumistiche. In un contesto familiare, messo così a dura prova da tali
condizionamenti, la perdita o peggio il lutto trova impreparati. La scarsa capacità di gestione
personale diventa incapacità di elaborazione del vissuto che resta inscatolato, compresso,
pronto ad esplodere nella patologia conclamata o nella depressione cronicizzata o nell’abuso
di qualsiasi tipo di droga: cibo, psicofarmaci, sesso, drinks e la classica “roba”. Si sommano
problemi su problemi che hanno necessità di trovare soluzione per tappe. L’intervento a quel
punto interessa diversi livelli cognitivi e metacognitivi. Il gruppo di auto aiuto non può
sostituirsi ad una terapia né psichiatrica né psicoterapeutica ma può essere un approccio
semplice, per fornire nuovi modelli di stili di vita alternativi, basati sulla condivisione dei
sentimenti, sullo scambio di esperienze vissute, che abbiano avuto riscontri positivi,
dimostrabili proprio con la vita di chi ha superato il trauma e si pone compagno d chi ancora
vacilla.
Decido di formarmi professionalmente per fare ripartire il gruppo in futuro, in maniera più
responsabile e attenta possibile al rispetto del dolore altrui. Vorrei che fosse contenitore e
spazio per l’urlo di chi pensava di non avere voce. Vorrei che fosse spazio gestazionale per
chi vuole credere nella propria rinascita. Per farlo frequento un corso di counseling che mi
fornirà un approccio teorico transazionale e gli strumenti tecnici idonei a facilitare la
comunicazione autentica intra e inter personale. Se Dio vorrà, tra qualche anno ancora,
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proverò a prendere la laurea in psicologia. Forse è così che può anche cominciare la vita dopo
la morte. Chissà!
Penso a mio padre e a mio marito. Probabilmente se fossero qui non condividerebbero molte
delle mie scelte. Magari in un’altra dimensione dovrebbero aver capito che la mia
ragionevolezza non è mai stata la loro. Penso che possano ancora rattristarsi per me, quando
mi vedono piangere disperata ed impotente nei confronti della mia fragilità vitale. Come nella
poesia di Neruda:
Se muoio sopravvivimi, con tanta forza pura
che tu risvegli la furia del pallido e del freddo,
da sud a sud alza i tuoi occhi indelebili,
da sole a sole suoni la tua bocca di chitarra.

Non voglio che vacillino il tuo riso né i tuoi passi,


non voglio che muoia la mia eredità di gioia,
non bussare al mio petto, sono assente.
Vivi nella mia assenza come in una casa.

E’ una casa sì grande l’assenza


che entrerai in essa attraverso i muri
e appenderai i quadri nell’aria.

E’ una casa sì trasparente l’assenza


che senza vita io ti vedrò vivere
e se soffri, amore mio, morirò nuovamente.
Vorrei che la mia vita cominciasse oggi e poi ancora domani in un eterno presente che non
conosca morte. Vorrei scoprire la leggerezza di vivere senza limiti, esistere al di là di tutto e
di tutti, senza mai calpestare l’affetto e la fiducia. Vorrei L’allegria di un rapporto pulito che
si reinventa e mi permetta di sperimentarmi come donna, come anima libera e viva in un
profondo rispetto. Comincia così.

Qui viene utilizzata l’autobiografia..


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CAPITOLO 7

LA COMM VIRTUALE
7.1 cuoreacuraacuore: spazio web autogestito.

Da: SERENELLINA_1 (Messaggio originale) Inviato: 08/06/2006 22.36

vi metto la foto La sua storia si la storia di mia mamma........


ricapitolando per capirci meglio........
tornando indietro con il tempo e cioe' sua mamma ( mia nonna ) era incinta
di lei appena sei mesi parte suo papa' per cercar lavoro in america...con la
nave ahime' appena giunto li non e' passato tanto tempo il cuore non resse
un infarto mori' ,la nave che ci ha messo un mese per arrivare le e' venuto
il mal di mare...inizio' il calvario per mia nonna ,e' nata mia mamma
ma piu' passavano i giorni mia nonna e piu' lei si distruggeva dal dolore ...
appena un anno ci lascia pure lei e 4 figli.......,mia mamma inizio' la sua
vita lha cresciuta una sua cugina che non aveva figli ma le sorelle vennero
separate e per molto tempo non si videro....,e' cresciuta non come
figlia loro ma come una serva le insegno' tutto dalla vita a ricamare,
insomma a quei tempi era cosi....le responsabilizzavano da subito sin
da piccole a lavare i piatti, ebbene all'eta' di 29 anni mia mamma
conobbe al mareun ragazzo che poi in futuro e' diventato mio papa' a quei tempi
non e'come oggi ci si stava mooooolto distanti seduti a tavola l'una
dall'altro ..... ,ebbene a 30 si sposa, cambio' paese mia mamma
e cambio' tutto da dove lei ha vissuto, nemmeno 6 anni di
matrimonio mio papa' si ammalo' nel frattempo io avevo 5 anni
e mia sorella 4 e lui mori', li un'altro calvario per mia mamma
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la vedete ? quando le cose non andavano

per il verso giusto mia mamma

prendeva a pugni questo quadro...io

li a guardarla e a piangere insieme a lei

a capire e capii benissimo tutto quando

feci la prima comunione e cioe' iniziai a vederci chiaro ....

Ebbene lei riusci' a crescerci a tutti e due sorelle....

sebbene fosse un po severa nei nostri confronti...

comunque ci sposammo io ebbi 4 figli maschi

e lei una coppietta maschio e la femminuccia

mentre le cresceva la nipotina che aveva 7 anni mia mamma

ha avuto un ictus che la paralizzo' tutta la parte destra

ed io a pregare che si riprendesse ci era riuscita a guarire

ma dopo un anno un'altro ictus e da allora

e rimasta paralizzata da non poter essere piu'


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autossufficiente e cosi da allora io e mia sorella

ci aiutiamo a vicenda ,quest'anno non l'ho avuta a casa mia

perche' ho dovuto operare il mio quarto figlio...con problemi

di crescita altro problema altro calvario per me...

insomma ragazzi ormai io sono abituata

alle sofferenze, ma Dio mi da' la forza

e il coraggio di non abbattermi e di aver quello

spirito di andare avanti e di sperare sempre per il meglio....

e che tutti i sacrifici che io faccio sono

ricompensati chiudo qui....ciao Sere....

Da: SERENELLINA_1 (Messaggio originale) Inviato: 08/06/2006 21.38

CARO PAPA'........
QUESTO GRANDE AMORE ANCHE SE SON DURATI
SOLO CIRCA SEI ANNI DELLA MIA VITA INSIEME A TE....
ANCORA OGGI SEI DENTRO LA MIA MENTE E NEL
MIO CUORE MAI DIMENTICHERO' QUEI RARI
RICORDI CHE HO SU DI TE....E DI QUELLE PAROLE
SUSSURRATE SOTTO L'ALBERO DEI FIORI
DI MANDORLO CHE EMANAVANO DEL PROFUMO
COSI IMMENSO E PIACEVOLE MI DICESSI
" FIGLIA MIA CRESCERAI DIVERRAI UNA BELLA
SIGNORINA E ALLORA CONOSCERAI UN PRINCIPE
CHE POI DIVENTERA' TUO MARITO " IO QUEL
GIORNO SARO' A FIANCO A TE PER ACCOMPAGNARTI
ALL'ALTARE TI PORTERO' QUESTI FIORI PROFUMATI....

..... QUEL GIORNO ARRIVO'.....


ED IO ....
ALL'ALTARE RICORDAI QUELLE PAROLE
SUSSURATE DA TE E DAL VISO SCESERO
LACRIME DI TRISTEZZA PERCHE' NON ERI LI...
E DI GIOIA PERCHE' SI SONO REALIZZATI
COME TU VOLEVI.........
ALL'ATTESA DEL SECONDO FIGLIO
TU VENISTI IN SOGNO E DICESSI
"METTIGLI IL NOME MIO A QUESTO
FIGLIO CHE METTERAI AL MONDO....."
E COSI FECI...ED ORA SON SICURA CHE
SEI VICINO A ME COME A LUI..........
SEMPRE A PROTEGGERMI E A TRANQUILLIZZARMI
ED IO SONO FIERA DI TE HO SEMPRE IL PAPA'
VICINO E MI VUOLE SEMPRE BENE..........
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ED IO A LUI..........

AVEVO SEI ANNI QUI ERO CON MIO PAPA'.....L'UNICA


FOTO CHE HO SU DI LUI ....
E DA ALLORA SOLO DEI RICORDI MI E' RIMASTO.
E TANTA SOFFERENZA MI MANCA TUTT'ORA.......
SERE.......

i fiori sono la mia unica risorsa rimasta ...quei profumi


per pensare sempre a te caro papa'........
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Seduta sola nella platea fisso il palcoscenico


ormai vuoto; ho appena assistito alla
rappresentazione della mia vita e provo
un incolmabile senso di abbandono e di
distacco da tutto cio' che mi circonda.
La luna e' alta nel cielo nero della notte ;
la sua luce fioca gioca con cio' che rimane
di quel teatro greco , in cui altri hanno
condiviso le emozioni proposte da mille
tragedie o commedie comiche li' recitate.
La pietra di quei ruderi a tratti riflette,
ma piu' spesso assorbe i raggi astrali,
creando ombre che si perdono nel buio.
Rifletto su cio' che ho rivisto: lunghi tempi
di lotta contro un destino segnato dalla
malattia, pause di giochi illuminati
dall'amore e ora la scena e' vuota.
Il mio cuore e' stretto dalla morsa dei ricordi
e profondamente mi attanaglia
la tristezza.
All'improvviso dal proscenio una voce prima,
un'immagine dopo risvegliano i miei sensi;
non c'e' sorpresa in me, perche'
questa figura , appena apparsa, la conosco
da sempre.
" Dada -mi dice- cio' che hai visto e' la
fine di una parte, ora aspetti di vivere
l'inizio".
Le sue parole non sono altro che le mie parole
e la sua immagine non e' altro
che la mia immagine; cio' che sento e'
il bisogno di ritrovare me stessa.
DADA
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Da: dada (Messaggio originale) Inviato: 16/01/2006 14.05

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Da: Apprendistadelfino Inviato: 17/01/2006 20.24

Il teatro greco di Siracusa, il luglio trascorso: ANTIGONE. Una giovane donna


nella polis.

Da: Apprendistadelfino (Messaggio originale) Inviato: 19/01/2006 14.05

Da: Magodellapioggia4
Inviato: 16/01/2006 10.30
apprendistadelfino,
capisco il tuo punto di vista: tante decisioni apparentemente libere sono automatismi derivati
da esperienze lontane, dimenticate dalla memporia esplicita ma iscritte a fuoco nei nostri
comportamenti e, spesso, nel nostro corpo. rispetto alle relazioni chat, relazioni di una notte e
via dicendo, quello che mi chiedo io è: qual è la paura che impedisce di portare avanti quelle
relazioni in modo più continuativo e stabile? non mi sento di giuducare, solo mi fermo in
silenzio davanti a tante persone spaventate dall'intimità, che temono, non lo so, forse di
perdersi nel contatto con l'altro, di non essere più libere... che dire...
in ogni caso, penso davvero che "omnia munda mundis", ogni cosa è pura se fatta da persone
pure... penso che se una persona fa qualcosa nel rispetto di ciò che sente e nel rispetto
dell'altro, se è in buona fede, autentica e onesta nel momento in cui lo fa, niente sia spregevole
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Da: Apprendistadelfino
Inviato: 18/01/2006 20.24
si hai centrato il bersaglio:paura dell'intimità. ci sarebbe tanto da dire in merito. Cos'è intimità
ad esempio. Penso che a volerla definire( che già è volerla restringerne il senso, a parer mio),
già si darebbe il via a molte possibili interpretazioni soggettive. figuriamoci poi se dovessi
parlare di una ingiunzione trasmessa a molti piccoli dai genitori o persone che avrebbero
dovuto fornir loro una base sicura da cui partire alla scoperta del mondo e delle sensazioni
piacevoli dell'avventura e poi del tornare a casa. Che pasticcio quando si incontrano persone
che sono cresciute con un messaggio interiore, così ben nascosto nel profondo: "non essere
intimo"....molti sono in chat...molti li incontri nella vita reale...appena provi ad avvicinarti un po
di più, reagiscono senza saperlo per farti allontanare. sono consapevoli solo in parte di questo
gioco crudele verso se stessi e verso chi potrebbe voler loro bene, se ne avessero la
possibilità. Ma loro non possono permetterselo.
xofia
60

Da: dada Inviato: 17/02/2006 17.24

A DELFI.....GRAZIE

Da: Apprendistadelfino Inviato: 17/02/2006 23.11

delfi sempre delfi fortissimamente delfi!!!!!!!!!!!!


ah,sguazzare per mari...( appunto….. Mari!!!!) questa si che è vita!!!!!!!
xofia

Da: Apprendistadelfino (Messaggio originale) Inviato: 11/01/2006 20.52

L'intelligenza, l'istinto, l'esperienza, la conoscenza del prossimo, la precauzione, un cauto


pessimismo, tutto questo deve essere il filtro che ci mette al riparo da sorprese nel web come
nella vita. Mi aspetto poco in genere e cerco di mantenere il piatto della bilancia dalla mia
parte: meglio avanzare un favore che doverne uno. Aspettandomi poco mi riparo dalle
delusioni ed ogni cosa che ricevo è un meraviglioso dono inaspettato.

Roberto
26/01/2005

Caro Roby, per avermi trovata, grazie, se sei con Calo sarete penso buoni amici.
xofia
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Da: dada (Messaggio originale) Inviato: 07/01/2006 18.40

IL dolore
Mi ricordo il dolore,
quel male sordo,
profondo,
che mi offuscava il cervello,
ma oltre al cervello
il cuore,
accecato,
urlava la sua rabbia:
E'mio!
E' mio!
E' il mio questo dolore,
non puoi mitigarlo donna,
amico,
madre,
padre,
fratello!
Poi ho chiuso gli occhi
e ho chiesto
perche'?
Perche' mille calabroni
mi torturano l'anima?
Perche' mille cani
mi dilaniano il fegato?
Perche' Dio mi hai fatto questo?
Ma lui non rispose
e quando riaprii gli occhi
mi guardai attorno
e vidi
per la prima volta
cio' che mai avevo guardato
e che mai avrei guardato
se non avessi compreso,
forse tardi,
che questa era la strada
e questa la meta
e dissi grazie,
grazie donna,
amico,
madre,
padre,
fratello,
Dio,
grazie dolore!
Ma il dolore non rispose
perche' era talmente piccino
che non aveva piu' voce...
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Dal libro "LA BICICLETTA ROSSA e altre impressioni"


di Roberto Putzolu

Da: Apprendistadelfino (Messaggio originale) Inviato: 11/02/2007 20.13

SAI CHE C’È….SIAMO DELFINI

Tanto tempo fa
un grande filosofo indiano
scrisse " Nel mare della vita
i fortunati
vanno in crociera
gli altri nuotano
qualcuno annega "

Ehi capitano mio


vado giu'
non e' blu questo mare
non e' blu
tra rifiuti pescecani ed SOS
vado alla deriva sto affogando

Che cacchio stai dicendo


affoghi in un bicchiere
sai nuotare come me piu' di me
ce la fai se lo vuoi si che puoi
prendi fiato e vai
vai che ce la fai

Sai che c'e'


non ce ne frega niente
dei pescecani
e di tanta brutta gente
siamo delfini
e' un gioco da bambini il mare

Ehi capitano mio


c'e' una sirena
dice che mi ama
forse crede non lo so

lo saprai se anche tu l'amerai


non ci si nega mai
a chi dice si'
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dille di si' si' si' si'

Sai che c'e'


non ce ne frega niente
sirene o no
noi ci innamoriamo sempre
siamo delfini
giochiamo con le donne belle

Sai che c'e'


non ce ne frega niente
il mare e' un letto grande grande
siamo delfini
e' un gioco da bambini il mare

Mare facci sognare tu


nei tuoi fondali verdi e blu
quanti tesori immersi
sommersi

Ehi capitano mio


siamo accerchiati
da cento barche
arpioni ami e cento reti

fuggi via tu che sei piu' veloce


mi hanno solo ferito
ma sopravvivero'

Sai che c'e'


non ce ne frega niente
la vita e', e' morire cento volte
siamo delfini
giochiamo con la sorte

Sai che c'e'


non ce ne frega niente
vivremo sempre
noi sorrideremo sempre
siamo delfini
e' un gioco da bambini il mare

Sai che c'e'


e' un gioco da bambini il mare

Domenico e Massimo Modugno


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Conclusioni

Alla fine di questo percorso durato tre anni, di studi, di terapie e supervisioni, di risate tra
colleghi, sconosciuti fino a poco tempo fa, di lacrime anche, sì, perché non è facile crescere, e
non è facile mettersi in gioco (non quelli nevrotici di Berne!) come faccio io, per carattere e
un po’ per sana follia!!!....uhmmm…non sempre sana….

Alla fine , nel momento di presentazione di questo elaborato, penso che tutto quello che avevo
da dire non lo ho ancora detto….come quel tal Nazim Hikmet, poeta turco del mio cuore.

Ringrazio i miei colleghi, i miei docenti, e il mio terapeuta con la quale ho intrapreso un
viaggio da apprendista delfino, il mio nickname, nella Comm, ….e ringrazio Ignazio Buttitta
poeta della mia terra che mi ha suggerito con il suo MULIARE: mi ha trasmesso il fluire dei
delfini, quelli che lui sentiva nel suo cuore. Spero che Mulia un giorno, possa diventare un
delfino bellissimo e che non si sentirà mai più Maridda, come piccola amara….ma Maria
come grande gioia……

Ringrazio i miei figli che mi hanno dato la vita, dopo che io l’ho data a loro. In fondo, ne
siamo artefici insieme.

Ringrazio coloro che mi sono stati vicini, con pazienza e amore agàpe.
66
67

BIBLIOGRAFIA

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STEWART, I., JONES V., L’Analisi Transazionale: Guida alla psicologia dei rapporti
umani, Varese, Garzanti,2004.
69

APPENDICE

PER CONOSCERCI MEGLIO


Gruppo di auto aiuto
per l'elaborazione della perdita

Desidero avere ulteriori chiarimenti

Desidero partecipare come componente

Qualcosa di me: (risposte facoltative)


Cognome Professione
Nome Studi
Residenza
Stato civile
Età
Figli Si No
Tipo di perdita:
Lutto
Separazione
Altra
da quanto tempo?
Prevalentemente mi sento:
triste
melanconico
serio
arrabbiato
di umore molto variabile
70

alterno i momenti tranquilli a quelli di sconforto


Mi considero una persona:
introversa
estroversa
Le mie difficoltà sono prevalentemente di tipo:
fisico-pratico
burocratico-organizzativo
sociale-relazionale
emotivo
tutte

In questo momento mi sento:


in colpa
confuso
sofferente
depresso
arrabbiato
fatalista
realista
disincantato
speranzoso
in questo momento penso:
di non saper accettare questa realtà
di non riuscire ad accettare la realtà anche se ho provato
di aver perso il contatto con la realtà
di avere bisogno di un aiuto professionale
di non avere bisogno di un aiuto professionale
di avere bisogno di amici
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di non avere bisogno di nessuno


di avere perso tutto
penso altresì:
che la mia vita sia invivibile
che la mia realtà sia diversa da quella degli altri
che la mia perdita sia la più grave
che il mondo mi è ostile
che non mi meritavo tutto ciò
che non ne verrò mai fuori
che è colpa mia
che non è più possibile cambiare la mia vita
che non c'è più niente che io possa fare

Se pensi tutto questo ed anche di più:

sei una persona normale


Stai vivendo un processo che si chiama:
ELABORAZIONE DELLA PERDITA
Nessuno può cancellarne il dolore, puoi, se vuoi, con altri come te,
cercare il tuo modo adeguato per viverlo.

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