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Nuovo Politecnico 91 Einaudi 1977. 2a ed.

, 1~r

ROLAND BARTHES
SADE, FOURIER,
LOYOLA
La scrittura come eccesso
C. L. 478J-2

Non è per il gusto della provocazione che si sono riuniti nello stes-
so libro Sade, Fourier e Ignazio di Loyola, lo scrittore maledetto,
il filosofo utopista, il santo gesuita. Tutti e tre sono stati dei clas-
sificatori, dei fondatori di lingue: la lingua del piacere erotico, del-
la felicità sociale, dell'interpellanza divina. Ciascuno dei tre ha
messo nella costruzione di questa lingua tutta l'energia di un~ pas-
sione.
Tuttavia, inventare dei segni (e non, come facciamo noi tutti, con-
sumarli) significa entrare paradossalmente in quel fatto compiuto
del senso, che è il significante: in una parola, significa praticare
una scrittura. Obiettivo di questo libro non è di tornare sulle pro-
posizioni di contenuto di cui solitamente vengono accreditati i tre
autori, e cioè una filosofia del Male, un Socialismo utopico, una
mistica dell'obbedienza; ma di considerare Sade, Fourier e Loyola
dei formulatori, degli inventori di scrittura, degli operatori del
testo.
Cosf facendo credo di perseguire un vecchio progetto, di cui si
potrà cogliere l'intento teorico in questi studi concreti e speciali:
sino a dove ci consente di giungere un testo quando non si parla
che di scrittura? Come sospendere il significato (storico, psicolo-
gico, estetico) del testo, in modo da liberare le sue potenzialità
materialiste? L'intervento sociale raggiunto da un testo non con-
siste forse nell'impeto della sua scrittura, piuttosto che nell'impe-
gno del contenuto, che ne rappresenta soltanto la «caduta» stori-
ca? Come far coincidere la vecchia opera figurata e leggibile, in una
parola «culturale», e un commento nuovo a beneficio di un testo
infinito, infinitamente ricominciato, «spossessato»? R

Roland Barthes, nato nel x9r5, vive e insegna a Parigi. Delle sue opere
naudi ha tradotto Saggi critici (r966), Elementi di semiologia (x966), Crz
e verità (x969), Sistema della moda (x970), S/Z (r973), Miti d'oggi (x9
Il piacere del testo (x975).

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Titolo originale Sade, Fourier, Loyola
Copyright © 1971 Editions du Seuil, Paris
Copyright © 1977 Giulio Einaudi editore s. p. a., Torino
Seconda edizione
Roland Barthes

SADE, FOURIER, LOYOLA


La scrittura come eccesso
Traduzione di Lidia Lonzi
Indice

p.IX Prefazione
XVII Nota

Sade, Fourier, Loyola

3 Sade I
Loyola
29 I. La scrittura
30 2. Il testo multiplo
34 3. La mantica
38 4. L'immaginazione
41 5. L'articolazione
45 6. L'albero
47 7. Topiche
49 8. Montaggi
51 9. Il fantasma
54 xo. Ortodossia dell'immagine
57 n. La contabilità
60 12. La bilancia e la marca

Fourier
67 Partenze
70 Il calcolo del piacere
74 Il denaro fa la felicità
76 Inventore, non scrittore
78 Il meta-libro
So La ciabatta fiammeggiante
84 Il geroglifico
VI INDICE

p.88 Liberale?
89 Passioni
89 L'albero della felicità
91 Numeri
95 La nocepesca
97 Sistema/sistematico
99 Il party
104 Le composte
106 Il tempo che fa

Sade II
III Nascondere la donna
112 Nutrimento
113 Il nastro trasportatore
114 La censura, l'invenzione
114 L'odio del pane
115 Il corpo illuminato
116 L'inondazione
118 Sociale
119 Cortesia
120 Figure di retorica
121 La crudezza
122 La moire
123 Impossibilia
125 Il fazzoletto
125 La famiglia
126 Gli specchi
127 Il conio
127 Rapsodia
128 L'arredo dell'orgia
129 La marca
130 Il casco
131 La divisione dei linguaggi
132 La confessione
133 La dissertazione, la scena
134 Lo spazio del linguaggio
136 L'ironia
137 Il viaggio
138 Sade precursore
INDICE VII

p.138 Poetica del libertino


139 Le macchine
140 I colori
141 Scena, macchina, scrittura
144 Il linguaggio e il delitto
144 L'omonimia
145 Strip-tea~e
145 Il pornogramma
146 Il linguaggio di Agostino
147 Compiacenza della frase
147 Mettere ordine
149 Lo scambio
150 Il dettato
152 La catena
152 La grammatica
153 Il silenzio
153 Il fondo-pagina
154 Il rituale
154 Nomi propri
155 Il furto, la prostituzione
155 Sutura
156 Il filo rosso
156 Il desiderio di testa
157 Sadismo
157 Il principio di delicatezza

Vite
161 Vita di Sade
171 Vita di Fourier

173 Nota all'edizione italiana


Prefazione

Da Sade a Fourier, a cadere è il sadismo; da Loyola a


Sade, l'interlocuzione divina. Per il resto, stessa scrittura:
stessa voluttà di classificazione, stessa furia di ritagliare (il
corpo eristico, il corpo vittimale, l'animo umano), stessa
ossessione numerativa (contare i peccati, i supplizi, le pas-
sioni, e persino gli errori di calcolo), stessa pratica del-
l'immagine (dell'imitazione, del quadro, della seduta),
stessa sutura del sistema sociale, erotico, fantasmatico.
Nessuno di questi tre autori è respirabile; tutti fanno di-
pendere il piacere, la felicità, la comunicazione, da un or-
dine inflessibile, o, per essere ancora piu offensivi, da una
combinatoria. Eccoli cosi'. tutti e tre riuniti, lo scrittore
maledetto, il grande utopista, e il santo gesuita. In questo
accostamento non c'è nessuna provocazione intenzionale
(provocazione avrebbe potuto essere quella di trattare Sa-
de, Fourier e Loyola come se non avessero avuto la fede:
in Dio, nell'Avvenire, nella Natura), nessuna trascendenza
(il sadico, il contestatario e il mistico non sono recuperati
dal sadismo, dalla rivoluzione, dalla religione) e, aggiungo
(è il senso di questa prefazione), nessuna arbitrarietà:
ognuno di questi studi, benché inizialmente pubblicati (in
parte) separatamente, è stato subito concepito per ricon-
giungersi ai suoi vicini in uno stesso libro: il libro dei Lo-
goteti, dei fondatori di lingue.
La lingua da essi fondata non è evidentemente una lin-
gua linguistica, una lingua di comunicazione. È una lingua
nuova, attraversata dalla lingua naturale (o che l'attraver-
sa), ma che non si presta che alla definizione semiologica
del Testo. Ciò non impedisce a questa lingua artificiale
(forse perché fondata da autori antichi, presa in una du-
plice struttura classica, struttura della rappresentazione e
X SADE,FOURIER,LOYOLA

dello stile, duplice presa a cui cerca di sottrarsi la produ-


zione moderna, da Lautréamont a Guyotat) di seguire in
parte le vie di costituzione della lingua naturale; e nella
loro attività di logoteti, i nostri autori, sembra, hanno fat-
to ricorso tutti e tre alle stesse operazioni.
La prima è quella d'isolarsi. La lingua nuova deve sca-
turire da un vuoto materiale; uno spazio anteriore deve
separarla dalle altre lingue comuni, vacue, sorpassate, il
cui «rumore» potrebbe disturbarla: nessuna interferenza
di segni; per elaborare la lingua col cui aiuto l'esercitante
potrà interrogare la divinità, Loyola esige il ritiro: nessun
rumore, poca luce, la solitudine; Sade rinchiude i suoi li-
bertini in luoghi inviolabili (castello di Silling, convento
di Sainte-Marie-des-Bois); Fourier decreta la decadenza
delle biblioteche, seicentomila volumi di filosofia, di eco-
nomia, di morale, censurati, derisi, ricacciati in un museo
di archeologia parodistica, buoni per la distrazione dei
bambini (allo stesso modo Sade, trascinando Juliette e
Clairwil nella stanza del carmelitano Claude, vi condanna
con tratto sprezzante tutte le erotiche anteriori che for-
mano la biblioteca volgare del monaco).
La seconda operazione è quella di articolare. Niente lin-
gua senza segni distinti. Fourier divide l'uomo in 1620
passioni fisse, combinabili ma non trasformabili; Sade di-
stribuisce il godimento come le parole di una frase (pose,
figure, episodi, sedute); Loyola spezzetta il corpo (vissuto
in successione da ognuno dei cinque sensi), come ritaglia
il racconto eristico (suddiviso in «misteri», nel senso tea-
trale della parola). Né c'è lingua senza che questi segni
ritagliati siano ripresi in una combinatoria; i nostri tre
autori detraggono, combinano, organizzano, producono
incessantemente regole per «mettere insieme»: sostitui-
scono la sintassi, la composizione (termine retorico e igna-
ziano) alla creazione; tutti e tre feticisti, attaccati al corpo
spezzettato, per loro la ricostituzione di una totalità non
può essere che una sommatoria d'intelligibili: nessuna in-
dicibilità, nessuna qualità irriducibile del godimento, del-
la felicità, della comunicazione: non c'è niente che non sia
parlato: per Sade e per Fourier Eros e Psiche devono es-
sere articolati, proprio come per Bossuet (che riprende
PREFAZIONE XI
Ignazio contro i mistici dell'ineffabile, san Giovanni della
Croce e Fénelon) la preghiera deve obbligatoriamente pas-
sare attraverso il linguaggio.
La terza operazione è quella di ordinare: non piu sem-
plicemente organizzare dei segni elementari ma sottopor-
re la grande sequenza erotica, eudemonistica o mistica, a
un ordine superiore, che non è piu quello della sintassi ma
quello della metrica; il discorso nuovo è provvisto di un
Ordinatore, di un Maestro di cerimonia, di un Retore: in
Ignazio è il direttore del ritiro, in Fourier qualche patrono
o matrona, in Sade qualche libertino che, senz'altra pre-
minenza se non quella di una responsabilità passeggera e
tutta pratica, imposta gli atteggiamenti e dirige il movi-
mento generale dell'operazione erotica; c'è sempre qual-
cuno per regolare (ma non regolamentare) l'esercizio, la
seduta, l'orgia, ma questo qualcuno non è un soggetto;
direttore dell'episodio, non ne è altro che un momento,
niente di piu che un morfema di reggenza, un operatore
di frase. Cosi il rito, richiesto dai nostri tre autori, non è
che una forma di pianificazione: è l'ordine necessario al
piacere, alla felicità, all'interlocuzione divina (allo stesso
modo ogni forma del testo è puramente il rituale che ne
regola il piacere); solo che questa economia non è appro-
priativa, resta «folle», dice unicamente che la perdita in-
condizionata non è la perdita incontrollata: bisogna ap-
punto che la perdita sia ordinata per poter diventare in-
condizionata: la vacanza finale, che è la negazione di ogni
economia di ·ricettamento, si ottiene solo, a sua volta, at-
traverso un'economia: l'estasi sadiana, il giubilo fourieri-
sta, l'indifferenza ignaziana non eccedono mai la lingua
che li costituisce: non è forse un rito materialista quello
dilà dal quale non c'è nulla?
Se la logothesis si fermasse all'impianto di un rituale,
cioè sostanzialmente di una retorica, il fondatore di lingua
non sarebbe nulla di piu che l'autore di un sistema (quello
che comunemente si dice un filosofo o uno scienziato o un
pensatore). Sade, Fourier, Loyola sono qualcos'altro: so-
no formula tori (quelli che comunemente si dicono scrit-
tori). Infatti, per fondare fino in fondo una lingua nuova,
occorre una quarta operazione, che è teatralizzare. Che co-
XII SADE, FOURIER, LOYOLA

s'è teatralizzare? Non è decorare la rappresentazione, è il-


limitare il linguaggio. Benché impegnati tutti e tre, per la
loro posizione storica, in una ideologia della rappresenta-
zione e del segno, ciò che i nostri logoteti producono è
purtuttavia già testo; vale a dire che sanno sostituire, alla
piattezza dello stile (quale si può trovarla nei «grandi»
scrittori), il volume della scrittura. Lo stile suppone e pra-
tica la contrapposizione del contenuto e della forma; è
l'impiallacciato di una sostruzione; la scrittura, invece, ar-
riva nel momento in cui si produce uno scaglionamento
dei significanti, tale che non si può piu reperire alcun con-
tenuto di linguaggio; essendo pensato come una «forma»
lo stile implica una «consistenza»; la scrittura, per ripren-
dere una terminologia lacaniana, non conosce che « insi-
stenze». Ed è quello che fanno i nostri tre classificatori:
comunque si giudichi il loro stile, buono, cattivo o neutro,
poco importa: essi insistono, e in questa operazione di
pressione e di spinta non si fermano da nessuna parte; via
via che lo stile si assorbe in scrittura, il sistema si disfa in
sistematica, il romanzo in romanzesco, l'orazione in fan-
tasmatica: Sade non è piu un erotico, Fourier non è piu
un utopista, e Loyola non è piu un santo: in ognuno di
loro non resta che uno scenografo: colui che si disperde
attraverso i riflettori che installa e scagliona all'infinito.
Se dunque Sade, Fourier e Loyola sono dei fondatori
di lingua e sono solo questo, è proprio per non dire nien-
te, per osservare una vacanza (se volessero dire qualcosa,
la lingua linguistica, la lingua della comunicazione e della
filosofia, sarebbe sufficiente: si potrebbero riassumere, ca-
so che non si dà per nessuno di essi). La lingua, campo del
significante, mette in scena rapporti d'insistenza, non di
consistenza: il centro, il peso, il senso, vengono congedati.
La logothesis meno centrata è certamente quella di Fou-
rier (le passioni e gli astri sono continuamente dispersi,
ventilati), ed è forse per questo che è la piu euforica. Cer-
to per Loyola, lo vedremo, Dio è l'Impronta, l'accento in-
terno, la piega profonda, e non contesteremo questo santo
alla Chiesa; purtuttavia, presi nel fuoco della scrittura,
quest'impronta, questo accento, questa piega, alla fine
mancano: un sistema logotetico di una formidabile sotti-
PREFAZIONE XIII

gliezza produce o vuole produrre a forza di ripetizioni


sfalsate l'indifferenza semantica, l'uguaglianza dell'inter-
rogazione, una mantica in cui l'assenza di risposta con-
fina con l'assenza di rispondente. E per Sade c'è si'. qual-
cosa che equilibra la lingua e ne fa una metonimia centra-
ta, ma questo qualcosa è lo sperma' («Tutte le immoralità
si concatenano, e piu se ne uniranno all'immoralità dello
sperma piu ci si renderà necessariamente felici»), cioè alla
lettera la disseminazione.

Niente di piu deprimente che immaginare il Testo come


un oggetto intellettuale (di riflessione, di analisi, di con-
fronto, di riflesso, ecc.). Il Testo è un oggetto di piacere.
Il godimento del Testo spesso non è altro che stilistico:
ci sono felicità di espressione, e non ne mancano né Sade
né Fourier. Ma talvolta il piacere del Testo si realizza in
una maniera piu profonda (e allora si può veramente dire
che c'è Testo): quando il testo «letterario» (il Libro) tra-
smigra nella nostra vita, quando un'altra scrittura (la scrit-
tura dell'Altro) arriva a scrivere dei frammenti della no-
stra quotidianità, in una parola quando si produce una co-
esistenza. L'indizio del piacere del Testo è allora che si
possa vivere con Fourier, con Sade. Vivere con un autore
non vuol dire necessariamente attuare nella nostra vita il
programma tracciato nei suoi libri da questo autore (tale
congiunzione non sarebbe però priva di senso poiché for-
ma l'argomento del Don Chisciotte; vero è che Don Chi-
sciotte è ancora una creatura di libro); non si tratta di
operare ciò che è stato rappresentato, non si tratta di di-
ventare sadico o orgiastico con Sade, falansterico con Fou-
rier, orante con Loyola; si tratta di far passare nella nostra
quotidianità dei frammenti d'intelligibile (delle «formu-
le») usciti dal testo ammirato (ammirato appunto perché
sciama bene); si tratta di parlare questo testo, non di agir-
lo, lasciandogli la distanza di una citazione, la forza d'irru-
zione di una parola coniata, di una verità di linguaggio; la
nostra vita quotidiana diventa allora anch'essa un teatro

1 [«Le foutre», forma sostantivale del verbo, col significato di «sper-


ma», «liquido genitale», per entrambi i sessi].
XIV SADE, FOURIER, LOYOLA

che ha per scenario il nostro habitat sociale; vivere con


Sade è, in certi momenti, parlare sadiano, vivere con Fou-
rier è parlare fourierista (vivere con Loyola? - perché no?
ancora una volta non si tratta di trasportare nel nostro in-
timo dei contenuti, delle convinzioni, una fede, una Cau-
sa, o delle immagini; si tratta di ricevere del testo, una
sorta di ordine fantasmatico: assaporare con Loyola lavo-
luttà di organizzare un ritiro, di rivestirne il tempo inte-
riore, di distribuirne i momenti di linguaggio: il godimen-
to della scrittura è soffocato a malapena dalla serietà delle
rappresentazioni ignaziane).
Il piacere del Testo comporta anche un amichevole ri-
torno dell'autore. L'autore che ritorna non è certo quello
identificato dalle nostre istituzioni (storia e insegnamento
della letteratura, della filosofia, discorso della Chiesa);
non è neppure l'eroe di una biografia. L'autore che viene
dal suo testo e va nella nostra vita non ha unità; è una
semplice pluralità di «incanti», il luogo di alcuni tenui
dettagli, fonte però di vivide luci romanzesche, un canto
discontinuo di amabilità, in cui nondimeno leggiamo la
morte con piu certezza che nell'epopea di un destino; non
è una persona (civile, morale), è un corpo. Nel dispiega-
mento di ogni valore prodotto dal piacere del Testo, quel-
lo che mi viene dalla vita di Sade non è lo spettacolo, pur
grandioso, di un uomo oppresso da tutta una società in
ragione del fuoco ch'egli porta, non è la contemplazione
grave di un destino, è, fra l'altro, quella sua maniera pro-
venzale di chiamare «milli» (signorina) Rousset, o milli
Henriette, o milli Lépinai, è il suo manicotto bianco quan-
do abbordò Rose Keller, i suoi ultimi giochi con la pic-
cola biancherista di Charenton (nella biancherista è la
biancheria che m'incanta); quello che mi viene dalla vita
di Fourier è il suo gusto per i mirlitons (piccoli patés pari-
gini alle erbe aromatiche), la sua tardiva simpatia per le
lesbiche, la sua morte fra i vasi di fiori; quello che mi vie-
ne da Loyola non sono i pellegrinaggi, le visioni, le mace-
razioni e le costituzioni del santo, ma solo «i suoi begli
occhi, sempre un po' intrisi di lacrime». Perché, se per
una tortuosa dialettica è necessario che nel Testo, distrut-
tore di ogni soggetto, vi sia un soggetto da amare, questo
PREFAZIONE xv
soggetto è disperso, un po' come le ceneri che si buttano
al vento dopo la morte (al tema dell'urna e della stele, og-
getti forti, chiusi, istitutori del destino, si contrapporreb-
bero i frammenti del ricordo, l'erosione che della vita pas-
sata lascia solo qualche piega): se fossi scrittore, e mor-
to, come mi piacerebbe che la mia vita si riducesse, a cura
di un biografo amichevole e disinvolto, ad alcuni partico-
lari, alcuni gusti, alcune inflessioni, diciamo: dei « biogra-
femi », la cui distinzione e mobilità potrebbero viaggiare
fuori da ogni destino e andare a raggiungere, simili ad ato-
mi epicurei, qualche corpo futuro, promesso alla stessa di-
spersione; una vita bucata, insomma, come Proust ha sa-
puto scrivere la sua nella sua opera, o anche un film, alla
vecchia maniera, da cui è assente ogni parola e il cui flusso
di immagini (quel fiumen orationis in cui forse consiste
l'aspetto «sporco» della scrittura) è interrotto, come da
singhiozzi salutari, dal nero appena scritto delle didasca-
lie, dall'irruzione disinvolta di un altro significante: il ma-
nicotto bianco di Sade, i vasi di fiori di Fourier, gli occhi
spagnoli di Loyola.
« Solo quelli che si annoiano hanno bisogno d'illusio-
ni », diceva Brecht. Il piacere di una lettura garantisce la
sua verità. Leggendo dei testi e non delle opere, eserci-
tando su di essi un modo di vedere che non va a cercarne
il segreto, il «contenuto», la filosofia, ma solo la felicità
di scrittura, posso sperare di strappare Sade, Fourier e
Loyola alle loro cauzioni (la religione, l'utopia, il sadi-
smo); tento di disperdere o di eludere il discorso morale
che si è tenuto su ognuno di essi; lavorando esclusivamen-
te, come loro stessi hanno fatto, su dei linguaggi, scollo
il testo dalla sua mozione di garanzia: il socialismo, la fe-
de, il male. Con ciò stesso obbligo (almeno è l'intenzione
teorica di questi studi) a spostare (ma non a sopprimere;
forse anzi ad accentuare) la responsabilità sociale del te-
sto. Certuni credono di poter situare con tutta certezza il
luogo di questa responsabilità: sarebbe l'autore, l'inseri-
mento di questo autore nel suo tempo, la sua storia, la sua
classe. Però resta enigmatico un altro luogo, che per ora
sfugge a ogni schiarimento: il luogo della lettura. Que-
sto oscuramento si verifica nel momento stesso in cui piu
XVI SADE, FOURIER, LOYOLA

si vitupera l'ideologia borghese senza mai domandarsi da


dove si parli di essa o contro di essa: è forse lo spazio
del non-discorso («non parliamo, non scriviamo: militia-
mo»)? quello di un contro-discorso («discorriamo contro
la cultura di classe»)? ma allora fatto di quali tratti, di
quali figure, di quali ragionamenti, di quali residui cultu-
rali? Fare come se si potesse tenere un discorso innocente
sull'ideologia equivale a continuare a credere che il lin-
guaggio possa semplicemente essere lo strumento neutro
di un contenuto trionfante. In effetti non c'è oggi un luo-
go di linguaggio che sia esterno all'ideologia borghese: il
nostro linguaggio ne viene, vi ritorna, vi resta imprigiona-
to. La sola risposta possibile non è né lo scontro né la di-
struzione, ma soltanto il furto: frammentare il testo anti-
co della cultura, della scienza, della letteratura, e dissemi-
narne i tratti secondo formule irriconoscibili, cosi come si
trucca della merce rubata. Di fronte al testo antico io ten-
to quindi di cancellare la falsa efflorescenza, sociologica,
storica o soggettiva delle determinazioni, visioni, proie-
zioni; ascolto l'impeto del messaggio, non il messaggio,
vedo nella triplice opera lo spiegamento vittorioso del te-
sto significante, del testo terroristico, che lascia staccarsi,
come pelle morta, il senso ricevuto, il discorso repressivo
(liberale) che vuole continuamente ricoprirlo. L'interven-
to sociale di un testo (che non si attua necessariamente nel
tempo in cui questo testo appare) non si misura né dalla
popolarità della sua udienza né dalla fedeltà del riflesso
economico-sociale che vi s'iscrive o che esso proietta ver-
so qualche sociologo avido di raccogliervelo, ma piuttosto
dalla violenza che gli consente di eccedere le leggi che si
dà una società, un'ideologia, una filosofia, per accordarsi
a se stessa in un bel movimento d'intelligibilità storica.
Questo eccesso ha nome: scrittura.
Giugno 1971.
Nota.

x. Loyola è solo il nome di un villaggio. So che si dovrebbe di-


re Ignazio, o Ignazio di Loyola, ma continuo a parlare di questo au-
tore come me lo sono sempre nominato a me stesso: poco importa
l'ortonimo dello scrittore: questo non riceve il suo nome dalle re-
gole dell'onomastica ma dalla comunità di lavoro in cui è preso.
2. Sade I è apparso in «Tel Quel», n. 28, inverno 1967, col ti-
tolo L'arbre du crime [trad. it. di Serena Vitale, in «Nuovi Argo-
menti», L'albero del crimine] e nel volume XVI delle CEuvres
complètes di Sade, Cercle du livre précieux, Paris 1967, pp. 509-
532. Loyola è apparso in «Tel Quel», n. 38, estate 1969, col titolo
Comment parler à Dieu? e è destinato a servire da introduzione
agli Esercizi spirituali, nella traduzione francese di Jean Ristat, di
prossima pubblicazione nelle edizioni Christian Bourgois, coll.
xo x 18. Fourier è apparso, in parte, in «Critique», n. 281, ottobre
1970, col titolo Vivre avec Fourier. Poche le correzioni apportate
a questi testi. Sade II, una parte del Fourier e la Vita di Sode so-
no inediti.
3. Le edizioni di riferimento sono: D.-A.-F. SADE, CEuvres com-
plètes, x6 voll., Cercle du livre précieux, Paris 1967; CHARLES FOU·
RIER, CEuvres complètes, xx voll., Anthropos, Paris 1967; IGNACE
DE LOYOLA, Exercices spirituels, trad. di F. Courel, Desclée de Brou-
wer, 1963; e ]ournal spirituel, trad. di M. Giuliani, Desclée de
Brouwer, 1959. [Nella traduzione italiana si sono tenute presenti
le Opere scelte di Sade, a cura di G. P. Brega, trad. di P. Bava, Fel-
trinelli, Milano 1967; di FOURIER, La teoria dei quattro movimenti,
a cura di M. Larizza, Utet, Torino 1972 e Il nuovo mondo amo-
roso, a cura di P. Caruso, F. M. Ricci, Parma 1972].
4. Le informazioni utilizzate nelle Vite sono di seconda mano.
Per Sade provengono dalla biografia monumentale di Sade di Gil-
bert Lély (Cercle du livre précieux, Paris 1966, tomi I e II) e dal
]ournal inédit di Sade, prefazione di Georges Daumas, Gallimard,
collezione «Idées» (tascabili), Paris 1970 [trad. it. Diario inedito,
Rizzoli, Milano]. Per Fourier, queste informazioni provengono dal-
le prefazioni di Simone Debout-Oleszkiewicz ai voll. I e VII delle
CEuvres complètes cit. di Fourier.
5. Ho rinunciato a dare una Vita di Loyola, per la ragione che
non avrei potuto scrivere questa Vita in conformità coi principi di
XVIII SADE,FOURIER,LOYOLA
biografia a cui si fa allusione nella prefazione; mi sarebbe mancato
il materiale significante. Questa carenza è storica e non avevo nes-
suna ragione di mascherarla. Vi sono infatti due agiografie: quella
della Légende dorée (xv secolo) lascia largamente che il significante
faccia irruzione e riempia la scena (il significante, cioè il corpo mar-
tirizzato); quella d'Ignazio, moderna, rimuove questo stesso cor-
po: del santo non conosciamo che gli occhi umidi e la claudicazio-
ne. Nel primo libro, è il detto del corpo a fondare la storia della
vita; nel secondo è il suo non-detto: taglio dell'economia e del se-
gno, reperito in ben altri campi al volgere del medioevo nell'età
moderna, passa quindi ugualmente attraverso la scrittura della san-
tità. Aldilà (o al diqua) del segno, verso il significante, non sappia-
mo niente della vita d'Ignazio di Loyola.

Ram6n Alejandro ha cortesemente disegnato per questo libro


il salone delle assemblee del castello di Silling. Lo ringrazio.
SADE, FOURIER, LOYOLA
Sadel
Si viaggia molto in certi romanzi di Sade. Juliette per-
corre (e devasta) la Francia, la Savoia, l'Italia fino a Na-
poli; con Brisa-Testa si raggiunge la Siberia, Costantino-
poli. Il viaggio è facilmente un tema iniziatico; tuttavia,
benché Juliette cominci con un apprendistato, il viaggio
sadiano non insegna niente (la diversità dei costumi è re-
legata nella dissertazione sadiana, dove serve a provare
che il vizio e la virtu sono idee tutte locali); si tratti di
Astrachan', di Angers, di Napoli o di Parigi, le città non.
sono che procacciatrici, le campagne ritiri, i giardini sce-
nari e i climi operatori di lussuria '; sempre la stessa geo-
grafia, la stessa popolazione, le stesse funzioni; ciò che
conta percorrere non sono contingenze piu o meno esoti-
che, è la ripetizione di un'essenza, quella del crimine (una
volta per tutte, sotto questo termine s'intenda il supplizio
e l'orgia). Se quindi il viaggio è diverso, il luogo sadiano è
unico: si viaggia tanto solo per rinchiudersi. Il modello
del luogo sadiano è Silling, il castello posseduto da Durcet
nel cuore della Foresta Nera e in cui i quattro libertini
delle Centoventi giornate si rinchiudono per quattro mesi
col loro serraglio. Questo castello è ermeticamente isolato
dal mondo mediante una serie di ostacoli che ricordano da
vicino quelli che si trovano in certe fiabe: una capanna
di carbonai-contrabbandieri lche non lasceranno passare
nessuno), una montagna scoscesa, un vertiginoso precipi-
zio che si può varcare solo su un ponte (che i libertini, una
volta rinchiusi, faranno distruggere), un muro alto dieci
metri, un fosso profondo, una porta che, appena entrati,
si fa murare, e infine una quantità spaventosa di neve.
1 Come è della neve siberiana, che serve a una dissolutezza speciale.
6 SADE,FOURIER,LOYOLA
La chiusura sadiana è dunque accanita; essa ha una du-
plice funzione; in primo luogo, beninteso, isolare, proteg-
gere la lussuria dalle spedizioni punitive del mondo; però
la solitudine libertina non è soltanto una precauzione di
ordine pratico; è una qualità di esistenza, una voluttà di
essere'; conosce quindi una forma funzionalmente inutile
ma filosoficamente esemplare: in seno ai ritiri piu collau-
dati esiste sempre, nello spazio sadiano, una «segreta»
dove il libertino conduce certe sue vittime, lontano da
ogni sguardo anche complice, e dove è irreversibilmente
solo col suo oggetto - cosa ben. singolare in questa socie-
tà comunitaria; questa segreta è evidentemente formale,
giacché ciò che vi si svolge, essendo dell'ordine del sup-
plizio e del crimine, pratiche molto esplicite nel mondo
sadiano, non ha nessun bisogno di essere nascosto; ad ec-
cezione della segreta religiosa di Saint-Fond, la segreta sa-
diana è solo la forma teatrale della solitudine: desocializ-
za per un momento il crimine; in un mondo profondamen-
te penetrato di parola, realizza un paradosso raro: quello
di un atto muto; e poiché non c'è reale, in Sade, oltre alla
narrazione, il silenzio della segreta si fonde interamente
col bianco del racconto: il senso si arresta. Questo « bu-
co», ha come segno analogico il luogo stesso delle segrete:
regolarmente cantine profonde, cripte, sotterranei, incavi
praticati nel fondo dei castelli, dei giardini, dei fossati, da
cui si risale soli, senza una parola 2 • La segreta quindi è in
realtà un viaggio nelle viscere della terra, tema tellurico di
cui Juliette offre la chiave a proposito del vulcano di Pie-
tra Mala.
La chiusura del luogo sadiano ha un'altra funzione:

1 La neve cade su Silling: «Non ci s'immagina come la voluttà sia ser-


vita da tali sicurezze e che cosa s'intraprenda quando si può dire: • Io qui
sono solo, sono in capo al mondo, sottratto a tutti gli sguardi e senza che
ad alcuna creatura possa occorrere la possibilità di arrivare a me; non piu
freni, non piu barriere"».
2 Giardini della Società degli Amici del Delitto: « Ai piedi di alcuni
di questi alberi sono praticate delle buche, dove la vittima può scompa-
rire all'improvviso. Talvolta si cena sotto codesti alberi, e talvolta perfino
nelle buche. Ve ne sono di estremamente profonde, dove si può discen-
dere solo per mezzo di scale segrete, e nelle quali ci si può abbandonare
a tutte le possibili infamie con la stessa calma, lo stesso silenzio che se si
fosse nelle viscere della terra ».
SADE I 7
fonda un'autarchia sociale. Una volta rinchiusi, i libertini,
i loro aiutanti e i loro soggetti formano una società com-
pleta, fornita di un'economia, di una morale, di una paro-
la, e di un tempo, articolato in orari, lavori e feste. Qui
come altrove, è la chiusura a permettere il sistema, vale a
dire l'immaginazione. L'equivalente piu prossimo della
città sadiana sarebbe il falansterio fourierista: stesso pro-
gramma d'inventare in tutti i suoi dettagli un internato
umano che basti a se stesso, stessa volontà d'identificare
la felicità con uno spazio finito e organizzato, stessa spinta
a definire gli esseri secondo le loro funzioni e a regolare
l'entrata in gioco di queste classi funzionali secondo una
regia minuziosa, stessa preoccupazione d'istituire un'eco-
nomia delle passioni, in una parola stessa «armonia» e
stessa utopia. L'utopia sadiana - come del resto quella di
Fourier - si misura molto di piu dall'organizzazione della
vita quotidiana che dalle dichiarazioni teoriche, giacché
il segno dell'utopia è il quotidiano; o anche: tutto ciò che
è quotidiano è utopico: orari, programmi di nutrizione,
progetti di abbigliamento, installazioni mobiliari, precetti
di conversazione o di comunicazione, tutto questo è in
Sade: la città sadiana non si regge solo per i suoi «pia-
ceri» ma anche per i suoi bisogni: è quindi possibile ab-
bozzare un'etnografia del villaggio sadiano.
Sappiamo quello che mangiano i libertini. Per esempio
siamo informati che il 10 novembre, a Silling, i signori
si ristorarono, all'alba, con uno spuntino improvvisato (si
era data la sveglia alle cuoche), composto di uova strapaz-
zate, chincara, zuppa di cipolle e omelettes. Questi detta-
gli (e molti altri) non sono gratuiti. L'alimentazione, in
Sade, è un fatto di casta, come tale soggetto a classifica-
zione. L'alimentazione libertina è talvolta segno del lusso
senza di cui non c'è libertinaggio, non perché il lusso sia
voluttuoso «in sé» - il sistema sadiano non è semplice-
mente edonista - ma perché il denaro di cui ha bisogno
assicura la divisione fra poveri e ricchi, fra schiavi e pa-
droni: «Ci voglio sempre, - dice Saint-Fond nel dar la
gestione della propria tavola a Juliette, - i piatti piu squi-
siti, i vini piu rari, le cacciagioni e le frutta piu straordina-
rie»; talvolta, ed è cosa diversa, segno di enormità, vale a
8 SADE,FOURIER,LOYOLA

dire di mostruosità: Minski, M. de Gernande (il libertino


che dissangua la moglie ogni quattro giorni) fanno pasti
favolosi, dove la favola (decine di portate, centinaia di
piatti, dodici bottiglie di vino, due di liquore, dieci tazze
di caffè) attesta la costituzione trionfante del corpo liber-
tino. In piu il cibo, per il signore, ha due funzioni. Da un
lato restaura, ripara gli enormi consumi di sperma pro-
dotti dalla vita libertina; son poche le orge non introdotte
da un pasto e non compensate poi da qualche « spuntino
corroborante», cioccolata o crostini al vino di Spagna.
Clairwil, le cui crapule sono gigantesche, si attiene a un
regime «studiato»: non mangia che pollame e selvaggina
disossati, in forme mascherate, la sua bevanda abituale, in
tutte le stagioni, è costituita da acqua zuccherata ghiac-
ciata, profumata con venti gocce di essenza di limone e
due cucchiai d'acqua di fiori d'arancio. D'altra parte e in-
versamente, somministrato, il cibo serve ad avvelenare, o
per lo meno a neutralizzare: stramonio furtivamente in-
trodotto nella cioccolata di Minski per addormentarlo, ve-
leno in quella del giovane Rose e di Mme de Bressac per
ucciderli. Sostanza ristoratrice o assassina, la cioccolata
sadiana finisce per funzionare come segno puro di questa
duplice economia alimentare 1 • Il cibo della seconda casta,
quella delle vittime, è altrettanto noto: pollame al riso,
composte, cioccolata (ancora!) per la prima colazione di
Justine e delle sue compagne, nel convento benedettino
di cui sono il serraglio. Il nutrimento delle vittime è sem-
pre abbondante, per ragioni molto libertine; la prima è
che queste vittime devono essere anch'esse ristorate (Mme
de Gernande, creatura angelica, una volta dissanguata
chiede perniciotti e dell'anatroccolo di Rouen) e ingrassa-
te per fornire alla lussuria «altari» rotondi e paffuti; la
seconda è che bisogna fornire alla passione coprofagica un
alimento «abbondante, delicato, addolcito»; donde un re-
gime alimentare studiato con precisione medica (petto di
1 Cioccolata corroborante: « È detto tutto: monsignore, spossato, si ri-
corica; gli vien preparata la sua cioccolata ... », o: «Dopo la sua orgia il re
di Sardegna mi offri la metà della sua cioccolata, accettai; ragionammo di
politica ... » - Cioccolata assassina: « Quando avrò ben chiavato il suo caro
signor figlio, gli faremo prendere una tazia di cioccolata domani mat-
tina ... »
SADE I 9
pollo, selvaggina disossata, né pane, né salume, né grasso,
far mangiare spesso e in fretta fuori dell'ora dei pasti, in
modo da produrre semiindigestioni, è la ricetta data dalla
Duclos). Tali sono le funzioni dell'alimentazione nella cit-
tà sadiana: ristorare, avvelenare, ingrassare, evacuare;
tutte si definiscono in rapporto alla lussuria.
Lo stesso per il vestire. Questo, di cui si può dire che
sia al centro di tutta l'erotica moderna, dalla Moda allo
strip-tease, conserva in Sade un valore spietatamente fun-
zionale - cosa che basterebbe già a distinguere il suo ero-
tismo da ciò che intendiamo con questa parola. Sade non
gioca perversamente (cioè moralmente) con i rapporti tra
corpo e vestito. Nella città sadiana, nessuna di quelle allu-
sioni, provocazioni e ritrosie di cui il nostro vestire è l'og-
getto: l'amore si fa immediatamente nudo; e in fatto di
strip-tease non si conosce che il «Tirate su!» brutale con
cui il libertino ingiunge al suo soggetto di mettersi in po-
sizione per essere esaminato '. Certo esiste in Sade un gio-
co del vestire; ma come nel caso dell'alimentazione è un
gioco ben chiaro di segni e funzioni. In primo luogo di se-
gni: quando, in un'assemblea, il nudo si affianca al vestito
(e di conseguenza gli si contrappone), vale a dire fuori del-
le orge, serve a contraddistinguere le persone specifica-
mente umiliate; in occasione delle grandi sedute di narra-
zione che hanno luogo ogni sera a Silling, tutto il serraglio
è (provvisoriamente) vestito, ma le parenti dei quattro si-
gnori, assoggettate in modo tutto particolare come mogli
e come figlie, restano nude. Quanto all'abito in sé (qui si
parla solo di quello dei serragli, il solo che interessi a Sa-
de), o segnala, mediante artifici precisi (colori, nastri, ghir-
lande) le classi di soggetti: classi di età (come tutto que-
sto, ancora una volta, fa pensare a Fourier), classi di fun-
zioni (giovanetti e giovanette, chiavatori, vecchie), classi
d'iniziazione (i soggetti vergini cambiano segno vestimen-
tario dopo la cerimonia della loro deflorazione), classi di
proprietà (ogni libertino dà un colore alla sua scuderia) 2 ;
1 Con un'ecce-.tione, di cui si dirà piu tardi.
2 Il travestimento è raro in Sade. Juliette vi si presta una volta, ma
solitamente sembra displ"C"aato quale fonte d'inganno (ci se ne serve nega-
tivamente, per determinare i soggetti che vi resistono bene).
IO SADE,FOURIER,LOYOLA
oppure il vestire è regolato in funzione della sua teatralità,
gli vengono imposti quei protocolli di spettacolo che in
Sade - eccettuata la segreta di cui abbiamo parlato - fan-
no tutta l'ambiguità della «scena», orgia regolata e episo-
dio culturale che ha della pittura mitologica, del finale d'o-
pera e del quadro da Folies-Bergère; la sua sostanza, al-
lora, è comunemente brillante e leggera (veli e taffetas), vi
domina il rosa, almeno per i soggetti giovani; tali i costu-
mi di carattere, di cui ogni sera, a Silling, sono rivestiti i
quartetti (all'asiatica, alla spagnola, alla turca, alla greca)
e le vecchie (da suore di carità, da fate, da maghe, da ve-
dove). Al di là di questi segni, il vestire sadiano è «fun-
zionale», adattato ai doveri della lussuria; deve disfarsi
in un secondo. Una descrizione riunisce tutti questi tratti:
quella del costume che i signori di Silling regalano ai lo-
ro quattro amanti preferiti: si tratta di una vera costru-
zione della tenuta, in cui ogni particolare è studiato in
ragione del suo spettacolo (è un piccolo soprabito stretto,
svelto e sciolto come un'uniforme prussiana) e della sua
funzione (mutandine aperte a cuore dietro, e che possono
cadere in un sol colpo se si allenta il grosso nodo di nastri
che le trattiene). Il libertino è modellista, cosi come è die-
tista, architetto, arredatore, regista.
Poiché qui facciamo un po' di geografia umana, bisogna
dire una parola della popolazione sadiana. Come sono, fisi-
camente, questi sadianiti? La razza libertina non esiste
che dai trentacinque anni in su'; ripugnanti sotto tutti
gli aspetti se sono vecchi (caso piu frequente), i libertini
hanno però talvolta una bella figura, fuoco nello sguardo,
alito fresco, ma questa bellezza è allora compensata da
un'aria crudele e perfida. I soggetti d'orgia, a loro volta,
sono belli se giovani, orribili se vecchi, ma in entrambi
i casi utili alla lussuria. È quindi evidente che in questo
mondo «erotico» né l'età né la bellezza permettono di de-
terminare le classi d'individui. La classificazione è certa-
mente possibile, ma soltanto al livello del discorso: vi so-
no infatti, in Sade, due tipi di «ritratti». I primi sono rea-

1 Juliette, soltanto, è giovanissima; ma non bisogna dimenticare che è


un'apprendista-libertina - e che inoltre è il soggetto della narrazione.
SADE I II

listi, individuano accuratamente il loro modello, dal viso


al sesso: « Il presidente de Curva! ... era alto, magro, esi-
le, degli occhi incavati e spenti, una bocca livida e malsa-
na, il mento sporgente, il naso lungo. Coperto di peli co-
me un satiro, una schiena piatta, delle natiche molli e ca-
denti che somigliavano piuttosto a due strofinacci sporchi
sventolanti sull'alto delle cosce, ecc.»: questo ritratto è
del genere «vero» (nel senso che la parola può avere
quando la si applica in modo tradizionale alla letteratura);
permette dunque la varietà; da un lato ogni descrizione si
fa sempre piu particolareggiata via via che si scende lungo
il corpo, poiché è nell'interesse dell'autore descrivere me-
glio sessi e natiche che non visi; e dall'altro il ritratto li-
bertino deve rendere conto della grande opposizione mor-
fologica (ma nient'affatto funzionale, tutti i libertini, es-
sendo indifferentemente sodomizzanti e sodomizzati) fra
i satiri, magri e pelosi (Curva!, Blanchis) e i cinedi, bian-
chi e paffuti (il vescovo, Durcet). Ciò nonostante, via via
che si passa dai libertini ai loro aiutanti, e poi alle loro
vittime, i ritratti si fanno piu irreali; si arriva cosf al se-
condo ritratto sadiano: quello dei soggetti d'orgia (e prin-
cipalmente delle giovanette); questo ritratto è puramente
retorico, è un topos. Ecco Alexandrine, la figlia di Saint-
Fond, decisamente troppo stupida perché Juliette venga
a capo della sua educazione: « Il seno piu sublime, parti-
colari gentilissimi nelle forme, freschezza nella pelle, sciol-
tezza nelle masse, grazia, mollezza nell'attacco degli arti,
una figura celeste, l'organo piu invitante, piu interessante,
e molta romanticità nell'animo». Questi ritratti sono mol-
to culturali, rimandando alla pittura («fatta per essere di-
pinta») o alla mitologia («il personale di Minerva coi vez-
zi di Venere»), che è un bel modo per renderli astratti'. Il
ritratto retorico infatti, benché qualche volta assai esteso

1 Il particolare morale, dato alla rinfusa fra i particolari fisici, è fun-


zionale: cosf come lo spirito, l'intelligenza, l'immaginazione, fanno i buo-
ni libertini, la sensibilità, la vivacità, l'esaltazione, la religione, fanno le
buone vittime. Sade del resto non conosce che una forma di energia, indif-
ferentemente fisica o morale: « Alimentavamo la sua estasi ... carezzandola
con tutti i nostri mezzi fisici e morali», dice Juliette della Durand. E que-
sto: «Ero al settimo cielo, non esistevo che per il senso profondo della
mia lussuria».
I2 SADE,FOURIER,LOYOLA
(giacché l'autore non se ne disinteressa affatto), non dipin-
ge nulla, né la cosa, né il suo effetto: non fa vedere (e cer-
tamente non vuole); caratterizza pochissimo (a volte il co-
lore degli occhi, dei capelli); si contenta di nominare ele-
menti anatomici di cui ciascuno è perfetto; e poiché que-
sta perfezione, secondo le norme della teologia, è l'essere
stesso della cosa, basta dire che un corpo è perfetto perché
lo sia: la bruttezza si descrive, la bellezza si dice; questi
ritratti retorici sono quindi vuoti, proprio nella misura in
cui sono ritratti di essenza; i libertini, benché possano es-
sere soggetti a una certa tipologia, sono nell'evento, obbli-
gano quindi a ritratti sempre nuovi; ma poiché le vittime,
invece, sono nell'essere, queste non possono incontrare
che segni vuoti, suscitano sempre lo stesso ritratto, che
sta nell'affermarle, non nel raffigurarle. Non è quindi né
la bruttezza né la bellezza, bensi l'istanza stessa del discor-
so, diviso in ritratti-figure e ritratti-segni, che determina
la divisione dell'umanità sadiana 1 •
Questa divisione non ricopre la divisione sociale, ben-
ché questa non sia ignota a Sade. Le vittime sono di tutti
i ceti, e se vi è una sorta di omaggio tributato ai soggetti
nobili è perché il bon ton è un fattore fondamentale di
lussuria 2, in ragione della maggiore umiliazione della vit-
tima: nella pratica sadiana, è un piacere sicuro sodomiz-
zare la figlia di un consigliere al Parlamento o un giovane
cavaliere di Malta. E se i signori, per parte loro, apparten-
gono sempre alle classi superiori (principi, papi, vescovi,
nobili o borghesi arricchiti) è perché non si può essere li-
bertini senza denaro. Il denaro sadiano, tuttavia, ha due
diverse funzioni. In primo luogo sembra avere un ruolo
pratico, permette l'acquisto e il mantenimento dei serra-
gli: puro mezzo, in tal caso non è né stimato né disprez-
zato; ci si augura solo che non sia un ostacolo al liberti-
naggio; è cosi che nella Società degli Amici del Delitto è
prevista una riduzione per un contingente di venti artisti

1 Stessa opposizione al livello dei nomi propri. I libertini e i loro aiu-


tanti hanno nomi «realistici», la cui «verità» non potrebbe essere disco-
nosciuta da Balzac, Zola, ecc. Le vittime hanno nomi da teatro.
2 Le « fanciulle di buona famiglia» formano una classe determinata di
lussuria, alla pari dei giovanetti, delle fanciulle viziose e delle vergini.
SADE I I3
o letterati, notoriamente poco fortunati, a cui «la società,
protettrice delle arti, desidera usare questo riguardo» (og-
gi potremmo entrarvi per quattro milioni di franchi leg-
geri all'anno). Ma viene il dubbio che il denaro sia ben al-
tro che un mezzo: è un onore, designa con certezza le mal-
versazioni e i crimini che hanno permesso di accumularlo
(Saint-Fond, Minski, Noirceuil, i quattro gabellieri delle
Centoventi giornate, la stessa Juliette). Il denaro prova il
vizio e mantiene il godimento: non perché procuri piaceri
(in Sade, ciò che « fa piacere» non c'è mai « per il piace-
re»), ma perché assicura lo spettacolo della povertà; la so-
cietà sadiana non è cinica, è crudele; non dice: bisogna
pur che ci siano dei poveri perché ci siano dei ricchi; dice
il contrario: bisogna che ci siano dei ricchi perché ci siano
dei poveri; la ricchezza è necessaria perché costituisce in
spettacolo l'infelicità. Quando Juliette, seguendo l'esem-
pio di Clairwil, si rinchiude di tanto in tanto per conside-
rare il suo oro in un'esultanza che la conduce all'estasi,
quello che lei contempla non è la somma dei suoi piaceri
possibili, è la somma dei crimini compiuti, è la miseria ge-
nerale, positivamente rifratta in questo oro che, essendo
H, non può essere altrove; il denaro quindi non designa af-
fatto quello ch'esso acquista (non è un valore), ma quello
che sottrae (è un luogo di separazione).
Avere, insomma, è essenzialmente poter considerare
coloro che non hanno. Questa divisione formale ricopre,
beninteso, quella fra i libertini e i loro oggetti. Sono que-
ste, è noto, le due grandi classi della società sadiana. Que-
ste classi sono fisse, non si può emigrare dall'una all'altra:
niente promozione sociale, e tuttavia si tratta essenzial-
mente di una società educativa, o piu esattamente di una
società-scuola (o addirittura di una società-internato); ma
l'educazione sadiana non ha lo stesso ruolo presso le vit-
time e i loro padroni. Talvolta le prime sono sottoposte a
corsi di libertinaggio, ma sono, se cosi si può dire, corsi di
tecnica (lezioni di masturbazione tutte le mattine a Sil-
ling), non di filosofia; la scuola presta alla piccola società
vittimale il suo sistema di punizioni, d'ingiustizie e di ipo-
crite arringhe (ne è il prototipo, in Justine, l'istituto del
chirurgo Rodin, che è insieme scuola, serraglio e labora-
r4 SADE, FOURIER, LOYOLA
torio). Nei libertini, il progetto educativo ha un'altra lar-
ghezza: si tratta di arrivare all'assoluto del libertinaggio:
Clairwil viene data come insegnante a Juliette, pur già
molto avanti, e la stessa Juliette è incaricata da Saint-Fond
di un precettorato presso sua figlia Alexandrine. La mae-
stria che si cerca è quella della filosofia: l'educazione non
è quella di tale o tal altro personaggio, è quella del lettore.
In ogni caso l'educazione non permette mai di passare da
una classe all'altra: Justine, tante volte ammonita, non
esce mai dal suo stato vittimale.
In questa società molto codificata, i passaggi (anche la
società piu fissista non può farne a meno) non sono assi-
curati dal movimento ma da un sistema di raccordi, an-
ch'essi fissi. Ecco come, nella sua massima estensione, si
può stabilire la scala della società sadiana: r) i gran.di li-
bertini (Clairwil, Olympe Borghese, la Delbène, Saint-
Fond, Noirceuil, i quattro gabellieri delle Centoventi gior-
nate, il re di Sardegna, il papa Pio VI e i suoi cardinali, il
re e la regina di Napoli, Minski, Brisa-Testa, il fiùsario
Roland, Cordelli, Cernande, Bressac, diversi monaci, ve-
scovi, consiglieri del Parlamento, ecc.); 2) gli aiutanti in
capo, che formano come i quadri del libertinaggio, com-
prendono le narratrici e le grandi ruffiane, come la Duver-
gier; 3) vengono poi gli assistenti; specie di istitutrici o
di governanti, semi-domestiche, semi-soggetti (la Lacroix,
che assiste il vecchio arcivescovo di Lione, gli presenta
contemporaneamente la sua cioccolata e il suo didietro),
o camerieri di fiducia, boia o mezzani; 4) i soggetti pro-
priamente detti o sono occasionali (famiglie, giovinetti ca-
duti in mano dei libertini) o regolari, riuniti in serragli;
bisogna distinguervi i pazienti principali, che sono l'og-
getto di sedute prestabilite, e i plastrons, sorta di senti-
nelle del vizio, che accompagnano dappertutto il libertino
per sollevarlo o occuparlo; 5) l'ultima classe, o classe pa-
ria, è occupata dalle mogli. Tra una classe e l'altra gli indi-
vidui non hanno alcun rapporto (tolti quelli della pratica
libertina); ma i libertini a loro volta comunicano in due
modi: mediante contratti (quello che lega Juliette a Saint-
Fond è minuziosissimo) o mediante patti: quello concluso
da Juliette e Clairwil è improntato da una viva, ardente
SADE I I5
am1c1Z1a. Contratti e patti sono al tempo stesso eterni
(«ecco un'avventura che ci lega per sempre») e revocabili
dall'oggi al domani: Juliette precipita Olympe Borghese
nel Vesuvio e finisce con l'avvelenare Clairwil.
Questi i principali protocolli della società sadiana; tut-
ti, abbiamo visto, attestano la stessa divisione, quella fra
i libertini e le loro vittime. Tuttavia, benché rispettata,
questa divisione non è ancora fondata: tutti i tratti che
separano le due classi sono effetti della divisione, ma non
la determinano. Che cos'è dunque a far tale il padrone?
Che cosa la vittima? Forse la pratica della lussuria {poiché
obbliga a separare gli agenti dai pazienti), come comune-
mente si crede da quando le leggi della società sadiana
hanno formato quello che chiamiamo «sadismo»? Biso-
gna quindi interrogare la prassi di questa società, restando
inteso che ogni prassi è a sua volta un codice di senso ', e
che può essere analizzata in unità e in regole.

Sade è un autore «erotico», lo sentiamo dire continua-


mente. Ma che cos'è l'erotismo? Nient'altro che una paro-
la, poiché le sue pratiche possono essere codificate solo se
conosciute, vale a dire parlate'; ora la nostra società non
enuncia mai nessuna pratica erotica, soltanto desideri, pre-
amboli, contesti, suggerimenti, sublimazioni ambigue, in
maniera che per noi l'erotismo non può essere definito che
da una parola perpetuamente allusiva. A questa stregua
Sade non è erotico: l'abbiamo detto, in lui non c'è mai
strip-tease di nessun genere, questo apologo essenziale
dell'erotica moderna 3 • È del tutto indebitamente, e con

1 Per Aristotele, la praxis, scienza pratica che non produce alcuna ope-
ra distinta dall'agente (contrariamente alla poiesis) è fondata sulla scelta
razionale fra due comportamenti possibili, o proairesis: si tratta già, evi-
dentemente, di una concezione codificata della praxis. Questa idea del-
la praxis come lingua si potrebbe ritrovare nella concezione moderna della
strategia.
1 Non occorre dire che la lingua erotica si elabora non solo nel linguag-
gio articolato ma anche nel linguaggio delle immagini.
3 Ecco l'eccezione di cui si è parlato, unico abbozzo di strip-tease sa-
diano (si tratta del giovane Rose, condotto da Saint-Fond): «Denudame-
lo, Juliette, alzagli la camicia sulle reni, lasciandogli gradevolmente cade-
re le brache in fondo alle cosce; amo alla follia questa maniera di offrire
un culo».
I6 SADE, FOURIER, LOYOLA
grande presunzione, che la nostra società parla dell'eroti-
smo di Sade, vale a dire di un sistema che non trova in
essa alcun equivalente. La differenza non deriva dal fatto
che l'erotica sadiana è criminale e la nostra inoffensiva,
ma dal fatto che la prima è assertiva, combinatoria, men-
tre la seconda è suggestiva, metaforica. Per Sade non c'è
erotica se non si « ragiona sul crimine» '; ragionare, cioè
filosofare, dissertare, arringare, in breve assoggettare il
crimine (termine generico che designa tutte le passioni sa-
diane) al sistema del linguaggio articolato; ma anche com-
binare secondo regole precise le azioni specifiche della lus-
suria, in maniera da fare di queste serie e gruppi di azioni
una nuova «lingua», non piu parlata ma agita; la «lin-
gua» del delitto, o nuovo codice d'amore, altrettanto ela-
borato che il codice cortese.
La pratica sadiana è dominata da una grande idea di
ordine: le «sregolatezze» sono energicamente regolate, la
lussuria è senza freno ma non senza ordine (a Silling, per
esempio, ogni orgia termina irrevocabilmente alle due del
mattino). Innumerevoli, continue, sono le espressioni che
rimandano a una costruzione voluta della scena erotica:
disporre il gruppo, sistemare tutto questo, eseguire una
nuova scena, comporre in tre scene un atto libidinoso,
formare il quadro piu nuovo e piu libertino, far di ciò una
piccola scena, tutto viene disposto; o al contrario: tutti gli
atteggiamenti si sconvolgono, turbare gli atteggiamenti,
presto tutto fu diverso, variare l'atteggiamento, ecc. Di
solito la combinatoria sadiana è determinata da un orga-
nizzatore (un regista): «Amici, - disse il monaco, - por-
tiamo ordine in questi procedimenti», oppure: «Ecco co-
me la puttana dispose il gruppo». L'ordine erotico non va
travalicato in nessun caso: « Un momento, - disse la Del-
bène, tutta infiammata, - un istante, mie buone amiche,
mettiamo un po' d'ordine nei nostri piaceri, se ne gode so-
lo fissandoli»; donde un'ambiguità assai comica fra l'am-
monizione libertina e l'apostrofe professorale, dato che il
serraglio è sempre una piccola classe («Un momento, un

1 Nel deserto della Siberia, Brisa-Testa non incontra che un libertino,


l'ungherese Tergowitz: «Costui almeno ragionava sul crimine».
SADE I 17
momento signorine, - disse Delbène cercando di ristabi-
lire l'ordine ... ») Ma l'ordine erotico a volte è anche isti-
tuzionale; nessuno se ne incarica, se non la consuetudine:
le religiose libertine di un convento di Bologna praticano
una figura collettiva, chiamata rosario, in cui le organizza-
trici sono delle religiose anziane, collocate una ogni nove
soggetti (ragion per cui ognuna di queste direttrici viene
detta pater). E altre volte, piu misteriosamente, l'ordine
erotico s'instau:i;a da solo, sia preliminare ingiunzione, sia
prescienza collettiva di ciò che va fatto, sia conoscenza
delle leggi strutturali che prescrivono di completare in un
dato modo una :figura iniziata; quest'ordine subitaneo e
apparentemente spontaneo, Sade lo indica con un'espres-
sione: la scena procede, il quadro si compone. In tal mo-
e:l.o, davanti alla scena sadiana, nasce una potente impres-
sione non di automatismo ma di calcolo «al minuto», o
se si preferisce di prestazione.
Il codice erotico è composto di unità accuratamente de-
terminate e nominate dallo stesso Sade. L'unità minimale
è la posa; è la piu piccola combinazione che si possa imma-
ginare giacché non unisce che un'azione e il suo punto di
applicazione corporeo; non essendo né queste azioni né
questi punti infiniti, anzi tutt'altro, le pose possono per-
fettamente essere enumerate, cosa che qui non faremo;
basterà indicare che oltre agli atti propriamente sessuali
(permessi e condannati), bisogna mettere in questo primo
inventario tutte le azioni e tutti i luoghi suscettibili di ac-
cendere !'«immaginazione» del libertino, che non sempre
sono registrati da Krafft-Ebing, quali l'esame della vitti-
ma, il suo interrogatorio, la bestemmia, ecc.; e che biso-
gna mettere alla stregua degli elementi semplici della po-
sa, degli «operatori» particolari, come il legame familiare
(incesto o vessazione coniugale), il rango sociale (se ne è
detto qualcosa), la bruttezza, la sporcizia, gli stati :fisiolo-
gici, ecc. In quanto formazione elementare, la posa si ri-
pete fatalmente e se ne può quindi tenere la contabilità;
all'uscita di un'orgia fatta presso i monaci da Juliette e
Clairwil, un giorno di Pasqua, Juliette fa i suoi conti: è
stata posseduta I28 volte in un modo, I28 volte in un al-
I8 SADE,FOURIER, LOYOLA
tro, cioè 256 in tutto, ecc. 1 • Combinate, le pose compon-
gono un'unità di rango superiore, che è l'operazione. L'o-
perazione richiede piu attori (per lo meno è il caso piu fre-
quente); quando è colta come un quadro, un insieme si-
multaneo di pose, viene chiamata figura; quando-invece
vi viene vista un'unità diacronica, che si sviluppa nel tem-
po per pose successive, viene chiamata episodio. A limi-
tare (e costituire) l'episodio vi sono delle restrizioni di
tempo (l'episodio è contenuto fra due orgasmi); a limi-
tare la figura vi sono delle restrizioni di spazio (tutti i luo-
ghi erotici devono essere occupati in uno stesso momen-
to). Infine, le operazioni, estendendosi e susseguendosi,
formano la massima unità possibile di questa grammatica
erotica: è la «scena», o la «seduta». Oltre la scena, si ri-
trova il racconto o la dissertazione.
Tutte queste unità sono soggette a regole di combina-
zione - o di composizione. Queste regole permetterebbe-
ro facilmente una formalizzazione della lingua erotica,
analoga ai diagrammi ad albero proposti dai nostri lingui-
sti: sarebbe insomma l'albero del crimine 2• Sade stesso
non disdegnava l'algoritmo, come si vede nella storia n.
46 della seconda parte delle Centoventi giornate 3 • Nella
grammatica sadiana ci sono fondamentalmente due regole
di azione: sono, se si vuole, le procedure regolari median-
te le quali il narratore mobilita le unità del suo «lessico»
(pose, figure, episodi). La prima è una regola d'esaustivi-
tà: in una «operazione», bisogna che sia compiuto simul-
taneamente il massimo numero di pose; questo implica da
un lato che tutti gli attori presenti siano impiegati con-
temporaneamente, e se possibile nello stesso gruppo (o
in ogni caso in gruppi che si ripetono)•; e dall'altro che in

1 L'immaginazione di Juliette è eminentemente contabile: a un dato


momento mette a punto un progetto numerico, destinato a corrompere con
certezza, con progressione geometrica, tutta la nazione francese.
2 « ... Poiché in tutta questa avventura ci sono rami assai belli di de-
litto ... » (J uliette ).
3 « Fa cacare una fanciulla A e un'altra B; poi violenta B... » ecc.
• L'esempio parossistico sarebbe la scena in cui Bracciani e Chigi (car-
dinali di Pio VI), Olympe Borghese, Juliette, delle comparse, una scim-
mia, un tacchino, un nano, un bambino e un cane formano un gruppo dif-
ficilmente allargabile.
SADE I

ogni soggetto tutti i luoghi del corpo siano eroticamente


saturati; il gruppo è una sorta di nucleo chimico di cui
non deve restare libera nessuna «valenza»: tutta la sin-
tassi sadiana è cosi ricerca della figura totale. Ciò si rial~
laccia al carattere panico del libertinaggio; questo non co-
nosce né disimpiego né riposo; quando l'energia libertina
non può essere usata né in scene né in arringhe, essa pra-
tica ugualmente una sorta di regime di crociera: è «la pun-
zecchiatura», durata continua di piccole vessazioni che il
libertino fa subire agli oggetti che lo circondano. La se-
conda regola d'azione è una regola di reciprocità. In pri-
mo luogo, beninteso, una figura può essere invertita: una
data combinazione, inventata da Belmor che l'applica a
delle fanciulle, è variata da Noirceuil, che l'applica a dei
giovinetti («diamo un'altra direzione a quella fantasia»).
E poi, soprattutto, nella grammatica sadiana, non c'è nes-
suna funzione riservata (ad eccezione del supplizio). Nella
scena, tutte le funzioni possono essere scambiate, tutti
possono e devono essere volta a volta agente e paziente,
fustigatore e fustigato, coprofago e coprofagato, ecc. Que-
sta regola è capitale, in primo luogo perché assimila l'ero-
tica sadiana a una lingua veramente formale, in cui vi so-
no soltanto classi di azioni e non gruppi di individui, cosa
che semplifica molto la grammatica: il soggetto dell'atto
(nel senso grammaticale del termine) può essere quindi
un libertino, un aiutante, una vittima, una moglie; in se-
condo luogo perché dissuade dal fondare la suddivisione
della società sadiana sulla particolarità delle pratiche ses-
suali (tutto il contrario di quello che succede da noi; di
un omosessuale ci domandiamo sempre se è «attivo» o
«passivo»; in Sade la pratica sessuale non serve mai a
identificare un soggetto). Poiché tutti possono essere so-
domiti e sodomizzati, agenti e pazienti, soggetti e oggetti,
poiché il piacere è possibile dappertutto, presso le vittime
come presso i carnefici, bisogna cercare altrove la ragione
della divisione sadiana, che già l'etnografia di questa so-
cietà non ha permesso di scoprire.
In realtà, è il momento di dirlo, al difuori dell'assassi-
nio, c'è solo un tratto che i libertini possiedono in pro-
prio e non spartiscono mai, sotto nessuna forma: la paro-
20 SADE,FOURIER,LOYOLA
la. Il padrone è colui che parla, che dispone del linguaggio
nella sua interezza; l'oggetto è colui che tace, resta sepa-
rato, per una mutilazione piu assoluta di tutti i supplizi
erotici, da ogni accesso al discorso, perché non ha nemme-
no il diritto di ricevere la parola del padrone (le arringhe
non sono rivolte che a Juliette e a Justine, vittima ambi-
gua, dotata di una parola narratrice). Certo, vi sono delle
vittime - rarissime - che possono rimuginare sulla loro
sorte, rappresentare al libertino la sua infamia (M. de Clo-
ris, Mlle Fontange de Donis, Justine); ma non sono che
voci meccaniche, non hanno che un ruolo di complici nel
dispiegamento della parola libertina. Solo questa parola è
libera, inventata, interamente fusa con l'energia del vizio.
Nella città sadiana la parola è forse il solo privilegio di
casta che non si possa ridurre. Il libertino ne possiede tut-
ta la gamma, dal silenzio in cui si esercita l'erotismo pro-
fondo, tellurico, della « segreta», fino alle convulsioni di
parola che accompagnano l'estasi - e tutti gli usi (ordini
di operazioni, bestemmie, arringhe, dissertazioni); egli
può perfino, proprietà suprema, delegarla (alle storiche).
È che la parola si fonde interamente con il contrassegno
riconosciuto del libertino, che è (nel vocabolario di Sade):
l'immaginazione: si direbbe quasi che immaginazione sia
la parola sadiana per linguaggio. L'agente non è fonda-
mentalmente colui che ha il potere o il piacere, è colui che
detiene la direzione della scena e della frase (sappiamo
che ogni scena sadiana è la frase di un'altra lingua), o an-
che: la direzione del senso. Aldilà dei personaggi dell'a-
neddoto, aldilà dello stesso Sade, il «soggetto» dell'ero-
tica sadiana non è quindi e non può essere altri che il
«soggetto» della frase sadiana: le due istanze, quella della
scena e quella del discorso, hanno la stessa sorgente, la
stessa reggenza, giacché la scena non è che discorso. Si ca-
pisce meglio adesso su cosa poggia e a cosa tende tutta la
combinazione erotica di Sade: la sua origine e la sua san-
zione sono di ordine retorico.
I due codici infatti, quello della frase (oratoria) e quel-
lo della figura (erotica) si dànno incessantemente il cam-
bio, formano una stessa linea, lungo la quale il libertino
circola con la stessa energia: la seconda prepara o prolun-
SADE I 21

ga indifferentemente la prima a volte addirittura l'ac-


1,

compagna'. In breve, la parola e la posa hanno esatta-


mente lo stesso valore, una vale per l'altra: dando l'una,
si può ricevere l'altra in cambio: Belmor, nominato presi-
dente della Società degli Amici del Delitto, una volta pro-
nunciatovi un bellissimo discorso viene fermato da un uo-
mo di sessant'anni che per testimoniargli il suo entusia-
smo e la sua riconoscenza « lo supplica di offrirgli il suo
culo» (che Belmor non ha modo di rifiutare). Niente di
sorprendente, quindi, se, precorrendo Freud, ma anche
capovolgendolo, Sade fa dello sperma il sostituto della
parola (e non il contrario), descrivendolo con gli stessi ter-
mini che si adattano all'arte dell'oratore: «l'eiaculazione
di Saint-Fond era brillante, ardita, veemente, ecc.». Ma
soprattutto il senso della scena è possibile perché il codice
erotico beneficia interamente della logica stessa del lin-
guaggio, manifestata grazie agli artifici della sintassi e del-
la retorica. È la frase (le sue scorciatoie, le sue correlazioni
interne, le sue figure, il suo progredire sovrano) che libera
le sorprese della combinatoria erotica e converte la rete
del crimine in albero meraviglioso: « Racconta di aver co-
nosciuto un uomo che ha fottuto tre figli avuti dalla pro-
pria madre, fra cui c'era una fanciulla che aveva fatto
sposare al proprio figlio, in maniera che, fottendo quella,
fotteva la propria sorella, figlia e nuora e costringeva il
proprio figlio a fottere la sua sorella e suocera». La com-
binazione (qui parentale) si presenta in sostanza come una
complicata deviazione lungo cui ci si crede perduti, ma
che d'un tratto si raccoglie e si chiarisce: partendo da at-
tori diversi, cioè da un reale inintelligibile, si sbocca in un
giro di frase e grazie appunto a questa frase su un conden-
sato d'incesto, vale a dire su un senso. Si dirà al limite che
il crimine sadiano non esiste se non in proporzione alla

1 Delbène e Juliette: « E divenendo le sue carezze piu ardenti, accen-


demmo presto il fuoco delle passioni alla fiaccola della filosofia». E altro-
ve: «Mi avete fatto morire di voluttà! Sediamoci e dissertiamo».
' « Voglio manipolare i vostri membri parlando ... Voglio che l'energia
che questi ritroveranno sotto le mie dita si comunichi ai miei discorsi, e
vedrete la mia eloquenza accrescersi, non come quella di Cicerone, in ra-
gione dei movimenti del popolo che circonda la tribuna, ma come quella
di Saffo, a misura dello sperma ch'ella otteneva da Demofile ».
22 SADE,FOURIER,LOYOLA

quantità di linguaggio che vi si investe, non certo perché


è sognato o raccontato, ma perché solo il linguaggio può
costruirlo. Sade enuncia a un certo punto: « Per riunire
l'incesto, l'adulterio, la sodomia e il sacrilegio, incula la
figlia sposata con un'ostia». È la nomenclatura a permet-
tere la scorciatoia parentale: dall'enunciato semplicemen-
te constativo si slancia l'albero del crimine.
In definitiva è quindi la scrittura di Sade il supporto di
tutto Sade. Il suo compito, in cui trionfa sempre splendi-
damente, è di contaminare reciprocamente l'erotica e la
retorica, la parola e il delitto, d'introdurre di colpo nelle
convenzioni del linguaggio sociale il sovvertimento della
scena erotica, nel momento stesso che il valore di questa è
prelevato dal tesoro della lingua. Lo si vede al livello cli
quello che tradizionalmente viene chiamato lo stile. Sap-
piamo che in Justine il codice amoroso è metaforico: vi si
parla dei mirti di Citera e delle rose di Sodoma. In Juliette
al contrario la nomenclatura erotica è nuda. La posta di
questo passaggio non è evidentemente la crudezza, l'osce-
nità del linguaggio, ma la messa a punto di un'altra reto-
rica. Sade pratica correntemente quella che si potrebbe
chiamare la violenza metonimica: giustappone in uno stes-
so sintagma frammenti eterogenei, appartenenti a sfere di
linguaggio ordinariamente separate dal tabu socio-morale.
Cosi per la Chiesa, il bello stile e la pornografia: «Si, si,
monsignore, - disse la Lacroix al vecchio arcivescovo di
Lione, l'uomo dalla cioccolata corroborante, - e vostra
Eminenza ben vede che non esponendogli se non la parte
che lui desidera io offro al suo libertino omaggio il culo
vergine piu grazioso che sia possibile baciare» '. Ciò che
in tal modo viene scosso sono evidentemente, in maniera
molto classica, i feticci sociali, re, ministri, ecclesiastici,
1 Esempi innumerevoli di questo procedimento: le passioni papali, il
sedere ministeriale, lavorare fortemente il culo pontificale, sodomiuare la
propria istitutrice, ecc. (procedimento ripreso da Klossowski: le mutan-
de dell'Ispettrice). La regola di concordanza dei tempi può avervi parte,
anche se l'effetto è comico solo per noi: «Je voudrais que vous baisassiez
le cul de man Lubin ». C'è bisogno di ricordare che se dovessimo dare
l'impressione di rendere responsabile Sade di effetti che storicamente non
ha potuto prevedere, è che per noi Sade non è il nome di un individuo ma
di un «autore», o meglio di un «narratore» mitico, depositario attraverso
il tempo di tutti i sensi che riceve il suo discorso.
SADE I 23
ecc., ma è anche il linguaggio, le classi tradizionali di scrit-
tura: la contaminazione criminale tocca tutti gli stili di
discorso: il narrativo, il lirico, il morale, la massima, il
topos mitologico. Cominciamo a sapere che le trasgressio-
ni del linguaggio possiedono un potere di offesa almeno
altrettanto forte quanto le trasgressioni morali, e che la
«poesia», che è il linguaggio stesso delle trasgressioni del
linguaggio, è in tal modo sempre contestatrice. Da questo
punto di vista, non solo la scrittura di Sade è poetica, ma
Sade ha anche preso tutte le precauzioni possibili perché
questa poesia sia intrattabile: la pornografi.a corrente non
potrà mai ricuperare un mondo che esiste solo in rapporto
alla sua scrittura, e la società non potrà mai riconoscere
una scrittura che è legata strutturalmente al delitto e al
sesso.
Si stabilisce cosi'. la singolarità dell'opera sadiana - e con
ciò stesso si profila l'interdizione che la colpisce: la città
suscitata da Sade, e che abbiamo creduto all'inizio di po-
ter descrivere come una città «immaginaria», col suo tem-
po, i suoi costumi, la sua popolazione, le sue pratiche, que-
sta città è interamente sospesa alla parola, non perché sia
la creazione del romanziere (situazione a dir poco banale),
ma perché all'interno dello stesso romanzo sadiano c'è un
altro libro, libro testuale, tessuto di pura scrittura, e che
determina tutto ciò che accade «immaginariamente» nel
primo: non si tratta di raccontare, ma di raccontare che si
racconta. Questa situazione fondamentale della scrittura
ha come suo chiarissimo apologo l'argomento stesso delle
Centoventi giornate di Sodoma: si sa che nel castello di
Silling, tutta la città sadiana - condensata in quel luogo -
è volta verso la storia (o il gruppo di storie) che viene so-
lennemente consegnata ogni sera da sacerdotesse della pa-
rola, le storiche '. Questa preminenza del racconto è sta-
bilita da protocolli molto precisi: tutto l'orario della gior-
nata converge verso il suo gran momento (la sera), che è
la seduta di storie; vi ci si prepara, tutti devono assistervi
(ad eccezione degli agenti che saranno di servizio la not-
te); il salone delle assemblee è un teatro semicircolare, il
1 Anche Juliette è qualificata come storica.
24 SADE,FOURIER,LOYOLA
cui centro è occupato dal ·seggio elevato della storica; sot-
to questo trono di parola, sono seduti i soggetti d'orgia,
a disposizione dei signori che desiderino sperimentare con
loro le proposte avanzate dalla narratrice; il loro statuto
è molto ambiguo, alla maniera sadiana, giacché costitui-
scono a un tempo le unità della figura erotica e quelle del-
la parola che viene enunciata al di sopra delle loro teste:
ambiguità che sta tutta nella loro situazione di esempi (di
grammatica e di libidine): la pratica segue la parola e ne
riceve in assoluto la propria determinazione: ciò che viene
fatto è stato detto'. Senza la parola formatrice, la libidine,
il delitto, non potrebbero inventarsi, svilupparsi: il libro
deve precedere il libro; la storica è il solo «attore» del
libro, giacché la parola ne è il solo dramma. La prima del-
le storiche, la Duclos, è il solo essere che, nel mondo liber-
tino, venga onorato: ciò che in lei si onora è al tempo
stesso il crimine e la parola.
Ora, per un paradosso che è solo apparente, è forse
muovendo dalla costituzione propriamente letteraria del-
l'opera sadiana che si vede meglio certa natura delle inter-
dizioni di cui è fatta oggetto. Accade molto spesso che alla
riprovazione morale di cui Sade è fatto segno, venga data
la forma disincantata di un disgusto estetico: si dichiara
che Sade è monotono. Benché ogni creazione sia necessa-
riamente una combinatoria, la società, in virtu del vecchio
mito romantico dell'«ispirazione», non sopporta che glie-
lo si dica. Eppure Sade lo ha fatto: ha aperto e scoperto
la sua opera (il suo «mondo») come l'interno di una lin-
gua, realizzando cosI quella fusione del libro e della sua
critica resaci cosI chiara da Mallarmé. Ma non è tutto; la
combinatoria sadiana (che non è affatto, come dicono,
quella di ogni letteratura erotica) può apparirci monotona
solo se noi trasportiamo arbitrariamente la nostra lettura
dal discorso sadiano alla «realtà» che è reputata rappre-
sentare o immaginare: Sade è noioso solo se fissiamo il
nostro sguardo sui delitti raccontati e non sulle prestazio-
ni del discorso.

1 Il delitto ha esattamente la stessa «dimensione» della parola: quan-


do le storiche arriveranno alle passioni omicide, il serraglio si spopolerà.
SADE I 25
Allo stesso modo, quando non piu invocando la mono-
tonia dell'erotica sadiana ma piu francamente le «mo-
struose ·turpitudini» di un « autore abominevole» si ar-
riva, come fa la legge, a proibire Sade per ragioni morali,
è perché si rifiuta di entrare nel solo universo sadiano,
che è l'universo del discorso. Eppure, a ogni pagina della
sua opera, Sade ci dà prove d'«irrealismo» concertato:
quello che accade in un romanzo di Sade è propriamente
favoloso, vale a dire impossibile; o piu esattamente, le im-
possibilità del referente sono voltate in possibilità del di-
scorso, le restrizioni sono dislocate: il referente è intera-
mente a discrezione di Sade, che può dargli, come ogni
narratore, dimensioni favolose, ma il segno, che apparte-
nendo invece all'ordine del discorso è intrattabile, è lui a
far legge. Per esempio: Sade moltiplica, in una stessa sce-
na, le estasi del libertino aldilà di ogni possibilità: e biso-
gna farlo, se si vogliono descrivere molte figure in una so-
la seduta: è preferibile moltiplicare le estasi, che sono
unità referenziali e di conseguenza non costano nulla, an-
ziché le scene, che sono unità discorsive e di conseguenza
costano molto. Essendo scrittore, e non autore realista,
Sade sceglie sempre il discorso contro il referente; si col-
loca sempre dalla parte della semeiosis, non della mime-
sis: ciò ch'egli «rappresenta» è incessantemente deforma-
to dal senso, ed è al livello del senso, non del referente,
che dobbiamo leggerlo.
Cosa che evidentemente non fa la società che lo vieta;
nell'opera di Sade essa vede solo il richiamo del referente;
per essa, la parola è solo un vetro che dà sul reale; il pro-
cesso creativo ch'essa immagina e su cui essa fonda le sue
leggi ha solo due termini: il «reale» e la sua espressione.
La condanna legale portata contro Sade è quindi fondata
su un certo sistema della letteratura e questo sistema è
quello del realismo: esso postula che la letteratura «rap-
presenti», «raffiguri», «imiti»; che sia la conformità di
questa imitazione a offrirsi al giudizio, estetico se il suo
oggetto è commovente, istruttivo, oppure penale, se è mo-
struoso; che, infine, imitare sia persuadere, trascinare: vi-
sione scolastica, ma in cui s'impegna tutta una società, con
le sue istituzioni. Juliette, «fiera e franca nel mondo, dol-
SADE,FOURIER,LOYOLA

ce e sottomessa nei piaceri», seduce enormemente; ma


quella che mi seduce è la Juliette di carta, la storica che
;;i fa soggetto del discorso, non soggetto della « realtà».
Davanti agli eccessi della Durand, Juliette e Clairwil han-
no quest'espressione profonda: «Avete forse paura di
me? - Paura! no: ma non ti concepiamo». Inconcepibile
nella realtà, per quanto immaginaria, la Durand (come Ju-
liette) lo diviene però dal momento che abbandona l'istan-
za aneddotica per raggiungere l'istanza del discorso. La
funzione del discorso non è, infatti, di «far paura, vergo-
gna, invidia, impressione, ecc.», ma di concepire l'incon-
cepibile, vale a dire di non lasciare nulla al di fuori della
parola e di non concedere al mondo nessuna ineffabilità:
tale, sembra, è la parola d'ordine che si ripete.lungo tutta
la città sadiana, dalla Bastiglia, dove Sade non esistette
che per la parola, al castello di Silling, santuario, non della
dissolutezza, ma della «storia».
Loyola
I. La scrittura.

I gesuiti, come noto, hanno avuto molta parte nella for-


mazione della nostra idea di letteratura. Eredi e propaga-
tori della retorica latina attraverso l'insegnamento, di cui,
per cosi dire, hanno avuto il monopolio nella vecchia Eu-
ropa, hanno consegnato alla Francia borghese l'idea del
bello scrivere, le cui restrizioni ancor oggi si fondono spes-
so con l'immagine che ci facciamo della creazione lettera-
ria. Ma questo prestigio della letteratura, che hanno con-
tribuito a formare, i gesuiti lo rifiutano facilmente al libro
del loro fondatore: l'esposizione degli Esercizi viene di-
chiarata «sconcertante», «strana», «bizzarra»; in essa,
secondo un Padre, «tutto è faticoso, letterariamente po-
vero. L'autore mirava solo a fornire l'espressione piu ap-
propriata, la trasmissione il piu possibile esatta alla Com-
pagnia di Gesu e, per suo tramite, alla Chiesa, del dono
a lui concesso da Dio». Ritroviamo qui il vecchio mito
moderno secondo cui il linguaggio non è altro che lo stru-
mento docile e insignificante delle serie faccende dello spi-
rito, del cuore o dell'anima. Questo mito non è innocente;
il discredito della forma serve a esaltare l'importanza del
c-ontenuto: dire: scrivo male significa: penso bene. L'i-
deologia classica pratica a livello culturale la stessa econo-
mia della democrazia borghese a livello politico: una sepa-
razione e un equilibrio dei poteri; alla letteratura è con-
cesso un territorio comodo, ma sorvegliato, a condizione
ch'esso sia isolato, gerarchicamente contrapposto ad altri
domini; è cosi che la letteratura, avente una funzione mon-
dana, non è compatibile con la spiritualità; una è tergiver-
sazione, ornamento, velo, l'altra è immediazione, nudità:
ecco perché non si può essere contemporaneamente santo
e scrittore. Depurato da ogni contatto con le seduzioni e le
30 SADE, FOURIER, LOYOLA

illusioni della forma, il testo d'Ignazio - ci suggeriscono -


è a mala pena linguaggio: è semplicemente la via neutra
che assicura la trasmissione di un'esperienza mentale. Si
conferma cosi, ancora una volta, il posto assegnato al lin-
guaggio dalla nostra società: decorazione o strumento,
viene visto come una specie di parassita del soggetto uma-
no, che se ne serve o riveste, a distanza, come di una mon-
tura, o di un arnese, che si prende e si posa secondo i biso-
gni della soggettività o le convenienze della socialità.
Ma è possibile un'altra idea della scrittura: né decora-
tiva né strumentale, cioè in sostanza secondaria, bensi pri-
maria, antecedente all'uomo, ch'essa attraversa, fondatri-
ce dei suoi atti quasi altrettante iscrizioni. Diventa allora
irrisorio misurare la scrittura dai suoi attributi (dichiaran-
dola «ricca», «-sobria», «povera», «strana», ecc.). Conta
solo l'affermazione del suo essere, cioè, insomma, della
sua serietà. Indifferente alle convenienze dei generi, dei
soggetti e dei fini, la serietà della forma, che non è la « se-
riosità», non ha niente a che vedere con il drappeggio del-
le« belle» opere; può anche essere del tutto parodistica, e
si prende gioco delle divisioni e delle gerarchie che la no-
stra società, per scopi di conservazione, impone agli atti
di linguaggio. Per «spirituali» che siano, gli Esercizi d'I-
gnazio sono fondati in scrittura. Non occorre essere ge-
suiti, né cattolici, né cristiani, né credenti, né umanisti,
per esserne interessati. Se si vuol leggere il discorso d'I-
gnazio con questa lettura interna alla scrittura e non alla
fede, può anche darsi che ci sia qualche vantaggio a non
essere niente di tutto ciò: anche le poche righe che Geor-
ges Bataille ha scritto sugli Esercizi' hanno il loro peso, di
fronte ai circa millecinquecento commentari suscitati, dal
momento della sua comparsa, da questo manuale di ascesi
« universalmente lodato».

2. Il testo m"ltiplo.
Le nostre abitudini di lettura, la nostra stessa concezio-
ne della letteratura fanno si che ogni testo ci appaia oggi
1 In L'expérience intérieure, Gallimard, Paris 19,4, p. :26.
LOYOLA
come la semplice comunicazione tra un autore (in questo
caso il santo spagnolo che ha fondato nel XVI secolo la
Compagnia di Gesu) e un lettore (in questo caso noi):
Ignazio di Loyola avrebbe scritto un libro, questo libro
sarebbe stato pubblicato e noi oggi lo leggiamo. Questo
schema, dubbio per qualunque libro (poiché non possia-
mo mai mettere definitivamente in chiaro chi sia l'autore
e chi il lettore), è certamente falso per quanto concerne
gli Esercizi. Se è vero, infatti, che un testo si definisce per
l'unità della sua comunicazione, non è uno il testo che ci
troviamo a leggere, bensi quattro, disposti nel profilo del
libretto che teniamo in mano.
Il primo testo è quello che Ignazio rivolge al direttore
del ritiro. Questo testo rappresenta il livello letterale del-
l'opera, la sua natura oggettiva, storica: la critica ci assi-
cura infatti che gli Esercizi non sono stati scritti per gli
stessi devoti in ritiro, ma per i loro direttori. Il secondo
testo è quello che il direttore rivolge all'esercitante; il rap-
porto fra i due interlocutori è diverso; non è piu un rap-
porto di lettura, o anche d'insegnamento, ma di donazio-
ne, implicante credito da parte del destinatario, aiuto e
neutralità da parte del destinante, come nel caso dello psi-
canalista e dello psicanalizzato: il direttore dà gli Esercizi
(a dire il vero come si dà il cibo o la frusta), n!;! commenta
e ne adatta la materia al fine di trasmetterla a organismi
particolari (almeno cosi era una volta: oggi, sembra, gli
Esercizi vengono dati in gruppo). Materia trattabile, che
si può allungare, accorciare, ammorbidire, rinforzare, que-
sto secondo testo è in qualche modo il contenuto del pri-
mo (ragion per cui possiamo chiamarlo il testo semanti-
co); con questo si vuol dire che se il primo testo costitui-
sce il livello proprio del discorso (quale noi lo leggiamo
nel suo succedersi), il secondo testo ne è come l'argomen-
to e con ciò stesso non ha necessariamente lo stesso or-
dine: cosi, nel primo testo le Annotazioni precedono le
quattro settimane: è l'ordine del discorso; nel secondo
le stesse Annotazioni, in quanto vertono su materie che
possono concernere continuativamente le quattro settima-
ne, non sono piu antecedenti rispetto a queste ma, in qual-
che modo, parametriche, fatto che basta a provare !'indi-
32 SADE,FOURIER,LOYOLA
pendenza dei due testi. Non è tutto. Il primo e il secondo
testo avevano un attore in comune: il direttore del ritiro,
in un caso destinatario, nell'altro donatore. Allo stesso
modo l'esercitante si troverà ad essere e ricevente e emit-
tente; dopo aver ricevuto il secondo testo egli ne scrive
un terzo, che è un testo agito, composto con le meditazio-
ni, i gesti e le pratiche che gli sono stati donati dal diret-
tore: è in qualche modo l'esercizio degli Esercizi, diverso
dal secondo. testo nella misura in cui può distaccarsene
realizzandolo imperfettamente. A chi si rivolge questo ter-
zo testo, questa parola elaborata dall'esercitante sulla base
dei testi che lo precedono? Non ad altri che alla divinità.
Dio è il destinatario di una lingua le cui parole qui sono
preghiere, colloqui, meditazioni. A questo linguaggio la
divinità è chiamata a rispondere: esiste cosi, intessuta nel-
la lettera degli Esercizi, una risposta di Dio, di cui Dio è
il donatore e l'esercitante il destinatario: quarto testo,
propriamente anagogico, poiché fa risalire, di raccordo in
raccordo, dalla lettera degli Esercizi al loro contenuto, poi
alla loro azione, prima di attingere al senso piu profondo,
il segno emanato dalla divinità.

I II III IV
TESTO LETTERALE SEMANTICO ALLEGORICO ANAGOGICO

Ignazio

il direttore il direttore

l'esercitante l'esercitante

la divinità la divinità

l'esercitante

:È chiaro, il testo multiplo degli Esercizi è una struttu-


ra, vale a dire una forma intelligente: struttura dei sensi
in primo luogo, in quanto vi si può ritrovare quella diver-
LOYOLA 33
sità e quella «prospettiva» delle lingue che ha caratteriz-
zato il rapporto stabilito fra Dio e la creatura da parte del
pensiero teologico medievale e che si trova nella teoria dei
quattro sensi della Scrittura; struttura dell'interlocuzione
poi (e questo è forse piu importante), poiché fra i quattro
interlocutori messi in gioco dai quattro testi ognuno, sal-
vo Ignazio, assume un duplice ruolo, ora di destinante ora
di destinatario (e inoltre Ignazio, che inaugura la catena
dei messaggi, viene a coincidere, in fondo, con l'esercitan-
te che la chiude: egli si è dato spesso gli Esercizi, e per
conoscere la lingua di cui la divinità fa uso nella risposta,
bisognerà ricorrere al Diario spirituale, di cui Ignazio è
esplicitamente il soggetto). Si tratta quindi di una struttu-
ra a raccordi, dove ognuno riceve e trasmette. Qual è la
funzione di questa struttura dilatoria? Quella di disporre,
a ogni raccordo dell'interlocuzione, due incertezze. La pri-
ma deriva dal fatto che, essendo gli Esercizi rivolti al di-
rettore e non al devoto, questo non può (e non deve) sa-
per niente in anticipo sul seguito delle esperienze che man
mano gli vengono raccomandate; è nella situazione del
lettore di un racconto che vive nella suspense, una su-
spense che lo concerne molto da vicino poiché anche lui
è attore della storia di cui gradatamente gli vengono dati
gli elementi. Quanto alla seconda incertezza, essa inter-
viene al secondo raccordo del testo quadruplo, e dipende
da questo: riceverà mai la divinità la lingua dell'eserci-
tante e gli darà mai di rimando una lingua da decifrare?
È in ragione di queste due incertezze, propriamente strut-
turali, perché previste e volute dalla struttura, che il testo
multiplo degli Esercizi è drammatico. Il dramma è quello
dell'interlocuzione; da una parte l'esercitante somiglia a
un soggetto che parli senza sapere la fine della frase in cui
si è impegnato; vive l'incompletezza della catena parlata,
l'apertura del sintagma, è separato dalla perfezione del lin-
guaggio, che è la sua chiusura assertiva; e d'altra parte, il
fondamento stesso di ogni parola, l'interlocuzione, egli
non la trova data, se la deve conquistare, deve inventare
la lingua in cui rivolgersi alla divinità e preparare la pro-
pria possibile risposta: l'esercitante deve accettare il la-
34 SADE,FOURIER, LOYOLA
voro enorme e tuttavia incerto di un costruttore di lin-
guaggio, di un ingegnere delle comunicazioni.

3. La man tica.

L'idea di sottoporre la meditazione religiosa a un lavo-


ro metodico non era nuova; Ignazio può averla ereditata
dalla devotio moderna dei mistici :fiamminghi, di cui ave-
va conosciuto, sembra, i trattati di orazione regolata du-
rante il suo soggiorno a Montserrat; a volte, invece, quan-
do per esempio Ignazio raccomanda di pregare con ritmo
associando una parola del Pater noster a ogni soffi.o del-
la respirazione, il suo metodo ricorda certe tecniche della
Chiesa orientale (l'esicasmo di Giovanni Climaco, o pre-
ghiera continua legata al respiro), senza parlare, beninte-
so, delle discipline della meditazione buddista; ma questi
metodi (per limitarsi a quelli di cui Ignazio può aver avu-
to conoscenza) miravano solo a realizzare in se stessi una
intima teofania, un'unione con Dio. Ignazio dà un tutt'al-
tro scopo al metodo di orazione: si tratta di elaborare tec-
nicamente un'interlocuzione, vale a dire una lingua nuova
che possa circolare fra la divinità e l'esercitante. Il mo-
dello del lavoro di preghiera diventa molto piu retorico
che mistico, giacché anche la retorica fu anch'essa la ricer-
ca di un codice secondo, di una lingua artificiale, elaborata
sulla base di un determinato idioma; l'oratore antico di-
sponeva di regole (di selezione e di successione) per tro-
vare, raccogliere e concatenare gli argomenti atti a rag-
giungere l'interlocutore e a ottenerne una risposta; allo
stesso modo Ignazio costituisce un'«arte», destinata a de-
terminare l'interlocuzione divina. In un caso e nell'altro
si tratta di produrre delle regole generali che permettano
al soggetto di trovare che cosa dire (invenire quid dicas),
cioè molto semplicemente di parlare: alla base della reto-
rica e della meditazione ignaziana (di cui vedremo la mi-
nuziosità, quasi occorresse reagire momento per momento
contro un'inerzia della parola) c'è certamente il senso di
un'afasia umana: l'oratore e l'esercitante si dibattono al-
l'origine in una carenza profonda della parola, come se
LOYOLA 35
non avessero niente da dire e occorresse uno sforzo acca-
nito per aiutarli a trovare un linguaggio. È certo per que-
sto che l'apparato metodico installato da Ignazio per re-
golare giorni, orari, posizioni, regimi, fa pensare, nella sua
estrema minuzia, ai protocolli dello scrittore (in genere,
è vero, poco noti, ed è un peccato): colui che scrive, me-
diante una preparazione regolata delle condizioni materia-
li della scrittura (luogo, orari, taccuini, carta, ecc.), che
comunemente si chiama il «lavoro» dello scrittore e che il
piu delle volte non è altro che lo scongiuramento magico
della sua afasia originaria, tenta di catturare !'«idea» (e
in ciò lo aiutava il retore), proprio come Ignazio cerca di
dare i mezzi per cogliere il segno della divinità.
La lingua che Ignazio vuol costituire è una lingua del-
l'interrogazione. Laddove negli idiomi naturali la struttu-
ra elementare della frase, articolata in soggetto e predica-
to, è di ordine assertivo, l'articolazione comune, qui, è
quella di domanda e risposta. Questa struttura interroga-
tiva dà agli Esercizi la loro originalità storica; fin qui, os-
serva un commentatore, ci si preoccupa soprattutto di
compiere la volontà di Dio; Ignazio vuole soprattutto tro-
vare questa volontà (Qual è? Dov'è? Che inclinazione
ha?), e con ciò stesso la sua opera raggiunge una proble-
matica del segno e non della perfezione: il campo degli
Esercizi è essenzialmente quello del segno scambiato. Sta-
bilito fra la divinità e l'uomo, questo campo, sin dagli an-
tichi greci, era quello della mantica, arte della consulta-
zione divina. Lingua dell'interpellazione, la mantica com-
prende due codici: quello della domanda rivolta dall'uo-
mo alla divinità, quello della risposta rimandata dalla divi-
nità all'uomo. La mantica ignaziana comprende anch'essa
questi due codici; il primo si trova principalmente negli
Esercizi (codice della domanda), il secondo (o codice della
risposta) nel Diario; ma, lo vedremo meglio alla fine, non
si possono dissociare; si tratta di due sistemi correlativi,
di un insieme il cui carattere radicalmente binario ne atte-
sta la natura linguistica.
Possiamo accertarcene gettando appena uno sguardo al-
la struttura generale degli Esercizi. Questa struttura è sta-
ta discussa in modo curioso: non si capiva come le quat-
36 SADE, FOURIER,LOYOLA
tro Settimane d'Ignazio potessero coincidere (poiché, si
pensava, dovevano coincidere) con le tre vie {purgativa,
illuminativa, unitiva) della teologia classica. Come può 3
uguagliare 4? Si trovava il modo di uscirne frazionando
la seconda via in due parti, corrispondenti alle due setti-
mane mediane. La posta di questo dibattito tassonomico
non è affatto formale. Lo schema ternario in cui si cerca
di far entrare le quattro Settimane corrisponde al modello
ordinario della dispositio retorica che separa, nel discorso,
un inizio, un centro e una fine, o anche a quello del sillo-
gismo, con le due premesse e la conclusione; è uno sche-
ma dialettico (fondato su un'idea di maturazione), grazie
al quale ogni processo si trova naturalizzato, razionalizza-
to, acclimatato, pacificato: dare agli Esercizi una struttura
ternaria significa riconciliare il devoto, dargli il conforto
di una trasformazione mediata. Però nessuna ragione teo-
logica può prevalere contro questa evidenza strutturale:
il numero 4 (poiché quattro sono le Settimane del ritiro)
rimanda, senza transazione possibile, a una figura binaria.
Come ha indicato uno degli ultimi commentatori d'Igna-
zio 1, le quattro settimane si articolano in due momenti,
un prima e un dopo; il perno di questo duello, che non è
affatto uno «spazio» intermedio ma un centro, è, alter-
mine della seconda Settimana, l'atto di libertà mediante
il qual~ l'esercitante sceglie, conforme alla volontà divina,
questa o quella condotta su cui preliminarmente era in-
certo: ciò che Ignazio chiama: far elezione. L'elezione
non è un momento dialettico, è il contatto brusco di una li-
bertà e di una volontà; prima sono le condizioni di una
buona elezione; dopo le sue conseguenze; nel mezzo la
libertà, cioè, sostanzialmente, niente.
L'elezione (la scelta) esaurisce la funzione generale de-
gli Esercizi. Edulcorandosi il testo col passare dei secoli,
si è arrivati in alcuni casi a dare agli Esercizi un vago ruo-
lo di pia edificazione; un traduttore del xvm secolo, père
Clément, «cassa» gli Esercizi e attribuisce a ogni Setti-
mana, come a un organo indipendente, una funzione amo-

1 G. FESSARD, La dialectique des cxercices spirituels de saint lgnace de


Loyola, Aubier, Paris 19,6. ·
LOYOLA 37
vibile: per una buona confessione la prima Settimana,
per un'importante decisione la seconda; per un'anima re-
ligiosa che si trovi nello smarrimento, le due ultime. Le-
gata però a una struttura unica, la funzione degli Esercizi
non può essere che unica: come in ogni mantica, quella di
determinare una scelta, una decisione. Si può certo dare a
questa scelta una generalità teologica («Come unire, ogni
volta, la mia libertà alla volontà dell'Eterno?»); ma gli
Esercizi sono materialissimi, impregnati di uno spirito di
contingenza (che fa la loro forza e il loro sapore); la scelta
ch'essi preparano e sanzionano è realmente pratica. Igna-
zio stesso ha dato un campionario delle materie su cui c'è
motivo di fare elezione: il sacerdozio, il matrimonio, i be-
nefici, il modo di dirigere una casa, quanto donare ai po-
veri, ecc. Il miglior esempio di elezione non è però dato
dagli Esercizi ma dal Diario spirituale: Ignazio si dedica
a lungo alla domanda a cui per mesi si è sforzato di rispon-
dere fra sé e sé, sollecitando da Dio un segno determi-
nante: era necessario, nella costituzione della Società di
Gesu, riconoscere alle Chiese il diritto di avere dei pro-
venti? Arriva un momento della deliberazione in cui si
tratta di si o di no, ed è a questa punta massima della scel-
ta che deve intervenire la risposta di Dio. Cosi'. la lingua
interrogativa elaborata da Ignazio, piu che la domanda
classica delle consultazioni: Che fare?, riguarda l'alterna-
tiva drammatica con cui ogni pratica è destinata a prepa-
rarsi e definirsi: Fare questo o quest'altro? Per Ignazio,
ogni azione umana è di natura paradigmatica. Ma anche
per Aristotele: la praxis è una scienza, e questa scien-
za poggia su un'operazione propriamente alternativa, la
proairesis, che consiste nel disporre, nel progetto di un
comportamento, dei punti di biforcazione, e nell'esami-
narne le due prospettive, sceglierne una e non l'altra, poi
ripartire. È il movimento stesso dell'elezione, ed è chiaro
che cosa può legare la praxis alla lingua interrogativa: ap-
punto la forma strettamente binaria che esse hanno in co-
mune: alla dualità di ogni azione pratica corrisponde la
dualità di una lingua articolata in domanda e risposta. Di
qui si capisce meglio l'originalità di questo terzo testo de-
gli Esercizi, di questo codice istituito da Ignazio per por-
38 SADE, FOURIER, LOYOLA

tare Dio a pesare sulla praxis: di solito i codici sono fatti


per essere decifrati; questo è fatto per decifrare (la volon-
tà di Dio).

4. L'immaginazione.

L'invenzione di una lingua, questo è dunque l'oggetto


degli Esercizi. Tale invenzione si prepara attraverso un
certo numero di protocolli, che si possono raccogliere sot-
to un'unica prescrizione di isolamento: ritiro in un luogo
chiuso, isolato e soprattutto insolito, condizioni di luce
(adatte al soggetto della meditazione), ubicazioni della
stanza dove deve stare l'esercitante, posizione (in ginoc-
chio, prosternati, in piedi, seduti, viso verso il cielo), por-
tata dello sguardo, che dev'essere trattenuto, e soprattut-
to, s'intende, organizzazione del tempo, interamente rile-
vato dal codice, dal risveglio al sonno passando per le oc-
cupazioni piu modeste della giornata (vestirsi, mangiare,
distendersi, addormentarsi). Queste prescrizioni non so-
no proprie al sistema d'Ignazio, si ritrovano nell'econo-
mia di tutte le religioni, ma in Ignazio hanno questo di
particolare, che preparano l'esercizio di una lingua. In che
modo? Aiutando a definire quello che si potrebbe chia-
mare un campo di esclusione. L'organizzazione molto stret-
ta del tempo, per esempio, consente di rivestire intera-
mente la giornata, di sopprimervi ogni interstizio attra-
verso cui potrebbe passare una parola esterna; per poter
essere ripulsiva, la congiunzione del tempo dev'essere cosi
perfetta che Ignazio raccomanda di cominciare il tempo
futuro prima ancora che sia estinto il tempo presente; ad-
dormentandomi, pensare già al mio risveglio, vestendomi,
all'esercizio che sto per fare: un incessante già segna il
tempo del devoto e gli assicura una pienezza capace di re-
spingere lontano da lui ogni lingua altra. Stessa funzione,
benché piu indiretta, nel caso dei gesti: è la prescrizione
in sé, non il suo contenuto, che isola; nella sua assurdità
essa opera un decondizionamento dall'abituale, separa l'e-
sercitante dai suoi gesti anteriori (diversi), respinge l'in-
terferenza delle lingue mondane che questi parlava prima
LOYOLA 39
di entrare in ritiro (quelle che Ignazio chiama «le parole
oziose»). Tutti questi protocolli hanno la funzione d'in-
stallare nell'esercitante una sorta di vuoto linguistico, ne-
cessario all'elaborazione e al trionfo della lingua nuova:
idealmente il vuoto è lo spazio anteriore di ogni semio-
fania.
È proprio secondo questo senso negativo, ripulsivo, che
bisogna interpretare - almeno in un primo tempo - l'im-
maginazione ignaziana. Occorre però distinguere fra im-
maginario e immaginazione. L'immaginario si potrebbe
concepire come un insieme di rappresentazioni interne (è
il senso corrente), o come il campo di defezione di un'im-
magine (è il senso che si trova in Bachelard e in tutta la
critica tematica), o anche come la cattiva conoscenza che
il soggetto ha di se stesso nel momento in cui assume di
dire e di riempire il proprio io (è il senso della parola in
J. Lacan). Ora, in tutti questi sensi, l'immaginario d'Igna-
zio è molto povero. La rete d'immagini di cui egli dispone
spontaneamente (o ch'egli presta all'esercitante) è press'a
poco nulla, a tal punto che tutto il lavoro degli Esercizi
consiste proprio nel dare delle immagini a chi ne è costi-
tuzionalmente sprovvisto; prodotte a fatica, mediante una
tecnica accanita, queste immagini restano banali, schele-
triche: se occorre «immaginare» l'inferno, saranno (ricor-
di di un assennato repertorio) incendi, urla, zolfo, lacri-
me; da nessuna parte quei percorsi di trasformazione,
quelle «diritture del sogno», di cui Bachelard ha potuto
costituire la sua tematica, mai, in Ignazio, una di quelle
singolarità di sostanza, quelle sorprese della materia che
si trovano in Rusbrock' o in Giovanni della Croce; Igna-

1 Ecco, in Rusbrock, una visione dell'inferno: « I golosi saranno nu-


triti di zolfo e di pece bollente ... Il fuoco che ingoieranno determinerà in
essi il sudore infernale ... Se aveste un corpo di bronzo e se vi toccasse una
goccia di questo sudore, vi fondereste. Nella memoria ho un esempio spa-
ventoso. Tre medici vivevano vicino al Reno, dediti a questa laida passio-
ne. Spregiando il pasto dei fratelli, lasciavano la comunità all'ora dei pa-
sti, per mangiare da soli e in disparte ciò che avevano preparato per sé
soli. Due di essi morirono improvvisamente ... Uno apparve al sopravvis-
suto e disse che era dannato. Soffrite molto? chiese il vivo. Per tutta ri-
sposta il morto stese la mano e lasciò cadere una goccia di sudore su un
candelabro di bronzo. Il candelabro si fuse in meno di un istante, come la
cera in una fornace ardente ... » (RUSBROCK, CEuvres choisies, trad. di E.
SADE,FOURIER,LOYOLA

zio sostituisce molto rapidamente, alla descrizione della


cosa immaginata, la sua cifra intellettuale: Lucifero certo
è seduto su una sorta di « grande cattedra di fuoco e di
fumo», ma per il resto il suo aspetto è semplicemente
«orribile e terrificante». Quanto all'io ignaziano, almeno
negli Esercizi non ha alcun valore di essenza, non è affatto
descritto, predicato, la sua menzione è puramente transi-
tiva, imperativa («dal momento in cui mi sveglio, ripor-
tarmi alla mente ... », «contenere i miei sguardi», «privar-
mi di qualsiasi luce», ecc.); è veramente lo shifter descrit-
to idealmente dai linguisti, a cui il vuoto psicologico, la
pura esistenza locutoria, assicurano una sorta di vagabon-
daggio attraverso persone indefinite. In una parola, in
Ignazio niente che somigli a una riserva d'immagini, se
non retorica.
Quanto l'immaginario d'Ignazio è nullo, tanto la sua
immaginazione è forte (instancabilmente alimentata). Si
intenda, con questa parola che prenderemo nel senso pie-
namente attivo che poteva avere in latino, l'energia che
consente di fabbricare una lingua le cui unità saranno si
delle «imitazioni», ma per niente delle immagini formate
e immagazzinate da qualche parte nella persona. In quan-
to attività volontaria, energia di parola, produzione di un
sistema formale di segni, l'immaginazione ignaziaò.a può
quindi e deve avere in primo luogo una funzione apotro-
paica; prima di tutto, infatti, è il potere di respingere le
immagini estranee; come le regole strutturali della lingua
- che non sono le sue regole normative - forma un'ars
obligatoria che, piu che ciò che si deve immaginare, :fissa
ciò che non è possibile immaginare - o ciò che è impossi-
bile non immaginare. È questo potere negativo che dob-
biamo cominciare col riconoscere a quell'atto fondamen-
tale della meditazione che è la concentrazione: «contem-
plare», «fissare», «rappresentarmi con l'aiuto dell'imma-
ginazione», «vedere con gli occhi dell'immaginazione»,

Hello, Poussielgue, Paris 1869, p. 148). La particolarità di sostanza, qui,


non è quella di aver immaginato il calore dell'inferno, ma il sudore del
dannato, e questo sudore non come acquoso, ma come corrosivo, in ma-
niera che il suo agente piu sicuro è il contrario stesso del fuoco infernale,
il liquido.
LOYOLA 4I
<<mettermi di fronte all'oggetto», è in primo luogo eli-
minare, eliminare anzi continuamente, come se, contraria-
mente alle apparenze, la fissazione mentale di un oggetto
non potesse mai essere il supporto di un'enfasi positiva,
ma solo il residuo permanente di una serie di esclusioni
attive, vigili: la purezza, l'isolamento dell'immagine, è la
sua stessa essenza, al punto che Ignazio fissa, come suo at-
tributo piu difficile, il tempo ch'essa deve durare (la du-
rata di tre Pater, di tre Ave, ecc.). Una forma leggermente
variata di questa legge di esclusione è l'obbligo fatto al-
l'esercitante di occupare, da un lato, tutti i sensi fisiologici
(la vista, l'odorato, ecc.) consacrandoli successivamente a
uno stesso soggetto, e, d'altro lato, di riportare tutte le
insignificanze della sua vita quotidiana alla lingua unica
ch'egli deve parlare e di cui Ignazio cerca di stabilire il
codice: lo stesso è delle necessità temporali a cui non può
sfuggire, come la luce, il tempo che fa, il nutrimento, l'ab-
bigliamento, che bisogna sfruttare trasformandole in og-
getti d'immagine («Durante i pasti considerare il Cristo
nostro Signore come se lo si vedesse mangiare con gli
Apostoli, il suo modo di bere, di guardare, di parlare; e
cercare d'imitarlo»), secondo una sorta di economia to-
talitaria, in cui tutto, dall'accidentale al futile e al triviale,
va ricuperato: come il romanziere, l'esercitante è «qual-
cuno per cui niente va perduto» (Henry James). Tutti
questi protocolli preparatori, scacciando dal campo del ri-
tiro le lingue mondane, vacue, fisiche, naturali, in una pa-
rola le lingue altre, hanno lo scopo di realizzare l'omoge-
neità della lingua da costruire, in una parola la sua perti-
nenza; corrispondono a quella situazione di parola che
non è interna al codice (per cui i linguisti non l'hanno mol-
to studiata finora), ma senza la quale l'ambiguità costitu-
tiva del linguaggio raggiungerebbe una soglia intollera-
bile.

5. L'articolazione.

Chiunque legga gli Esercizi vede al primo sguardo che


la loro materia è sottoposta a una separazione incessante,
42 SADE,FOURIER,LOYOLA
meticolosa e come ossessiva; o, piu esattamente, gli Eser-
cizi sono questa separazione, a cui niente preesiste: tutto
è immediatamente diviso, suddiviso, classificato, nume-
rato in annotazioni, meditazioni, settimane, punti, eserci-
zi, misteri, ecc. Un'operazione semplice, attribuita dal mi-
to al creatore del mondo che divide il giorno, la notte,
l'uomo, la donna, gli elementi e le speci, fonda continua-
mente il discorso ignaziano: l'articolazione. Il concetto in
Ignazio ha un altro nome, che si ritrova ostinatamente a
tutti i livelli della sua opera: il discernimento: discernere
è distinguere, separare, scartare, limitare, enumerare, va-
lutare, riconoscere la funzione fondatrice della differenza;
la discretio, parola ignaziana per eccellenza, designa un
gesto cosi originale che si può trovare applicata tanto a
comportamenti (nel caso della praxis aristotelica) e a giu-
dizi (la discreta caritas, carità chiaroveggente, che sa di-
stinguere) che a discorsi: la discretio fonda ogni linguag-
gio, dal momento che tutto ciò che è linguistico è arti-
colato.
I mistici lo hanno capito: l'attrazione e la diffidenza da
essi provata nei confronti del linguaggio si sono espresse
in un dibattito vivissimo intorno alla discontinuità dell'e-
sperienza interiore: è il problema delle «apprensioni di-
stinte»'. Anche quando il termine dell'esperienza mistica
è definito come un aldilà del linguaggio, in cui si annulla
la sua stessa prerogativa che è l'esistenza di unità artico-
late, gli stadi anteriori sono classificati, viene descritta una
lingua inaugurale: Teresa d'Avila discerne la meditazio-
ne, l'unione, il rapimento, ecc., e Giovanni della Croce,
che è certamente andato piu in là di Teresa nell'abolizione
del discontinuo, stabilisce un codice minuzioso delle ap-
prensioni (corporee esterne, corporee interne, distinte e
particolari, confuse, oscure e generali, ecc.). L'articolazio-
ne appare a tutti come la condizione, la prova e la fatalità
del linguaggio: bisogna esaurire l'articolazione, estenuarla
dopo averla riconosciuta. Lo sappiamo, non è questo lo
scopo d'Ignazio: la teofania da lui metodicamente cercata

1 Cfr. JEAN BARUZI, Saint Jean de la Croix et le problème de l'expé-


rience mystique, Alcan, Paris 1924.
LOYOLA 43
è in realtà una semiofania, ciò ch'egli si sforza di ottene-
re è il segno di Dio, piu che la sua conoscenza o la sua
presenza; il linguaggio è il suo orizzonte definitivo, e l'ar-
ticolazione un'operazione che non può mai abbandonare
a vantaggio di stati indistinti - ineffabili.
Le unità ritagliate da Ignazio sono numerosissime. Al-
cune sono temporali: settimane, giorni, momenti, tempi.
Altre oratorie: esercizi, contemplazioni, meditazioni (di
carattere essenzialmente discorsivo), esami, colloqui, pre-
amboli, preghiere. Altre infine sono, se cosi si può dire,
metalinguistiche: annotazioni, addizioni, punti, modi, no-
te. Questa varietà di distinzioni (di modello evidentemen-
te scolastico) proviene, come si è visto, dalla necessità di
occupare la totalità del territorio mentale, e conseguente-
mente di assottigliare all'estremo i canali attraverso cui
l'energia della parola va a ricoprire e, in certo modo, colo-
rire, la domanda dell'esercitante. Ciò che dev'essere tra-
sportato attraverso questa rete variata di distinguo è una
materia unica: l'immagine. L'immagine è precisamente
un'unità d'imitazione; si divide la materia imitabile (che
principalmente è la vita del Cristo) in frammenti che pos-
sano essere contenuti in un quadro e occuparlo intera-
mente; i corpi incandescenti dell'inferno, le grida dei dan-
nati, il gusto amaro delle lacrime, i personaggi della Nati-
vità, quelli della Cena, il saluto dell'angelo Gabriele alla
Vergine, ecc., tante unità d'immagine (o «punti»). Que-
sta unità non è immediatamente aneddotica; da sola non
fa necessariamente una scena completa, che mobiliti, co-
me al teatro, piu sensi in uno stesso momento: l'imma-
gine (l'imitazione) può essere puramente visiva, o pura-
mente uditiva, o puramente tattile, ecc. A fondarla è il
fatto che la si possa racchiudere in un campo omogeneo,
o, meglio ancora, quadrarla; ma il quadro che le dà Igna-
zio, generalmente derivato dalle categorie retoriche o psi-·
cologiche dell'epoca (i cinque sensi, le tre potenze dell'a-
nima, i personaggi, ecc.), è il prodotto voluto di un codice,
ha poco rapporto con quell'attrazione per l'oggetto rita-
gliato, il particolare isolato e delimitato, impressa dall'e-
stasi nella coscienza mistica o allucinata: come è per Te-
resa, che riceve bruscamente la visione delle'sole mani del
44 SADE,FOURIER,LOYOLA
Cristo « di una bellezza cosi meravigliosa che mi è impos-
sibile darne un'immagine», o per il consumatore di hash-
ish chiamato a immergersi per ore, secondo Baudelaire,
nella considerazione di un azzurrognolo cerchio di fumo.
L'immagine d'Ignazio è separata solo nella misura in cui
è articolata: ciò che la costituisce è il fatto di essere presa
in una differenza e al tempo stesso in una contiguità (di
tipo narrativo); per cui si contrappone alla «visione» (che
Ignazio ha conosciuto e di cui testimonia nel suo Diario),
poco distinta, elementare, e soprattutto erratica («Sentito
o visto in maniera luminosissima l'essere stesso o l'essen-
za divina, in una forma sferica un po' piu grande di quan-
to non appaia il sole»). L'immagine ignaziana non è una
visione, è una veduta, nel senso che la parola ha nell'arte
dell'incisione(« Veduta di Napoli»,« Veduta del Pont-au-
Change», ecc.); e questa «veduta» va inoltre presa in una
sequenza narrativa, un po' alla maniera della Sant'Orsola
del Carpaccio o delle illustrazioni successive di un ro-
manzo.
Queste vedute (estendendo il senso della parola, poi-
ché si tratta di tutte le unità della percezione immagina-
ria) possono «inquadrare» sapori, odori, suoni o sensazio-
ni, ma è la veduta «visiva», se cosi si può dire, che riceve
tutte le attenzioni di Ignazio. I soggetti sono i piu svaria-
ti: un tempio, una montagna, una valle di lacrime, l'ap-
partamento della vergine, un campo guerriero, un giardi-
no, il sepolcro, ecc.; minuziosi i particolari (considerare
la lunghezza di una strada, la sua larghezza se è in pianura
o attraverso valli e colline, ecc.). Queste vedute, il cui sug-
gerimento precede di norma ogni esercizio, è la celebre
composici6n viendo el lugar. La composizione di luogo
aveva dietro di sé una duplice tradizione. Prima di tutto
una tradizione retorica; la seconda sofistica, o neoretorica
alessandrina, aveva consacrato la descrizione di luogo sot-
to il nome di topografia; Cicerone raccomanda di conside-
rare, quando si parla di un luogo, se è piatto, montuoso,
uniforme, scosceso, ecc. (esattamente quello che dice Igna-
zio); e Aristotele, constatando che per ricordarsi delle co-
se basta riconoscere il luogo in cui si trovano, include il
luogo (topos), comune o speciale, nella sua retorica del
LOYOLA 45
probabile; in Ignazio, il luogo, per quanto materiale, ha
questa funzione logica: ha una forza associativa che Igna-
zio cerca di sfruttare. Secondariamente una tradizione cri-
stiana, che risale all'alto medioevo; tradizione del resto
ripudiata da Teresa d'Avila, incapace, diceva, di far la-
vorare la propria immaginazione su luoghi già dati, ma
resa sistematica da Ignazio, al punto che, sul finire della
sua vita, avrebbe voluto pubblicare un libro in cui le com-
posizioni di luogo sarebbero state raffigurate, incise (pa-
dre Jérome Nadal fu incaricato di preparare un volume
di stampe sulle scene evangeliche codificate dagli Esercizi,
e nel xvm secolo il manuale d'Ignazio fu abbondante-
mente illustrato). Vedremo infine che l'ampiezza eccezio-
nale, e eccezionalmente sistematica, data da Ignazio al lin-
guaggio delle «vedute» immaginarie, ha una portata sto-
rica e in certo modo dogmatica; ma la prima originalità
di questo linguaggio è di ordine semiologico: Ignazio ha
legato l'immagine a un ordine del discontinuo, ha artico-
lato l'imitazione, e, in tal modo, ha fatto dell'immagine
un'unità linguistica, l'elemento di un codice.

6. L'albero.

L'articolazione imposta all'immagine divide una conti-


guità; essa è di ordine sintagmatico e corrisponde a quel-
la opp~sizione delle unità all'interno della frase che i lin-
guisti chiamano «contrasto». La lingua ignaziana compor-
ta anche l'abbozzo di un sistema di opposizioni virtuali o
paradigmatiche. Ignazio pratica instancabilmente quella
forma esasperata del binarismo che è l'antitesi; tutta la se-
conda Settimana, per esempio, è regolata dall'opposizione
dei due regni, dei due stendardi, dei due campi, quello del
Cristo e quello di Lucifero, i cui attributi si contrappon-
gono biunivocamente; ogni segno di eccellenza determina
immancabilmente il vuoto su cui trova strutturalmente
appoggio per significare: la saggezza di Dio e la mia igno-
ranza, la sua onnipotenza e la mia debolezza, la sua giusti-
zia e la mia iniquità, la sua bontà e la mia malizia, tante
coppie paradigmatiche. È noto che Jakobson ha potuto
SADE,FOURIER,LOYOLA
definire il «poetico» come l'attualizzazione e l'estensione
di un'opposizione sistematica sul piano della catena par-
lata; il discorso d'Ignazio è fatto di queste estensioni, che,
se vogliamo proiettarle graficamente, prendono l'andatura
di una rete di nodi e di ramificazioni; rete relativamente
semplice quando le ramificazioni sono biforcazioni (veniva
appunto detta binaria, nei secoli XIV e xv, la scelta impli-
cata da un caso di coscienza), ma che può raggiungere una
complicazione estrema quando le ramificazioni sono mul-
tiple. Lo sviluppo del discorso somiglia allora al dispiega-
mento di un albero, figura ben nota ai linguisti. Ecco, in
uno schizzo, l'albero della prima Settimana:
intelligenza (idem) (idem)
mempria
yonta7
/.:i
1. ,, / J/ J//
r
x• peccato 2° peccato 3° peccato

cose invisibili olfatto

cosevisey

luo~etto luogo~tt~

I d. colloquio preludi colloquio


preu1 .
I pun1/c .~ punti (idem)
or=~
• ~nP
II
orazione /
esercizio I esercizio 2 esercizio 3 esercizio 4 esercizio 5

Settimana I

È utile rappresentare l'arborescenza continua del di-


scorso ignaziano, perché lo si può vedere espandersi come
un organigramma, destinato a regolare la trasformazione
di una richiesta di linguaggio, o anche: la produzione di
una cifra capace di provocare la risposta della divinità.
Gli Esercizi sono un po' una macchina, nel senso ciberne-
tico del termine: vi entra una «caso» grezzo, che è la ma-
teria dell'elezione; deve uscirne, non certo una risposta
LOYOLA 47
automatica, ma una richiesta codificata, e con ciò stesso
«accettabile» (nel senso che la parola può avere in lingui-
stica). Vedremo che l'albero ignaziano ha il fine parados-
sale di equilibrare gli elementi della scelta, e non, come ci
si potrebbe aspettare, di privilegiarne uno; è l'appello al
segno di Dio, infatti, che è codificato, e non questo segno
in sé, direttamente.

7. Topiche.

L'albero d'Ignazio suggerisce l'idea di una spinta, di


una condotta della richiesta (oggetto dell'Esercizio) attra-
verso un intreccio di rami; ma, per suddividersi, il tema
sottoposto alla meditazione ha bisogno di un apparato
supplementare, che gli porge il ventaglio delle sue possi-
bilità; questo apparato è una topica. La topica, parte im-
portante dell'inventio, riserva dei luoghi comuni o spe-
ciali in cui si poteva attingere la premessa degli entimemi,
ha avuto una fortuna enorme in tutta la retorica antica.
«Regione degli argomenti», «circolo», «sfera», «sorgen-
te», «pozzo», «arsenale», «alveare», «tesoro in cui dor-
mono le idee», i retori non si sono stancati di celebrare in
essa il mezzo assoluto di avere qualcosa da dire. Forma
preesistente a ogni invenzione, la topica è un reticolato,
un'intavolatura di caselle attraverso cui si conduce il sog-
getto da trattare (la quaestio); da questo contatto meto-
dico nasce l'idea - o almeno il suo inizio, che il sillogi-
smo avrà il compito di prolungare in certo modo mecca-
nicamente. La topica ha quindi tutti i prestigi di un ar-
senale di potenze latenti. Si sono avute molte topiche,
dalla topica di Aristotele fino alla « topica sensibile» di
Vico; e si può dire che anche dopo la sua morte molti
discorsi ne continuano il procedimento senza assumerne
il nome.
È da immaginare quale profitto potesse ricavare Igna-
zio da questo strumento: il soggetto della meditazione
(posto sempre sotto forma di richiesta a Dio in un pream-
bolo dell'Esercizio) è messo metodicamente a confronto,
punto per punto, con i termini di una lista, in maniera da
SADE,FOURIER,LOYOLA

far nascere le immagini di cui Ignazio compone la propria


lingua. Le liste di Ignazio (le sue topiche) sono fonda-
mentalmente: i dieci Comandamenti, i sette Peccati capi-
tali, le tre potenze dell'anima (memoria, intelletto, volon-
tà), e soprattutto i cinque sensi: vedere i corpi incande-
scenti, udire le grida dei dannati, sentire la cloaca dell'a-
bisso, gustare l'amarezza delle lacrime, toccare il fuoco.
E non basta: nella misura in cui il soggetto stesso può
suddividersi in punti particolari e gli si chiede di far pas-
sare ognuno di questi attraverso tutte le caselle della to-
pica, l'esercitante deve procedere a una vera e propria tes-
situra della meditazione, dove i punti del soggetto forni-
scono la trama e le caselle della topica l'ordito; cosi, ognu-
no dei tre peccati, quello degli Angeli, quello di Adamo
e quello di un uomo, dev'essere percorso tre volte, secon-
do le tre direttrici della memoria, dell'intelletto e della vo-
lontà. Anche qui funziona la legge di economia totalitaria
di cui abbiamo già parlato: tutto è ricoperto, rivestito,
esaurito.
Ignazio immagina persino una topica libera, vicina al-
l'associazione d'idee: il secondo modo di pregare consiste
nel « contemplare il senso di ogni parola di una preghie-
ra ... Si dirà la parola Pater. Si resterà a considerare questa
parola cosi a lungo che nelle considerazioni relative a que-
sta parola si troveranno sensi, confronti, gusto e consola-
zione»; in questo modo si può restare un'ora sull'insieme
del Pater. Si tratta di una tecnica molto generale; è un
modo di concentrazione familiare al medioevo sotto il no-
me di lectio divina, e al buddismo sotto quello di nem-
butsu, o meditazione del nome di Buddha. Graziano ne ha
dato una versione barocca, piu letteraria, che consiste nel-
lo scomporre il nome nei suoi temi etimologici, sia pure
fantasiosi (Di-os, colui che ci ha dato la vita, la fortuna,
i figli, ecc.): è l'agudeza nominal, sorta di annominatio re-
torica. Ma laddove per il buddista la concentrazione nomi-
nale deve produrre un vuoto, Ignazio raccomanda un'e-
splorazione di tutti i significati di un solo nome per farne
la somma; vuole strappare alla forma tutti i suoi sensi, e
per questa via estenuare il soggetto - quel soggetto che,
nella nostra terminologia, è dotato di una gustosa ambi-
LOYOLA 49
guità, poiché è nel contempo quaestio e ego, oggetto e
agente del discorso.

8. Montaggi.

Ciò che è stato articolato dev'essere rimontato. Il testo


dell'esercitante comporta due grandi forme di montaggio,
la ripetizione e il racconto.
La ripetizione è un elemento capitale della pedagogia
degli Esercizi. C'è in primo luogo la ripetizione letterale,
che consiste nel rifare interamente un Esercizio nel suo
andamento e nei suoi particolari; è la ruminazione (il ter-
mine è d'Ignazio). C'è inoltre la ricapitolazione, vecchio
schema classico della summatio, abbondantemente ripreso
per secoli: cosi, nel settimo giorno della terza Settimana,
Ignazio raccomanda di riprendere e considerare tutto l'in-
sieme della Passione. C'è infine la ripetizione variata,
quella che consiste nel riprendere un soggetto cambian-
done il punto di vista; se, per esempio, sull'orlo dell'ele-
zione, mi soffermo col pensiero su una scelta, devo consi-
derare che cosa sarà successo di questa scelta il giorno del-
la mia morte, poi il giorno del Giudizio finale. La ripeti-
zione consiste nell'esaurire le «pertinenze» di un sogget-
to: si ripete, variando un poco, per essere certi di rico-
prire bene. Il modello complesso della ripetizione igna-
ziana potrebbe essere la quadruplice formula che riassu-
me, dicono, le quattro Settimane degli Esercizi: I. Defor-
mata reformare, 2. Reformata conformare, 3. Conformata
confirmare, 4. Confirmata transformare; con due radici e
quattro prefissi, non solo tutto è enunciato, ma è anche
ripetuto, come in un insieme dalle parti leggermente so-
vrapposte le une sulle altre in maniera da garantire una
congiunzione perfetta. La ripetizione ignaziana non è mec-
canica, ha una funzione di chiusura, o piu esattamente di
sfalsatura: i frammenti ripetuti sono come i muri - o gli
intagli - di una fortificazione.
La seconda forma di montaggio è il racconto. Con que-
sto bisogna intendere, nel senso formale, ogni discorso
provvisto di una struttura i cui termini siano differenziati,
50 SADE, FOURIER, LOYOLA

relativamente liberi (aperti all'alternativa e di conseguen-


za alla suspense), riducibili (è il riassunto) e dilatabili (vi
si possano intercalare all'infinito elementi secondari). Le
meditazioni elaborate da Ignazio sulla base di un ritaglio
del grande racconto evangelico, i cui episodi sono dati alla
fine degli Esercizi sotto il nome di misteri, possiedono
questi caratteri; possiamo riassumerle (generalmente ne
viene dato il riassunto in un preambolo: è la storia, la
narratio ciceroniana, la relazione dei fatti, rerum explica-
tio, il primo spiegamento della cosa); possiamo anche au-
mentarle, dilatarle, come espressamente indica Ignazio;
infine esse possiedono l'attributo patetico della struttura
narrativa: la suspense; se infatti la storia del Cristo è nota
e non comporta nessuna sorpresa aneddotica, è sempre
possibile drammatizzarne la risonanza, riproducendo den-
tro di sé la forma della suspense, che rende l'ombra tar-
diva o esitante a dissiparsi; quando recita la vita del Cri-
sto l'esercitante non deve affrettarsi, deve esaurirne ogni
stazione, fare ogni Esercizio senza informarsi sul succes-
sivo, non lasciar giungere troppo presto, fuori luogo, dei
moti di consolazione, in una parola rispettare la suspense
dei sentimenti se non quella dei fatti. È in virtu di questa
struttura narrativa che i «misteri» ritagliati da Ignazio
nel racconto eristico hanno qualcosa di teatrale, che li ap-
parenta ai misteri medievali: sono delle «scene», che l'e-
sercitante è richiesto di vivere, alla maniera di uno psico-
dramma.
L'esercitante è infatti chiamato a investirsi in pari mi-
sura nel racconto che nella ripetizione. Egli deve ripetere
quello che in ogni racconto lo deprime, lo consola, lo trau-
matizza, lo estasia; deve vivere l'aneddoto identificandosi
col Cristo: <<chiedere il dolore con il Cristo doloroso, la
lacerazione con il Cristo lacerato». L'Esercizio implica
fondamentalmente un piacere (nel senso ambiguo che pos-
siamo riconoscere oggi a questa parola), e il teatro igna-
ziano è piu fantasmatico che retorico: in esso la «scena»,
in realtà, è uno « scenario».
LOYOLA 5r

9. Il fantasma.

«Gli Esercizi, -dice un commentatore gesuita ',-sono


un luogo temibile e desiderabile al tempo stesso ... » Chi
legge gli Esercizi, infatti, non può non essere colpito dalla
massa di desiderio che vi si agita. La forza immediata di
questo desiderio si legge nella stessa materialità degli og-
getti di cui Ignazio chiede la rappresentazione: luoghi nel-
la loro dimensione esatta, completa, personaggi nei loro
costumi, atteggiamenti, azioni, parole dirette. Le cose piu
astratte (che Ignazio chiama «invisibili») devono trovare
qualche movimento materiale in cui dipingersi e finire co-
me quadro vivente: se si deve suscitare la Trinità, sarà
sotto la forma di tre persone in atto di osservare gli uo-
mini discendenti verso l'inferno; ma la sostanza, la forza
della materialità, la cifra immediata del desiderio, è, be-
ninteso, il corpo umano; corpo incessantemente mobilita-
to nell'immagine dal gioco stesso dell'imitazione, che sta-
bilisce un'analogia letterale fra la corporeità dell'eserci-
tante e quella del Cristo, di cui si tratta di ritrovare l'esi-
stenza, quasi fisiologica, attraverso un'anamnesi persona-
le. In Ignazio non si tratta mai di un corpo concettuale:
è sempre questo corpo: se mi trasporto in una valle di la-
crime, occorre immaginare, vedere, questa pelle, queste
membra fra i corpi degli animali, e percepire l'infezione
che esce da quest'oggetto misterioso di cui il dimostrativo
(questo corpo) esaurisce la situazione, poiché non può es-
sere che designato, non definito. Il deittismo del corpo è
rinforzato dal mezzo che lo trasmette: l'immagine. L'im-
magine è per natura deittica, designa, non definisce; in
essa c'è sempre un residuo di contingenza, che può solo
essere segnato a dito. Semiologicamente, l'immagine tra-
sporta sempre al dilà del significato, verso la pura mate-
rialità del referente. Ignazio segue sempre questo traspor-
to, che vuol fondare il senso in materia e non in concetto;
collocandosi davanti alla croce (collocando quel corpo da-

1 F. Courel, Introduzione agli Exercices spirituels, Desclée de Brou-


wer, I96o.
52 SADE,FOURIER,LOYOLA
vanti alla croce), egli cerca di superare il significato del-
l'immagine (che è il senso cristiano, universalmente medi-
tato) verso il suo referente, che è la croce materiale, quel
legno incrociato, di cui, attraverso i sensi immaginari, cer-
ca di percepire tutti gli attributi circostanziali. Questa ri-
salita verso la materia, che formerà l'essenziale del reali-
smo devoto di cui Renan deplorava «la rivoltante crudez-
za», è condotta alla maniera di una fantasia cosciente, di
un'improvvisazione regolata (non è forse questo il senso
del Phantasieren musicale e freudiano?}: nella stanza
chiusa e scura in cui si medita, tutto è pronto per l'incon-
tro fantasmatico del desiderio, formato direttamente sul
corpo materiale, e della «scena», derivata dalle allegorie
di desolazione e dai misteri evangelici.
In questo teatro, infatti, si fa di tutto perché l'eserci-
tante vi si rappresenti lui stesso: è il suo corpo che è de-
stinato a occuparlo. Lo stesso svolgimento del suo ritiro,
lungo le ultime tre settimane, segue la storia del Cristo:
nasce con lui, viaggia con lui, mangia con lui, s'impegna
con lui nella Passione. L'esercitante viene continuamente
richiesto d'imitare due volte, d'imitare ciò ch'egli imma-
gina: pensare al Cristo «come se lo si vedesse mangiare
con gli Apostoli, al suo modo di bere, di guardare, di par-
lare; e cercare d'imitarlo». Il tema cristomorfico ha sem-
pre affascinato Ignazio: studiando a Parigi e cercando un
impiego presso un insegnante, « immaginava che il suo
maestro fosse il Cristo, e che avrebbe dato il nome di san
Pietro a uno studente, a un altro quello di san Giovanni ...
E quando il maestro mi darà un ordine, penserò che sarà
il Cristo a darmelo»'. L'esistenza deiforme (secondo l'os-
servazione di Rusbrock) fornisce la scena, il materiale
aneddotico del fantasma; in questo, è noto, perché è la
sua definizione, il soggetto dev'essere presente': qualcuno
di attuale (Ignazio, l'esercitante, il lettore, poco importa)
prende il suo posto e il suo ruolo nella scena: l'io appare:

' Récit du Pèlerin, Desclée de Brouwer, 1956, p. 112.


• Il fantasma è uno « scenario immaginario dove il soggetto è presente
e che raffigura ... l'attuazione di un desiderio» (J. LAPLANCHE e J.-B. PON-
TALIS, Dictionnaire de psychanalyse, PUF, Paris 1967 [trad. it. Enciclope-
dia della psicanalisi, 2 voll., Laterza, Bari 1974']).
LOYOLA 53
« Immaginando il Cristo nostro Signore davanti a me, po-
sto sulla croce, chiedergli in un colloquio», ecc.; davanti
agli attori della Natività, « io, farmi un piccolo poverello,
un piccolo schiavo indegno, che li guarda, li contempla e
li serve nelle loro necessità, come se mi trovassi presen-
te»; « sono un cavaliere umiliato davanti a tutta una corte
e al suo re» 1 ; « sono un peccatore in catene davanti al giu-
dice», ecc. Questo io approfitta di tutti gli argomenti for-
niti dal canovaccio evangelico per realizzare i movimenti
simbolici del desiderio: umiliazione, giubilo, timore, ef-
fusione, ecc. La sua plasticità è assoluta: può trasformar-
si, rimpicciolirsi, secondo i bisogni del confronto («Guar-
dare chi sono e farmi sempre piu piccolo attraverso con-
fronti a) con gli uomini, b) con gli angeli, e) con Dio»).
È che, come nella fantasticheria allo hashish di cui Baude-
laire descrive l'effetto di volta in volta riducente o dila-
tante, l'io ignaziano, quando immagina secondo le vie del
fantasma, non è una persona; aneddoticamente, Ignazio
può sf, di tanto in tanto, assegnargli un posto nella scena;
ma fantasmaticamente la sua situazione è fluida, dispersa;
l'esercitante (supponendo che sia il soggetto della medita-
zione) non scompare ma si sposta nella cosa, come il fu-
matore di hashish assorbito per intero nel fumo della sua
pipa e che « si fuma»: non resta che il verbo a sostenere
e giustificare la scena. Non è certo in una prospettiva di
questo genere che è stata scritta la celebre frase attribuita
a Ignazio (derivata in realtà da un Elogium sepulcrale S.
Ignatii): «Non coerceri maximo, contineri tamen a mini-
mo, divinum est» (Non essere costretto dal piu grande,
esser tuttavia contenuto dal piu piccolo, è cosa divina);
basta però ricordare con quale predilezione è stata citata
da Holderlin, per vedervi la vera massima di quella flut-
tuante presenza del soggetto nell'immagine che contraddi-
stingue, al tempo stesso, il fantasma e la contemplazione
ignaziana.

1 Preoccupato di « adattare allo spirito del nostro tempo» l'allegoria


ignaziana del re temporale, il padre gesuita Coathalem suggerisce di sosti-
tuire al re di diritto divino, nello scenario della comparizione umiliante,
« qualche gran capitano d'industria d'insigne talento»!
54 SADE, FOURIER, LOYOLA

ro. Ortodossia dell'immagine.

Agli inizi dell'epoca moderna, nel secolo d'Ignazio, un


fatto comincia a modificare, sembra, l'esercizio dell'imma-
ginazione: un rimaneggiamento della gerarchia dei cinque
sensi. Nel medioevo, ci dicono gli storici, il senso piu sot-
tile, il senso percettivo per eccellenza, quello che stabilisce
il piu ricco contatto col mondo, è l'udito; la vista viene
solo in terza posizione, dopo il tatto. Poi c'è un rovescia-
mento: l'occhio diviene l'organo fondamentale della per-
cezione (come attesterà il barocco, che è arte della cosa
vista). Questo mutamento ha una grande importanza reli-
giosa. Il primato dell'udito, ancora vivissimo nel XVI se-
colo, era garantito teologicamente: la Chiesa fonda la sua
autorità sulla parola, la fede è audizione: auditum verbi
Dei, id est fidem; l'orecchio, l'orecchio soltanto, dice Lu-
tero, è l'organo del Cristiano. Rischia quindi di emergere
una contraddizione fra la nuova percezione, condotta dal-
la vista, e la vecchia fede, fondata sull'ascolto. Ignazio si
adopra appunto a ridurla: egli vuole fondare l'immagine
(o «vista» interiore) come ortodossia, quale nuova unità
della lingua che lui costruisce.
Ci sono però delle resistenze religiose all'immagine (ol-
tre a quella dell'impronta uditiva della fede, raccolta, ali-
mentata e riaffermata dalla Riforma). Le prime sono di
origine ascetica; la vista, promotrice del tatto, è facilmen-
te associata al desiderio della carne (benché il mito antico
della seduzione sia quello delle Sirene, vale a dire di una
tentazione melodiosa), e tanto piu l'asceta ne diffida in
quanto non si può vivere senza vedere; cosi'., uno dei pre-
decessori di Giovanni della Croce imponeva alle sue per-
cezioni visive un limite di cinque piedi, e oltre questo non
doveva guardare. Anteriore al linguaggio («Prima del lin-
guaggio, - dice Bonald, - non c'erano che i corpi e le loro
immagini»), l'immagine, si pensa, ha qualcosa di barbaro
e per dir tutto di naturale, che la rende sospetta a ogni
morale disciplinare. Forse, in questa diffidenza nei con-
fronti dell'immagine, c'è il presentimento che la vista sia
piu vicina all'inconscio e a tutto quello che vi si agita, co-
LOYOLA 55
me ha notato Freud. La Chiesa ha sviluppato altre resi-
stenze all'immagine, piu ambigue: quelle dei mistici. Co-
munemente le immagini (soprattutto le visioni, e a mag-
gior ragione le «visioni» di ordine inferiore) non sono
ammesse nell'esperienza mistica se non a titolo prepara-
torio: sono esercizi di debuttanti; per Giovanni della Cro-
ce, immagini, forme e meditazioni convengono solo ai
principianti. Lo scopo dell'esperienza è invece la priva-
zione d'immagini; è « salire con Gesu sulla vetta del no-
stro spirito, sulla montagna della Nudità senza immagi-
ni» (Rusbrock). Giovanni della Croce osserva che l'anima
«in atto di nozione confusa, amorosa, pacifica e placata»
(totalmente spogliata delle immagini distinte) non può,
senza una dolorosa fatica, tornare alle contemplazioni par-
ticolari, in cui si discorre per immagini e forme; e Teresa
d'Avila, benché a questo proposito occupi una posizione
intermedia fra Giovanni della Croce e Ignazio di Loyola,
prende le sue distanze nei confronti dell'immaginazione:
«questa facoltà è talmente inerte che, malgrado tutti i
miei sforzi, non potevo mai dipingermi né rappresentarmi
la Santa Umanità di Nostro Signore» (rappresentazione
che Ignazio, invece, non lascia, come abbiamo visto, di
provocare, di variare e di sfruttare). È noto che da un pun-
to di vista mistico, la fede abissale è oscura, calata, spro-
fondata (dice Rusbrock) nella tenebra immensa di Dio,
che è «l'aspetto del nulla sublime», mentre le meditazioni
contemplazioni, visioni, vedute e discorsi, in una parola
le immagini, occupano appena «la scorza dello spirito».
A queste diffidenze, ascetiche o mistiche, sappiamo che
Ignazio risponde con un imperialismo radicale dell'imma-
gine: prodotto dell'immaginazione orientata, l'immagine
è la materia costante degli Esercizi: le vedute, le rappre-
sentazioni, le allegorie, i misteri (o aneddoti evangelici),
continuamente suscitati dai sensi immaginari, sono le uni-
tà costitutive della meditazione, e, come abbiamo detto
prima, questo materiale figurativo ha generato natural-
mente, dopo la morte d'Ignazio, una letteratura d'illustra-
zioni, d'incisioni, che a volte sono state adattate al paese
alla cui evangelizzazione erano dedicate: certe furono of-
ferte all'ultimo imperatore Ming. Ma l'immagine non è ri-
SADE, FOURIER, LOYOLA
conosciuta, promossa, se non al prezzo di un trattamento
sistematico di cui Ignazio si è fatto primo praticante e che
non si ritrova affatto nelle condiscendenti forme di acco-
stamento alle visioni da parte dei mistici, che se ne sareb-
bero poi liberati a vantaggio della sola tenebra divina. C'è
infatti un modo per «sdoganare» teologicamente l'imma-
gine: quello di farne non piu la scala di una via unitiva,
bensi l'unità di un linguaggio.
Costituire il campo dell'immagine in sistema linguistico
equivale infatti a premunirsi contro i margini sospetti del-
l'esperienza mistica: il linguaggio è il garante della fede
ortodossa, perché certo (fra le altre ragioni) autentica la
specificità della confessione cristiana. Il linguaggio - nella
sua natura espressamente articolata - è proprio ciò che
Bossuet contrappone all'eresia quietista (di cui sappiamo
i rapporti storici con Giovanni della Croce): contro Mme
Guyon che definiva l'orazione vuota come «un profondo
raccoglimento, senza atto né discorso», Bossuet proclama
che «l'atto di fede si deve manifestare in maniera discor-
siva, l'anima deve chiedere esplicitamente la propria sal-
vezza»: in una parola, non c'è preghiera se non articolata.
E l'articolazione è quello che Ignazio apporta all'immagi-
ne, la via di cui si serve per darle un essere linguistico, e
pertanto un'ortodossia. Questa interpunzione, di cui sap-
piamo che è la condizione necessaria e sufficiente di ogni
linguaggio, si è visto come regni sugli Esercizi, ritaglian-
do, suddividendo, biforcando e triforcando, combinando,
tutte operazioni propriamente semantiche destinate a com-
battere spietatamente il vago e il vuoto.
Le gerarchie fornite da questa linguistica dell'immagine
sono di tre ordini. In primo luogo una garanzia realista,
laddove la cosa allucinata, secondo Merleau-Ponty, com-
porta una significazione implicita e inarticolata, la cosa
vera è « ripiena delle piccole percezioni che la portano nel-
l'esistenza»: le immagini ritagliate da Ignazio non sono
allucinazioni, il loro modello è il reale intelligibile. Poi
una garanzia logica: l'interpunzione delle immagini per-
mette uno sviluppo graduale, di ritmo pari a quello delle
concatenazioni logiche. Il buddismo conosce dottrine det-
te torin (in cinese), in cui l'apertura della mente è un av-
LOYOLA 57
venimento separato, improvviso, brusco, discontinuo (co-
me lo Zen), e dottrine dette kien, in cui questa stessa illu-
minazione è il risultato di un metodo graduale (ma non
continuo). Gli Esercizi sono kien, tanto piu paradossal-
mente in quanto l'immagine passa comunemente per il
supporto privilegiato dell'intuizione immediata e del bru-
sco rapimento. Non solo, ma l'articolazione permette di
predicare Dio; tutto lo sforzo mistico è di ridurre (o in-
grandire, come si vuole) Dio alla sua essenza (Maimonide,
ripreso da Giovanni della Croce: «Noi di Dio non coglia-
mo altro se non che è, non però ciò che è»), e questo sfor-
zo porta già in sé la condanna di ogni linguaggio; sceglien-
do la via di un'interpunzione esasperata Ignazio apre alla
divinità la lista, al tempo stesso metaforica e metonimica,
dei suoi attributi: è possibile parlare Dio. Infine una ga-
ranzia etica; la mistica speculativa (quella di Giovanni
della Croce per esempio) si adatta a un aldilà del linguag-
gio; il discontinuo ignaziano, la vocazione linguistica de-
gli Esercizi, sono per converso conformi alla mistica del
«servizio» praticata da Ignazio: non c'è prassi senza co-
dice (lo abbiamo accennato a proposito della proairesis
aristotelica), ma ogni codice è anche un legame col mon-
do: l'energia di linguaggio (di cui gli Esercizi sono uno
dei teatri esemplari) è una forma - la forma stessa di un
desiderio del mondo.

I I. La contabilità.

Gli Esercizi possono essere concepiti come una lotta ac-


canita contro la dispersione delle immagini, che si dice
impronti psicologicamente il vissuto mentale e di cui -
tutte le religioni ne convengono - solo un metodo estre-
mamente rigoroso può venire a capo. L'immaginazione
ignaziana, l'abbiamo già detto, ha in primo luogo questa
funzione di selezione e di concentrazione: si tratta di scac-
ciare tutte quelle immagini fluttuanti che invadono la
mente simili a «un volo disordinato di moscerini» (Teo-
fane il Recluso) o a « scimmie capricciose che balzano da
un ramo all'altro» (Ramakrishna); ma per sostituirle con
SADE,FOURIER,LOYOLA
che cosa? A dire il vero, non è contro la proliferazione
delle immagini che gli Esercizi finiscono per far guerra
ma, molto piu drammaticamente, contro la loro inesisten-
za, come se, originariamente svuotato dei fantasmi (qua-
lunque sia la dispersione della sua mente), l'esercitante
avesse bisogno che lo si aiuti a procurarsene. Si può dire
che Ignazio si dia tanto da fare per riempire la mente di
immagini quanto i mistici (cristiani e buddisti) per svuo-
tamela; e se ci vogliamo riferire a certe ipotesi attuali',
che definiscono il malato psico-somatico come un soggetto
incapace di produrre dei fantasmi e la cura come uno sfor-
zo sistematico per fargli ritrovare una « capacità di mani-
polazione fantasmatica», Ignazio è proprio uno psicote-
rapeuta che cerca d'iniettare a ogni costo delle immagini
nella mente atona, arida e vuota dell'esercitante, d'intro-
durre in lui questa cultura del fantasma, preferibile, mal-
grado i rischi, a quel nulla di fondo (niente da dire, da
pensare, da immaginare, da sentire, da credere), che con-
traddistingue il soggetto della parola prima che il retore
o il gesuita non facciano intervenire la loro tecnica e non
gli diano una lingua. In una parola, bisogna accettare di
«nevrotizzare» il devoto.
Si è potuto definire (Lacan) la nevrosi ossessiva come
una « scomposizione difensiva, paragonabile nei suoi prin-
cip1 a quella che illustrano la fortificazione e la sfalsatu-
ra ». È esattamente la struttura degli Esercizi; non solo la
materia ascetica è rotta, articolata all'estremo, ma è anche
esposta mediante un sistema discorsivo di annotazioni, di
osservazioni, di punti, di preliminari, di precauzioni, di ri-
petizioni, di ritorni, e di colmature, che forma una difesa
fortissima. Il carattere ossessivo degli Esercizi esplode
nella rabbia di contabilità trasmessa all'esercitante; dal
momento in cui appare, un oggetto, intellettuale o imma-
ginario, è rotto, diviso, computato. La contabilità è osses-
siva non solo perché è infinita, ma soprattutto perché ge-
nera le proprie colpe: trattandosi di contare i propri pec-

I P. MARTY, M. DE M'UZAN e c. DAVID, L'investigation psychosoma-


tique, PUF, Paris 1963 [trad. it. di L. Aurigemma, L'indagine psicosoma-
tica. Sette casi clinici, Boringhieri, Torino 1971].
LOYOLA 59
cati (e vedremo che Ignazio ha previsto a questo propo-
sito una tecnica di contabilità grafica), il fatto di contarli
male diventerà a sua volta una colpa da aggiungere alla li-
sta originaria; cosI questa lista è soggetta a infinità, il con-
to redentore delle colpe richiamando per contropartita le
colpe stesse del conto: per esempio, l'Esame particolare
della prima Settimana è destinato soprattutto a contabiliz-
zare le mancanze commesse nei confronti delle orazioni. È
infatti l'aspetto nevrotico proprio dell'ossessione quello
di mettere in opera una macchina che si mantiene da sola,
una sorta di omeostato della colpa, costruito in modo tale
che il suo solo funzionamento gli fornisce la sua forza di
marcia; cosI vediamo Ignazio, nel suo Diario, chiedere un
segno a Dio, Dio tardare a darlo, Ignazio spazientirsi, ac-
cusarsi di spazientirsi, e ricominciare il circuito; si prega,
ci se la prende perché si prega male, si aggiunge alla pre-
ghiera mancata una preghiera supplementare di perdono,
ecc.; o ancora: per decidere se bisogna por fine alle messe
destinate a suscitare un'elezione, si progetta ... di dire una
messa di piu. La contabilità comporta un vantaggio mec-
canico: infatti, in quanto linguaggio di un linguaggio, essa
si presta ad appoggiare una circolarità infinita delle colpe
e del loro calcolo. Ha un altro vantaggio; vertendo sui
peccati contribuisce a creare, fra il peccatore e la somma
numerabile delle sue colpe, un legame narcisistico di pro-
prietà: la mancanza è un mezzo per accedere all'identità
dell'individuo, e in questo senso l'ordine del tutto compu-
tabile del peccato, quale è stabilito nel manuale d'Ignazio
e che era probabilmente poco familiare al medioevo, so-
prattutto sensibile, sembrerebbe, in maniera piu cosmica,
alla colpa originale e all'inferno, non può essere comple-
tamente estraneo alla nuova ideologia capitalistica, arti-
colata contemporaneamente sul sentimento individualisti-
co della persona e l'enumerazione dei beni, che, apparte-
nendole in proprio, la costituiscono. È evidente l'ambigui-
tà degli Esercizi; fondano una psicoterapia destinata ari-
svegliare, a far ragionare, mediante la produzione di una
lingua fantasmatica, l'atonia di questo corpo che non ha
niente da dire, ma al tempo stesso provocano una nevrosi,
la cui stessa ossessione protegge la soggezione del devoto
60 SADE, FOURIER, LOYOLA

(del cristiano) nei confronti della divinità. In altre parole


diremo che Ignazio (e con lui la Chiesa) istituisce sfa van-
taggio dell'esercitante una psicoterapia, ma si guarda con-
tinuamente dal risolvere il rapporto di transfert ch'essa
implica. Situazione a cui bisogna contrapporre - se si vuo-
le capire la particolarità cristiana su cui per forza di abi-
tudine possiamo ingannarci - un altro tipo di ascesi, quel-
la dello Zen, per esempio, il cui sforzo è invece interamen-
te volto a «disossessivare» la meditazione, sovvertendo,
per meglio annullarli, le classi, i repertori, i computi, in
una parola l'articolazione, o ancora: la lingua stessa.

I 2. La bilancia e la marca.

Per concludere, dobbiamo tornare al testo multiplo de-


gli Esercizi. Tutto quello che abbiamo detto fino a questo
punto concerneva soprattutto il terzo testo, il testo agito,
mediante cui l'esercitante, in possesso della lingua inter-
rogativa propostagli da Ignazio, tenta di ottenere dalla
divinità una risposta al dilemma squisitamente pratico
delle sue condotte, vale a dire una « buona elezione». Re-
sta da sapere quello che Ignazio ha potuto dire della lin-
gua della divinità, questa seconda faccia di ogni mantica.
Questa lingua - cosf è stato sempre - si riduce a un se-
gno unico, che non è altro che la designazione di uno dei
due termini di un'alternativa; questa designazione, enun-
ciabile in molti modi, è il numen antico, il cenno di testa
con cui la divinità dice si o no a ciò che le viene proposto.
La retorica implicita nel terzo testo degli Esercizi consiste
infatti nello sgombrare gli intralci alla deliberazione, nel
ridurla, mediante sfalsature successive, a un'alternativa
uniforme, in cui il cenno di Dio possa intervenire con sem-
plicità. È evidente il ruolo della divinità: marcare uno dei
termini della binarità. Ora è qui il meccanismo fondamen-
tale di tutto l'apparato linguistico: viene dato un para-
digma di due termini uguali, un termine viene marcato in
opposizione all'altro, che non lo è, e nasce il senso, è enun-
ciato il messaggio. Nella mantica, il numen è la marca in
sé, il suo stato elementare. Questa produzione del senso
LOYOLA 6I
non manca di ricordare, sul piano laico, la retorica plato-
nica, quale la vediamo in opera, per esempio, nel Sofista:
anche per questa retorica, si tratta di progredire nel di-
scorso attraverso una successione di alternative di cui l'in-
terlocutore è richiesto di marcare uno dei termini: è la
concessione del chierico, legato al maestro da un rapporto
amoroso, che libera l'alternativa dall'impasse e permette
di passare all'alternativa successiva, in maniera da acco-
starsi progressivamente all'essenza della cosa. Nella man-
tica, di fronte all'alternativa tesale dall'interrogante, la di-
vinità, allo stesso modo, concede uno dei termini: è la sua
risposta. Nel sistema ignaziano, i paradigmi sono dati dal
discernimento, ma solo Dio può marcarli: generatore ma
non preparatore del senso, egli è, strutturalmente, il Mar-
catore, colui che imprime una differenza.
Questa distribuzione delle funzioni linguistiche è rigo-
rosa. Il ruolo dell'esercitante non è affatto di scegliere, va-
le a dire di marcare, bensf al contrario di tendere alla mar-
ca divina un'alternativa di una perfetta uguaglianza. L'e-
sercitante deve lavorare a non scegliere; il fine del suo di-
scorso è quello di portare i due termini dell'alternativa a
uno stato di omogeneità cosi puro che egli, umanamente,
non se ne può liberare; piu il dilemma sarà uguale, piu la
sua chiusura sarà rigorosa, e piu il numen divino sarà chia-
ro, o meglio: piu sarà certo che la marca è di origine di-
vina; piu l'equilibrio del paradigma sarà raggiunto, piu
sensibile sarà lo squilibrio che gli verrà impresso da Dio.
Questa uguaglianza paradigmatica è la famosa indifferenza
ignaziana che tanto ha indignato i nemici dei gesuiti: non
voler niente per sé, essere disponibile come un cadavere,
perinde ac cadaver; un discepolo d'Ignazio, Jérome Na-
dal, quando gli veniva chiesto che cosa decideva, rispon-
deva di non inclinare a nulla se non a non inclinare a nul-
la. Questa indifferenza è una virtualità di possibili, che si
lavora a rendere di peso uguale, come se si dovesse co-
struire una bilancia di una sensibilità estrema, a cui affi-
dare materie incessantemente portate all'uguaglianza, in
maniera che l'ago non pieghi né da una parte né dall'altra:
è la bilancia ignaziana: «Devo trovarmi indifferente, sen-
za alcun attaccamento disordinato, in maniera da non es-
SADE,FOURIER,LOYOLA

sere propenso né attaccato a prendere ciò che mi viene


proposto piu di quanto non lo sia a lasciarlo, né a lasciarlo
piu di quanto non lo sia a prenderlo. Ma devo trovarmi
come l'ago di una bilancia per seguire quello che senta piu
essere a gloria e a lode di Dio nostro Signore e a salvezza
della mia anima».
Si capisce, a questo punto, che la misura non è qui una
semplice idea retorica, ma un valore strutturale, che ha un
ruolo molto preciso nel sistema linguistico elaborato da
Ignazio: è la condizione che permette di offrire alla marca
il miglior paradigma possibile. La misura garantisce lo
stesso linguaggio, e troviamo qui, di nuovo, l'opposizione
già notata fra l'ascesi ignaziana e la mistica fiamminga; per
Rusbrock c'è un nesso fra il sovvertimento della stessa
funzione di linguaggio e l'abbagliamento della dismisura;
alla rigida contabilità istituita da Ignazio risponde l'ebrez-
za mistica («Chiamo ebrezza della mente, - dice Rus-
brock, - quello stato in cui l'esultanza supera le possibilità
intraviste dal desiderio»), quella ebrezza che tante iper-
boli tentano di circoscrivere («l'eccesso della trascenden-
za», «l'abisso della sovressenza», «il godimento coronato
nell'essenza senza misura», «la beatitudine nuda e sovres-
senziale»). Via possibile di conoscenza e di unione, la di-
smisura non può essere un mezzo di linguaggio; ecco cosi
Ignazio lottare per preservare la purezza del punto medio
dove la bilancia deve sviluppare il suo ago («Che la prima
regola delle vostre azioni sia quella di agire come se il suc-
cesso dipendesse da voi e non da Dio, e di abbandonarvi
a Dio come se dovesse fare tutto in luogo vostro»') eri-
stabilire costantemente l'uguaglianza delle pesate median-
te tare appropriate: è la tecnica del contra agere, che con-
siste nell'andare sistematicamente nel senso inverso a
quello in cui sembra spontaneamente inclinare la bilancia:
« Per meglio vincere ogni appetito disordinato e ogni ten-
tazione del nemico, se si è tentati di mangiare di piu, che
si mangi di meno»: l'eccesso non si corregge con un ritor-
no all'uguaglianza ma, secondo una fisica piu cauta, con
una contro-misura: strumento che oscilla, la bilancia non
1 Sentenza attribuita a Ignazio, ma controversa.
LOYOLA
resta immobile in una perfetta uguaglianza se non per il
gioco di un piu e cli un meno.
Raggiunta cosi l'uguaglianza al prezzo cli una fatica di
cui gli Esercizi sono la storia, in che modo la divinità, se-
condo il suo ruolo, inclinerà l'ago, marcherà uno dei ter-
mini dell'elezione? Gli Esercizi sono il libro della doman-
da, non della risposta. Per avere un'idea delle forme che
può prendere la marca impressa da Dio alla bilancia, biso-
gna ricorrere al Diario spirituale; vi si troverà l'abbozzo
del codice divino, cli cui Ignazio annota gli elementi con
l'aiuto cli tutto un repertorio cli segni grafici che del resto
non si sono potuti completamente decifrare (iniziali, pun-
ti, il segno //, ecc.). Queste manifestazioni divine, come
prevedibile in un campo in cui domina la fantasia, si sta-
biliscono principalmente al livello del corpo, cli quel cor-
po spezzettato la cui frammentazione è appunto la via del
fantasma. In primo luogo le lacrime; sappiamo l'impor-
tanza del dono delle lacrime nella storia cristiana; per
Ignazio, queste lacrime molto materiali (ci viene detto che
i suoi occhi neri erano sempre un po' velati a forza cli pian-
gere) costituiscono un vero e proprio codice, la cui mat~ria
è differenziata in segni secondo il loro tempo d'apparizio-
ne e la loro intensità 1 • C'è inoltre il flusso spontaneo di
parole, la loquela (di cui, a dire il vero, non si sa molto
bene la natura). Ci sono anche quelle che si potrebbero
chiamare le sensazioni cinestesiche, diffuse attraverso il
corpo, «prodotte nell'anima dallo Spirito Santo» (Ignazio
le definisce devozioni), quali i movimenti cli elevazione, di
tranquillità, di allegrezza, i sentimenti di calore, di luce
o di avvicinamento. Ci sono infine le teofanie dirette: le
visite, localizzate fra l'«alto» (soggiorno della Trinità) e il
«basso» (il messale, la formula), e le visioni, numerose
nella vita d'Ignazio, che vengono spesso a conferma delle
decisioni prese.
Purtuttavia, malgrado la loro codificazione, nessuna di
queste «mozioni» è, in linea cli principio, decisiva. Ve-

1 Codice delle lacrime in Ignazio: a - lacrime prima della messa (an-


tes); I - lacrime durante la messa; d - lacrime dopo la messa (despues);
1- - lacrime poco abbondanti; ecc.
SADE, FOURIER, LOYOLA

diamo cosl'. Ignazio (nel suo Diario, dove si trattava di ot-


tenere una risposta da Dio relativamente a un punto ben
preciso della costituzione dei gesuiti) aspettare, sorveglia-
re le mozioni, annotarle, computarle, accanirsi a provocar-
le, perfino spazientirsi per il fatto che non arrivano a costi-
tuire una marca indubitabile. A questo dialogo in cui la
divinità parla (giacché le mozioni sono numerose), ma non
marca, non resta che una soluzione: fare della stessa so-
spensione della marca un segno estremo. Questa lettura
ultima, frutto finale e difficile dell'ascesi, è il rispetto, l'ac-
cettazione reverenziale del silenzio di Dio, l'assenso dato,
non al segno, ma al ritardo del segno. L'ascolto si muta
nella propria risposta, e, da sospensiva, l'interrogazione
diventa in qualche modo assertiva, la domanda e la rispo-
sta entrano in un equilibrio tautologico: il segno divino
si scopre interamente ricostituito nella sua audizione. Al-
lora la mantica si chiude, perché è arrivata, volgendo la
carenza del segno in segno, a includere nel suo sistema
quel posto vuoto eppure significante che chiamiamo il gra-
do zero del segno: restituito alla significazione, il vuoto
divino non può piu minacciare, alterare o decentrare la
pienezza associata a ogni lingua chiusa.
Fourier
Partenze.

r. Sono stato una volta invitato a mangiare un cous-


cous al burro rancido; questa rancidità era regolare; in
certe regioni fa parte del codice del couscous. Tuttavia, si
tratti di pregiudizio, di mancanza di abitudine, o di intol-
leranza digestiva, il rancido mi piace poco. Che fare? Man-
giarne, certo, per non contrariare l'ospite, ma controvo-
glia, per non contrariare la consapevolezza del mio disgu-
sto (perché per il disgusto di per sé basta un po' di stoi-
cismo). A questo difficile pasto Fourier mi sarebbe stato
di aiuto. Da un lato, intellettualmente, mi avrebbe per-
suaso di tre cose: la prima è che il rancido del couscous
non è affatto una questione oziosa, futile o insignificante
e che dibatterla non è piu ridicolo di quanto lo sia dibat-
tere la Transustanziazione '; la seconda, che costringen-
domi a mentire sui miei gusti (o i miei disgusti) la società
manifesta la sua / alsità, cioè non solo la sua ipocrisia (il
che è banale) ma anche il vizio del meccanismo sociale,
dell'ingranaggio falsato; la terza, che questa società stessa
non può trovare riposo senza aver assicurato (in che mo-
do? Fourier l'ha spiegato, ma bisogna riconoscere che la
cosa non ha funzionato) l'esercizio delle mie manie, anche
se «bislacche» o «subalterne», come quelle degli appas-
sionati di vecchie galline, dei mangiaporcherie (come l'a-
stronomo Lalande a cui piaceva mangiare ragni vivi), dei
settari della pera butirra, della pera bergamotta, della pera
ruggine, dei gratta-talloni o del vecchio pupo sentimen-

' « A prima vista tali contese per la palma nelle creme dolci o nei pa-
sticcini sembreranno puerili; ma si potrebbe rispondere che i motivi di
queste battaglie non saranno certo piu ridicoli di quelli delle nostre guer-
re di religione sulla Transustanziazione... » (VII, 346).
68 SADE, FOURIER, LOYOLA

tale'. D'altra parte, praticamente, Fourier avrebbe posto


immediatamente fine al mio imbarazzo (essere diviso fra
la mia cortesia e il mio scarso gusto per il rancido) por-
tandomi via dal mio pasto (dove, per di piu, rimasi con-
finato per ore, cosa mal tollerabile, contro cui Fourier ha
protestato) e respingendomi nel gruppo degli Antiranci-
disti, dove avrei potuto comodamente mangiare couscous
fresco senza offendere nessuno - cosa che non mi avrebbe
impedito di avere i migliori rapporti con la settina dei
Rancidisti, da me giudicati, da allora, nient'affatto folclo-
ristici, stranieri, strani, ad esempio in occasione di un
grande torneo in cui i couscous fossero stati la «tesi» e
una giuria di gastrosofi avesse deciso della superiorità del
rancido sul fresco (stavo per dire: sul normale; ma per
Fourier, e qui sta la sua vittoria, non c'è normalità 2 ).

1 I gratta-talloni sono uomini a cui piace grattare il tallone della pro-


pria amante (VII, 33,); il pupo sentimentale è un sessuagenario che vuol
farsi trattare da marmocchio, vuole che la cameriera lo corregga « sculac-
ciandolo dolcemente sulle natiche patriarcali» (VII, 334).
2 Fourier sarebbe stato felice, non ne dubito, di vedere il mio amico
Abd el Kebir Khatibi entrare nel torneo del couscous per difendervi, nella
lettera che mi scrive, la tesi del rancido:
« Neppure io sono un Rancidista. Preferisco il couscous alla zucca, leg-
germente macchiato di uva secca - però ben inzuppata al momento - e il
tutto produce quello che può: un'insubordinazione all'espressione.
L'apparente instabilità del sistema culinario presso i contadini maroc-
chini proviene, caro amico, dal fatto che il burro rancido si costruisce un
focolare inquietante sotto terra, all'intersezione del tempo cosmico e del
tempo del consumo. Il burro rancido è una specie di proprietà scomposta,
gradevole al monologo interiore.
Attinto abbondantemente, il burro rancido si tratta nel rito circolare
che segue: una grossa e magnifica palla di couscous viene eiaculata nella
gola, al punto che il rancido si neutralizza. :È. un'ellisse a fuoco doppio di-
rebbe Fourier.
Ecco perché il contadino si cerca nella sobrietà: la parabola dà il so-
vrappiu, la terra appartenendo a Dio. Seppellisce il burro fresco, poi lo
estrae a tempo utile. Ma è la donna accovacciata, sempre accovacciata, che
guida l'operazione dal disotto. Preparazione lenta e laboriosa, che rende
il mio couscous abbastanza androgino al mio gusto.
Accetto cosi di agire entro questi limiti: il rancido è un fantasma im-
perativo. Il piacere è mangiare col gruppo.
Questo modo di conservare il burro sotto terra è da accostare a una
pratica tradizionale di guarigione mentale. Si sotterra il pazzo furioso per
un giorno o due, fasciandolo quasi nudo e senza cibo. Quando lo si tira
fuori, spesso rinasce o muore sul serio. Tra il cielo e la terra ci sono dei
segni per coloro che sanno.
Il rilancio sul couscous - oggetto assai enigmatico - mi costringe a ta-
cere e a salutarvi amichevolmente».
FOURIER

II. A Fourier piacciono le composte, il bel tempo, i


meloni perfetti, i pasticcini alle erbe aromatiche chiamati
mirlitons, e la compagnia delle lesbiche. A questi gusti la
società e la natura frappongono qualche difficoltà: lo zuc-
chero costa (o costava) caro (piu caro del pane), il clima
della Francia è insopportabile, salvo in maggio, settembre
e ottobre, non disponiamo di nessun mezzo sicuro per in-
dividuare la qualità di un melone, i pasticcini in Civiltà so-
no indigesti, le lesbiche sono proscritte e, cieco per lungo
tempo su se stesso, Fourier seppe solo molto tardi di amar-
le. Occorre quindi rifare il mondo col mio piacere: il mio
piacere sarà nello stesso tempo il fine e il mezzo: organiz-
zandolo, distribuendolo, lo appagherò.

m. In qualsiasi luogo viaggiamo, in qualsiasi occasio-


ne proviamo un desiderio, una voglia, una stanchezza, una
vessazione, è possibile interrogare Fourier, domandarsi:
che cosa ne avrebbe detto? Che cosa farebbe di questo
luogo, di questa avventura? Eccomi, una sera, in un mo-
tel del Sud marocchino: a poche centinaia di metri dalla
città popolosa, cenciosa, polverosa, un parco di piante ra-
re, una piscina azzurra, fiori, bungalows silenziosi, una
folla di servitori discreti. In Armonia, che cosa darebbe
tutto ciò? In primo luogo questo: ci verrebbero tutti co-
loro che hanno questo gusto bizzarro, questa mania subal-
terna di amare le lampadine nei boschetti, le cene al lume
di candela, la domesticità folcloristica, le rane notturne e
un cammello nel prato sotto la finestra. Poi questa retti-
fica: gli Armoniani non avrebbero molto bisogno di que-
sto luogo, lussuoso data la sua temperatura (la primavera
in pieno inverno), poiché, attraverso l'azione sull'atmo-
sfera, attraverso la modificazione del circolo boreale, que-
sto clima esotico potrebbe essere trasportato a Jouy-en-
Josas o Gif-sur-Yvette. Infine questo compromesso: in
certi momenti dell'anno, le orde, per il gusto del viaggio
e dell'avventura, convergerebbero verso il motel idillico e
vi terrebbero concili d'amore e di gastronomia (sarebbe
un luogo fatto apposta per il nostro pranzo di tesi sul
couscous). Da cui viene di nuovo fuori questo: che il pia-
SADE,FOURIER,LOYOLA
cere fourierista è il lembo della tovaglia: tirate il minimo
incidente futile, purché metta in gioco la vostra conten-
tezza, e viene dietro tutto il resto del mondo: la sua orga-
nizzazione, i suoi limiti, i suoi valori; questa concatena-
zione, questa induzione fatale, che lega l'inflessione piu
tenue del nostro desiderio alla socialità piu vasta, questo
spazio unico in cui si trovano presi il fantasma e la combi-
natoria sociale, è precisamente la sistematicità (ma non,
come vedremo, il sistema); con Fourier, impossibile pro-
curarsi le proprie comodità senza concepirne la teoria. E
anche questo: al tempo di Fourier, niente del sistema fou-
rierista era realizzato, ma oggi? Il caravanserraglio, l'or-
da, la caccia collettiva ai climi favorevoli, le spedizioni di
piacere, esistono: sotto una forma derisoria, abbastanza
atroce, è il viaggio organizzato, l'impianto del club di va-
canze (con la sua popolazione classificata, i suoi piaceri
pianificati) in qualche posto favoloso; nell'utopia fourie-
rista c'è una doppia realtà, messa in farsa dalla società di
massa: è il turismo - giusto scotto di un sistema fanta-
smatico che ha «dimenticato» il politico, mentre questo
gli rende la pariglia «dimenticando» non meno sistemati-
camente di «calcolare» il nostro piacere. È nella morsa di
queste due dimenticanze, la cui considerazione determina
un vuoto totale, una mancanza insopportabile, che noi an-
cora ci dibattiamo.

Il calcolo del piacere.


Il movente di ogni costruzione (di ogni combinazione)
fourierista non è la giustizia, l'uguaglianza, la libertà, ecc.,
è il piacere. Il fourierismo è un eudemonismo radicale. Il
piacere fourierista (chiamato felicità positiva) è molto fa-
cile da·definire: è il piacere sensuale: «la libertà amorosa,
la buona tavola, la spensieratezza e altri godimenti che le
Civiltà non pensano nemmeno di desiderare, perché la
filosofia le abitua a trattare da vizio il desiderio dei veri
beni» 1 • La sensualità fourierista è soprattutto orale. Cer-
1 Ricordiamo in due parole che nel lessico fourierista Civiltà ha un
senso preciso (numerato): la parola designa il ,• periodo della prima fase
FOURIER 7I
to le due grandi fonti del piacere sono a parità l'Amore e
il Nutrimento, continuamente messi in parallelo; ma se
Fourier rivendica i diritti della libertà erotica, non la de-
scrive sensualmente; mentre il nutrimento è fantasmato
amorosamente nel particolare (composte, mirlitons, me-
loni, pere, limonate); e la parola stessa di Fourier è sen-
suale, essa procede nell'effusione, l'entusiasmo, l'appaga-
mento verbale, la ghiottoneria della parola (il neologismo
è un atto erotico, e per questo solleva immancabilmente
la censura dei pedanti).
Questo piacere fourierista è comodo, si ritaglia: agevol-
mente isolato dal guazzabuglio eteroclito delle cause, ef-
fetti, valori, protocolli, abitudini, alibi, dappertutto si pre-
senta nella sua purezza sovrana: la mania (quella del grat-
ta-talloni, del mangiaporcherie, del vecchio pupo senti-
mentale) non è mai colta se non per il piacere che procura
ai partner e questo piacere è sgombro da ogni altra imma-
gine (ridicolezze, inconvenienti, difficoltà); in breve, non
l'intacca nessuna metonimia: il piacere è quello che è,
nient'altro. La cerimonia emblematica di questo ritaglio
d'essenza sarebbe l'orgia di museo: questa consiste in una
esposizione semplice del desiderabile, « seduta in cui i no-
tabili amatori espongono a nudo ciò che hanno di piu
notevole. La tal donna che non abbia di bello altro che il
seno non espone che il seno e si riveste nella parte infe-
riore ... » (non commentiamo il carattere feticistico di que-
ste inquadrature, abbastanza evidente; la sua intenzione
non essendo analitica bensi solo etica, Fourier si rifiute-
rebbe di prendere il feticismo in una costruzione simbo-
lica, riduttiva: sarebbe semplicemente una mania accanto
alle altre, e non al di sopra o al di sotto di esse).
Il piacere fourierista non si compenetra di alcun male:
non integra la vessazione, alla maniera sadiana, al contra-
rio l'evapora; il suo discorso è quello della « benevolenza
(Infanzia dell'umanità), che ha luogo fra il periodo del patriarcato fede-
rale (nascita della grande industria agricola e manifatturiera) e quella del
garantismo o semi-associazione (industria per associazione). Donde un sen-
so piu largo: Civiltà è, in Fourier, sinonimo di barbarie infelice e designa
lo stato del suo tempo (e del nostro); essa si oppone all'Armonia univer-
sale (2• e 3• fase dell'umanità). Fourier pensava di essere alla congiunzio-
ne della Civiltà-Barbarie con l'Armonia.
72 SADE,FOURIER,LOYOLA
generale»: per esempio, nella guerra d'amore (gioco e
teatro), per delicatezza, per non offendere, le bandiere e i
capi non vengono catturati. Se però, in Armonia, si arriva
a soffrire, è tutta la società che si adopera a stordirvi: ave-
te avuto qualche sconfitta in amore, siete stati messi alla
porta, le Baccanti, le Avventuriere e altre corporazioni di
piacere vi circondano e vi trascinano, cancellano immedia-
tamente il dolo di cui siete stati vittima (esercitano, dice
Fourier, la filantropia). Ma se uno ha la mania di tormen-
tare? Bisogna lasciarlo fare? Il piacere di tormentare è
dovuto a un ingorgo; ecco che l'Armonia disingorgherà le
passioni, il sadismo sarà riassorbito: Dame Strogonoff
aveva la cattiva abitudine di tormentare la sua bella schia-
va trafiggendole il seno con spilli; in realtà si trattava di
contro-passione: Dame Strogonoff era innamorata senza
saperlo della sua vittima: l'Armonia, autorizzando e favo-
rendo gli amori saffici, l'avrebbe liberata del suo sadismo.
Ultima minaccia tuttavia: la sazietà: in che modo soste-
nere il piacere? «Come fare per avere un appetito che si
rinnovi continuamente? Ecco dove sta il segreto della po-
litica armoniana». Questo segreto è duplice: da un lato
cambiare la razza e, attraverso i vantaggi generali del re-
gime societario (a base di carne e di frutta, quasi senza pa-
ne) formare uomini fisiologicamente piu forti, atti al rin-
novamento dei piaceri, capaci di digerire piu rapidamente,
di avere fame piu spesso; e dall'altro variare instancabil-
mente i piaceri (mai piu di due ore su una stessa occupa-
zione), e di tutti questi piaceri successivi fare un solo con-
tinuo piacere.
Ecco dunque il piacere solo e trionfante regnare su tut-
to. Il piacere non ha misura, non è soggetto a quantifica-
zione, il troppo è il suo essere («il nostro torto non è, co-
me si è creduto, di desiderare troppo, ma di desiderare
troppo poco ... »); esso stesso è la misura: il «sentimento»
dipende dal piacere: « La privazione del necessario sen-
suale degrada il sentimento», e «la piena soddisfazione
del materiale è il solo mezzo di elevare il sentimento»:
contro-freudismo: il «sentimento» non è la trasformazio-
ne sublimante di una mancanza ma al contrario l'effusione
panica di un appagamento. Il piacere assoggetta la Morte
FOURIER 73
(nell'altra vita i piaceri saranno sensuali), è il Federatore,
colui che opera la solidarietà dei vivi e dei morti (la feli-
cità dei defunti comincerà solo con quella dei vivi, gli uni
dovendo in qualche modo aspettare gli altri: nessun mor-
to felice finché sulla terra i vivi non lo saranno: visione
di una generosità, di una «carità» di cui nessuna escato-
logia religiosa ha avuto l'audacia). Il piacere è infine il
principio perenne dell'organizzazione sociale: sia che, ne-
gativamente, induca a condannare ogni società, anche se
progressista, che lo dimentica (cosi l'esperienza di Owen
a New-Lamarck, denunciata come «troppo severa» per-
ché i suoi societari vanno scalzi), sia che, positivamente,
i piaceri siano dichiarati affari di stato (i piaceri, e non gli
svaghi: è quanto separa - fortunatamente - l'Armonia
fourierista dallo stato moderno, in cui la pietosa organiz-
zazione degli svaghi corrisponde alla spietata censura dei
piaceri); il piacere dipende infatti da un calcolo, opera-
zione che per Fourier è la forma piu alta di organizzazione
e di padronanza sociali; questo calcolo è quello stesso di
tutta la teoria societaria, la cui pratica è quella di trasfor-
mare il lavoro in piacere (e non di sospendere il lavoro a
vantaggio dello svago): la barra che in Civiltà contrappo-
ne il lavoro al piacere cade, si ha un crollo paradigmatico,
una conversione filosofale dell'immondo in attraente (si
pagheranno le tasse « con tanta premura quanta ne mette
una madre nell'attendere alle cure immonde ma attraenti
che il suo neonato esige»), e il piacere stesso diventa un
valore di scambio, poiché l'Armonia riconosce e onora,
sotto il nome di Angelicato, la prostituzione collettiva: in
qualche modo esso ne è la monade energetica che assicura
nel suo rilancio e nella sua estensione il movimento socie-
tario.
Essendo il piacere l'Unico, rivelare il piacere è un com-
pito anch'esso unico: Fourier è solo contro tutti (soprat-
tutto contro tutti i Filosofi, contro tutte le Biblioteche),
egli solo ha ragione, e questa ragione è anch'essa la sola
desiderabile: « Non è forse da desiderare che io solo abbia
ragione contro tutti?» Dall'Unico deriva il carattere in-
cendiario del piacere: parlarne brucia, prende, spaventa:
quante dichiarazioni sull'emozione mortale che procure-
74 SADE,FOURIER,LOYOLA
rebbe la rivelazione troppo brusca del piacere! Quante
precauzioni, quante preparazioni di scrittura! Fourier pro-
va come una sorta di obbligo profilattico di freddezza (del
resto non bene osservata: s'immagina che i suoi «calcoli»
siano noiosi, e se ne rassicura, laddove sono deliziosi);
donde un continuo ritegno del discorso: «temendo di far-
vi intravedere l'immensità di questi piaceri, non ho trat-
tato che di ... ecc.»: il discorso di Fourier è esclusivamen-
te propedeutico, tanto il suo oggetto, il suo centro è in-
fiammato di splendore 1 : articolato dal piacere, il mondo
societario è abbagliante.
Il campo del Bisogno è il Politico; il campo del Deside-
rio quello che Fourier chiama il Domestico. Fourier ha
scelto il Domestico contro il Politico, ha edificato un'uto-
pia domestica (ma può essere altro un'utopia? può mai
un'utopia essere politica? non è la politica tutti i linguaggi
meno uno, quello del Desiderio? Nel maggio r968, fu
proposto a uno dei gruppi che spontaneamente si costitui-
vano alla Sorbona, di studiare l'Utopia domestica - evi-
dentemente si pensava a Fourier -; a ciò fu risposto che
l'espressione era troppo «ricercata», quindi «borghese»;
il politico è ciò che preclude il desiderio, salvo non vi rien-
tri sotto forma di nevrosi: la nevrosi politica, o piu esat-
tamente: la nevrosi di politicizzazione).

Il denaro fa la felicità.

In Armonia, la ricchezza non solo viene salvata, ma an-


che magnificata, entra in un gioco di metafore felici, for-
nendo alle dimostrazioni fourieriste ora la briosità cerimo-
niale delle pietre preziose («lo sputo di diamante a trian-
golo radioso», decorazione della santità amorosa, vale a
dire della prostituzione generale), ora la modestia del sol-

1 « Se potessimo vedere subitamente quest'Ordine combinato, quest'o-


pera di Dio, cosi come sarà nel pieno funzionamento ... non v'è dubbio
che molti Civili sarebbero colti dalla morte per la violenza della loro esta-
si. La semplice descrizione dell'S• società potrà suscitare in molti di loro,
e soprattutto nelle donne, un entusiasmo che rasenterà la follia; e potrà
renderli indifferenti agli svaghi, inetti ai lavori della Civiltà» (I, 6,).
FOURIER 75
do («venti soldi a Racine per la sua tragedia di Fedra»:
moltiplicati, è vero, per tutti i cantoni che hanno deciso
di onorare il poeta); anche le operazioni annesse al denaro
sono motivo di un piacevole gioco: quello, nella guerra
d'amore, della redenzione (del riscatto) dei prigionieri. Il
denaro partecipa della brillantezza del piacere («I sensi
non possono intraprendere il libero corso indiretto senza
la mediazione del denaro»): il denaro è desiderabile, co-
me ai piu bei tempi della corruzione civile, al di là della
quale si perpetua a titolo di fantasma splendido e « incor-
ruttibile ».
Stranamente staccato dal commercio, dallo scambio,
dall'economia, il denaro fourierista è un metallo analogico
(poetico), la cifra della felicità. La sua esaltazione è evi-
dentemente una contromarcia: proprio perché tutta la Fi-
losofia (civilizzata) ha condannato il denaro, Fourier, di-
struttore della Filosofia e critico della Civiltà, lo riabilita:
essendo l'amore delle ricchezze un topos peggiorativo (a
prezzo di una costante ipocrisia: Seneca, l'uomo dai quat-
tro milioni di sesterzi, dichiarava che ci si doveva disfare
sull'istante delle proprie ricchezze), Fourier volta il di-
sprezzo in lode 1 : le nozze, per esempio, sono una cerimo-
nia ridicola ', « salvo quando un uomo non sposi una don-
na molto ricca; allora c'è motivo di rallegrarsi»; tutto,
quanto al denaro, sembra pensato in vista di questo con-
tro-discorso, propriamente scandaloso in rapporto alle co-
strizioni letterarie dell'ammonimento: «Cercate le ric-
chezze mobili, l'oro, l'argento, i valori metallici, le pietre
e oggetti di lusso disprezzati dai filosofi» '.
1 « Da ciò deriva una conclusione che potrà parere una facezia, e che
tuttavia verrà rigorosamente dimostrata: cioè che nelle diciotto società a
Ordine combinato, la qualità piu essenziale per il trionfo della verità è
l'amore delle ricchezze » (I, 70). « La gloria e la scienza sono assai deside-
rabili, senza dubbio, ma del tutto insufficienti, quando ad esse non si uni-
sca l'agiatezza: il sapere, gli onori e le altre illusioni non conducono alla
felicità, che consiste anzitutto nel possesso delle ricchezze ... » (I, 14).
2 «Bisogna essere nati in Civiltà per soppartare la vista di quelle usan-
ze indecorose dette Nozze, alle quali vediamo intervenire il magistrato e
il sacerdote accanto ai burloni e agli ubriaconi del quartiere » (I, I 7 4).
3 Essendo imminente l'avvento dell'Armonia, Fourier consiglia ai Ci-
vili di trarre subito profitto da qualche bene della Civiltà; è il tema mille-
narista (alla rovescia, vale a dire pasitivo): vivete pienamente oggi, doma-
ni sarà nuovo, è inutile risparmiare, conservare, trasmettere.
SADE,FOURIER,LOYOLA
Però questo fatto di discorso non è retorico; ha quell'e-
nergia di linguaggio che fa ribaltare il discorso in scrittura,
fonda la trasgressione fondamentale, quella che ammutina
tutti contro di sé: i cristiani, i marxisti, i freudiani, per i
quali il denaro continua a essere materia dannata, feticcio,
escremento: chi oserebbe difendere il denaro? Non c'è
nessun discorso con cui il denaro sia compatibile. Poiché
è assolutamente solitaria (Fourier non troverebbe su que-
sto punto, fra i suoi confratelli, gli «agitatori letterari»,
nessun comaniano), la trasgressione fourierista mette a
nudo il punto piu segreto della coscienza civile. Fourier
esaltava il denaro perché per lui l'immagine della felicità
era fornita di diritto dal modo di vita delle persone ric-
che: concezione scandalosa, oggi, agli occhi degli stessi
· contestatari, che condannano ogni piacere indotto dal mo-
dello borghese. È noto, la metonimia (il contagio) è la mol-
la della Colpa (della religione); il materialismo radicale
di Fourier dipende dal suo rifiuto costante, vigile, di ogni
metonimia. Per lui il denaro non è un conduttore di ma-
lattia, ma solo l'elemento asciutto, puro, di una combina-
toria da riordinare.

Inventore, non scrittore.

Per rifare il mondo (compresa la Natura), Fourier ha


mobilitato: un'intolleranza (quella della Civiltà), una for-
ma (la classificazione), una misura (il piacere), un'immagi-
nazione (la «scena»), un discorso (il suo libro). Tutto que-
sto definisce assai bene l'azione del significante - o il si-
gnificante in azione. Quest'azione fa leggere ininterrotta-
mente una mancanza lampante, che è quella della scienza
e della politica, vale a dire del significato 1 • Ciò che Fourier
perde (del resto volutamente) designa di rimando ciò che
noi stessi perdiamo quando rifiutiamo Fourier: fare iro-
nia su Fourier è sempre - sia pure a buon diritto, come dal
1 « ... ricercare il bene solo in operazioni che non avessero niente a che
vedere con l'amministrazione o con il sacerdozio, che si basassero solo su
provvedimenti di carattere industriale o domestico e che fossero compati-
bili con tutti i governi senza aver bisogno del loro intervento» (I, ,J.
FOURIER 77
punto di vista della scienza - censurare il significante. Po-
liticità e Domesticità (è il nome del sistema di Fourier) 1,
scienza e utopia, marxismo e fourierismo, sono come due
reti dove le maglie non coincidono. Da un lato Fourier la-
scia passare tutta la scienza, che Marx raccoglie e svilup-
pa; dal punto di vista politico (e soprattutto dopo che il
marxismo ha saputo dare un nome indelebile alle sue
mancanze), Fourier è completamente fuori: irreale e im-
morale. Ma l'altra rete, per converso, lascia passare il pia-
cere, che Fourier raccoglie'. Desiderio e Bisogno si lascia-
no colare, come se le due reti, sovrapponendosi alternati-
vamente, facessero il gioco della mano sopra l'altra. Il
rapporto fra Desiderio e Bisogno non è però complemen-
tare (inserendoli uno nell'altro tutto sarebbe perfetto),
ma supplementare: ognuno è il troppo dell'altro. Il trop-
po: quello che non passa. Per esempio, vista da oggi (cioè
dopo Marx), la politica è una purga necessaria; Fourier è
il bambino che si sottrae alla purga, che la vomita.
La vomizione della politica è quella che Fourier chiama
l'Invenzione. L'invenzione fourierista («Per me, io sono
inventore e non oratore») mira al nuovo assoluto, a ciò
di cui non si è ancora mai parlato. La regola d'invenzione
è una regola di rifiuto: dubitare assolutamente (ben piu di
Descartes che, pensa Fourier, non ha mai fatto del dubbio
se non un uso parziale e fuori posto), essere in opposizio-
ne con tutto ciò che è stato fatto, non trattare che di quel-
lo di cui non è stato trattato, discostarsi dagli « agitatori
letterari», dalla gente del Libro, vantare ciò che l'Opinio-
ne reputa impossibile. È insomma per questa ragione pu-
ramente strutturale (vecchio/nuovo) e per effetto di una
semplice restrizione del discorso (parlare soltanto dove
ancora non c'è stata parola) che Fourier tace il politico.
L'invenzione fourierista è un fatto di scrittura, un dispie-
gamento del significante. Queste parole vanno intese in

1 « ... dimostrare l'estrema facilità di uscire dal labirinto civile senza


scossa politica, senza sforzo scientifico, ma con un'operazione puramente
domestica» (I, 126).
2 « ... i sofisti c'imbrogliano sulla loro imperizia in calcoli di politica
amorosa o minore, e ci occupano esclusivamente di politica ambiziosa o
maggiore ... » (IV, ,xJ.
78 SADE, FOURIER, LOYOLA

senso moderno: Fourier ripudia lo scrittore, vale a dire


il gestore accreditato del bello scrivere, della letteratura,
colui che garantisce per l'unione decorativa, e quindi la so-
stanziale separazione, del contenuto e della forma; asse-
rendosi inventore («Non sono scrittore, ma inventore»),
egli si porta al limite del senso, che oggi chiamiamo Testo.
Forse, seguendo Fourier, dovremmo ormai chiamare in-
ventore (e non scrittore o filosofo) chi porta alla luce nuo-
ve formule e in tal modo investe, a colpi di frammenti,
immensamente e dettagliatamente, Io spazio del signifi-
cante.

Il meta-libro.

Il meta-libro è il libro che parla del libro. Fourier passa


il proprio tempo a parlare del suo libro in maniera che
l'opera di Fourier che noi leggiamo, mescolando indisso-
lubilmente i due discorsi, finisce per formare un libro au-
tonimo, in cui la forma dice senza tregua la forma.
Fourier accompagna il suo libro molto avanti. Per esem-
pio immagina un dialogo fra il libraio e il cliente. O an-
che, sapendo che il libro sarà sottoposto a processo, stabi-
lisce tutto un sistema istituzionale di difesa (tribunale,
giuria, avvocati) e di diffusione (il lettore ricco che vorrà
schiarimenti su alcuni dubbi chiamerà l'autore in lezioni
private, come quelle delle scienze e delle arti: «è unge-
nere di rapporti senza seguito, come con un mercante da
cui si faccia acquisti»: dopo tutto, è un po' quello che
oggi fa uno scrittore quando nei giri di conferenze ridice
in parole quello che ha detto in scrittura).
Quanto al libro in sé, esso suppone una retorica, vale a
dire l'adattamento dei tipi di discorso a tipi di lettori:
l'esposizione si rivolge ai «Curiosi» (cioè agli uomini stu-
diosi); le descrizioni (scorci sui godimenti dei Destini pri-
vati) si rivolgono ai Voluttuosi o Sibariti; la conferma-
zione, colpendo le cantonate sistematiche dei Civili in pre-
da allo Spirito Commerciale, si rivolge ai Critici. Distin-
gueremo pezzi di prospettiva e pezzi di teoria (I, 160); ci
saranno degli scorci (astratti), dei compendi (per metà
FOURIER 79
concreti), delle dissertazioni approfondite (corpi di dot-
trina). Ne consegue che il libro (concezione in certo modo
mallarmeana), non solo è spezzettato, articolato (struttura
banale), ma è anche mobile, soggetto a un regime di attua-
lizzazione intermittente: s'invertiranno i capitoli, si preci-
piterà (procedimento sbrigativo) o rallenterà la lettura, se-
condo la classe di lettori in cui si desidera prender posto;
al limite, il libro è fatto solo di salti, bucato come gli stessi
manoscritti di Fourier (particolarmente Il nuovo mondo
amoroso), dove mancano continuamente delle parole, ro-
sicchiati dai topi, portati in tal modo alle dimensioni di un
infinito crittogramma di cui verrà data la chiave piu tardi.
Ciò non manca di ricordare il modo di lettura del me-
dioevo, fondato sulla discontinuità legale dell'opera: non
solo il testo antico (oggetto della lettura medievale) era
rotto e i suoi frammenti erano poi diversamente combi-
nabili, ma era anche normale tenere su un soggetto due
discorsi indipendenti e concorrenti, posti sfacciatamente
in un rapporto di ridondanza: ars minor (compendio) e
ars major (lo sviluppo) di Donato, i modi minores e modi
maiores dei Modisti; è la contrapposizione fourierista del-
lo scorcio-compendio e della dissertazione. Purtuttavia
l'effetto di questa duplicazione è tortuoso, paradossale. Ci
si aspetterebbe che, come ogni ridondanza, coprisse com-
pletamente il soggetto, lo riempisse e chiudesse (che cosa
aggiungere a un discorso che essenzializza il suo proposito
sotto forma di un compendio e lo sviluppa sotto forma di
una dissertazione approfondita?) Invece, è esattamente il
contrario; la duplicità del discorso produce un interstizio,
da cui il soggetto si disperde: Fourier passa il suo tempo a
ritardare l'enunciato decisivo della sua dottrina, non ne
concede che esempi; seduzioni, «appetizers»; il messag-
gio del suo libro è l'annuncio di un messaggio a venire:
aspettate ancora un po', prestissimo vi dirò l'essenziale,
Questo modo di scrivere si potrebbe chiamare la contro-
paralessi (la paralessi è quella figura retorica consistente
nel dire che non si dirà, e quindi nel dire quello che si so-
stiene tacere: non parlerò di ... : seguono tre pagine). La
paralessi implica la convinzione che l'indiretto è un modo
di linguaggio che rende; ma il contro-procedimento di
80 SADE,FOURIER, LOYOLA
Fourier, oltre a tradurre forse il terrore nevrotico del fia-
sco (pari a quello di un uomo che non osi saltare - quello
che Fourier, con un transfert sul lettore, enuncia come il
timore mortale del piacere), mostra a dito il vuoto del lin-
guaggio: preso nella rete del meta-libro, il suo libro è
senza soggetto: il suo significato è dilatorio, continuamen-
te allontanato: a perdita d'occhio, si estende soltanto, nel
futuro del libro, il significante.

La ciabatta fiammeggiante.

Da qualche parte Fourier parla del « mobilio notturno».


Che cosa m'importa se questa espressione è la traccia di
un delirio che fa danzare gli astri? Sono trasportato, abba-
gliato, convinto da una sorta di incantesimo dell'espres-
sione, che è la sua felicità. Fourier brulica di questa feli-
cità: mai discorso è stato piu felice. In Fourier l'espres-
sione deve la sua felicità (e la nostra) a una specie di sca-
turimento: è eccentrica, fuori posto, vive tutta sola a lato
del contesto (il contesto, rompicapo dei semantici, ha l'in-
gratitudine propria della Legge: è il contesto che riduce la
polisemia, tarpa le ali al significante: non sta forse tutta
la «poesia» nel liberare la parola dal suo contesto? e tut-
ta la filosofia non sta forse nel ricondurvela?) A questa fe-
licità io non resisto, mi sembrano «vere»: la forma «me
l'ha fatta».
Di che cosa sono fatti questi incantesimi? Di una con-
troretorica, cioè di un modo di praticare le figure introdu-
cendo nel loro codice qualche «granello» (di sabbia, di
follia). Distinguiamo qui, ancora una volta (dopo tanti se-
coli di classificazione retorica), i tropi (o metaboli sem-
plici) e le figure (o ornamenti che giocano su tutto un sin-
tagma). La vena metaforica di Fourier è via di verità; gli
fornisce metafore semplici di una giustezza definitiva («si
tirano fuori dai furgoni i completi da fatica, la casacca e i
pantaloni grigi»), illumina il senso (funzione monologica)
ma nel contempo e contraddittoriamente illumina all'in-
finito (funzione poetica); non solo perché la metafora è
tenuta, orchestrata («Nel mobilio notturno l'assortimento
FOURIER 81
sarebbe già considerevole e composto dalle nostre lune vi-
venti e variamente colorate, a petto delle quali Febe sem-
brerebbe quello che è, un livido spettro, una lampada se-
polcrale, una forma di gruviera. Bisogna avere il cattivo
gusto dei Civili per ammirare quella mummia livida»), ma
anche e soprattutto perché il sintagma fourierista procura
insieme un piacere sonoro e un abbacinamento logico. Le
enumerazioni di Fourier (giacché il suo «delirio» verbale,
costituito in calcolo, è essenzialmente enumerativo) com-
portano sempre una punta, una torsione, una piega biz-
zarra: « ... lo struzzo, il daino, la gerboa ... »: perché lager-
boa, se non per il dispiegamento sonoro della finale di
gerboise [gerboa in fr.J, dal suono di frutta e di fiume?
E questo: «E che cosa avrebbe potuto inventare di peggio
l'inferno nella sua furia del serpente a sonagli, della cimi-
ce, della legione d'insetti e di rettili, dei mostri marini, dei
veleni, della peste, della rabbia, della lebbra, della sifilide,
della gotta e dei tanti tossici morbifìci? »: la cimice e i
mostri marini? Il serpente a sonagli e la sifilide? Questa
filastrocca strampalata riceve un sapore finale dal morbi-
fico, grassoccio e brillante, piu alimentare che funebre,
sensuale e insieme ridicolo (molieresco), che la corona;
giacché il cumulus enumerativo, in Fourier, è brusco co-
me il movimento della testa in un animale, un uccello, un
bambino, che abbia sentito «un'altra cosa»: «Non reste-
ranno che le specie utili, come nasello, aringa, sgombro,
sogliola, tonno, testuggine, tutte quelle insomma che non
attaccano chi si immerge»: quello che incanta non è il con-
tenuto (dopotutto è indiscutibile che questi pesci non so-
no nocivi), ma un certo giro per cui l'affermazione vibra
verso la sua regione contraria: maliziosamente, per l'irre-
primibile metonimia che prende le parole, si libera un'im-
magine vaga che, attraverso il diniego, mostra il nasello e
lo sgombro nell'atto di attaccare un nuotatore ... (è un
meccanismo propriamente surrealista). Cosa paradossale,
giacché è sempre in nome del «concreto» che la Civiltà
pretende di fare la lezione ai «folli», è a forza di «con-
creto» che Fourier diventa nello stesso tempo strambo e
incantevole: il «concreto» si costruisce come scena, la so-
stanza evoca le pratiche ad essa metonimicamente asso-
82 SADE,FOURIER,LOYOLA
date; la pausa-caffè rimanda a tutta la burocrazia civiliz-
zata: «Non è scandaloso vedere atleti di trent'anni acco-
vacciati davanti a una scrivania o trasportare con braccia
villose una tazza di caffè, come se mancassero donne e
bambini per attendere alle funzioni minute delle scrivanie
e delle faccende domestiche?» Questa viva rappresenta-
zione provoca il riso perché è sproporzionata al suo signi-
ficato; l'ipotiposi d'ordinario serve a illustrare le passioni
intense e nobili (Racine: Immagina, Cefisa ... ); in Fourier
è dimostrativa; nasce una sorta di anacoluto fra la minuzia
domestica dell'esempio e l'ampiezza del progetto utopi-
sta. È qui il segreto di quei sintagmi curiosi, cosf frequenti
in Fourier (e anche in Sade), che in una sola frase unisco-
no un pensiero molto ambizioso e un oggetto molto futi-
le; partito dall'idea dei concorsi culinari in Armonia («ce-
na di tesi»), Fourier non si stanca di combinare sintagmi
strani e deliziosi, ridicoli e decisi, dove i pasticcini (che
gli piacevano tanto sotto il nome di mirlitons) sono asso-
ciati a termini di alta astrazione («i 44 sistemi di pastic-
cini», «le infornate di pasticcini anatemizzati dal conci-
lio», «i pasticcini adottati dal concilio di Babilonia», ecc.).
È esattamente quello che ora potremmo chiamare para-
grammatismo: vale a dire la sovrimpressione (con doppio
ascolto) di due linguaggi ordinariamente preclusi l'uno
dall'altro, l'intreccio di due classi di parole la cui tradizio-
nale gerarchia non è annullata, livellata, bensf- cosa mol-
to piu sovversiva - disorientata: il Concilio e il Sistema
passano la loro nobiltà ai pasticcini, i pasticcini passano
la loro futilità all'Anatema, un brusco contagio dissesta
l'istituzione del linguaggio.
La trasgressione operata da Fourier va piu lontano. Il
futile oggetto da lui promosso al rango dimostrativo è
molto spesso un oggetto basso. Questa conversione è giu-
stificata poiché l'Armonia ricupera quello che la Civiltà
disprezza, e lo trasforma in bene delizioso («Se la Falange
di Valchiusa raccoglierà 50 ooo meloni o cocomeri, ce ne
saranno circa IO ooo destinati al suo consumo, 30 ooo al-
l'esportazione e IO ooo di qualità inferiore che saranno
spartiti fra i cavalli, i gatti e i concimi»: ritroviamo qui
quell'arte della cadenza enumerativa di cui abbiamo ap-
FOURIER

pena parlato; l'enumerazione fourierista è sempre un in-


dovinello alla rovescia: che differenza c'è fra il cavallo, il
gatto e il concime? Nessuna, giacché tutti e tre hanno la
funzione di riassorbire i meloni inferiori). Si costruisce
cosf una poetica di scarto, magnificata dall'economia socie-
taria (per esempio, le vecchie galline marinate). Fourier
conosce benissimo questa poetica: conosce gli emblemi
dello scarto, la ciabatta, lo straccio, la fogna: tutto un epi-
sodio del Nuovo mondo amoroso (VII, 362 sg.) canta le
imprese dei nuovi Crociati in ciabatteria e scrostamento,
il cui arrivo agli approdi dell'Impero d'Eufrate è salutato
da un magnifico fuoco d'artificio «concluso da una ciabat-
ta fiammeggiante sotto la quale appare la scritta: viva i pii
ciabattini».
Naturalmente, Fourier era cosciente del «ridicolo» dei
suoi oggetti dimostrativi (della sua retorica)'; sapeva be-
ne che i borghesi sono attaccati alla divisione gerarchica
dei linguaggi, degli oggetti e degli usi tanto quanto a quel-
la delle classi, che niente, ai loro occhi, uguaglia il crimine
di leso linguaggio, e che basta accostare una parola nobile
(astratta) e un termine basso (denotante un oggetto sen-
suale oppure rifiutato) per scatenare a colpo sicuro la loro
verve di proprietari (del buon linguaggio); sapeva che ci
si burlava dei suoi meloni mai ingannevoli, del trionfo dei
polli coriacei e del debito dell'Inghilterra pagato in uova
di gallina. Tuttavia assumeva l'incongruità delle sue di-
mostrazioni con un certo tono da martire (il martirio del-
l'inventore). Cosf, al paragrammatismo dei suoi esempi
(intrecciante due linguaggi esclusi, uno nobile l'altro pa-
ria), si aggiunge un'ambiguità finale, infinitamente piu
vertiginosa: quella della loro enunciazione. Dov'è Fou-
rier? Nell'invenzione dell'esempio (le vecchie galline ma-
rinate)? nell'indignazione che il riso degli altri provoca in

1 « Questo rispettabile convoglio di vecchie ciabatte marcia pomposa-


mente al loro seguito, sul loro piu bel battello da carico, essendo l'arma
su cui fanno affidamento per guadagnarsi le palme della vera gloria. Bah,
la gloria in calzoleria! diranno i civili; appunto io li aspettavo al varco
di questa sciocca replica. E chiedo loro qual frutto hanno ricavato dalle
vittorie di sa.i Luigi e di Bonaparte, che hanno condotto armate immense
in paesi lontani perché ne fossero inghiottite, dopo averli devastati ed es-
sersi fatti esacrare » (VII, 364).
SADE,FOURIER,LOYOLA
lui? Nella nostra lettura, che ingloba a un tempo il ridi-
colo e la sua difesa? La perdita del soggetto nella scrittura
non è mai piu completa (diventando il soggetto completa-
mente irreperibile) che in questi enunciati la cui sfasatura
di enunciazione si ripete all'infinito, senza dente d'arresto,
sul modello del gioco della mano sopra l'altra o del sas-
so, forbici e foglio: testi la cui «ridicolaggine» o «idio-
zia» non hanno origine in alcun enunciante sicuro, e su
cui, di conseguenza, il lettore non può mai avere la meglio
(Fourier, Flaubert). «Dio, - dice Fourier, - esercita un'i-
ronia tanto sottile quanto misurata creando certi prodotti
enigmatici nella qualità, come il melone, fatto per gabbare
innocentemente i banchetti ribelli ai metodi divini, senza
poter ingannare in alcun modo i gastronomi che si unifor-
meranno al regime divino o societario [allusione alla diffi-
coltà che s'incontra a riconoscere un buon melone, "frut-
to cosi perfido per i civilizzati"]. Non pretendo dire che
Dio abbia creato il melone esclusivamente per questa fa.
cezia, ma essa rientra nei molti usi di questo gruppo. L'i-
ronia non è mai trascurata nei calcoli della natura ... Il me-
lone, fra le sue proprietà ha quella dell'armonia ironi-
ca ... » (insomma, il melone è elemento di una scrittura).
Quale lettore potrebbe pretendere di dominare un simile
enunciato - farlo proprio quale oggetto di un riso o di
una critica, in una parola fargli la lezione? - in nome di
quale altro linguaggio?

Il geroglifico.

Fourier vuole decifrare il mondo per rifarlo (come ri-


farlo, infatti, senza decifrarlo?)
La decifrazione fourierista parte dalla condizione piu
difficile, che non è tanto la latenza dei segni quanto il loro
continuum. C'è un'espressione di Voltaire che Fourier ri-
prende ripetutamente a proprio nome: «Ma quale fitta
tenebra vela ancora la natura?»; ora, nel «vela», finisce
per esserci piu l'idea di avvolgimento che non quella di
maschera. Una volta di piu, il compito primordiale del lo-
goteta, del fondatore di linguaggio, è quello di ritagliare
FOURIER

il testo senza fine: l'operazione prima è di «mordere» sul-


l'avvolgimento, per poterlo poi tirare (ritirare).
Occorre quindi, in una certa misura, distinguere la deci-
frazione dal ritaglio. La decifrazione rimanda a una pro-
fondità piena, alle tracce di un segreto. Il ritaglio rimanda
a uno spazio di relazioni, a una distribuzione. In Fourier
la decifrazione è postulata, ma a titolo tutto sommato mi-
nore: verte sulle menzogne e le smorfie delle classi civiliz-
zate: come a proposito dei «principi segreti» della bor-
ghesia «che comincia a smerciare un centinaio di menzo-
gne nella sua bottega in virtu dei principi del libero com-
mercio. Di li un borghese va ad ascoltare la santa messa e
torna a smerciare da tre a quattrocento menzogne, ingan-
nare e derubare una trentina di acquirenti in onore del
principio segreto dei commercianti: noi non lavoriamo
per la gloria, ci occorre del denaro» (VII, 246). Tutt'altro
e di tutt'altra importanza è il ritaglio - o anche la sistema-
tizzazione (la messa in sistema); questa lettura, che è l'es-
senziale del lavoro fourierista, verte su tutta la Natura
(società, sentimenti, forme, regni naturalistici) in quanto
spazio totale dell'Armonia - essendo l'uomo di Fourier as-
solutamente incorporato all'universo, astri compresi; non
è piu una lettura denunciatrice, riduttrice (limitata alle
menzogne morali della borghesia), ma una lettura esaltan-
te, integrante, ricostituente, estesa al lussureggiare delle
forme universali.
L'oggetto di questa seconda lettura è forse il «reale»?
Siamo abituati a individuare il «reale» e il residuo: !'«ir-
reale», fantasmatico, ideologico, verbale, proliferante, in
una parola il «meraviglioso», maschererebbe ai nostri oc-
chi il «reale», razionale, infrastrutturale, schematico; dal
reale all'irreale, ci sarebbe produzione (interessata) di uno
schermo di arabeschi, laddove dall'irreale al reale ci sareb-
be riduzione critica, movimento aletico, scientifico, come
se il reale fosse al tempo stesso piu povero e essenziale
delle soprastruzioni di cui lo si ricopre. Fourier, evidente-
mente, lavora su una materia concettuale la cui costituzio-
ne nega questa contrapposizione e che è quella del mera-
viglioso-reale. Questo meraviglioso reale è contrapposto
al meraviglioso ideale dei romanzi; corrisponde a quello
86 SADE,FOURIER,LOYOLA

che si potrebbe chiamare, contrapponendolo appunto al


romanzo, il romanzesco. Il meraviglioso reale è precisa-
mente il significante, o se si preferisce la «realtà», marca-
ta, rispetto al reale scientifico, dal suo strascico fantasma-
tico. Ora, la categoria sotto cui questo romanzesco si co-
mincia a leggere è il geroglifico, diverso dal simbolo come
può esserlo il significante dal segno pieno, mistificato.
Il geroglifico (la cui teoria è data principalmente nella
Teoria dei quattro movimenti, I, 3r sg., 286 sg.) postula
una corrispondenza formale e arbitraria (dipende dal li-
bero arbitrio di Fourier: è un concetto idiolettale) fra i di-
versi regni dell'universo, per esempio tra le forme (cer-
chio, ellisse, parabola, iperbole), i colori, i toni musicali,
le passioni' (amicizia, amore, paternità, ambizione), le raz-
ze animali, gli astri e i periodi della filogenesi societaria.
L'arbitrario deriva evidentemente dall'attribuzione: per-
ché l'ellisse è il geroglifico geometrico dell'amore? La pa-
rabola quello della paternità? Quest'arbitrarietà è però al-
trettanto relativa quanto quella dei segni linguistici: noi
crediamo che ci sia una corrispondenza arbitraria fra il
significante /pero/ e il significato «pero», fra una data tri-
bu melanesiana e il suo totem (orso, cane), perché imma-
giniamo spontaneamente (vale a dire in virtu di determi-
nazioni storiche, ideologiche) il mondo in termini sostitu-
tivi, paradigmatici, analogici, e non in termini seriali, as-
sociativi, omologici, in una parola: poetici. Fourier ha
questa seconda immaginazione; per lui il fondamento del
senso non è la sostituzione, l'equivalenza, è la serie pro-
porzionale; come il significante /pero/ o il significante orso
sono relativamente motivati se li si prende nella serie pe-
ro-susino-melo o nella serie orso-cane-tigre, cosi il gerogli-
fico fourierista, staccato da ogni univocità, accede alla lin-
gua, vale a dire a un sistema convenzionale e al tempo
stesso fondato. Il geroglifico implica infatti una teoria
completa del senso (mentre troppo spesso, fidandoci del-
l'apparenza del dizionario, riduciamo il senso a una sosti-
tuzione): i geroglifici, dice Fourier, si spiegano in tre mo-
di: r) per contrasto (l'alveare/ il vespaio, l'elefante/ il ri-
noceronte): è il paradigma: l'alveare è marcato da pro-
duttività, carattere che manca al vespaio; l'elefante è mar-
FOURIER

cato da lunghe difese, tratto ridotto a un breve corno nel


rinoceronte; 2) per collegamento (il cane e la pecora, il
maiale e il tartufo, l'asino e il cardo) : è il sintagma, la me-
tonimia: questi elementi solitamente vanno insieme; 3) in-
fine per progressione (i cornigeri: giraffa, cervo, daino,
capriolo, renna, ecc.): questa, ignota alle classificazioni
linguistiche, è la serie, sorta di paradigma esteso, costitui-
to da differenze e prossimità, di cui Fourier fa il principio
stesso dell'organizzazione societaria, che consiste in fondo
nel mettere in una falange gruppi contrastati di individui
legati, in ogni gruppo, da un'affinità; è per esempio la set-
tina dei Fioretti, cultori di vari piccoli fiori, opposta ma
coesistente alla settina dei Rosisti: la serie è, per cosi dire,
un paradigma attualiz:.i:ato, sintagmatizzato, in virtu del
numero stesso dei suoi termini, non solo vivibile (laddove
il paradigma semantico è soggetto alla legge dei contrari
rivali, inespiabili, che non possono coabitare), ma anche
felice. La progressione (la serie) è senza dubbio ciò che
Fourier aggiunge al senso (quale ce lo descrivono i lingui-
sti), e di conseguenza proprio ciò che ne sventa l'arbitra-
rietà. Perché, per esempio, la giraffa è, in Associazione,
il geroglifico della Verità (I, 286)? Idea ben stramba, e
decisamente ingiustificabile se si cerca, disperatamente, di
trovare qualche tratto di affinità o anche di contrasto fra
la Verità e questo grande mammifero ungulato. La spiega-
zione è che la giraffa è presa in un sistema di omologie:
avendo l'Associazione come geroglifico pratico il castoro
(in ragione delle sue capacità associative e costruttive) e
per geroglifico visivo il pavone (in ragione del ventaglio
delle sue sfumature), di fronte ma sempre nella stessa se-
rie, quella degli animali, ci vuole un elemento propriamen-
te infunzionale, una sorta di neutro, di grado zero della
simbologia zoologica: la giraffa, inutile quanto la Verità
in Civiltà; e di qui una contro-giraffa (termine complesso
dell'opposizione): la Renna, da cui si ricavano tutti i ser-
vizi immaginabili (nell'ordine societario, si avrà perfino
creazione di un animale nuovo, ancora piu ecumenico del-
la Renna: sarà l'Anti-Giraffa).
Ricollocata cosi nella storia del segno, la costruzione
fourierista pone i diritti di una semantica barocca, cioè
88 SADE,FOURIER,LOYOLA
aperta alla proliferazione del significante: infinita e pur-
tuttavia strutturata.

Liberale?

La combinazione delle differenze implica che sia rispet-


tata l'individualità di ogni termine: non si cerca di rad-
drizzare, di correggere, di annullare un gusto, qualunque
esso sia (per «bislacco» che sia); al contrario lo si con-
ferma, enfatizza, riconosce, legalizza, rafforza, associando
tutti coloro che lo vogliono praticare: il gusto cosi cor-
porato lo si lascia giocare in opposizione ad altri gusti in-
sieme affini e diversi: un gioco di competizione (ossia
di intrigo, ma codificato) si stabilirà fra gli appassionati di
pera bergamotta e gli appassionati di pera butirra: si ag-
giungerà allora alla soddisfazione di un gusto semplice
(amare le pere) l'esercizio di altre passioni, adesso formali,
combinatorie: per esempio la cabalistica, o passione degli
intrighi, e la sfarfallante, se s'incontrano Armoniani insta-
bili che trovano piacere nel passare dalla bergamotta alla
butirra.
Da questa costruzione semantica del mondo risulta che
!'«associazione» non è agli occhi di Fourier un principio
«umanistico»: non si tratta di riunire tutti quelli che han-
no la stessa mania (i «comaniani») perché si sentano bene
insieme e s'incantino a rimirarsi narcisisticamente gli uni
negli altri; al contrario si tratta di associare per combina-
re, per contrastare. La coesistenza fourierista delle passio-
ni non procede affatto da un principio liberale. Non viene
nobilmente richiesto di «comprendere», di «ammettere»
le passioni degli altri (a rischio, in realtà, di rifiutarle). Il
fine dell'Armonia non è quello di proteggersi dal conflitto
(associandosi per somiglianze), né di ridurlo (sublimando,
edulcorando, o normalizzando le passioni), e neanche di
trascenderlo («comprendendo» l'altro), ma di sfruttarlo
per il massimo piacere di ognuno e senza danno per nes-
suno. In che modo? Giocandolo: facendo del conflittuale
un testo.
FOURIER

Passioni.

La passione (il carattere, il gusto, la mania) è l'unità


irriducibile della combinatoria fourierista, il grafema as-
soluto del testo utopico. La passione è naturale (niente da
correggere in essa, salvo produrre una contro-natura, co-
me accade in Civiltà). La passione è netta (il suo essere è
puro, forte, dal contorno deciso: solo la filosofia civiliz-
zata consiglia passioni flosce, apatiche, controlli e compro-
messi). La passione è felice («La felicità... consiste nell'a-
vere molte passioni e molti mezzi per soddisfarle», I, 92).
La passione non è la forma esaltata del sentimento, la
mania non è la forma mostruosa della passione. La mania
(e persino l'ubbia) è l'essere stesso della passione, l'unità
in base alla quale si determina l'Attrazione (attrattiva e
attraente). La passione non è né deformabile, né trasfor-
mabile, né riducibile, né misurabile, né sostituibile: non
è una forza, è un numero: questa monade felice, franca,
naturale, non si può né scomporla né amalgamarla, ma so-
lo combinarla, fino a raggiungere l'anima integrale, corpo
transindividuale di 1620 caratteri.

L'albero della felicità.

Le passioni (in numero di 810 per ogni sesso) partono,


come i rami di un albero (l'albero-feticcio dei classificato-
ri), da tre ceppi: il lussismo, che raccoglie le passioni sen-
sitive (una per ognuno dei cinque sensi), il gruppismo
(quattro passioni di partenza: l'onore, l'amicizia, l'amore,
la parentela) e il seriismo (tre passioni distributive). Tut-
ta la combinatoria si dispiega a partire da queste dodici
passioni (queste non hanno nessuna preminenza morale,
ma solo strutturale).
Le prime nove passioni vengono dalla psicologia clas-
sica, ma le tre ultime, formali, sono d'invenzione fourie-
rista. La Dissidente (o Cabalistica) è una foga riflessa, una
passione dell'intrigo, una mania calcolatrice, un'arte di
sfruttare le differenze, le rivalità, i conflitti (non si sten-
SADE,FOURIER,LOYOLA

terà a riconoscerne la grana paranoica); è la delizia dei


cortigiani, delle donne e dei filosofi (degli intellettuali),
per cui la si può anche chiamare la Speculativa. La Com-
posita (in verità meno ben circoscritta delle sue vicine) è
la passione dello straripamento, dell'esaltazione (sensuale
o sublime), ddla moltiplicazione; la si può chiamare la
Romantica. La Variante (o Alternante, o Sfarfallante) è
un bisogno di varietà periodica (cambiare occupazione,
piacere, ogni due ore); è, se si vuole, la disposizione del
soggetto che non investe in maniera stabile nel « buon og-
getto»: passione la cui figura mitica sarebbe don Giovan-
ni: individui che cambiano incessantemente mestieri, ma-
nie, amori, desideri, dragatori impenitenti, infedeli, rin-
negati, soggetti a «umori», ecc.: passione disprezzata in
Civiltà, ma che Fourier colloca molto in alto: è questa a
permettere di percorrere rapidamente molte passioni nel-
lo stesso tempo, e simile a un'agile mano su una tastiera
multipla far vibrare armoniosamente (è il caso di dirlo)
la grande anima integrale; agente di transizione universa-
le, essa anima quel genere di felicità attribuito ai sibariti
parigini, l'arte di vivere cosi bene e cosi in fretta, la varie-
tà e la concatenazione dei piaceri, la rapidità del movi-
mento (si ricordi che per Fourier il modo di vita della clas-
se possidente è il modello stesso della felicità).
Queste tre passioni sono formali: comprese nella clas-
sificazione, ne garantiscono il funzionamento (la « mecca-
nica»), o piu esattamente: il gioco. Se si compara l'insie-
me delle passioni a un gioco di carte o di scacchi (come
ha fatto Fourier), le tre distributive sono in fondo le re-
gole di questo gioco; enunciano come conciliare, equili-
brare, far muovere, e permettono di trasformare le altre
passioni, di cui ciascuna presa a sé sarebbe inutile, in un
susseguirsi di « brillanti e innumerevoli combinazioni».
Sono appunto queste regole del gioco (queste passioni
formali, distributive) che la società rifiuta: esse produ-
cono (segno della loro eccellenza) « i caratteri a cui si fa ac-
cusa di corruzione e che vengono detti libertini, dissoluti,
ecc.»: come in Sade, è la sintassi, solo la sintassi, a pro-
durre la massima immoralità.
Tali sono le dodici passioni radicali (come i dodici toni
FOURIER 9I
della gamma). Ce n'è naturalmente una tredicesima (ogni
buon classificatore sa che deve soprannumerare la sua ta-
bella e accomodare l'uscita del suo sistema), che è addirit-
tura il fusto dell'albero passionale; l'Uniteismo (o Armo-
nismo). L'Uniteismo è la passione dell'unità, «l'inclina-
zione dell'individuo a conciliare la propria felicità con
quella di tutto ciò che lo circonda e cli tutto il genere uma-
no»; questa passione supplementare produce gli Origi-
nali, gente che a questo mondo sembra a disagio e che non
può adattarsi alle abitudini della Civiltà; è dunque la pas-
sione dello stesso Fourier. L'uniteismo non è affatto una
passione morale, raccomandabile (amatevi, unitevi), poi-
ché l'unità societaria è un combinato, un gioco strutturale
di differenze: all'Uniteismo si contrappone proprio il sem-
plicismo, vizio del genio civilizzato, «impiego della ra-
gione senza il meraviglioso o del meraviglioso senza la
ragione»; il semplicismo «ha fatto mancare a Newton
la scoperta del sistema della natura e a Bonaparte la con-
quista del mondo». Il semplicismo (o totalitarismo, o mo-
nologismo) sarebbe, oggigiorno, o censura del Bisogno, o
censura del Desiderio; a cui risponderebbe, in Armonia
(in Utopia?), la scienza coniugata dell'uno e dell'altro.

Numeri.

L'autorità cli Fourier, il Riferimento, la Citazione, la


Scienza, il Discorso anteriore che gli consente di parlare
e di avere a sua volta autorità sulla « storditezza di venti-
cinque secoli di scienziati che non ci avevano pensato», è
il calcolo (come lo è oggi per noi la formalizzazione). Que-
sto calcolo non ha bisogno di essere importante o compli-
cato: è un piccolo calcolo. Perché piccolo? Perché, ben-
ché di una certa portata (ne dipende la felicità dell'uma-
nità) questo calcolo è semplice. Non solo, la piccolezza
comporta l'idea di un certo affettuoso compiacimento: il
piccolo calcolo di Fourier è quel semplice clic che fa largo
alla fantasmagoria del dettaglio adorabile.
Tutto si svolge come se Fourier cercasse l'idea in sé
del dettaglio, come se la trovasse in un'enumerazione o
SADE, FOURIER, LOYOLA.

una suddivisione sfrenata di ogni oggetto che gli si pre-


senta alla mente, come se questo oggetto scatenasse in lui
istantaneamente un numero o una classificazione: è come
un riflesso condizionato che imponga per tutto una cifra
demenziale: «Ai tempi di Varrone c'erano a Roma 278
opinioni contraddittorie sulla vera felicità»; si tratta dei
legami illeciti (in Civiltà)? per Fourier non esistono se
non perché li enumera: «Durante i dodici anni di celi-
bato, l'uomo ha formato in media dodici legami amorosi
illeciti, press'a poco sei in commercio fornicatorio e sei in
commercio d'adulterio, ecc.». Tutto è pretesto di numero,
dalla carriera del globo (80 ooo anni) fino al numero dei
caratteri.
Il numero fourierista non è arrotondato ed è in effetti
ciò che fa. il suo delirio (piccolo problema di socio-logica:
perché la nostra società considera come «normale» un
numero ciecimale e come folle un numero intradecimale?
Fin dove va ad annidarsi la normalità?) Questo delirio è
spesso giustificato da ragioni ancora piu deliranti, con cui
Fourier nega l'arbitrarietà dei propri conti, o, cosa ancora
piu folle, sposta questa arbitrarietà giustificando, non il
numero dato, ma il suo campione: la statura dell'uomo
societario arriverà a 84 pollici e 7 piedi; perché? Non si
saprà mai, ma l'unità di misura, invece, è pomposamente
giustificata: «non è ad arbitrio che indico come misura
naturale il piede di re di Parigi; esso ha questa proprietà
perché è uguale alla 32a parte dell'altezza dell'acqua nelle
pompe aspiranti» (ritroviamo qui quella brusca torsione
del sintagma, quell'anacoluto, quella metonimia audace
che fa !'«incanto» di Fourier: ecco le pompe aspiranti me-
scolate, nello spazio di poche parole, alla statura dell'uo-
mo societario). Il numero è esaltante, è un operatore di
gloria, come il numero triangolare della Trinità nello stile
gesuita, non perché ingrandisce (sarebbe perdere il fascino
del particolare), ma perché demoltiplica: «Di conseguen-
za se si divide per 810 il numero di 36 milioni a cui si
eleva la popolazione della Francia, si troverà che in questo
Impero esistono 45 ooo individui capaci di uguagliare
Omero, 45 ooo capaci di uguagliare Demostene, ecc.».
Fourier è come un bambino (o un adulto: l'autore di que-
FOURIER 93
ste righe, che non ha mai fatto matematica, ha provato
anche lui questo sentimento molto tardi) che scopra esta-
siato il potere esorbitante dell'analisi combinatoria o del-
la progressione geometrica. Al limite, la cifra stessa non è
necessaria a questa esaltazione; basta suddividere una clas-
se per attuare trionfalmente questo paradosso: che il par-
ticolare (letteralmente: la minuzia) innalza, come una gio-
ia. È una furia di espansione, di possesso e per cosi dire di
orgasmo, attraverso il numero, la classificazione: appena
compare un oggetto, Fourier lo tassonomizza (si sarebbe
tentati di dire: lo sodomizza): il marito è infelice nel mé-
nage civilizzato? È immediatamente per otto ragioni (il ri-
schio dell'infelicità, il dispendio, la vigilanza, la monoto-
nia, la sterilità, la vedovanza, la parentela acquisita, le cor-
na). La parola «serraglio» viene alla frase currente cala-
mo? Ci sono immediatamente tre classi di odalische: le
donne oneste, le piccolo-borghesi e le cortigiane. Che cosa
succede alle donne dopo i diciott'anni in Armonia? nien-
t'altro che essere classificate: le Mogli (suddivise a loro
volta in costanti, sospette, e infedeli), le Damigelle o demi-
Dames (cambiano possessori ma in successione, avendone
solo uno alla volta) e le Galanti (le une e le altre ulterior-
mente suddivise); ai due termini della serie, due svolazzi
tassonomici: le Giovincelle e le Indipendenti. La ricchez-
za? Non ci sono solo i Ricchi e i Poveri; ci sono: i poveri,
i disagiati, i giusti, gli agiati, i ricchi. Beninteso, per chi
avesse la mania contraria e non tollerasse né il numero né
la classificazione né il sistema (in Civiltà molti sono di
questi, gelosi della «spontaneità», della «vita», dell'«im-
maginazione», ecc.), l'Armonia fourierista sarebbe sem-
plicemente l'inferno; al pasto di tesi (pasto-concorso) ogni
piatto non avrebbe forse due etichette, scritte a grossi ca-
ratteri, visibili da lontano e poste su un perno, in sensi op-
posti, « affinché una sia leggibile di traverso alla tavola e
l'altra nel senso della sua lunghezza» (l'autore di queste
righe ha conosciuto un piccolo inferno di questo genere:
nel collegio americano dove consumava i pasti - ma il si-
stema era uscito da un cervello francese -; per obbligare
gli studenti a conversare profittevolmente pur continuan-
do a alimentarsi e per farli beneficiare ugualitariamente
94 SADE,FOURIER,LOYOLA

della verve del professore, ogni convitato doveva a ogni


pasto far avanzare il suo posto di una tacca verso il sole
professorale, «nel senso delle lancette di un orologio», di-
ceva il regolamento; c'è appena bisogno di precisare che
non usciva nessuna «conversazione» da questo movimen-
to astrale).
Forse l'immaginazione del particolare è ciò che defini-
sce specificamente l'Utopia (in opposizione alla scienza po-
litica); sarebbe logico, poiché il particolare è fantasmatico
e attua a questo titolo il piacere stesso del Desiderio. In
Fourier, il numero è di rado statistico (mirante ad affer-
mare delle medie, delle probabilità); per la sua apparente
finezza di precisione è essenzialmente qualitativo. La sfu-
matura, selvaggina di questa caccia tassonomica, è una ga-
ranzia di piacere (di appagamento), poiché determina una
combinatoria giusta (sapere con chi raggrupparsi per po-
ter entrare in complementarità con le nostre proprie dif-
ferenze). L'Armonia deve dunque comportare degli ope-
ratori di sfumature, proprio come un laboratorio di tap-
pezzeria ha degli specialisti incaricati di annodare i fili.
Questi sfumatori sono: o operazioni (nell'erotica fourie-
rista la « salva di natura semplice» è un baccanalé preli-
minare, una mischia che permette ai partner di saggiarsi
prima di scegliersi; vi si praticano «le carezze di percorso
o ricognizioni di terreno»; questo pr~nde un mezzo quar-
to d'ora), o agenti: questi sono: o «confessori» (questi
confessori non raccolgono nessuna Colpa: «psicanalizza-
no», per liberare le simpatie, mascherate spesso dalle ap-
parenze e dal disconoscimento dei soggetti: sono districa-
tori di sfumature complementari), o «solventi» (i solven-
ti, introiettati in un gruppo che non ha ancora trovato la
sua giusta combinazione, la sua «armonia», vi producono
effetti enormi; disfano gli accoppiamenti erronei rivelan-
do a ognuno la sua passione, sono dei viranti, dei mutanti:
cosi le lesbiche e i pederasti, che, lanciati nella mischia,
attaccando in un primo momento « i campioni della loro
risma», «riconoscono i loro simili e disgiungono una buo-
na parte delle coppie che il caso aveva unito»).
La sfumatura, punta del numero e della classificazione,
ha per campo totale l'anima integrale, spazio umano defi-
FOURIER 95
nito dalla sua ampiezza, poiché è la dimensione combina-
toria al cui interno è possibile il senso; nessun uomo si è
sufficiente, nessuno è da sé solo l'anima integrale: gli oc-
corrono &xo caratteri dei due sessi, cioè x620, a cui si ag-
giungono gli onnititoli (grado complesso delle opposizio-
ni) e le sfumature infinitesimali di passione. L'anima inte-
grale, arazzo in cui si enuncia ogni sfumatura, è la grande
frase cantata dall'universo: la Lingua di cui ognuno di noi
è solo una parola. La Lingua è immortale: «All'epoca del
decesso del pianeta, la sua grande anima, e successivamen-
te le nostre che le sono inerenti, passeranno su un altro
globo nuovo, su un pianeta che sarà illevigato, concentra-
to e madido ... »

La nocepesca.

C'è sempre, in qualunque classificazione di Fourier, una


parte riservata. Questa parte viene chiamata con nomi di-
versi: passaggio, misto, transizione, neutro, banalità, am-
biguo (noi potremmo chiamarlo: supplemento); natural-
mente è contata: è l'ottavo di ogni collezione. Questo ot-
tavo ha in primo luogo una funzione ben nota agli scien-
ziati: è la parte legale dell'errore. («I calcoli sull'Attra-
zione e sul Movimento sociale sono tutti soggetti all'ec-
cezione di un ottavo ... questa sarà sempre sottintesa»). So-
lo, siccome in Fourier si tratta sempre di un calcolo di fe-
licità, l'errore è immediatamente etico: quando la Civiltà
(aborrita) «s'inganna» (sul proprio sistema), produce la
felicità: l'ottavo rappresenta quindi, in Civiltà, le persone
felici. Da questo esempio è facile capire che per Fourier
l'ottava parte non procede da una concessione liberale o
statistica, dal vago riconoscimento di un possibile scarto,
di un allentamento «umano» del sistema (che si dovrebbe
prendere con filosofia); si tratta al contrario di un'alta fun-
zione strutturale, di una restrizione di codice. Quale?
In quanto classificatore (tassonomista), ciò di cui Fou-
rier ha maggior bisogno sono i passaggi, i termini speciali
che consentono di transitare (ingranare) da una classe al-
SADE,FOURIER,LOYOLA

l'altra', è la sorta di lubrificante di cui l'apparato combi-


natorio deve far uso per non cigolare; la parte riservata è
quindi quella delle Transizioni o dei Neutri (il neutro
è ciò che si colloca fra la marca e la non-marca, quella sor-
ta di tampone, di ammortizzatore, che ha il ruolo di sof-
focare, addolcire, :fluidificare il tic-tac semantico, questo
rumore metronomico che segna ossessivamente l'alternan-
za paradigmatica: si/no, si/no, si/no, ecc.). La nocepesca,
che è una di queste Transizioni, ammortizza l'opposizione
della susina e della pesca, come la cotogna ammortizza
quella della pera e della mela: fanno parte dell'ottavo di
questi frutti. Questa parte (l'ottavo) è scandalosa perché
è contraddittoria: è la classe in cui si riversa tutto ciò che
tenta di sfuggire alla classificazione; ma questa parte è in
tal modo superiore: spazio del Neutro, del supplemento di
classificazione; essa collega i regni, le passioni, i caratteri;
l'arte d'impiegare le Transizioni è l'arte principale del cal-
colo armoniano: il principio neutro è detenuto dalla mate-
matica, lingua pura del combinatorio, del composto, cifra
stessa del gioco.
Ci sono ambigui in tutte le serie: la sensitiva, il pipi-
strello, il pesce-volante, gli anfibi, gli zoofìti, il saffismo, il
pederastismo, l'incesto, la società cinese (semibarbara, se-
micivilizzata, fornita di serragli e di tribunali di giudica-
tura e di etichetta), la calce (fuoco e acqua), il sistema ner-
voso (corpo e anima), i crepuscoli, il caffè (ignominiosa-
mente relegato a Moka per quattromila anni, poi brusca-
mente abbandonato al furore mercantile, passato dall'a-
biezione al rango supremo), i bambini (terzo sesso passio-
nale, né uomini né donne). È transizione (Misto, Ambi-
guo, Neutro) tutto ciò che è duplicità di contrari, congiun-
zione di estremi, e può in tal modo prendere per forma
emblematica l'ellisse, che ha un fuoco duplice.
Le Transizioni hanno, in Armonia, un ruolo benefico;
per esempio, impediscono la monotonia in amore, il dispo-
tismo in politica: le passioni distributive (la composita, la
cabalistica, la sfarfallante) hanno un ruolo di transizione

1 «Le transizioni sono in equilibrio passionale quello che in un'arma-


tura sono le chiavarde e gli incastri» (IV, 13,).
FOURIER 97
(«ingranano», assicurano i mutamenti di «oggetti»); da-
to che Fourier ragiona sempre in contromarcia, ciò che in
Armonia è benefico procede necessariamente da ciò che è
screditato o represso in Civiltà: le Transizioni sono quin-
di « banalità», trascurate dagli scienziati civili come sog-
getti ignobili: il pipistrello, l'albino, spiacevole razza di
ambiguo, il gusto dei polli coriacei. Lo stesso esempio di
Transizione Banale è la Morte: transizione ascendente fra
la vita armoniana e la felicità dell'altra vita (felicità tutta
sensuale), «perderà tutto ciò che ha di odioso quando la
filosofia si degnerà di consentire a studiare le transizioni
che proscrive sotto il titolo di banalità». Tutto ciò che in
Civiltà viene respinto, dalla pederastia alla Morte, prende
in Armonia un valore eminente (ma non preminente:
niente domina niente, tutto si combina, s'ingrana, si alter-
na, gira). Questa giustezza di funzionamento (questa giu-
stizia), è l'errore stesso dell'ottavo a garantirla. Il Neutro
è quindi l'opposto della Media; questa è una nozione
quantitativa, non strutturale; è la figura stessa dell'op-
pressione che il gran numero fa subire al piccolo numero;
preso in un calcolo statistico, l'intermedio si riempie e in-
gorga il sistema (cosi è delle classi medie); il neutro, al
contrario, è una nozione puramente qualitativa, struttu-
rale; è ciò che svia il senso, la norma, la normalità. Avere
il gusto del neutro è per forza prendere a noia il medio.

Sistema/sistematico.

... che il contenuto reale di questi sistemi


non risieda affatto nella loro forma sistema-
tica è dimostrato chiaramente dai fourieristi
ortodossi... i quali con tutta la loro ortodos-
sia sono esattamente agli antipodi di Fou-
rier: dottrinari borghesi.
MARX e ENGELS, Ideologia tedesca

Fourier ci permette forse di ridire l'opposizione se-


guente (che abbiamo recentemente enunciato distinguen-
do il romanzesco dal romanzo, la poesia dal poema, il sag-
gio dalla dissertazione, la scrittura dallo stile, la produzio-
98 SADE, FOURIER, LOYOLA
ne dal prodotto, la strutturazione dalla struttura) 1 : il si-
stema è un corpo di dottrina al cui interno si sviluppano
logicamente, vale a dire, dal punto di vista del discorso, re-
toricamente, degli elementi (principi, constatazioni, conse-
guenze). Essendo chiuso (o monosemico), il sistema è sem-
pre teologico, dogmatico; vive di due illusioni: un'illusio-
ne di trasparenza (il linguaggio di cui ci si serve per espor-
lo è reputato puramente strumentale, non è una scrittura)
e un'illusione di realtà (il fine del sistema è che esso sia
applicato, vale a dire che esca dal linguaggio per andare a
fondare un reale viziosamente definito come la stessa este-
riorità del linguaggio); è un delirio strettamente paranoi-
co, il cui mezzo di trasmissione è l'insistenza, la ripetizio-
ne, il catechismo, l'ortodossia. L'opera di Fourier non co-
stituisce un sistema; è solo quando si è voluto «realizza-
re» quest'opera (nei falansteri) che essa è diventata retro-
spettivamente un «sistema» votato a un :fiasco immedia-
to; il sistema, nella terminologia di Marx e Engels, è la
«forma sistematica», cioè del puro ideologico, dell'ideo-
logico-riflesso; il sistematico è il gioco del sistema; è lin-
guaggio aperto, infinito, liberato da ogni illusione (prete-
sa) referenziale; il suo modo di apparizione, di costituzio-
ne, non è lo «sviluppo» ma la polverizzazione, la dissemi-
nazione (il pulviscolo d'oro del significante); è un discorso
senza «oggetto» (non parla di una cosa se non di sbieco,
prendendola di striscio: come la Civiltà in Fourier) e sen-
za «soggetto» (scrivendo, l'autore non si lascia prendere
nel soggetto immaginario, giacché « accampa» il suo ruolo
in un modo che non si può decidere se sia serio o parodi-
stico). È un delirio largo, che non chiude ma permuta. Di
fronte al sistema, monologico, il sistematico è dialogico (è
messa in opera di ambiguità, non soffre delle contraddi-
zioni); è una scrittura, ne ha l'eternità (la permutazione
perpetua dei sensi lungo la Storia); il sistematico non si
preoccupa di applicazioni (se non a titolo di un puro im-
maginario, di un teatro del discorso), ma di trasmissione,
di circolazione (significante); inoltre non è trasmissibile

1 S/Z, Seuil, Paris I970, p. II [trad. it. di L. Lonzi, Einaudi, Torino


I973, p, II].
FOURIER 99
che a condizione di essere deformato (dal lettore); nella
terminologia di Marx-Engels, il sistematico sarebbe il con-
tenuto reale (di Fourier). - Qui non si espone il sistema
di Fourier (quella parte della sua sistematica che gioca im-
maginariamente al sistema), ma si parla solo di alcuni luo-
ghi del suo discorso che appartengono al sistematico.
(Fourier mette in disarmo - alla deriva - il sistema con
due operazioni: in primo luogo rimandando continuamen-
te a piu tardi l'esposizione definitiva: la dottrina è al tem-
po stesso superba e dilatoria; in secondo luogo iscrivendo
il sistema nel sistematico, a titolo di parodia incerta, d'om-
bra, di gioco. Per esempio: Fourier attacca il «sistema»
civile (repressivo), domanda una libertà integrale (dei gu-
sti, delle passioni, delle manie, delle ubbie); ci si aspette-
rebbe quindi una filosofia spontaneista, ma se ne ha tutto
il contrario: un sistema sconvolto, il cui stesso eccesso, la
tensione fantastica, oltrepassa il sistema e attua il sistema-
tico, cioè la scrittura: la libertà non è mai il contrario del-
l'ordine, è l'ordine paragrammatizzato: la scrittura deve
mobilitare nello stesso tempo un'immagine e il suo con-
trario).

Il party.

Che cos'è un party? I) una partizione, che isola un


gruppo lontano dagli altri, 2) una partouze' che ne lega
eroticamente i partecipanti, 3) una partita, il momento re-
golato di un gioco, di un divertimento collettivo. In Sade,
in Fourier, il party, che è la forma piu alta della felicità
societaria o sadiana, possiede questo triplice carattere: è
una cerimonia mondana, una pratica erotica, un atto so-
ciale.
La vita fourierista è un immenso party. Dalle tre e mez-
zo del mattino, nel solstizio d'estate (c'è poco bisogno di
sonno in Armonia), l'uomo societario è in stato di monda-

1 [Derivato da partie: « partita di piacere, e specialmente partita di dis-


solutezza» (Robert)].
IOO SADE, FOURIER,LOYOLA
nità: impegnato in una successione di «ruoli» (di cui cia-
scuno è la nuda affermazione di una passione) e soggetto
alle regole di combinazione (di ingranaggio) di questi ruo-
li: questa è esattamente la definizione della mondanità,
che funziona come una lingua: l'uomo mondano è qual-
cuno che passa il proprio tempo a citare (e a tessere quan-
to cita). Le citazioni a cui ricorre Fourier per descrivere
beatamente la vita mondana dell'uomo societario proven-
gono paradossalmente (paragrammaticamente) dai lessi-
ci repressivi del regime civile: la Chiesa, lo Stato, l'Eser-
cito, la Borsa, i Salotti, la colonia penitenziaria, lo scouti-
smo forniscono al party fourierista le sue immagini piu
soavi 1 •
Ogni mondanità è dissociatrice: si tratta di rinchiuder-
si per escludere e tracciare il campo al cui interno possono
funzionare le regole del gioco. Il party fourierista conosce
due chiusure, tradizionali, quella del tempo e quella del
luogo.
La topografia del falansterio traccia un luogo originale,
che all'ingrosso è quello dei palazzi, monasteri, manieri e
grandi «insiemi», dove si fondono l'organizzazione di un
edificio e l'organizzazione di un territorio, in maniera che
(concezione tutta moderna) l'urbanesimo e l'architettura
si disfino reciprocamente a vantaggio di una scienza gene-
rale del luogo umano, il cui carattere primario non è piu la
protezione, ma la circolazione: il falansterio è una reclu-
sione al cui interno si circola (esistono però delle uscite
dal falansterio: sono i grandi viaggi di orde, i «party» am-
bulanti). Questo spazio evidentemente è funzionalizzato,
come dimostra la seguente ricostruzione (molto approssi-
mativa, poiché il discorso fourierista, come ogni scrittura,
è irriducibile).

1 Innumerevoli locuzioni del tipo: « Santi e Patroni beatificati e cano-


nizzati in concilio della Gerarchia Sferica». « Ogni peccato cardinale co-
stretto alla riparazione settupla» (VII, 191) - è vero che questa ripara-
zione è poco penitenziale, consistendo nel far l'amore sette volte con sette
persone diverse. « Il Giornale ufficiale delle Transazioni gastronomiche
dell'armata dell'Eufrate» (VII, 378), ecc.
FOURIER IOI

FUNZIONI PACIFICHE

pasti telegrafo
studi piccioni
consiglio tempio
giardini carillon giardini

cortile da parata

rumori: caravanserraglio
laboratori piazza delle manovre balli
officine stranieri
bambini

grande cultura stalle granai magazzini grande cultura

Ci sono tre piani, i bambini sono all'ammezzato.

La grande occupazione di questa organizzazione è la


comunicazione. Simili a quelle compagnie di adolescenti
che nelle intere giornate delle loro vacanze vivono insie-
me in un piacere continuo e a sera non rientrano che con
rimpianto, i societari per spogliarsi e dormire non hanno
che una loggia transitoria, dove un semplice bracere è suf-
ficiente. In compenso, con quale predilezione e quale insi-
stenza Fourier descrive le gallerie coperte, i::iscaldate, ven-
tilate, sotterranei sabbiosi e corridoi innalzati su colonne,
mediante i quali i palazzi o manieri delle Tribu vicine de-
vono comunicare! Il luogo chiuso non è ammesso che in
amore, ancorché per completare - «sigillare» - le unioni
abbozzate in baccanali, salve di natura semplice o sedute
di abbordaggio.
Alla deliinitazione topografica corrisponde quell'appa-
I02 SADE, FOURIER,LOYOLA
rato di chiusura temporanea che è il timing; siccome biso-
gna cambiare di passione (d'investimento, di oggetto)
ogni due ore, il tempo ottimale è un tempo spezzato (la
funzione del timing è appunto demoltiplicare la durata,
sovrapprodurre del tempo e aumentare in tal modo il po-
tere della vita: «La giornata non sarà mai abbastanza lun-
ga per gli intrighi e le gaie riunioni che prodiga il nuovo
ordine»: uno crederebbe di sentire un adolescente che,
in vacanza, ha trovato la sua «compagnia»); per esempio,
in Ordine combinato, ci sono cinque pasti (alle cinque del
mattino, la «matine» o la «délité», alle otto la colazione,
all'una il pranzo, alle sei la merenda, alle nove la cena) e
due spuntini (alle dieci e alle quattro): si direbbe l'orario
di un sanatorio all'antica. L'uomo armoniano - fisiologi-
camente rigenerato da un regime di felicità - dorme solo
dalle undici di sera alle tre e mezzo del mattino; non fa
mai l'amore di notte, detestabile abitudine civile.
L'amore (la felicità erotica, compreso l'eros del senti-
mento) è la grande occupazione della lunga giornata armo-
niana: «Nell'Armonia, dove nessuno è povero e ognuno è
ammesso in amore fino a un'età molto avanzata, ognuno
dà a questa passione una porzione fissa della giornata e
l'amore vi diventa un'occupazione principale: esso ha il
suo codice, i suoi tribunali [sappiamo già che le pene con-
sistono in nuovi amori], la sua corte e le sue istituzioni».
Come l'eros sadiano, quello di Fourier è classificatore, di-
stributore: la popolazione è ripartita in classi amorose. In
Sade ci sono le storiche, i chiavatori, ecc.; in Fourier, ci
sono le quadriglie di Vestalità, i Giovincelli e Giovincelle,
i Favoriti e Favorite, i Genitori, ecc. Da Sade a Fourier,
solo mutamento l'ethos del discorso: in un caso giubilan-
te, nell'altro euforico. Giacché il fantasma erotico rimane
lo stesso; è quello della disponibilità: che ogni richiesta
d'amore trovi all'istante un soggetto-oggetto che sia a di-
sposizione, sia per costrizione, sia per associazione; è la
stessa molla della partottze ideale, luogo fantasmatico, con-
tro-civilizzato, in cui nessuno si rifiuta a nessuno, la posta
non essendo quella di moltiplicare i partner (non è un pro-
blema quantitativo!) ma di abolire la ferita di ogni rifiu-
FOURIER 103

to; l'opulenza del materiale erotico, perché si tratta ap-


punto del Desiderio e non del Bisogno, non mira a costi-
tuire una «società di consumo» amorosa, ma, paradosso,
scandalo realmente utopico, di far funzionare il Desiderio
nella sua stessa contraddizione, e cioè, appagarlo perpe-
tuamente (perpetuamente vuol dire che è nel contempo
sempre e mai appagato, o: mai e sempre: dipende dal gra-
do di entusiasmo o di amarezza su cui si conclude il fan-
tasma). È il significato della piu alta istituzione amorosa
della società fourierista: l'Angelicato (ancora una citazio-
ne ecclesiastica); l'Angelicato è, in Armonia, quella cop-
pia molto bella che, per «filantropia», si dà di diritto a
quanti o a quante la desiderano (compresi i deformi).
L'Angelicato ha un'altra funzione, non piu filantropica ma
mediatrice: guida il desiderio: come se ogni uomo, lascia-
to a se stesso, fosse incapace di sapere chi desiderare, co-
me se fosse cieco, inadatto a inventare il proprio deside-
rio, come se spettasse sempre agli altri indicarci dov'è il
desiderabile (nessun dubbio che non sia questa la funzio-
ne principale delle rappresentazioni dette erotiche nella
cultura di massa: funzione non di sostituzione, ma di con-
duzione); la coppia angelica è il vertice del triangolo amo-
roso: è quel punto di fuga senza di cui non c'è prospettiva
erotica 1 •
Il party, rituale comune a Sade e a Fourier, ha come
«prova» un fatto di discorso, che si trova tanto nell'uno
che nell'altro: la pratica amorosa non può enunciarsi se
non sotto forma di una «scena», di uno «scenario», di un
« tableau vivant » (disposizione propriamente fantasmati-
ca): sono tutte le «sedute» sadiane a cui spesso non man-
ca neppure uno sfondo: giardini, boschetti, veli colorati,
ghirlande di fiori, è, in Fourier, il romanzo di Cnido. In-
fatti appartiene alla potenza stessa del fantasma, al potere

1 Si può immaginare classificazione piu sadiana di questa: l'Angelicato


è organizzato secondo tre gradi di noviziato: x) il percorso cherubico (il
postulante deve l'olocausto di un intero giorno a ogni membro del coro
dei venerabili); 2) il percorso serafico (l'olocausto è: di vari giorni e viene
fatto ai due sessi); 3) il percorso seidico (l'olocausto viene fatto a un coro
di patriarchi: probabilmente sono ancora piu vecchi!)
I04 SADE,FOURIER,LOYOLA

distruttore ch'esso esercita sui modelli culturali utilizzan-


doli irrispettosamente, «rappresentare» la scena erotica
nei colori piu slavati e col tono «come si deve» dell'arte
piccolo-borghese: le scene piu forti di Sade, i deliri pro-
saffici di Fourier hanno a cornice uno scenario da Folies-
Bergère: connubio carnevalesco della trasgressione e del-
l'opera, luogo prudente di azioni folli, dove si annulla il
soggetto nella sua cultura, derisione che travolge l'arte e
il sesso insieme, che nega ogni serietà alla trasgressione
stessa, vieta di sacralizzarla (dando alla prostituzione ge-
nerale lo scenario dei Pescatori di perle), fuga dispera-
ta del significato attraverso la sfasatura fra l'estetica e il
sesso, che il linguaggio corrente tenta a suo modo di met-
tere in atto quando parla di balletti rosa o di balletti az-
zurri.

Le composte.

Un libro orientale dice che non c'è rimedio migliore


contro la sete di un po' di composta fredda, ben zucche-
rata, seguita da alcuni sorsi di acqua fresca. Questo consi-
glio avrebbe affascinato Fourier sotto due aspetti: in pri-
mo luogo a causa della congiunzione del solido e del liqui-
do (è il tipo di una Transizione, di un Misto, di un Neu-
tro, di un Passaggio, di un Crepuscolo); poi a causa della
promozione delle composte al rango di alimento filosofale
(è il Composto, non il Semplice, che smorza la sete, il de-
siderio).
L'Armonia sarà zuccherata. Perché? Per molte ragioni,
costruita con surdeterminazione (probabile indizio di un
fantasma). Prima di tutto perché lo zucchero è un contro-
pane; siccome il pane è un oggetto mitico della Civiltà,
simbolo di lavoro e di amarezza, emblema del Bisogno,
l'Armonia rovescerà l'uso del pane e ne farà la cifra del
Desiderio; il pane diventerà alimento altamente di lusso
(«uno dei commestibili piu cari e piu risparmiati»); per
contropartita, lo zucchero diverrà l'alimento corrente, lo
FOURIER 10.5

zucchero diventerà il grano • Poi perché lo zucchero, cosi


1

promosso, abbinato al frutto sotto forma di composta, for-


merà il Pane di Armonia, base dell'alimentazione presso i
popoli divenuti ricchi e felici 2 • In un certo senso tutta
l'Armonia è scaturita da un gusto di Fourier per le com-
poste, come la vita di un uomo può scaturire da un sogno
di bambino (qui, il sogno del Paese dei Dolciumi, dai la-
ghi di marmellata, dalle montagne di cioccolato): l'opera
converte in ragione il fantasma lontano: tutta una costru-
zione dalle ramificazioni, immense, sottili (il regime socie-
tario, la cosmogonia del nuovo mondo), muove dalla me-
tafora etimologica: la composta (composita) essendo un
composto, si edifica un sistema euforico del Misto; per
esempio: questo regime iperglucidato non sarà pericoloso
per la salute? Fourier non ha difficoltà a trovare un con-
tro-zucchero, talvolta anch'esso molto zuccherato: «Que-
st'abbondanza di vivande zuccherate sarà esente da incon-
venienti quando si potrà correggere l'influenza verminosa
dello zucchero con una grande abbondanza di vini liquo-
rosi per gli uomini, di vini bianchi per le donne e i bam-
bini, di bevande acidule come limonata, agro di cedro ... »
O piuttosto: nel carosello del significante, nessuno può
dire chi cominci, del gusto di Fourier (per lo zucchero, ne-
gazione di ogni conflittualità? per la mescolanza di frutti?
per l'alimento cotto, trasformato in sostanza semiliquida?)
o dell'esaltazione di una forma pura, il composito-compo-
sta, il combinatorio. Il significante (Fourier vi accede pie-
namente) è un tessuto inoriginato, indeterminato, un te-
sto.

1 « L'Africa allora fornirà a poca spesa le derrate del clima caldo, lo


zucchero di canna che non avrà, a parità di peso, che il valore del grano,
quando 70 milioni di africani e tutti i popoli di zona torrida lo coltive-
ranno» (Il, r4).
2 « Allora ai bambini verrà prodigata la composta a un quarto di zuc-
chero, perché a peso uguale sarà meno costosa del pane ... ; il nutrimento
cardine dell'uomo non dev'essere il pane, commestibile semplice, prove-
niente da una sola zona, ma il frutto allo zucchero, commestibile compo-
sto, abbinante i prodotti di due zone» (IV, 19).
Il tempo che fa.
La Retorica antica, specialmente quella del medioevo,
comprendeva una topica particolare, quella degli impossi-
bilia (in greco: cx.ovvcx.-tcx.); l'adunaton era un luogo comu-
ne, un topos, costruito sull'idea di colmo: due elementi
naturalmente contrari, nemici (l'avvoltoio e la colomba)
venivano presentati in pacifica convivenza («Il fuoco bru-
cia nel ghiaccio, Il sole diventa nero, Vedo la luna che sta
per cadere, Quell'albero si è mosso dal suo posto», scrive-
va Théophile de Viau); l'immagine impossibile serviva a
stigmatizzare un tempo detestato, quello di una contro-
natura scandalosa («avremo visto tutto!»). Ancora una
volta Fourier rovescia il luogo retorico; l'adunaton gli ser-
ve a celebrare i prodigi di Armonia, la conquista della Na-
tura con mezzi contro-naturali; per esempio, niente di piu
incontestabilmente «naturale» (eterno) del salmastro del
mare, dall'acqua incommestibile; Fourier, mediante l'a-
zione aromale del circolo boreale la trasforma in limonata
(agro di cedro); è un adunaton positivo.
Gli adunata di Fourier sono molti. Tutti possono esse-
re ricondotti alla convinzione (modernissima) secondo cui
la cultura degli uomini modifica il clima 1 • Per Fourier, la
«natura» umana è indeformabile (soltanto combinabile),
ma la natura «naturale», invece, è modificabile (per la ra-
gione che la cosmogonia di Fourier è aromale, soggetta al-
l'immagine del fluido sessuale, laddove l_a psicologia è di-
scontinua, offerta all'organizzazione, non all'effluvio).
Questa topica dell'impossibile segue le categorie del-
l'antica retorica:
I. Cronografie (sono le impossibilità temporali): «Stia-
mo per essere testimoni di uno spettacolo cui si può assi-
stere una volta soltanto su ciascun globo: il subitaneo pas-
saggio dall'incoerenza alla combinazione sociale ... Nel cor-
so di tale metamorfosi ogni anno varrà secoli di esisten-
za ... ecc.».
1 « ... l'aria è un campo soggetto quanto le terre allo sfruttamento in-
dustriale» (III, 97).
FOURIER I07

II. Topografie. Le impossibilità di spazio, molto nu-


merose, dipendono da quella che noi chiamiamo geogra-
fia: r. Climatologia: a) Fourier cambia i climi, fa del polo
una nuova Andalusia e nelle coste della Siberia mette la
dolce temperatura di Napoli e della Provenza; b) Fourier
migliora le stagioni, detestabili nella Francia civile (tema:
Non c'è piu primavera): « r822 non c'è stato affatto in-
verno, r823 niente primavera. Questo continuo disordine
da dieci anni a questa parte è l'effetto di una lesione aro-
male provata dal pianeta per la durata troppo lunga del
caos civile, barbaro e selvaggio» (tema: è colpa della Bom-
ba); c) Fourier comanda sui microclimi: «L'atmosfera e i
ripari sono parte integrante dei nostri abiti ... Non si è mai
pensato, in civiltà, a perfezionare quella porzione del ve-
stire che si chiama atmosfera, con cui siamo in perpetuo
contatto» (è il tema dei corridoi falansterici, riscaldati e
ventilati). 2. Pedologia: «[I Crociati in ciabatteria e scro-
stamento]. .. di là si sono spostati in massa a Gerusalemme
e hanno cominciato col ricoprire di buona terra e di pian-
te il calvario, dove i Cristiani venivano a recitare inutili
paternostri; in tre giorni ne hanno fatto una montagna
fertile. Cosi la loro religione consiste nell'assicurare l'u-
tile e il dilettevole a quelle contrade cui la nostra stupi-
da devozione portava soltanto massacri e superstizioni».
3. Geografia fisica: Fourier fa subire alla carta del mondo
una vera operazione di chirurgia estetica: sposta i conti-
nenti, innesta i climi, «alza» l'America del Sud (come si
alzano dei seni),« abbassa» l'Africa, apre degli istmi (Suez
e Panama), permuta le città (Stoccolma viene al posto di
Bordeaux, San Pietroburgo al posto di Torino), fa di Co-
stantinopoli la capitale del mondo armoniano. 4. Astrono-
mia: «L'uomo è chiamato a desituare e risituare gli astri».

III. Prosopografie: sono le modificazioni del corpo


umano: a) statura: «La statura umana guadagnerà da 2 a
3 pollici per generazione fino a che avrà raggiunto per gli
uomini la media di 84 pollici o di 7 piedi». b) età: «Al-
lora il termine pieno della vita sarà di centoquarantaquat-
tro anni e le forze in proporzione». c) fisiologia: «Questa
108 SADE, FOURIER,LOYOLA
quantità di pasti è necessaria al divorante appetito che sa-
rà stimolato dal nuovo Ordine ... I bambini allevati in que-
sto modo acquisiranno temperamenti di ferro e saranno
soggetti a ritorni di appetito ogni due o tre ore, a causa
della pronta digestione dovuta alla delicatezza delle vivan-
de» (si sfiora anche qui un tema sadiano: quella che in
Fourier è regolazione dell'ingestione attraverso la dige-
stione, in Sade si trova rovesciata (o raddrizzata), dove è
l'ingestione che regola la digestione (la coprofagia ha bi-
sogno di buone materie fecali); d) sesso: «Per confondere
la tirannia degli uomini bisognerebbe che per un secolo
esistesse un terzo sesso, maschio e femmina, e piu forte
dell'uomo».
Inutile insistere sul carattere sensato di questi deliri,
dato che certuni sono in via di applicazione (accelerazione
della Storia, modifica dei climi mediante la cultura e l'ur-
banizzazione, taglio degli istmi, trasformazione del suolo,
conversione dei luoghi desertici in luoghi coltivati, con-
quista degli astri, aumento della longevità, sviluppo fisico
delle razze). L'adunaton piu folle (il piu resistente) non è
quello che rovescia le leggi della «natura», ma quello che
rovescia le leggi del linguaggio. Gli impossibilia di Fou-
rier sono i suoi neologismi. È piu facile prevedere la sov-
versione del « tempo che fa» anziché immaginare, come
Fourier, un maschile per la parola «Fées» (Fate) e. scri-
vere molto semplicemente: «Fés»: l'apparizione di una
configurazione grafica insolita da cui è caduta la femmini-
lità, ecco il vero impossibile: l'impossibile condensato del
sesso e del linguaggio: in «matrone e matroni», è vera-
mente un nuovo oggetto, mostruoso, trasgressore, che vie-
ne all'umanità.
Sade II
Nascondere la donna.

Tutti i libertini hanno questa mania, nei loro piaceri,


di voler scrupolosamente nascondere il sesso della Donna.
Vantaggio triplice. In primo luogo una parodia derisoria
rovescia la morale: una stessa frase serve al libertino e al
puritano: «Nascondete la vulva, mie signore», dice Ger-
nande indignato a Justine e Dorothée, con lo stesso tono
con cui Tartuffe si rivolge a Dorine («Coprite quel seno
che non posso guardare»); la frase e il vestito restano ma
secondo fini contrari, qui pudore ipocrita, là dissolutezza.
La miglior sovversione non consiste forse nello sfigurare i
codici, piuttosto che nel distruggerli?
Inoltre: la Donna è maltrattata: impacchettata, attor-
cigliata, incappucciata, la si camuffa in modo da cancellare
ogni traccia delle sue attrattive anteriori (viso, seni, ses-
so); si produce una sorta di bambola chirurgica e funzio-
nale, un corpo senza davanti (orrore e insulto strutturale),
un'applicazione mostruosa, una cosa.
Infine: con il suo ordine di occultazione il libertino con-
traddice l'immoralismo corrente, prende in contropiede
la pornografia dei collegiali che fa del denudamento della
Donna la suprema audacia. Sade chiede un contro-strip-
tease; mentre sulla scena dei varietà, il triangolo di dia-
mante a cui alla fine resiste lo spogliamento della balle-
rina designa proibendolo l'arcano del godimento, questo
stesso triangolo, nella cerimonia libertina, definisce il luo-
go di un orrore: «Bressac pone dei fazzoletti triangolari,
annodati sulle reni, e le due donne si fanno avanti ... »
La morale libertina non consiste nel distruggere ma nel-
lo sviare; essa distoglie l'oggetto dal suo uso endoxale; ma
perché si compia questo furto, perché ci sia prevaricazione
del sistema libertino a spese della morale corrente, biso-
II2 SADE, FOURIER,LOYOLA
gna che il senso persista, bisogna che la Donna continui a
rappresentare uno spazio paradigmatico, dotato di due
luoghi di cui il libertino, da linguista rispettoso dei segni,
marcherà l'uno e neutralizzerà l'altro. Certo, nascondendo
il sesso della donna, denudando le sue natiche, il libertino
sembra uguagliarla al ragazzo e cercare nella Donna ciò
che non è la Donna; ma la scrupolosa abolizione della dif-
ferenza è truccata, giacché questa Donna senza sesso non
è tuttavia l'Altro della Donna (il ragazzo): fra i soggetti
d'orgia, la Donna resta preminente (i pederasti, che di so-
lito sono contrari a riconoscere Sade come uno dei loro,
non s'ingannano) perché bisogna che il paradigma funzio-
ni; solo la Donna dà a scegliere due siti d'intromissione:
scegliendo l'uno contro l'altro nel campo di uno stesso
corpo il libertino produce e assume un senso, quello della
trasgressione. Il ragazzo, siccome il suo corpo non offre
al libertino nessuna possibilità di parlare il paradigma dei
siti (non ne propone che uno), è meno proibito della Don-
na: è quindi, sistematicamente, meno.interessante.

Nutrimento.

Il nutrimento sadiano è funzionale, sistematico. Ciò


non basterebbe a renderlo romanzesco. Sade vi aggiunge
un supplemento di enunciazione: l'invenzione del parti-
colare, la menzione dei piatti. Victorine, l'intendente di
Sainte-Marie-des-Bois, nel suo pasto mangia una tacchina
tartufata, un paté di Périgueux, una mortadella di Bolo-
gna e beve sei bottiglie di champagne; Sade nota in altra
parte il menu di un «pranzo molto eccitante: minestra in
brodo di ventiquattro passerotti al riso e zafferano, torta
con polpette di carne di piccione macinata e guarnita di
fondi di carciofo, uova al sugo, composta all'ambra». Il
passaggio dalla notazione generica («si ristorarono») al
menu dettagliato («sul far del giorno vennero servite loro
uova strapazzate, chincara, minestra di cipolle e omelet-
tes») costituisce di per sé la marca del romanzesco: i ro-
manzi si potrebbero classificare secondo la franchezza del-
l'allusione alimentare: con Proust, con Zola, con Flau-
SADE II II3
bert, si sa sempre che cosa mangiano i personaggi; con
Fromentin, con Laclos, o anche con Stendhal, no. Il detta-
glio alimentare eccede la significazione, è il supplemento
enigmatico del senso (dell'ideologia); nell'oca di cui si
rimpinza il vecchio Galileo non c'è soltanto un simbolo
attivo della sua situazione (Galileo è fuori gara; mangia;
i suoi libri agiranno per lui), ma anche come una tenerez-
za brechtiana per il godimento. Allo stesso modo i menu
di Sade hanno la funzione (infunzionale) d'introdurre il
piacere (e non piu soltanto la trasgressione) nel mondo li-
bertino.

Il nastro trasportatore.

L'Eros sadiano è evidentemente sterile (diatribe con-


tro la generazione). Il suo modello è però il lavoro. L'or-
gia è organizzata, distribuita, comandata, sorvegliata co-
me una seduta di laboratorio; il suo rendimento è quello
del lavoro a catena (ma senza plusvalore): «A tutt'oggi, -
dice Juliette con Francaville sodomizzato trecento volte in
due ore, - non ho mai visto un servizio fatto tanto presta-
mente come quello. Quei bei membri, cosi preparati, arri-
vavano di mano in mano fino in quelle dei bambini che li
dovevano introdurre; scomparivano nel culo dei pazienti;
ne uscivano, venivano sostituiti; e tutto questo con una
leggerezza, una prontezza di cui è impossibile farsi un'i-
dea». Quella che qui è descritta è in realtà una macchina
(la Macchina è l'emblema sublimato del lavoro nella mi-
sura in cui lo compie e nello stesso tempo lo esonera);
bambini, ganimedi, preparatori, tutti formano un immen-
so e sottile ingranaggio, una minuta orologeria che ha la
funzione di legare il godimento, di produrre un tempo
continuo, di portare al soggetto il piacere su un nastro
trasportatore (il soggetto è magnificato come esito e fina-
lità di tutto il macchinario, e tuttavia negato, ridotto a un
pezzo del suo corpo). Ogni combinatoria ha bisogno di un
operatore di continuità; una volta è la copertura simulta-
nea di tutti i siti del corpo, un'altra è, come qui, la stessa
rapidità delle otturazioni.
II4 SADE,FOURIER,LOYOLA

La censura, l'invenzione.

Sade è apparentemente censurato due volte: quando


si vieta in un modo o nell'altro la vendita dei suoi libri;
quando lo si dichiara noioso, illeggibile. La vera censura
però, la censura profonda, non consiste nel vietare (nel ta-
gliare, nel sopprimere, nell'affamare) ma nel nutrire inde-
bitamente, nel mantenere, nel trattenere, nel soffocare,
nell'invischiare con gli stereotipi (intellettuali, romanze-
schi, erotici), nel dare per tutto nutrimento la parola con-
sacrata degli altri, la materia ripetuta dell'opinione cor-
rente. Il vero strumento della censura non è la politica, è
l'endoxa. Come una lingua si definisce meglio per quello
che obbliga a dire (le sue rubriche obbligatorie) che non
per quello che vieta di dire (le sue regole retoriche), la
censura sociale non è dove s'impedisce ma dove s'impone
di parlare.
La sovversione piu profonda (la contro-censura) non
consiste quindi necessariamente nel dire ciò che colpisce
l'opinione pubblica, la morale, la legge, la polizia, ma nel-
l'inventare un discorso paradossale (puro di ogni doxa):
l'invenzione (e non la provocazione) è un atto rivoluziona-
rio: questo può compiersi solo nella fondazione di una
nuova lingua. La grandezza di Sade non è nell'avercele-
brato il delitto, la perversione, o nell'aver impiegato per
questa celebrazione un linguaggio radicale; è nell'avere in-
ventato un discorso immenso, fondato sulle proprie ripe-
tizioni (e non su quelle degli altri), monetizzato in detta-
gli, sorprese, viaggi, menu, ritratti, configurazioni, nomi
propri, ecc.: insomma, la contro-censura fu, muovendo
dal proibito, fare del romanzesco.

L'odio del pane.

A Sade non piace il pane. La ragione è duplicemente


politica. Da un lato il Pane è emblema di virtu, di reli-
gione, di lavoro, di fatica, di bisogno, di povertà, ed è co-
me oggetto morale che chiede di essere disprezzato; dal-
SADE II II5
l'altro è un mezzo di ricatto: i tiranni asserviscono il po-
polo minacciando di togliergli il pane; è un simbolo di op-
pressione. Il pane sadiano è quindi un segno contraddit-
torio: morale e immorale, condannato nel primo caso dal
Sade contestatario e nel secondo dal Sade repubblicano.
Tuttavia il testo non può fermarsi al senso ideologico
(anche se contraddittorio): al pane cristiano e al pane ti-
rannico si aggiunge un terzo pane, un pane «testuale»;
questo pane è un « amalgama pestilenziale d'acqua e fa-
rina»; sostanza, è preso nel sistema propriamente sadia-
no, quello del corpo; è sottratto all'alimentazione dei ser-
ragli perché produrrebbe presso i soggetti delle digestioni
inadatte alla coprofagia. Cosi girano i sensi: carosello di
determinazioni che non s'arresta da nessuna parte e di cui
il testo è il perpetuo movimento.

Il corpo illuminato.

Sade, non piu di nessun altro, non arriva a descrivere


la bellezza; al massimo la può affermare, mediante riferi-
menti culturali («fatta come Venere», «la corporatura di
Minerva», «la freschezza di Flora»). Essendo analitico, il
linguaggio non ha presa sul corpo a meno di spezzettarlo;
il corpo totale è fuori del linguaggio, alla scrittura arriva-
no solo pezzetti di corpo; per far vedere un corpo bisogna
o spostarlo, rifrangerlo nella metonimia del suo vestire, o
ridurlo a una delle sue parti; la descrizione ritorna allora
visionaria, si ritrova la felicità d'enunciazione (forse per-
ché c'è una vocazione feticista del linguaggio): il monaco
Severino trova a Justine «una decisa superiorità nel taglio
delle natiche, un calore, una strettezza indicibile nell'a-
no». Quanto i corpi dei soggetti sadiani sono scialbi dal
momento che sono totalmente belli (la bellezza è solo una
classe), tanto le natiche, il pene, l'alito, lo sperma trovano
un'individualità immediata di linguaggio.
C'è però un mezzo per dare a questi corpi scialbi e per-
fetti un'esistenza testuale. Questo mezzo è il teatro (cosa
che l'autore di queste righe ha capito assistendo a uno
spettacolo di travestiti in un cabaret parigino). Preso nel-
u6 SADE,FOURIER,LOYOLA
la sua scialbezza, nella sua astrazione («il seno piu subli-
me, particolari vezzosissimi nelle forme, scioltezza nel-
le masse, grazia, mollezza negli attacchi delle membra»,
ecc.), il corpo sadiano è in realtà un corpo visto da lon-
tano nella luce piena del palcoscenico; è solo un corpo
molto ben illuminato, e di cui la stessa illuminazione,
uguale, lontana, cancella l'individualità {le imperfezioni
della pelle, i brutti toni del colorito) ma lascia passare la
pura venustà; totalmente desiderabile e assolutamente
inaccessibile, il corpo illuminato ha come spazio naturale
il teatro piccolo, quello del cabaret, del fantasma, o della
presentazione sadiana (il corpo della vittima sadiana non
diventa accessibile se non quando discende dalla sua pri-
ma descrizione e si spezzetta). È infine la teatralità di que-
sto corpo astratto che viene restituita da espressioni atone
(corpo perfetto, corpo da estasiare, fatta per essere dipin-
ta, ecc.), come se la descrizione del corpo fosse stata esau-
rita dalla sua (implicita) messa in scena: forse è sostan-
zialmente la funzione di quel po' d'isteria che si nasconde
in ogni teatro (in ogni illuminazione) combattere quel po'
di feticismo che è nel «ritaglio» stesso della frase scritta.
Comunque sia, mi è bastato provare una viva commozione
davanti ai corpi illuminati del Cabaret parigino perché le
allusioni (apparentemente assai piatte) di Sade alla bel-
lezza dei suoi soggetti smettessero di annoiarmi e risplen-
dessero a loro volta di tutta la luce e l'intelligenza del de-
siderio.

L'inondazione.

Juliette, Olympe e Clairwil sono alle prese con dieci


pescatori di Bai:es; siccome loro sono tre, tre di questi pe-
scatori vengono prima soddisfatti, ma quelli che restano si
mettono a litigare; Juliette li calma provando loro che con
un po' d'arte ognuna delle tre donne può occupare tre uo-
mini (il decimo, sfinito, si contenterà di guardare). Que-
st'arte è quella della catalisi: consiste nel saturare il corpo
erotico occupando simultaneamente i capoluoghi del pia-
cere (la bocca, il sesso, l'ano); ogni soggetto è ricolmato
SADE II II7

tre volte (nel duplice senso della parola) e in tal modo


ognuno dei nove partner trova il proprio impiego erotico
(è vero che quest'impiego è semplice, mentre il piacere dei
soggetti è triplice; è differenza di classe: i libertini oppo-
sti agli agenti, le ricche avventuriere ai poveri pescatori).
L&. saturazione di tutta l'estensione del corpo è il prin-
cipio dell'erotica sadiana: si cerca d'impiegare (di occu-
pare) tutti i suoi luoghi distinti. Questo problema è quel-
lo stesso della frase (nel qual caso bisogna parlare di una
erotografia sadiana, in quanto la struttura del godimento
non si distingue da quella del linguaggio): la frase (lette-
raria, scritta) è anch'essa un corpo che bisogna catalizzare,
riempiendo tutti i suoi luoghi primari (soggetto-verbo-
complemento) di espansioni, d'incisi, di subordinate, di
determinanti; certo questa saturazione è utopica, giacché
niente permette (strutturalmente) di terminare una frase:
le si può sempre aggiungere un supplemento, che non sarà
mai, in via di diritto, l'ultimo (questa incertezza della fra-
se rendeva Flaubert molto infelice); allo stesso modo, ben-
ché Sade abbia tentato di allungare instancabilmente l'in-
ventario dei siti erotici, sa bene di non poter chiudere il
corpo amoroso, terminare la catalisi voluttuosa (renderla
per-fetta) ed esaurire la combinatoria delle unità: resta
sempre un supplemento di richiesta, di desiderio, che si
tenta illusoriamente di estinguere, sia ripetendo o permu-
tando le figure (contabilità dei «colpi»), sia coronando
l'operazione combinatoria (per definizione analitica), con
un senso estatico di continuità, di copertura, di perfu-
sione.
Questa trascendenza della combinatoria è stata cercata
in ugual misura dal primo teorico della frase, Dionigi d'A-
licarnasso: si trattava di postulare un valore diffuso, spar-
so sulla somma e l'articolazione delle parole (valore lega-
to, ritmato, respiratorio). Ora, passare dalla catalisi som-
mativa a una totalità esistenziale, è quello a cui arriva l'i-
nondazione del corpo sadiano (mediante lo sperma, il san-
gue, gli escrementi, il vomito); si ottiene allora una muta-
zione del corpo: su questo nuovo corpo, gli altri corpi
«pesano» e «aderiscono». L'ultimo stadio erotico (analo-
go al legato sublime della frase, che in musica appunto si
II8 SADE,FOURIER,LOYOLA
chiama il fraseggiato), è nuotare: nelle materie corporali,
nelle delizie, nel senso profondo della lussuria. Tutta que-
sta combinatoria erotica, cosi rigida nella sua discontinuità
minuziosa, chiama alla fine una levitazione del corpo amo-
roso: ne è prova la stessa impossibilità delle figure propo-
ste: per compierle, se si prendono alla lettera, ci vorrebbe
un corpo multiplo e disarticolato.

Sociale.

Le avventure sadiane non sono favolose: avvengono in


un mondo reale, contemporaneo alla giovinezza di Sade,
vale a dire la società di Luigi XV. L'armatura sociale di
questo mondo è brutalmente sottolineata da Sade; i liber-
tini appartengono all'aristocrazia o piu esattamente (o piu
spesso) alla classe di finanzieri, gabellieri e prevaricatori,
in una parola: sfruttatori, arricchitisi la maggior parte nel-
le guerre di Luigi XV e nelle pratiche di corruzione del
dispotismo; salvo la loro origine nobile non sia un fattore
di voluttà (rapimento delle fanciulle perbene) i soggetti
appartengono al sottoproletariato industriale e urbano
(per esempio, gli chilfrecane di Marsiglia, bambini «che
lavorano nelle fabbriche e che forniscono ai dissoluti di
questa città gli oggetti piu belli che si possano trovare»)
o ai servi della ~eudalità terriera, ove sussista (per esem-
pio in Sicilia, dove Gerolamo, il futuro monaco di ]ustine,
si trasferisce secondo un progetto propriamente arcadico,
che gli consentirà a:· suo dire di dominare in ugual maniera
sul proprio campo e sui propri vassalli).
Si verifica tuttavia questo paradosso: i rapporti di clas-
se sono, in Sade, al tempo stesso brutali e indiretti; enun-
ciati secondo l'opposizione radicale fra sfruttatori e sfrut-
tati, questi rapporti non passano nel romanzo come se si
trattasse di descriverli a titolo referenziale (cosa che ha
fatto un grande romanziere «sociale» come Balzac); Sade
li prende in modo diverso, non come un riflesso da dipin-
gere, ma come un modello da riprodurre. Dove? Nella
piccola società dei libertini. Questa società è costruita co-
me un plastico, una miniatura; Sade vi trasporta la divi-
SADE II II9
sione di classe; da un lato gli sfruttatori, i possidenti, i
governanti, i tiranni; dall'altro il popolino. La molla della
divisione (come nella grande società) è il rendimento (sa-
dico): «Si stabili ... sul popolino tutta la vessazione, tutta
l'ingiustizia che si poté immaginare, certi di ricavarne
somme tanto piu forti di piacere quanto meglio venisse
esercitata la tirannia». Fra il romanzo sociale (Balzac letto
da Marx) e il romanzo sadiano, si verifica allora una sorta
di passo incrociato: il romanzo sociale mantiene i rapporti
sociali nel loro luogo di origine (la grande società} ma li
aneddotizza al livello di biografie private (il commerciante
César Birotteau, lo zincatore Coupeau); il romanzo sadia-
no prende la formula di questi rapporti, ma li trasporta
altrove, in una società artificiale (è anche quello che ha
fatto Brecht nell'Opera da tre soldi). Nel primo caso c'è
riprodutione, nel senso che questa parola ha in pittura, in
fotografia; nel secondo caso c'è, per cosi dire, ri-produ-
zione, produzione ripetuta di una pratica (e non di un
«quadro» storico). Ne consegue che il romanzo sadiano è
piu reale del romanzo sociale (che, invece, è realista}: le
pratiche sadiane ci appaiono oggi del tutto improbabili;
basta però viaggiare in un paese sottosviluppato (in que-
sto analogo, all'ingrosso, alla Francia del XVIII secolo) per
capire che queste sono immediatamente operabili: stesso
taglio sociale, stesse facilità di reclutamento, stessa dispo-
nibilità dei soggetti, stesse condizioni di ritiro, e per cosi
dire stessa impunità.

Cortesia.

Quando Sade lavora si dà del voi: «Non discostatevi in


nulla da questo progetto ... Descrivete minutamente la par-
tenza ... addolcite molto la prima parte ... dipingete ... rica-
pitolate con cura ... », ecc. Né io né tu, il soggetto della
scrittura si tratta con la massima distanza, quella del co-
dice sociale: questa cortesia nei riguardi di se stesso è un
po' come se il soggetto si prendesse con le molle, o in ogni
caso si contornasse di virgolette: suprema sovversione
che, per contrapposizione, rimette al suo posto (confor-
I20 SADE,FOURIER,LOYOLA
mista) la pratica sistematica del «tu». Quello che va no-
tato è che questa cortesia, che non è affatto rispetto ma di-
stanza, Sade la mette in opera quando si trova in situazio-
ne di lavoro, sotto l'istanza della scrittura. Scrivere, è pri-
ma di tutto mettere il soggetto (compreso il suo immagi-
nario di scrittura) in citazione, rompere ogni complicità,
ogni invischiamento fra colui che traccia e colui che in-
venta, o, ancor meglio, fra colui che ha scritto e colui che
si (ri)legge (come si vede dalle dimenticanze - soprattutto
di detrazione delle vittime - contro cui Sade si ammoni-
sce).
Inserita nell'universo ardente delle pratiche libidinose,
la cortesia non è un protocollo di classe ma molto piu for-
temente quel gesto imperioso del linguaggio con cui il li-
bertino o lo scrittore, diciamo: il pornografo, colui che,
letteralmente, scrive l'orgia, impone la propria solitudine
e rifiuta la cordialità, la complicità, la solidarietà, l'ugua-
glianza, tutta la moralità del rapporto umano, vale a dire:
l'isteria. La Duclos, la storica delle Centoventi giornate,
che ha appena finito di raccontare un centinaio di storie
di escrementi, non ha smesso di dirle bene: essa regola il
suo linguaggio secondo gli squisiti arabeschi del preziosi-
smo proustiano («Una certa campana che sentiremo tra
poco mi avrebbe convinta che non avrei avuto il tempo di
terminare la serata, ecc.»); e il libertino, in mezzo agli or-
dini piu crudi, non dimentica mai la distanza da lui do-
vuta al suo collega e a se stesso («E voi, signora, vi ecci-
tate vedendo soffrire ... ? - Vedete, signore, - rispose latri-
bade mostrando le punte delle dita inondate del liquido
della sua vulva»): i partner sadiani non sono né compagni,
né amici, né militanti.

Figure di retorica.

La pratica libidinosa in Sade è un vero e proprio testo


- in maniera che in proposito bisogna parlare di porno-
grafia, che vuol dire: non il discorso che si tiene sulle con-
dotte amorose, ma quel tessuto di figure erotiche, rita-
gliate e combinate come le figure retoriche del discorso
SADE II J:2I

scritto. Si trovano cosi nelle scene amorose delle configu-


razioni di personaggi, delle successioni di azioni formal-
mente analoghe agli «ornamenti» reperiti e nominati dal-
la retorica classica. In prima fila la metafora, che sostitui-
sce indifferentemente un soggetto a un altro secondo uno
stesso paradigma, quello della vessazione. Poi, per esem-
pio: l'asindeto, successione brusca di dissolutezze («Par-
ricidevo, incestavo, assassinavo, prostituivo, sodomizza-
vo», dice Saint-Fond, mettendo a soqquadro le unità del
crimine come Cesare quelle della conquista: veni, vidi,
vici); l'anacoluto, rottura di costruzione mediante cui lo
stilista sfida la grammatica (Il naso di Cleopatra, se fosse
stato piu corto ... ) e il libertino quella delle congiunzioni
erotiche («Niente mi diverte come cominciare in un culo
l'operazione che voglio terminare in un altro»). E come
uno scrittore audace può creare un'inaudita figura di stile,
cosi Rombeau e Rodin dotano il discorso erotico di una
figura nuova (sondare volta a volta e rapidamente i po-
steriori di quattro fanciulle), a cui, da buoni grammatici,
non dimenticano di dare un nome (il mulino a vento).

La crudezza.

Il lessico sessuale di Sade (quando è «crudo») compie


una prodezza linguistica: quella di mantenersi nella deno-
tazione pura (impresa ordinariamente riservata ai linguag-
gi algoritmici della scienza); il discorso sadiano sembra al-
lora edificarsi su un tufo originale che niente può trapas-
sare, mandare indietro, trasformare; detiene una verità
lessicografica, le parole (sessuali) di Sade sono pure come
le parole del dizionario (il dizionario non è forse quell'og-
getto al di qua del quale non si può risalire e da cui si può
solo scendere? Il dizionario è come il limite della lingua;
spingersi a questo limite richiede la stessa audacia che tra-
scina a superarlo: c'è un'analogia di situazione fra la pa-
rola cruda e la parola nuova: il neologismo è un'oscenità
e la parola sessuale, se è diretta, è sempre ricevuta come
se non fosse mai stata letta). Attraverso la crudezza del
linguaggio si stabilisce un discorso fuori-senso, che elude
I22 SADE, FOURIER, LOYOLA

ogni «interpretazione» e anche ogni simbolismo, un terri-


torio fuori dogana, esterno allo scambio e alla penalità,
sorta di lingua adamica, ostinata a non significare: è, se si
vuole, la lingua senza supplemento (utopia principe della
poesia).
Viene però un supplemento dal linguaggio sadiano:
quando si vede che questo discorso è destinato, preso in
un certo circuito di destinazione, quello che incatena l'e-
sperto di dissolutezza (libertino o soggetto) alla sua pa-
rola immaginaria, cioè alle giustificazioni (virru o delitto)
che si dà: tendere la mano allo stronzo del partner è di-
sgustoso secondo il linguaggio della vittima, delizioso se-
condo il linguaggio del libertino; per cui le «idee locali»
(che fanno l'adulterio, l'infanticidio, la sodomia, l'antro-
pofagia condannate in un luogo e riverite in un altro), di
cui Sade si vale cosi spesso per giustificare il crimine, sono
in realtà operatori di linguaggio: quella parte del linguag-
gio che riversa sull'enunciato, come il senso stesso, la par-
ticolarità della sua destinazione: il supplemento è l'Altro;
ma poiché non c'è né desiderio né discorso prima dell'Al-
tro e al di fuori dell'Altro, il linguaggio crudo di Sade è la
parte utopica del suo discorso: utopia rara, coraggiosa,
non in quanto svela la sessualità, e neppure in quanto la
rende naturale, bensi in quanto sembra credere alla possi-
bilità di un lessico senza soggetto (il testo sadiano è tutta-
via ridotto dal ritorno fenomenologico del soggetto, del-
l'autore: colui che enuncia il «sadismo»).

La «moire».

I linguaggi (policromi) del libertino e il linguaggio (mo-


notono) della vittima coesistono con altri mille linguaggi
sadiani: il crudele, l'osceno, il canzonatorio, l'educato, il
pungente, il didattico, il comico, il lirico, il romanzesco,
ecc. Si forma cosi un testo che dà (come pochi testi) la
sensaziòne della sua etimologia: è un tessuto damascato,
un tappeto di frasi, un bagliore cangiante, un aspetto ma-
rezzato e luccicante di stili, una moire di linguaggi: si at-
tua un plurale discorsivo, poco usuale nella letteratura
SADE II 123

francese (per eredità e costrizione classica, il francese


prende a noia il plurale, crede di non amare altro che l'o-
mogeneo, sublimato e vantato sotto «l'unità di tono» -
che è appunto, letteralmente, il monotono). Un altro au-
tore francese, almeno, ha eseguito di questi cambiamenti
multipli di linguaggio: Proust, la cui opera è perciò libera
da ogni noia; giacché, come in una stoffa calandrata è pos-
sibile distinguere piu motivi, isolarne e seguirne uno di-
menticando gli altri, seguendo l'umore, cosi si può legge-
re Sade, Proust, «saltando», secondo i momenti, uno o
un altro dei loro linguaggi (posso, un dato giorno, leggere
esclusivamente il codice Charlus e non il codice Alber-
tine, la dissertazione sadiana e non la scena erotica); la
molteplicità dei codici fonda il plurale del testo, ma ciò
che alla fine lo attua è la disinvoltura con cui il lettore
« trascura» certe pagine, trascuratezza che è in qualche
modo preparata e legalizzata in anticipo dall'autore stes-
so, che si è prodigato a produrre un testo bucato, in ma-
niera che chi «salta» le dissertazioni sadiane resta nella
verità del testo sadiano.

lmpossibilia.

Nel gioco scolastico della disputatio, veniva qualche


volta chiesto al chierico (al candidato) di difendere degli
impossibilia, delle tesi apparentemente impossibili. Allo
stesso modo, immaginando gli atteggiamenti della dissolu-
tezza, Sade difende delle «impossibilità». Se infatti a una
qualche compagnia venisse voglia di realizzare alla lettera
una delle orge descritte da Sade (come quel medico molto
positivo che crocifisse un cadavere reale per dimostrare
che la crocifissione descritta dai Vangeli era anatomica-
mente impossibile o in ogni caso non avrebbe potuto pro-
durre il Cristo in croce dei pittori), la scena sadiana si ri-
velerebbe presto fuori di ogni realtà: complicazione delle
combinazioni, contorsioni dei partner, dispendio dei gau-
denti e sopportazione delle vittime, tutto supera la natura
umana: ci vorrebbero parecchie braccia, parecchie pelli,
un corpo da acrobata e la facoltà di rinnovare l'orgasmo
124 SADE,FOURIER,LOYOLA
all'infinito. Sade lo sa, perché fa dire a Juliette, davanti
agli affreschi di Ercolano: « Si rileva ... in tutte queste pit-
ture un lusso di atteggiamenti quasi impossibile alla na-
tura e che prova o una grande elasticità nei muscoli degli
abitanti di queste contrade, o una grande sfrenatezza d'im-
maginazione». L'inverosimiglianza aneddotica è ancora
piu forte: le vittime (salvo Justine) non protestano né lot-
tano; non c'è da dominarle; in una cinta in cui i quattro
signori delle Centoventi giornate sono soli, senza aiuto,
senza polizia né domestici, nessun chiavatore, nessun Er-
cole s'impadronisce di una sedia, di una sbarra, per am-
mazzare il libertino che lo ha condannato a morte. Dal
Libro al reale (perché non verificare il «realismo» di un'o-
pera interrogando, non il modo piu o meno esatto in cui
riproduce il reale, ma, al contrario, quello in cui il reale
potrebbe o non potrebbe effettuare ciò che il romanzo
enuncia? Perché il libro non dovrebbe essere programma
piuttosto che pittura?) potrebbe solo passare, potrebbe
solo costituire una sorta di Museo sadiano, l'attrezzatura
dell'orgia: la cassetta dei godemichés, le macchine volut-
tuose e la bevanda di Clairwil, lo schizzo topografico dei
luoghi orgici, ecc.
Per il resto, tutto è rimesso al potere del discorso. Que-
sto potere, quasi non ci si pensa, non è solo d'evocazione
ma anche di negazione. Il linguaggio ha questa facoltà di
negare, di trascurare, di dissociare il reale: scritta, la mer-
da non ha odore; Sade ne può inondare i suoi partner,
a noi non ne arriva alcun effluvio, solo il segno astratto
di una contrarietà. Tale risulta il libertinaggio: un fatto di
linguaggio. Sade oppone profondamente la lingua al reale,
o piu esattamente si colloca sotto la sola istanza del « rea-
le di linguaggio», ed è per questo che ha potuto gloriosa-
mente scrivere: « Si, sono un libertino, lo riconosco: ho
concepito tutto quello che si può concepire in questo ge-
nere, ma non ho certamente fatto tutto quello che ho con-
cepito e non lo farò certamente mai. Sono un libertino, ma
non sono un criminale né un assassino». Il «reale» e il
libro sono tagliati: non li lega nessun obbligo: un attore
può parlare all'infinito della sua opera, non è mai tenuto
a garantirla.
SADE II x25

Il fazzoletto.

«Ecché, signora, qualcosa respinge questo fazzoletto?


Ho creduto di non celare che una vulva, e scopro un caz-
zo? Perdio! Che clitoride! Togliete, togliete questo ve-
lo ... » Indicibile, quel panno femminile li sopra.

La famiglia.

Trasgredire il divieto familiare consiste nell'alterare la


nitidezza terminologica del ritaglio parentale, nel far si
che un solo significato (un dato individuo, una fanciulla
di nome Olympe per esempio) riceva nello stesso tempo
parecchi di quei nomi, di quei significati che l'istituzione,
altrove, mantiene accuratamente distinti, asetticamente
preservati da ogni confusione: «Olympe ... unisce; - dice
il monaco incestuoso di Sainte-Marie-des-Bois, -il triplice
onore di avermi insieme come padre, nonno e zio». In al-
tre parole, il crimine consiste nel trasgredire la regola se-
mantica, nel creare omonimia: l'atto contro-natura si esau-
risce in una parola contro-linguaggio, la famiglia non è
niente di piu di un campo lessicale, ma questa riduzione
non è affatto indifferente: assicura il suo scandalo pieno
alla trasgressione massima, quella del linguaggio; trasgre-
dire è nominare fuori della divisione del lessico (fonda-
mento della società, allo stesso titolo della divisione delle
classi).
La Famiglia si definisce a due livelli: il suo «contenu-
to» (legami affettivi, sociali, riconoscenza, rispetto, ecc.),
che il libertino ignora, e la sua «forma», la rete dei legami
nominativi, e con ciò stesso combinatori, di cui il libertino
si prende gioco, che riconosce per meglio truccarli e su cui
fa vertere delle operazioni sintattiche; è a questo secondo
livello che per Sade si compie la trasgressione originaria,
quella che suscita l'ebrezza di un'invenzione ininterrotta,
il giubilo di sorprese continue: « Racconta di aver cono-
sciuto un uomo che ha fottuto tre figli avuti dalla propria
126 SADE,FOURIER,LOYOLA
madre, fra cui c'era una fanciulla che aveva fatto sposare
al proprio figlio, in maniera che fottendo lei, fotteva la
propria sorella, figlia e nuora e costringeva il proprio figlio
a fottere la sua sorella e suocera». La trasgressione si ri-
vela cosi come una sorpresa di nominazione: stabilire che
il figlio sarà la moglie o il marito (a seconda che il padre,
Noirceuil, sodomizzi la propria progenitura o ne sia sodo-
mizzato) suscita in Sade quella stessa meraviglia che co-
glie il narratore proustiano quando scopre che la strada
dei Guermantes e la strada di Swann si congiungono: l'in-
cesto, come il tempo ritrovato, non è che una sorpresa di
vocabolario.

Gli specchi.

L'Occidente ha fatto dello specchio, di cui parla solo al


singolare, il simbolo del narcisismo (dell'Io, dell'Unità ri-
fratta, del Corpo ricostituito). Gli specchi (al plurale) so-
no tutt'altro tema, sia che si dispongano due specchi uno
di fronte all'altro (immagine Zen) in maniera che non ri-
flettano altro che il vuoto, sia che la molteplicità degli
specchi giustapposti circondi il soggetto con un'immagine
circolare il cui andirivieni è automaticamente abolito. È il
caso degli specchi sadiani. Al libertino piace condurre la
sua orgia in mezzo ai riflessi, in nicchie rivestite di vetri o
in gruppi incaricati di moltiplicare una stessa immagine:
«S'incula l'italiano; quattro donne nude lo circondano da
ogni lato; l'immagine che lui adora si riproduce in mille
modi diversi sotto i suoi occhi libertini; eiacula»; que-
st'ultima disposizione ha il doppio vantaggio di assimi-
lare i soggetti a mobili (tema sadiano: da Minski, i tavoli,
le poltrone, sono ragazze) e di ripetere l'oggetto parziale,
coprendo, inondando cosi il libertino di un'orgia luminosa
e liquida. Si crea allora una superficie del crimine: lo spa-
zio domestico è ricoperto di dissolutezza.
SADE II I27

Il conio.
Il linguaggio della dissolutezza è spesso battuto. È un
linguaggio cesariano, corneliano: «Amico mio, - dissi al
giovane, - vedete tutto quello che ho fatto per voi; è tem-
po di ricompensarmi. - Che cosa esigete? - Il vostro cu-
lo. - Il mio culo? -Non possiederete Eufremia senza che
io abbia ottenuto quello che chiedo»~ Sembra di sentire il
vecchio Orazio: « Cosa volevate che facesse contro tre?
- Che morisse». Cosi, attraverso Sade e grazie a lui, ri-
compare la Retorica: una macchina di desiderio: esistono
fantasmi di linguaggio: la concisione, il restringimento, la
detonazione, la caduta, in una parola il conio è uno di que-
sti fantasmi (parola che va bene per la medaglia e la mo-
neta falsa'): è il colpo deflagratorio dell'iscrizione, l'orga-
smo che termina la frase al vertice del suo piacere.

Rapsodia.

Poco studiata dai grammatici del racconto (come


Propp), esiste una struttura rapsodica della narrazione,
propria soprattutto al romanzo picaresco (e forse al ro-
manzo proustiano). Raccontare, in questo caso, non con-
siste nel far maturare una storia e poi scioglierla, secondo
un modello implicitamente organico (nascere, vivere, mo-
rire), cioè nel sottoporre la successione degli episodi a un
ordine naturale (o logico) che diventa il senso stesso im-
posto dal «Destino» a ogni vita, a ogni viaggio, ma nel
giustapporre puramente e semplicemente dei pezzi itera-
tivi e mobili: il continuum, allora, è solo un seguito di
giuntature, un tessuto barocco di stracci. La rapsodia sa-
diana infila cosi disordinatamente: viaggi, furti, assassini,
dissertazioni filosofiche, scene libidinose, fughe; narrazio-
ni seconde, programmi di orge, descrizioni di macchine,
ecc. Questa costruzione sventa la struttura paradigmatica

1 [L'elenco continua: « per lo champagne e il giovane teppista». « Co-


nio», in francese frappe, da frapper: «battere»].
I28 SADE,FOURIER,LOYOLA

del racconto (secondo cui ogni episodio ha il suo «rispon-


dente» piu avanti da.qualche parte, che lo compensa o lo
ripara) e con ciò stesso, schivando la lettura strutturalista
della narrazione, costituisce uno scandalo del senso: il ro-
manzo rapsodico (sadiano) non ha senso, niente lo obbliga
a progredire, maturare, concludersi.

L'arredo dell'orgia.
L'orgia si svolge nel salotto piu bello, preparato dalle
vecchie sin dal mattino:
Il pavimento è un ampio materasso impunturato a 6
pollici di spessore: tendenziale congiunzione del letto e
dell'impiantito; civiltà in cui si cammina scalzi nella ca-
mera, non per evitare di «sporcare» - scrupolo piccolo-
borghese che in certi appartamenti obbliga a munirsi di
ridicoli pattini - ma per realizzare l'intimità totale, quella
del corpo e della superficie mobiliare e togliere cosi'. in an-
ticipo la censura imposta dalla posizione verticale, legale,
morale, separatrice; stare in piedi è reputato virile; un
essere calzato è un essere che non può cadere (o che non
può che cadere); stare in un posto con le scarpe è dire che
il desiderio H è precluso (in Giappone certi francesi sono
restii a togliersi le scarpe, sia per paura di perdere la loro
virilità, sia per l'imbarazzo di avere sotto la scarpa un bu-
co nel calzino). Su questo materasso sono state buttate
due o tre dozzine di carreaux (cuscini quadrati): oggi que-
sta è l'abitudine di alcune « boites », nelle quali, almeno
su questo punto, il senso dell'arte del vivere non è stato
completamente cancellato dalla volgarità e dalla moralità.
Nel fondo è disposta una larga ottomana circondata di
specchiere: gli specchi inondano d'immagini: inoltre, nel-
la vecchia economia, in cui lo specchio costava un alto
numero di giornate di lavoro, esso è il segno del lusso piu
alto, il prodotto quasi emblematico dello sfruttamento
(come oggi uno yacht, un aereo personale).
Dei carrelli d'ebano e di porfido, sparsi qua e là, sor-
reggono tutti gli accessori del libertinaggio (verghe, pre-
servativi, godemichés, pomate, essenze, ecc.); la seduta
SADE II 129

orgica ha tutto il protocollo di un'operazione chirurgica;


il vizioso, in qualunque parte si trovi della stanza, deve
avere a portata di mano gli strumenti della voluttà; spinge
con sé il suo piccolo armamentario, come una manicure o
un'infermiera (questo semplice particolare di lettura ren-
de l'orgia terribile).
Un enorme buffet, di fronte all'ottomana, offre a profu-
sione, tutto il giorno, vivande che si possono tenere calde
« senza che ci se ne accorga»; insomma la sala di lussuria
è un salotto mondano; come in qualunque ricevimento
borghese, in fondo c'è un buffet permanente (la differenza
è che questo buffet, invece che a svagarsi dalla conversa-
zione del vicino, serve a riparare le perdite di sperma e di
sangue}: questo buffet in fondo, è tutto il cocktail.
C'è un'infinità di rose, di garofani, di lillà, di gelsomini,
di mughetti; però l'orgia finirà in un mare di escrementi
e di vomito; i fiori sono inaugurali; scaglionano l'inizio di
una degradazione che fa parte del progetto libertino.
Di fronte al buffet, « artisticamente posto in una nuvo-
la», si vede un'effigie del supposto Dio: quadro meccani-
co nel gusto degli automi dell'epoca, poiché piu tardi, se-
guendo un gioco che mette l'orgia a sorteggio, usciranno
dalla bocca dell'Eterno dei rotoli di raso bianco dove, nel-
lo stile del Decalogo, sono iscritti i comandamenti di certe
posizioni: in questo ricevimento, si gioca anche ai fo-
glietti.
La lussuria sadiana, di cui di solito non si parla se non
in funzione del sistema filosofico di cui si riduce alla cifra
astratta, partecipa in effetti di un'arte del vivere: vi si in-
scrive la concomitanza dei piaceri.

La marca.

Al castello di Silling i soggetti sono marcati (mediante


colori differenti). La posta di questa marca è lo svergina-
mento di ogni vittima, riservato a uno o all'altro dei quat-
tro Signori (piu avanti è la vita stessa: i futuri sopravvis-
suti all'uccisione sono contraddistinti da un nastro verde);
e poiché due luoghi del corpo femminile possono essere
r30 SADE,FOURIER,LOYOLA

deflorati, il davanti e il dietro, la marca è doppia, di attri-


buzione (a un dato libertino) e di localizzazione:

SIGNORI DAVANTI DIETRO

duca rosa verde


deBlangis

il Vescovo o viola

Durcet o lilla

Curvai nero giallo

(il Vescovo e Durcet non si concedono nessun davanti da


sverginare: è il grado zero della deflorazione, stato signi-
ficante quanto altri mai, poiché annuncia questi due Si-
gnori come puri sodomiti). In questo quadro è l'essere
stesso della marca, di ogni marca, che viene svelato: in
uno stesso movimento essa è un indice di proprietà (come
il marchio impresso sul bestiame), un atto d'identificazio-
ne (come il numero d'immatricolazione di un soldato) e
un gesto feticista, che ritaglia il corpo, ne promuove e op-
pone due parti. Tutti questi fini si ritrovano nella natura
linguistica della marca: questa, è noto, è l'atto fondamen-
tale del senso; ed è proprio un doppio paradigma quello
che Sade costruisce davanti a noi: da un lato i colori, dal-
l'altro i Signori e i luoghi. Nel senso si raccolgono la pro-
prietà, la merce e il feticcio.

Il casco.
Il grido è la marca della vittima: è perché sceglie di gri-
dare che questa si costituisce in vittima; se, sotto la stessa
vessazione, arrivasse a goderne, cesserebbe di essere vit-
tima, si trasformerebbe in libertino: gridare/eiaculare,
questo paradigma è il punto di partenza della scelta, cioè
del senso sadiano. La miglior prova di ciò è che se una fra-
SADE II

se comincia col racconto di una vessazione è impossibile


sapere chi la pronuncia, perché è impossibile prevedere se
si concluderà in grida o in godimento: la frase è libera,
fino all'ultimo momento: « Verneuil allora le pizzicò le
natiche con una forza cosf crudele ... [ci si aspetta qualcosa
come: «che la vittima non poté trattenere le grida»; ma
quello che si ottiene dalla macchina sintattica, dalla frase-
posa, è tutto il contrario:] ... che la puttana eiaculò all'i-
stante». (Allo stesso modo, inversamente: «Mio figlio, -
disse il marchese, - che una notte passata con Justine ...
aveva sorprendentemente irritato contro quella ragazza»).
Tuttavia il grido, che fonda la vittima, ne è anche, con-
traddittoriamente, il semplice attributo, l'accessorio, il
supplemento amoroso, un'enfasi. Donde il pregio di una
macchina che isola il grido e lo consegna al libertino come
una parte deliziosa del corpo vittimale, cioè come un fe-
ticcio sonoro: è il caso del casco a tubo con cui s'imba-
cucca il cranio di Mme de Verneuil: è «organizzato in
modo che le grida strappatele dai dolori con cui la si op-
primeva somigliassero ai muggiti di un bue». Questa sin-
golare cuffia ha un vantaggio triplice: essendo la vittima
rinchiusa col suo torturatore in un salottino isolato, il ca-
sco ne trasmette il dolore agli altri libertini, come per ra-
dio, senza che vedano la scena: essi possono, piacere su-
premo, immaginarla, cioè fantasmarla; non solo, ma senza
togliergli niente del suo valore segnaletico, il casco sna-
tura il grido, gli dà una stranezza animale, trasformando
«la donna pallida, malinconica e distinta» in massa bovi-
na; infine, il tubo, vagina o colon, inietta nel libertino un
bastone sonoro, uno stronzo musicale (lo stronzo è preci-
samente l'escremento reso allo stato di fallo): il grido è
un feticcio.

La divisione dei linguaggi.

Nelle sue Note letterarie Sade riporta senza commen-


tarle le parole di Maria Antonietta alla Conciergerie: « Le
bestie feroci che mi circondano inventano ogni giorno
qualche umiliazione che accresce l'orrore del mio destino;
I32 SADE, FOURIER, LOYOLA

esse distillano goccia a goccia, ecc.». Qualcuno ha pensato


(Lély) che Sade avesse copiato queste parole perché inten-
deva applicarle a se stesso. Io leggo la citazione in modo
diverso: come un esempio di linguaggio vittimale: Anto-
nietta e Justine parlano la stessa lingua, lo stesso stile.
Sade non commenta la situazione della regina decaduta;
non definisce la vittima mediante la pratica nella quale è
presa («soffrire», «resistere», «ricevere»); cosa esorbi-
tante se si pensa alla definizione corrente del sadismo e
alla definizione strutturale del personaggio, qui il «ruolo»
è ritenuto trascurabile. La vittima non è: colui o colei che
subisce ma: colui o colei che tiene un certo linguaggio.
Nel romanzo sadiano ::- come nel romanzo proustiano - la
popolazione si divide in classi non secondo la pratica ma
secondo il linguaggio, o piu esattamente secondo la pra-
tica del linguaggio (indissociabile da ogni pratica reale):
i personaggi sadiani sono attori di linguaggio. (Se si vo-
lesse estendere questa nozione al genere stesso del roman-
zo, sarebbe tutta una nuova grammatica narrativa che bi-
sognerebbe elaborare: rispetto all'epopea o alla novella
non è il romanzo quel racconto nuovo dove la divisione
del lavoro - delle classi - culmina in una divisione dei
linguaggi?)

La confessione.

La confessione, cerimonia religiosa che Sade ama molto


mettere nelle sue orge, non ha la sola funzione di parodia-
re ignominiosamente il sacramento della penitenza o d'il-
lustrare la situazione sadica del soggetto che si confida al
suo boia; essa introduce nella «scena» (episodio erotico,
combattivo e teatrale) una duplicità di senso ma anche di
spazio. Come nello spettacolo medievale, vengono dati a
leggere due luoghi nello stesso tempo, sia che il libertino
senta e veda simultaneamente ciò che è separato dalla teo-
logia, e cioè l'Anima e la Carne («Vuole che sua figlia
vada a confessarsi da un monaco che lui ha conquistato ...
cosi sente la confessione di sua figlia e insieme vede il
suo culo»), sia che il lettore, posto davanti al confessio-
SADE II I33
nale come davanti a una scena divisa, contempli in una
sola visione, messa in un primo riquadro, Justine inginoc-
chiata, gli occhi alzati verso il cielo, in atto di confessarsi
candidamente, e nel secondo il monaco Severino che ascol-
ta Justine, un batacchio mezzo nudo fra le gambe. In tal
modo si produce un oggetto estetico complesso e parados-
sale: il suono e la vista sono riuniti nello spettacolo (il
che è banale) ma separati dalla barra del confessionale,
dalla legge classificatrice (anima/carne) che fonda la tra-
sgressione: la stereografia è completa.

La dissertazione, la scena.

Chi sfoglia i libri di Sade sa bene che vi si alternano due


grandi forme tipografiche: pagine fitte, continue: è la
grande dissertazione filosofica; pagine spezzate da spazi
bianchi, da capoversi, da punti di sospensione, di esclama-
zione, linguaggio teso, bucato, vacillato: è l'orgia, la scena
libidinosa o criminale. Checché ne faccia la pratica di let-
tura (piu o meno pigra), questi due blocchi sono alla pari:
la dissertazione è un oggetto erotico.
Non è solo la parola a essere erogena, e neppure ciò
ch'essa rappresenta (la dissertazione, per definizione, non
dipinge assolutamente nulla, ma il libertino, infinitamente
piu sensibile del lettore sadiano, vi si eccita invece dian-
noiarvisi), sono le forme piu sottili, le piu coltivate del
discorso: il ragionamento («Come! - disse Nicette, - non
vuoi che perda il mio liquido quando mio padre ragiona
cosi bene?»), il sistema («Siete eccitato, monsignore? ...
- È vero ... questi sistemi mi riscaldano l'immaginazio-
ne»), la massima («Creur de Fer si riscaldava esponendo
queste sagge massime»). J uliette mette quindi natural-
mente la dissertazione a livello dei piaceri esorbitanti che
lei esige da papa Braschi in cambio dell'ardore che gli pro-
mette; la cita infatti alla rinfusa insieme col furto, la mes-
sa nera, l'orgia sontuosa.
La dissertazione «seduce», «anima», «sconvolge»,
«elettrizza», «infiamma»; è indubbio che nel susseguirsi
delle orge la dissertazione funge da riposo, ma un tale ri-
I34 SADE,FOURIER,LOYOLA
poso non è solo un semplice ricupero: è un'energia ero-
tica che si va elaborando nel corso della dissertazione. Il
corpo libertino, di cui fa parte il linguaggio, è una macchi-
na omeostatica che provvede alla propria manutenzione:
la scena costringe a giustificarsi, a fare un discorso; que-
sto discorso infiamma, erotizza; il libertino «non ce la fa
piu»; un'altra scena si salda a questa e cosi di seguito, al-
l'infinito.

Lo spazio del linguaggio.

Nel castello di Silling, il luogo sommo è il teatro di lus-


suria in cui ci si riunisce ogni giorno dalle cinque alle dieci
di sera. In questo teatro, tutti sono attori e spettatori. In
esso quindi lo spazio è al tempo stesso quello di una mi-
mesis, qui puramente uditiva, affidata al racconto della
Storica, e di una praxis (congiunzione generalmente cer-
cata senza successo da tanto teatro d'avanguardia).
Ciò che è innalzato sul trono è la Parola, organo presti-
gioso della mimesis. I Signori, ognuno sulla sua ottoma-
na, nella sua nicchia, con ai piedi il quartetto di soggetti
che fa corpo con ·lui (è il caso di dirlo), non sono in ·un
primo momento che Uditori. Su un panchetto le tre nar-
ratrici che non sono di servizio formano la riserva di Pa-
rola, proprio come sui gradini del proscenio i soggetti non
trattenuti nei quartetti appropriati formano la riserva di
Lussuria. Fra la Mimesis e la Praxis (i cui luoghi saranno
le ottomane e i gabinetti dell'ammezzato), si estende cosi
uno spazio intermedio, che è quello della virtualità: il di-
scorso attraversa questo spazio, e in questa traversata si
trasforma gradatamente in pratiche: la storia raccontata
diviene il programma di un'azione che ha per teatro sussi-
diario l'ottomana, la nicchia, il gabinetto.
Lo spazio totale è - diagrammaticamente - quello del
linguaggio. Intorno al Trono, scaturiti dalla Parola fonda-
trice, quella della Storica, sono la Lingua, il Codice, la
Competenza, le unità della combinatoria, gli elementi del
Sistema. Dal lato dei Signori, la Parola monetizzata, l'Ese-
cuzione, il Sintagma, la Frase detta. Cosi il teatro sadiano
SADE II r35
136 SADE,FOURIER, LOYOLA
(e proprio perché è un teatro) non è quel luogo corrente
dove si passa piattamente dalla parola al fatto (secondo il
disegno empirico dell'applicazione), ma la scena del pri-
mo testo, quello della Storica (venuto a sua volta da tanti
codici anteriori), attraversa uno spazio di trasformazione
e genera un secondo testo, di cui i primi uditori diventano
i secondi enuncianti: movimento senza sosta (non siamo
noi a nostra volta i lettori di quei due testi?) che è proprio
della scrittura.

L'ironia.

In ogni società, sembra, la separazione dei linguaggi è


rispettata, come se ognuno di essi fosse una sostanza chi-
mica e non potesse entrare in contatto con un linguaggio
ritenuto contrario senza produrre una deflagrazione socia-
le. Sade passa il proprio tempo a produrre di queste meto-
nimie esplosive. La frase, come forma suffeciente e corta
insieme, gli serve da camera di scoppio. I grandi stili pom-
posi, culturali, codificati da secoli di letteratura ben-pen-
sante sono citati a comparire su questo piccolo teatro del-
la frase, fianco a fianco col pornogramma: la massima
(Donne recluse: « non è la virtu che le lega, è lo sperma»),
l'apostrofe lirica («Oh mie compagne, fottete, siete nate
per fottere»), l'elogio della virtu («devo rendere al suo
carattere la giustizia di dire che non eiaculò una sola vol-
ta»), la metafora poetica («Obbligato a dare la via a un
membro che non poteva piu contenere nei calzoni, ci fece
nascere, lasciando che si protendesse nell'aria, l'idea di
quei giovani arbusti svincolati dal laccio che ne curva un
istante la cima verso il suolo»).
Si osserverà: si tratta per Sade di sopprimere la divisio-
ne estetica dei linguaggi; ma questa soppressione Sade non
la fa secondo un modello naturalista, lasciando (illusoria-
mente) affiorare alla superficie della scrittura il linguaggio
diretto, che si vorrebbe inculturale (o popolare): la cultu-
ra non si può cancellare con un colpo di parola: si può
solo rovinarla - lasciare nel nuovo campo del linguaggio
alcuni momenti mutilati del loro contesto e del loro su-
SADE II 137
perbo passato eppure ancora provvisti della grazia elabo-
ratissima, della patina gustosa, della distanza necessaria
impressavi da secoli di educazione retorica. Questo meto-
do di distruzione (mediante citazione spostata di soprav-
vivenza) costituisce l'ironia di Sade.

Il viaggio.

Non si dice mai che Sade è un romanziere picaresco


(uno dei rari della nostra letteratura). La ragione apparen-
te di questa «dimenticanza» è che l'avventuriero sadiano
(Juliette, Justine) non attraversa che una sola e unica av-
ventura e che questa avventura è cruda.
Tuttavia, la censura piu grossolana (quella dei costumi)
maschera sempre un profitto ideologico: se il romanzo sa-
diano è escluso dalla nostra letteratura è perché in esso la
peregrinazione romanzesca non è mai ricerca dell'Unico
(l'essenza di tempo, di verità, di felicità) ma ripetizione
del piacere; l'errare sadiano è sconveniente, non perché
è lussurioso e criminale, sottratto a ogni trascendenza,
sprovvisto di termine: esso non rivela, non trasforma,
non matura, non educa, non sublima, non attua, non re-
cupera niente, se non il presente stesso, spezzato, abba-
gliante, ripetuto; nessuna pazienza, nessuna esperienza;
tutto viene immediatamente portato al vertice del sapere,
del potere, del godere; il tempo non compone né scompo-
ne, ripete, riconduce, ricomincia, non c'è altra scansione
se non quella che alterna la formazione e la spesa di
sperma.
C'è cosi nel viaggio sadiano come un'irriverenza nei
confronti della «vocazione» stessa del romanzo. ]uliette
e il suo rovescio Justine, stanno alla ricerca romanzesca
come la caccia all'amore serio: che cosa fanno tutti questi
eroi picareschi, Juliette, Jéròme, Brisa-Testa, Clairwil e la
stessa Justine, se non dragare? Dragano vittime, compli-
ci, boia, piccioni. Però, cosi come la caccia amorosa, lungi
dall'obnubilare il viveur, lo sveglia continuamente al mon-
do che lo circonda e gli dà una sensibilità piu fine, una cu-
riosità piu aperta allo spazio completo in cui cammina (in
r38 SADE, FOURIER, LOYOLA
fin dei conti il viveur - il Don Giovanni se si preferisce -
viaggia in un modo piu disinteressato del turista, tutto
infagottato negli stereotipi di monumenti, giacché per lui
la cultura ha dell'indiretto), la caccia sadiana fa sfilare
obliquamente davanti ai nostri occhi - senza farla propria
sotto forma di verità - tutta un'Europa storica: classi so-
ciali, pratiche di denaro, usanze alimentari, di abbiglia-
mento, di arredo, di trasporto, fino alla galleria dei grandi
di questa società monarchica (il re di Napoli, il cardinale
de Bernis, Federico II, Enrico, Sofia di Prussia, Vittorio
Amedeo di Savoia, Caterina II, Pio VI), la cui raffigura-
zione derisoria non attenua in niente il segno storico che
essi costituiscono, a dispetto di tutte le orge irreali a cui
partecipano.

Sade precursore.
L'orgia è immaginativa; sotto il suo impulso Sade ha
inventato: la radiodiffusione (il casco a urli permette ai
libertini di vivere senza vederli i supplizi che si compiono
nella stanza accanto: la semplice informazione sonora li
fa godere, cosi come permette all'ascoltatore moderno di
drammatizzare) e il cinema (presso Cardoville, nei dintor-
ni di Lione, Dolmus immagina una «scena divina»: ogni
punto del corpo di Justine, via via estratto a sorte, sarà
molestato da un libertino: «volta a volta ognuno farà
prontamente subire alla paziente il dolore di cui sarà inca-
ricato. Questi turni ricominceranno con rapidità: imitere-
mo il battito di un orologio»: disposizione sorprendente,
giacché nel film sadiano nessuno - nessun io - è propria-
mente il soggetto della sequenza: nessuno la filma, nessu-
no la monta, nessuno la proietta, nessuno la vede: una
immagine continua s'innesta su nient'altro che il tempo,
l'orologio).

Poetica del libertino.


Che cos'è un paradigma? un'opposizione di termini che
non possono trovarsi contemporaneamente attualizzati. Il
SADE II I39
paradigma è molto morale: ogni cosa a suo tempo, non
confondiamo, ecc., ed è cosi che il senso, dispensatore di
legge, di chiarezza, di sicurezza, sarà fondato. In Sade, la
vittima desidera la legge, vuole il senso, rispetta il para-
digma; il libertino, al contrario, si adopra a estenderli,
cioè a distruggerli; poiché la lingua propone una separa-
zione delle colpe (incesto/parricidio), il libertino farà di
tutto per riunire i termini (essere insieme incestuoso e
parricida, e soprattutto obbligare l'altro a combattere le
due colpe), la vittima farà di tutto per resistere a questa
mescolanza e mantenere l'incomunicazione dei morfemi
del delitto (Cloris, vittima di Saint-Fond che lo fa can-
tare, «è incestuoso per non diventare parricida»).

Le macchine.

Di vere macchine, voluttuose o criminali, Sade ne in-


venta spesso. Ci sono degii apparecchi per far soffrire:
macchina per fustigare (dilata le carni per far apparire il
sangue molto rapidamente), macchina per violare (da Min-
ski), macchina per ingravidare (cioè per preparare l'infan-
ticidio), macchina per far ridere (producente «un dolore
cosi violento che ne risultava un riso sardonico, estrema-
mente curioso da esaminare»). Ci sono macchine per far
godere; la piu ricercata è quella del principe di Franca-
villa, il piu ricco signore di Napoli: colei che vi prende
posto riceve un godemiché dolce e flessibile che, mosso da
una molla, la sottopone a un limio perpetuo; ogni quarto
d'ora, vengono lanciati «nella vagina fiotti di un liquore
caldo e vischioso, il cui odore e densità l'avrebbero fatto
prendere per lo sperma piu puro e piu fresco», mentre
altrove, diventata feticista, la macchina isola le parti da
accarezzare e le rinnova incessantemente; ci sono infine
delle macchine che combinano le due funzioni, minaccia
no crudelmente per obbligare a prendere una buona posi-
zione.
La macchina sadiana non si ferma all'automa (passione
del secolo); è tutto il gruppo vivente che è concepito, co-
struito come una macchina. Nel suo stato canonico (per
SADE, FOURIER, LOYOLA

esempio Justine ricevuta nel convento di Sainte-Marie-


des-Bois), comporta una sostruzione edificata intorno al
paziente fondamentale (qui Justine) e saturata quando
tutti i siti del corpo sono occupati da partner differenti
(«Mettiamoci tutti e sei su di lei»); a partire da questa
architettura di base, definita da una regola di catalisi, si
dispiega un apparato aperto, moltiplicandosi i siti appena
un partner si aggiunge al gruppo iniziale; la macchina non
tollera nessun solitario, nessuno che resti fuori di lei: a
Dorothée, rimasta sola, Gernande indica come entrare
nel gruppo («infilatevi sotto mia moglie»); la macchina
totale è un sistema equilibrato (« J ustine sostiene tutto, il
peso intero è su lei sola») e aperto: ciò che la definisce è
la connessione di tutti i pezzi («Le due operazioni s'in-
corporano, si sposano»), che si congiungono gli uni agli
altri come se conoscessero il loro ruolo a memoria e non
si dovesse cercare in nulla d'improvvisare («Tutte le don-
ne si allineano immediatamente su sei file»). Una volta
disposta, alla macchina non resta che partire, «andare»
(«Adesso lavoriamo di concerto»). Una volta in moto,
freme e fruscia leggermente dei movimenti convulsi dei
partecipanti («Niente è lubrico a vedersi come i movi-
menti convulsi di questo gruppo, composto di ventun per-
sone»). Non rimane che sorvegliarla, come fa un buon tec-
nico che misura, lubrifica, restringe, regola, cambia, ecc.
(«Marthe percorre le file; palpa i coglioni; sorveglia che ...
ecc.»).

I colori.
I colori del vestire sono dei segni. Da un lato le classi
d'età e di funzioni (gitoni, fantini, agenti, chiavatoti, ver-
gini, fanciulle perbene, vecchie, ecc.), dall'altro dei co-
lori. Il rapporto fra i due correlati è comunemente-arbi-
trario (immotivato). Si verifica tuttavia, come nella lin-
gua, una certa analogia, un rapporto proporzionale, una
relazione diagrammatica: il colore aumenta d'intensità,
splendore, fuoco, via via che l'età aumenta e la voluttà
matura: i piccoli gitoni (dai sette ai dodici anni) sono in
SADE II

grigio-lino, come se quel grigio pallido raffigurasse la scial-


bezza, la passività naturale della loro età; piu adulti (dai
dodici ai diciotto anni) diventano porpora, poi, passando
ad agenti (dai diciannove ai venticinque anni), sono vestiti
di un frac mordoré: da Gernande, i grandi libertini hanno
un collant color carne, la testa è coronata da un turbante,
di rossa fiamma.

Scena, macchina, scrittura.

«Che gruppo delizioso!», esclama la Durand davanti a


Juliette «occupata» da quattro scassinatori di Ancona. Il
gruppo sadiano frequente è un oggetto pittorico o sculto-
reo: il discorso coglie le figure di lussuria non solo dispo-
ste, architettate, ma soprattutto fissate, inquadrate, illu-
minate; le tratta da tableaux vivants. Questa forma di
spettacolo è stata poco studiata, probabilmente perché
non se ne fa piu. Va però ricordato che il tableau vivant
è stato per lungo tempo un divertimento borghese, ana-
logo alla sciarada? bambino, l'autore eh queste pagine ha
piu volte assistito, in occasione di vendite benefiche devo-
te e provinciali, a grandi tableaux vivants - per esempio,
La bella addormentata -; non sapeva che questo gioco
mondano è della stessa essenza fantasmatica del tableau
sadiano; lo ha forse capito piu tardi osservando che il foto-
gramma filmico si contrappone al film grazie a una scis-
sione che non è quella del prelievo (s'immobilizza e si
pubblica una scena tratta da un grande film), ma, per cosi
dire, della perversione: il tableau vivant, malgrado il ca-
rattere apparentemente totale della figurazione, è un og-
getto feticcio (immobilizzare, illuminare, inquadrare, equi-
valgono a spezzettare), mentre il film, come funzionamen-
to, sarebbe un'attività isterica (il cinema non consiste nel-
l'animare le immagini; la contrapposizione fra fotografia
e film non è quella fra l'immagine fissa e l'immagine mo-
bile; il cinema consiste, non nel raffigurare, ma nel far
funzionare un sistema).
Ora, malgrado la prevalenza dei tableaux, questa scis-
sione esiste nel testo sadiano, e, sembra, con la stessa po-
I42 SADE, FOURIER, LOYOLA

sta. Giacché al «gruppo», che è in realtà un fotogramma


di lussuria, si contrappone, anche qui, la scena in moto.
Il vocabolario incaricato di denotare questa vibrazione del
-gruppo (che in verità ne trasforma filosoficamente lana-
tura) è vasto (eseguire, seguire, variare, rompersi, scio-
gliersi). Sappiamo che questa scena che «funziona» non è
altro che una macchina senza soggetto, poiché non ci man-
ca nemmeno uno scatto automatico («Minski si avvicina
alla creatura appesa, le manipola le natiche, gliele morde
e tosto tutte le donne si dispongono su sei righe»). Da-
vanti al tableau vivant - e il tableau vivant è appunto
qualcosa davanti a cui mi colloco - c'è per definizione, per
finalità stessa del genere, uno spettatore, un feticista, un
perverso (Sade, il narratore, un personaggio, il lettore,
non ha importanza). Per converso, nella scena in movi-
mento, questo soggetto, abbandonando la sua poltrona,
la sua galleria, la sua platea, varca la ribalta, entra nello
schermo, s'incorpora al tempo, alle variazioni e alle rottu-
re dell'atto lubrico, in una parola alla sua esecuzione: c'è
passaggio dalla rappresentazione al lavoro. (Esiste in Sade
un genere misto, tableau vivant per il lettore, scena per i
partner: come il sintagma barocco che ci rappresenta, in
una sequenza molto feliciana, Noirceuil e i suoi accoliti,
in un freddo glaciale, vestiti di enormi pellicce, in atto di
far saltare, bombardandola e flagellandola con le loro lun-
ghe fruste, la piccola Fontange nuda, su un catino gelato).
Luogo storico transitorio, la scrittura sadiana contiene
questa doppia postulazione. Talvolta rappresenta il ta-
bleau vivant, rispetta l'identità della pittura e della scrit-
tura classica, che crede di non dover che descrivere quello
che è già stato dipinto e che essa chiama il «reale»; essa
si vale di questo referente già composto per darne l'archi-
tettura (a destra I a sinistra), i colori, i rapporti, le sfuma-
ture, la luce, il tocco. Talaltra esce dalla rappresentazione:
non potendo raffigurare (eternare) ciò che cammina, varia,
si rompe, essa perde il potere di descrizione e non le resta
che addurre il funzionamento, darne la cifra generica: di-
re funziona, non è piu descrivere, è riferire. Di qui si vede
l'ambiguità della scrittura classica: :figurativa, non può
che dare oggetti, essenze, situati spazialmente; l'oggetto
SADE II I43
dell'arte (pittorica, letteraria) essendo allora, instancabil-
mente, il rinnovamento del rapporto fra questi oggetti,
cioè della composizione; in una parola non può descrivere
il lavoro; per diventare «moderna» le occorrerà inventare
un'attività di linguaggio tutta diversa dalla descrizione, e
passare, come ha auspicato Mallarmé, dal tableau vivant
alla « scena» (alla scenografia).
Un tempo sono esistiti - variazione dei carillon musi-
cali che erano diventati una specialità della Svizzera - dei
« tableaux meccanici»: pitture completamente classiche
in cui però qualche elemento poteva animarsi meccanica-
mente: erano le lancette del campanile del villaggio che
andavano, o la fattoressa che muoveva le gambe, o la muc-
ca che scuoteva la testa per brucare. Questo fatto un po'
arcaico è quello della scena sadiana: è un tableau vivant
in cui qualcosa si mette ad andare; il movimento vi si ag-
giunge sporadicamente, lo spettatore vi si associa, non per
proiezione ma per intrusione; e questo misto di figura e di
lavoro diventa allora molto moderno: il teatro ha ben ten-
tato di far scendere gli attori nella sala, ma questo proce-
dimento è risibile; s'immagini piuttosto il movimento in-
verso: qualche grande quadro erotico, pensato, composto,
inquadrato, illuminato, dove le figure piu libidinose siano
rappresentate attraverso la materialità stessa dei corpi, e
invece di essere uno degli attori a saltare nella sala per
provocare volgarmente lo spettatore sia questo spettatore
a passare sulla scena aggiungendosi alla posa: «Che grup-
po delizioso!» diceva la Durand, fondando in tal modo il
tableau vivant («Juliette e gli scassinatori»), ma non man-
ca di aggiungere, trasformando il quadro in produzione:
« Su, amica mia ... aggiungiamoci al quadro, formiamone
un episodio»; l'insieme, scena e quadro, sarebbe scritto
-e sarebbe anche scrittura pura-: un'immagine aperta al-
l'irruzione di un lavoro: perché, dal momento in cui la
raffigurazione scompare, è il lavoro che comincia a iscri-
versi (è tutta l'avventura della pittura non-figurativa e del
Testo).
144 SADE,FOURIER,LOYOLA

Il linguaggio e il delitto.

Immaginiamo (se è possibile) una società senza linguag-


gio. Ecco che un uomo vi copula con una donna, a tergo
e mescolando alla sua azione un po' di pasta di frumento.
A questo livello non c'è nessuna perversione. È solo at-
traverso l'aggiungersi progressivo di qualche nome che il
delitto si troverà gradatamente a prendere, ad aumentare
di volume, di consistenza e a raggiungere la massima tra-
sgressione. L'uomo è definito il padre della donna ch'egli
possiede, di cui viene detto che è sposata; la pratica amo-
rosa è ignominiosamente classificata, è la sodomia; e il po'
di pane associato bizzarramente a questa azione diventa,
sotto il nome di ostia, un simbolo religioso, il cui rifiuto è
sacrilegio. Sade eccelle nel raccogliere questo montare del
linguaggio: la frase per lui ha proprio questa funzione di
fondare il delitto: la sintassi, affinata da secoli di cultura,
diventa un'arte elegante (nel senso in cui, in matematica,
si dice che una soluzione è elegante); essa mette insieme
il delitto con esattezza e rapidità: «per riunire l'incesto,
l'adulterio, la sodomia e il sacrilegio, incula la propria
figlia sposata con un'ostia».

L'omonimia.

Nell'arte di vivere sadiana, non si tratta tanto di molti-


plicare i piaceri, di farli girare, di comporne un inebriante
carosello (questa rapida successione definirebbe la Festa),
quanto di sovrapporli (questa simultaneità definirebbe
quello che si potrebbe chiamare il sibaritismo). Cosi per
«uccidere una donna incinta»: «ci sono due piaceri in
uno: quello che si chiama la mucca e il vitello». La som-
ma dei piaceri fornisce un piacere supplementare, quello
stesso della somma: nell'aritmetica sadiana la somma di-
viene a sua volta un'unità che si aggiunge ai propri costi-
tuenti: «E non vedete dunque che ciò che osate fare por-
ta contemporaneamente l'impronta di due o tre delitti ... ?
- Eh! ma veramente, signora, è appunto quanto mi dite
SADE II r45
che mi farà eiaculare nel modo piu delizioso». Questo pia-
cere superiore, tutto formale, perché in fin dei conti non
è altro che un'idea matematica, è un piacere di linguaggio:
quello di dispiegare un atto criminale: «Eccomi dunque
insieme incestuoso, adultero, sodomita»: è l'omonimia
che è voluttuosa.

Strip-tease.

In Sade non c'è strip-tease. Il corpo si svela in un colpo


(salvo per qualche ragazzo a cui ~i lasciano «gradevolmen-
te cadere le brache in fondo alle cosce»). Ecco forse quale
ne è la ragione. Lo strip-tease è un racconto: sviluppa nel
tempo i termini (i «classemi») di un codice che è quello
dell'Enigma: sin dall'inizio viene promesso lo svelamento
di un segreto, poi ritardato («sospeso») e infine attuato e
schivato; come il racconto, lo strip-tease è soggetto a un
ordine logico-temporale, è una costrizione di codice a co-
stituirlo (non svelare il sesso per primo). Ora in Sade non
c'è nessun segreto del corpo da cercare, ma solo una pra-
tica da attuare; l'invenzione, l'emozione, la sorpresa, non
nascono da un segreto postulato poi violato, ma dalle ef-
florescenze di una combinatoria che si cerca all'aperto, at-
traverso un ordine che non è logico ma solo seriale: il ses-
so (o il contro-sesso) non è in Sade un centro, l'oggetto
ritardato e consacrato di una manifestazione ultima (di
un'epifania); l'avventura comincia piu oltre: quando il
corpo, immediatamente denudato, propone tutti i propri
siti da molestare o da occupare. Come racconto, lo strip-
tease ha la stessa struttura della Rivelazione, fa parte del-
l'ermeneutica occidentale. Sade, invece, è materialista in
quanto sostituisce al linguaggio del segreto quello della
pratica: ciò che pone termine alla scena non è lo svela-
mento della verità (il sesso), è il godime~to.

Il pornogramma.

Ciò che Sade produce sono dei pornogrammi. Il porno-


gramma non è solo la traccia scritta di una pratica erotica
SADE,FOURIER,LOYOLA
e neppure il prodotto di un ritaglio di questa pratica, trat-
tata come una grammatica di luoghi e di operazioni; è, per
una chimica nuova del testo, la fusione (come sotto l'ef-
fetto di una temperatura ardente) del discorso e del corpo
(«Eccomi tutta nuda, - disse Eugénie ai suoi professori:
- dissertate quanto vorrete su di me»), in maniera che,
raggiunto questo punto, la scrittura sia ciò che regola lo
scambio di Logos e di Eros, e sia possibile parlare dell'e-
rotica da grammatico e del linguaggio da pornografo.

Il linguaggio di Agostino.

Agostino è quel giovane giardiniere, di deliziosa figura,


intorno ai diciott'anni, che i libertini del Boudoir asso-
ciano come manichino al loro insegnamento e come sog-
getto ai loro piaceri.
Il suo posto sociale è marcato due volte: prima di tut-
to dallo stile contadino delle sue frasi («Urca che bella
bocca! ... Come ce l'avete fresca! ... Mi sembra di avere il
naso sulle rose del nostro giardino ... Cosi, signore, ecco
che effetto fa! »), stile che la società aristocratica fa ogget-
to di divertimento con un certo snobismo, come di un eso-
tismo rurale («Ah! delizioso! ... delizioso! ... »); in secondo
luogo, e piu seriamente, dall'esclusione di linguaggio che
gli viene imposto: nel momento in cui Dolmancé si appre-
sta a leggere ai suoi compagni l'opuscolo Francesi, ancora
uno sforzo se volete esser veri repubblicani, Agostino vie-
ne fatto uscire. «Esci, Agostino: questa non è roba per te;
ma non allontanarti; suoneremo appena dovrai ricompa-
rire». Questo significa che: 1) la morale è rovesciata: lad-
dove di solito si fa uscire il bambino perché non senta le
oscenità dell'adulto, Sade fa uscire l'oggetto di lussuria
perché non senta il discorso serio del libertino: sorta di
striscia nera sullo schermo del testo; 2) il discorso che
fonda una morale repubblicana è paradossalmente un atto
di secessione linguistica; il linguaggio popolare, in un pri-
mo tempo piacevolmente sfregato al linguaggio aristocra-
tico, è poi semplicemente escluso dalla Dissertazione, cioè
dallo scambio (fra Logos e Eros); la scena libidinosa è
SADE II I47
una mescolanza sfrenata dei corpi ma non dei linguaggi:
l'erotismo panico si ferma alla divisione dei socioletti;
Agostino rappresenta questo limite ultimo in maniera
esemplare, nella misura in cui non è una vittima (non gli
sarà fatto alcun male): è il popolare puro, che offre la fre-
schezza del suo corpo e del suo linguaggio: non è umiliato
in nulla, ma soltanto escluso.

Compiacenza della frase.

Ciò che piu sorprendeva per il medioevo nella verginità


della madre di Dio era il sovvertimento della grammatica:
che il Creatore si facesse creatura, che una vergine conce-
pisse, in fondo si riduceva (ma non era forse l'approfon-
dimento ultimo della questione?) a un'inversione delle
voci (il passivo diventando l'attivo), a un capovolgimento
delle classi semantiche: era l'accostamento delle parole
che sbalordiva, l'arresto di ogni regola grammaticale (in
hac verbi copula stupet omnis regula). Sade sa anche lui
che la perfezione di una posa perversa è indissociabile dal
modello drastico che serve a enunciarla. La simmetria re-
torica, il compendio elegante, l'equilibrio esatto, la solida-
rietà dell'attivo e del passivo, in una parola tutta l'arte del
discorso raffigura diagrammaticamente l'arte stessa della
voluttà: «Essa riceve dalle dita di questa graziosa fanciul-
la gli stessi servizi che la sua lingua mi rende»: il para-
digma, esteso mediante la figura piu elegante, il chiasmo
(ricevere ... I ... rendere), diviene la condizione del piacere,
che non può esistere senza questa totale compiacenza del-
la frase, senza questa intelligenza, mentale e complice a
un tempo, della sintassi.

Mettere ordine.

«Attesoché è affatto preferibile per il piacere che le co-


se si svolgano in una maniera ordinata ... » Non è Sade che
parla cosi; è Brahms (in un'avvertenza alle dame del Coro
di Amburgo); ma potrebbe essere Sade («Amici, - disse
SADE,FOURIER,LOYOLA
questo monaco, - mettiamo dell'ordine in questi procedi-
menti»; o ancora: «Un momento, - cliss'ella in fiamme;
-un istante, mie buone amiche, mettiamo un po' d'ordine
nei nostri piaceri, se ne può godere solo fissandoli, ecc.»).
L'ordine è necessario alla lussuria, cioè alla trasgressio-
ne; l'ordine è appunto ciò che divide la trasgressione dalla
contestazione. Ciò deriva dal fatto che la lussuria è uno
spazio di scambio: una pratica contro un piacere; gli «ec-
cessi» devono rendere; bisogna quindi sottoporli a un'e-
conomia e questa economia dev'essere pianificata. Il pia-
nificatore sacliano tuttavia non è né un tiranno, né un pro-
prietario, né un tecnocrate: non ha nessun diritto perma-
nente sul corpo dei suoi partner, non ha nessuna compe-
tenza particolare; è un maestro cli cerimonia molto transi-
torio e che non manca cli raggiungere al piu presto la scena
che ha appena programmata: non ne riceve alcuna voluttà
superiore a quella dei suoi complici; del piacere che ha
organizzato con la propria parola non tiene per sé nulla
di piu; lancia la merce-piacere, ma questa circola senza
mai appesantirsi cli un plusvalore (godimento o presti-
gio); la sua funzione è abbastanza analoga (donde l'incon-
tro con l'innocente Brahms) a quella cli un direttore d'or-
chestra che guidi i compagni dal suo leggio di violino
(suonando egli stesso), senza riceverne alcuna consacra-
zione. Chi regola il piacere è ordinariamente un soggetto
umano: ma i libertini possono benissimo decidere che in
una data occasione sarà il caso: il gioco delle posizioni si
decide con una lotteria che attribuisce a un dato numero
una data parte del corpo della vittima e ognuno estrae il
numero del suo piacere: il caso appare allora come un or-
dine disalienato; la struttura dei piaceri, necessaria al loro
procedere, non può piu essere sospettata cli dover nulla
ad alcuna Legge, ad alcun soggetto: ogni retorica, e in
fondo ogni politica, sono abolite senza che il gruppo smet-
ta cli trarre il suo piacere da questo procedimento, la cui
origine, rovesciandosi, è andata persa nello stesso gioco
che ha prodotto.
SADE II I49

Lo scambio.

Siamo convinti che il Racconto (come pratica antropo-


logica) sia fondato su qualche scambio: un racconto si dà,
si riceve, si struttura per (o contro) qualcosa, di cui è, in
certo modo, l'equivalente. Ma che cosa? Certo, è evidente
che nel Sarrasine di Balzac il racconto viene dato in cam-
bio di una notte d'amore e che nelle Mille e una notte ogni
nuova storia vale per Scheherazade un giorno di sopravvi-
venza; ma è perché in questi casi lo scambio trova una
rappresentazione nello stesso racconto: il racconto espone
il contratto di cui è la posta. È quello che succede a due
riprese in Sade. Prima di tutto è costante nella sua opera
che l'autore, i personaggi e i lettori scambino una disser-
tazione contro una scena: la filosofia è il prezzo (cioè il
senso) della lussuria (o inversamente). E poi, nelle Cen-
toventi giornate, il racconto equivale (come nelle Mille e
una notte) alla vita stessa: la prima Storica, la cui funzio-
ne, istituita dai libertini, è appunto quella di elevare la
Storia (il Racconto) quale oggetto consacrato al di sopra
dell'assemblea (parla da un trono), di esporla come una
merce di lusso, di enorme pregio (non si è organizzato
quell'insensato viaggio a Silling, di struttura cosi simile
ai viaggi iniziatici del racconto popolare, per raccogliervi
l'Erba della Vita, l'Oro della Superpotenza, il talismano,
il Tesoro di Parola?), la Duclos dunque, in cambio del
grande Racconto coprofagico (articolato in centocinquan-
ta aneddoti) da lei pronunciato suntuosamente («in un
déshabillé leggerissimo e elegantissimo, molto rosso e dia-
manti») ottiene dai Signori la promessa «che a qualunque
estremo si potesse arrivare contro le donne nel corso del
viaggio ella sarebbe stata sempre oggetto di attenzione e
con certezza ricondotta a casa a Parigi». Questo contratto
solenne, niente dice che sarà rispettato: che cosa può va-
lere la promessa di un libertino, se non proprio la voluttà
di tradire? Cosi lo scambio sfugge: il contratto che fonda
il Racconto non è posto con tanta forza se non per essere
piu sicuramente disfatto: l'avvenire del segno è il tradi-
mento in cui questo sarà preso. E questa defezione è pos-
I 50 SADE, FOURIER, LOYOLA

sibile e desiderabile solo perché si è finto di istituire so-


lennemente lo scambio, il segno, il senso.

Il dettato.
Come inventare il piacere? Ecco la tecnica che Juliette
raccomanda alla bella contessa de Donis:
I. Ascesi: privarsi d'idee libertine per quindici giorni
(all'occorrenza svagandosi con altre cose).
2. Disposizione: coricarsi sola nella calma, nel silenzio
e nell'oscurità piu profonda e abbandonarsi a una leggera
polluzione.
3. Disinibizione: tutte le immagini, tutti i traviamenti
rimossi durante il periodo di ascesi vengono liberati in
disordine, ma senza eccezione: ne viene fatta una rassegna
generale: «il mondo è vostro».
4. Scelta: fra questi quadri che sfilano, uno s'impone
e provoca il godimento.
5. Minuta: occorre allora riaccendere le candele e tra-
scrivere la scena su un taccuino (tavolette).
6. Correzione: dopo aver dormito e lasciato riposare
questa prima min~ta, si ricomincia a fantasmare l'argo-
mento buttato sulla carta, aggiungendovi tutto quello che
può ravvivare un'immagine un po' logorata dal godimento
ch'essa ha già dato.
7. Testo: formare un corpo scritto dell'immagine cosi
conservata e accresciuta. Non resta che da «commettere»
questa immagine, questo delitto, questa passione.

La scena di lussuria è quindi preceduta e formata da


una scena di scrittura. Tutto viene compiuto sotto detta-
tura del fantasma: è questo che regge la mano. La scena
reale (o pretesa tale poiché in fin dei conti non è che de-
scritta - meglio: de-scritta -da Sade) non è altro che una
poesia, il prodotto di una tecnica poetica, quale possono
averla concepita Orazio o Quintiliano. Vi si ritrovano i
principali momenti del lavoro classico: isolarsi, disporsi,
immaginare (lasciarsi visitare dalla Musa), scegliere, scri-
vere, lasciar riposare, correggere: tecnica paradossale pra-
SADE II IJI
ticata da pochissimi scrittori, tra cui però Rousseau, Sten-
dhal, Balzac e Proust. Questa dettatura del fantasma, la
ritroviamo in Ignazio di Loyola, il cui Esercizio spirituale
è contrassegnato dagli stessi protocolli (reclusione, oscu-
rità, immaginazione, ripetizione).
Il fantasma è dictator (colui che nel medioevo, per pro-
fessione, dettava le lettere e regolava l'arte del dictamen,
varietà importante del genere retorico): tutto è in questo
dettato. Il dettato descritto da Juliette inaugura una re-
versione dei testi: l'immagine sembra originare Ùn pro-
gramma, il programma un testo e il testo una pratica; ma
questa pratica è anch'essa scritta, si ritrasforma (per il let-
tore) in programma, in testo, in fantasma: non resta che
un'iscrizione dal tempo multiplo: il fantasma annuncia il
ricordo, la scrittura non è anamnesi, ma catamnesi. Ed è
veramente il senso ambiguo di ogni dettato: questo eser-
cizio stupido, preso in una ganga ideologica (poiché ha la
funzione di garantire la padronanza dell'ortografia, fatto
scolastico quanto altri mai), questo ingrato ricordo d'in-
fanzia è anche la traccia forte di un testo anteriore, ch'es-
so fa prendere, riconducendo in tal modo nella nostra vita
quotidiana frammenti di linguaggio e aprendo la realtà
all'infinito dei testi: che cos'è la« primavera», quella che
molto realmente aspettiamo con impazienza (e il piu delle
volte con delusione) verso metà aprile, formando all'occa-
sione desideri di campagna, procedendo ad acquisti di abi-
ti nuovi, se non la Primavera di Jean Aicard, che un gior-
no ci venne dettata a scuola? L'origine della primavera
non è la rivoluzione ellittica del nostro globo, è un det-
tato, cioè una falsa origine. Quando il monaco Sylvestre
obbliga Aurore e Justine a ingiuriarlo e a molestarlo men-
tre si appresta a immolare la propria figlia, fa scrivere loro
in anticipo con bestemmie e rimproveri l'assassinio che
sta per commettere: Aurore e Justine «attingono il loro
testo nel delitto che lo scellerato sta per commettere»:
Sylvestre, scrittore emerito, sa bene che il tempo della
scrittura gira (come una spirale).
x52 SADE,FOURIER,LOYOLA

La catena.

La relazione sadiana (fra due libertini) non è di recipro-


cità, ma di rivincita (Lacan): la rivincita è un semplice
turno, un movimento combinatorio: «Ora vittima d'un
istante, mio angelo bello, e ben presto persecutrice ... »
Questo slittamento (dal riconoscimento alla semplice di-
sponibilità) garantisce l'immoralità dei rapporti umani (i
libertini sono compiacenti ma anche si uccidono a vicen-
da): il legame non è duale, ma plurale; non solo le amici-
zie, se se ne dànno, sono revocabili, circolano (Juliette,
Olympe, Clairwil, la Durand), ma soprattutto ogni con-
giunzione erotica tende a sottrarsi alla formula monoga-
mica: alla coppia si sostituisce, non appena è possibile,
la catena (che le religiose di Bologna praticano sotto il no-
me di rosario). Il senso della catena è di stabilire l'infini-
tezza del linguaggio erotico (anche la frase non è forse
una catena?), di rompere lo specchio dell'enunciazione, di
fare in modo che il piacere non ritorni al punto da cui è
partito, di sperperare lo scambio dissociando i partner, di
non rendere a chi dà, di dare a chi non renderà, di depor-
tare la causa, l'origine, altrove, di far terminare da uno il
gesto cominciato dall'altro: ogni catena essendo aperta, la
sua saturazione è solo provvisoria: non vi si produce nien-
te d'interno, d'interiore.

La grammatica.

Se dico che c'è una grammatica erotica di Sade (una


pornogrammatica) - con i suoi erotemi e le sue regole di
combinazione - non significa che io abbia alcun diritto sul
testo sadiano del tipo che avrebbe un grammatico (in real-
tà, chi denuncerà l'immaginario dei nostri linguisti?) Vo-
glio solo dire che al rituale di Sade (strutturato dallo stes-
so Sade sotto il nome di scena) deve rispondere (ma non
corrispondere) un altro rituale di piacere, che è il lavoro
di lettura, la lettura al lavoro: c'è lavoro dal momento in
cui il rapporto fra i due testi non è di semplice resoconto;
SADE II I53
la verità non guida la mia mano, bensf il gioco, la verità
del gioco. Non c'è metalinguaggio, è stato detto: o piut-
tosto: non ci sono che metalinguaggi: linguaggio su lin-
guaggio, come una sfogliata senza un centro, o ancor me-
glio, dato che nessun linguaggio ha la meglio sull'altro, co-
me nel gioco di una mano sopra l'altra.

Il silenzio.
A parte le grida delle vittime, a parte le bestemmie, che
fanno parte le une e le altre dell'efficacia del rituale, un
profondo silenzio è imposto a ogni scena di lussuria. Nella
grande assemblea organizzata dalla Società degli Amici del
Delitto, «si sarebbe sentita volare una mosca». Questo si-
lenzio è quello della macchina lussuriosa, cosf ben oliata,
portata a una tale scioltezza di rendimento che non vi si
distingue altro che qualche sospiro, qualche fremito; ma
soprattutto, simile al sovrano ritegno delle grandi ascesi
(quale lo Zen), la creazione di uno spazio sonoro purifi-
cato attesta il controllo dei corpi, la padronanza delle figu-
re, l'ordine della scena; è insomma un valore eroico, ari-
stocratico, una virtu: «I seguaci riuniti di Venere non vo-
levano turbare i loro misteri con nessuna di quelle disgu-
stose vociferazioni proprie solo della pedanteria e dell'im-
becillità»: è per non somigliare agli shows dell'erotismo
piccolo-borghese che l'orgia sadiana è silenziosa.

Il fondo-pagina.

Saint-Florent, uno dei persecutori di Justine, è con ciò


stesso, di diritto, un libertino adorabile, conforme alle de-
scrizioni esaltate che Sade fa degli eroi del Male. Confi-
dandoci però in una nota che Saint-Florent è realmente
esistito a Lione, Sade, indignatissimo, aggiunge che fu un
mostro esecrabile. Parimenti, la lista dei delitti, delle or-
ge, delle ignominie dei papi serve a screditare la religione,
ma questa stessa lista, letta, per cosf dire, per il suo verso,
è quella dei grandi libertini che Sade deve ammirare. È
I54 SADE,FOURIER,LOYOLA

che le due istanze, quella del «reale» e quella del discorso,


non si ricoprono mai: nessuna dialettica le lega, le forni-
sce di un senso comune, articolato, ed è per questo che
nel caso di Saint-Florent il «reale» è enunciato a un altro
livello della pagina, in una nota che ne costituisce la dimi-
nuzione (nel caso dei papi la lista si stacca tipograficamen-
te dalla storia come un supplemento incongruo, un'appen-
dice). Il Testo è questo stesso taglio; il Testo non è irrea-
lista, non sorvola pudicamente sul referente che potrebbe
dar noia alla sua menzogna; taglia ma non sopprime; si
attua in una sfida logica, una contraddizione viva.

Il rituale.

La legge no. Il protocollo sL Lo scrittore piu libertario


vuole la cerimonia, la Festa, il Rito, il Discorso. Nella sce-
na sadiana c'è qualcuno che «comanda le risoluzioni, pre-
scrive gli spostamenti e presiede a tutto l'ordine delle or-
ge»; c'è qualcuno (ma niente piu che «qualcuno») che fa
il programma, traccia la prospettiva (organizzatore e ordi-
natore). È il contrario della triste partouze, in cui ognuno
vuol salvare la sua «libertà», immediatizzare i propri de-
sideri. Al godimento è qui imposto il rito, derivato da al-
trove, ma di nessuno. È quanto distingue, sembra, il testo
sadiano da altre trasgressioni (il viaggio della droga, per
esempio). Essendo combinatoria l'erotica sadiana non è né
sensuale, né mistica. La diffrazione del soggetto viene a
sostituirsi alla sua dissoluzione.

Nomi propri.

Robustezza francese dei nomi borghesi: Foucolet (pre-


sidente masochista della Camera dei Conti), Gareau, Ri-
bert, Vernol, Maugin (mendicanti), Latour (valletto), Ma-
rianne Lavergne, Mariette Borelly, Mariannette Laugier,
Rose Coste, Jeanne Nicou (prostitute di Marsiglia).
Rettitudine dei soprannomi: Brise-cul (ha il pene stor-
to), Bande-au-Ciel, Clairwil (il chiaro volere della liber-
SADE II 155
tina piu intrattabile si enuncia attraverso la vocale piu
acuta; il suo nome ha la stessa significatività del suo regi-
me alimentare: petti di pollo, acqua ghiacciata al limone e
al fiore d'arancio).
Bellezza dei nomi naturali: genealogia di Sade: Ber-
trande de Bagnols, Emessende de Salves, Rostain de Mo-
rières, Bernard d'Ancezune, Verdaine de Trentelivres,
Barthelémy d'Oppède, Sibille de Jarente, Diane de Si-
miane; Hugues, Raimonde, Augière, Guillaumette, Au-
drivet, Aigline. - Soldati del forte di Miolans dove fu im-
prigionato Sade: La Violence, L'Allégresse.
Attenzione estrema, amorosa, delicata e retta al signi-
ficante sovrano: il nome proprio. Sade scrive nelle sue no-
te: «Ziza, nome grazioso da usare», «Alaire, nome gra-
zioso da collocare», «Maseline, grazioso nome d'uomo da
prendere».

Il furto, la prostituzione.

Derubare il ricco, obbligare il povero a prostituirsi, so-


no operazioni ragionevoli, empiriche, banali; non possono
in nulla costituire delle trasgressioni. La trasgressione si
istituisce nel rovesciamento dei delitti; il delitto comincia
solo dalla forma e il paradosso è la forma piu pura: biso-
gna quindi derubare il povero e prostituire il ricco; Ver-
neuil consente a sodomizzare Dorothée d'Esterval solo a
condizione che questa esiga da lui molto denaro: «Siete
ricca, dicono, signora? Bene, in questo caso, bisogna che
vi paghi: se foste povera vi deruberei».

Sutura.

Fra tutti i supplizi immaginati da Sade (lista monoto-


na, poco terrificante, tanto ha, il piu delle volte, della ma-
celleria, cioè dell'astrazione), uno solo turba: quello con-
sistente nel cucire la vagina o l'ano della vittima (nel Bou-
doir, nell'orgia da Cardoville, e nelle Centoventi giorna-
te). Perché? perché a prima vista la cucitura sventa la ca-
SADE,FOURIER,LOYOLA
straziane: come cucire (che è sempre: ricucire, fabbricare,
riparare) può equivalere: mutilare, amputare, tagliare,
creare un posto vuoto?
In realtà, la stessa inversione dei sessi, o piuttosto dei
luoghi, che regola tutta l'economia sadiana, comporta un
rovesciamento della castrazione: là dove la cosa c'è, biso-
gna toglierla; ma dove la cosa non c'è, per castigare il go-
dimento che resta trionfalmente associato a questa man-
canza, non resta che punirla di essere vuota, che negare
questo vuoto, non riempiendolo ma chiudendolo, cucen-
dolo. La cucitura è una castrazione secondaria imposta al-
l'assenza di pene: in verità la castrazione piu maliziosa
poiché fa retrogradare il corpo nel limbo dei fuori-sesso.
Cucire è in fin dei conti rifare un mondo senza cuciture,
rimandare il corpo divinamente spezzettato - il cui spez-
zettamento è la fonte di tutto il piacere sadiano - nell'a-
biezione del corpo liscio, del corpo totale.

Il filo TOSSO.

La via sicura dell'orrore è la metonimia: lo strumento


è piu terribile della tortura (donde l'importanza, nell'ar-
redo sadiano, di quelle tavole basse dove aspettano gli ac-
cessori del supplizio). Per cucire la vittima si userà un
«grande ago cui è attaccato un grosso filo rosso cerato».
Piu la sineddoche si estende, piu lo strumento si trova
dettagliato nei suoi elementi minimi (il colore, la cera),
piu l'orrore cresce e s'imprime (se ci fosse stata raccontata
la grana del filo la cosa sarebbe diventata intollerabile);
essa acquista profondità da una sorta di tranquillità casa-
linga, il tenue materiale per cucire resta presente nello
strumento del supplizio.

Il desiderio di testa.

In Sade, i maschi (chiavatori, lacché, ercoli) hanno un


impiego del tutto subalterno: né vittime né libertini, non
accedono al linguaggio (se ne parla pochissimo, giusto per
SADE II I57
obbligo di classificazione) e appena al corpo (per il nu-
mero di colpi di cui sono capaci e per le pinte di sperma
che riempiono): nessuna mitologia della virilità. A fare il
valore del sesso è lo spirito. Lo spirito è al tempo stesso
un'effervescenza di testa («Vidi il suo sperma esalare dai
suoi occhi») e una garanzia di rendimento, giacché lo spi-
rito ordina, inventa, affina: «O mia cara, - le dissi, - non
è forse vero che piu spirito si ha piu si gustano le dolcezze
della voluttà?»

Sadismo.

Il sadismo non sarebbe altro che il contenuto grossola-


no (volgare) del testo sadiano.

Il principio di delicatezza.

Avendo la marchesa de Sade domandato al marchese


prigioniero di farle avere la sua biancheria sporca (cono-
scendo la marchesa: per quale altro scopo se non quello
di farla lavare?), Sade finge di vedervi un motivo tutto di-
verso, propriamente sadiano: « Incantevole creatura, vo-
lete la mia biancheria sporca, la mia biancheria usata? Lo
sapete che questo è di una delicatezza estrema? vedete co-
me sento il valore delle cose. Ascoltate, angelo mio, ho
tutto il desiderio del mondo di soddisfarvi in ciò, giacché
sapete quanto rispetti i gusti, le fantasie: per barocche che
siano le trovo tutte rispettabili, sia perché non se ne è pa-
droni, sia perché la piu singolare e la piu bizzarra di tutte,
ben analizzata, risale sempre a un principio di delica-
tezza».
Certo si può leggere Sade secondo un progetto di vio-
lenza; ma si può anche leggerlo (ed è quello che lui ci rac-
comanda) secondo un principio di delicatezza. La delica-
tezza sadiana non è un prodotto di classe, un attributo di
civiltà, uno stile di cultura. È una potenza di analisi e un
potere di godimento: analisi e godimento si uniscono a
vantaggio di un'esaltazione sconosciuta alle nostre società
SADE,FOURIER,LOYOLA

e che con ciò stesso costituisce la piu formidabile utopia.


La violenza, invece, segue un codice logorato da millenni
di storia umana; e rovesciare la violenza è parlare ancora
lo stesso codice. Il principio di delicatezza postulato da
Sade è il solo a poter costituire, dal momento in cui sa-
ranno cambiate le assise della Storia, una lingua assoluta-
mente nuova, la mutazione inaudita, chiamata a sovver-
tire (non per invertire, ma piuttosto per frammentare,
pluralizzare, polverizzare) il senso stesso del godimento.
Vite
Vita di Sade

r. Ecco la catena etimologica: Sade, Sado, Sadone, Sa-


zo, Sauza (il villaggio di Saze). Quella che si è perduta in
questa filiazione è ancora una volta la lettera cattiva. Per
approdare al nome maledetto, dalla formula splendida
(poiché ha potuto generare un nome comune), la Z che
fustiga e riga si è persa per strada, ha fatto posto alla piu
dolce delle dentali.

2. Chi oggi vive a Saint-Germain-des-Prés deve ricor-


dare che abita uno spazio sadiano degenerato. Sade è nato
in una stanza dell'hotel de Condé, cioè da qualche parte
fra la rue Monsieur-le-Prince e la rue de Condé; è stato
battezzato a Saint-Sulpice; nel r777, per ordine del re, è
all'hotel di Danimarca, rue Jacob (la stessa via dove viene
curata la pubblicazione di questo libro), che Sade viene ar-
restato; è di qui che viene condotto alla torre di Vin-
cennes.

3. Nella primavera del r779, mentre Sade è imprigio-


nato a Vincennes, gli scrivono che l'orto di La Coste è
splendido: ciliegi in fiore, meli e peri, luppolo, vigna, sen-
za parlare dei cipressi e delle querce, in pieno rigoglio. La
Coste per Sade fu un luogo multiplo, un luogo totale; pri-
ma di tutto luogo provenzale, luogo originario, luogo di
Ritorno (per tutta la prima parte della sua vita Sade, ben-
ché fuggitivo, ricercato, non lasciò di tornarvi, a dispetto
di ogni prudenza); e poi: spazio autarchico, piccola socie-
tà completa di cui era il padrone, fonte unica dei suoi red-
diti, luogo di studio (c'era la sua biblioteca), luogo di tea-
tro (vi si davano commedie) e luogo di dissolutezza (Sade
ci si faceva portare dei domestici, delle contadinelle, del-
SADE,FOURIER,LOYOLA
le giovani segretarie, per certe sedute da cui la marchesa
non fu assente). Se quindi Sade tornava senza sosta a La
Coste, alla fine dei lunghi giri agitati, non è per il bel mo-
vimento di purificazione campestre che spinge il gangster
di Asphalt ]ungle ad andare a morire allo steccato della
fattoria natale; era, come sempre, secondo un senso plu-
rale, surdeterminato e probabilmente contraddittorio.

4. La domenica di Pasqua del 1768, alle nove di mat-


tina, piace des Victoires, abbordando la mendicante Rose
Keller (che poche ore piu tardi fustigherà nella sua casa di
Arcueil), il giovane Sade (ha ventotto anni) è vestito di
una redingote grigia, porta una canna, un coltello da cac-
cia - e un manicotto bianco. (Cosi, in tempi in cui la foto-
grafia d'identità non esiste, è paradossalmente il rapporto
di polizia, che deve descrivere la tenuta dell'indiziato, a
liberare il significante: come questo delizioso manicotto
bianco, oggetto messo senza dubbio per soddisfare al prin-
cipio di delicatezza che sembra avere sempre presieduto
all'attività sadica del marchese - ma non necessariamente
a quella dei sadici).

5. Sade ama i costumi teatrali (queste forme che fanno


il ruolo); ne mette anche nella vita. Per frustare Rose Kel-
ler si traveste da fustigatore (gilet senza maniche sul torso
nudo; fazzoletto intorno alla testa, come quello che por-
tano i giovani cuochi giappoP.esi per tagliare agilmente a
pezzi le anguille vive); piu tardi, prescrive alla moglie l'a-
bito a lutto ch'ella deve portare per rendere visita a un
marito prigioniero e infelice: veste da camera di un colore
quanto mai severo, seno coperto, «una cuffia grande, mol-
to grande, senza nessuna sorta di acconciatura sotto se non
i capelli pettinati uniformemente, raccolti e senza trecce».

6. Sadismo casalingo: a Marsiglia, Sade vuole che Ma-


rianne Lavergne lo fustighi con uno staflile di cartapecora
munito di spilli ricurvi da lui estratto dalla tasca. Mancan-
do il cuore alla ragazza, davanti a un oggetto cosi esclusi-
vamente funzionale (pari a uno strumento chirurgico),
Sade fa comprare dalla domestica una scopa di saggina;
VITA DI SADE

questo utensile è piu familiare a Marianne; essa non esita


a colpire Sade sul didietro.

7. La presidentessa de Montreuil fu oggettivamente


responsabile delle persecuzioni di cui fu oggetto suo ge-
nero durante la prima parte della propria vita (forse l'a-
mava? Qualcuno una volta disse alla marchesa che la pre-
sidentessa« amava M. de Sade alla follia»). Tuttavia, l'im-
pressione che resta di questo personaggio, è quella di una
continua paura: paura dello scandalo, della «grana». Sade
appare come una vittima trionfante, ingombrante; pari a
un enfant terrible non smette di «punzecchiare» (il gusto
della punzecchiatura è una passione sadica) i suoi genitori
rispettabili e conformisti; dovunque passa, provoca il pa-
nico dei guardiani dell'ordine: tutti i responsabili della
sua reclusione nel forte di Miolans (re di Sardegna, mini-
stro, ambasciatore, governatore) sono ossessionati dalla
sua possibile evasione - che perciò non manca di prodursi.
La coppia che forma coi suoi persecutori è estetica: è lo
spettacolo malizioso di un animale vivace, elegante, perse-
guitato e al tempo stesso inventivo, mobile e tenace, che
evade incessantemente e incessantemente ritorna nello
stesso punto del suo spazio, mentre grandi manichini ri-
gidi, paurosi, pomposi, tentano semplicemente di conte-
nerlo (non di punirlo: questo verrà solo piu tardi).

8. Basta leggere la biografia del marchese dopo aver


letto la sua opera per essere persuasi che è un po' della
sua opera ch'egli ha messo nella sua vita - e non viceversa,
come voleva farci credere la cosiddetta scienza letteraria.
Gli «scandali» della vita di Sade non sono i «modelli»
delle situazioni analoghe che si trovano nei suoi romanzi.
Le scene reali e le scene fantasmate non sono in un rap-
porto di filiazione; non sono tutte che duplicazioni paral-
lele, piu o meno forti (piu forti nell'opera che nella vita),
di una scena assente, infigurata, ma non inarticolata, il cui
luogo d'infìgurazione e articolazione non può essere che
la scrittura: l'opera e la vita di Sade attraversano di pa-
rità questa regione di scrittura.
SADE,FOURIER,LOYOLA

9. Tornando dall'Italia in Francia Sade si fa spedire da


Napoli a La Coste due grandi casse; la seconda, che pesa
sei quintali, viaggia sulla tartana dell'Aimable Marie; con-
tiene « marmi, pietre preziose, un vaso o anfora per la con-
servazione dei vini greci impregnati di radice di corallo,
lampade antiche, vasi lacrimali, il tutto alla maniera dei
greci e dei romani, medaglie, idoli, pietre grezze e pietre
lavorate del Vesuvio, una bella urna sepolcrale intera, vasi
etruschi, medaglie, un pezzo scolpito di serpentina, un
pezzo di nitro della solfatara, sette spugne, una collezione
di conchiglie, un piccolo ermafrodito e un vaso di fiori, ...
un piatto di marmo, decorato di ogni sorta di frutti singo-
larmente ben imitati, due cassettiere di marmo del Vesu-
vio, un "bouquerini" o tazza dei Saraceni, un coltello alla
napoletana, vecchi abiti, stampe, ... le Preuves de la Reli-
gion, un trattato sull'esistenza di Dio, ... la Dzme refusée,
un almanacco degli spettacoli, la Saxe galante, un alma-
nacco militare, lettere di Pompadour, ... un dizionario del-
le rime» (citato da Lély, I, p. 568). Questa sballatura è
degna in tutto e per tutto di Bouvard et Pécuchet: baste-
rebbe qualche ellissi, qualche asindeto per leggervi un bra-
no di bravura di Flaubert. Ma non è il marchese che ha
scritto questo inventario; è però lui che ha fatto questa
collezione, la cui cultura eteroclita si risolve in derisione
nei confronti della cultura stessa. Prova duplice: dell'e-
nergia di barocco di cui Sade era capace e dell'energia di
scrittura da lui messa nei suoi stessi atti.

IO. Sade ebbe vari giovani segretari (Reillanne, il pic-


colo Malatié o Lamalatié, Rolland, Lefèvre, di cui fu ge-
loso e di cui sfondò il ritratto a colpi di temperino), essi
fanno parte del gioco sadiano in quanto sono al tempo
stesso esecutori di scrittura e esecutori di orgia.

I I. La serie delle detenzioni di Sade è cominciata nel


r763 (aveva ventitre anni) ed è terminata alla sua morte
nel r8r4. Questa detenzione quasi ininterrotta copre tut-
ta la fine dell'ancien régime, la crisi rivoluzionaria e l'Im-
pero, in breve abbraccia l'enorme mutamento compiuto
VITA DI SADE

dalla Francia moderna. Di qui è facile accusare, al di là


dei regimi diversissimi che hanno imprigionato il marche-
se, un'entità superiore, un'essenza inalterabile di repres-
sione (governo o Stato), che in Sade si sarebbe imbattuta
in un'essenza simmetrica d'Immoralismo e di Sovversio-
ne: Sade sarebbe l'eroe esemplare di un eterno conflitto:
meno ciechi (ma non erano forse anche loro dei borghe-
si?), Michelet e Hugo avrebbero potuto benissimo cele-
brare in lui il destino di un martire della Libertà. Contro
questa facile immagine è opportuno ricordare che le de-
tenzioni di Sade furono storiche, che ricevettero il loro
senso dalla Storia che si faceva, e dato che questa Storia
fu appunto quella di un mutamento di società, ci furono,
nella reclusione di Sade, almeno due determinazioni suc-
cessive e diverse, e, per parlare genericamente, due pri-
gioni. La prima (Vincennes, la Bastiglia, fino alla libera-
zione di Sade da parte della Rivoluzione nascente) non fu
un fatto di giustizia. Benché Sade fosse stato giudicato e
condannato a morte dal parlamento di Aix per sodomia
(affare di Marsiglia), se fu arrestato nel r777 in rue Ja-
cob, dopo anni di fuga e di ritorni piu o meno clandestini
a La Coste, fu sotto l'effetto di una lettre de cachet (emes-
sa dal re dietro istigazione della presidentessa di Mon-
treuil); tolta l'accusa di sodomia, e annullata la sentenza,
ritornò tuttavia in prigione, giacché la lettre de cachet, in-
dipendente dal decreto di annullamento, restava valida; e
se fu liberato è perché le lettres de cachet furono abolite
nel r790 dalla Costituente; è quindi facile capire che la
prima prigione di Sade non ebbe alcun significato penale
e per dir tutto morale; essa mirava essenzialmente apre-
servare l'onore della famiglia Sade-Montreuil dalle strava-
ganze del marchese; in Sade si discriminava un individuo
libertino, che si cercava di «contenere», e un'essenza fa-
miliare, che si cercava di salvare; il contesto di questa pri-
ma reclusione è feudale: è la razza a comandare, non sono
i costumi; il re, dispensatore delle lettere in questione,
non è altro, qui, che il raccordo della gens. -Tutt'altra la
seconda prigione di Sade (dal r8or alla sua morte: a
Sainte-Pélagie, Bicetre e Charenton); la Famiglia è scom-
parsa, è lo Stato borghese che regna, è questo (e non piu
x66 SADE, FOURIER,LOYOLA
una suocera prudente) che fa rinchiudere Sade (senza mag-
gior giudizio, del resto, che la prima volta) per aver scritto
libri infami. Si stabilisce una confusione (nella quale an-
cora viviamo) fra il morale e il politico. Era cominciata
dal tempo del Tribunale rivoluzionario (di cui è nota la
sanzione sempre fatale), che contava nel novero dei nemi-
ci del popolo « gli individui che cercano di depravare i co-
stumi»; è continuata col discorso giacobino («Si fa van-
to, - dicono di Sade arrestato come indiziato i suoi bravi
compagni della sezione des Piques, - di essere stato rin-
chiuso nella Bastiglia sotto l'ancien régime per far valere
il suo patriottismo, mentre avrebbe necessariamente su-
bito un'altra punizione esemplare se non fosse stato della
casta nobiliare»; in altre parole, l'uguaglianza borghese
già faceva di lui, retroattivamente, un criminale immora-
le); poi dal discorso repubblicano («Justine, - disse nel
x799 un giornalista, - è un'opera non meno pericolosa del
giornale monarchico intitolato "Le Nécessaire", perché se
il coraggio fonda le repubbliche, i retti costumi le conser-
vano; la loro rovina trascina sempre quella degli impe-
ri»); e infine, al dilà della morte di Sade, dal discorso bor-
ghese (Royer-Collard, Jules Janin, ecc.). La seconda pri-
gione di Sade (in cui si trova ancora, poiché i suoi libri
non si vendono liberamente) non è piu il fatto di una fa-
miglia che si difende, ma di un apparato statale nella sua
interezza (giustizia, insegnamento, stampa, critica) che, la
Chiesa essendo inadempiente, censura i costumi e regola
la produzione letteraria. La prima detenzione di Sade fu
segregativa (cinica); la seconda fu (è ancora) penale, mo-
rale; la prima proveniva da una pratica, la seconda da una
ideologia; prova ne è che, per rinchiudere Sade, occorse
per la seconda volta mobilitare una filosofia del soggetto,
interamente fondata sulla norma e la devianza: per aver
scritto dei libri, Sade fu rinchiuso come pazzo.

I 2. In certe lettere che riceve o scrive a Vincennes o


alla Bastiglia, Sade vede o mette enunciati di cifre da lui
chiamati segnali. Questi segnali gli servono a immaginare
o anche a leggere (se suppone che messi li intenzionalmen-
te dal suo corrispondente siano sfuggiti alla censura) il
VITA DI SADE

numero dei giorni che lo separano dalla visita della mo-


glie, da un'autorizzazione di passeggiata o dalla sua libe-
razione; questi segnali sono piuttosto malefici («Il siste-
ma cifrale s'impiega contro di me ... ») La mania della cifra
si legge a piu livelli; in primo luogo quello della fortifica-
zione nevrotica: nella sua opera romanzesca Sade non la-
scia di computare: le classi di soggetti, gli orgasmi, le vit-
time; e soprattutto, come Ignazio di Loyola, in un ritor-
no propriamente ossessivo, computa le proprie dimen-
ticanze, i propri errori di numerazione; e poi la cifra, dal
momento che disturba una razionalità (diciamo meglio che
è fatta su misura per disturbarla) ha il potere di determi-
nare una scossa surrealista: « Il I 8, alle nove, l'orologio
suona ventisei colpi», nota Sade nel suo diario; infine la
cifra è la trionfante via d'accesso al significante (qui sotto
le specie del gioco di parole): «L'altro giorno, poiché vi
occorreva un 24 [frane. vingt-quatre], uno scassinatore in-
viato per contraffare Monsieur Le Noir [un luogotenente
di polizia], e perché io scrivessi a Monsieur Le Noir, ven-
ne il 4 [frane. vint le quatre]; ed ecco il 24 ». Il cifrale
è l'inizio della scrittura, la sua messa in posizione libera-
toria: legame, sembra, censurato nella storia dell'ideogra-
fia, stando agli studi attuali di J.-L. Schefer sui geroglifici
e i cuneiformi: la teoria fonologica del linguaggio (Jak.ob-
son) allontana indebitamente il linguista dalla scrittura;
il calcolo ve lo ricondurrebbe.

r3. Sade aveva una fobia: il mare. Che cosa si darà


a leggere ai bambini delle scuole: i versi di Baudelaire
(«Homme libre, toujours tu chériras la mer ... ») o la con-
fidenza di Sade («Ho sempre temuto e detestato prodi-
giosamente il mare ... »)?

r4. Uno dei principali persecutori di Sade, il luogote-


nente di polizia Sartine, soffriva di un'affezione psico-pa-
tologica che in una società giusta (che pareggia i colpi) lo
avrebbe fatto rinchiudere allo stesso titolo della sua vit-
tima: era un feticista della parrucca: «la sua biblioteca
racchiudeva ogni sorta di parrucche, e di tutte le dimen-
sioni; le indossava secondo l'occorrenza»; fra le altre c'e-
168 SADE,FOURIER,LOYOLA
ra la parrucca delle avventure galanti (con cinque riccio-
letti sciolti) e la parrucca per interrogare i criminali, sorta
di acconciatura a serpenti, che era chiamata l'inesorabile
(Lély, Il, 90). Quando si conosce il valore fallico della
treccia, s'immagina quanta voglia debba aver avuto Sade
di tagliare i posticci del poliziotto aborrito.

15. Nel gioco sociale del suo tempo, di una complica-


zione duplice poiché, cosa rara nel corso della storia, fu
insieme diac:.ronico e sincronico, mettendo in scena il qua-
dro (apparentemente immobile) delle classi sotto l'ancien
régime e il cambiamento di queste classi (ad opera della
Rivoluzione), Sade è di una mobilità estrema: è un vero
joker _sociale, atto ad occupare qualunque casella del siste-
ma delle classi; signore trionfante a La Coste, dall'altra
parte si fa soppiantare da un borghese presso la signorina
Colet - un tesoriere dei proventi casuali, che offre all'at-
trice un magnifico sultano (mobile da toilette)-; membro
piu tardi della sezione des Piques, assume la figura social-
mente neutra dell'uomo di lettere, dell'autore dramma-
tico; radiato dalla lista degli emigrati e al tempo stesso, a
seguito di una confusione di nomi, continuando a figurar-
vi, secondo i diversi momenti della Storia egli può giocare
(o almeno la sua famiglia al suo posto) su questo mulinel-
lo di appartenenze sociali. Onora la nozione sociologica di
mobilità sociale, ma in un senso ludico: è mobile, lungo
la scala delle classi, come un ludione; è un rifl,esso, ma al-
leggerendo anche qui la portata socio-economica del ter-
mine, fa di questo riflesso, non un'imitazione o il prodot-
to di una determinazione, ma il gioco disinvolto di uno
specchio. In questo carosello di ruoli, una sola fissità:
quella delle maniere, del genere di vita, che furono conti-
nuatamente aristocratici.

16. A Sade piacevano molto i cani, spaniel a pelo lun-


go e da punta; ne ebbe a Miolans, ne fece richiesta a Vin-
cennes. Per quale legge morale (o peggio: virile) la sov-
versione piu grande escluderebbe la minuta affettività,
quella verso gli animali?
VITA DI SADE

x7. Nel x783, a Vincennes, l'amministrazione peniten-


ziaria rifiutò di lasciar passare al prigioniero le Confes-
sioni di Rousseau. Sade commenta: «Mi fanno molto ono-
re, a credere che un autore deista possa essere una cattiva
lettura per me; vorrei essere ancora a quel punto ... Sap-
piate che è il punto a cui si è che rende buona o cattiva
una cosa, e non la cosa in sé ... Basatevi su questo princi-
pio, signori, e abbiate il buon senso di capire, mandando-
mi il libro che vi chiedo, che Rousseau può essere un au-
tore pericoloso per ottusi bigotti della vostra specie, e di-
venta un libro eccellente per me. Jean-Jacques è dal mio
punto di vista quello che per voi è un'Imitazione di Cri-
sto ... » La censura è detestabile a due livelli: perché è re-
pressiva, perché è stupida; in maniera che si ha sempre
voglia, contraddittoriamente, di combatterla e di farle la
lezione.

18. Sade, trasferito bruscamente da Vincennes alla Ba-


stiglia, fa tutta una storia perché non gli hanno lasciato
portare il suo grosso cuscino, senza il quale non può dor-
mire, giacché ha bisogno di stare a letto con la testa straor-
dinariamente alta: «Ah! che barbari!»

19. La passione del marchese de Sade, per tutta la sua


vita, non fu affatto l'erotica (l'erotica è ben altro che una
passione); fu il teatro: legami di gioventu con varie dami-
gelle dell'Opéra, ingaggio dell'attore Bourdais perché re-
citi per sei mesi a La Coste; e nella bufera una sola idea:
far rappresentare le proprie pièces; appena uscito di pri-
gione {x790), indirizzi ripetuti agli Attori francesi; e in-
fine, è noto, teatro a Charenton.

20. Pluralità di cui Sade è ben consapevole, poiché ne


sorride: nel x793;-il cittadino Sade è proposto come giu-
rato d'accusa in un crimine di diritto comune (faccenda
di assegnati falsi): è il doppio registro del testo sadiano (di
cui fa parte la vita di Sade): l'apologista e il giudice del
delitto sono uniti nello stesso soggetto, come l'anagram-
ma saussuriano è iscritto nel verso vedico (ma che cosa
SADE,FOURIER,LOYOLA
resta di un soggetto che si sottopone con allegrezza alla
doppia iscrizione?)

2r. La philosophie dans le couloir: rinchiuso a Sainte-


Pélagie (ha sessantatre anni), Sade, dicono, usò «tutti i
mezzi che gli suggeri la sua immaginazione ... per sedurre
e corrompere i giovani (appagare la sua lubricità su giova-
ni sventati) che circostanze sfortunate facevano rinchiu-
dere a Sainte-Pélagie e che il caso faceva mettere nel suo
stesso corridoio».

22. Ogni detenzione è un sistema; s'instaura quindi


una lotta accanita all'interno di questo sistema non per
liberarsene (questo sfuggiva al potere di Sade) ma per
scalfirne le restrizioni. Prigioniero un venticinque anni
della propria vita, Sade all'interno della prigione ebbe due
fissazioni: la passeggiata e la scrittura, che governatori e
ministri non smisero di concedergli e di ritirargli come un
dentaruolo a un bambino. Il bisogno e il desiderio di pas-
seggiata si capiscono da soli (ancorché Sade ne abbia sem-
pre associato la privazione a un tema simbolico, quello
dell'obesità). La repressione della scrittura vale certamen-
te, è chiaro a tutti, come censura del libro; ma quello che
qui c'è di lacerante è che la scrittura è repressa nella sua
materialità; a Sade viene vietato «ogni uso di matita, d'in-
chiostro, di penna e di carta». Ciò che qui è censurato è la
mano, il muscolo, il sangue, il dito che punta la parola al
di sopra della penna. La castrazione è circoscritta, lo sper-
ma scritturale non può piu colare: la detenzione diventa
ritenzione; senza passeggiata e senza penna Sade s'intasa,
diventa eunuco.
Vita di Fourier

1. Fourier: un sergente di negozio («È un sergente di


negozio destinato a confondere le biblioteche politiche e
morali, frutto vergognoso delle ciarlatanerie antiche e mo-
derne»). I suoi genitori tenevano a Besançon un commer-
cio di stoffe e aromi: il commercio, esecrato, l'aroma, adu-
lato nella forma del «corpo sottile», l'aromal, che (fra l'al-
tro) profumerà i mari; c'è, sembra, alla corte del re del
Marocco un direttore delle Essenze reali: a parte la mo-
narchia, e il direttore, questo appellativo avrebbe incan-
tato Fourier.
2. Fourier è stato contemporaneo dei due piu grandi
avvenimenti della Storia moderna: la Rivoluzione e l'Im-
pero. Tuttavia, nell'opera di questo filosofo sociale, nes-
suna traccia di questi due sismi; Napoleone è solo colui
che si è voluto impadronire del trasporto interno, detto
roulage (circolazione), che è una Transizione materiale (la
Transizione politica è il courtage [senseria]).

3. Abbagliamento di Fourier: la Città e i suoi giardini,


i piaceri del Palais-Royal. Un sogno di brillantezza-passa
nella sua opera: la brillantezza sensuale, quella del cibo
e dell'amore: quel brillante che si trova già, per un gioco
di parole, nel nome di suo cognato, in compagnia del qua-
le egli viaggiò e scopri certamente i mirlitons parigini (pa-
sticcini alle erbe aromatiche): Brillat-Savarin.

4. Fourier detesta le vecchie città: Rouen.

5. A Lione, Fourier apprese il commercio; fu rovinato


dal naufragio di un battello a Livorno (il commercio ma-
172 SADE,FOURIER, LOYOLA
rittimo in Armonia: carichi di renette e di limoni, scambio
di grano e di zucchero).

6. Fourier sopravvisse al Terrore solo «a prezzo di rei-


terate menzogne»; d'altra parte incensò Napoleone «per
conformarsi agli usi e costumi del x808, che esigevano da
ogni opera una buffata d'incenso per l'Imperatore».

7. Inter-testo: Claude de Saint-Martin, Sénancour,


Restif de la Bretonne, Diderot, Rousseau, Kepler, New-
ton.

8. Fourier visse di scarti: rovinato, ebbe impieghi su-


balterni, intersecati da espedienti; scrittore, visse a sbafo,
facendosi ospitare a lungo da parenti e amici, nel Bugey
e nel Giura.

9. Le sue conoscenze: scienze matematiche e speri-


mentali, musica, geografia, astronomia.

10. La sua vecchiaia: si circonda di gatti e di fiori.

I I. La sua portinaia lo trovò morto, in redingote, in


ginocchio in mezzo ai vasi di fiori.

12. Fourier aveva letto Sade.


Nota all'edizione italiana
In questo Sade, Fourier, Loyola, che pur precedendo, in
parte, non solo Il piacere del testo (r973), ma anche S/Z
(r970), si lega piu a questi testi che ai precedenti', l'atteggia-
mento del Barthes semiologo può sembrare definitivamente
capovolto: dove era richiesta la rigorosa preparazione è privi-
legiata l'improvvisazione, dove era in gioco lo svelamento è in
opera una «dispersione» (dr. pp. XII, xv sgg.), alla sottile e
sensibile elaborazione di una funzione del critico è succeduta
la «perversa» mancanza di funzione (Il piacere del testo,
p. r7).
Tutto questo, evidentemente, chiede e respinge una deluci-
dazione. È infatti inerente alla teoria che lega questi testi di
essere implicita proprio nei punti che vorrei almeno sottoli-
neare, come le è inerente il rifiuto dell'analisi - intesa nel sen-
so di approfondimento, di riflessione - del discorso morale,
dell'uso ideologico di un testo (p. xm).
Prima di tutto nei libri citati le proposizioni accennate piu
sopra (dispersione, rifiuto del discorso morale, ecc.), sono tut-
te introdotte antinomicamente. Un'alternativa sostanziale vie-
ne espressa in una serie infinita di alternative equivalenti;
ognuna potrebbe essere metafora di un'altra: per es., leggi-
bile/scrivibile, struttura/pluralità (S/Z); passato (futuro)/
presente, piacere/godimento - o anche, è vero, ma con sfuma-
ture speciali, desiderio/piacere - (Il piacere del testo); poli-
tico/ domestico, bisogno/ desiderio, analisi/ godimento, ragio-
ne/corpo (Sade, Fourier, Loyola). E come Barthes scrive a
proposito di politico/domestico (pp. 76-77), non si tratta di
termini complementari ma supplementari: uno è il di piu del-
l'altro. Tutte assegnabili alla seconda posizione, dopo la barra

1 Nella «nota» alla riedizione italiana dei Saggi critici, lo stesso Bar-
thes indica come data da cui sembra irradiarsi un prima e un dopo per la
semiologia francese il 1966, anno dell'uscita dei « Cahiers pour l'analyse »,
subito prima dei libri di Derrida, dell'azione di « Te! Quel», del lavoro di
Julia Kristeva.
SADE,FOURIER,LOYOLA
oppositiva, .quelle proposizioni sono elementi di un'inconci-
liabilità, termini di una scelta. Ora, quello che non deve sfug-
gire è che questa scelta non è che un'impaziente, anticipatrice
negligenza delle pressioni e urgenze della storia, che si con-
verte ugualmente in risposta, sia pure, come ho detto, essen-
zialmente implicita.
Per esempio, nella lettura del Sarrasine di Balzac (in S/Z),
piu precisamente nella definizione del suo campo simbolico,
alla divisione biologica dei sessi veniva sovrapposta, con una
ridistribuzione radicale, la divisione dei ruoli rispetto all'Au-
torità originale; qui, alla divisione delle pratiche sessuali, in
Sade, è sovrapposta la divisione di despota e vittima (preroga-
tiva unica del libertino - oltre all'eventuale imposizione del
supplizio - l'uso «in proprio» della parola). Come il sesso nei
rapporti familiari, privati, elettivi, in un caso, cosi la pratica
sessuale nei rapporti erotici, nell'altro, non suggerisce a colpo
sicuro né l'esistenza né la distribuzione dei ruoli di potere.
Non viene lasciato alcun dubbio sull'identità di tali ruoli, solo
non c'è perorazione, o razionalizzazione, ma qualcosa di total-
mente incompatibile: un concedersi di essere diversi, un porsi
nel campo del desiderio - Sade letto secondo il « principio di
delicatezza» (p. 1_57), che corrisponde per molti aspetti a un
Balzac letto secondo il motivo di perseguimento innocente del
piacere, al riparo dall'irradiamento del potere istitutivo, fasci-
noso, fondante (dr. in particolare S/Z, p. 38). I piu fantasiosi
eudemonisti (utopisti), l'ugualitarismo sessuale di Sade, la ma-
teria «domestica» di Fourier, appaiono come isolati anticipi
teorici, nella nostra cultura, di tale diversità, e in questo qua-
dro Loyola non è che dalla parte della pratica: passione di
una pratica, o pratica di una passione, ma non si dica che l'ac-
costamento è polemico (p. XI). Il termine schivato in questo
processo - cioè riconoscimento del «sadismo» e suo accanto-
namento - è quello del bisogno (del politico).
Lo stesso sul piano dello scrivere. Il testo è identificato
in un «fare», il fare (e il leggere) in godimento-piacere - an-
che se resta affermata la pervasività del «libro» (si tratti di
«Proust, il giornale quotidiano o lo schermo televisivo», Il
piacere del testo, p. 36), del senso, da conchiudere una vita.
Questa affermazione è infatti ancora valida, i termini del no-
stro vivere sono costruiti, quindi suscettibili di spiegazione, di
analisi, solo che sono queste a non valere piu: «non c'è oggi
un luogo di linguaggio che sia esterno all'ideologia borghese»
(p. XVI); «Leggendo dei testi e non delle opere, esercitando su
di essi un modo di vedere che non va a cercarne il segreto, il
NOTA ALL'EDIZIONE ITALIANA 177
"contenuto", la filosofia, ma solo la felicità di scrittura, posso
sperare di strappare Sade, Fourier e Loyola alle loro cauzioni
(la religione, l'utopia, il sadismo)» (p. xv). Appare evidente
che in Barthes la negazione di un progetto, di un principio,
non riporta indietro rispetto alla sua precedente affermazione,
come quando è sostenuto il carattere «asociale» del godimen-
to senza che ne consegua la «ricaduta verso il soggetto, la per-
sona, la solitudine» (Il piacere del testo, p. 38).
t semplicemente dato adito al «presente» - una sorta di
immanenza definibile negativamente rispetto alla cultura, «che
è tutto in noi fuorché il nostro presente» (Il piacere del testo,
p. 2 r ). E dentro questo presente vengono riconsiderati i gusti
individuali, le inclinazioni personali su cui Barthes può insi-
stere attraverso Fourier, le pratiche marginali relegate dai so-
ciologi dalla parte degli «sconfitti»: «l'opera in fondo sareb-
be sempre scritta da un gruppo socialmente deluso o impo-
tente ... Tali analisi dimenticano ... il formidabile rovescio della
scrittura: il godimento» (Il piacere del testo, p. 38). In altri
termini ci viene offerta una misura nuova, non riduttiva come
sarebbe qualunque misura nota che pur si proponesse la ria-
bilitazione di quegli sconfitti: in gioco non è una valutazione
ma una liberazione.
Il discorso di Barthes «ignora» le antinomie, pur ponendo-
le nella loro irriducibilità; crea e preserva lo spazio dei secon-
di termini di ogni coppia: testo scrivibile, pluralità, presente ...
ed è inaudito.
LIDIA LONZI
Nuovo Politecnico
Pubblicazione quindicinale, 26 marzo I977
Direttore responsabile: Giulio Bollati di Saint Pierre
Registrazione presso il Tribunale di Torino, n. 2337, del 30 aprile I973
Stampato per conto della Giulio Einaudi editore s. p. a.
presso le Industrie Grafiche G. Zeppegno & C. s. a. s., Torino
Seconda edizione: ottobre 1977

C.L. 478,-2
Nuovo Politecnico

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2. Robert Havemann, Dialettica senza dogma
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Linguistica e scienza delle significazioni
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9. Hai Draper, La rivolta di Berkeley
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