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INTRODUZIONE
ALL’ATEISMO MODERNO
Seconda edizione
riveduta e aumentata
V O LU M E i
L ’A u t o r e
U N IVERSALITÀ E P O SIT IV IT À
D ELL'A TEISM O CONTEMPORANEO
1 Da un punto di vista più spirituale può essere anzi che l’ateismo rappre
senti una protesta contro le inadeguate concezioni di Dio e della religione: così
l’ateismo diventa l’istanza per una più schietta fondazione del problema di Dio
ed una più operante testimonianza della sua presenza nel mondo della libertà.
In questo senso, ch’è un senso capovolto, si può accettare l’osservazione: « ... The
paradoxical statement that the real proof of God is the agonized attempt to deny
God. It is often been remarked that atheism is but a kind of negative theology.
The atheist may feel the inadequacy of all human concepts of God compared
with that which God would really be, the author of all things, even of the
atheist» (E. Frank, Philosophical Understanding and Religious Truth, Oxford
U. P. 1945, p. 43 s.).
UNIVERSALITÀ E POSITIVITÀ DELL'ATEISMO CONTEMPORANEO 15
per i popoli come per i singoli. Infatti mai come ai nostri tempi si
può dire, senza timore di eccedere, che masse sconfinate sono dominate
da governi e partiti che si proclamano atei e areligiosi. La situazione
cioè si è capovolta: mentre in passato l ’ateismo era ristretto ad una
élite , era cioè un fenomeno a carattere strettamente individuale e di
associazioni ristrette, oggi, invece si dovrebbe dire che l ’ateismo è e
diventa sempre più un fenomeno e un atteggiamento di massa. Consta
tazione davvero sconfortante e irreparabile qualora si potesse garantire
che le masse sono solidali con le ideologie dei loro capi, o piuttosto
se esse non debbano rassegnarsi, per l’impossibilità pratica di uscire
dallo statuto di violenza politica (e non di rado anche di violenza fisica
e sociale) a cui sono costrette, fino a subire la restrizione e la privazione
completa del diritto di manifestare le proprie convinzioni.
L ’ateismo del nostro tem po2 deriva da vari filoni culturali e si
può presentare in varie forme che hanno in comune affinità di metodi
più che di ideologie.
C’è Yateismo di derivazione materialistica, secondo la struttura
più nota, nel quale la mancanza di Dio è motivata dall’impossibilità
per l ’uomo di trascendere l ’orizzonte dell’esperienza sensoriale: for
mula assai vaga ch’è semplice agnosticismo se si arresta all’affermazione
di questa impossibilità, ma diventa ateismo appena afferma che l ’uomo
non può avere altro orizzonte di vita che quello del mondo sensibile.
È l ’ateismo di chi è senza D io , di chi non riesce a istituire nessun
rapporto con Dio, perché Dio non c’è.
C’è Yateismo di derivazione illuministica cioè razionalistica, il quale
afferma ch’è unicamente alla ragione umana che dobbiamo chiedere il
perché delle cose, della conoscenza della natura e della storia: è
l ’atteggiamento del cosiddetto libero pensiero e del laicismo nella sua
forma più estrema, applicato alla vita sociale e individuale. I crescenti
risultati della scienza, che hanno capovolto la figura del mondo e che
ora quasi la stanno mettendo in pericolo, hanno fornito un grandioso
pretesto a tutto l’ateismo moderno che ancor oggi non ha perso il
suo fascino presso chi è più insofferente a sopportare la prospettiva
metafisica.
* C’è infine Yateismo più moderno di derivazione immanentistica,
fenomenologica, marxistica, esistenzialistica..., il quale, partendo dal
principio della coscienza, sta fermo alla realtà della natura umana
nella sua effettività immediata, sociale o individuale: in questa pro
spettiva vanno ricordate le forme oggi più vistose di ateismo quali
sono il neopositivismo, il marxismo in tutte le sue forme e l’esisten
zialismo negativo.
L ’ateismo contemporaneo presenta alcune caratteristiche che lo
differenziano dalle precedenti forme che hanno accompagnato, nella
storia delPuomo, la credenza in Dio; tali caratteristiche si possono rac
cogliere nei due attributi di universalità e positività.
a) Universalità - Mentre in passato, fino all’avvento del marxismo,
l’ateismo si limitava a posizioni di setta fra filosofi, libertini, adepti di
società segrete..., oggi esso investe le masse che il principio democratico
ha portato in primo piano: le masse dei lavoratori dell’Occidente e le
masse dei popoli ex-coloniali e sottosviluppati dell’Asia e dell’Africa,
che vengono riportati all’indipendenza, ai quali la propaganda sovietica
propina il principio che la religione e il cristianesimo furono e sono
gli alleati principali dei capitalisti e dei dominatori colonialisti.
b) Positività - Mentre le precedenti forme di ateismo erano in
prevalenza di natura teoretica e agivano nell’ombra, ora l’ateismo opera
e si organizza alla luce del sole col_. proposito esplicito di eliminare il
cristianesimo come l’unico baluardo di resistenza: esso afferma che
l’uomo prenderà possesso del proprio essere nella proporzione in cui
espellerà da sé e dalla società la coscienza di Dio. Perciò si parla di
ateismo umanistico o di umanesimo ateo , come ricupero dell’essenza
umana mistificata nell’alienazione capitalistica e religiosa. Il paganesimo
e l ’idolatria, le guerre dell’Islam, la stessa riforma, l’illuminismo, la rivo
luzione francese... furono senza dubbio meno radicali e pericolosi di
questo « ateismo costruttivo » che pretende — ed ha buone ragioni per
affermarlo — di essere l ’erede ultimo e più coerente del pensiero
moderno 3.
In questa situazione c’è soprattutto da temere ■ — ed i sintomi non
mancano — un’esplosione sempre più estesa di ateismo pratico —
ovvero sociale e politico che dir si voglia — presso i grandi popoli di
Asia e Africa i quali sono stati finora, rispetto all’Occidente, in condi
zioni di isolamento culturale; è presso di essi che la forza di espan
sione del comuniSmo marxistico trova l ’elemento più ingenuo ed in
Perciò Dio è l ’Assoluto, e ciò significa che Dio non può esistere né
come gli oggetti sensibili (contingenza), né come gli oggetti d’intelli
genza (necessità). Ecco quindi la situazione capovolta, e l’ateismo di
venta la condizione indispensabile per l ’affermazione di Dio: infatti
quando la critica ha dimostrato ch’è impossibile spiegare l ’azione assoluta
del pensiero sia con l ’esperienza sensibile sia con la presenza in essa di
una legge che la determini necessariamente ad affermare l’essere, l ’im
possibilità allora di rendere conto di quest’affermazione assoluta è la
prova della realtà oggettiva di Dio. Riassumendo: « On peut com-
prendre pourquoi non seulement l ’athéisme esimie seul qui empèche la
croyance en Dieu de se corrompre; car cette pensée peut se perdre
dans l’affirmation déraisonnable. On peut encore comprendre la nécessité
de l ’athéisme, qui ne peut consister qu’à montrer que Dieu n’est pas
donné, soit comme réalité sensible, soit comme essence; car alors Dieu
ne serait que nécessité; il ne serait pas. Le véritable athéisme con
sisterai à nier, non l’existence, mais la réalité de l ’Absolu » 5. Ma que
st’ateismo, per il Lagneau, è impossibile, perché l’Assoluto è sempre
affermato come lo scopo a cui tende la natura e come l’oggetto del
l ’intelligenza e della volontà. C’è indubbiamente un’esigenza profonda
in questa « critica positiva » dell’ateismo, ma è un’esigenza che resta
sul piano agostiniano-cartesiano dell’essenza e non attinge un giudizio
d’esistenza e quindi non rompe il cerchio dell’immanenza. Perché in
fatti l ’Assoluto, di cui parla il Lagneau, non può essere la ragione stessa
nel suo continuo trascendersi come attività pensante? Ed è quest’Asso
luto ch’è stato dissolto, come vedremo, dalla sinistra hegeliana, da
Schopenhauer, da Nietzsche e dalla filosofia contemporanea: per tutte
queste filosofie l’ateismo coincide con l’essenza stessa della filosofia mo
derna dell’immanenza, ed altra filosofia non è più possibile.
L ’ateismo va quindi visto e giudicato dall’interno dell’atto del
pensiero. In questo senso J. Maritain ha distinto un duplice ateismo:
negativo e positivo \ mentre il primo si limita, a suo parere, a respin
gere l’idea di Dio lasciando poi vacante (vide) il posto ch’essa aveva
nella coscienza dell’uomo, il secondo combatte attivamente l’idea di Dio
ed opera insieme col massimo sforzo per sostituirvi il mondo dell’uomo
e dei suoi valori: così Nietzsche, il marxismo, l’esistenzialismo. Ma la
distinzione ci pare un po’ forzata e fittizia, sia perché anche i philosophes
del see. xviii non lottavano contro l’idea di Dio che per stabilire il
regno dell'uomo e sia perché anche gli atei attuali (per esempio i mar
xisti) danno ad ogni momento prove tangibili del loro accanimento
contro Dio e la religione, arrangiano musei e fiere letterarie sull'ateismo,
ecc. Tutto l'ateismo moderno va perciò detto assoluto e positivo : esso
però non è tanto — od almeno non è anzitutto e soprattutto — l'effetto
di un atto di scelta morale come determinazione libera, quale pensa il
Maritain, e quindi a rigore un rifiuto esplicito di Dio, quanto piuttosto
un mettersi fin da principio, ossia fin dal primo passo della coscienza
riflettente, nell'impossibilità di poter incontrare e riconoscere il pro
blema di Dio.. Lo ha riconosciuto lo stesso Maritain mettendo alla base
dell'ateismo assoluto « ...une revendication de l'homme de devenir le
seul maitre de sa destinée, complètement affranchi de toute aliénation
et de toute hétéronomie, décidément et complètement indépendant de
toute fin dernière et de toute loi éternelle qui lui seraient imposées
par quelque Dieu transcendant ». Ora l'ateismo non è più un episodio
marginale, ma ci porta nel cuore del principio moderno dell'immanenza:
« Eh bien, quel est maintenant l'aboutissement réel de la philosophic
de l'immanence absolue qui ne fait qu'un avec l'athéisme absolu? Tout
ce qui était considéré jadis comme supérieur au temps et participant à
quelque qualité transcendante — valeur ideale ou réalité spirituelle —
est désormais absorbé dans le mouvement de l'existence temporelle et
dans l'océan tout-puissant du devenir et de l'histoire. Vérité, justice,
bien, mal, fìdélité, toutes les normes de la conscience, désormais parfai-
tement relativisées, ne sont plus que les formes changeantes du procès
de l'histoire, comme pour Descartes elles n'étaient que des créations
contingentes de la liberté divine » 6. Eppure si deve proprio al Maritain
un'analisi magistrale del cogito cartesiano come potenzialmente ateo,
poiché il cogito si presenta come ponente dell'esistenza in quanto è
distruttivo (negante) dell'essenza. Cartesio allora, per aver abbandonato
S. Tommaso e seguito il volontarismo di Scoto, è l'antenato dei liber -
tistes moderni e il precursore di J.-P. Sartre: « C'est cette méme
forme d'existentialisme — primauté de l'existence mais payée par la
suppression de la nature intelligible ou de l'essence — que nous retrou-
2 Già Platone critica Pateismo materialistico {Leg. X, 891 c-892 b)\ nel pen
siero moderno soprattutto Berkeley {Principles of Human Knowledge, P. I, 92;
Alciphron, I, 9) e Leibniz {Confessio Naturae contra Atheistas, del 1668).
3 Sextus Emp., Adv. Mathem. IX, 139-140.
ISTANZE TEORICHE NELLA PROBLEMATICA DELL'ATEISMO 27
fondo della libertà come atto primordiale dell’uomo, perde ogni consi
stenza. Lo stesso esistenzialismo ateo vi ricade, e ancor più profonda
mente del materialismo e dell’idealismo, perché vuol fare — come anche
il suo antagonista, il marxismo — la sintesi dell’uno e dell’altro: per
l ’esistenzialismo ateo infatti l’essere è scelta, ma una scelta di essere
ciò che si è, la scelta cioè di non scegliere, perché se l ’uomo dovesse
scegliere qualcosa al di là di sé, e se la sua scelta fosse condizionata
da qualcosa di diverso da sé, non sarebbe più scelta. Così se Dio esi
stesse, l ’uomo non sarebbe libero... Né l’ateismo marxistico può sfug
gire alla morsa di questa riduzione, perché dichiara di respingere l ’indi
vidualismo nichilista dell’esistenzialismo. Nel marxismo, come nel mo
nismo, il soggetto dell’essere e del valore è unico come nel materia
lismo e nell’idealismo: il genere, la classe operaia, il partito... sempre
un universale quindi. Esistenzialismo e marxismo fondono quindi in
sé ambedue materialismo e idealismo con diversa proporzione, la quale
però nel fondo oscilla fra i due estremi, impossibilitata, com’è ovvio,
a fissarsi nell’uno di essi. È certo comunque che qui l ’uomo effettivo,
il singolo ch’è il primo soggetto dell’essere, non sceglie e quindi non
è libero, non è semplicemente.
4 L'uomo, è chiaro, indica qui l’attuarsi dell’uomo nella sua originalità come
coscienza, e non l’uomo come realtà fìsica secondo la quale egli è parte del mondo
fisico e mantiene col mondo dei precisi rapporti fisici.
30 INTRODUZIONE: CONCETTO DI ATEISMO
7 « Dieser [Theismus] verlangt nicht nur eine von der Welt verschiedene,
sondern eine intelligente, d. h. erkennende und wollende, also persdnliche, mithin
auch individuelle Weltursache: eine solche ist es ganz allein, die das Wort Gottes
bezeichnet. Ein unpersònlicher Gott ist gar kein Gott, sondern bloss ein miss-
brauchtes Wort, ein Unbegriff, ein contradìctio in adiecto, ein Scbiboleth fiir Philo-
sophieprofessoren, welche nachdem sie die Sache haben aufgeben miissen, mit
dem Worte durchzuschleichen bemùht sind » (A. Schopenhauer, Parerga und Pa-
ralìpomena, Kap. 5, ed. cit., Bd. V, p. 123).
La « personalità » di Dio — già in crisi in Jacobi e compromessa nel mora
lismo assoluto di Kant (cf. W . H. Jacobi, Die Philosophic der Persónlichkeit nach F.
H . Jacobi, Diss., Magdeburg 1911, pp. 60 ss., 68 s. per l’influsso su Fichte) —
scompare soprattutto ad opera dell’idealismo trascendentale che assume il prin
cipio spinoziano dell’Assoluto come unità di finito e Infinito (spec. Schelling ed
Hegel): nel primo Fichte dell'Atheismusstreit> come si dirà, il principio spino
ziano s’incontra col moralismo assoluto kantiano e Dio è ridotto all’« ordine mo
rale del mondo ». La personalità come centro di spiritualità-soggettività non ha
più senso in Hegel, secondo l’osservazione del figlio di Fichte, che concepisce la
vita dell’Assoluto come la dialettica degli opposti: « So ist Gott hier das ewige
Anschauen seiner selbst im Anderen — die lebendige Schopfung als unendliche
Subjekt — Objektivitàt (J. H. Fichte, Idee der Persónlichkeit, 2. AufL, Elberfeld
1855, p. 73) ossia come «unità di coscienza ed autocoscienza» (ved.: Jo. W. Snell-
mann, Versucb einer speculativen Entwicklung der Idee der Persónlichkeit, Tu
bingen 1841, p. 242). La sinistra hegeliana avrà facilmente partita vinta sulla de
stra che pretendeva difendere la personalità di Dio dall’interno della dialettica
(cf. Jo. E . Erdmann, Grundriss der Geschichte der Philosophie, I I I Aufl., Berlin
1878, Bd. II, p. 646).
3
OSSERVAZIO N I C R IT IC H E
SULLA NOZIONE D I A TEISM O
2 Cf. C. Fabricius, Der Atheismus der Gegenwart. Seine Ursachen und seine
Ueberwindung, Gottingen 1922, p. 2 ss.
OSSERVAZIONI CRITICHE SULLA NOZIONE DI ATEISMO 35
dizione in termini e ciò per ben due volte: anzitutto perché è una
negazione di quell’inclinazione o destinazione naturale dell’uomo a
cercare Dio come il suo Primo Principio in cui si deve attuare e
compiere la razionalità dell’uomo; „poi .perché pretende, ciò ch’è espres
samente dichiarato dall’ateismo moderno, di arrivare al fondamento
mediante l ’esclusione dell’Assoluto e mediante la simultanea ammis
sione che né la natura né l ’uomo possono erigersi ad Assoluto per oc
cupare il posto lasciato vacante da Dio. Quindi, come atteggiamento
razionale obiettivo, l ’ateismo teoretico è un circolo quadrato, poiché
esprime qualcosa d’inconcepibile, d’impossibile...; ciò può spiegare,
almeno in parte, lo scarso interesse che l’ateismo teoretico ha avuto
presso i teologi di quest’ultimo secolo e la tendenza comune a risolverlo
in ateismo pratico.
Ma la situazione, se è vista dall’interno del pensiero moderno,
è assai meno semplice. Si tratta di questo: l’ateismo non è mai stato e,
non può essere un punto di partenza, ma costituisce il punto di arri
vo di una certa concezione del mondo e dell’uomo, ossia di una
« risoluzione » qualificata dell’essere sia dell’uomo come del mondo.
Esso ateismo può diventare, a sua volta, il punto di partenza per altri
sviluppi e altre conclusioni intorno all’essere dell’uomo e del mondo: il
punto di partenza dell’ateismo moderno è il nuovo concetto di esse
re e di libertà scaturito dal cogito in qualcuna delle sue forme. Può
esistere quindi un ateismo teoretico (positivo), possono esistere atei
teoretici, possono esistere anche atei teoretici convinti... e sono tali
tutti coloro che si sono decisi a comprendere e a svolgere fino in
fondo il principio moderno d’immanenza. L ’ateismo allora come feno
meno culturale e situazione di coscienza può essere perciò reale come
« convinzione soggettiva », poiché è di questa soltanto che si fa ora
questione. L ’aspirazione a Dio e alla conoscenza di Dio può dirsi
insita all’uomo, nel senso che l ’uomo è spinto a trovare una spie
gazione razionale del mondo e dell’esperienza, e per far ciò deve
riportarsi ad un « fondamento » di essere: è innata perciò la spinta
alla ricerca del fondamento, la curiosità di trovare il principio, ma
non è affatto innato né determinato l ’oggetto conclusivo della ri
cerca. L ’elemento innato di coscienza è quindi in sé intrinsecamente
indeterminato come « potenza » e germe, e tocca all’uomo procedere
allo sviluppo e allo schiarimento; così che la « convinzione » o cono
scenza di Dio, l’affermazione della sua esistenza e la determinazione
della sua natura si pongono come conclusione, ossia come l ’effetto
del processo che l’uomo deve fare. L ’esito di questo processo dipende
OSSERVAZIONI CRITICHE SULLA NOZIONE DI ATEISMO 37
essi chi concede in casi particolari una simile possibilità. Non mi ri
sulta invece che nessun teologo abbia non solo ammesso la possibilità
da noi ora prospettata per l ’ateismo, e tanto meno che abbia dato
una risposta affermativa, per la ragione che i teologi prospettano
i problemi dal punto di vista della verità divina e non da quello
dell’errore moderno, ossia del principio moderno d’immanenza.
Il problema è, dal punto di vista filosofico, se sia possibile ac
cettare il principio d’immanenza, e poi svolgerlo e concluderlo fino
all’ateismo « in buona fede ». Ciò che fa difficoltà per una rispo
sta affermativa non è tanto la situazione di Dio quanto quella del
l’uomo. Se Dio fosse un oggetto evidente, a portata di mano, ossia
un oggetto proprio di esperienza diretta e immediatamente od almeno
di « conclusione analitica », come lo sono le conclusioni formali
della matematica o le dimostrazioni della scienza che restano nel
l ’ambito finito..., allora non ci sarebbe posto per una deviazione ra
dicale della coscienza, come avviene con la negazione di Dio mediante
il principio d’immanenza. Può essere quindi, può accadere, che l ’am
biente in cui si trova l ’uomo e l ’educazione ch’egli riceve lo portino
ad assorbire il principio d’immanenza ed a svolgerlo fino a coglierne
l’inevitabile istanza atea ed a riposare in essa « per qualche tempo ».
Ma non per sempre. Egli vive in un mondo storico qualificato e « deve »
chiedersi anzitutto perché mai la filosofia, fino alla comparsa del
cogito, non era atea; e poi perché ancora, dopo la comparsa del
cogito, altri filosofi impugnano il principio d’immanenza come intrin
secamente insignificante e contraddittorio; inoltre, perché alcuni filo
sofi, proprio per sfuggire al vuoto di essere del principio d’imma
nenza, sono ritornati e ritornano al principio metafisico... ben consci
che ciò va contro la logica del principio dell’immanenza ma in con
formità però della « esigenza del fondamento ». La buona fede « atea »
pertanto, se c’è stata o se ci può essere all’inizio come effetto di am
biente e di educazione, non può e non deve rimanere molto a
lungo e per tutta la vita; ciò vale non soltanto perché non si può
ammettere che Dio non abbia dato all’uomo i principi sufficienti
per poterlo trovare ed avere una certezza valida della sua esistenza,
ma anche perché non si può ammettere che l ’uomo sia incapace
di trovare il fondamento della verità.V
8 Spinoza è messo fra i deisti da Voltaire (cf. Questions sur les miracles).
9 Enc. d. pbilos, 1Viss., § 50, Hoffmeister, p. 76 s. Questo § 50 contiene il
nocciolo teoretico delPhegelismo, così come il § 573 contiene il compendio più
vigoroso (Hegel stesso, nel § 573, rimanda espressamente al § 50; ed. Hoffmeister,
p. 484).
OSSERVAZIONI CRITICHE SULLA NOZIONE DI ATEISMO 43
11 Hegel, nel § 573, ricorda come avversario il celebre teologo Tholuck (Hoff-
meister, p. 484), ma l’attacco più forte e ultimo al Tholuck è nella Prefazione alla
II ed. dell 'Enciclopedia (Hoffmeister, pp. 10 s., 15 ss.), ch’è del 1827.
OSSERVAZIONI CRITICHE SULLA NOZIONE DI ATEISMO 45
sia pure la più alta, o più esattamente è una categoria della coscien
za che assume anche altre denominazioni come il « sacro » (das
Heilige), il « tremendo » e simili. Comunque, un Dio siffatto non può
essere il Dio della religione. Ma c'è anche la situazione opposta che
va indicata senza reticenze. Gli atei accusano spesso i difensori del
teismo non soltanto di seconde intenzioni, di sfruttamento dell'igno
ranza altrui, ma anche e soprattutto d'ingenuità e fanatismo a un tem
po: li accusano di scambiare Dio per una realtà presente qualsiasi, di
trattare con Dio come si tratta con un uomo qualsiasi, di pretendere
di sperimentare Dio, di entrare in comunione con Dio a loro piacimen
to... Sarebbe stato proprio per evitare quest'antropomorfismo smaccato
che la filosofia è venuta via via rischiarando la situazione passando
successivamente al panteismo, al panenteismo, al monismo e finalmen
te all'ateismo. È stato il teismo la causa dell'ateismo! È in sostanza
l'accusa che poi, con Feuerbach e Marx, verrà indicata col celebre
termine hegeliano di « alienazione » (Entfremdung ) 19. L'accusa coglie
effettivamente un aspetto reale della coscienza umana nel suo sviluppo
storico: in particolare quelle forme di metafisica intuizionistica che
pretendono fondarsi su un'apprensione diretta di Dio (neoplatonismo,
ontologismo...), ossia affermano di fare il primo passo muovendo da
Dio o di fare un salto diretto dall'esperienza immediata all'esperienza
di Dio, oppure di quelle forme di metafisica razionalistica che fanno
un « passaggio diretto » dai principi astratti e dal cogito alla realtà
di Dio come attualità e attuazione di un « concetto » (l'Essere perfet
tissimo, l'Infinito...: Cartesio, Malebranche, Spinoza, Leibniz, Clarke...).
Anche Hegel, in fondo, fa un « passaggio diretto » dal finito all'In
finito, perché per lui il finito è « parvenza » (Erscheinung ) e acciden
talità (das Zufdilige) e solo l'Assoluto e il Tutto è il Vero. L'accusa
non vale invece per la metafisica tomistica che attribuisce all'intelletto
umano come oggetto proporzionato l'essere finito e pone l'Infinito
chiuso nel suo mistero, ch'è accessibile soltanto mediante l'analogia,
ossia in forma più negativa che positiva, mediante la ragione che opera il
passaggio al limite ossia la riduzione al fondamento. Così, per S. Tom
maso 20, l'uomo arriva a conoscere non tanto ciò che Dio è ma piut
tosto ciò che Dio non è: questa concezione sta quindi agli antipodi
sia dell'accusa di alienazione perché afferma precisamente la priorità
e consistenza noetica del finito contro ogni forma d’intuizione e d’idea
lismo, sia dell’accusa di antropomorfismo poiché essa invece di fare
dell’uomo un Dio e di concepire Dio al modo dell’uomo afferma Dio
nell’isolamento assoluto della suprema trascendenza e concepisce gli
attributi reali ontologici e spirituali di Dio proprio mediante la nega
zione di tutti i modi e i limiti accessibili nell’esperienza21. Una situa
zione certamente complessa, ma ch’è esattamente l ’opposto della gene
rica accusa di « alienazione ».
Da queste considerazioni si deve ammettere che la nozione di
ateismo, come quella di teismo, si presenta in forma estremamente
dialettica che deve mettere in guardia da ogni tentativo di facile
semplificazione.
c) Dio sia spirito , ossia che il suo essere attui in grado supremo
la forma più alta di essere ch’è la vita secondo intelligenza e volontà.
Quindi ogni forma di naturalismo, panpsichismo, vitalismo... è ateismo.
Dei aut providentìam aut etìam personam alìquam divinavi » (A. Christian Rotth,
Atheistìca Scriptorum Thomasianorum..., Lipsiae 1798, voi. I, p. 26 s. - Corsivo
mio). Al Rotth rispose, in difesa del Thomasius, M. A. Stiibel, Observations vacuae
atque extemporaneae..., Halae (s. a.).
5 Non a torto perciò un teologo del Settecento definiva l’ateismo « ... impia
opinio quae Deum esse negat aut tantum Deos admittit apathos et inertes » e con
siderava il deismo pari, almeno nelle conseguenze, all’ateismo (P. de Phanias,
Theoria entium insensibilium sive metaphysica universa et profana, Venetiis 1781;
t. II, Tr. IV, sect. I, a. 1: Atheismus et eius absurda systemata, p. 178 ss.).
6 Encyclopédie ou Dictionnaire raìsonné... par M. Diderot et M. D’Alembert,
art. Athée, P éd., Paris 1751, t. I, p. 798 by I P éd., Lucca 1758, t. I, p. 692 a ss.,
dove si afferma che l’ateo è punibile, come tale, secondo le leggi naturali, perché di
strugge il fondamento della morale e della società.
58 in t r o d u z io n e : c o n c e t t o d i a t e i s m o
7 « Die alteri Streitfragen ùber die Gdttlichkeit oder Ungottlichkeit des Ab-
soluten und die Personlichkeit oder Unpersonlichlceit Gottes sind keine akademi-
schen Doktorfragen, um seinen Scharfsinn daran zu iiben, sondern es sind die
Grundfragen aller Spekulation uberhaupt, von deren Beantwortung zugleich noch
alle iibrigen Bestandteile des philosophischen Gedankenorganismus abhangen, und
ùber welche man daher notwendig mit sich im Klaren sein muss, ehe man auch
nur irgend ein anderes Problem der Spekulation genugend zu lbsen vermag. Ja,
noch mehr! in jenen scheinbar so scholastisch klingenden Fragen liegt zugleich der
Brennpunkt des gesammten geistigen Kulturlebens unserer Zeit, sie enthalten die
Banner, die Schlachtrufe, unter welchen der grosse Kampf zwischen der alten
und modernen Weltanschauung wird ausgefochten werden mussen. Man spricht
heute so viel von einer “ neuen Weltanschauung ”, aber nur die wenigsten sind
sich darùber klar, dass es sich hier um den Kampf zwischen Atheismus, Theismus
und Pantheismus handelt. Man hat fast allgemein die Empfindung, insbesondere
unsere gegenwàrtigen religiosen Zustande seien einer Besserung dringend bedurftig,
und wunscht diesen Umschwung sehnlichst herbei; aber dass dieser letztere allein
daran hàngt, dass entweder die Personlichkeit oder die Unpersonlichkeit Gottes
aus jenem Kampfe als Siegerin hervorgeht, von dieser Einsicht ist unsere Zeit
gegenwàrtig so weit entfernt, dass sie den obengenannten Fragen im allgemeinen
geradezu glechgultig gegenubersteht » (A. Drews, Die Spekulation seit Kant, mit
besonderer Rucksicht auf das Wesen des Absoluten und die Personlichkeit Gottes,
Berlin 1893, Bd. I, p. VI s.).
5
CA RA TTERI STRUTTURALI
D E L L ’A TEISM O MODERNO
dell’ente. Per noi la prima evidenza è che l ’ente c’è: è desso il primo
svegliarsi della coscienza, al di là del quale non c’è (e non ci sarà
per molto tempo, cioè fino alla risoluzione del « fondamento ») che il
buio dello spirito.
E l ’ente nel suo darsi immediato s’illumina da sé: quindi il
darsi dell’essere alla coscienza — « l ’ente è » — è atto sintetico per
la coscienza e altro non può essere, checché sia della formula gram
maticale. Sintetica sarà perciò tutta la conoscenza del reale, immediata
o mediata che sia; il conoscere analitico è riservato alla sfera formale
del possibile. Il teologo, che conosce come la creazione è sospesa in defi
nitiva all’atto libero di Dio e ch’essa anzi non è stata coesistente a Dio,
non può che confermare e intensificare il significato di tale sinteticità,
ch’è di per sé evidente ed inclusa nella nozione stessa di ente. Se le
filosofie formaliste, realiste e immanentistiche hanno risolto l ’ente
nell’essenza, peggio per loro: a tutte queste filosofie noi opponiamo
quella autentica di S. Tommaso il quale, per primo dopo Parmenide,
fa l ’inizio assoluto con Yens.
Una volta preso saldamente l ’orientamento iniziale della coscienza
sullyens, è chiarito anche il doppio rapporto di essere-coscienza e co
scienza-essere ed è chiarito virtualmente anche il significato fonda-
mentale di natura e spirito. Allora le tradizionali difficoltà indicate
contro l’esistenza di Dio dall’esistenza (innegabile) del male , sia fisico
come morale, perdono la presunta conclusività : se l ’ente è sintetico
e lo spirito è la capacitas entis in ventate sua ... un qualsiasi male
fisico e la stessa morte non possono decidere dell’essere dell’uomo
come tale che si perfeziona solo come libertà; lo stesso male morale,
fin quando c’è vita, non è mai definiente e definitivo perché la libertà
« può » vincerlo o rinnegarlo e stabilirsi nel bene.
Cadono a questo modo anche le frequenti e acri invettive del
l ’ateismo di ogni tempo contro la teologia degli attributi divini come
quelle che un Dio infinitamente buono e giusto non avrebbe dovuto
permettere il male, la morte, le malattie, i tradimenti degli amici,
le sofferenze degli innocenti... e gli altri guai dell’esistenza. Gli atei
antichi e moderni concepiscono Dio come un monolito metafisico e
respingono, tanto per Dio come per l ’uomo, sia la libertà come la
trascendenza: è chiaro allora che possano travisare l ’esistenza come un
atto di accusa contro Dio. Quindi se il problema degli attributi divini
non è dei più facili ed ha sempre angustiato lo spirito umano, la
negazione degli atei è troppo a buon prezzo e facile a smascherare nei
suoi presupposti.
CARATTERI STRUTTURALI DELL’ATEISMO MODERNO 61
2 II Tim. 2, 13.
CARATTERI STRUTTURALI DELL’ATEISMO MODERNO 63
perduto qualcosa della sua potenza, non potrebbe più rendere gli
uomini indipendenti » 3*lo
.
La lotta pro e contro Dio non è soltanto una lotta di conoscenza
ma anche di libertà, non una semplice conquista di risultati ma so
prattutto una ricerca della sorgente.
A TEISM O
E PR IN C IP IO D I CONTRADDIZIONE
2 A. Rosmini, Logica, n. 714, II ed., Intra 1867, p. 283 s.; cf., per questo
testo, Cl. Riva, Pensiero e coerenza cristiana, Brescia 1963, p. 13 s.
3 Rosmini rimanda a Cicerone, De natura àeorum, 1. I l i , c. 8 ss.
4 Cf. la chiara esposizione di Cl. Riva, Op. cìt.> p. 14 s.
ATEISMO E PRINCIPIO DI CONTRADDIZIONE 69
mo oggetto della mente dice solo Id quod habet esse e si obiettiva diret
tamente nel campo degli oggetti di esperienza esterna e interna. Que
sta ratio entis si proietta in sé e per sé solo sull’ente finito5: l’ascesa a
Dio ha bisogno di dimostrazione rigorosa mediante il principio di cau
sa e quindi di un « passaggio » e di un trascendimento. Ciò che l ’uo
mo direttamente e propriamente intende non è Dio, ma il finito; il
principio operativo col quale intende non è neppure Dio, ma il pro
prio intelletto; anche se l’intelletto è causato da Dio, Dio non cade
in nessun modo né in ratione objecti né tanto meno in ratione subjecti.
Possono quindi affermare che l ’ateismo è di per sé contradditorio solo
coloro che affermano che la nozione di Dio è analitica, come Ro
smini, come gli ontologi in generale.
È in quest’atmosfera d’immediatismo onto-teologico che ci sembra
si muova un recente fautore di siffatta « autocontraddizione dell’atei
smo filosofico ». La tesi è enunciata come segue: « Ogni dubbio sul
l’esistenza di Dio creatore dotato di pensiero e indipendente (dal
mondo), e a fortiori la negazione di Dio, è una autocontraddizione » 6.
La cosa, per coloro che non conoscono l 'analogia entis , può apparire
esagerata. Si può ben giungere dal dubbio in Dio alla « dimostrazione
di Dio », ma soltanto perché la esistenza di Dio è portata da un dub
bio più acuto, incondizionato, radicale: certo più scettico e più pro
fondo che non il primo dubbio, quello ordinario, il superficiale. Ora
pertanto in nessun modo il dubbio è la più alta forma di vita, né
è autonomo. Invece il dubbio autentico e approfondito porta precisa-
mente a Dio. Certo, che sarebbe allora la dimostrazione di Dio se non
fosse stringente e se potesse essere buttata da parte e se i suoi avversari
non si contraddicessero, se essi non fossero in contraddizione? Chi
non include Dio — l’essere come essere — nella vita e nel pensiero,
costui vive in contraddizione e fa discorsi contraddittori.
L ’Essere ha ora la possibilità di cadere dall’Assoluto; in altre
parole, c’è un doppio essere: uno relativo, condizionato, contingente;
5 « Ens dicitur id quod finite participat esse, et hoc est proportionatum in-
tellectui nostro cuius objectum est quod quid est in II I De Anima, unde illud
solum est capibile ab intellectu nostro, quod habet quidditatem participantem esse;
sed Dei quidditas est ipsum esse, unde est supra intellectum » (In librum de
Causis, lect. V I, ed. Saffrey, p. 47; ed. Pera, n. 175, p. 47).
6 « Das Thema vorliegenden Schrift ist die These: Jeder Zweifel am Dasein
eines unabhangigen, einen, denkenden Schbpfer-Gottes und a fortiori das Leugnen
Gottes ist ein Selbstwiderspruch » (cf. E. von Fùrstenberg, D er Selbstwidersprucb
des pbilosophiscben Atbeismusy Regensburg 1960, p. 7).
70 in t r o d u z io n e : co n cetto d i a t e is m o
la loro struttura essi possono valere solo per il pensiero dipendente dal
l ’essere, solo per un essere dipendente dal pensiero, poiché se sono validi
nel campo ontico lo sono in quello noetico e viceversa. Tutte le connes
sioni necessarie rimandano immediatamente all'essere come essere. La
" dimostrazione dell'esistenza di Dio " è l’Alpha e l’Omega di tutta la
filosofia. L ’essere in quanto essere consiste nella struttura dell’essere,
più esattamente: esso porta ogni essente » (p. 18).
Ci sono molte scienze e discipline che si possono chiamare filo
sofia. Ci sono, all’interno della filosofia propriamente detta, variazioni,
intervalli e libertà. Ma c’è anche qualcosa che si sottrae alle variazioni,
alle mutazioni, che si trova dappertutto. A questo, alla struttura
dell’essere e del conoscere, appartiene anche la dimostrazione dell’esi
stenza di Dio.
Ecco la formula definitiva: « Ogni dubbio di un Dio creatore,
indipendente, pensante, è autocontraddizione. Non è possibile evitare la
“ dimostrazione " dell’esistenza di Dio, l ’elaborazione dell 'essere in
quanto essere , senza incontrare un’interna contraddizione. Ogni dot
trina che tentasse questo farebbe, di un essere del mondo, Dio. Questo
vale evidentemente per tutto ciò che è. Tutto ciò che non è riferito
a Dio è, in ultima istanza, nonsenso. Se è vero che questa tesi è contro
la maggior parte dei filosofi degli ultimi tre secoli, è vero che queste
filosofie non si sono in realtà misurate col tomismo, anzi in quasi
tutti i casi sono state predeterminate dal preconcetto di ateismo, che
Dio era proscritto a priori come un oggetto di fede » (p. 19).
Ora qui l’insidia — a nostro avviso — può essere pericolosa.
In se nulla di più necessario che l’esistenza di Dio ch’è Yipsum esse.
Ma quoad nos Dio non è per se notum, bensì solo con la mediazione
del finito: anche quest’Autore sembra confondere espressamente Yens
per se notum , che indica il primo e fondamentale passo della mente,
con Dio. È per questa confusione fra Yens iniziale e YEsse termi
nale, Dio, che — come si vedrà — il gesuita Hardouin accuserà Car
tesio e i cartesiani di ateismo.
L ’Autore ricorre specialmente all’argomento tomistico che Dio
è « causa totale » ( Totalursache ), mentre ogni creatura è « causa par
ziale » ( Teilursache) e quindi nulla può agire senza il concorso diretto
e continuo di Dio (pp. 12, 42, spec. 90 e 111). Osserviamo che tutto
ciò vale sempre solo in ordine essendi et operandi , ma non in ordine
cognoscendi nel quale Dio è l ’oggetto di conoscenza più arduo e di
stante. Inoltre ci pare che questa concezione rinnovi un certo « contin
gentismo » radicale del tutto alieno dalla metafisica tomistica nella
72 INTRODUZIONE: CONCETTO DI ATEISMO
9 Cf. Krit'tk der reinen Vernunft, Elementarlehre, Teil II , Abt. II, Abschn.
3; A 594, B 622. Si comprende che per le varie posizioni di « ontologismo» nella
linea di Agostino - Malebranche - Rosmini... l’ateismo è detto impossibile, poiché
alla coscienza non può non « ... essere originariamente ed essenzialmente data una
“ idea di Dio ” come principio illuminante come quo (non quod) cognoscitur ...
la quale non contenga l’assoluta (teoreticamente) necessità di affermare Dio reale »
(Così V. La Via, Uimpossibilità teoretica dell'ateismo, Teoresi VI, 12 [1 9 5 1 ],
p. 67). Sul senso e sugli sviluppi dell’argomento ontologico nel pensiero moderno,
ved.: C. Fabro, Duomo e il rischio di Dio, Roma 1967, p. 275 ss.
74 in t r o d u z io n e : c o n c e t t o d i a t e i s m o
COERENZA ATEA
DEL RAZIONALISMO CONTEMPORANEO
5 « Je suis idéaliste, parce que Pidéalisme est la seule doctrine qui ne rencon
tre aucune dijficultéì qui n’apporte aucune réserve, dans la définition de Tètre par
le progrès » (L. Brunschvicg, La querelle de Vathéisme, 1. c., p. 225).
6 L. Brunschvicg, La querelle de Vathéisme, 1. c., p. 225.
COERENZA ATEA DEL RAZIONALISMO CONTEMPORANEO 79
7 E il Nostro subito conclude: « Faut-il conclure que cet effort heureux pour
dégager la pureté de la religion rompe avec le passe, brise en particulier Télan qui
se manifeste à travers les vicissitudes du monde judéo*chrétien? Je dirai bien
plutòt qu’il Taccomplit à mesure que Timmanence de la réflexion gagne sur la
transcendance de la révélation » (L. Brunschvicg, La querelle de Vathéisme, 1. c.,
p. 226).
80 in t r o d u z io n e : c o n c etto d i a t e is m o
Tessere » 8. Era qui che toccava insistere: nel rapporto fra la coscienza
e Tessere, poiché è qui — prima che sul concetto di creazione — che
realismo e idealismo divergono.
CONCLUSIONE
« IN C IP IT TRA G O ED IA H OM IN IS MODERNI ! »
Chi avesse una nozione del tutto chiara di Dio, non avrebbe difficoltà
a definire l ’ateismo: ma il concetto dell’Essere supremo ha messo in tensione
la ricerca filosofica di tu tti i tempi e la sua determinazione perciò è in con
tinua oscillazione.
A titolo di lavoro possiamo distinguere anzitutto tre stadi o livelli del
concetto di Dio: 1) popolare-m itico; 2) filosofico-speculativo; 3) rivelato-
personale. Ad ognuno di questi livelli si può esercitare la negazione ed
avremo quindi diversi tipi di giudizi di ateismo. Il contenuto e la validità
di tali giudizi vanno riferiti alla semantica ch’è propria della rispettiva sfera
intenzionale: così Socrate e i negatori della religione mitologica furono
giudicati atei, atei furono detti invece dai teologi i « filosofi » dell’antichità
e i moderni che si fermarono al concetto di Assoluto senza concepirlo come
Persona libera e provvidente, ma « atei » furono detti dai filosofi pagani
(l’imperatore Giuliano) gli stessi cristiani.
Inoltre e di conseguenza bisogna distinguere, nel giudizio di teismo e
soprattutto di ateismo, l ’aspetto oggettivo e l’aspetto soggettivo del giudizio
stesso ossia il « contenuto » in sé e per sé della nozione di Dio, com ’è
espressa dal filosofo e confrontata con l ’istanza essenziale del problema stesso,
ossia di quel che si deve porre come concetto adeguato di Dio, e la « inten
zione » o convinzione soggettiva del filosofo. Così può darsi che molti
panteisti, monisti, panenteisti... si credessero teisti, e si sa che rifiutarono
espressamente la qualifica di « atei » (p. es. Spinoza, Toland, Fichte, H egel...).
Si potrebbero così indicare due classi di atei teoretici: a) atei espliciti
ossia di affermazione l ; b) atei impliciti ossia di conseguenza.
Infine la stessa divisione tradizionale di ateismo pratico e ateismo teo
retico se sembra ovvia a prima vista, in realtà tale non è e ciò per ambedue
gli aspetti. Non sembra infatti possibile che qualcuno amm etta l’esistenza
di Dio e poi viva com pletam ente e in tutto (si badi bene!) com e se Dio non
esistesse: Dio esprime una realtà troppo impegnativa perché chi si dice
« teista » non ne senta in qualche modo l’influsso e la responsabilità. D ’al
tronde gli stessi atei teoretici difficilmente sfuggono all’influsso della cate
goria del « sacro », sia ch ’essa si riferisca alla natura oppure all’uomo: e si
sa che questa categoria del « sacro » è il nocciolo soggettivo dell’origine del
l ’idea di Dio.
Un esame delle definizioni dell’ateismo date dalla storiografia filosofica
ci porterebbe molto lontano e senz’apprezzabili vantaggi per la nostra ri
cerca ch’è principalmente di ordine teoretico. Citiam o, p. es., fra le trattazioni
più celebri quella dell’avversario e accusatore di W olff, Jo . F r. Buddeus,
T heses Theologicae de Atheìsm o et S u p er stìtìone, Jena 1 7 1 6 2. Il Buddeus
distingue, p. es., due classi principali di atei nel seguente ordine:
I. - « Ceux qui nient effrontément et sans détour l ’existence de Dieu,
ou ceux, qui étant de mauvaise foi, ne peuvent nier ou ignorer que l ’athéisme
suit nécessairement de leurs principes » [E picurei, Spinoza (D io = N atu ra)]
(c. I , § 2 6 , p. 78 ss.).
II . - « Ceux qui établissent des principes, dont l’on peut tirer, par la
voie d ’une bonne conséquence, des conclusions ou préjudiciables ou injurieuses
à la providence et à la liberté de Dieu [ = A ristotele; Stoici = Dio legato
al mondo: ma essi non hanno visto la conseguenza], qui font un mème
E tre de Dieu et de la N ature, et qui les confondent ensemble; ce qui est la
méme chose que si l ’on nioit l’existence de Dieu, quoique les Auteurs de ce
Systèrne désavouent ces consequences, et refusent de convenir de la liaison
qu’elles ont avec leurs principes » 3.
Ma il Buddeus dichiara subito di non poter usare questo criterio di
larghezza con Spinoza: « Nous ne ferons pas la mème grace à Spinoza qui
a fort bien compris les monstrueuses consequences de son méchant Système,
et l ’a ajusté et arrangé avec tant d’artifices quoique d ’ailleurs si visibles, qu’il
est impossible qu’il n ’ait pas nécessairement vu, qu’il suivroit infailliblement
qu’il n ’y a point selon lui d ’autre Dieu que la Nature. Ainsi nous ne lui
ferons point cTinjustice en lui donnant une des premieres places entre les
athées du premier rang » (tr. cit., fol. 3).
Nel c. I il Budde offre un elenco m olto generoso di atei dogmatici:
oltre agli antichi (gli Eleati, gli Stoici, E picuro e lo stesso A ristotele!), fra
i moderni sono indicati Campanella, Cardano, Machiavelli, Cesalpino, Beri-
gardo, Cremonini, G. Bruno, Pomponazzi, Vanini, Poliziano, Erm olao Bar
baro, G. Della Casa... Quanto agli Scolastici si legge che gli Scotisti hanno
preparato Spinoza (p. 5 2 s.).
AlFinizio del c. I I l’ateismo è detto « ...une disposition maligne et
perverse de l’esprit » (p. 9 8 ) e fra le cause principali sono indicate la corru
zione delPuomo, la cattiva educazione, le conversazioni con gli empi, la let
tura dei libri atei, gli studi disordinati... (p. 1 4 9 ). Il Budde accenna appena
all’ateismo e rimanda alle T h eses nelle sue monumentali Institutiones Theo-
logiae Dogm aticae, Lipsiae 1 7 2 4 ; lib. I I , c. 1, § 5 3 , p. 2 9 4 s.).
Non meno prolissa e accurata è l ’esposizione e critica dell’ateismo fatta
da W olff che il Budde ha accusato di cadere nello stesso errore come
si dirà a suo lu o g o 4. Spinoza è messo fra gli atei ( Theol. Nat., P . I I , § 7 1 7 ,
p. 7 3 0 ). U n altro classico della storia dell’ateismo è Teofilo S pitzel5 secondo
il quale i pagani accusavano i cristiani di ateismo (Clem. A lex., Strom., V I I ;
Julian, apud Sozom., Hist., lib. V , c. 15), così facevano i cattolici coi prote
stanti: « Quaemadmodum P on tificii6 Ecclesias nostras turpissimo Atheismi
stigmate notare neutiquam verentur: u t Possevinus ( Bibl., lib. V i l i ) , Clau
dius de Soinctes {Tract, pecul.), Chiconius ( Contra Cavillum), Campanella
“ ...in Atheismo Triumpkato im potenter et aperte per to turn ” , Mersennus
{Comm. in Genesim, passim), Jesuita Cornelius a Lapide {In II Tim., I l i , 9)
asserere non dubitavit Lutheranism um et Calvinismum tamquam abire in
Atheismum, eorumque asseclas fieri libertinos, etc. E t Comm. in II Petr.,
I l i , p. 3 7 4 : " J u r e ergo (inquit) Card. Hosius Atheismum vocat Lutheranae
et Zwinglinae perfidiae perfectionem ... Qua fide autem (egli commenta) qua
item veritate, alibi forte clarius apparebit ” » (p. 6). A p. 7 sono i gesuiti
invece accusati di ateismo. A p. 8 si dichiara che i'aide aequivoce sono detti
atei « ...omnes veram religionem negantes aut oppugnantes » e di ateismo
sono accusati i maomettani e il giudaismo moderno!
Sul concetto di ateismo lo Spitzel, nel c. I l i , distingue uno diretto e uno
indiretto: « Die dicitur, cum qui omnem cognitionem, sensum atque fidem
Numinis in corde suo quantum in se est exstinguere conatur, adeo ut tanto-
pere ad àTTtoTiav contendat, ut ad earn aliquando pervenisse, et sibi et
aliis persuasum velit, vel quando quis ex fixa mentis suae persuasione, et
sine ullo recalcitrantis conscientiae stimulo, Deum negat, vel eiusdem essen-
tiam impugnat ad extrem um usque vitae halitum. Tales athei an inveniantur,
disquiri inter doctos coeptum est, cum ea omnia quae a Sacro Codice produ-
cuntur turn dicta turn exempla tangere videantur A theism um indirectum ,
quo nempe omnis Dei cognitio per necessariam saltern consequentiam deletur
atque evertitur... Tales vero atheos dari et Scriptura testatur et tristis con-
firmat experientia, illa quidem dum passim eorum mentionem facit; haec vero
dum eiusmodi monstra hominum in coetu saniorum atque fidelium luculen-
tur prodit atque manifestat; indirectus autem ille A theìsm us commode rur-
sus dividitur in theoretician seu speculativum et practicum , cuius divisioni
ratio potissima est, quod licet uterque circa communia sibi principia versetur,
propter elementum tamen praedominans, ultimumque actum specificationis
unus ab alio d is tin g u a ti; etsi vero Atheismus Practicus magis a voluntate
perfida tur, ab intellectu tamen praerequirit aliquam yv&aiv; cum contra
Theoreticus voluntatem ut causam agnoscat, et ad minimum ad militatemi
quamdam (non veram sed imaginariam) tendat. E t quamquam intellectus
suum cognosse etiam voluntati suppeditet, tamen voluntas non semper ab ilio
dependet, praeprimis si actiones ex habitu vitioso oriantur [ .. .] » ( O p . cit.y
p. 11 s.).
Segue la distinzione dell’ateismo in teoretico o speculativo e pratico:
il primo dipende dall’intelletto, ossia « . . . qui ex fixa mentis persuasione per
solidam aliquam consequentiam Deum negare seu D eitatem tollere conatur »
(p. 13), mentre il secondo dipende dalla volontà ossia « . . . qui non tam sensu
et professione, quam vita, praxi atque moribus Deum omnemque Religionem
abnegare conatur, item si quis omnia pietatis officia et exercitia tamquam
inutilia negligat, quamvis aliquam religionem profiteatur ». E lam enta: « Spe
culative enim tales eo usque impietatis progredì posse, u t non solum Deum
oblique negent, verum etiam quicquid de deo vel scitur, vel creditur impu
gnare audeant ». Conclude: « Ad hanc Atheorum classem commode referri
possunt nequissimi isti omnium Religionum homines nec non Machiavelli
asseclae atque Discipuli, videi. Pseudo politici, aurae popularis omnisque am-
bitionis turpissima mancipia; his adde quoque Epicuri de grege porcos, om
nisque nequitiae atque impuritatis amatores atque sectatores » (p. 14 s.).
L ’uno e l’altro ateismo può essere o incohatus o consum m atus e cia
scuno di questi a sua volta si divide in crassus oppure subtilis seu palliatus
(p. 16). Segue un nutrito elenco di atei per nazioni (Italia: l’A retino è detto
autore del D e tribus im postoribus; Francia; Spagna: p. 17 ss.). L ’Inghilterra
è detta « ...omnium Religionum, pestiferorumque dogmatum hodie sentina.
[ .. .] A condito Orbe non fuerunt tot monstruosae opiniones, quot nunc in
Anglia » (p. 32).
Fra le cause dell’ateismo sono indicate « . . . hominis corruptio et a Deo
aversio, stultitia, àaóveToc;, àncci^eòxo^ superbia, inordinatum stu-
dium, libri nefandi (segue di tali libri un nutrito elenco: D e tribus im posto
rib u s; Cardanus, D e subtilitate; Godofr. a Valle, D e arte nihil cred en d i,
Simonis religio, pubblicato in Polonia; Sim. a Valle, C ur receptum sit E van-
gelium\ Bonav. de Perez, Cymbalum Mundi\ VAm phitheatrum di Vanini).
[ .. .] De scriptis C am p an elle, Portelli, Cardani, Gaffarelli, Taurelli similium-
que judicent alii » (p. 6 0 ); « colloquia, libera exegesis biblica, profana Ma-
chiavellistarum seu Pseudo-Politicorum Religio, Ratio Status (condannata da
90 in t r o d u z io n e : c o n c e t t o d i a t e i s m o
2 - LA FEDE DELL’ATEO
prodigieuse de la nature des choses, un esprit qui renverse toutes les lois du
bon sens, et qui se fait une manière de raisonner fausse et déréglée plus
qu’on sauroit le dire » (P en sées..., § 2 2 3 , ed. cit., I, p. 2 3 7 ). Nel secondo
caso: « Direz-vous que ces athées ont efface de leur coeur l ’image de Dieu
avec laquelle ils etoient nez, mais que les autres Athéniens “ Font retenue "?
Vous auriez grand tort de dire cela, puis q u ’il est certain que les idolatres
n ’ont point conserve Fidée de Dieu que la nature leur pourroit avoir donnée.
Ils ne connoissoient que les faux dieux, que les dieux abominables et ce seroit
une impieté que de dire qu’ils etoient nez le coeur imprimé de l ’image de
Dieu; car ce seroit soutenir que le vrai Dieu avoit grave dans leur coeur
cette idée monstrueuse de la divinité. Si nos àmes sont unies à nos corps
avec l ’empreinte de l’image de Dieu, il faut que nécessairement cette image
soit celle du vrai Dieu, et par consequent les Athéniens idolatres etoient
aussi coupables que les athées du crime d ’avoir effacé de leur coeur Fidée
de Dieu que la nature leur avoit donnée » (P ensées..., § 1 0 4 , ed. cit.,
t. I l i , p. 4 83 s.).
La posizione del Bayle è quindi intenzionalmente piena di sfumature:
gli idolatri erano già veri atei in un certo senso {P en sées...y § 2 1 7 , t. I,
p. 2 2 8 ) ed è stata proprio l ’idolatria la fonte dell’ateismo. Bayle cita a so
stegno della sua tesi ampie testimonianze di Padri: Lattanzio, Tertulliano,
S. Cipriano, S. Agostino, S. Gregorio Nazianzeno, e perfino autori pagani
(P en sées..., § 2 1 6 , p. 2 2 7 s.; A d d itio n ..., t. IV , pp. 6 2 2 , 6 2 5 ). Anche S. Tom
maso: « Le D octeur Angélique est dans le meme sentiment quand il écrit »...
e cita S. Th.y I I -I I , q. 9 4 , a. 3 (XJtrum idolatria sit gravissimum peccatorum )
che difatti considera l ’idolatria come il peccato più grave dal punto di vista
oggettivo: « Dicendum quod gravitas alicujus peccati potest attendi dupli-
citer: uno modo ex parte ipsius peccati, et sic peccatum idolatriae gravissimum
est. Sicut enim in terrena republica gravissimum esse videtur quod aliquis
honorem regium alteri impendat quam vero regi, quia quantum in se est,
to turn reipublicae perturbat ordinem; ita in peccatis quae contra Deum
com m ittuntur, quae tamen sunt maxima, gravissimum esse videtur quod
aliquid honorem divinum creaturae impendat; quia, quantum est in se,
facit alium Deum in mundo, minuens principatum divinum » (ed. Canad.,
t. I l l ; c. 1913 a).
Alla questione così posta corrispondono in Bayle vari paragrafi. Per
esempio: « L ’athéisme ne conduit pas à la corruption des moeurs » (P en sées...,
t. I, § 2 3 3 , p. 2 6 1 ); « Si une société d ’athées ne feroit de loix de bienséance
et d’honneur » (P ensées..., t. I I , § 1 7 2 , p. 3 4 9 ; A d ditio n..., t. I I , p. 5 7 6 ).
L a risposta è nettamente affermativa e tale è anche per la m ortalità dell’anima:
« ...Que la m ortalité de Fam e, n ’empèche pas d ’immortaliser son nom »
(P ensées..., t. II , § 1 7 3 , p. 3 5 2 ).
V oltaire, come si dirà, si oppose energicamente alla tesi del Bayle.
La controversia ebbe rilievo anche fra i teologi e apologeti del Settecento,
p. es. il Vaisecchi che si m ette dalla parte di V oltaire con la tesi: « L a su
perstizione non è peggiore, né alla società più perniciosa dell’ateismo » (D ei
fondam enti della religione e dei fonti dell'em pietà, lib. I l l , p. I, c. 14,
V II ed., Padova 1805, p. 119 ss.) e si fa forte proprio di u n ’affermazione
dello stesso Bayle: « Toutes les Religions du monde, tant les vraies, que les
fausses, roulent sur ce grand point, qu’il y a un Juge invisible qui punit, et
APPENDICI 95
qui recompense après cette vie les actions de Phomme, tant exterieures qu’in-
terieures. C ’est de là que l ’on suppose, que decoule la principale utilité de
la R eligion » (Bayle, Dictionn. hist, et crit., V ed., Basilea 1738, t. IV ,
fol. 2 3 6 b). Il Vaisecchi, nella sua dimostrazione, fa grande sfoggio di autori
classici: Euripide, Sofocle, Om ero, Esiodo, Virgilio, Terenzio, Plutarco,
Plauto... Quanto ai disordini provocati dal fanatismo religioso e portati dal
Bayle e dal Toland a difesa della superiorità dell’ateismo sulle religioni pa
gane e idolatriche, il Vaisecchi li deplora ma osserva ch’essi non sono dovuti
alla religione ma ai vizi degli uomini e cita dalla sua il V oltaire (lib. I l i ,
p. I I , c. 15, ed. cit., t. I l i , p. 130 ss.).
In questo contesto si può leggere anche un preciso testo di Kierkegaard
che considera l ’incredulità e la superstizione cioè l’ateismo e l ’idolatria sullo
stesso piano: « Esse si corrispondono perfettam ente; ambedue mancano del
l’interiorità, solo che l ’incredulità è passiva attraverso un’attività e la super
stizione è attiva attraverso una passività; Puna è, se si vuole, la formazione
maschile, l ’altra la formazione femminile, e il contenuto di tu tte e due le
formazioni è l ’autoriflessione. Nella loro essenza sono perfettam ente iden
tiche. Sia l ’incredulità come la superstizione sono l ’angoscia della fede; ma
l’incredulità comincia nell’attività della non-libertà, mentre la superstizione
comincia nella passività della non-libertà. Di solito si considera soltanto
la passività della superstizione; perciò la superstizione sembra meno gran
diosa e più scusabile, secondo che si adoperano categorie estetiche o etiche.
C ’è una debolezza nella superstizione che inganna; tuttavia ci dev’essere
sempre l’attività sufficiente perché la superstizione possa mantenere la sua
passività. L a superstizione è incredula di fronte a se stessa; l’incredulità è
superstiziosa di fronte a se stessa. Il contenuto dell’una e dell’altra è l ’au-
toriflessione. L ’indolenza, la viltà, la pusillanimità della superstizione riten
gono che sia meglio restare in essa che non abbandonarla: l’ostinazione, l ’or
goglio, la superbia dell’incredulità ritengono che sia più ardito restare in
essa che non abbandonarla. L a forma più raffinata di una tale autoriflessione
è sempre quella di rendersi interessante a se stesso con il desiderio di uscire
da questo stato, mentre con autocompiacenza si rimane in esso » (S. K ierke
gaard, Il concetto dell*angoscia, tr. it. di C. Fabro, Firenze 1 9 5 3 , p. 179 s.).
V erstand, der das Natiirliche in alien Dingen zu schàtzen weiss, und das
Unnatiirliche dem Unverniinftigen und Phantastischen gleichstellt »: nota a,
p. 2 4 1 ). Fisso nell’idea che l’ateismo è unicamente l ’effetto del naturalismo
sensistico secondo il quale la materia è eterna e tutto procede come effetto
delle forze della materia {als eine W irk u n g von K ràften d er M aterie)y il
Bouterwek conclude che l’ateismo con queste sue premesse è anzitutto legato
al « sensismo » (Sensualism us), sia nell’antichità come nell’illuminismo fran
cese del see. x v m quando diventa la « filosofìa di moda ». Ma l ’idea centrale
dell’ateismo dogmatico è che alla m ateria compete una « forza originaria »
(U rkraft)y poiché l’idea di una tale forza originaria è inseparabile dall’idea di
Assoluto: « D er Begriff einer U rkraft ist wieder unzertrennlich von der Idee
des Absoluten, von welchem uns die Erfahrung gar nichts lehrt. D er athei-
stische Naturbegriff liegt also mit sich selbst im Streite. E r will ganz und gar
durch sinnliche W ahrnehm ung begriindet seyn, und nimmt doch Merkmale in
sich auf, die der sinnlichen W ahrnehm ung vollig fremd sind. E r schiebt ein
Absolutes und Ewiges, wovon die Erfahrung nichts weiss, in die N atur
hinein, um die N atur als dieses Absolutes und Ew ige aus sich zu erklaren...
W as in die Sinne fàllt, ist keine dynamische Allheit der Dinge; es ist nur
eine im Unendlichen sich verliehende Reihe von Erscheinungen » (p. 1 7 0 ).
In ultima analisi quindi l’ateismo dogmatico positivo coincide col
valore del concetto di materia col quale l’ateismo sta e cade {m it dem
[ B egriff] steht und fallt)\ di qui la sua intrinseca contraddittorietà. I l Bou-
tenvek non pensa a Dio come all’Assoluto, senza preoccuparsi del suo rap
porto al mondo e all’uomo come principio; non sorprende allora che possa
scagionare lo stesso Spinoza dall’accusa di ateismo (p. 2 4 9 ). È nel campo
morale, sembra, che l’affermazione di un Dio libero e personale (p. 3 2 8 ss.)
si può consolidare.
Una fiera critica della posizione del Bouterw ek, da parte idealista, si
deve al Krause {D ie absolute Religionsphilosophie, Bd. I , Philosophische
Priifung und W iirdigung von F r. Bouterw ek’s Schrift « Die Religion der
Vernunft », hrsg. v. Leonhardi, Dresden u. Leipzig 1 8 3 4 , spec. K ritik der
dritten Abhandlung « Der Atheismus, der Pantheismus und der Hylozoi-
smus »: p. 343 ss.). Il Krause rim provera al Bouterwek di aver ristretto il
termine « Dio » ad un significato troppo determinato e di aver esteso quello
di « ateismo » anche a quanti non ammettono l ’una o l’altra proprietà ch’egli
giudica doversi attribuire a D io: « Denn er erkennt nur diejenige Lehre von
G ott fiir Theismus, fiir reinen eigentlichen Theismus, welche der leeren Idee
des Absoluten anthropomorphisch und anthropopathisch einen Inhalt giebt,
und insonderheit diesen Annahmen zufolge behauptet, dass G ott ein ausser-
weltliches W esen seye, und die W elt ein aussergottliches; dass ferner G ott
persònlich seye in Erkennen, Empfìnden und W ollen, als der lebendige G ott,
als die unendliche Vorsehung. Jed er nun, der in der Lehre von G ott bis zur
Erkenntniss, oder auch nur bis zur wissenschaftlichen Betrachtung dieser
Eigenschaften G ottes nicht komm t, oder diese Eigenschaften, wohl auch mit
der Absicht sich von unbefugtem Anthropomorphismus und Anthropopa-
thismus rein zu halten, anders bestim m t, oder der behauptet, dass der endliche
Geist nicht fàhig sey, hinsichts dieser Eigenschaften Gottes irgend Etw as zu
bestimmen; Jed er ferner, der behauptet, ausser G ott seye Nichts, die W elt
seie in G ott unter G ott und durch G ott, wenn er auch die Persònlichkeit
98 in t r o d u z io n e : c o n c e t t o d i a t e i s m o
5 - DALLO S C E T T IC IS M O A L L 'A T E IS M O (R E N S l)
6 - un ’antologia d e l l ’ateism o
dall, Das Gottiose Bucby Aus der W elt der freien G eist (3 . bis. 5. stark
erw eiterte Auflage, Leipzig 1 9 2 4 ) 10 pubblicato per invito della « Società
degli atei » di Berlino e del suo presidente D r. Zepler. L a vivace Introdu
zione può essere indicata come il « Manifesto » dell’ateismo ottocentesco
e non a caso prende per m otto una significativa espressione di D ’Holbach.
Lo stile è quanto mai risoluto, come si può giudicare da qualche breve saggio.
1. ( Concetto di ateo-ateismo). « Si chiama con coraggio " a te o " ( gottlos),
chi si è sbarazzato (losgeworden) di Dio. L ’ipotesi di Dio e del diavolo, di
angeli e santi, di dèi, demoni, spettri, anime dei defunti e simili fantasmi,
che sorgono nella sfera dell’ottusa ignoranza e dell'angoscia inerme dell’uomo
primitivo, è superflua ». L a religione è u n ’invenzione dei preti per il loro
tornaconto i quali imbottiscono l’uomo fin da bambino delle loro idee: ma
non mancano anche i « preti a te i» ( !) , anche se questi di solito non sono
teste abbastanza forti e indipendenti, i quali personalmente senza Dio rie
scano a sbarazzarsi della maschera del deismo illuminato. Questo deismo ha
nei secoli xvii e xvm il suo gran m erito nella lotta della superstizione;
nei secoli xix e xx esso serve {sic!) alla « restaurazione (W iederherstellung)
della medesima superstizione » (p. 3).
2. (Caratteri delVateismo moderno). Dopo aver osservato che l ’ateismo
ha le sue radici nel più antico pensiero greco e che la religione scompare in
proporzione dell’avanzare della scienza, si afferma che « ...dovunque è co
nosciuta la necessità Dio è negato ». Richiamandosi al poeta H ebbel — ma
era meglio rifarsi al filosofo K ant — l ’ateismo è la conseguenza diretta della
situazione o condizione umana ossia dal fatto che il nostro pensiero è neces
sariamente legato allo spazio (die TJnvorstellbarkeit der Raumlosigkeit), da
cui segue la regolarità della natura senz’alcuna causalità né efficiente, né
finale. E benché Spinoza sia celebrato come il filosofo che ha combattuto
ogni trascendenza ed ogni dottrina della libertà della volontà, si afferma che
bisogna m ettere da parte anche il Dio dei panteisti: sia che lo si chiami
« natura sive Deus » (Spinoza), o « anima del mondo » ( Weltseele ), o « spi
rito del m o n d o » (Weltgeist)...: ciò che questi concetti vogliono esprimere
si riduce alla realtà delle forze fisiche. L e leggi naturali ci danno la forma
zione del mondo e la formazione della vita (p. 5 ).
7 - GRADI E FO R M E D E L L ’A T E IS M O
suis opinionibus aut malesanis conforme est » (p. 28 s.). Tali sono detti
i Quaccheri e gli Entusiasti, gli Esprits forts e i libertini, i politici, i ma
chiavellisti, gli statisti, i neutralisti e gli ipocriti secondo l ’analisi di V eit
von Seckendorff nel suo Vom Christen-Staat (pp. 2 5 , 2 9 s.). O ltre l’ateismo
tetico diretto, professo e confesso, che a quei tempi doveva essere raro, il
nostro teologo non ha dubbi ch ’esistano forme di ateismo implicito indiretto,
ossia ateismo di coerenza e conseguenza, più o meno gravi ma altrettanto
deleterie perché subdole e perciò più insidiose. L a posizione del Tomasio,
qui preso di mira, appartiene alla seconda categoria.
In precedenza il R otth aveva esposto la posizione del teologo Johan
nes Musaeus, avversario del Knutzen, il quale chiedendosi: « An vere dentur
Athei? et an fieri possit, ut inter homines vere reperiantur homines qui
Deum negent? », distingueva nell’ateismo speculativo due modi di negare
Dio, ossia atei di « ignoranza vincibile » ed atei di « ignoranza invincibile ».
C h ’esistano atei della prima categoria non v ’è dubbio quando si consideri
la debolezza della mente umana dopo il peccato e l ’opera del diavolo. Lo
conferma del resto anche l ’esperienza: « Inventi enim sunt inter gentilium
Veteres Philosophos, qui Deum esse negarunt. E t inveniuntur etiam num
inter Christianos in Gallia potissimum et Italia, qui hoc ipsum negant,
quamvis, uti verosimile est, reclamante ubique conscientia » (p. 16).
Sulla questione se esistano atei d’ignoranza invincibile, il Musaeus sem
bra stare per la negativa (p. 14). Il R otth a sostegno della tesi affermativa cita
il gesuita Molina [et nonnulli dii) il quale nel comm ento alla Sum. Theol., I,
q. 2, a. 1, porta quattro argomenti: 1. l’esistenza di Dio è articolo di fede;
2. il concetto di Dio non è innato ma acquisito per dimostrazione di cui
non tutti sono capaci; 3. ed è condizionato dalla società così che colui che
fosse tagliato dal consorzio degli uomini dovrebbe ignorare invincibiliter
l’esistenza di D io; 4. il fatto d ’esperienza: « Brasiliani, priusquam a Lusi-
tanis edocerentur, nullum Deum coluerint » (p. 17). Il R otth però sta col
Musaeus per la negativa secondo il testo di S. Paolo ( Rom . 1, 2 0 ) e risponde
agli argomenti del Molina richiamandosi fra l ’altro allo stesso S. Tom maso:
« Thomas refert, propositionem hanc, Deum esse, inter praeambula fìdei
eaque inter credenda num erari, non quod de ipsis simpliciter sit fides
apud omnes, sed quod praeexigantur ad ea, quae, sunt fìdei, eaque per
fidem oporteat praesupponi ab his, qui eorum demonstrationem non habent,
vide in prim. 2, quaest. 1, art. 3 » (p. 2 0 ). E quanto all’ateismo dei « Brasi-
lienses populi... m erito dubitatur, cum alii diversum testentur, tamen inde
non sequitur, quod populi illi inculti ac barbari invincibiliter ignora-
verint Deum esse, cum media, quorum adminiculis si usi fuissent in
Dei notitiam penetrare potuissent, ipsis non defuerint. Habuerunt enim
perinde, ut nos, coelum atque terrain et corpora in iis contenta in conspectu,
habuerunt etiam notitias primorum principiorum natura mentibus suis
impressas seu insitas, quarum adminiculo ut ad virtutem , ita et ad Dei noti
tiam perduci poterant. Quemadmodum autem non invincibiliter ignorarunt
virtutes, ita nec Deum esse invincibiliter ignorarunt » (p. 2 2 ). Una posi
zione, come ognun vede, che presenta delle movenze ispirate direttamente
al tomismo. Il testo tom ista invocato dal R otth (con citazione imprecisa) dice
infatti: « Deum esse, et alia huiusmodi quae per rationem naturalem nota
APPENDICI 107
possunt esse de Deo, ut dicitur Rom. 1, 19, non sunt articuli fidei, sed
praeambula ad articulos: sic enim fides praesupponit cognitionem natu-
ralem, sicut gratiam naturam, et ut perfectio perfectibile. Nihil tamen prohi-
bet illud quod secundum se demonstrabile est et scibile, ab aliquo accipi
ut credibile, qui demonstrationem non capit » (Sum. Th., I, q. 2, a. 2 ad 1 ) 12.
12 Ma l’istanza atea radicale, come presto si dirà, c’è già tutta nel cogito
cartesiano, qualora esso sia riportato (come si vede) all’esigenza essenziale teo
retica del dubbio moderno come negazione di verità del contenuto di ogni im
mediatezza: il cogito infatti è la posizione della mediazione dell’atto sul fonda
mento della libertà che si attua come negatività costitutiva (Hegel-Heidegger-
Sartre). Pertanto la cosiddetta interpretazione agostiniana del cogito (H. Gouhier,
J. Wahl...), anche se potesse rivendicare la condiscendenza dello stesso Car
tesio, non può evitare la risoluzione prima panenteistica e poi antropocentrica
cioè atea che seguaci ed avversari (come si vedrà) ne derivavano. Il ricorso
immediato alla Verità prima da parte di Cartesio, dopo la demolizione dell’oriz
zonte dell’essere e di ogni verità ossia sul fondamento della negatività radicale
della coscienza, doveva giungere alla frattura kantiana dell’essere e quindi portare
alla serie inarrestabile dei « capovolgimenti » dalla « enorme forza del negativo »
(ungeheure Macbt des Negativen) di Hegel fino alla posizione della libertà come
néant d’etre di Sartre (La libertà cartésienne, Genève-Paris 1947, p. 9 ss. —
Ved. anche: L’Étre et le Néant, Paris 1943, p. 508 ss.).
Pertanto, se può non sorprendere il richiamo alla convinzione (ed al pro
getto) personale di Cartesio di « continuare » la sospensione o hnox.ii del cogito
in un’affermazione di trascendenza (cf. al riguardo la tesi imponente di A. Del
Noce, Il problema dell’ateismo, Bologna 1964, ripresa in Riforma cattolica
e filosofia moderna, Bologna 1965), si deve anche dare atto all’esigenza teoretica
del cominciamento ed ammettere che la coerenza ha il suo diritto di andare fino
in fondo. L ’essenza della filosofia moderna è tutta qui.
I
LE POLEMICHE SULL’ATEISMO
DEL RAZIONALISMO
1
Rabelais, Montaigne, Bodin... E non a caso allora il primo protagonista nella pole
mica dell’ateismo moderno è il deciso cartesiano Bayle e il primo ateo di cartello
è Spinoza, il più celebre di tutti i cartesiani e dello stesso Cartesio.
2 Si trova in Opera varia. Seguo l’edizione in folio: Amstelodami, apud Hen-
ricum du Sauzet, et Hagae Comitum, apud Petrum de Hondt, m .dcc.xxxiii . Il
ONTOLOGISMO E ATEISMO DEL « COGITO » CARTESIANO 113
centrale è dato subito nella breve Praefatio : Ciò ch’essi spacciano per
Dio, non è il Dio dei credenti, ma soltanto l’Ente, PEnte di ogni Ente,
l’Essenza di ogni essenza, la Verità universale, la Bontà universale, la
Forma intelligibile di ogni verità, bontà, u nità...*3. Attributi diversi,
questi, che alcuni di quegli autori (allude specialmente a Cartesio) hanno
pensato di raccogliere con un termine soltanto, con quello di Infinito
o di Ens infinite per f e cium 4. Infatti, incalza il Nostro, se Dio si ridu
cesse soltanto a un siffatto Infinito, allora non sarebbe più possibile
l’ateismo; tutti, sia nel presente come nel passato, avrebbero ammesso
Dio, non ci sarebbero mai stati degli atei, e sarebbe del tutto inutile
e fuori posto scrivere contro l ’ateismo! 5
La folta schiera degli incriminati può essere divisa, ci sembra,
in due gruppi: il primo formato da agostinisti in senso stretto e corn-
6 Per Giansenio: « Is enim Deum aliud nihil esse, praeter Veritatem, quam
in sua quisque mente affulgere videt; quam consulit, sibique respondentem audit,
dum secum perpendit quid de re quaque sit statuendum; quam unusquisque se-
quitur, dum de qualibet re vere et recte judicat; secundum quam veluti regulam
pronunciare quisque de omni re cogitur, si quis ipsum sententiam roget...: Ratio
universalis, ordo intelligibilis, sapientia universalis et aeterna: non aliud, inquam.
Deum esse pertendit Yprensis Episcopus » (Athei detecti, ed. cit., fol. 1). Segue una
vasta esposizione di testi òeXPAugustinus e si conclude: « E x Jansenii scriptis haec
nunc excerpsisse sufficiat: in quibus qui Atheismum non videt, coecum hunc et
hebetem esse nihil veremur affirmare » (Op. cit., ed. cit., fol. 6). Per l’oratoriano
Ambrosius Victor l’accusa è quasi negli stessi termini (Op. cit.y ed. cit., fol. 6-10).
7 Op. cit.yed. cit., fol. 7 (l’A. tratta di A. Victor che ha scritto una Pbilosopbia
cbrìstiana in % capitoli di cui è dato per ciascuno un breve riassunto).
8 Op. cit., ed. cit., fol. 8 b. È l’argomento che ritorna di continuo e che il
Nostro protesta di aver colto nelle opere di questi celebrati scrittori: « Exponenti
mihi interdum amicis hanc impiam hypothesim, aientique ex Jansenii, Thomassini,
similiumque sententia, Deum nihil aliud esse, nisi Veritatem quae menti praefulget,
ut de re quaque sanum feratur judicium; opponunt amici Veritatem earn nihil esse
ONTOLOGISMO E ATEISMO DEL « COGITO » CARTESIANO 115
vivum ac subsistens, nec proinde Deum esse posse. At ecce hoc ipsum sibi Janse-
nius ipse, Thomassinus, similesque opponunt, quoniam id opponi a Catholicis posse
sentiunt. Quod igitur amicis expono, hoc ipsum est quod Jansenius, Thomassinus,
Ambrosius Victor, Malebranchius, aliique docent; neque ego quidquam ipsis im-
pingo falsi criminis » (1. c., f. 11 a). La fonte comune è considerato M. Ficino nella
sua Tbeologia platonica (sono citati: lib. II, c. 3; lib. V II, c. 7) che è detto sen
z’altro à9-eo<; ed è accostato al Vanini (f. llb-12a-b).
9 Op. cit., ed cit., fol. 14 a. Il Thomassin è considerato uno dei fondatori
della teologia positiva con la sua opera fondamentale Dogmata theologica> Paris
1680 ss.
10 Op. cit., ed. cit., fol. 20 b. Più sotto (fol. 26) si legge l’accusa esplicita
di arianesimo, in quanto il Padre è detto Unitas e il Figlio Veritas (P atris).
L ’Hardouin esamina qui l’altra opera del Thomassin, La méthode d ’étudier et d }en-
seigner chrétiennement et solidement la Philosophic..., à Paris 1683.
116 LE POLEMICHE SULL’ATEISMO DEL RAZIONALISMO
tio [ ...] . Est enim lex ratiocinandi Deus ipse » 11. Ma non si risale al
principio e non si pone il problema del principio: ci si accontenta,
ripetendola all’infinito, dell’accusa.
La requisitoria contro Malebranche è la più impegnata e appro
fondita, oltre che la più vasta e mordace: « Is certe impiam hypothesim
apertissime omnium atque audacissime protulit in publicam lucem,
ac defendit, et Gallici sermonis elegantia perpolivit ». Si legge ora
Patto di accusa che riassume nelle varie fasi anche il procedimento
degli autori precedenti e che nel Malebranche assume una radicalità più
esplicita: « Huic pro Deo est Ens seu Verum praecise, Ens seu Verum
sine ullo fine aut limite, a quo et per quod est vere quidquid est in
rerum natura. E t quod est in ilio Ente Bonum indeterminatum,
tò àyafróv, to Tpéjctov, to Seov. Rectitudo entium, Ordo rerum, ordo
11 Op. cit., ed. cit., fol. 20 s. Il particolare favore col quale è stato accolto
Cartesio nelPOratorio di Francia dallo stesso Bérulle e poi dai suoi discepoli è
stato rilevato ampiamente da F. Bouiller, Histoire de la philosophic cartésienne,
Paris-Lyon 1854, t. I, p. 412 ss. È curioso che a difesa dei filosofi incriminati di
ateismo dall’estroso gesuita sia sorto il più celebre apologeta del Settecento, il
grave domenicano Vaisecchi, il quale lamenta che il dotto accusatore « ... in celebri
Tractatu Athei detecti, in quo Atheos traducit excellentes scriptores, quibus certo
nulla nota minus, quam Atheismi inuri poterat » (A. Vaisecchi, Ord. Praed., De
fundamentis religionis et fontihus impietatis, II ed., Venetiis 1770, p. 144 b).
12 Athei detecti, ed. cit., fol, 43 a. Avendo postò il « principio dell’ateismo »
(del nuovo spiritualismo agostiniano) nella concezione di Dio come « Ens, Verum,
Bonum... absolutum, indeterminatum » e identificandolo nell’argomento ontologico
dell’esistenza di Dio, il Nostro ha pensato di premettere l’esposizione di Malebran-
ONTOLOGISMO E ATEISMO DEL « COGITO » CARTESIANO 117
che a quella di Cartesio. (Sui rapporti fra Fargomento ontologico e l’ateismo, v. ora:
C. Fabro, L'uomo e il rischio di Dio, Roma 1967, p. 275 ss.).
13 Cf., p. es., Athei detecti, ed. cit., fol. 45 ay 45 h, 50 a> 54 a, 55 ay 57 ay
60 by 67 ay 71 by 72 by 79 a} 90 by e passim.
14 Op. cit.y ed. cit., fol. 43 &-44 a. Qui c’è un accenno, vago però, della
dipendenza di Malebranche da Cartesio.
15 Op. cit.y ed. cit., fol. 44 a. Un po’ più sotto Malebranche è detto « Atheo-
logus » (fol. 45 b ).
118 LE POLEMICHE SULL'ATEISMO DEL RAZIONALISMO
22 Atheì detecti, c. IX, ed. cit., fol. 200 a. Sui sentimenti personali di Car
tesio come cattolico praticante nessuno ha mai sollevato dubbi. Il Baillet, suo
biografo, afferma ch’egli ha convinto molti atei e che entusiasmava quando parlava
di Dio (cf. J. Orcibai, Descartes et sa philosophie jugés à VHotel Liancourt, in
Descartes et le cartésianisme hollandais} Paris 1950, p. 101). Si è già detto
sopra che Cartesio intraprese la sua opera del cogito con lo scopo precisamente di
vincere l’incredulità e l’ateismo. Sul dilagare dello scetticismo e dell’ateismo, come
risultato dell’umanesimo, e sulla sua diffusione in Francia e specialmente a Parigi
(dove il Mersenne contava ben 50.000 atei!) v. Boullier, Histoire de la philosophie
cartésienne, t. I, p. 27 ss.
23 Descartes, Meditationes de prima philosophia, in Medit. V, Dub. IV, In-
stantia 2, ed. Adam-Tannery, t. V II, p. 405; cf. O. Hamelin, Le Systèrne de De
scartes, IIe éd., Paris 1921, p. 139 ss. Il Nostro conosce le obiezioni e cita avanti
le risposte di Cartesio; non l’ho visto però citare quelle di Gassendi.
24 Athei detecti, c. IX, ed. cit., fol. 200 £-201 a.
ONTOLOGISMO E ATEISMO DEL « COGITO » CARTESIANO 121
perfections nudae consideratae, non ut est haec vel illa perfectio, sed
ut est Perfectio et Ens in genere; idea sive perceptio est realitatis infi-
nitae, est actualis: ergo illius ideae sive perceptionis Objectum, cum
sit istud illius causa efHciens, Realitas est infinita et actualis: ergo
Deus existit actu. Nam quod est infinitum, et actu existit, Deus est ».
Cartesio è convinto di poter concludere all'esistenza di Dio partendo
dall'idea di Dio, perché l'idea che ho di Dio non è un'idea come le
altre, un'idea contingente di cose contingenti, ma è un'Idea necessaria
dell'Ente necessario e quindi tocca ammettere che può essere prodotta
solo dall'Ente necessario, non può venire certo dal nulla che non è
o da noi che siamo contingenti. Ma il Nostro ribatte che anche il Dio
di Cartesio non è Dio ma una pura formalità; è la Perfectio in genere ,
è un Quid mere metaphysicum ; mentre Dio va concepito come Qui est ,
il Qui est singulatim allora può essere detto causa: « ... hoc est illud
qualecumque perfectum, hoc et illud qualecumque est, fecit ». E l'Idea
di Dio, come dell’Essere infinito, che Cartesio tanto celebra, non dice
nulla di più dell'idea di Ens in genere, Verum in genere ... E più che
idea dell'Infinito positivo, è idea del non-finito ch'è opera della rifles
sione (idea factitia) ed è stolto ed empio chiamare Dio l'oggetto di
una simile idea: « Deus enim de quo serio quaeritur num existat, spiritus
intellectivus singularis est et incommunicabilis, cuius in Cartesiana de-
monstratione nullum vel tenue vestigium est » 25. E anche gli altri
argomenti, che Cartesio porta, non concludono di più.
Rileviamo le osservazioni più importanti. Cartesio introduce anche
l'argomento dell'impossibilità del « processo all'infinito »: per fondare
la verità delle idee, non possiamo passare all'infinito da una idea
all'altra, ma si deve arrivare ad una Prima Idea che le contiene tutte:
« Quamvis forte una idea ex alia nasci possit, non tamen hic datur
processus in infinitum; sed tandem ad aliquam pr im am ideam debet
deveniri, cuius causa sit instar archetipi, in quo omnis realitas formaliter
contineatur, quae est in idea tantum obiective » 26. Risponde il Nostro
che il processo all'infinito si può evitare arrivando semplicemente all'idea
di Ens in genere, Realitas in universali, ch’è la prima idea nell'ambito
formale.
Quando poi Cartesio pretende che nella natura o struttura delle
25 Athei detectiy ed. cit., fol. 201 a-b. Segue un’ampia documentazione di
testi dalPoriginale latino delle Meditationes II I, IV e V.
26 Cartesius, Meditai, de prima philosophiay Medit. I l i , ed. Adam-Tannery,
t. V II, p. 42 (v. Athei detectiy fol. 201 b).
122 LE POLEMICHE SULL’ATEISMO DEL RAZIONALISMO
altre idee come tali, sia inclusa l ’idea di Dio, è questa un’afferma
zione senza senso: « Quantum ad ideas, quae alios homines, vel ani-
malia, vel Angelos exhibent, facile intelligo ex iis, quas habeo meiip-
sius, et rerum corporalium et Dei, posse componi: quamvis nulli praeter
me homines, nec animalia, nec Angeli in mundo essent » 27. Falsissimo,
osserva il Nostro: solo chi riduce l ’idea di Dio a quella di Ens inde
terminato può fare una simile affermazione, in quanto è chiaro che
ogni idea particolare rimanda a quella più generale di Ens. Falso è
tutto il procedimento della Meditazione I I I , nella quale dall’essere
oggettivo delYidea} dal suo trovarsi nella mente e dalle perfezioni che
in essa sono significate, si possa dimostrare l ’esistenza di Dio; perché
tutto ciò, e qualsiasi procedimento del genere, si può spiegare mediante
l ’idea di Ens « ...quam mens abstrahit ex idea vel sensu sui entis alio-
rumque similium, sive haec existant sive non existant » 28. La critica
dell’Hardouin è quindi categorica: tutti gli attributi che Cartesio attri
buisce all’essere oggettivo dell’idea si riducono ad aspetti dell’idea di
Ens e non dell’idea di Dio; perciò dall’essere oggettivo dell’idea non
si prova affatto l ’esistenza di Dio come principio trascendente e per
sonale.
Né più facile è l ’argomento della Meditazione IV nella quale Car
tesio, muovendo dalla coscienza della propria imperfezione come dubi
tante, passa all’idea chiara e distinta dell’Ente perfettissimo: « Cum
attendo me dubitare, sive esse rem incompletam et dependentem, adeo
idea clara et distincta entis independents et completi, hoc est, Dei, mihi
occurrit. E t ex hoc uno quod talis idea in me sit, sive quod ego ideam
illam habens, existam, adeo manifeste concludo Deum edam exist ere ,
atque ab ilio singulis momentis existentiam meam dependere, ut nihil
evidentius, nihil certius, ab humano ingenio cognosci posse confidam » 29.
Niente affatto: dire ch’io sono cosciente della mia imperfezione, signi
fica che io apprendo, almeno confusamente, che mi manca qualche
perfezione che desidero avere. Ma non segue da ciò che tale perfezione
sia Dio, a meno che Dio non sia VEsse come principio formale del mio
essere: « Sed Deus iste Atheorum est » 30.
Né miglior fortuna sembra toccare alla Meditazione V che sviluppa
l ’argomento delle verità geometriche e matematiche: « E t quamvis a
31 Cartesius, Medit. de prima philos., Medit. V, ed. cit., t. V II, p. 64. Nelle
Secundae responsiones, Cartesio precisa: « Quod autem Athens possit dare cogito-
scere tres angnlos aequaìes esse duobits rectis, non nego; sed tantum istam eius
cognitionem non esse veram scientiam affirmo quia nulla cognitio quae dubia
reddi potest, videtur scientia appellanda » (ed. cit., t. V II, p. 141). Infatti il
dubbio, più che dal cogito, è fugato per Cartesio solo dal ricorso alla veracità
di Dio.
32 Athei detecti, ed. cit., fol. 204 a. Quanto al concetto di existentia il
Nostro scrive: « Existentia autem praecise, ut docent Metaphysici, perfectio non
est, sed modum singiilariim perfectionum » (1. c.). È questo il concetto formali
stico di « esistenza » ch’è il semplice « fatto » estrinseco, come « stato » dell’es
senza, come « ppsitio rei extra causas » e può quindi, come fa l’Hardouin, esser
detta « modo » dell’essenza al quale si contrappone allora lo « stato » in modo
di possibilità, Questa concezione deriva nel mondo latino dalla scolastica araba e
più precisamente da Avicenna e si connette alle controversie sulla distinzione fra
Tesse essentiae e Tesse existentiae delle scuole antitomiste (Enrico di Gand, No
minalismo, Fonseca, Suarez, Arriaga...). S. Tommaso contrappone alla concezione
estrinsecistica dell’esistenza, come fatto e modo, quella dell’^-re o actus essendì
come principio intrinseco dell’ente, partecipazione propria dell’Atto puro ch’è Dio
( Esse ipsum) e perciò atto di ogni atto e perfezione di ogni perfezione (cf. C. Fabro,
La nozione metafisica di partecipazione, II I ed., Torino 1963, p. 191 ss.).
124 LE POLEMICHE SULL’ATEISMO DEL RAZIONALISMO
33 Cartesius, Medit. de prima philos.y ad primas Ob., ed. cit., t. V II, p. 119.
Anche nella risposta alle seconde Obiezioni, dove Cartesio spiega in che senso l’idea
di Dio è in noi «in n ata»: « Ipse enim expresse dixi [...] hanc ideam mihi esse
innatam, sive non aliunde quam a meipso mihi advenire. Concedo edam ipsam
posse formari, licet Ens supremum existere nesciremus, sed non si revera non exi-
steret. Nam contra monui, omnem vim argumenti in eo esse, quod fieri non possit,
ut facultas ideam istam formandi in me sit, nisi a Deo sim creatus » (1. c., p. 133).
34 Athei deferti, ed. cit., fol. 205 a-b.
35 Athei deferti, ed. cit., fol. 207. La stessa accusa è stata fatta da P. Petit,
ed è ricordata dal cartesiano Jo. Amerpoél.
36 Athei deferti, ed. cit., fol. 211 b.
ONTOLOGISMO E ATEISMO DEL « COGITO » CARTESIANO 125
mondo è stato creato ab aeterno ... ed altri molti errori che vengono
ripetuti in coro dai cartesiani (Le Grand, Regis, Foucher...)37.
Nella terza parte della critica il Nostro rimprovera a Cartesio di
ammettere l’esistenza del mondo esterno solo per divina rivelazione,
poiché nella dottrina cartesiana i sensi non hanno verità alcuna, ciò
che poi è stato affermato esplicitamente da Malebranche la cui formu
lazione è assai istruttiva perché avrebbe potuto mettere l ’Hardouin
in una direzione critica meno estrinseca e più istruttiva di quella se
guita finora. Ecco il testo di Malebranche: « Je crois que voici une
démonstration fort simple, qu’on ne peut s’assurer de l’existence du
monde, que par revelation, soit générale soit particulière, et qu’on ne
peut donner la démonstration exacte. Le monde n’est point une ema
nation nécessaire de la divini té. Il dépend des decrets divins, fort
fibres à cet égard, et fort indifferens. L ’existence du monde n’est point
nécessairement enfermée dans l’idée de l’Estre infiniment parfait. Or
une verité n ’est demons tree, que lorsque on a fait voir clairment,
qu’elle a un rapport nécessaire à son principe. Done les saints mesmes,
qui contemplent l ’essence divine, ont besoin que Dieu leur apprenne
par revelation , s’il a créé ou s’il conserve le monde » 38. In siffatta
posizione — il Nostro si limita ad osservare — non ha alcun valore
la prova presa dallo spettacolo del mondo e non ha più senso il Caeli
enarrant gloriam Dei ( Ps . 18, 1) e così la fede cristiana come quella
ch’è ex auditu sfuma in un’opinione: dottrina questa propria di quac
queri e tremolanti39.
Qualche osservazione sul metodo e sul contenuto di fondo della
requisitoria degli Athei detecti. Anzitutto ci sembra che l’opera meriti
37 Athei detecti, ed. cit., spec. fol. 214-223 b. Rileviamo in particolare l’anti
cipazione dell’occasionalismo di Malebranche e la negazione del concorso divino
con le cause seconde (fol. 220 b-222 a).
38 Malebranche, Dial, de tnetaph. et relig.: Athei detecti, ed. cit., fol. 223 b-
224 a.
39 Athei detecti, ed. cit., fol. 224 a. Segue un attacco violento alla difesa
fatta da Cartesio dell’eliocentrismo, d’accordo con Copernico e Galileo, che sono
detti « primi huius amentiae assertores » (1. c., fol. 224 b)\ Si rilevano poi gli
errori del meccanicismo animale (fol. 225 b)y di pelagianesimo circa l’essenza del
peccato originale (fol. 226 a), del traducianismo per l’origine dell’anima umana
(fol. 227 b), gli equivoci sull’immortalità dell’anima (fol. 228 b-230 a) e sulla dot
trina della grazia (fol. 230 tf-233 a). Una simile accusa di ateismo l’Hardouin la
rivolgeva anche ai giansenisti (cf. A. R. Desautels, Les mémoires des Trévoax et
le mouvement des idées au X V IIe siècley Roma 1956, p. 129 s.).
126 LE POLEMICHE SULL'ATEISMO DEL RAZIONALISMO
esteso che nel senso come quando si dice questo del fuoco in un pezzo
di ferro; il fuoco non ha per l’appunto altra dimensione che il ferro
stesso ». Ma secondo questa concezione si è autorizzati ad obiettargli
ch’egli proclama assai chiaramente che non si dà altro Dio se non
la natura, e questo è puro spinozismo. In realtà è noto che Spinoza
ha attinto il suo sistema da principi cartesiani dai quali esso deriva
necessariamente. SÌ è potuto pertanto — conclude il D ’Holbach —
accusare con ragione Descartes di ateismo poiché egli stesso, ed in assai
grande misura, distrugge le deboli prove che avanza per l’esistenza
di Dio. In realtà Dio non potrebbe, prima di aver creato una materia,
né esistere insieme né essere esteso, ed in questo caso secondo Cartesio
non ci sarebbe nessun Dio, poiché le modificazioni, una volta che si
toglie loro il soggetto, devono sparire anch’esse. Se Dio secondo i
cartesiani non è altro che la natura, essi allora sono spinoziani con
fessi; se Dio è la forza motrice della materia, allora questo Dio non
esiste più per se stésso, egli esiste solo in quanto esiste il soggetto
al quale aderisce, che si chiama natura, di cui è la forza motrice. Allora
che sarebbe mai questa forza senza la materia, che sarebbe quindi
Dio senza il mondo? 43 Vedremo più avanti come Hegel farà dell’ulti
ma formula della critica di D ’Holbach a Cartesio, la formula della
propria filosofia, affermando nel suo spinozismo trascendentale che
« ... senza il mondo Dio non è Dio » 44.
D ’Holbach trova le stesse contraddizioni nella posizione degli altri
cartesiani, a cominciare dal Malebranche che non può neppure lui evi
tare lo spinozismo, come quando scrive: « L ’universo è una emana
zione di Dio; noi vediamo tutto in Dio: tutto ciò che noi vediamo è
soltanto Dio; Dio solo produce ciò che accade, lui solo è tutto l’agire
e tutta l ’attività; in breve, Dio è tutto l ’essere e l ’unico essere ». Non
è questo un affermare, osserva il Nostro, che Dio è la natura? Nello
stesso momento poi in cui Malebranche afferma che noi vediamo tutto
in Dio, dice anche: « Non è stato ancora dimostrato ch’esista una ma
teria e ch’esistano corpi, e solo la fede c ’insegna misteri così grandi di
cui altrimenti noi non avremmo conoscenza alcuna ». A questo pro
posito gli si potrebbe porre la questione: come si può dimostrare la
58 M. Blondel, U è tre et les étres, Paris 1935, p. 522. In uno studio giovanile
il Blondel aveva parlato di un « agnosticismo » in Descartes (Le christianisme de
Descartes, in Revue de métaphysique et morale, 1896, p. 560). L’ateismo di fondo
del cogito cartesiano è affermato oggi risolutamente da W. Schulz: « Diese Konsti-
tuirung des Selbstbewusstseins ist eindeutig gegen jede nur ausdenkbare Trans-
zendenz gerichtet... Descartes setzt wiederum ganz bewusst atheistisch » e parla di
un « ... methodische Wille zum Atheismus » (Der Gott der neuzeitlichen Meta-
physik, Pfullingen 1957, p. 35 s.).
59 M. Blondel, Uaction, Paris 1936, t. I, p. 341 s.
60 J.-P. Sartre, Descartes, Coll. Les classiques de la liberti, Paris 1946,
p. 12 ss. (^Introduction, di cui riassumo qui alcuni momenti, è a nostro avviso
un saggio di penetrazione e lucidità). Il nucleo di quest’interpretazione c’è già in
L ’Ètre et le Néant, Paris 1943, spec. p. 563 s.
138 LE POLEMICHE SULL’ATEISMO DEL RAZIONALISMO
6 Ep. X L II, ed. Gebhardt, t. IV, p. 207 ss.; POstens fece visita a Spinoza
nel febbraio 1671 (cf. K. O. Meinsma, Spinoza and sein Kreis, tr. ted., Berlin
1909, p. 412 s.).
7 « Habes hic, Vir Ornatissime, per compendium tibi traditam summan doc-
trinae theologi-politici, quae meo judicio omnem cultum et religionem tollit,
atque funditus subvertit, ciani Atheismum introducit, aut talem Deum fingit,
cuius Numinis reverenda non est quod homines tangantur, quia ipse fato subjicitur,
neque ullus gubernationi aut providentiae divinae locus relinquitur, omnisque
poenarum atque praemiorum distributio tollitur » (Ep. X L II, 1. c., p. 218).
144 LE POLEMICHE SULL’ATEISMO DEL RAZIONALISMO
et essentia sunt diversae, ita earum ideas libere in mente divina esse »
(p. 212). La critica passa poi agli argomenti più particolari del Tractatus
circa la struttura della religione rivelata e della società civile.
Merita di essere letta la sconsolata conclusione dello scempio che
Spinoza ha fatto della fede in Dio e di ogni religione e dell'ateismo che
sottovia queste sue idee mettono in circolazione. La denunzia quindi è
un dovere di coscienza: « Arbitror itaque me non magnopere a vero
aberrasse, ncque Auctori a me iniuriam fieri, si denunciem eum tectis,
et fucatis argumentis merum Atheismum docere ». L'accusa non sem
brava improvvisata e doveva rispecchiare un'impressione largamente dif
fusa. Appena Spinoza ne ebbe conoscenza, prese tempo a riflettere.
La sua replica9 è risentita, ma non elude le accuse e le affronta
direttamente; egli procede punto per punto per smascherare i tranelli
dell'avversario: 1) La vita privata non è un criterio trascurabile per
giudicare della dottrina di qualcuno: « Prima ait, parum interesse ,
scire cujus gentis ego sim, aut quod vitae institutum sequar\ quod
sane si novisset, non tam facile sibi persuasisse me atheismum docere;
solent enim athei honores, et divitias supra modum quaerere, quas ego
semper contempsi, ut omnes qui me norunt, sciunt. Deinde, ut ad id,
quod vult viam sterneret, ait, me non stupidi ingenii esse, ut facilius,
scilicet, persuadere possit, me callide, et versute, maloque animo pro
pessima Deistarum causa verba fecisse. Quod satis ostendit, ilium meas
rationes non intellexisse » (p. 219 s.). È l'argomento al quale Bayle
darà l'ampiezza di una concezione completa della vita e soprattutto dei
rapporti fra religione e morale. 2) È il punto più impegnativo per la
risposta all'accusa di ateismo che Spinoza sviluppa per parti, ma non
si tratta propriamente di una replica quanto di una ripetizione dei propri
argomenti, che l'accusatore aveva del resto egregiamente riassunti. Anzi
tutto, all'accusa di aver travolto insieme con la critica alla superstizione
la stessa religione, Spinoza chiede all'avversario qual è la distinzione
da fare, mentre toccava a lui chiarire la distinzione in questione, dato
che l'accusatore aveva difeso il cristianesimo come religione autentica.
Spinoza invece identifica la religione con la conoscenza di Dio e con
la morale: « An, quaeso, file omnem religionem exuit, qui deum sum-
10 « This protest is strong and even vehement in its terms, and there is
not the least reason to doubt its sincerity... It is evident that he considered religion
as something very real in man's life, and the charge of irreligion or atheism
as the grossest and the most wicked of calumnies. But this religion, as he
understands it, is not the religion of churches and sects. It is independent of
dogmatic theology, independent of any particular knowledge or belief as to re
velation, independent even of the so-called natural theology which holds to the
conception of God as a Person after all other definitions of his nature have been
renounced, and to the expectation of another life which shall redress the balance
of the present one in some manner of which all specific knowledge is disclaimed »
(F. Pollock, Spinoza. His Life and Philosophy, London 1899, p. 66).
11 Ep. LVI ad Hugonem Boxel, ed. cit., t. IV, p. 259 ss. Il suo concetto di li
bertà Spinoza lo attribuisce a Cartesio: « Liberum enim dicit Cartesius quod a nulla
148 LE POLEMICHE SULL’ATEISMO DEL RAZIONALISMO
altre cose è sullo stesso piano della conoscenza che Dio ha di se stesso:
parimenti, se il modo di essere di Dio è la necessità, necessaria dev’es
sere anche l ’esistenza delle cose in Dio e le cose non sono e non pos
sono essere che in Dio. La libertà nel senso volgare ossia come indiffe
renza si riduce ad ignoranza o al dubbio, e la volontà non può essere in
balìa della contingenza e quindi non può essere che necessità: « ...Vo-
luntatem semper constantem, et in omnibus determinatam, virtutem,
necessariamque intellectus esse proprietatem; videbis mea verba peni-
tus cum veritate concordare » (p. 259). Voler ammettere due volontà
in Dio, una necessaria e l’altra d’indifferenza, è semplicemente assur
do, perché è ammettere che Dio non possa volere una cosa e non la
possa intendere: « ...et consequenter Dei voluntatem ab essentia sua,
suoque intellectu diversam concipiemus, et hoc pacto in aliam, ac aliam
incidemus absurditatem » 12. Questo concetto di libertà, che salda per
fettamente il circolo dell’essere e dell’agire, va inteso in senso forte
e sta perciò agli antipodi del concetto psicologico di una libertà di
scelta: « Ego earn liberam esse dico, quae ex sola suae naturae neces
sitate existit, et agit; coactam autem, quae ab alio determinatur, ad
existendum, et operandum certa, ac determinata ratione. Ex. gr. Deus,
tametsi necessario, libere tamen existit, quia ex sola suae naturae
necessitate existit. Sic etiam Deus se, et absolute omnia libere intelligit,
quia ex sola ipsius naturae necessitate sequitur, ut omnia intelligat.
Vides igitur me libertatem non in libero decreto, sed in libera neces
sitate ponere » 13. Spinoza può aver anche ragione nel riferire questo
concetto di « libertà chiusa » a Cartesio, ma la formula è sua e costi
tuisce un approfondimento della nozione cartesiana in quanto cioè con
quest’inserimento della libertà-necessità della metafisica stoica all’in
terno dell’immanenza si opera la saldatura perfetta fra il conoscere
e l’agire.
È questa libera necessitai, questo supremo paradosso, la nuo
va formula del principio d’immanenza: è il modo proprio di attuarsi
di Dio, ma anche dell’uomo in Dio come si è visto: è su questa linea,
più che su quella cartesiana, che si svilupperà nella filosofia moderna
14 « Quod cum Cartesio ait, ilium liberum esse, qui a nulla causa externa
cogitur, si per hominem coactum intelligit eum, qui invitus agit, concedo nos
quibusdam in rebus nullatenus cogi, hocque respectu habere liberum arbitrium;
sed si per coactum intelligit, qui quamvis non invitus, necessario tamen agit (ut
supra explicui) nego nos aliqua in re liberos esse » (E p . L V III ad G. H. Schuller,
ed. cit., t. IV, p. 266 s.).
15 In questo senso si comprende il deciso rifiuto di Spinoza di applicare a
Dio qualsiasi « attributo umano », anche della sfera superiore sia intellettiva
come volitiva (cf. già VEp. XXI, ed. cit., t. II, p. 127 s.); attribuire a Dio qua
lità umane di qualsiasi genere sarebbe come attribuire all'uomo le qualità del
l’elefante (Ep. X X I I I , ed. cit., t. IV, p. 148). In questo l’accusa del Velthujsen
aveva colto il segno (Ep. X L II, ed. cit., t. IV, p. 208). Allo Schuller che gli
obiettava: « Cum Dei intellectus a nostro intellectu tarn Essentia quam existen-
tia differat, ergo nihil commune habebit cum nostro intellectu, ac proinde (per
Prop. I l l , lib. I) Dei intellectus non potest esse causa nostri intellectus », Spi
noza rispondeva risolutamente: « Mentem humanam ilia tantummodo posse co-
gnitione assequi, quae idea corporis actu existentis involvit, vel quo ex hac
ipsa idea potest concludi ». E spiegava, con un evidente anche se tacito pro
posito di superare il dualismo cartesiano: « Nam cuiuscumque rei potentia sola
ejus essentia defìnitur (per Prop. V II, p. 3, Ethices) mentis autem essentia (per
Prop. X III, p. 2) in hoc solo consistit, quod sit idea Corporis actu existentis,
150 LE POLEMICHE SULL'ATEISMO DEL RAZIONALISMO
dell'esistenza di Dio; anche se, per seguire Cartesio, egli presenta le sue
prove, si tratta in realtà di spiegazioni di ciò ch'era implicito nel primo
passo. E questo primo passo può esser fatto solo con Dio ovvero col
concetto di « sostanza » unica e perfetta che s'identifica perciò con
Dio e ne mostra là vera struttura speculativa di assoluta necessità,
come si è detto.
existit, una, eademque est. Ut ergo nullius causa existit, nullius edam
finis causa agit; sed ut existendi, sic et agendi principium, vel finem
habet nullum » 16. Voler introdurre o richiamare a questo proposito
la distinzione spinoziana di natura naturans e natura naturata, come
qualcuno ha pensato, non solo elude ma conferma la posizione di
monismo assoluto centrato sulla « natura » come tale: Dio è la natura
naturans, ossia la realtà ricondotta alla sua unità costitutiva e costi-
tuentesi in atto, ma nella natura e come natura per l’appunto. Alla
natura naturata si riferiscono infatti la dualità degli attributi e la
molteplicità dei modi, che non rompono ma saldano in modo indisso
lubile l ’unità della sostanza ch’è espressa dalla natura naturans.
La prima tappa perciò della filosofia di Spinoza, la pars ponens
del suo ateismo, è il suo stesso principio fondamentale: « Praeter Deum
nulla dari, neque concipi potest substantia » 17, una volta che a Dio
possiamo sostituire natura ( naturans) nel senso del Tutto come attività,
razionalità e autosufficienza. Dal punto di vista teoretico Vateismo è
già esplicato dal monismo metafisico della dottrina della Sostanza, dal
panenteismo come tale: esso viene senza dubbio aggravato qualora
l ’opposizione fra i due Attributi, che sono l’estensione e il pensiero,
cujus natura non potest concipi, nisi existens » 2829. Di questa, ch’è la
proposizione su cui poggia tutto l’edificio speculativo, Spinoza non
dà alcuna prova o spiegazione: essa costituisce una forma d’intuizione
riflessiva primordiale che esprime a suo modo un fondamento ancora
più originario del cogito per intendere la ragione della realtà del
principio ch’è presupposto al cogitare cioè la sostanza. E ’ mediante
questa formula che Spinoza può negare la realtà di consistenza della
natura naturata o mondo per riservarla alla natura naturans o Sostanza
trasferendo in Dio quell’attuosità costitutiva a cui egli riporta l’esisten
za di Dio. Questa considerazione sintetica emerge limpida nel proces
so artificioso delle sue deduzioni quando scrive nella Prop. V II della
prima parte délVEthica: « Ad naturam substantiae pertinet exist ere »;
ed aggiunge la dimostrazione: « Substantia non potest produci ab alio
{per Coroll. Prop, praeced .); erit itaque causa sui, id est (per defin. IX),
ipsius essentia involvit necessario existentiam, sive ad ejus natu
ram pertinet existere. Q. e . d . » 29. E Spinoza infatti si affretta a
mostrare come la proposizione riferita dà la chiave di tutto il sistema
contro le false concezioni del principio d’appartenenza da parte di
coloro che vorrebbero qualificare per sostanza e quindi sussistenti in
sé anche le cose finite: « Si autem homines ad naturam substantiae
attenderent, minime de veritate V II Prop, dubitarent; imo haec Prop,
omnibus axioma esset, et inter notiones communes numeraretur. Nam
per substiantiam intelligerent id, quod in se est, et per se concipitur,
hoc est, id, cujus cognitio non indiget cognitione alterius rei ». L ’affer
mazione dell’esistenza della sostanza come conseguenza diretta della
sua essenza ossia dell’identità di essenza e di esistenza e l ’affermazione
dell’unicità della sostanza sono due aspetti e momenti della sostanza
come causa sui\ « Jam quoniam ad naturam substantiae {per jam
ostensa in hoc Schol.) pertinet existere, debet ejus definitio necessa-
riam existentiam involvere, et consequenter ex sola ejus definitione
debet ipsius existentia concludi. At ex ipsius definitione {ut jam ex
Nota I I et I I I ostendimus) non potest sequi plurium substantiarum
28 Ethices, P. I, Def. I, ed. cit., t. II, p. 45. Questa dottrina della cosiddetta
causalità immanente si trova già nei primi scritti di Spinoza (cf. P . Lachièze-Rey,
Les orìgines cartésiennes da Dieu de Spinoza, Paris 1932, p. 21 ss.).
29 Ethices, P. I, Prop. V ili, Scholium II, pp. 50-51. Sul principio che in Dio
« ... essentia involvit existentiam », sono fondate le dimostrazioni e gli scholia delle
dimostrazioni che trattano della natura di Dio (cf. Cogitata Metaphysica, P. I,
cc. I M I I ; P. II, c. I).
158 LE POLEMICHE SULL’ATEISMO DEL RAZIONALISMO
36 Spinoza infatti parla contro i suoi avversari di una sostanza corporea infi
nita, unica, indivisibile...: « Nam substantia corporea, quae non nisi infinita, non
nisi unica et non nisi indivisibilis potest concipi » (v. Prop. V ili, V e X III)... e
concepisce la materia come il fondo dell’essere: « ...Materia ubique eadem est, nec
partes in eadem distinguuntur, nisi quatenus materiam diversimode affectam esse
concipimus unde eius partes modaliter tantum distinguuntur, non autem realiter ».
Ed esemplifica in modo significativo: « E x gr. aquam, quatenus aqua est, dividi
concipimus, cuiusque partes ab invicem separari: at non quatenus substantia est
corporea; eatenus enim neque separatur, neque dividi tur. Porro aqua, quatenus
aqua, generatur et corrumpitur; at quatenus substantia, nec generatur, nec cor-
rumpitur » (Etbices, P. I, Prop. XV, ed. cit,, t. II, p. 58 ss.).
162 LE POLEMICHE SULL'ATEISMO DEL RAZIONALISMO
noza, sono convinti che Dio e la natura siano due principi e due ordini
di causalità distinti: « ... duas igitur potentias numero ab invicem di-
stinctas imaginantur, scilicet, potentiam Dei et potentiam rerum natu-
ralium, a Deo tamen certo modo determinatam vel (ut plerisque magis
hodierno tempore sentiunt) creatam. Quid autem per utramque, et
quid per Deum et per naturam intelligant, nesciunt sane» (1. c .) 45.
La negazione della religione nel Tractatus è quindi la conclusione ine
vitabile dell’evaporazione di Dio nel Breve Trattato, nei Cogitata e
nell’Ethica. La dottrina spinoziana del miracolo offre quindi la « veri
fica » dell’immersione totale di Dio nel mondo e del mondo in Dio,
senza possibilità di equivoco46. Alla tradizione religiosa occidentale che
ha cercato sempre, in un modo più o meno adeguato, di concepire Dio
in modo personale c quindi di prospettare la creazione come un’atti
vità estrinseca e del tutto libera, e perciò puramente possibile e di
conseguenza indifferente rispetto all’essenza e alla vita divina, Spinoza
oppone una creazione come emanazione eterna necessaria in cui si attua
de natura habet, contingere videt; et propterea illos omnes Deum, aut saltern Dei
providentiam tollere putant, qui res, et miracula per causas naturales explicant,
aut intelligere student» (Tractatus theol-pol., c. V I, ed. cit., t. I l i , p. 81).
45 Di qui la conclusione drastica di un determinismo naturale assoluto: « Nihil
igitur in natura contingit, quod ipsius legibus universalibus repugnet; at nec
etiam aliquid, quod cum iisdem non convenit, aut ex iisdem non sequitur: nam
quicquid fit, per Dei voluntatem et aeternum decretum fit, hoc est, ut jam osten-
dimus, quicquid fit, id secundum leges et regulas, quae aeternam necessitatem et
veritatem involvunt, fit; natura itaque leges et regulas, quae aeternam necessitatem
et veritatem involvunt, quamvis omnes nobis notae non sint, semper tamen observat
adeoque etiam fixum atque immutabilem ordinem; nec ulla sana ratio suadet,
naturae limitatam potentiam et virtutem tribuere, ejusque leges ad certa tantum,
et non ad omnia aptas, statuere » (Tractatus theol.-pol., c. V I, ed. cit., t. I l l , p. 83).
Spinoza si richiama espressamente a questo capitolo, tacciando con amaro sarcasmo
d’ignoranza la fede nei miracoli, scrivendo all’Oldenburg: « Ad miracula deinde
quod attinet, mihi contra persuasum sit, divinae revelationis certitudinem, sola
doctrinae sapientia, non autem ?niraculis, hoc est ignorantia, adstrui posse. Quod
satis prolixe cap. 6, De miraculis, ostendi ». I cristiani che si appellano ai miracoli,
invece di seguire la filosofia, riducono la religione in superstizione e in ignoranza
« . .. quae omnis malitiae fons est » (E p . L X X III, ed. cit., t. IV , p. 307 s.).
46 « Quare ex miraculo, sive opere, quod nostrum captum superat, nec Dei
essentiam, nec existentiam, nec absolute aliquid de Deo, et natura intelligere pos-
sumus, sed contra, cum omnia a Deo determinata et sancita scimus esse, et operatio-
nes naturae ex Dei essentia consequi, naturae vero leges Dei aeterna decreta et voli-
tiones esse, absolute concludendum, nos eo melius Deum, Deique voluntatem co-
gnoscere, quo melius res naturales cognoscimus, et clarius intelligimus, quomodo
a prima sua causa dependent, et quomodo secundum aeternas naturae leges operan-
tur » (Tractatus theol.-pol., c. V I, ed. d t., t. I l i , p. 83).
PANTEISMO E ATEISMO NELLA METAFISICA SPINOZIANA 167
(si badi bene!) la stessa vita divina in modo che le leggi della natura
esprimono il tessuto stesso della realtà della vita divina nella sua proie
zione cosmica. Il miracolo perciò, lungi dall’essere un argomento dell’e-
sistenza di Dio, porterebbe per Spinoza difilato alla sua radicale negazio
ne: resistenza del miracolo sarebbe un’infrazione delle leggi divine del
cosmo, diventerebbe la prova del caso e del caos e quindi porterebbe
alPateismo 41. Questa dottrina del miracolo toglie pertanto ogni dub
bio, qualora fosse rimasto, sulla concezione spinoziana di Dio, ossia
sull’identità che vi è affermata di Dio e natura, nel senso eh’è stato
indicato e che Spinoza espressamente ammette4748, e quindi non esiste
per l ’uomo possibilità di appello della religione contro il verdetto della
filosofia.
È stato Spinoza pertanto, assai prima di Hegel, a concepire il
corso del reale secondo il circolo perfetto della ragione, eliminando la
contingenza ed affermando la perfetta coincidenza in Dio di libertà
e necessità nella creazione e perciò l ’appartenenza di Dio al mondo e
del mondo a Dio. Il punto è decisivo per afferrare l’equivoco della
metafisica immanentistica e quindi del teismo-ateismo dell’idealismo
trascendentale e di quello hegeliano in particolare: teismo in super
ficie e ateismo in profondità, come vedremo: « Respondeo vero, quod,
sicuti certum est fortuitum et necessarium duo esse contraria, ita
manifestum etiam est eum, qui mundum necessarium divinae Naturae
effectum affirmat, omnino etiam mundum casu factum esse negare:
49 Ep. LIV ad Hugonem Boxel, ed. cit., t. IV, p. 251 s. Su questo punto il
contrasto fra teologia che concepisce Dio in modo personale e la filosofia in modo
cosmico è insanabile (cf. Ep. X X III, ed. cit., t. IV, p. 148 s.; Ep. X L II, 1. c., p. 208).
Dal determinismo assoluto delazione di Dio segue il determinismo assoluto del-
Tattributo umano (cf. Cogitata Metaphysica, P. II, c. II, ed. cit., t. I, p. 274).
50 La derivazione della sostanza spinoziana dalla sostanza cartesiana nella sua
ultima forma dei Principia philosopbiae (I, 51) è generalmente ammessa (cf. E . E .
Powell, L eb er Spinozas Gottesbegrijf, Halle a S. 1899, p. 26. L ’A. accenna ai rap
porti con la nozione di sostanza di Suarez: Disp. Metaph. XXX).
PANTEISMO E ATEISMO NELLA METAFISICA SPINOZIANA 169
E ' con Spinoza perciò che s'inizia l’equivoco della dottrina mo
derna sulla « esistenza » quale poi sarà elaborata da Hegel nella L o
gica e trasmessa al pensiero contemporaneo (fenomenologia, marxismo,
esistenzialismo...). E Kierkegaard è d’accordo, in questo, con S. Tom
maso quando contesta a Spinoza un qualsiasi progresso reale del
pensiero con il principio che in Dio essentia involvit existentiam fin
quando, com’è il caso di Spinoza, l’implicazione di essenza ed esistenza
è dedotta a priori come puro rapporto di concetti: ciò di cui può
parlare Spinoza è solo il « concetto » di esistenza, l’esistenza ideale,
ed allora l’espressione essentia involvit existentiam diventa una pura
tautologia. Seguiamo un momento l’analisi di Kierkegaard. Spinoza, egli
osserva, sprofondandosi nel concetto di Dio, vuol dedurre l’essere a
partire dal pensiero: ma, si noti bene, non come una priorità, ma co
me una determinazione essenziale. Il suo modo di procedere è il se
guente: « ...quo res sua natura perfectior est, eo maiorem existentiam
et magis necessariam involvit; et contra, quo magis necessariam existen
tiam res sua natura involvit, eo perfectior est » 53. Quindi, quanto più una
cosa è perfetta tanto più ha essere, quanto più ha essere tanto più essa è
perfetta. Questa, però, è una tautologia. Esso diventa ancor più chia
ra, continua Kierkegaard, grazie ad una nota (1. c., nota I I): « quod hic
non loquimur de pulchritudine et aliis perfectionibus, quas homines
et superstitione et ignorantia perfectiones vocare voluerunt. Sed per
perfectionem intelligo tantum realitatem sive esse ». Egli spiega per-
fectio con realitas, esse ; dunque più la cosa è perfetta, e più essa è; ma
la sua perfezione è ch’essa ha più esse in sé, e ciò allora significa:
quanto più essa è, tanto più essa è. Questo, per la tautologia. Ma,
continua, c’è dell’altro nel processo spinoziano.
In esso manca infatti una distinzione fra l ’essere di fatto e l’es
sere ideale: ossia, in altre parole, — ed è la denuncia di Kierkegaard —
Spinoza si muove sempre nella sfera ideale della possibilità e da essa
deduce la realtà, invece di fondarsi sull’essere di fatto. Spinoza può,
nella sfera ideale, parlare di più o meno essere, quindi di differenza
di grado nell’essere; ma rispetto all’essere di fatto non ha senso il par
lare di più o meno essere. Una mosca, quando esiste, ha tanto es
sere quanto Dio... perché rispetto all’essere di fatto vale il detto di
Amleto: essere o non essere! L ’essere di fatto è indifferente rispetto a
tutte le differenze della determinazione essenziale e tutto ciò ch’esi-*I,
54 In un gruppo di testi del Diario del 1846, quindi posteriori al testo che
stiamo esponendo, Kierkegaard fa un’accusa precisa contro quest’immobilismo da
cui deriva anche la negazione spinoziana delle cause finali e perciò l’ambiguità di
tutta la costruzione deWEthica: « ... da una parte (per abolire la teologia) egli [Spi
noza] considera tutto in quiete, e poi dall’altra (in forza della definizione suum esse
conservare) la realtà finita si trova in divenire. Ciò significa che qui manca il con
cetto di movimento » (Papirer 1846, V i l i C 1, Copenaghen 1915, p. 401. Kierke
gaard rimanda anche a V II A 28, 29, 31, 34, 35: v. Diario, tr. it. C. Fabro, I I ed.,
t. I, nn. 916, 917, 920, 921).
55 Identico accenno a Leibniz in Papirer 1849-50, X2 A 328, tr. it., ed. cit.,
n. 2097, t. I, p. 1009.
56 Cf. S. Kierkegaard, Briciole di filosofia, tr. it. C. Fabro, Bologna 1962,
t. I, p. 131 s.
172 LE POLEMICHE SULL’ATEISMO DEL RAZIONALISMO
qui existe par elle-mème, et qui possède des perfections infinies, soit
sujette à tous les malheurs du genre humain? [ ...] Les raisons très
fortes, qui combatoient la doctrine que nos àmes sont une portion de
Dieu, ont encore plus de solidité contre Spinoza ». Ed alla fine in que
sto monismo non si può più parlare di verità e di errore: nulla perciò
di più ridicolo di questa filosofia63. Ognuno vede poi, conclude il Bayle,
come il cristianesimo perda in questo sistema ogni senso.
Nella selva delle polemiche di mezzo secolo basti raccogliere la
formula di Wolff che riassume con precisione la situazione nell’epoca
razionalistica e raccoglie in sintesi i principali capi d’accusa: « Spino-
sismus ab atheismo parum distat, et aeque noxius est, immo certo
respectu magis nocet, quam atheismus. Etsi enim Spinosa admittat
Deum, omnium rerum causam primam et unicam (§ 672): quoniam
tamen negat ipsum esse sapientem {not. § 712) et ex libera volunta-
te agere {not. § 709), ac universum hoc gubernare {not. § 714), et
corpora ac animas et, si quae sunt, res cogitantes alias, in eodem esse
tanquam partes in toto statuit {not. § 708); Deum fingit a vero Deo,
qui sapientia summa (§ 640, part. 1 Theol. nat.) et voluntate liberis
sima praeditus (§ 431, part. I Theol. nat.), universum hoc sapientia
sua gubernat (§ 902, part. I Theol. nat.), et in quo animae ac cor
pora et, si quae praeterea dantur, res cogitantes, non existunt, quae-
madmodum partes in toto (§ 708), prorsus diversum. Perinde igitur
est, ac si Deum verum existere negaret. Quamobrem cum atheus sit,
qui Deum existere negat (§ 411), Spinosismus ab atheismo parum di
stare patet. Quod erat primum ». Lo spinozismo è poi eversivo di ogni
ordine morale: « Porro Spinosismus tollit omnem religionem (§ 714)
atque obligationem divinam ad certas actiones committendas, alias vero
omittendas (§ 715); perinde ac atheismus (§§ 516, 539). Quoniam ita-
que atheismus noxius est, quatenus per eum religio omnis atque obli-
gatio divina ad certas actiones committendas, alias vero omittendas
tollitur, quin Spinosismus aeque noxius sit ac atheismus nullo modo
dubitari potest. Quod erat secundum ». Anzi a causa del suo fatalismo,
63 Cf. 1. c., Nota (N); Op. cìt., t. IV, fol. 262, col. a. Un esame ed una critica
delle principali Proposizioni delVEthica si trovano nella Nota (P), t. IV , fol. 263 a-b,
ed in particolare della Prop. XIV : Pmeter Deum nulla davi neque concipi posse
substantia (cf. più sotto la Nota [D D ], t. IV, fol. 268 b). La messa a punto della
polemica antispinoziana nel suo sviluppo storico è stata fatta da F. Erhardt, Die
Philosophie des Spinoza itn Lichte der Kritik, Leipzig 1908. Per l’accusa di ateismo,
v. specialmente p. 11 ss.
PANTEISMO E ATEISMO NELLA METAFISICA SPINOZIANA 175
lo spinozismo è più nocivo alla vita morale dello stesso ateismo espli
cito: « Atque ea de causa factum est, ut unanimi omnium consensu
athei existimentur Spinosistae et Spinosismus pro impia hypothesi
habeatur, cumque auctores alii, quibus atheismi labes fuit adsperta,
nacti fuerint suos defensores, nemo tamen hucusque extiterit, qui
eandem a Spinosa abstergere ausus fuerit. Quin potius Ethica Spinosae
unicum systema atheismi, quod publice prostat, agnoscitur: cuius
adeo fundamentum subvertere nostrum esse judicavimus » 64. Anche
per Wolff quindi lo spinozismo è la negazione di ogni religione natu
rale e positiva.
Superata nella seconda metà del see. x ix questa situazione di
disagio, grazie alla sinistra hegeliana (Feuerbach) e all’invasione del
materialismo positivistico, non sorprende che il marxismo consideri
lo spinozismo come uno dei pilastri, accanto ad Hegel, della propria
concezione del reale e si adoperi ad eliminare ogni residuo di teologicità.
La dualità degli attributi lascia in bilico la « qualità » dell’essere spi-
noziano: così mentre Pidealismo lo risolveva nella coscienza come
atto dello spirito, il materialismo dialettico di Feuerbach-Marx-Engels
preferiva concepire la coscienza come « riflesso » del mondo materiale.
Per Feuerbach, Spinoza è il vero Mosè dei moderni liberi pensatori e
materialisti: il suo errore è solo di metodo ossia di aver proceduto in
forma troppo astratta e di aver concepito Dio come soggetto e la
natura come predicato; comunque, Spinoza è il vero fondatore della
moderna filosofìa speculativa65. Alla fine del secolo scorso Ed. Bernstein
e K. Schmidt tentarono di riportare il marxismo al kantismo, ma il
marxismo di confessione sovietica si orientò decisamente su Spinoza:
la sua dottrina della «sostanza», come sintesi di opposti, permetteva
ad un tempo di superare il materialismo volgare (Vogt, Moleschott)
e di avviare l ’interpretazione del reale in funzione dialettica come
unità di estensione e pensiero, di natura oggettiva e di natura spiri
l'uomo alla natura e della natura alPuomo 68. In questo senso lo svilup
po della filosofia moderna fino alla contemporanea si compie alPombra
o, se piace, nella luce del principio spinoziano.
Con Pavvento del pensiero di Spinoza si profila una nuova con
cezione del mondo e delPuomo in esso e lo spinozismo è un fiume
ch'è diventato oceano nel quale confluiscono in varie guise le dire
zioni apparentemente più opposte. O piuttosto lo spinozismo è il fiume
sotterraneo che le alimenta tutte, il quale, appena qualcuna è impe
dita o si estingue per Pesaurimento della sua istanza, ne fa scaturire
altre nuove e più adatte al nuovo clima di cultura, che può essere
diverso e perfino opposto al precedente. Lo spinozismo non a caso,
perciò, è diventato il pilastro fondamentale del pensiero moderno prima
e dopo Kant, e perdura tutt'oggi malgrado il profondo mutamento di
indirizzo e di metodologia nella filosofia: perciò Hegel ha potuto con ra
gione (com'è noto) affermare, dal suo punto di vista, che « essere spino
ziano è Pinizio di ogni filosofare » 69. Tale inizio è avvenuto con Spinoza
e tale rimane ancor oggi nella filosofia delPimmanenza, e altro non
può essere, che P« unità delPessere » come essere di coscienza, comun
que vada poi intesa Pattività di coscienza che sta alla radice delPes
sere e delle sue determinazioni. L'alzata di scudi allora contro Spi
noza e lo spinozismo da parte dei teisti70, protestanti o cattolici, era
abbondantemente giustificata, come sarà quella che seguirà alPhege-
lismo: Punità delPessere deve portare a far scomparire uno dei membri
delPalternativa. Apparentemente in Spinoza e nell'idealismo metafisico
sembra debba svanire il finito e l'uomo in esso, ma in realtà è Dio
che fa le spese di questa nuova forma d'immanenza che avanza sul
doppio fronte delPessere e del conoscere. Ed è sintomatico che il moni
smo spinoziano sia invocato a proprio sostegno dalle nuove forme
68 Sull’influsso di Spinoza nella filosofia delle varie nazioni, v.: A. Van den
Linden, Spinoza, seine Lehr e und deren erste Nachwirkungen in Holland, Gottin
gen 1862; M. Grunwald, Spinoza in Deutschland, Berlin 1897 (esposizione analitica
dal Poiret a Nietzsche); G. Bohrmann, Spinoza in England, nel voi. Spinozas Stellung
zur Religion, Giessen 1914 (pp. 59-81); P. Vernière, Spinoza et la pensée franqaise
avant la Revolution, 2 voli., Paris 1954.
69 « Es ist also zu bemerken, dass das Denken sich auf den Standpunkt des
Spinozismus gestellt haben muss; Spinozist zu sein, ist das wesentliche alles Philo-
sophirens » (G. W. Hegel, Geschichte der Philosophic, S. W ., Bd. XV , p. 337).
70 Ved. la nota informativa in calce al presente paragrafo.
178 LE POLEMICHE SULL’ATEISMO DEL RAZIONALISMO
R E L IG IO N E , M ORALITÀ
E A TEISM O IN P. BA YLE
il suo delatore (« ... qui a tant écrit contre l ’Eglise romaine ») che
non è affatto vero, come sostiene il pastore calvinista (ed ora la critica
marxista]), che il suo libro « ... tenda a diminuire l’avversione all’atei
smo », al contrario: « Io credo anzi d’aver detto dell’ateismo tutto il
male che se ne può dire generalmente parlando ». E questo sotto due
aspetti: a) « Si l’on regarde les athées dans le jugement qu’ils forment
de la divinité, dont ils nient l ’existence, on y volt un excès horrible
d’aveuglement, une ignorance prodigieuse de la nature des choses, un
esprit qui renverse toutes les loix du bon sens et qui se fait une
manière de raisonner fausse et dereglée plus qu’on ne sauroit le
dire ». b ) « Si l’on regarde les athées dans la disposition de leur coeur,
on trouve que n’etant ni retenus par la crainte d’aucun chatiment
divin, ni animez par l’esperance d’aucune benediction celeste, il doi-
vent s’abandonner à tout ce qui flatte leurs passions. [...] On auroit
voulu que j ’eusse laissé le monde dans la persuasion où il est, qu’un
athée est necessairement plongé dans toute sorte de crimes: car cette
persuasion, quoi que peu conforme à l ’Histoire, est d’un grand usage
à la Religion ». Facciano questo i retori, ma non è compito suo7.
Anzitutto, qual è il nesso fra la questione della cometa e la que
rela dell’ateismo? Il Bayle lo precisa in una serie di ben 14 proposizioni
o punti, in cui è riassunta da lui stesso la dottrina del libro sulle co
mete, ch’egli invia alle Università per sentire il loro giudizio. Data
l’eccezionale importanza del testo e la non meno grave trascuratezza
con cui gli storici della filosofia in genere e quelli dell’ateismo in par
ticolare hanno toccato spesso la posizione del Bayle, offriamo con qual
8 Addition..., eh. V II, ed. cit., p. 604 ss. A questo compendio sintetico della
Addition fa riscontro la giustificazione analitica in 15 punti del posteriore Eclaircisse-
ment I, aggiunto al Dictionnaire (1. c.).
9 II Bayle insiste sul carattere apologetico della sua tesi, a vantaggio del
cristianesimo contro il paganesimo: « Ils me permettront de leur dire qu’il suffit
de travailler pour la bonne Religion; car tout ce que Ton feroit pour la Religion en
général serviroit autant au Paganisme, qu’au Christianisme » (Eclaircissement I,
§ 10, 1. c,, fol. 618). A p. 535 della Addition si legge perfino una protesta di sog
gezione alla Chiesa romana.
184 LE POLEMICHE SULL’ATEISMO DEL RAZIONALISMO
stesso A. riconosce: « Immer wieder wird mit Stilkùnsten der Atheismus nur dem
Gótzendienst entgegenstellt; doch dem Leser wird endlich der ganze rebellische
Gedanke suggeriert: Atheismus sei nicht so gefàhrlich wie ùbertriebene Religiositàt...
Demnach kònnte eine Gesellschaft von Atheisten ebenso sittlich leben wie eine
heidnische oder eine cbristliche Gesellschaft, wenn sie nur die Verbrechen mit
Strafe oder Scbande bedrohen wollte » (Op. cit., t. II, pp. 256, 258).
24 Bayle tenta di parare il colpo osservando che la stessa sorte toccò a Car
tesio: « Mr Descartes fut accusé d’athéisme par un Professeur en Philosophie de
ce pais, à cause de ses Meditations métaphysiques où l’existence du vrai Dieu se
trouve par tout comme la base, la clef, le bien de tout le système; [...] Peut ètre
qu’un jour le public verrà un catalogue de Pbilosophes accuses d’athéisme, et ne
pourra s’étonner assez de l’entètement, de la hardiesse ou de l’ignorance des accu
satemi » (Avertissementy premesso alla Addition..., t. II , p. 5 r). Anche a Grozio,
Arnauld ed altri provati teisti toccò la stessa sorte ( Op. cit.y t. II, p. 539).
25 Pensées diver ses... y ed. cit., t. I, p. 261; cf. A d d i t i o n . ed. cit., t. II,
p. 567 s. In termini più blandi: « Que les Athées et les Idolatres sont poussés au
mal par le mème principe » (Addition..., § 144, ed. cit., p. 285).
26 Pensées diverses..., ed. cit., t. I , p. 263. Chiedendosi poi perché mai c'è
tanta differenza fra ciò che si crede e ciò che si fa, questo, secondo Bayle dipende
dal fatto che l’uomo si determina alle azioni non dalle leggi generali, ma dai
giudizi particolari ch’egli porta su una cosa (§ 235, ed. cit., t. I, p. 264; cf. anche
190 LE POLEMICHE SULL’ATEISMO DEL RAZIONALISMO
§ 236: Que l’homme n’agit pas selon ses principes, 1. c., p. 266; v. anche Addition...,
t. II, § 176, p. 361, § 181, p. 372). Le Pensées diverses continuano affermando che
occorre la mozione dello Spirito Santo per poter vincere le passioni e la corruzione
della natura: « Disons done, que quand on n’est pas veritablement converti à
Dieu, et qu’on n’a pas le coeur sanctifié par la grace du Saint Esprit, la con-
noissance d’un Dieu et d’une Providence est une trop foible barrière pour retenir
les passions de rhomme » (Pensées diverses..., § 231, ed. cit., t. I, p. 254; cf.
Addition..., t. II, p. 566, t. IV, p. 501).
27 Cf. P. Hazard, La pensée enropéenne au X V I IIs siècle. De Montesquieu à
Lessing, Paris 1946, t. I, p. 44. L ’A. descrive con vivacità l’influsso enorme del
Dictionnaire e il fermento che l’opera suscitava in tutti gli ambienti degli avver
sari e degli amici e così, come si dirà, è Bayle stesso che stimola a superare le
posizioni di Bayle.
RELIGIONE, MORALITÀ E ATEISMO IN P. BAYLE 191
Coloro che aderirono alla scuola di Epicuro non sono diventati dis
soluti perché accettarono la dottrina di Epicuro, ma si sono appro
priate le dottrine di Epicuro, da essi mal comprese, perché erano vi
ziosi31. Altrettanto un uomo corrotto può professare l'ateismo, poiché
spera che questo sistema dia completa libertà alle sue passioni: tuttavia
costui s'inganna poiché l'ateismo rettamente inteso riposa sulla ra
gione la quale, a differenza della religione, non giustificherà e perdo
nerà mai i delitti dei perversi.
Comunque, sia che Dio esista o non esista, i nostri doveri saran
no sempre quelli, e se noi interroghiamo la nostra natura essa ci mo
strerà che il vizio è sempre un male e che la virtù è un vero b en e32.
Se quindi ci furono atei che hanno negato la distinzione fra il bene
e il male o che hanno osato seppellire i principi di ogni morale, allora
bisogna concludere che a questo proposito costoro hanno giudicato
molto male, ch'essi non hanno conosciuto né la natura delPuomo né la
vera fonte dei suoi doveri, ch'essi hanno falsamente creduto che la
morale sia come la teologia una scienza puramente ideale e che, una
volta distrutti gli dèi, non rimanga più nessun vincolo che leghi i
mortali fra di loro. Pertanto anche la più piccola riflessione avrebbe
mostrato loro che la morale si fonda sui rapporti immutabili che sus
sistono fra esseri sensibili, intelligenti e sociali; che senza virtù non
può sussistere nessuna società; che nessun uomo può conservarsi senza
reprimere i propri istinti. Gli uomini sono costretti dalla propria na
tura ad amare la virtù e a temere il delitto, così come parimenti sono
costretti a cercare il benessere e a fuggire il dolore; questa natura li
costringe a distinguere gli oggetti che loro piacciono da quelli che
li danneggiano... La distinzione fra il bene e il male non dipende af
fatto né dall'accordo degli uomini né dalle idee che si possono avere
e distrugge tutte le sfere del governo 33. I l significato però dei testi
di Bacone è ben altro, esattamente Topposto, e sorprende che D ’Holbach
abbia tradito apertamente le sue intenzioni34.
Il Nostro continua invece imperterrito nel suo elogio dell’ateismo
rinnovando l ’accusa alla religione di aver fomentato tutti i vizi, i di
sordini, le guerre, le discordie, gli errori, le prevaricazioni: così la
tesi nella formulazione concessiva del Bayle che « anche gli atei pos
sono essere onesti » ossia che « qualche ateo può essere onesto »... as
sume ora la formulazione categorica che « soltanto gli atei sono i
veri onesti » e che i fautori della religione sono o una massa di ipo
criti o di poveri, illusi che imputridiscono nella superstizione e nella
tirannia dei potenti. Anticipando ancora la critica di Marx alla reli
gione, D'Holbach protesta contro coloro che parlano della « utilità »
pratica della religione.
È difficile pertanto esagerare l'importanza della posizione del
Bayle nella formazione e nel progresso delPateismo moderno. Il deismo
inglese, specialmente quello più risoluto per le posizioni radicali, per
esempio Toland il quale, in apertura alla celebre Lettera IV a Serena ,
dopo aver accolto e confermato l'elogio per Spinoza della sua nobile
destinataria, aggiunge: « Come voi certamente sapete, il sig. Bayle nelle
sue Pensées diverses sur la comète ha dimostrato in modo convincente
che lo stesso ateismo non può affatto portare gli uomini senz’altro al
male » 35. Da qui egli passa subito ad esporre con evidente simpatia
e consenso i principi fondamentali dello spinozismo, anche se critica,
come diremo a suo luogo, la concezione meccanicistica della materia
inerte.
Ma chi ha discusso con libertà la tesi del Bayle in Francia è
stato Voltaire. Da giovane, in forma ambigua ma non meno esplicita,
aveva dato il suo pieno consenso: « Ce n ’est ni Montaigne, ni Locke,
ni Spinosa, ni Hobbes, ni milord Shaftesbury, ni M. Collins, ni M. To
land, ni Fludd, ni Becker, ni M. le comte de Boulainvilliers, etc.,
qui ont porte le flambeau de la discorde dans leur patrie; ce sont,
pour la plupart, des théologiens, qui, ayant eu d'abord l'ambition
d'etre chefs de sectes, ont eu bientòt celle d'etre chefs de partis. Que
dis-je? tous ces livres des philosophes modernes mis ensemble ne
feront jamais dans le monde autant de bruit seulement qu’en a fait
autrefois la dispute des cordeliers sur la forme de leurs manches et
de leur capuchon » 36. Più esplicita ancora compare la tesi nella con
clusione al Traité de métaphysique : nel suo facile scetticismo morale,
Voltaire accetta in pieno la morale utilitaristica di derivazione inglese
affermando che « ...la verità e il vizio, il bene e il male morale, non è
in ogni paese che ciò ch’è utile o nocivo alla società. [...] La virtù è
l'abitudine di fare quelle cose che piacciono agli uomini e il vizio l ’abi
tudine di fare le cose che loro dispiacciono »; ma da questo non segue
affatto che basti essere potenti e ben difesi dalle sanzioni pubbliche,
ammonisce Voltaire, perché ci si possa abbandonare allo sfogo di tutti
gli istinti, poiché costui si dichiarerebbe da sé il nemico del genere
umano. Se poi non si è tanto potenti, ma si appartiene alla classe
degli uomini ordinari, il vizio e il delitto ci espongono alle sanzioni
di pubblici castighi, a paure d’ogni genere, al disprezzo e alPorrore
degli altri: ciò ch’è il più terribile e insopportabile dei castighi.
Quindi, per Voltaire come per Bayle, Puotno per essere onesto
non deve trattenersi dal male per una sanzione ultraterrena, ma per
esigenza di convivenza umana e sociale, ossia per semplice « principio
d’onore »: « Ainsi tout homme raisonnable conclura qu’il est visi-
blement de son intérèt d’etre honnète homme. La connaissance qu’il
aura du coeur humain, et la persuasion où il sera qu’il n’y a en soi
ni ver tu ni vice, ne l ’empèchera jamais d’etre bon citoyen et de remplir
tous les devoirs de la vie. Aussi remarque-t-on que les philosophes
(qu’on baptise du nom d’incrédules et de libertins) ont été dans tous
les temps les plus honnètes hommes du monde. Sans faire ici une
liste de tous les grands hommes de l ’antiquité, on sait que La Mothe
la Vayer, précepteur du frère de Louis X I II , Bayle, Locke, Spinosa,
milord Shaftesbury, Collins, etc., étaient des hommes d’une vertu rigide;
ce n’est pas seulement la crainte du mépris des hommes qui a fait
leurs vertus, c’était le gout de la vertu mème. Un esprit droit est
honnète homme par la mème raison que celui qui n ’a point le gout
dépravé préfère d’excellent vin de Nuits à du vin de Brie et des
perdrix du Mans à de la chair de chevai. Une saine education per
pétue ces sentiments chez tous les hommes, et de là est venu ce senti
ment universel qu’on appelle honneur , dont les plus corrumpus ne
peuvent se défaire, et qui est le pivot de la société » 37. Invece sono
da compiangere coloro che hanno bisogno dei soccorsi della religione
per essere onesti, e Voltaire arriva perfino a qualificare per « mostri »
della società quanti non trovassero in se stessi i sentimenti necessari
a questa società e fossero obbligati a prendere altrove ciò che deve
trovarsi soltanto nella nostra natura.
A partire però dal 1750, cioè dalla voce Athée - A théism e 38 del
Dizionario filosofico , Voltaire si distacca dal concepire Dio confinato
39 Cf. Pensées diverses..., § 173, ed. cit., p. 353, spec. § 182, ed. cit., t. II,
p. 37 ss.; v. anche Addition..., p. 577.
40 « Les athées sont pour la plupart des savants hardis et égarés qui raisonnent
mal, et qui, ne pouvant comprendre la creation, Torigine du mal, et d’autres diffi-
cultés, ont recours à l’hypothèse de Téternité des choses et de la nécessité »
{Dictionnaire philosophique, ed. cit., p. 42). Contro gli eccessi del fanatismo reli
gioso, v. la P. II delParticolo (ed. cit., p. 44), ma essi non autorizzano affatto l’atei-
smo, dichiara Voltaire.
RELIGIONE, MORALITÀ E ATEISMO IN P. BAYLE 199
uomini che non credevano né alla Provvidenza né alla vita futura [ ...] ,
un’assemblea di filosofi, di gaudenti e di ambiziosi, tutti pericolosis
simi e che mandavano in rovina la repubblica ». Ed ecco la nuova affer
mazione della necessità di un Dio personale perché la vita umana pri
vata e pubblica si possa reggere: « Je ne voudrais pas avoir affaire à
un prince athée, qui trouverait son intérèt à me faire piler dans un
morder: je suis bien sur que je serais pilé. Je ne voudrais pas, si
j ’étais souverain, avoir affaire à des courtisans athées, dont l ’intérèt
serait de m ’empoisonner: il me faudrait prendre au hasard du con-
tre-poison tous les jours. Il est done absolument nécéssaire pour les
princes et pour les peuples, que l ’idée d’un Etre suprème, créateur,
gouverneur, rémunérateur et vengeur, soit profondément gravée dans
les esprits » 41.
Bayle si è fatto forte per la sua tesi della esistenza dei cosiddetti
« popoli atei » come i cafri e gli ottentotti, i topinambu... Ma si tratta
di popoli, secondo Voltaire, di civiltà troppo bassa perché possano
avere peso sulla questione: essi non sono né atei né credenti, sono
semplicemente dei « bambini » in questo campo. Coloro poi che ave
vano sostenuto — e Bayle aveva accettato ad occhi chiusi la loro affer
mazione 42 — che l ’ateismo era « ... la religione del governo in Cina »,
si erano completamente ingannati: bastava che leggessero gli editti
degli imperatori di questo vasto paese ed avrebbero visto che questi
editti sono dei sermoni e che vi si parla ovunque dell’Essere supremo,
governatore, vendicatore e rimuneratore43. La conclusione di Voltaire
si profila ora perciò quasi agli antipodi della tesi del Bayle: « Que
l’athéisme est un monstre très pernicieux dans ceux qui gouvernent;
qu’il l’est aussi dans les gens de cabinet, quoique leur vie soit inno
cente, parce que de leur cabinet ils peuvent percer jusqu’à ceux qui
sont en place; que, s’il n’est pas si funeste que le fanatisme, il est
nosa mème admettait. Il faut convenir qu’elle éclate dans le plus vii
insecte comme dans les astres. E t à l ’égard du mal moral et physique,
que dire et que faire? se consoler par la jouissance du bien physique
et moral, en adorant l’Etre éternel qui a fait Tun et permis l ’autre.
Encore un mot sur cet article. L ’athéisme est le vice de quelques gens
d’esprit, et la superstition le vice des sots; mais les fripons, que
sont-ils? des fripons » 47.
Ma tocca convenire che Voltaire era eccessivamente ottimista sul-
l ’esito della sua polemica contro l ’ateismo e la sua nuova esigenza di
Dio poteva essere sincera ma non era altrettanto valida contro gli atei
incoraggiati dal Bayle. L ’importanza e Pinfluenza del Bayle nella for
mazione del razionalismo e dell’ateismo moderno può quindi essere ri
conosciuta decisiva e non inferiore a quella di Spinoza, Hobbes, Locke.
Teista e forse cristiano convinto come Cartesio e i cartesiani, egli ha
aperto una nuova falla nella diga del teismo per la quale entreranno
con impeto di uragano le acque della negazione sia della religione rive
lata da parte del deismo e dell’illuminismo, sia della religione natu
rale e di qualsiasi idea religiosa da parte dell’ateismo radicale 48. L ’azione
corrosiva di Bayle era nella linea del « devoto » Cartesio, di cui egli
stesso si proclama ammiratore e seguace: era la chiarezza delle « idee
chiare e distinte » che l ’aveva portato a mettere sotto processo, se
non proprio la religione in sé e il cristianesimo come tale, almeno il
fenomeno universale umano della « religiosità », ch’è l’impulso primor
diale della aspirazione dell’uomo all’Assoluto, al Bene supremo, alla
Giustizia perfetta... che forma il fondamento di ogni aspirazione re
ligiosa.
In quest’aspirazione dell’anima verso il profondo non tutto è
chiaro, perché essa si sveglia nell’uomo fin dalla prima età quando
47 Athéisme, sect. II , cito delTed. J. Benda-R. Naves, voi. cit., pp. 461 s.,
463. Per l’attacco di D ’Holbach alle « cause finali », v. Système de la nature, P. II,
eh. I l l , ed. cit., t. II , p. 67 ss.; eh. V, ed. cit., t. I I , p. 160 s. (contro Newton).
La tesi del Bayle è ripetuta alla lettera da Diderot: « Oui, je le soutiens, la su
perstition est plus injurieuse à Dieu, que l’athéisme » ( Pensées philosophiques, ed.
P. Vernière, Paris 1961, § X II, p. 14). Essa ha lasciato incerti gli stessi gesuiti
dei Mémoires de Trévoux (cf. A. R. Desautels, Les Mémoires de Trévoux...f ed.
cit., p. 79 ss.).
48 Ved. il sobrio ma sostanziale bilancio di questi effetti negativi dell’opera
del Bayle in P. Hazard, La pensée européenney t. I l i « Notes et references »,
p. 32 s.
202 LE POLEMICHE SULL’ATEISMO DEL RAZIONALISMO
non c’è chiarezza neppure in cose dal contenuto ben più facile, e tut
tavia nessuno si sogna per questo di combatterle o respingerle. In que
st’aspirazione poi alcuni punti, non tutti certamente, non possono mai
diventar chiari e distinti per nessuno, anche s’egli è il più accorto
filosofo o il più esperto teologo: sono i problemi che riguardano l’in-
timo e ultimo rapporto della libertà dell’uomo nella sua soggezione a
Dio e della Provvidenza di Dio verso l ’uomo da Lui creato e messo
nel mondo perché Lo cerchi e Lo ami... Il problema del male sta al
centro di questo arduo tessuto di rapporti: l ’uomo non si deve però
scandalizzare, come ha fatto Bayle, e deve tenere ferme le certezze
fondamentali per sostenere la lotta della sua riconoscente soggezione
a Dio; una religione come quella del razionalismo, del deismo, del
l ’illuminismo... che ignora la preghiera, non è e non può dirsi religione,
neppure quella naturale, perché si esaurisce in un giudizio di evidenza
astratta, ossia nell’affermazione formale dell’esistenza di Dio senza af
ferrare l’uomo intero con un atto di volontà e perciò senza volgersi
al Dio vivente, creatore del mondo e padre degli uomini. Non avevano
allora del tutto torto gli atei a spingere, contro ogni remora, il prin
cipio moderno alla sua estrema conclusione fino in fondo.
L ’ambiguità che copriva l’apparente chiarezza della tesi del Bayle
sulla distinzione fra morale e religione è stata risolta pertanto dalla
storia del pensiero europeo nel modo più radicale, prima con la critica
della religione rivelata e la sua messa al bando senza possibilità di ap
pello da parte del deismo, e poi con la condanna definitiva della reli
gione come tale. Così Bayle, certamente contro le sue previsioni, si
trovò alla testa dell’ateismo moderno e le Pensées diversesy giudicate
d’ispirazione cattolica49, divennero il grido di guerra contro ogni re
ligione.
Infatti, osserva Feuerbach, il quale in uno studio speciale ha
svolto a fondo questo raro fenomeno della storia del pensiero, non
serve più dichiarare: la religione santifica necessariamente gli uomini.
Ciò che accade nel suo nome, non accade perciò nel suo senso. Le
passioni, le debolezze, la corruzione degli uomini non vanno attribuite
a colpa della religione, e se comunque e in qualche posto la religione
ha eccitato al delitto e non ha trattenuto gli uomini dal compierlo
o non li ha migliorati, ciò è perché si trattava di una falsa religione
49 Cf. L. Feuerbach, Pierre Bayle. Ein Beitrag zur Geschichte der Philosophic
und Menschheit, S. W ., Bd. V, p. 166, nota (Stuttgart 1905).
RELIGIONE, MORALITÀ E ATEISMO IN P. BAYLE 203
poiché essa è la volontà del bene, e Dio si riduce al concetto del bene,
ecco che allora il concetto essenziale e decisivo è il concetto etico , la
teologia abbandona la teologia come teologia, allora noi stiamo dalla
parte della filosofia, dal punto di vista dell’etica autonoma.
Concepire l’etica in forma autonoma era pertanto il sacro com
pito dell’umanità, che fu assolto da Kant e Fichte, i quali concepirono
la filosofia, ed in particolare l ’etica, indipendente dalla teologia per
la loro salvezza e per la salvezza dell’umanità, così che anzitutto
per loro merito l’idea etica fu portata all’esistenza nella sua purezza
e schiettezza. L ’ateismo, dichiara trionfalmente Feuerbach, il tanto
bistrattato ateismo, altro non è stato che il necessario e perciò salutare
stadio di passaggio dal Dio empirico oggettivo, concepito come una
cosa estrinseca) all’idealismo ossia al pensiero dello Spirito, al Concetto
del divino in-sé-e-per-sé, alla concezione autonoma dell’essenza della
natura come dell’essenza dell’Idea etica. La filiazione quindi della
tesi bayleana dai Pensieri sulla cometa all’imperativo categorico di
Kant e all’Idea dell’eticità assoluta di Fichte è diretta, afferma Feuer
bach, e conclude: « Solo l ’etica è perciò la vera religione; essa è lo
spirito della vera religione, dello spirito sincero, certo di sé, che non
s’illude e non s’inganna con fantasmi, che non si nasconde con simboli
oscuri e confuse rappresentazioni, la parola della verità semplice,
schietta, diritta, lontana da ogni sforzo di metafore orientali. Solo
l’etica genera, come dimostra la storia, caratteri aperti, liberi, nobili,
senza contraddizioni, naturali, veraci, autenticamente religiosi ». La
teologia invece che si pone al di sopra dell’etica è deleteria per gli
Stati, così per la vita come per le scienze54. Né la replica di Leibniz
al Bayle ha salvato la situazione.
È difficile poter esagerare l’importanza del Bayle nello sviluppo
del razionalismo e dell’ateismo moderno: la tesi più radicale di Spinoza
della sufficienza che ha la libertà umana in se stessa e l ’accusa da lui
fatta ad ogni religione, ed alla religione cristiana in particolare, d’inca
pacità a trattenere l’uomo dal seguire le proprie passioni, entra nella
cultura europea ed è accolta come l’apologià definitiva e irrefutabile
dell’ateismo55. Non è possibile comprendere lo sviluppo del deismo e
54 Vas Wesen der Religion, ed. cit., Bd. V, p. 215. Il capitolo termina col
motto di Federico II di Prussia, ch’è uno degli « eroi » dell’etica moderna celebrati
dal Feuerbach: Mein hòcbster Gott ist meine Pflicht (il mio dovere è il mio Dio
supremo).
55 E ’ stato mostrato che il Bayle ha preso alla lettera da Spinoza la propria tesi
e precisamente dalla Prefazione al Tractatus theologico-politicus (cf. P. Vernière,
Spinoza et la pensée franqaìse avant la Revolution, Paris 1954, t. I, p. 29).
206 LE POLEMICHE SULL'ATEISMO DEL RAZIONALISMO
56 Oltre le citate riflessioni delle Pensées (§§ 174, 178, 180, 182) e della
Continuation (§§ 144, 145), bisogna con la guida stessa del Bayle leggere l’apologià
dei martiri dell’ateismo nel Dictionnaire hist, et crii. (cf. Hermìas - Stilpon - Xeno-
crate - Remarque F. - Luerèee - Remarque E. - Spinoza - Remarque O.).
57 Uno specialista di storia dell’ateismo scrive al riguardo: « Der Fortschritt
liegt also nicht in neuen Ideen iiber die Quellen und die Begriindung des Sittlichen,
sondern nur in der gerauschlosen Wegraumung des theologischen Ueberbaues,
welcher bis dahin der Ethik ihre selbstandige Ausgestaltung verwahrt hatte »
(F. Jodl, Geschichte der Ethik in der neueren Philosophicy Stuttgart 1882, Bd. I,
p. 286).
APPENDICI
1 - CARTESIO E PASCAL
L ’accusa di ateismo al sistema cartesiano non era del resto molto lontana
nel rim provero, quasi riservato, di Pascal: « Non posso perdonare a Carte
sio. Egli avrebbe voluto, in tu tta la sua filosofia, far a meno di Dio, ma non
riuscì ad esimersi dal fargli dare una spintarella per m ettere il mondo in m o
vim ento; dopo ciò, egli non sa che farsene di Dio » (Pascal, Pensées, sect. I I ,
n. 77, ed. Brunschvicg minor, Paris 1 9 1 7 , p. 36 0 s.). Eppure lo stesso Pascal
sembra amm ettere in generale il meccanicismo cartesiano: « I l faut dire en
gros: “ cela se fait par figure et mouvement ” , car cela est vrai. Mais de dire
quels, et composer la machine, cela est ridicule. Car cela est inutile, et in-
certain et pénible. E t quand cela serait vrai, nous n ’estimons pas que toute
la philosophic vaille une heure de peine » (Pensées, sect. I I , n. 7 9 , ed. cit.,
p. 3 61). Il Brunschvicg nel suo acuto confronto fra i due pensatori ha sorvo
lato, non so perché, su questo punto, che mi sembra decisivo (Descartes et
Pascal lecteurs de Montaigne, I I ed., New York-Paris 1 9 4 4 , spec. p. 157 ss.).
Pascal ne deduce quindi che il mondo è « m uto », che non ci parla di Dio e non
ci può portare a Dio (sul cartesianesimo di Pascal, v. F. Bouiller, Histoire de
la pbilosophie cartésienne, ed. cit., t. I , p. 5 5 1 s.; J . Souilhé, La philosophìe
chrétìenne de Descartes à nos jours, Paris 1 9 3 4 , voi. I, p. 92 s.). In un mondo
nel quale i corpi sono ridotti all’estensione e lo spirito al pensiero, l ’atto o
perfezione fondamentale dei corpi è il movimento locale: Cartesio faceva
perciò di Dio colui che dava la prima spinta al movimento della machina
mundi, ciò ch ’era davvero troppo poco. G li sviluppi che Spinoza diede su
bito alla dottrina cartesiana riportando quei due attributi del reale ( l ’esten
sione e il pensiero) all’unità della sostanza, non sono affatto alieni ma scatu
riscono dalla logica interna dei principi stessi, malgrado l’opinione perso
nale contraria di Cartesio e malgrado i suoi sforzi per allestire nuove prove
della esistenza di D io, prese dalla sfera della riflessione. Sono questi gli ar
gomenti che l ’H ardouin aveva tacciato di ontologismo e panteismo e perciò
di ateismo.
2 - RELIGIOSITÀ SPINOZIANA
Teil: Das Leben Spinozas, I I AufL, hrsg. von C. G ebhardt; Zw eiter Teil:
Die Lehre Spinozas, auf Grund des Nachlasses von J . Freudenthal, bearbeitet
von C. G ebhardt, Curis Societatis Spinozanae, Heidelberg 1 9 2 7 ; cf. P . I,
c. 7 ; Bd. I, p. 163 ss.
L a « religiosità » di Spinoza è attestata dal m otto, che si legge nel
frontespizio del Tractatus theoi.-poi., preso da S. Giovanni: « P er hoc cogno-
scimus quod in Deo manemus et Deus manet in nobis, quod de Spiritu
suo dedit nobis » ( I I o ., 4 , 13). Sul piano teoretico, la conoscenza di Dio è
la prima certezza ed è il fondamento di ogni certezza e conoscenza: in nessun
luogo del T ractatus Spinoza combatte mai la dottrina biblica di Dio. Quanto a
Gesù Cristo, Spinoza, secondo Freudenthal, mostra la più alta considerazione:
però amm ette che lo considera semplicemente come uomo, sia pure saggio e
perfetto e il più vicino a Dio, ma sempre e soltanto uomo. Gesù quindi
in nessun modo può essere detto Dio. Anche la S. Scrittura del Vecchio
e del Nuovo Testam ento è trattata da Spinoza con rispetto: in essa si con
tiene una dottrina eh'è di alto valore per l’uomo. Come può allora, conclude
Freudenthal, un uomo simile essere qualificato per empio e ateo? E il Freu
denthal è ben disposto ad accettare nientemeno la posizione di chi recente
mente ha affermato « . . . aver Spinoza accettato la fede cristiana, benché non
ne abbia data una professione pubblica » ( Spinoza habe den christlichen
Glauben angenommen, toenn er auch keìn ofentliche Bekenntnis abgelegt
habe. - p. 1 6 5 )!
Secondo Freudenthal non solo nel Tractatus ma anche negli altri scritti
Spinoza si mantiene sugli stessi principi. È vero che nelVEthica Dio non è
affatto personale, né il creatore del mondo, né vi si parla di Provvidenza o
di Rivelazione.
In sostanza anche Freudenthal amm ette che per Spinoza non si può
parlare in nessun modo di religione storico-positiva cioè rivelata in senso
proprio (p. 16 8 ). M a verso la fine della sua perorazione arriva ad ammet
tere schiettamente il carattere panteistico e immanentistico della religio
sità di Spinoza: « W e r From m igkeit fùr Anhànglichkeit an eine der vielen
geschichtlichen Gestaltungen des religiòsen Lebens erklàrt und Religion dem
Judentum oder Christentum gleichsetzt, dem muss Spinoza als religionslos
erscheinen. Und w er G ott ùber die N atur hinaushebt und eine unpersònliche,
der W e lt einwohnende G ottheit als einen Unbegriff zurùckweist, der wird
ihn auch einen Atheisten nennen. W enn aber die Lehre eine religiose ist,
die uns ùber die Endlichkeit hinaus zum Ew igen fùhrt, uns von der Selbstsucht
erlóst und lautere Liebe zu G ott und Menschen uns einflòsst, dann war
Spinozas Philosophie nicht unreligiòs. Und wenn ein von alien kirchlichen
Dogmen freies Christentum noch als solches gelten darf, dann wird Spinoza,
der mit hoher Ehrerbietung von Jesus Christus spricht und vieles lehrt,
was mit den sittlichen Anschauungen des Christentums ùbereinstimmt, ein
Christ, ja m it Goethe vielleicht Christianissimus genannt werden dùrfen »
(p. 171 s.).
È il cosiddetto « cristianesimo giovanneo » ma in realtà è il « cristia
nesimo della ragione », come lo chiamerà lo spinoziano Lessing, e passerà
nell’idealismo che penserà a liquidare il cristianesimo sia come rivelazione
e sia come religione in generale, perché l ’ultima parola sull’essere e sull’uomo
APPENDICI 209
è affidata alla filosofia e non alla religione. Fra i più convinti avvocati del
teismo spinoziano figurano nell’Ottocento tedesco — oltre Fiegei, di cui si
è detto all’inizio — Herder, Mendelssohn e soprattutto Schelling e Goethe,
come diremo.
L’opposizione fra la concezione spinoziana e quella cristiana e teistica
in generale è stata indicata perciò nella vanificazione del finito e dell’uomo
in esso e quindi della libertà non solo nelPuomo ma anche in Dio stesso:
« Spinozas Mythos ist theozentrisch: Gott in Allem. Fùr das Mittelalter war
die Welt der Schauplatz, auf dem die divina comedia des Menschen gespielt
wurde, deren erster Akt in dem Sùndenfall des ersten Menschen und der
Verderbnis der Menschheit, deren zweiter Akt im Opfertod des Gottessohnes
und der Erlòsung der Menschheit bestand, und deren dritter Akt mit dem
Ende der Dinge und dem Jùngsten Gericht noch zu erwarten war. Fùr den
Spinozismus ist Gott die Natur, und das Phanomen der Menschheit nur ein
Einzelnes unter dem unendlich Vielen, was mit Notwendigkeit aus der Natur
Gottes folgen musste. Wie Spinoza jede Vermenschlichung Gottes ablehnt
und darum Wille, Begierde, kurz alles, was die Unendlichkeit bestimmend
verneinen kònnte, von der Gottheit fernhàlt, so entfernt er auch den Zweck-
begriff von ihr. Nicht durch Zwecke bestimmt, sondern in Kausalitat wirkend,
ist Gott in der Welt. Es gibt deshalb in der Welt kein Wozu, nur ein
Warum. Der Gott der Immanenz handelt aus der Gesetzmassigkeit seiner
eigenen Natur, und in dieser Notwendigkeit seines Handelns legt seine
Freiheit. Es ist die Freiheit der Immanenz » l. E logicamente: non avendo
voluto Spinoza allineare Dio sulla spiritualità delPuomo, l’ha dovuto affon
dare nella necessità della natura.
3 - POLEMICA ANTISPINOZIANA
Sembra sia stato questo teologo olandese a dare per primo (lo dice
lui stesso) l’allarme sull’ateismo di Spinoza nell’esame ch’egli fece del
Tractatus theologico-politicus in uno scritto che si presenta come la diretta
confutazione dal titolo assai significativo: Arcana A theism i revelata, philo-
sophice et paradoxe refutata, exam ine Tractatus theologico-politici. (Per
Franciscum Cuperum Amstelodamensem, duobus libris comprehensa: Priori
ipse Tractatus examinatur atque refellitur. Altero ipsissima Atheorum, primo
contra Sacram Scripturam, deinde contra Religionem et Dei existentiam
argumenta, explicantur atque enervantur, et Deum esse novis argumentis
demonstratur. Roterodami, apud Isaacum Naeranum, Anno 1676).
Il significato dell’opera è indicato nel Proemio (... totius operis rationem
complectens) redatto con stile concitato e personale, quasi da autobiografia,
che si apre con una confessione di conversione simile — ma in altro senso —
216 LE POLEMICHE SULL'ATEISMO DEL RAZIONALISMO
da quella del More: nel suo caso infatti si tratta di conversione dall'ateismo,
in cui era stato educato, alla scoperta del suo errore che trascinava con sé
tante vittime: « Cum autem a teneris (ut aiunt) anguiculis mihi inter Atheos
versari et educari contigerit, quos argumenta, quibus vulgo esse Deum
demonstrare conantur veritatis professores, frequenter examinantes, et eorum
imbecillitatem detegentes audivi (quod non nisi inter eos quos secum sen
tire credunt facere audent) adactus fui de solidiore et compendiosiori via,
qua de Dei existentia certi esse possemus, deliberare. Praesertim cum viderem,
paucis abhinc annis, tot homines eosque solertes et sagaces, passim ad
Atheismum ruere » (p. I ) 3. Di qui la decisione di confutare (per primo!) il
Tractatus theologico-politicus spinoziano: « Quod cum scirem non aliunde
accidere, quam quia argumenta quaedam, quibus hactenus sibi satisfecerant,
invalida esse comperirent, ad Tractatus theologico-politici refutationem,
primus omnium, quantum audivi, me accinxi, eamque absolvi » (p. I). Ciò
ch’è affermato chiaramente più sotto: « quod cum mihi, ab infantia inter
Atheos educato, non sit incognitum (Atheos videlicet multa habere, quibus
sibi ipsis mirum in modum blandiantur) omnino necesse esse existimavi
ulterius procedere: atque reliquas eorum secretas objectiones et argumen-
tationes, quas partim ex manuscriptis, mihi hinc inde communicatis, partim
aliunde ausi, ad luminis naturalis, per divinas Sacrae Scripturae revelationes
accuratius excultae obrussam, trutinare » (p. X).
L’opera, benché pronta da molto tempo, fu tenuta in quarantena per
essere sottoposta a nuove e più approfondite riflessioni. A titolo di introdu
zione dell’opera, il Kuyper premette otto proposizioni di natura programma
tica, le quali si ispirano ad un fideismo assoluto e di difesa contro l’ateismo
e mettono in guardia contro qualsiasi uso della ragione in campo religioso.
È evidente che alle spalle del nuovo ateismo sta lo spauracchio della scis
sione averroistica di scienza e fede: « Quem in fìnem Theologiae a Philo-
sophia separationem urget, quo liberius, sub Philosophiae nomine, Atheistica
dogmata inculcare concedatur, et vulgus, si quid obstrepat ista religionem
pervertere, piacari possit, dicendo (quod iam dudum a Theologis praetendi
coepit) in Philosophia verum esse posse quod in Theologia sit falsum, et
vice versa. Philosophiam enim regnum veritatis, Theologiam pietatis, et devo-
tionis (id est deliriorum et stultitiae) appellari vult, ut populus specioso
pietatis titulo, a Philosophis placide gubernari, et metu divinorum suppli-
ciorum, in officio contineri possit » (p. IV). L’opera è divisa in due libri:
nel primo si confuta, capitolo per capitolo, il Tractatus theologico-politicus4
fino al capitolo dodici (tralasciando i capitoli seguenti che trattano di politica);
il secondo libro passa in esame, in dieci capitoli, gli argomenti degli atei
e nell’undecimo propone ben tredici argomenti in difesa dell’esistenza di
Dio 5. Sul concetto di Dio il Kuyper ha una opinione assai affine a quella
del More e dei platonici inglesi: « Non minori cum periodo religionem
defendunt, qui Deum Ens esse urgent non extensum, non in loco nec in
tempore existens. Si enim haec tria ab essentia Dei removeantur, omnino
Deum esse negatur. Non enim concipi potest, Ens quod nullam extensionem
habet, essentiam habere posse, vel quod nec in loco, nec in tempore existit,
ullibi vel unquam existere. Atque ita haec opinio merus esse Atheismus
videtur » (p. XII). L'opera del Kuyper capitò nelle mani di More e non
potè non eccitare il suo interesse. Le osservazioni del More sono raccolte
nella Epistola altera ad VX. pubblicata anch’essa nel 1679, quindi appena
a tre anni di distanza dall’opera del Kuyper.
Anzitutto il More si mostra al corrente delle voci che circolano sul
l’autore del Tractatus theologìco-politìcus, ch’è attribuito a Spinoza: « ... Spi-
nozius. Siquidem hie sit huius Tractatus Auctor, prout plerique omnes asse-
runt » (ed. cit., t. II, c. I, p. 565), e l’attribuzione è mantenuta in tutto
il saggio6. Fra le osservazioni di metodo possiamo subito cogliere l’affinità
che il More vede subito tra le dottrine atee di Cartesio e quelle di Spinoza:
« ... si Cartesianae Philosophiae stetur, quam adeo admiratus est Spinozius,
colligere non possumus an Deus sit necne, nedum an bonus ac sapiens »
(1. c.j p. 571). L’ateismo fondamentale di Spinoza è indicato ancora nel suo
monismo naturalistico anzi materialistico e nell’identità d’intelletto e volontà
in Dio di espressa derivazione cartesiana (cf. par. 16, p, 571 ss.): ma a
differenza del Kuyper, il More prende in esame anche i capitoli del Tracta
tus dedicati alla dottrina politica in cui ritrova i principi dell’ateismo spi-
noziano (p. 592 s.). La diatriba si accende ancora nell’esame del c. 20 e
ultimo del Tractatus che discute della libertà di pensiero con la formula:
« In libera Republica unicuique est sentire quae velit et quae sentiat dicere
licere ». Il commento non fa troppi complimenti: « Furiosa profecto ac male
sana sententia, quemadmodum si ad particularia exempla descendas facile
deprehendes, Jus fasque igitur est cuique sentire si velit Deum non esse,
Deum esse Spiritum malignum humanisque calamitatibus apprime gaudentem
easque ipsis machinantem, vel rerum humanarum esse ignarum, imo nihil
certo scire nec constanter statuere, sed verna aura esse magis mutabilem, et
siquid sit hisce magis horridum aut absurdum, jus fasque est cuique haec
omnia non solum sentire, si velit, sed publice dicere ac profited. Quis nisi
ipse Atheus esset aut piane mente captus tarn vesanam proferret sententiam?
Et tamen nemo mirari debet ex tam impuro fonte tam polluta fluenta proma
nasse » (p. 595). L’ultima parte dell’Epistola non risparmia una fiera critica
allo stesso Kuyper soprattutto per aver negato alla ragione la conoscenza
naturale di Dio e ogni distinzione di azioni buone e cattive nella sfera del
l’etica naturale, una posizione ch’è equivalente all’ateismo e che farebbe
quasi dubitare della sua buona fede se non fosse evidente il suo proposito
ch’è stato però portato a termine troppo malamente: « Quid igitur, inquies,
omnino existimas eum qui Arcana Atheismi revelavit, non tam occulte
se tulisse, quin seipsum tandem detexerit esse Atheum? Absit ut sic defi-
niam. Id utique est quod actenus data opera declinavi. Hoc tantum existimo,
quemadmodum is Deum esse ex operibus suis in Natura quam creavit ne-
minem cognoscere posse contendit sed ex sola illius Revelatione, ita certe
ex hoc Cuperi Opere, eum Atheum non esse neminem cognoscere posse
contendo, sed ex sola illius professione. Neque enim dubito quin professurus
sit se non esse Atheum. Et Humanitas omnino requirit ut isto responso
acquiescamus » (p. 6 0 0 )7. Per More il Kuyper può stare con Ì sociniani,
gli entusiasti e i quaccheri tremolanti.
Il compendio più stringato dell’ateismo spinoziano è nella conclusione
delle Adnotationes all'Epistola (sect. 51): « Hanc ipsissimam esse etiam
Spinozii opinionem ac sententiam ex supra citatis e Posthumis ejus Ope
ribus abunde patet, nullamque futuram fuisse in illius scriptis intelligendis
difficultatem si aperte egisset, et pro Deo ubique posuisset Materiam, semel-
que indigitasset se materiam àuTÓ^coov sive in se vivam intelligere, eamque
unam substantiam, nullamque praeter earn aliam, in rerum Universitate exi-
stere. Hoc enim summum illius arcanum est quod clam fovet, tametsi toties
in speciem ad fallendum populum, Dei nomen ore usurpet. Est autem aeque
crassus error atque in quem quisquam mortalium unquam inciderit. Nec
potest ulla lapsa anima in magis tenebrosùm squallidumque Atheismi Bara
thrum detrudi, aut in crassiores ignorantiae faeces demergi » (p. 614).
Ma il More non si dà ancora per soddisfatto e scrive, ora ch’è certo
dell’autenticità dell’opera di Spinoza, una nuova critica che, a me sembra,
costituisce il suo intervento più maturo e robusto in tutta questa polemica.
Ha un titolo quasi giornalistico: Demonstrationis duarum Propositionum,
viz. {Ad Substantiam quatenus Substantia est, necessariam Exsistentiam per-
tinere, et, Unicam in Mundo Substantiam esse), quae precipue apud Spino-
zium Atheismi sunt Columnae, brevis solidaque Confutalo (p. 615 ss.), in
cui si afferma la distinzione dello spirito dalla materia e di Dio dal mondo.
La novità dello scritto è anche nelle citazioni ampie e frequenti degli
Opera Posthuma, specialmente dellyEthica e delle Epistulae. Rileviamo verso
la fine ancora un accostamento di Spinoza a Cartesio a proposito dell’asso
luto determinismo della volontà divina nell'Et bica (P. I, prop. 44, pars II):
« Rationis enim esse res non ut contingentes sed ut necessarias contemplari »,
con il commento: « Hoc est tanquam Medianica quadam necessitate eve-
nientes, tali modo quo Mundi Phaenomena fieri supponit Cartesius. En
Amorem Spinozii erga Deum intellectualem, quam fucatus sit et hypocri-
ticus! » (p. 634). La conclusione è la risoluzione definitiva di Spinoza nel
materialismo: « Tò rcpcoTov ^eu$o<; autem apud Spinozium est, quod unicam
supponit in Universo Substantiam, eamdemque, quod necesse est, esse Ma-
aut armis persequetur; cum non quid alii credant, sed qui faciant, solum-
modo curet. V irtutum et vitiorum, turpis et honesti discrepantiam lubens
agnoscit, ab ipsa utpote return essentia prom anantem ; laudisque semper
internae et vituperii sibi conscius est, ob ea quae recte vel secus fecerit;
quamvis nihil absolute et per se bonum aut malum fateatur, sed respectu
tantum habito ad bonos aut malos usus quibus res quaeque inservit, prout
homines scilicet gaudio afficit aut dolore, vel in quantum taedet et
delectat. Ceterum quo minus mercedem ullam poenam post mortem expectat
futuram, eo magis studere tenetur praesentis vitae (et unicae secundum ilium)
felicitati, quam nemo tamen consequi posse novit, absque aliorum adiumento
et opera m utua; quia nulla Societatis beneficia precipere debet ille, nec
precepturus est, qui aliis non fecerit quae sibi fieri exoptat. Non Tartareis ita-
que rotis, saxis, anguibus, ignibus, fiuviis deterretur Atheus ». [ . . . ]
Segue Telogio dei Sapienti cinesi: « . . . quamvis mundum hunc aspecta-
bilem aeternum et incorruptibilem credant, neque ullum agnoscant numen
ab eius m ateria et compagine distinctum; omnemque de animarum futuro
statu doctrinam, veluti fabulosam aut politice excogitatam , penitus rejiciant.
Atheus ergo pessimis forsitam artibus inimicos opprimet, quibus vera pietas
condonare jubet; et, elusis legibus civitatis, foedis aliquando indulgebit vo-
luptatibus, quae ad meliora etiam probantes, aut saltern profitentes, utinam
nihil pertinerent. Superstitiosos vero omnes quoscumque a mente sua dissi-
dentes, et proprii cerebelli chimeras, aut M agistrorum fraudes et deliria vel
minimum aspernantes, non sibi tantum hostes capitales ducit, sed tanquam
Deo etiam exosos et reprobatos pertinaciter damnat: coelum contra eos et
terram , immo et ipsum commovet orcum. [ . . . ] In hoc uno pares sunt Athei
et Superstitiosi, quod eodem nempe omnino redeat, utrum datae fìdei ratione
habita, Atheus in secreto (quanto e re sua videbitur) peccaverit; an si homi
nem a juramenti obligatione (quod plus saepe factum est) superstitiosus ab
solvent: in eo maxime dissimiles, quod etsi quaedam sint superstitiones in
societate civili (u t ita loquar) tolerabiles, quas si penitus extirpare non li-
ceat, eas tamen ad publicum Reipublicae statum accommodare probus sataget
politicus; se vero ullis tolerari conditionibus A thei neutiquam sperare de-
bent, quum nullo conscientiae vinculo (seu poenae, seu mercedis amore)
sint ad opinionis professionem obstricti. Quamvis semper ineptus, aliquando
tamen innocuus esse potest Superstitiosus; sed Atheus, commodo suo inten-
tus, numquam a stabilita Religione dissentiet, cui omnes alios, ne suspectus
evadat, per fas et nefas velit conformes. Atheismus denique ad paucòs, ad
omnes fere Superstitio spectat. Sed res in se mala non ideo probatur, quia pejor
dari videtur, quod dilucide probavit numquam satis laudatus Baelius, cuius
generalem Positionem non vereor hic tueri, etsi quaedam non approbem
quae ad illam propugnandam spedatimi adduxit: neque meas facere rixas volo
super hoc argumento exortas, cum nonnullos ex Baelii adversariis honore
etiam et amicitia impense prosequar. a t e is m u s ergo et s u p e r s t it io sunt
veluti animorum Scylla et Charybdis. Sed extrem a haec tam sunt vitanda,
quam sequenda religio est in medio sita » ( Adeisidaim on sive Titus Livius
vindicatus..., A uctore J. Toland, Hagae Comitis, apud Thomam Johnson,
1 7 0 9 , p. 67 ss.).
APPENDICI 221
Una presa di posizione fra le più risolute sulla tesi del Bayle è certa
mente quella del Montesquieu. Dopo aver distinto vari gradi di falsità
fra le religioni false, vuole che la vera religione non venga mai in conflitto
con gli interessi politici, e soprattutto la religione cristiana: « La religion
chrétienne, qui ordonne aux hommes de s’aimer, veut sans doute que chaque
peuple ait les meilleures loix politiques et les meilleures loix civiles, parce
qu’elles sont, après elle, le plus grand bien que les hommes puissent donner
et recevoir ».
Segue, col titolo significativo di Paradoxe de Bayle, una stringata con
futazione: « M. Bayle a prétendu prouver qu’il valoit mieux ètre athée
qu’idolàtre; c’est-à-dire, en d’autres termes, qu’il est moins dangereux de
n’avoir point du tout de religion, que d’en avoir une mauvaise. “ J ’aimerois
mieux, dit-il, que l’on dit de moi que je n’existe pas, que si l’on disoit que
je suis un méchant homme ”. Ce n’est qu’un sophisme fonde sur ce qu’il
n’est d’aucune utilité au genre humain que l’on croie qu’un certain homme
existe, au lieu qu’il est très utile que l’on croie que Dieu est. De Fidée qu’il
n’est pas, suit Fidée de notre indépendance; ou, si nous ne pouvons pas
avoir cette idée, celle de notre révolte. Dire que la religion n’est pas un
motif réprimant, parce qu’elle ne réprime pas toujours, c’est dire que les
loix civiles ne sont pas un motif réprimant non plus. C’est mal raisonner
contre la religion, de rassembler dans un grand ouvrage une longue énumé-
ration des maux qu’elle a produits, si Fon ne fait de mème celle des biens
qu’elle a faits. Si je voulois raconter tous les maux qu’ont produit dans le
monde les loix civiles, la monarchie, le gouvernement républicain, je dirois
des choses effroyables. Quand il seroit inutile que les sujets eussent une re
ligion, il ne le seroit pas que les princes en eussent, et qu’ils blanchissent
d’écume le seul frein que ceux qui ne craignent pas les loix humaines puis
sent avoir.
Un prince qui aime la religion et qui la craint est un lion qui cède
à la main qui le flatte, ou à la voix qui l’appaise: celui qui craint la religion
et qui la hait, est comme les bètes sauvages qui mordent la chaine qui les
empèche de se jetter sur ceux qui passent; celui qui n’a point du tout de
religion, est cet animal terrible qui ne sent sa liberté que lorsqu’il déchire
et qu’il dévore.
La question n’est pas de savoir s’il vaudroit mieux qu’un certain hom
me ou qu’un certain peuple n’eùt point de religion, que d’abuser de celle
qu’il a; mais de savoir quel est le moindre mal, que Fon abuse quelquefois
de la religion, ou qu’il n’y en ait point du tout parmi les hommes.
Pour diminuer l’horreur de l’athéisme on charge trop l’idolàtrie. Il n’est
pas vrai que quand les anciens élevoient des autels à quelque vice, cela signi-
fiàt qu’ils aimassent ce vice: cela signifìot au contraire qu’ils le haissoient.
Quand les Lacédémoniens érigèrent une chapelle à la Peur, cela ne signi-
fìoit pas que cette nation belliqueuse lui demandàt de s’emparer dans les
combats des coeur des Lacédémoniens. Il y avoit des divinités à qui on
demandoit de ne pas inspirer le crime, et d’autres à qui on demandoit de le
détourner ».
Di lì a poco, dopo aver mostrato che il cristianesimo è opposto al go-
222 LE POLEMICHE SULL’ATEISMO DEL RAZIONALISMO
Qu’un moine nie un depot; que s’ensuit-il, sinon qu’un sot le lui avoit
confié? Si Pascal en eut nié un, cela prouveroit que Pascal étoit un hypocrite,
et rien de plus. Mains un moine!... Les gens qui font trafic de la religion
sont-ils ceux qui en ont? Tous les crimes qui se font dans le dergé, comme
ailleurs, ne prouvent point que la religion soit inutile, mais que très-peu
de gens ont de la religion. Nos gouvernemens modernes doivent incontesta-
blement au christianisme leur plus solide autorité et leurs revolutions moins
fréquentes; il les a rendus eux mèmes moins sanguinaires: cela se prouve
par le fait en les comparant aux gouvernemens anciens.
La religion mieux connue, écartant le fanatisme, a donne plus de dou
ceur aux moeurs chrétiennes. Ce changement n’est point l’ouvrage des lettres;
car, partout où elles ont brille, l’humanité n’en a pas été plus respectée;
les cruautés des Athéniens, des Egyptiens, des empereurs de Rome, des
Chinois, en font foi. Que d’oeuvres de miséricorde sont l’ouvrage de l’Evan-
gile! Que de restitutions, de reparations, la confession ne fait-elle point faire
chez les catholiques! Chez nous combien les approches des temps de com
munion n’opèrent-elles point de reconciliations et d’aumónes! Combien le
jubilé des Hébreux ne rendoit-il pas les usurpateurs moins avides! Que de
misères ne prévenoit-il pas! La fraternité legale unissoit toute la nation; on
ne voyoit pas un mendiant chez eux. On n’en voit point non plus chez les
Turcs, où les fondations pieuses sont innombrables; ils sont, par principe
de religion, hospitaliers, mème envers les ennemis de leur culte » (J. J. Rous
seau, E m ile , liv. IV; O euvres com pletes , ed. Hachette, Paris 1856, t. II,
p. 104 ss.).
Sull'irrazionalità dell’ateismo, cf. la dichiarazione nella Lettera di ri
sposta alla condanna deiY Em ile da parte dell’arcivescovo di Parigi, De Beau
mont:
« Mon sentiment est done que l’esprit de l ’homme, sans progrès, sans
instruction, sans culture, et tel qu’il sort des mains de la nature, n’est pas
en état de s’élever de lui mème aux sublimes notions de la Divinité; mais
que ces notions se présentent à nous à mesure que notre esprit se cultive;
qu’aux yeux de tout homme qui a pensé, qui a réfléchi, Dieu se manifeste
dans ses ouvrages; qu’il se révèle aux gens éclairés dans le spectacle de la
nature; qu’il faut, quand on a les yeux ouverts, les fermer pour ne l’y
point voir; que tout philosophe athée est un raisonneur de mauvaise foi
ou que son orgueil aveugle; mais qu’aussi tei homme stupide et grossier,
quoique simple et vrai, tei esprit sans erreur et sans vice, peut, par une
ignorance involontaire, ne pas remonter à l’auteur de son ètre, et ne pas
concevoir ce que e’est que Dieu, sans que cette ignorance le rende punis-
sable d’un défaut auquel son coeur n’a point consenti. Celui-ci n’est pas
éclairé, et l’autre refuse de l’ètre: cela me paroit fort different » (O euvres
com pletes , ed. cit., t. II, p. 348).
La crisi dell’uomo onesto, ch’è scosso nella sua fede religiosa dalla vita
scandalosa dei falsi credenti e passa all’ateismo o allo scetticismo religioso,
è descritta nella N ouvelle Hélo'ise , P. V, Lettre 5; O euvres com pletes , cd.
cit., t. I l i , p. 528 ss. Sul significato dell’opposizione di Rousseau all’ateismo
della cricca di Diderot-D’Holbach-Helvétius..., v. P. M. Masson, Rousseau
et la restauration religieuse , II ed., Paris 1916, t. I l i , p. 7 ss.
APPENDICI 225
Invano e per poco davvero gli illuministi del Settecento s’illusero che
il più grande scrittore del secolo si dichiarasse a loro favore: Voltaire ri
mase per tutta la vita, se non teista in senso ortodosso (non arrivò mai ad
una nozione chiara della Provvidenza e del problema del male e quindi ad
un Dio personale), certamente un convinto deista. Il soggiorno inglese l’aveva
stabilito con decisione incrollabile su questa posizione. Fin da principio
infatti possiamo leggere una critica a fondo dell’ipotesi di Bayle nei suoi
due aspetti: se sia possibile avere una società di atei e se l’idolatria sia
più dannosa dell’ateismo. Il testo appartiene ai documenti classici della
nostra ricerca.
« 1 - De tous faits je passe à la question de morale agitée par Bayle,
savoir, si une société d’athées pourrait subsister. Remarquons d’abord sur cet
article, quelle est l’énorme contradiction des hommes dans la dispute: ceux
qui se sont élevés contre l’opinion de Bayle avec le plus d’emportement, ceux
qui lui ont nié avec le plus d’injures la possibilité d’une société d’athées,
ont soutenu depuis avec la mème intrépidité que l’athéisme est la religion
du gouvernement de la Chine.
Ils se sont assurément bien trompés sur le gouvernement chinois; ils
n’avaient qu’à lire les edits des empereurs de ce vaste pays, ils auraient vu
que ces edits sont des sermons, et que partout il y est parlé de l’Etre
suprème, gouverneur, vengeur et rémunérateur.
Mais en mème temps ils ne se sont pas moins trompés sur l’impossi-
bilité d’une société d’athées; et je ne sais comment M. Bayle a pu oublier
un exemple frappant qui aurait pu rendre sa cause victorieuse.
En quoi une société d’athées paraìt-elle impossible? C’est qu’on juge
que des hommes qui n’auraient pas de frein ne pourraient jamais vivre
ensemble; que les lois ne peuvent rien contre les crimes secrets; qu’il faut
un Dieu vengeur qui punisse dans ce monde-ci ou dans l’autre les méchants
échappés à la justice humaine.
Les lois de Moise, il est vrai, n’enseignaient point une vie à venir,
ne menagaient point chàtiments après la mort, n’enseignaient point aux pre
miers Juifs l’immortalité de l’àme; mais les Juifs, loin d’ètre athées, loin
de croire se soustraire à la vengeance divine, étaient les plus religieux de
tous les hommes. Non seulement ils croyaient l’existence d’un Dieu éternel,
mais ils le croyaient toujours présent parmi eux; ils tremblaient d’ètre punis
dans eux mèmes, dans leurs femmes, dans leurs enfants, dans leur postérité,
jusqu’à la quatrième génération. Le frein était très puissant.
Mais, chez les gentils, plusieurs sectes n’avaient aucun frein: les scep-
tiques doutaient de tout; les académiciens suspendaient leur jugement sur
tout; les épicuriens étaient persuadés que la Divinité ne pouvait se mèler
des affaires des hommes et, dans le fond, ils n’admettaient aucune divinité.
Ils étaient convaincus que l’àme n’est point une substance, mais une faculté
qui naìt et qui périt avec le corps; par conséquent ils n’avaient aucun joug
que celui de la morale et de l’honneur. Les sénateurs et les chevaliers ro-
mains étaient de véritables athées, car les dieux n’existaient pas pour des
hommes qui ne craignaient ni n’espéraient rien d’eux. Le sénat romain
était done réellement une assemblée d’athées du temps de César et de Cicéron.
226 LE POLEMICHE SULL’ATEISMO DEL RAZIONALISMO
avaient des factieux dans les temps de Svila et de César; ils furent sous
Auguste et Tibère des athées esclaves.
je ne voudrais pas avoir affaire à un prince athée, qui trouverait son
intérèt à me faire piler dans un m ord er: je suis bien sur que je serais
pile. Je ne voudrais pas, si j etais souverain, avoir affaire à des courtisans
athées dont l ’intérèt serait de m ’empoisonner: il me faudrait prendre au
hasard du contre-poison tous les jours. Il est done absolument nécessaire
pour les princes et pour les peuples, que l ’idée d’un E tre suprème, créateur,
gouverneur, rém unérateur et vengeur, soit profondément gravée dans les
esprits.
Il y a des peuples athées, dit Bayle dans ses P ensées sur les comètes.
Les Cafres, les H otten tots, les Topinambous, et beaucoup d’autres petites
nations n ’ont point de Dieu: ils ne le nient ni l’affirment; ils n’en ont
jamais entendu parler. Dites-leur qu’il y en a un, ils le croiront aisément;
dites-leur que tout se fait par la nature des choses, ils vous croiront de
mème. Prétendre qu’ils sont athées est la méme imputation que si l ’on disait
qu’ils sont anticartésiens; ils ne sont ni pour ni con tre Descartes. Ce sont
de vrais enfants; un enfant n ’est ni athée ni déiste, il n ’est rien.
Quelle conclusion tirerons-nous de tout ceci? Que l’athéisme est un
monstre très pernicieux dans ceux qui gouvernent; qu’il l’est aussi dans
les gens de cabinet, quoique leur vie soit innocente, parce que de leur
cabinet ils peuvent percer jusqu’à ceux qui sont en place; que s’il n’est pas
si funeste que le fanatisme, il est presque toujours fatai à la vertu. Ajoutons
surtout qu’il y a moins d’athées aujourd’hui que jamais, depuis que les
philosophes ont reconnu qu’il n ’y a aucun ètre végétant sans germe, aucun
germe sans dessein, etc., et que le blé ne vient point de pourriture.
Des géomètres non philosophes ont rejeté les causes finales, mais les
vrais philosophes les adm ettent; et, comme l ’a dit un auteur connu, un
catéchiste annonce Dieu aux enfants, et N ew ton le démontre aux sages »
(Dictionnaire philosophìque, art. A thées, A théism e, ed. R . Naves, Paris 1 9 5 4 ,
pp. 4 0 - 4 3 ) 8.
stessa nota è citato M r. Bernard che aveva distinto gli athées de réflexion
del Bayle in athées d’esprit e athées de coeur).
Più concisa, ma altrettanto severa la critica della posizione di Spinoza,
seguace di Hobbes (in Tractatus theol -polity c. X V I), che in sostanza non
riconosce neppure la religione naturale:
« Il n ’est pas plus difficile de réfuter les argumens dont Spinosa se
sert pour appuier le sentiment FHobbes. Après avoir pose pour principe,
que, dans F E ta t de N ature, quiconque n*a pas Fusage de la Raison peut
vivre selon les L o ix de ses Desirs, en vertu du droit absolu que la Nature
lui en donne; il se propose cette objection, qu’une pareille maxime ne
s’accorde point avec le D roit Divin Révélé. A quoi il répond, que F E ta t
de Nature est antérieur à la Religion ou par Fordre du tems, ou par la
nature des choses: proposition très fausse, du-moins à Fégard de la Religion
Naturelle. Il n ’y a pas plus de vérité dans les paroles suivantes: La Nature
n ’enseigne à personne, qu’il doive obéir à Dieu. La Raison mème toute
seule est incapable de s’élever jusques-là. Il n ’y a qu’une Révélation, con
firmee par des miracles, qui puisse nous fournir cette connoissance. Cela
est encore insoutenable par rapport à la Religion N aturelle, et ainsi il faut
rejetter entièrement la consequence que Spinosa en tire: qu’avant la R é
vélation personne n ’est soumis aux L oix Divines (car cela n ’est vrai que
des Ordonnances Positives) et que F E ta t de N ature doit étre congu sans
aucune Religion, ni aucune L oi, et par conséquent sans péché et sans injure.
Il ajoute, que la raison pourquoi, dans F E ta t de N ature, FHomm e est
libre du joug de la Religion, c ’est d ’un còte à cause de son ignorance, de
Fautre à cause de la Liberté dont chacun est revétu en venant au monde.
Car, dit-il, si les Hom m es étoient naturellem ent sujets aux L o ix Divines,
ou si les L oix Divines étoient des L oix Naturelles, pourquoi Dieu auroit-il
traité avec les H om m es? A quoi bon les lier des Conventions ou par des
Sermens? Mais les Conventions entre Dieu et FH om m e n’ont lieu que dans
la Religion Révélée; car FH om m e est oblige de pratiquer les Devoirs de la
Religion Naturelle, par cela seul que Dieu F a fait un Animai Raisonnable.
Ainsi tom be la conclusion de Spinosa: que le D roit Divin n ’a commencé que
quand les Hom mes s’engageant à Dieu, par une Convention expresse, de lui
obéir en toutes choses, ont renoncé en quelque sorte à leur Liberté Naturelle,
et transféré à Dieu leur droit, de la méme manière que cela se pratique dans
les Sociétés Civiles. Pour soutenir une proposition si absurde, il faut nécessai-
rement supposer que, dans F E ta t de N ature, les Hommes ne tiennent pas
leur existence de Dieu » (S. Pufendorf, Le Droit de la Nature et des Gens,
tr. du latin par le Baron J. Barbeyrac, à Bàie, chez E . Thourneisen, 1 7 7 1 ,
t. I, pp. 3 9 0 -3 9 3 ).
M olto vicina al Pufendorf, secondo la presentazione del Barbeyrac, è
la posizione del domenicano Casto Innocente Ansaldi, nelFopera apologetica
Della necessità e verità della religione naturale e rivelata, Venezia, appresso
Pietro Valvasense, 175 5 . L 'A . m ostra una vasta conoscenza della letteratura
deista (W arb u rton , H erb ert de Cherbury, D ltton, Tem pie... M a nessun accenno
a Toland, Collins). Cita con rispetto il protestante Abbadie (p. C X X IV ss.),
ma respinge con energia il « principio di ragion sufficiente » di Leibniz-Wolff
(p. C C V II ss.).
230 LE POLEMICHE SULL'ATEISMO DEL RAZIONALISMO
Vissuto nel pieno fervore dell’epoca dei lumi, l ’abate siciliano Nicola
Spedalieri (1 7 4 0 -1 7 9 5 ) dedicò il libro I I I della sua opera maggiore alla con
futazione dell’irreligione come il pericolo numero uno e la prima radice di
ogni male per la società (Dei diritti dell’uomo, libri sei, nei quali si dimostra
che la più sicura custodia dei medesimi nella società è la religione cristiana
e che però l ’unico progetto utile alle presenti circostanze si è di far rifiorire
essa religione. M ilano, Silvestri, 1 8 4 8 , voi. I , p. 2 3 2 ss.). Nella prefazione
protesta di voler com portarsi da « puro filosofo » per seguire soltanto la
coerenza dei problemi in se stessi, senza dipendere o riferirsi ad autorità
alcuna o lasciarsi prendere dall’eloquenza. Posta, come fine dell’uomo, la
felicità, al conseguimento della quale mirano i suoi « D iritti naturali » (lib. I),
e indicati i mezzi fondamentali per garantire con sicurezza l’esercizio dei
medesimi (lib. I I ) , egli indica r^YYateismo il vero e principale nemico della
società (lib. I l i ) , poiché... « l ’irreligione spoglia la società di quegli stessi
deboli mezzi, dei quali pur doveva giovarsi, rendendoli tu tti vani e assurdi »
(voi. I, p. XI). L o Spedalieri procede in modo giuridico e aforistico, per
concetti puri, senza far nome alcuno ad eccezione del Bayle, ed è chiaro che
il suo principale obiettivo è la confutazione della tesi del Bayle. Anzitutto
egli mostra una connessione stretta tra l ’Ateism o, il Materialismo ed il F a
natismo (c. I I , p. 2 3 5 : « I Panteisti vanno nella classe degli Atei ») e perciò
l’ateismo distrugge ogni libertà: poiché « chi nega il libero arbitrio all’uomo
deve pur negargli lo Spirito eh’è quanto dire che il Patalismo porta seco ine
vitabilmente al Materialismo [ .. .] e questo AYAteismo », un vero Cerbero
con tre teste e che non sa mordere che con tu tte e tre le bocche (t. I,
p. 2 3 8 s .) .t
L ’Ateism o non può quindi essere tollerato: « L a tolleranza dell 'Ateìsmo
col disunire gli animi, coll’accendere un odio scambievole fra cittadino e
cittadino, coll’inasprire le loro passioni, coll’aprire al loro amor proprio un
largo campo di battaglia, distruggerebbe la essenza della Società ». Segue
un sintomatico accenno alla situazione che ha p ortato alla rivoluzione fran
cese e alle sue conseguenze: « E noi specchiandoci sempre nel fatto, non
dobbiamo dubitare che le luttuose catastrofi, che sta soffrendo la Francia,
non siano effetti della indolenza, con che il Governo ha tollerato lo stabili
mento òz\YAteismo » (t. I , p. 2 4 2 ).
L ’Ateism o è condannato per molte ragioni o conseguenze le quali tutte
minano alla base la consistenza della società: perché esso... « tende a di
struggere l ’equilibrio che è necessario mantenere fra le passioni di tutti i
cittadini » (p. 2 4 3 ). L ’ateo scorge dappertutto solo materia e non ha alcuno
scrupolo nella vita di mascherare le proprie intenzioni, disposto alla diffi
denza e allo spergiuro perché persuaso che la Divinità sia una mera finzione
scenica (p. 2 4 5 ); in sostanza, quindi, l ’ateo manca e deve mancare di
ogni morale.
N el c. I l i è affrontata direttam ente la tesi del Bayle: « che una Società
di atei potrebbe sussìstere, perché avrebbe la morale derivante dalla in
trinseca natura delVuomo » (p. 2 4 9 ). T u tte le prove addotte dal Bayle sono
puri sofismi: dove manca Dio, non c ’è altro che la legge delYutile e la co
APPENDICI 231
9 L e posizioni del B ayle, in m ateria religiosa e so p rattu tto nella sua polem ica
an ticattolica, sono am piam ente esp oste e critic a te dallo Spedalieri nell’opera più d i
rettam en te ap ologetica: Analisi dell*esame critico del Signor Nicola Freret sulle
prove del Cristianesimo, I I I ed ., M onza 1 8 2 1 ss. (4 v o li.). A sua v o lta lo Speda
lieri è accu sato di ricad ere n ell'errore stesso d i B ayle, in quan to am m ette una legge
n atu rale indipend entem en te dall’esistenza di D io , da V . P alm ieri, Analisi ragio
nata dei sistemi e dei fondamenti dell'ateismo e dell’incredulità, G en ova 1 8 1 1 -1 8 1 4
(7 voli. - C f. spec. t. I V , p. 2 4 3 ss. - L ’o p era ab braccia, in chiave di crìtica
apologetica, lo sviluppo del deism o e d ell’iHum inism o).
II
DEISMO E ATEISMO
NELL’EMPIRISMO INGLESE
Da un’altra parte, precisamente dalla parte opposta, dell’accusa
di ateismo fondata sulla metafisica ontologistica, il razionalismo carte
siano è giudicato dal marxismo e dall’esistenzialismo come un precur
sore dell’ateismo positivo e costruttivo: è il dualismo metafisico carte
siano che apre la strada al nuovo materialismo e all’ateismo K
Nella sua fisica infatti Cartesio ha conferito alla materia una
forza autocreativa e concepisce il moto meccanico come il suo atto
vitale. A ll’interno della sua fisica la materia è l’unica sostanza, l ’unico
fondamento dell’essere e del conoscere. Il materialismo meccanicista
francese si collegò alla fisica di Descartes in contrasto col suo teismo e
lasciando cadere la sua metafisica: i suoi discepoli furono antimeta
fisici di professione, cioè fisici. Con il medico Le Roy comincia questa
scuola, con il medico Cabanis essa raggiunge il suo vertice, il medico
La Met trie è il suo centro. Cartesio viveva ancora quando Le Roy tra
sferì la costruzione meccanicistica dellyanimale — come farà nel see.
xvm La Mettrie — all’anima umana, spiegando l’anima come un moto
del corpo e le idee come moti meccanici. Le Roy credeva perfino che
Cartesio avesse occultato la sua vera opinione, ma Cartesio protestò.
Alla fine del see. xv m Cabanis portò a compimento il materialismo
cartesiano nella sua opera: Rapport du physique et du moral de
Vhomme. Il materialismo cartesiano, prosegue Marx, esiste in Francia
fino ai nostri giorni. Esso ha avuto il suo grande seguito nella scienza
naturale meccanicistica.1
1 Riprende e svolge, punto per punto, fino alla concordanza verbale, que
st’interpretazione di Marx delFempirismo inglese, la collettiva e ufficiosa Geschìchte
der Philosophic, Berlin 1939, Bd. I, p. 328 ss.
238 DEISMO E ATEISMO NELL'EMPIRISMO INGLESE
il moto, la quiete [ ...] ossia gli aspetti quantitativi che possono essere
misurati e calcolati con la matematica: questi aspetti sono riconosciuti
da Locke « oggettivi » e corrispondono alla realtà. Non hanno invece
valore oggettivo le qualità secondarie — colori, suoni, sapori, odori,
ecc... — ma si tratta di sensazioni soggettive che si formano nella nostra
coscienza sul fondamento di combinazioni diverse delle qualità pri
marie. In tutto questo si tratta, osservano i marxisti, di una concezione
artificiosa in cui si mescolano empirismo e idealismo: ossia gli empi
risti non conoscono ancora la teoria che spiega il processo della cono
scenza come « riflesso » (Spiegelungs- od anche W ider spie gelungstheorie)
a cui arriverà il marxismo. Locke, insistono, non ha conosciuto che la
differenza qualitativa per esempio di due colori rispecchia la differenza
qualitativa oggettiva delle fonti della percezione stessa, che la sensa
zione perciò non è un segno arbitrario ma ch’essa è connessa necessa
riamente con l ’oggetto della percezione. La sua teoria che le sensazioni
assomigliano ai segni della scrittura sulla carta e che non assomigliano
minimamente ai pensieri che in essi si esprimono, e quindi che si
riducono a «sim b o li» , a «g ero g lifici»...3 del reale, è un «residuo
idealistico » che ha preparato la via all’agnosticismo. Le oscillazioni di
Locke fra materialismo e idealismo si mostrano anche nella sua conce
zione della verità: avendo limitato le sue ricerche alla sfera ristretta
delle impressioni soggettive, egli dimenticò spesso addirittura la realtà
oggettiva.
La conoscenza altro non è, secondo la sua definizione, che la per
cezione del rispettivo accordo o non accordo delle nostre rappresen
tazioni e la verità consiste perciò nell’accordo delle rappresentazioni
umane fra loro: anche la grande importanza che Locke attribuisce all’in
trospezione manifesta l ’incoerenza del suo materialismo. Tuttavia biso
gna riconoscere che nella concezione lockiana il materialismo prevale
sull’idealismo.
Anche nella concezione che Locke ha della religione si nota —
secondo i marxisti — la stessa tendenza al compromesso. Locke è
stato uno dei fondatori del deismo: la sua concezione della religione
era per quell’epoca relativamente progressista, anche se qui ritorna
ancora il compromesso. Il deista Locke infatti, che ammetteva Dio,
tentò di accordare la fede con la ragione e di formare una religione
che in una certa misura fosse accettabile per l’« uomo di buon senso ».
Egli rigettò le professioni di fede vigenti con i loro dogmi e la loro
forma ecclesiastica, riconoscendo però una certa religione naturale « ra
zionale ». Dio, nella concezione di Locke, è il Principio razionale su
premo, che ha creato il mondo con le sue leggi irremovibili, il quale
però per il resto non s’immischia più nelle cose: è perciò come un
« monarca costituzionale » eh’è limitato nei suoi diritti, per cui il
« miracolo » e le altre manifestazioni soprannaturali sono impossibili.
Per Locke la religione non è affare di Stato ma una faccenda di singole
comunità le quali devono godere di ampia, benché non illimitata, tol
leranza: a meno che non si tratti degli atei e dei cattolici (per i rap
porti con la Casa Stuart!).
Secondo Lenin, il sensismo di Locke non è ancora materialismo
compiuto e coerente4. Polemizzando contro l ’empirismo delPAvena-
rius (« n e l mondo c’è solo la sensazione»: 1876) e del Mach (« i
corpi sono complessi di sensazioni »: Die Analyse der Empfindungen)
protesta di voler reagire a simili forme di soggettivismo che portano
inevitabilmente alla negazione della verità oggettiva. Tanto il mate
rialista come l ’idealista soggettivo possono considerare le sensazioni
come la sorgente delle nostre conoscenze: Diderot e Berkeley proce
dono ambedue da Locke. Procedendo dalle sensazioni, conclude Lenin,
si può seguire la linea del soggettivismo che porta al solipsismo (« i
corpi sono complessi o sintesi di sensazioni »), ma si può seguire anche
la linea dell’oggettivo che porta al materialismo (le sensazioni sono
immagini dei corpi, del mondo esterno). Per il primo punto di vista
— per l ’agnosticismo o, se si vuol andar oltre, in generale per l ’idea
lismo soggettivo — non si può dare nessuna verità oggettiva. Per il
secondo punto di vista, cioè per il materialismo, è essenziale il ricono
scimento della verità oggettiva.
Del resto, osserva Lenin (un’osservazione molto importante, a
nostro avviso, per l’interpretazione del significato fondamentale del
principio d’immanenza), è stato Hegel stesso a dichiarare che il mate
rialismo è la conseguenza diretta dell’empirismo. Consideriamo anche
noi con Lenin l ’importante testo hegeliano ch’è preso dall’Introdu
zione all’Enciclopedia delle scienze filosofiche : si tratta dell’aggiunta
(Zusatz) del § 38. Nel testo di questo paragrafo Hegel non parla espres
6 « Fiir den Empirismus ist iiberhaupt das Aeusserliche das Wahre und wenn
dann auch ein Uebersinnliches zugegeben wird, so soli doch ein Erkenntnis desselben
nicht stattfinden kdnnen, sondern man soli sich lediglich an das der Wahrnehmung
Angehórige zu halten haben. Dieser Grundsatz aber in seiner Durchfiihrung hat
dasjenige gegeben, was man spater als Materialism tis bezeichnet hat. Diesem Mate-
rialismus gilt die Materie als solche als das wahrhaft Objektive » (Enc. d. pbilos.
Wiss.y § 38, Zusatz, ed. L. von Henning, Berlin 1840, Bd. I, p. 83).
244 DEISMO E ATEISMO NELL'EMPIRISMO INGLESE
3 È rico rd a to da H . Scholz nella In tro d u zion e alla sua antologia delle due
principali opere del C h erb u ry: Die Religionsphilosophie des H erbert von Cherbury,
A uszùge aus De Ventate u n d De Religione Gentiliunty G iessen 1 9 1 4 , p . 7 s. L e
n ostre citazioni sono prese d all’edizione del 1 6 3 3 di P arigi. S ull’origine del deismo
u n ’inform azione di H u m e , ch e lo fa risalire all’epoca di C rom w ell n ei prim i
decenni del see. x v u , gli attrib uisce un significato più etico-politico ch e religioso
quale esso tend e a p ren dere (a m odo su o !) con C h erb u ry: « T h e second (p arty )
w ere the D eists, w h o had no o th e r ob ject th an p olitical lib erty, w h o denied enti
rely th e tru th o f revelation , and insinuated, th a t all th e various sects, so heated
against each o th e r, w ere alike founded in e rro r. M en of such daring geniuses w ere
n ot co n ten ted w ith th e established form s of civil go v ern m en t; b u t challenged
a degree of freed om beyond w h at they ex p e cte d , u nd er any M on arch y, ever to
enjoy. M a rtin , C h alloner, H a rrin g to n , Sidney, W ild m an , N evil, w ere esteem ed the
heads of this sm all division » (D . H u m e, The History of Great Britain, London
1 7 3 7 , t. I I , p. 4 8 s.). N om i, questi dei prim i deisti, com p letam en te sconosciuti
anche allo storico del deism o così inform ato co m ’è G . V . L ech ler, ch e lo fa iniziare
con C h erb ury, L e la n d ... ( Geschichte des englischen Deismus , S tu ttg art u. Tubingen
1 8 4 1 , p. 2 6 ss. I l L elan d pone a p recu rsore del deism o F . B aco n e). V erso la fine
della sua o p era storica H u m e p resen ta un secondo elenco di deisti che p orta in
testa Shaftesbury seguito da u n gruppo di altri ignoti o quasi nella storia del
pensiero, com e H a lifa x , B uckinghan, M u lgrave, S un derland, E s s e x , R och ester,
Sidney, T e m p ie ... ( Op . cit., t. I I , p. 4 3 0 ).
4 « R eligio est n otitia com m unis; nulla enim sine religione n atio, saeculum.
V idendum igitu r est, quaenam in religione e x consensu universali sint agnita;
universa con feran tu r, quae autem tanq uam v era in religione agnoscun tu r com
munes n otitiae habendae sunt » (De Ventate , ed. cit., p. 4 3 ; Scholz 3 4 ).
LA FORMAZIONE DEL DEISMO (DE CHERBURY, HOBBES) 249
rerum causam saltern quatenus bonae sunt. Da ciò segue la divina Prov
videnza che il Nostro enunzia con un’espressione audace o perlomeno
strana: esse rerum medium. Gli attributi seguenti riguardano l’atto
fondamentale della religione e la verità fondamentale della divina Prov
videnza dei particolari: « esse aeternum> quod enim in rebus primum,
aeternum utique esse communis notitia docet »; « esse bonumy quia
causam omnis boni summe bonam esse communis notitia docet »;
« esse iustum , quia ex providentia sua res summa aequitate temper ari
communis notitia, experientia demum et historiae passim testantur »
(checché sia delle difficilissime questioni poste dalla filosofia e dalla teo
logia a questo riguardo); « esse sapientem, quia sapientia suae speci-
mina [...] in operibus suis quotidianis maxime elucent ».
Più ardui ossia maxime controversa sono gli altri attributi di Dio
quali l’infinità, l ’onnipotenza e la libertà. Ma il Cherbury si cava d’imba
razzo in modo piuttosto strano e impensato con un sillogismo impli-
cativo o sorite a ritroso, provando la libertà dall’onnipotenza e l’onni
potenza dall’infinità. L ’infinità di Dio poi è dimostrata, anticipando o
piuttosto preparando la celebre controversia Clarke-Leibniz mediante
l ’infinità dello spazio che Dio riempie con la sua presenza: « Infinitatem
suam probat ipsa loci sive spatii infinitas; omnia enim permeare numen
supremum communis docet notitia. Omnipotentiam suam probat infi
nitas sua; quod enim infinitum est, nihil non posse extra controversiam
situm est. Libertatem suam probat omnipotentia sua; quod enim nihil
non potest, summe liberum esse nemo sanus vel dubitavit unquam » 9.
Questi stessi attributi, per vincere i negatori più ostinati, sono poi
dedotti cioè enunziati secondo una linea più spiccatamente metafisica
e antropologica, con ricorso alla nozione di partecipazione: l ’infinità dal
fatto che supera la nostra intelligenza, l’onnipotenza dall’aver creato il
mondo dal nulla, la libertà dall’essere Egli la causa della libertà del
l ’uomo 10.
Anche ad una prima lettura, questa teologia naturale, dall’appa
renza così pacifica ed innocua, genera non poche perplessità e turba
11 D ifatti anche lo spinozism o fu ind icato nel see. x v n com e deism o (cf. H .
Scholz, Einleitung all’ed. cit., p. 1 3 , n. 1).
252 DEISMO E ATEISMO NELL'EMPIRISMO INGLESE
v ero ita atheis inim icus sum , u t legem aliquam iu x ta quam con dem nare eos
injustitiae possem , e t diligentissim e, quaesiverim e t veh em en ter cu piverim ; sed
cu m nullam inven erim quaesivi p roxim e, q uo nom ine ta n to p ere D eo exosi hom ines,
ab ipso ap pellarentur. D eus au tem de A th e o sic loq u itu r: Dixit insipiens in corde
suo non est Deus. Ita q u e p eccatu m eoru m in eo genere collocavi, in quod genus
ab ipso D eo relatum fu erit. D einde atheos D ei h ostes esse co n ten d o ; nom en autem
hostis q uam innuisti, aliquando atrocius esse con ten d o » ( Op. cit.y t. I I , p. 3 2 6 ).
Sulla necessità di una punizione p er l ’ateo, v. anche Appendix ad Leviathan, c. I I ,
ed. cit., t. I l i , p. 5 4 9 .
26 T . H ob b es, De Homine , P . I I , c. X X X I , ed. cit., t. I l i , p . 2 5 5 .
27 T . H ob b es, Appendix ad Leviathan, c. I I , ed. c it., t. I l i , p. 5 4 8 .
LA FORMAZIONE DEL DEISMO (DE CHERBURY, HOBBES ) 259
solent, vel non valent, vel non curant; denique insipientes, in quo
numero athei sunt, scire id non posse » 33.
Le analogie fra la posizione di Hobbes e quella di Spinoza sono
state spesso indicate, ed un testo degli ultimi anni, nella polemica con
il vescovo Bramhall, sembra suggerire una forma di parmenidismo o
piuttosto di spinozismo panteistico: « Io intendo per universo Paggre-
gato di tutte le cose che hanno essere in se stesse; e così fanno anche
tutti gli uomini. E poiché Dio ha un essere, segue ch’Egli è o Puni-
verso intero o parte di esso » 34.
Testo indubbiamente imbarazzante se confrontato con la littera
esteriore dei testi latini precedenti, ma che forse corrisponde meglio
di essi all’ispirazione vera e profonda del pensiero di Hobbes, ch’è un
razionalismo sensistico, con evidenti affinità con il panteismo stoico.
È probabile che Patteggiamento di Hobbes su Dio fosse, fin dalPinizio,
quello di un sobrio agnosticismo, secondo il quale ci si deve fermare
alla semplice affermazione delPesistenza di Dio e agli attributi fonda-
mentali: « Unicum enim ratio dictat naturae significativum Dei nomen,
exsìstens , sive simpliciter, quod est ; unumque relationis ad nos, nempe
Deus, quo continetur et rex , et dominus, et pater » 3S. Una dichiara-
razione che, nella prospettiva di Hobbes, attinge Pimpossibilità della
metafisica in generale e Pinattingibilità della vita dello spirito in se
stessa, del dinamismo della libertà e delPesito del suo destino.
Eppure pochi, in tutto il pensiero moderno, sono stati i teisti più
risoluti di Hobbes che abbiano proclamato nei loro scritti con timbro
inequivocabile i supremi diritti di Dio con Paderenza diretta non sol
tanto ai principi della ragione ma anche alla Bibbia in completo osse
quio. Leggendo il De Cive , si rimane sorpresi perfino da un certo calore
religioso e quasi mistico soprattutto nel capitolo sulla religione: il
titolo De regno Dei per naturam potrebbe sembrare sibillino, ma il
continuo ricorso ai testi biblici36, coi quali Hobbes illustra il suo in
tento, ci sembra metta fuori dubbio la sua convinzione di affermare
il regno del vero Dio e di non confondere, come Spinoza, Dio con la
natura. Diamo qualche cenno sulla struttura del capitolo di cui abbiamo
dato i testi più rilevanti contro l'ateismo.
1) Lo stato di natura — non diversamente dalla concezione del
Vico — è indicato come stato di anarchia e d'istinti selvaggi ( hostilis).
Dev'essere perciò frenato e regolato dalle leges naturae, le quali devono
a un tempo regolare i rapporti dell'uomo sia verso la città sia verso
Dio. La vita dell'uomo regolato dalle leges naturae è detta dall'Hobbes
costituire il Regnum Dei (§ 1).
2) Il regno di Dio ha senso morale: non indica cioè il semplice
dominio della divina Onnipotenza, ma implica e si attua mediante il
riconoscimento e l'accettazione libera da parte dell'uomo delle leggi
promulgate da Dio: ne sono esclusi quindi gli atei (§ 2).
3) Dio fa conoscere le sue leggi in tre modi: per tacita recte rationis
dictamina (verbo razionale), per revelationem immediatam (verbo sen
sibile, diretto all'individuo singolo), per vocem alicuius hominis (verbo
profetico): è il profeta, il quale garantisce la sua missione col sigillo
divino dei miracoli per tutta la Chiesa (§§ 3-4). Dio ha il potere asso
luto sull'uomo e nessuno gli può resistere e benché possa punire
l'uomo e ucciderlo anche se non avesse peccato, pure è stato il peccato
la causa della morte e di tutte le altre sofferenze (§§ 5-6).
4) Circa il modo di onorare Dio e di osservare le sue leggi,
Hobbes applica la sua teoria del « patto ». Avendo i singoli trasferito
all'autorità politica tale potestà, tocca alla stessa stabilire il senso e
l'osservanza delle leggi sia sacre come civili: questo totalitarismo di
Stato, anche in materia religiosa e di culto divino, ha la sola eccezione
delle leggi che fossero direttamente contro Dio (§§ 7-18).
5) Dei peccati che l'uomo può fare contro il regno di Dio, il più
grave è l'ateismo, ch'è un delitto di lesa divina maestà: « ... si [subditi]
non confiteantur cor am hominibus verbis et factis, unum esse Deum
optimum, maximum, beatissimum, totius mundi mundanorumque re-
gum regem supremum. Quartum hoc peccatum [...] laesae divinae maie-
statis crimen est. Est enim negatio divinae potestatis, sive atheismus »
(§ 1 9 ) 37. Gesù è detto il Cristo, ma qui non si legge che sia Dio e
Figlio di Dio 38.
« Dixit insipiens in corde suo, non est D eus» (Ps. 13, 1). Quindi è
pacifico fra noi due che Dio esiste. E cade perciò l’accusa ch’io difenda
o scusi l’ateismo: le sottigliezze scolastiche del Bramhall non servono
a nulla.
Circa poi la controversia degli attributi di D io 44, come l’ubiquità,
l ’indivisibilità, l ’eternità, l ’onnipotenza... Hobbes si difende trinceran
dosi dietro un cauto agnosticismo e distinguendo fra concreto e astratto,
fra eternità e eterno. All’accusa di aver concepito Dio come « corpo
reo » e « infinito », risponde richiamandosi a S. Paolo {Col. 2, 9)
dove si dice che « ... la pienezza della divinità abita in Lui (Cristo)
corporalmente (amfLaTixtog) », ciò che S. Atanasio, il campione del
l’ortodossia al Concilio di Nicea contro Ario, commentava dicendo:
« La pienezza della divinità abita in Lui corporalmente (atóx&q) id est
realiter ». E a conferma della sua « esegesi corporalista », sia di
S. Paolo come di S. Atanasio, Hobbes si appella alla dottrina materia
listica di Tertulliano45 secondo il quale « ... tutto ciò che non è corpo,
44 L ’importanza del problema degli attributi di Dio nei riguardi sia con
quello dell’esistenza di Dio sia e soprattutto con quello della libertà, come si dirà
fra poco, è assolutamente decisivo nel pensiero di Hobbes grazie alla sua cono
scenza diretta della scolastica. Le sue discussioni sottili e ostinate ricordano le
celebri controversie su questo punto della filosofia araba. Così, p. es., concepisce
che Dio può essere detto « eterno », ma non l’eternità stessa che come tale (come
ogni astratto puro!) non ha realtà né senso e respinge la posizione di S. Tommaso,
condivisa in sostanza dai suoi avversari teologi. L ’eternità va concepita come una
« eterna successione » e non come un « punto indivisibile »: « To which I answer,
that as soon as I can conceive eternity to be an indivisible point, or anything but
an everlasting succession, I will renounce all that I have written on this subject. I
know St. Thomas Aquinas calls eternity, nunc stans, an ever-abiding now; which
is easy enough to say, but though I fain would, yet I could never conceive it:
they that can, are more happy than I » {Of Liberty and Necessity..., ed. cit.,
English Works, t. IV, p. 271).
45 « Definimus animam Dei flatu natam, immortalem, corporalem, effigiatam,
substantiam simplicem, de suo sapientem, varie procedentem, liberam arbitrii, acci-
dentis obnoxiam, per ingenia mutabilem, rationalem, dominatricem, divinatricem,
ex una reduntantem » (Tertullianus, De Anima, c. 22, ed. J. H. Waszink, Amster
dam 1947, p. 31; cf. anche: H. Karpp, Probleme altchristlicber Anthropologie,
Gutersloh 1930, p. 46 ss.; C. Fabro, U anima. Introduzione al problema dell’uomo,
Roma 1933, p. 243 ss.). Per Tertulliano, come per la maggior parte degli scrittori
dell’età apostolica che s’ispirano alla metafìsica o piuttosto fisica stoica, materia è
sinonimo di realtà e quindi Dio stesso risulta di materia benché diversa da quella
delle creature (cf. M. Spanneut, Le Sto’icisme des Pères de VEglise, Paris 1937,
pp. 160 ss., 288 ss.).
268 DEISMO E ATEISMO NELL'EMPIRISMO INGLESE
itself saith in the twentieth of the Thirty-nine Articles of religion. And therefore
I am permitted to allege Scripture at any time in the defence of my belief » (An
Answer..., ed. cit., English Works, t. IV, p. 355 s.). Più sotto, Hobbes dichiara la
sua intenzione di sottomettersi alla Chiesa dTnghilterra, qualora gli proibisse di
trattare argomenti di fede, in tutto eccetto dal dire « ... che Gesù Cristo, il Figlio
di Dio, è morto per i miei peccati » (p. 366 s.).
47 Hobbes dice di sorvolare sulla critica del Bramhall (nel c. II della sua
opera) alle dottrine politiche del Leviathan, perché gli errori in materia non gli
possono nuocere molto.
48 A completamento di questa risposta, Hobbes dedica una speciale disserta
zione al concetto di « eresia » (cf. 1. c., p. 387 ss.).
270 DEISMO E ATEISMO NELL’EMPIRISMO INGLESE
49 T. Hobbes, The Question concerning Liberty, Necessity and Change, ed. cit.,
English Works, t. V, p. 13. Sull’atteggiamento di fondo da parte di Hobbes è stato
osservato: « Hobbes aber leugnet niemals die Freiheit in jenem Sinne, nàmlich als
Kdnnen, wenn man wolle; er beruft sich nur immer darauf, dass das Begehren
nicht frei sei, wenn man doch nicht begehren wollen konne; er verkennt den
abgezeigten anderen Sinn der Freiheit, obgleich auch seine Idee der Freiheit durch
jenen als den friiheren bedingt ist, und obgleich er selber oft anfiihrt, dass frei
sein nicht bloss heisst: tun kdnnen, wenn man will, sondern auch ungehemmt sein
und sich fuhlen » (F. Tonnies, Thomas Hobbes Leben und Lehre , Stuttgart 1925,
p. 173 s.).
50 È la conclusione: « That the doctrine of necessity is a blasphemous, despara-
te, and destructive doctrine. That it were better to be an Atheist, than to hold it;
and he that maintaineth it, is fitter to be refuted with rods than with arguments.
And now whether this his doctrine or mine be the more intelligible, more rational,
or more conformable to God’s word, I leave it to the judgement of the reader »
(The Questions..., ed. cit., English Works, t. V, p. 453). Hobbes aveva trattato Targo-
mento della libertà e necessità in uno scritto del 1654 contro il Vescovo di London
derry, in forma più breve, più scolastica e chiara (Of Liberty and Necessity. A Trea
tise, wherein all Controvery concerning Predestination, Election, Free-Will, Grace,
LA FORMAZIONE DEL DEISMO (DE CHERBURY, HOBBES) 271
di cui Hobbes è stato uno dei più arditi precursori e dei più celebri
maestri52. Comunque, sotto l ’apparente chiarezza, Hobbes è un pensa
tore complesso e denso di problemi, bersagliato come Cartesio da un
mondo che muore: quello dell'autorità, e sospinto da uno nuovo:
quello della libertà: un Giano bifronte nel pensiero europeo, ma la
cui opera ha avuto un esito lineare e incontrastato, malgrado le sue
proteste.
stico, ossia alla prima forma di ateismo positivo e costruttivo nel pen
siero moderno. La rapida diffusione degli scritti di Shaftesbury, nel
continente, in Francia e in Germania, creò ben presto quell'atmosfera
di elevazione della coscienza individuale a principio infallibile e insin
dacabile dei valori morali e religiosi da cui partirà non solo la « filo
sofia del sentimento », ma il nuovo cammino del pensiero europeo con
Hume e Kant. Svincolato da ogni preciso riferimento metafisico,
Shaftesbury segue unicamente il ritmo interiore della propria v ita2,
ch'egli riesce a descrivere con singolare abilità alla confluenza delle con
cezioni più innovatrici sia del pensiero antico (stoicismo) sia del Rina
scimento e del razionalismo moderno: perciò termini come teismo,
deismo, panteismo... fluttuano nella sua opera senza lasciarsi mai fer
mare in un significato preciso e comprensivo. Il suo pensiero si annun
zia con i colori freschi dell'aurora, fatto di uno stile lieve e impal
pabile all'apparenza, ma in realtà denso di allusioni e riferimenti sugli
orizzonti più rilevanti della vita dello spirito, dalla religione all'etica
e all'estetica, che lo pone senza dubbio in un posto di primo piano
nella formazione del mondo moderno.
Il nostro problema è al centro delle riflessioni di Shaftesbury ed
è affrontato direttamente nel più celebre e conosciuto dei suoi scritti:
An Inquiry concerning Virtue or M erit3; esso potrebbe costituire, a
nuto del saggio e i rapporti con la seguente produzione dello Shatfesbury sono stati
studiati da E. Wolff, Shaftesbury und seine Bedeutung fiir die englische Literatur
des 18. Jakrhunderts, Tiibingen 1960, p. 28 s.
4 Cito dall'edizione Naigeon, Paris 1821, t. I. Seguo e cito in seguito la tradu
zione del Diderot non solo per il suo valore storico ma anche per il notevole impegno
interpretativo. Sul carattere della sua traduzione, Diderot dichiara: « Je Pai lu et
relu: je me suis rempli de son esprit; et j’ai, pour ainsi dire, ferme son livre, lorsque
j’ai pris la plume. On n’a jamais use du bien d’autrui avec tant de liberté. J ’ai res-
serré ce qui m’a paru trop diffus, étendu ce qui m’a paru trop serre, rectifié ce qui
n’était pensé qu’avec hardiesse; et les reflexions qui accompagnent cette espèce de
texte sont si fréquentes, que l’Essai de M... S... qui n’était proprement qu’une
demonstration méthapbysique, s’est converti en éléments de morales assez conside
rables. La seule chose que j’aie scrupuleusement respectée, c’est l’ordre, qu’il était
impossibles de simplifier: aussi cet ouvrage demande-t-il encore de la contention
d’esprit » (p. 17). L ’edizione che seguiamo mette le osservazioni del traduttore in
nota; un confronto con l’originale ci ha persuasi della fedeltà di questo lavoro del
Dilthey che resLa un classico del genere. (L ’originale è stato riscontrato sull’edizione
Characteristics of Men, Opinions, Times, with a Collection of Letters by the Right
Honorable Anthony Earl of Shaftesbury, ed. Basil, Printed for J.-J. Tourneisen and
J.-J. Legrand, 1790, 3 voli., e sull’ultima edizione completa di John M. Robertson,
London, Grant Richards, 1900, in 2 voli.).
276 DEISMO E ATEISMO NELL'EMPIRISMO INGLESE
(De oratore), ma ha radici ben più vicine e più di tutti in Bayle, come
Diderot sa benissimo.
5 II Bandini (Op. cìt.} p. 40) interpreta lo zelo del Diderot nello scagionare
Shaftesbury dall’accusa di deismo, per « opportunità editoriale », a causa della mala
fama che circondava quel nome. Forse la difesa del Diderot rispecchia invece la sua
stessa convinzione teistica di quel tempo la quale, come si dirà, comincerà ben
presto a vacillare. Un po’ più avanti Shaftesbury definisce « teista » chi ammette
che tutto è stato fatto e ordinato, che tutto è governato per il meglio, da una sola
intelligenza essenzialmente buona. E Diderot osserva subito in nota: « Gardez-vous
bien de confondre ce mot [ théiste] avec celui du déiste » (1. c., p. 25).
TEISMO-DEISMO E ATEISMO IN SHAFTESBURY 277
7 In una lunga nota Shaftesbury mostra la gamma di queste combinazioni (1. c.,
p. 27 s., Robertson I, 241 s.), fra cui figura anche quella di teismo e ateismo
quando assieme a Dio si ammette il caso. Il problema di Bayle è presentato nell’ori
ginale nei seguenti termini: « What Honesty or Virtue is considered by itself; and
in what manner it is influenced by religion: how far religion necessarily implies
virtue; and whether it be a true saying, that is impossible for an Atheist to be
virtuous, or share any real degree of Honesty or Merit » (ed. Basil, t. II, p. 2;
Robertson I, 238).
8 Inquiry..., I, III, 2, tr. Diderot, ed. cit., t. I, p. 70 s. La tesi del Bayle
è esplicita: « As to Atheism, it does not seem that it can directly have effect at
all towards the setting up a false species of right or wrong. For, notwithstanding
a man may, through custom, or by licentiousness of practice, favored by Atheism,
come in time to lose much of his natural sense » (ed. Basil, t. II, p. 36).
TEISMO-DEISMO E ATEISMO IN SHAFTESBURY 279
umana non esiste una condizione di bene e di male allo stato puro ed
esclusivo, ed anche le inclinazioni buone possono degenerare. Così per
esempio la stessa religione a sua volta, teismo compreso, può andare
unita ai più gravi errori fino ad adorare il diavolo o a concepire Dio
« ... come un essere dispotico, violento, malefico, esigente e avaro »
eh’è lo stesso che identificarlo col diavolo. Affidata la prova dell’esi-
stenza di Dio all’osservazione della finalità e della bellezza della natura,
Shaftesbury passa a chiarire il senso e il fondamento dei concetti di
giustizia e d’ingiustizia e, dall’estrema varietà ch’essi presentano negli
uomini, indipendentemente dalla religione da essi professata, egli con
clude che l ’atteggiamento religioso non influisce di per sé direttamente
sulla morale: « Comme le déisme, le théisme, Pathéisme, et méme
le démonisme, n’ont aucune action immédiate et directe relativement
à la distinction morale de la droiture et de l’injustice; comme tout
culte, soit impie, soit religieux, n’opère sur cette idée naturelle et
première que par l’intervention et la révolte des autres affections, nous
ne parlerons de l ’effet de ces hypothèses que dans la troisième section,
où nous examinerons l’accord ou l ’opposition des affections avec le
sentiment naturel par lequel nous distinguons la droiture de l’inju
stice » (1. c., 63 s .) 9.
Intanto nella sezione seconda assistiamo al capovolgimento della
situazione: non è la religione come tale che è in grado di fare gli
uomini buoni e d’instillare in essi il senso del giusto e dell’ingiusto, ma
è la pratica di queste virtù che li condurrà a concepire un Dio vero e
giusto e ad una religione degna di Dio e dell’uomo. La formula è cate
gorica: « Si la méchanceté reconnue d’un Etre suprème influe sur
ses adorateurs, si elle déprave les affections, confond les idées de
vérité, de justice, de bonté, et sape la distinction naturelle de la droiture
et de l ’injustice: rien au contraire n’est plus propre à modérer les
passions, à rectifier les idées, et à fortifier l’amour de la justice et de
la vérité, que la croyance d’un Dieu que son histoire représente en toute
and Credulity, is able to effect » (Inquiry... y I, III, 2, ed. Basil, t. II, pp. 36, 40 s.;
Robertson I, 261 s., 265).
12 A questo punto Diderot osserva in nota, citando il Traité de la veritable
religion delTabbé De la Chambre, che sono esistiti popoli e società senza Dio e
senza culto e perfino senza il nome dell’Essere supremo per lungo tempo dopo che
avevano raggiunto un certo grado di civiltà e quindi anche di vita morale (1. c.,
p. 72, nota).
13 II testo originale riassume con lucidità il contenuto della precedente se
zione ch’è la tesi centrale dell 'Inquiry. « That it is possible for a Creature capable
of using Reflection, to have a Liking or Dislike, of moral Actions, and consequen
tly a Sense of Right and Wrong, before such time as he may have any settled
Notion of a god, is what will hardly be question’ d: it being a thing not expected,
or any-way possible, that a Creature such as Man, arising from his Childhood,
slowly and gradually, to several degrees of Reason and Reflection, shou’d, at the
282 DEISMO E ATEISMO NELL'EMPIRISMO INGLESE
very first, be taken up with those Speculations, or more refin’d sort of Reflections,
about the Subject of god’s Existence» [...] «Before the time, therefore, that a
Creature can have any plain or positive Notion one way or other, concerning the
Subject of a god, he may be suppos’d to have an Apprehension or Sense of
Right and Wrong, and be possess’d of Virtue and Vice in different degrees; as
we know by Experience of those, who having liv’d in such places, and in such
a manner as never to have enter’d into any serious Thoughts of Religion, are
nevertheless very different among themselves, as to their Characters of Honesty
and Worth: some being naturally modest, kind, friendly, and consequently Lovers
of kind and friendly Actions; others proud, harsh, cruel, and consequently inclin’d
to admire rather the Acts of Violence and mere Power » {Inquiry..., I, III, 3,
ed. Basil, t. II, p. 42 s.; Robertson I, 266).
14 Inquiry..., I, II I, 3, tr. Diderot, p. 84 s. L ’inciso fra parentesi: « e’est
le cas du christianisme » manca nell’originale ed è un’aggiunta del Diderot il quale
in questo tempo (1745) non ha ancora rotto completamente col cristianesimo, a
differenza di Shaftesbury.
TEISMO-DEISMO E ATEISMO IN SHAFTESBURY 283
25 Diamo anche Toriginale: « Thus the Wisdom of what rules, and is first
and chief in Nature, has made it to be according to the private Interest and
Good of every-one, to work towards the general Good ; which if a Creature ceases
to promote, he is actually so far wanting to himself, and ceases to promote his
own Enemy: Nor can he any otherwise be good or useful to himself, than as he
continues good to Society, and to that Whole of which he is himself a Part. So
that virtue , which of all Excellencys and Beautys is the chief, and most amiable;
that which is the Prop and Ornament of human Affairs; which upholds Com-
munitys, maintains Union, Friendship, and Correspondence amongst Men; that by
which Countrys, as well as private Familys, flourish and are happy; and for
want of which, everything comely, conspicuous, great and worthy, must perish,
and go to ruin; that single Quality, thus beneficial to all Society, and to Mankind
in general is found equally a Happiness and Good to each Creature in particular:
and is that by which alone Man can be happy, and without which he must be
miserable » ( I n q u i r y . Conclusion, ed. Basil, t. II, p. 144 s.; Robertson I, 338).
26 È Shaftesbury che rimanda aWInquiry (I, II, 3) per la fondazione di questo
principio.
290 DEISMO E ATEISMO NELL’EMPIRISMO INGLESE
27 « Is there then, said he, a natural Beauty of Figures? and is there not as
natural a one of actions? No sooner the Eye opens upon Figures, the Ear to
Sounds, than straight the Beautiful results, and Grace and Harmony are known
and acknowledg'd. No sooner are action view’d, no sooner the human Affections
and Passions discern’d (and they are most of them as soon discen’d as felt), than
straight an inward e y e distinguishes, and sees the Fair and Shapely, the Amiable
and Admirable, apart from the Deform’d, the Foul, the Odious, or the Despicable.
How is it possible therefore not to own, “ That as these Distinction have their
Foundation in Nature, the Discernment itself is natural, and from nature alone? ” »
{The Moralists.,., I l l , 2, ed. Basil, t. II, p. 343 s.; Robertson II, 137). Quindi natu
ralismo radicale e ottimismo pelagiano senz’incertezze, autonomia assoluta dell’etica
dalla religione: « Es wurde schon angedeutet, dass sich die Ethik Shaftesbury’s von
der Beziehung auf die Religion so gut als gànzlich losgelbst hat. In der That lasst
sich kein scharferer Gegensatz denken, als der freudige Optimismus Shaftesbury’s
mit seinem Vertrauen auf das angeborene Gute im Menschen, auf die Trefflichkeit
seiner Organisation und die in der Natur selbst gegebenen Anlagen zum Sittlichen,
und jene diistere, am Menschen und seiner Kraft vdllig verzweifelnde, in seiner
Natur nur Schwache, Unfàhigkeit und Verderbniss erblickende Weltanschauung,
auf welcher die kirchliche Moralitat beruht, die es ganz aufgegeben hatte, den
Menschen ohne iibernaturliche Hiilfe, ohne ausserordentliche Mittel, seiner sittli
chen Bestimmung zufiihren zu kònnen » (F. Jodl, Geschichte der Ethik in der
neueren Philosophie, Stuttgart 1882, Bd. I, p. 179).
TEISMO-DEISMO E ATEISMO IN SHAFTESBURY 291
28 Diamo ancora, data l’importanza del testo, l’originale: « Even by this then,
reply’d he, it appears there is Fitness and Decency in Actions: since the Fit and
Decent is in this Controversy ever presuppos’d: And whilst Men are at odds
about the Subjects, the Thing itself is universally agreed. For neither is there
agreement in Judgments about other Beautys. It is controverted “ Which is the
finest Pile, the loveliest Shape, of F a ce ” . But without controversy, ’tis allow’d
“ There is a beauty of each kind This no one goes about to teach', nor is it learnt
by any; but confess'd by All. All own the Standard, Rule, and Measure: But in
applying it to Things, Disorder arises, Ignorance prevails, Interest and Passion
breed Disturbance. Nor can it otherwise happen in the Affairs of Life, whilst that
which interests and engages Men as Good, is thought different from that which
they admire and praise as Honest. But with us, philocles ! it is better settled;
since for our parts, we have already decreed, “ That Beauty and Good are still the
same” » (The Moralists..., I l l , 2, ed. Basil, t. II , p. 344; Robertson II , 137 s.).
29 È Hume stesso che annovera Shaftesbury fra « ...i filosofi che in Inghilterra
dopo Bacone hanno cominciato a collocare la scienza dell’uomo su nuove fonda-
menta » (cf. Treatise on Human Nature, Introduction, ed. Selby-Bigge, Oxford
1928, p. XXI, nota). Con Shaftesbury sono menzionati Locke, Mandeville, Hutche
son, Butler... Ad eccezione di Locke, che aveva sviluppato un’etica razionalistica, gli
altri autori citati si accordano con Shaftesbury specialmente nel fondare l’etica sul
sentimento o gusto spirituale (cf. N. K. Smith, The Philosophy of David Hume.
London 1941, p. 18 s.).
292 DEISMO E ATEISMO NELL'EMPIRISMO INGLESE
32 Così anche: O. Lempp, Das Problem der Theodicee in der Philosophic und
Literatur des 18. Jahrhunderts bis ciuf Kant und Schiller, Leipzig 1910, p. 99 s. In
Italia: G. Limentani: La morale della simpatia, Genova 1914. Ved. però le osserva
zioni di J. Osske, Ganzheit, Unendlichkeit und Form. Studien zu Shaftesburys Natur-
begriff, Berlin 1930, p. 193 s.
33 Un forte testo delle Letters to a student at the University (Letter V I) del
1709 conferma in pieno la nostra interpretazione del fondo razionalistico di Shafte
sbury: « Let it be your chief endeavour to make acquaintance with what is good;
that by seeing perfectly, by the help of reason, what good is, and what ill, you may
prove whether that which is from revelation, be not perfectly good, and confor
mable to this standard. For if so, the very end of the gospels proves its truth. And
that which to the vulgar is only knowable by miracles, and teachable by positive pre
cepts and commands, to the wise and virtuous, is demonstrable by the nature of the
things» ( Characteristics..., ed. cit., voi. I, p. 339). Quindi: 1) è il tribunale della
ragione Parbitro della verità della Rivelazione; 2) la forma più alta, e quindi defi
nitiva, di convinzione non è quella che viene dalla Rivelazione o dai miracoli (riser
vata agli « uomini volgari »), ma unicamente dalla ragione. Esistono altri testi,
se questo non bastasse, per chiarire Patteggiamento di Shaftesbury che il Berkeley,
a nostro avviso, era in grado di comprendere nelle sue reali istanze (cf. J. Wild,
George Berkeley. A Study of his Life and Philosophy, Cambridge 1936, p. 344 ss.).
34 Su Hutcheson, sembra comunque fuori dubbio che si sia sforzato di libe
rarsi dalPambiguità in cui si dibatteva la posizione di Shaftesbury. Ma quest’ambi
guità ha più mordente e coerenza teoretica. Comunque, è importante rilevare che,
a differenza di Shaftesbury, Hutcheson non vede alcun contrasto fra bontà e giu
stizia in Dio ma considera, nel solco della teologia tradizionale (specialmente tomi
sta), che la giustizia fa parte della sua benevolenza: « The Justice of the deity is only
a Conception of his universal impartial Benevolence, as it shall influence him, if he
gives any las, to attemper them to the universal Good, and inforce them with the
most effectual Sanctions of Rewards and Punishments » (Hutcheson, An Inquiry
concerning Moral, Good and Evil, Sect. V II, § 10, British Moralists, t. I, p. 174).
TEISMO-DEISMO E ATEISMO IN SHAFTESBURY 295
paraìt le plus beau poème didactique, le plus utile, le plus sublime qu’on
ait jamais fait dans aucune langue. Il est vrai que le fond s’en trouve
tout entier dans les Caractéristiques de Lord Shaftesbury; et je ne
sais pourquoi M. Pope en fait uniquement honneur à M. de Boling-
broke, sans dire un mot du célèbre Shaftesbury, élève de Locke » 36.
Di Diderot, si sa — e l ’abbiamo visto — che cominciò con Shaftes
bury la sua carriera e finì nell’ateismo: sembra anche ch’egli abbia
collaborato direttamente alla redazione di alcune sezioni del Système
de la nature di D ’Holbach e gli scritti di Shaftesbury erano il reper
torio preferito della coterie holbachique. Il punto di partenza di D ’Hol
bach è quello di Shaftesbury: « D ’Holbach pensa con Shaftesbury che
un ateo può essere di fatto più morale di un cristiano... » 37. Tanto
Voltaire, quanto Rousseau e lo stesso Hume rifuggirono dal frequen
tare la « cricca di D ’Holbach », forse per convinzione che la ragione non
poteva stare senza pensare un Principio supremo, forse anche per un
certo pudore che li tratteneva, come Shaftesbury, dalle posizioni estre
me. Ma, staccatisi dalla concretezza della religione storica e dall’ade
sione al Dio vivente accanto all’uomo e partecipe dei suoi casi lieti
e dolorosi, la loro religione come quella di Shaftesbury sfumava nella
coerenza della ragione e nell’armonia del cosmo38, ch’era però di con
tinuo contraddetta dai casi dolorosi e dalle continue disfatte della vita.
16 « For I see no contradiction in it, that the first eternal thinking being should,
if he pleased, give to certain systems of created senseless matter, put together as
he thinks fit, some degrees of sense, perception and thought » (An Essay..., Book
IV, eh. I l l , ed. cit., t. II, p. 144).
17 I documenti della polemica sono riportati e ordinati nell'Appendix No. IX
della ed. cit. dell 'An Essay..., t. II, p. 384 ss. Lo spunto immediato per l’affermazione
che « ... non si può limitare l’onnipotenza di Dio secondo il metro delle nostre an
guste concezioni », sembra che Locke Labbia preso dal Newton (An Essay...,
1. c., t. II, p. 395).
18 A questo proposito Locke fa un breve excursus nel pensiero classico e cri
stiano per provare che l’immortalità dell’anima non è in pericolo, perché è stata
ammessa anche da coloro che la ritenevano di natura materiale (An Essay..., t. I I ,
1. c., p. 385 s.).
304 DEISMO E ATEISMO NELL'EMPIRISMO INGLESE
si può negare però che Locke non abbia sentito l'importanza del pro
blema: « Se per sostanza spirituale Vostra Signoria, egli precisa, in
tende una sostanza pensante, io devo dissentire da V. S. e dire che noi
possiamo avere una certezza in base ai miei principi che c'è in noi una
sostanza spirituale. In breve, in base ai miei principi, cioè dall’idea di
pensare, noi possiamo avere una certezza che c’è in noi una sostanza
pensante; di qui noi abbiamo una certezza che c'è una sostanza pen
sante eterna. Questa sostanza pensante ch'è stata fin dall'eternità, io
ho provato ch'è immateriale. Questa sostanza pensante, immateriale,
eterna, ha messo in noi una sostanza pensante: se essa sia una sostanza
materiale o immateriale, questo non può essere dimostrato in modo
infallibile dalle nostre idee, benché da esse sia possibile provare ch'è
probabilmente al massimo grado ch'essa sia immateriale » 19. Era, come
si vede, un accettare in pieno l'obiezione dell'avversario.
L'avversario però incalza osservando che « ... una volta che si con
ceda alla materia la capacità di pensare, si confonde l'idea di materia
con l ’idea di spirito ». Locke subito replicava: « No, non le confondo
affatto, di più che non confonda l'idea di materia con l'idea di cavallo
quando dico che materia in generale è una sostanza solida, estesa, e
che cavallo è un animale materiale ovvero una sostanza solida, estesa,
dotata di senso e di moto spontaneo ». Egli precisa: « L ’idea di materia
è quella di una sostanza solida estesa; dovunque c'è una simile so
stanza, ivi c'è materia e l'essenza della materia, qual si siano le qualità
non contenute in quest'essenza che a Dio piacerà aggiungere ad essa » 20.
È chiaro quindi che per Locke la volontà di Dio può spezzare il cer
chio delle essenze e attribuire ad una sostanza materiale operazioni e
proprietà spirituali: egli trova che come non si ha difficoltà ad ammet
tere che Dio alla materia estesa abbia potuto aggiungere il senso, il
21 Diamo per intero quest’inciso nel testo originale, poiché ci sembra riassuma
l’essenziale nella posizione lockiana: « Both these substances may be made and
exist without thought; neither of them has or can have the power of thinking
from itself: God may give it to either of them, according to the good pleasure
of his omnipotency; and in whichever of them it is, it is equally beyond our
capacity to conceive how either of these substances thinks. But for that reason
to deny that God, who had power enough to give them both a being out of
nothing, can by the same omnipotency give them what other powers and per
fections he pleases, has no better foundation than to deny his power of creation
because we cannot conceive how it is performed » {An Essay,.., 1. c., t. II, p. 393).
SVILUPPI E CRITICHE DEL DEISMO 307
34 Letter IV, 8, ed. cit., p. 139 s., tr. cit., p. 105 s.: qui e nelle pagine se
guenti ritorna raccesa polemica contro Spinoza. Più avanti si legge che le pro
prietà della materia sono: estensione, solidità, movimento (Letter V, 29, ed. cit.,
p. 228 s., tr. cit., p. 164 s.).
35 Letter V, ed. cit., p. 165, ss., tr. cit., p. 122. Il Toland afferma che anche
le particelle, di cui son composte le rocce più dure e imponenti, sono in continuo
movimento come le particelle del fuoco, dell’aria e dell’acqua.
36 Letter V, 4, ed. cit., p. 168 s., tr. cit., p. 123. Questa Letter V ha per ti
tolo Il movimento come proprietà essenziale della materia, e costituisce la ri
sposta ad un amico che aveva attaccato la sua critica a Spinoza. Il Toland gli
riconosce il merito di aver compreso la sua posizione ossia che « ... nella definizione
della materia dev’essere compresa l’attività, così che questa definizione deve espri
mere anche la sua essenza » (ed. cit., p. 165 s., tr. cit., p. 121).
37 Letter IV , 16, ed. cit., p. 159 s., tr. cit., p. 116 s.
38 Letter IV, 7, ed. cit., p. 138 s., tr. cit., p. 104 s. Nel Fantheistìcon l’affer
mazione è ancora più cruda: « Il pensiero [...] è un movimento proprio del cer
vello, ch’è l’organo particolare di questa facoltà » (Einleitung alla traduzione cit.,
p. X X X V II s.).
SVILUPPI E CRITICHE DEL DEISMO 313
« Les sensibles seulement , qui sont les objects affectés à chaque sens
en particulier, les sensibles et intelligibles à la fois , qui appartiennent
au sens commun, et les intelligibles seulementy qui sont propres à
l ’entendement. Les premières et les secondes ensemble sont imagi-
nables, mais les troisièmes sont au dessus de l ’imagination. Les secon
des et les troisièmes sont intelligibles et distinctes; mais les premières
sont confuses, quoyqu’elles soyent claires ou reconnaissables ». Toland
replicò in una lettera alla comune amica, la Regina Carlotta di Prus
sia, osservando che anche le idee della terza categoria esigono il rife
rimento ai sensi, comprese quelle dell’Io. Nella sua replica, con tono
conciliativo, osservando che lo stesso Toland quando assimila i dati dei
sensi ai materiali da costruzione e Pio all'Architetto, Leibniz afferma
che c’è 'fra i due campi una decisiva distinzione (p. 518) e ch’è la
luce interna dello spirito il principio originario del sapere. La pole
mica sembra sia stata interrotta o piuttosto che Toland si sia rifiu
tato di rispondere ulteriormente alle richieste del suo contraddittore
provocando in Leibniz un giudizio di delusione e amarezza: « Tout
cela me fait juger qu’il ne se soucie gueres de la verité et qu’il veut
seulement se distinguer par la nouveauté et par la singularité. Car
quand on aime la verité et a du loisir, on entre volontiers dans une
discussion exacte » (p. 520).
L ’importanza risolutiva di questa forma di pan-dinamismo ch’è
pan-materialismo — differente dal pan-attivismo di Leibniz43 — non
può quindi essere sottovalutata. Infatti: 1) Materia e movimento si
trovano in ogni forma di materialismo da Democrito a Gassendi e a
Hobbes, ma la tesi « materia è movimento e azione » è propria di To
land. Questo materialismo dinamico sta nella stessa relazione al mate
rialismo meccanicistico di Hobbes, come il dinamismo e attivismo di
Leibniz sta alla interpretazione meccanicistica dell’uomo e della na
tura di Cartesio. 2) Perciò si può essere d’accordo con la storiografia
marxistica che il materialismo dinamico di Toland è precursore del ma
terialismo dialettico di Marx. Toland non ha senz’altro per la rivolu
zione francese la stessa importanza che ha Marx per la rivoluzione
russa, tuttavia egli ha inaugurato un corso di pensiero nel see. x v i i i
che ha contribuito a quell’esplosione finale. 3) Toland si trova con
and coeternal with Him. How great a friend material substance has been to
Atheists in all ages were needless to relate. All their monstrous systems have
so visible and necessary a dependence on it, that when this corner-stone is once
removed, the whole fabric cannot choose but fall to the ground; insomuch that
it is no longer worth while to bestow a particular consideration on the absurdities
of every wratched sect of Atheists » (G. Berkeley, A Treatise concerning the Prin
ciples of Human Knowledge, P. I, § 92, in Berkeley’s Works, ed. A. C. Fraser,
Oxford 1901, voi. I, p. 309. Da questa condanna il Berkeley esclude Platone e Ari
stotele nel Syris, § 300 (ed. cit., voi. I l i , p. 268). Nel precedente § 288 Berkeley
rigetta come erronea la concezione di Dio come il Tutto (tò irav) e afferma, contro
l’ateismo, ch’è « più rispettoso e logico » concepire Dio come completamente se
parato dal mondo (ed. cit., voi. I l i , p. 262).
46 G. Berkeley, A Treatise..., P. I, § 94, ed. cit., voi. I, p. 310. La diatriba si
conclude: « La materia una volta espulsa dalla natura trascina via con sé tante no
zioni empie e scettiche e un numero così incredibile di dispute e questioni imba
razzanti, le quali son come spine nei fianchi sia dei teologi come dei filosofi
e hanno prodotto tante opere inutili per l’umanità » ( Op. cit., P. I, § 96, ed. cit.,
voi. I, p. 310 s.). Fra gli « avvocati più strenui » dell’ateismo sono dal Berkeley ri
cordati Vanini, Hobbes e Spinoza (Dialogues between Hylas and Philonous, Dial. II,
ed cit., voi. I, p. 425). A questo riguardo Berkeley ha dichiarato espressamente il ca
rattere religioso della sua filosofia: « My doctrines rightly understood, all that phi
losophy of Epicurus, Hobbes, Spinoza, etc., which has been a declared enemy of
religion, comes to the ground » (Commonplace Book, in Berkeley’s Works, ed. cit.,
t. I, p. 52). Un po’ più sopra si legge di Hobbes: « Stupidità di Hobbes [...] nel
concepire la volontà come movimento, col quale essa non ha nessuna somiglianza »
(Silly of Hobbes..., 1. c.). E un po’ più sotto: « Hobbes e Spinoza fanno Dio
esteso. Anche Locke sembra fare lo stesso » (Ibid.).
320 DEISMO E ATEISMO NELL'EMPIRISMO INGLESE
47 Alcyphron or the minute Philosopher, Dial. I, § 8, ed. cit., voi. II, p. 45.
Sotto i nomi presi dall’antica grecità come Diagora, Demilo, Cratilo..., Berkeley in
tende indicare i suoi contemporanei Collins, Toland, Tindal, Mandeville e Shafte
sbury (cf, l’Introduzione di A. Guzzo alla tr. it. del nostro Dialogo, Bologna 1963,
p. 33). Scopo preciso del Dialogo, come si legge nell 'Advertisement dell’Autore, è
« ... to consider the Free-thinker in the various lights of atheist, libertine, enthusiast,
scorner, critic, metaphysician, fatalist and sceptic ». Segue l’accenno a « ... one of
the most noted writers against Christianity in our times [il Collins] declared he
had found out a demonstration against the being of G od » (ed. cit., voi. II, p. 23).
SVILUPPI E CRITICHE DEL DEISMO 321
48 Alcyphron..., 1. c., § 9, ed. cit., voi. II, p. 46. Qui pertanto abbiamo, in
chiave ironica, enunziato la genesi delle affermazioni atee e materialistiche che di lì
a pochi decenni saranno proposte in forma sistematica e assertoria dal D ’Holbach e
a distanza di un secolo, riplasmate nella dialettica hegeliana, saranno la sostanza
del marxismo.
49 « Toland’s philosophy contains the thesis to which Berkeley formulates the
antithesis » (F. Heinemann, Toland and Leibniz, in Beitrage zur Leibniz-Forscbung,
322 DEISMO E ATEISMO NELl/EM PIRISM O INGLESE
Alla fervida difesa del teismo del Berkeley fa riscontro, per con
trasto, lo scetticismo religioso di D avid H u m e (1711-1776) il quale fa
« precipitare » il principio del nuovo empirismo nella sua esigenza fon
damentale ch’è l ’affermazione dell’essere sul fondamento della semplice
e nuda presenza dell’impressione dei sensi. Locke aveva capovolto il
significato di « idea » riducendola ad un « residuo » mentale delle im
pressioni sensoriali, ma non era giunto ad una concezione precisa; il
suo merito principale fu di aver negato le qualità secondarie e di aver
confutato alla radice l ’ipotesi razionalistica delle « idee innate » l. A Ber
keley spetta invece il merito di aver dimostrato, partendo dal principio di
Locke, che le idee generali non sono in sé che idee particolari con
nesse ad un certo termine comune il quale dà loro un significato più
esteso e serve a richiamare in mente altri individui che sono simili a
quelli12. Acutamente Hume vide una stretta connessione fra la negazione
delle qualità secondarie (Locke) e la negazione delle idee generali (Ber
keley) ossia dell’astrazione. Infatti, una volta che le qualità sensibili di
aspro e soffice, dolce e amaro, bianco e nero, ecc., sono ridotte a mere
percezioni della coscienza {Mind), lo stesso destino tocca alle qualità
primarie dell’estensione e della solidità in quanto l ’idea di estensione è
acquisita completamente dai sensi della vista e del tatto e quindi in dipen
denza delle qualità sensibili di quei sensi: allora se queste sono sogget-
3 « This argument is drawn from Dr. Berkeley; and indeed most of the
writings of that very ingenious author form the best lessons of scepticism, which
are to be found either among the ancient or modern philosophers, Bayle not
excepted. He professes, however, in his title-page (and undoubtedly with great truth)
to have composed his book against the sceptics as well as against the atheists and
free-thinkers. But that all his arguments, though otherwise intended, are, in
reality, merely sceptical, appears from this, that they admit of no answer and
produce no conviction. Their only effect is to cause that momentary amazement
and irresolution and confusion, which is the result of scepticism » (Enquiries...,
ed. cit., p. 155, nota).
4 Furono oggetto di una prima revisione dieci anni dopo, nel 1761, ed ancora
nell’anno della morte, nel 1776 (cf. Norman K. Smith, Hume's Dialogues con
cerning Natural Religion, II ed., Toronto-New York 1947, p. V s.). Le ultime ag
giunte del 1776 sembrano sotto Pinflusso delle visite parigine degli anni 1763-66
durante le quali Hume conobbe il D ’Holbach e il suo circolo.
ISTANZE ATEE NELLO SCETTICISMO RELIGIOSO DI D. HUME 329
5 « Tis felt, rather than conceiv’d and approaches the impression from which
it is deriv’d, in its force and influence» (Treatise..., Appendix, ed. cit., p. 627).
6 « I assert, that the doctrine of the immateriality, simplicity, and indivisi
bility of a thinking substance is a true atheism, and will serve to justify all those sen
timents, for which Spinoza is so universally infamous » (Treatise..., ed. cit., p. 240).
7 Per la critica al concetto di miracolo, cf. An Enquiry concerning Human
Understanding, sect. X : « On Miracles ».
8 « A miracle is a violation of the laws of nature; and as a firm and unalte
rable experience has established these laws, the proof against a miracle, from
the very nature of the fact, is as entire as any argument from experience can
possibly be imagined » (An Enquiry..., ed. cit., p. 114). La credenza nel miracolo
sorge unicamente dal fatto che si tratta di un evento raro e insolito. Segue la defini-
330 DEISMO E ATEISMO NELL/e MPIRISMO INGLESE
na, Hume applica il suo metodo psicologico alla critica della religione
naturale. È da escludere anzitutto che la credenza in un Essere supremo
provenga da un istinto naturale, poiché, osserva Hume, esistono popoli
che non hanno alcun concetto di religione; tale credenza neppure può
sorgere dalla riflessione razionale sulle cause della natura che ci circonda,
dato che il principio di causa è una convinzione — come si è visto ■ —
puramente soggettiva che perde ogni senso quando sia esteso al di là del
campo di esperienza; infine, non si può attribuire l’origine della religione
ad una rivelazione primitiva fatta alPumanità. Qui si vede il progresso
di Hume sul deismo delPinizio del Settecento: mentre i deisti attribui
vano la fondazione delle religioni ad un inganno dei sacerdoti, egli la
risolve invece nel comportamento psicologico delPuomo. Sono le
esigenze pratiche che spingono Puomo a creare la religione, soprattutto
le sensazioni e impressioni di timore e speranza che i casi della vita
producono in lui. Vediamone le linee principali.
Col suo continuo affaccendarsi, la fantasia cerca di crearsi un’im
magine delle forze misteriose della natura da cui Puomo si sente com
pletamente dipendente: Pistinto lo porta immediatamente a raffigurarsi
questa forza sotto la forma di una figura umana. Così la molteplicità dei
casi della vita e l’attribuzione delle varie forze della natura dovettero
portare ad ammettere molte divinità, ed è la tesi fondamentale, assai
disinvolta, di Hume che il politeismo esprime la religione primitiva del
l ’umanità da cui per semplificazione è sorto il monoteismo: anche la
coscienza ha cominciato dagli stadi imperfetti delle credenze mitologiche
e solo poco alla volta e con fatica è salita a quello dell’Essere perfetto,
mediante un delicato processo di astrazione 10. Parlare diversamente, è
andare contro il principio delPanalogia e ignorare il principio fonda
mentale della coscienza umana. Comunque, anche nel passaggio dal poli
teismo al monoteismo entra in giuoco il dinamismo psicologico del-
ranalogia. L ’argomento più noto è quello preso dalla Provvidenza, ma si
tratta di un concetto che l ’uomo confonde subito con rappresentazioni
ingenue ed erronee, tant’è vero che i cataclismi più spaventosi della
natura e le sciagure più gravi dell’esistenza, ossia quanto è più opposto
all’ordine e al bene nel mondo, è interpretato invece come un mezzo
per avvicinare l ’uomo alla divinità 11: testo assai significativo che nel
contesto sembra avere un significato positivo, poiché segue come com
mento al celebre detto di Bacone che... « una filosofia superficiale forse
può portare all’ateismo, ma una filosofia più profonda riconduce alla
religione » *112.
Tutta questa dottrina dell’origine del monoteismo a partire dal
politeismo, il quale rappresenterebbe lo stadio primitivo della coscienza
Uses on Several Subjects, London 1788, t. II, p. 364 s.). Nelle cinque sezioni dedi
cate al politeismo, Hume attinge abbondantemente agli scrittori antichi greci e
latini.
11 « Convulsions in nature, disorders, prodigies, miracles, though the most
opposite to the plan of a wise superintendent, impress mankind with the stron
gest sentiments of religion; the causes of events seeming then the most unknown
and unaccountable. Madnes, fury, rage, and an inflamed imagination, tho’ they fink
men nearest to the level of beasts, are, for like reason, often supposed to be the
only dispositions in which we can have any immediate communication with the
Deity » (The Natural History of Religion, ed. cit., t. II, p. 387).
12 De augm. sciente lib. I. Il testo baconiano ritorna anche nei seguenti Dia
logues concerning Natural Religion, P. I, ed. Norman K. Smith, p. 139. Diamo
il centro del celebre testo baconiano: « Namque eos qui autumant nimiam scien-
tiam inclinare mentem in atheismum, ignorantiamque secundarum causarum pietati
erga primam obstrecticari, libenter compellarem Jobi quaestione, An oporteat men
titi pro Deo, et eius gratia dolum loqui conveniat, ut ipsi gratijicemur? {Job. 13, 7).
Liquet enim Deum nihil operari ordinario in natura nisi per secundas causas, cuius
diversum credi si vellent, impostura mera esset, quasi in gratiam Dei, et nihil
aliud quam autori veritatis immundam mendacii hostiam immolare. Quin potius
certissimum est, atque experientia comprobatum, leves gustus in philosophia mo
vere fortasse ad atheismum, sed pleniores haustus ad religionem reducere. Namque
in limine philosophiae, cum secundae causae tanquam sensibus proximae ingerant
se menti humanae, mensque ipsa in illis haereat atque commoretur, oblivio primae
causae obrepere possit; sin quis ulterius pergat, causarumque dependentiam, seriem,
et concatenationem, atque opera Providentiae intueatur tunc secundum poètarum
mythologiam facile credet summum naturalis catenae annulum pedi solii Jovis
affigi » ( The Works of Francis Bacon, ed. J. Spedding, R. L. Ellis and D. D.
Heath, London 1879, t. I, p. 436 s.). Il nucleo del testo ricorre anche negli Essays
(Essay XIV : « O f Atheism», ed. R. Whately, Boston-New York 1871, p. 155).
ISTANZE ATEE NELLO SCETTICISMO RELIGIOSO DI D. HUME 333
13 « Dies Volk [der Hebraer] beweist auch, dass Hume im Irrtum ist, wenn
er meint, der Theismus findet sich erst bei hòher kultivierten Vòlkern. Als die Ju-
den Aegypten verliessen, waren sie in einem Zustande volliger Venvahrlosung und
doeh blieb der Glaube an einen Gott trotz vielfachen Schwankungen vorherr-
schend... Die Juden trotz ihrer niedrigen Kulturzustandes ihren ursprunglichen
Stammes- und Nationalgott als Gott des Himmels und der Erde wussten » (A. Liiers,
David Humes religionsphilosophische Anschauungeny Diss., Berlino 1909, p. 9).
14 The Natural History of Religion, ed. cit., t. II, p. 425.
334 DEISMO E ATEISMO NELL'EMPIRISMO INGLESE
la verità più ovvia e certa, ch'è stata riconosciuta tanto dalle epoche più
ignoranti quanto dagli ingegni più raffinati: essa poi costituisce la ragio
ne di tutte le nostre speranze e il più sicuro fondamento della moralità,
il più solido sostegno della società, ecc. Così Panfilo, ch'è il primo inter
locutore, il quale però aggiunge subito che appena noi ci mettiamo a
considerare gli attributi di Dio, i suoi decreti, la sua Provvidenza, ci tro
viamo in un mare di difficoltà senz’alcuna via di uscita 15. È quest'atteg
giamento scettico, e non il primo teistico, che prende il sopravvento anche
in quest'opera di Hume. Da una parte Cleante mantiene la sua opinione
che l'ordine del mondo dimostra l ’esistenza di un piano finalistico; ma
Demea mette avanti l'incomprensibilità di Dio e accusa Cleante di antro
pomorfismo; qui s'introduce, come terzo nella discussione, Panfilo per
dar man forte a Medea, affermando che noi siamo completamente al
l'oscuro sulla natura delle cause e che l'ordine che osserviamo nel
mondo è finito e imperfetto e non possiamo perciò fare il passaggio
dal finito all’Infinito. Nessuna delle prove tradizionali dell'esistenza di
Dio, tanto a priori come a posteriori , resiste alla critica nella quale
Hume raccoglie i punti fondamentali del suo scetticismo speculativo.
Egli concede che le opere della natura presentano una grande somiglian
za con le opere dell'arte e quindi la conclusione di considerare la natura
come opera di un'Intelligenza è in sé legittima ed è il fondamento della
« teologia naturale »: ma si tratta di una semplice analogia che non
può essere risolta con l’affermazione di un Principio primo metafisico.
La conclusione del principale interlocutore, Philo, è che tanto gli atei
come i teisti ad oltranza sono in errore e le loro posizioni si equivalgono.
Possiamo ora porre la domanda: era Hume ateo o teista? La ri
sposta non è stata facile per i critici e non lo è neppure per noi. Sembra
che durante il suo soggiorno parigino, verso la fine della vita, Hume si
sia rifiutato con risolutezza di legarsi al circolo di atei capeggiato da
D'Holbach di cui fu anche ospite e che abbia anzi dichiarato ch’egli
non ammetteva la possibilità dell'ateismo né di aver mai incontrato
un ateo 16. Quanto alla dottrina, sull'esito dello scetticismo radicale
di Hume, sul problema di Dio, è stata ben chiarita da L. Stephen (cf. History of
English Thought in Eighteenth Century, t. I, spec. p. 312 ss.) e ci sembra con
fermata dall’accurata monografia di A. Leroy, La critique de la religion de David
Hume, Paris 1930. Inclina verso un’esplicita interpretazione di ateismo anche F.
Zableh, Hume Precursor of Modem Empiricism, The Hague 1960, p. 51 ss. Se
condo il Paulsen, la posizione di Hume si esaurisce nella critica al dogmatismo, sia
teista come ateo (cf. D. Hume, Dialoge iiher natiìrliche Religion, tr. ted., Einlei-
tung, Berlin 1904, p. 8 ss.). Eppure Hume presenta il proprio scetticismo come la
via più sicura per « ... essere un vero cristiano e un credente » secondo le parole
di Cleante (cf. la monografìa di B. Magnino, Il pensiero filosofico di D. Hume,
Napoli 1935, p. 186 s.).
17 Hume, Dialogues..., P. II, ed. cit., p. 141. Più avanti però (P. V I) Demea
rimette tutto sul tappeto e conclude che nessun sistema — scetticismo, politeismo
o teismo — ha un vero vantaggio sugli altri (ed. cit., p. 175). Un’ampia nota inse
rita nella sua Storia dellTnghilterra, sui danni che il bigottismo e il fanatismo por
tano di frequente nella vita pubblica e privata, ci mostra (sembra) un Hume
critico più degli abusi che non della religione come tale: « Questo sofisma di
arguire dall’abuso di una cosa contro l’uso di essa, e uno dei più gravi e nello
stesso tempo dei più comuni a cui gli uomini vanno soggetti. La storia di tutti i
tempi, e non meno quella del periodo di cui trattiamo (see. xv m ), ci offre esempi
dell’abuso di religione e noi non abbiamo tralasciato di farlo osservare. Ma chiun
que volesse da questo tirare la conclusione del danno (disadvantage) della religione
in generale, farebbe una conclusione troppo frettolosa ed erronea. Il compito pro
prio della religione è di riformare la vita degli uomini, di purificare i loro cuori,
di rafforzare tutti i doveri morali, di assicurare l’obbedienza alle leggi e al ma
gistrato civile. Mentre essa persegue questi suoi compiti salutari, le sue operazioni,
benché infinitamente apprezzabili, sono segrete e silenziose e raramente vengono
a conoscenza della storia. Solo ciò che adultera la sua natura, infiamma la fazione,
anima la sedizione e prepara la ribellione, si mette in evidenza nel teatro aperto
del mondo ed è la grande forza delle rivoluzioni e delle pubbliche convulsioni. Lo
336 DEISMO E ATEISMO NELL'EMPIRISMO INGLESE
quanto maggiore non possiamo noi aspettarlo quando essi sono infiniti
ed eterni? 19. Scrittore grande ma sconcertante e filosofo acuto, Hume
volle salvare con l’aspirazione profonda deiruomo ciò che la filosofia
veniva distruggendo, prospettando una via della verità che fosse al di là
o meglio al di qua del dogmatismo rigido ed estrinseco e di un ateismo
razionalistico non meno arido e dogmatico.
Anche la conclusione deWEnquiry ci sembra confermi la esegesi
ora delineata: « La scienza divina o teologia, in quanto prova l ’esistenza
della Divinità e l’immortalità delle anime, è composta in parte di ra
gionamenti concernenti fatti particolari, in parte concernenti fatti gene
rali. Essa ha un fondamento nella ragione , fin dove essa è sostenuta dal
l ’esperienza. Ma il suo migliore e più solido fondamento è la fede e la
rivelazione divina » 20. Ed è da pensare che Hume intendesse queste
parole nel loro significato ovvio e universale: accusare perciò Hume di
ateismo pone un problema di discriminazione dottrinale ben preciso.
L ’accusa esplicita di ateismo venne ben presto e particolarmente da
parte del razionalismo della scuola di Leibniz-Wolff che fioriva in Ger
mania. Il capo d’accusa fondamentale è uno soltanto, il suo scetticismo
teoretico: tale almeno è l’accusa di Ernst Platner21. « L o scetticismo,
egli scrive all’inizio della sua disamina, è una forma di pensare tutta
speciale, un umore mutevole delPintelletto umano. Esso non comincia
da osservazioni particolari, né da principi universali, ma le osservazioni
e i principi che esso deriva cominciano da esso. Esso non riposa su un
nesso di verità intraviste; ma, a volerlo precisare, ciò che forma la sua
essenza e insieme il suo spirito, non è nient’altro che una particolare
impressione del genio filosofico o piuttosto una specie di movimento
dell’animo. E l ’ateismo, credetemi, non è altro; in particolare fino a che
esso comincia del tutto e sempre dallo scetticismo » 22. Effetto dello
elevarlo sopra il mondo sensibile da lui ridotto a nulla per avanzare verso il so-
vrasensibile, il vero reale (Vorrede..., 1. c., p. 20).
30 Jacobi rimanda, per la critica di questo punto del kantismo, al suo scritto:
Von der góttlichen Bingen und ihrer Offenbarung del 1798. Circa il concetto di
« ragione », con il quale egli prolunga il Belief humiano, Jacobi sospira special-
mente a Sulzer (1720-1779) e per l’identificazione della ragione con la percezione
della vita a Leibniz (cf. Idealismus und Realismus, ed. cit., S. W ., Bd. II ,
p. 222 ss., nota).
31 « Entweder das Princip der Vernunft, mit dem Princip des Lebens fuer
einerley halten, oder die Vernunft zu einem blossen Accidens einer Organisation
machen miissen. Was mich betrifft, so halte ich das Princip der Vernunft mit dem
Princip des Lebens fuer einerley, und glaube an gar keine innerlicbe oder absolute
Unvernunft » (cf. Idealismus und Realismus..., ed. cit., S. W ., Bd. II , p. 222).
32 « Der Weg der Jacobischen Lehre, indem er zu einem System absoluter
Objektivitat eben so notwendig fuehrt, missfallt dem an dem Begreiflichen allein
sich haltenden Verstande (er nennt sich wohl auch die philosophirende Vernunft),
und hat fiir sich nur die nicht erklarende, unmittelbar offenbarende Vernunft,
oder den natìirlichen Vernunftglauben » (Vorrede..., 1. c., p. 36 s.).
342 DEISMO E ATEISMO NELL'EMPIRISMO INGLESE
pura materia secondo le sole leggi del movimento e la stessa legge di gravitazione
(scoperta allora da Newton) dimostra resistenza di un Essere supremo, causa prima
del mondo che veglia e dirige il suo corso.
5 « Wherefore the Opinion of this sort of Deists, stands not upon any certain
consistent Principles, but leads unavoidably to down-right Atheism; and however
in Words they may confess a God, yet in reality and in truth they deny him »
(Op. cit., P. II, p. 24). Clarke insiste nell’affermare che la posizione dei deisti
coincide con quella di Epicuro di cui cita il noto giudizio di Cicerone: « Epicurum
verbis reliquisse Deum, re sustulisse » (De natura deorum, II).
6 S. Clarke, Op. cit., P. II, p. 28.
conclusione : le im plicazio n i a te e d el deism o 347
7 S. Clarke, Op. cit., P. II, p. 32. Una simile violenza polemica ricorre
di frequente presso i teologi, allarmati dalle audacie dei deisti: così, p. es., l’Oswald,
un teologo scozzese della scuola del « common sense », non teme di chiamare « paz
zo » (a madtnam) ogni deista (L. Stephen, History of English Thought..., t. I, p. 385).
L ’urto fra i teologi e i deisti fu inevitabile e la polemica raggiunse momenti
di notevole asprezza. I deisti furono accusati non solo di distruggere il cristiane
simo come religione soprannaturale e rivelata, ma di negare ogni religione e di
cadere nell’ateismo. Peter Browne, il maestro di Berkeley a Dublino, considera
Toland un pazzo e, in combutta con i sociniani e gli atei, egli accusa anche Locke;
la medesima accusa di ateismo contro Toland si trova anche in Clarke; identica
accusa è rivolta da Bentley a Bolinbroke contro Collins, discepolo di Toland, e il
parossismo arriva al punto che gli stessi teologi — Clarke e Waterland, Peter Browne
e Berkeley, per esempio — si scambiano a vicenda l’accusa di ateismo (cf. L.
Stephen, Op. cit., t. I, pp. 113 ss., 121, 178 ss., 305, 317, 463 e passim).
8 Clarke (Op. cit., P. II, p. 33) dà una citazione assai pertinente di Origene:
yàp y) auxy) apex')) ècm xcav [xaxapi&v toxvtcov, coote xotì yj auxyj apex-))
àv&pcÓ7uou xal &eou (Contra Celsum, VI).
348 DEISMO E ATEISMO NELL'EMPIRISMO INGLESE
formazione del Diderot, come si dirà. AlPinizio della sua attività lette
raria, egli presenta il deista come « ... Punico che possa tener testa al-
Pateo...; il deista infatti garantisce l'esistenza di un Dio, Pimmorta-
lità dell’anima e le sue conseguenze » 15; più tardi, la posizione deista
non si distanzia molto dallo spinozismo: « L ’ètre intelligent selon lui (le
déiste) n ’est point un mode de Pètre corporei. Selon moi il n’y a aucune
raison de croire que Pètre corporei soit un effet de Pètre intelligent.
Il s’ensuit done, de son aveu et de mon raisonnement, que Pètre intel
ligent et Pètre corporei sont éternels, que ces deux substances composent
Punivers et que Punivers est Dieu. On pése actuellement nos raisons,
et si Pon y prononce jamais un jugement définitif, je t’instruirai » 16.
Uno studio più attento del deismo quindi ci mette di fronte ad ambi
guità e oscillazioni non meno gravi e impegnative dei sistemi filosofici
più noti.
I deisti infatti sono stati chiamati dai loro avversari: naturalisti,
liberi pensatori, razionalisti17; « atei » furono giudicati non -solo Hobbes
e Toland, ma anche Collins e lo stesso Cherbury per esempio dal Kortholt,
come si è visto; « naturalisti » furono detti poi i deisti in quanto fau
tori della religione naturale in contrasto con la religione sopranna
turale: il termine « naturalista » divenne poi sinonimo di « raziona
lista » 18; il termine di « libero pensatore » risale agli stessi deisti e
precisamente al Collins (Discourse of Freethinking, 1713), ma già il
23
354 DEISMO E ATEISMO NELL'EMPIRISMO INGLESE
vations is, that the question upon which the truth of Christianity depends,
is scarce at all, what objections there are against its scheme, since there are
none against the morality of it; but what objections there are against its
evidence: or, what proof there remains of it, after due allowances made for the
objections against that proof: because it has been shown, that the objections
against Christianity, as distinguished from objections against its evidence,
are frivolous. For surely very little weight, if any at all, is to be laid upon
a way of arguing and objecting, which, when applied to the general constitu
tion of nature, experience shows not to be conclusive: and such, I think,
is the whole way of objecting treated of throughout this chapter » (p. 385).
Importante ed esplicito l’accenno alla teoria àz\Yentusiasmo di Shafte
sbury come principio di esaltazione religiosa negli apostoli e nei martiri:
a) « They allege, that numberless enthusiastic people, in different ages and
countries, expose themselves to the same difficulties which the primitive
Christians did; and are ready to give up their lives, for the most idle follies
imaginable. But it is not very clear, to what purpose this objection is brought.
For every one, surely, in every case, must distinguish between opinions and
facts. And though testimony is no proof of enthusiastic opinions, or of any
opinions at all; yet it is allowed, in all other cases, to be a proof of facts.
And a person laying down his life in attestation of facts, or of opinions,
is the strongest proof of his believing them. And if the apostles and their
contemporaries did believe the facts, in attestation of which they exposed
themselves to suffering and death, this their belief, or rather knowledge,
must be a proof of those facts; for they were such as came under the obser
vation of their senses. And though it is not of equal weight, yet it is of
weight, that the martyrs of the next age, notwithstanding they were not eye
witnesses of those facts, as were the apostles and their contemporaries, had,
however, full opportunity to inform themselves, whether they were true
or not, and give equal proof of their believing them to be true ». b) « But
enthusiasm, it is said, greatly weakens the evidence of testimony, even for
facts, in matters relating to religion; some seem to think, it totally and
absolutely destroys the evidence of testimony upon this subject. And, indeed,
the powers of enthusiasm, and of diseases, too, which operate in like manner
are very wonderful, in particular instances. But if great numbers of men,
not appearing in any peculiar degree weak, nor under any peculiar suspicion
of negligence, affirm that they saw and heard such things plainly with their
eyes and their ears, and are admitted to be in earnest; such testimony is
evidence of the strongest kind we can have, for any matter of fact » (p. 454 s.).
La conclusione raccoglie lo scopo preciso dell’opera ch’era di mostrare
lo stretto rapporto fra la religione rivelata e la naturale e di diffidare quanti
le respingono: « Let us then suppose, that the evidence of religion in gene
ral, and of Christianity, has been seriously inquired into, by all reasonable
men among us. Yet we find many professedly to reject both, upon specu
lative principles of infidelity. And all of them do not content themselves
with a bare neglect of religion, and enjoying their imaginary freedom from
its restraints. Some go much beyond this. They deride God’s moral govern
ment over the world: they ridicule and vilify Christianity, and blaspheme
the Author of it; and take all occasions to manifest a scorn and contempt
of revelation. This amounts to an active setting themselves againt religion;
356 DEISMO E ATEISMO NELL'EMPIRISMO INGLESE
indicato con Pepiteto: « the noble Writer ». Sulla critica del Brown lo Stephen
afferma: « Thus he tries to supplant Shaftesbury’s vague declamation and Clarke’s
nugatory metaphysics by a fixed and intelligible standard. In fact, the criticism
strikes at Shaftesbury’s fundamental weakness. [...] Brown’s utilitarianism provides
a praticai rule, though, of course, it does not attempt to answer the problem of
existence of evil » (L. Stephen, History of English Thought in Eighteenth Century,
ed. cit., t. II, p. 45 s.).
358 DEISMO E ATEISMO NELL'EMPIRISMO INGLESE
ves, and draws another, and indeed a stronger Proof from these. He there
proves the Folly of a vicious Love of Life, " because Life itself may often
prove a Misfortune ” . So of Cowardice, “ because it often robs us of the
Means of Safety ... Excessive Resentment, “ because the Gratification is no
more than an Alleviation of a racking Pain ” . ... The Vice of Luxury “ creates
a Nauseating, and Distaste, Diseases, and constant Craving ” . He urges the
same Objections against intemperate Pleasure of the amorous kind. He
observes that Ambition is ever " suspicious, jealous, captious, and uncapable
of bearing the least Disappointment ”. He then proceeds thro’ a Variety
of other Passions, proving them all to be the Sources of some internal or
external Misery. Thus he awakens the same Passions of Hope and Fear,
which, in a religious View, he so bitterly inveighs against. Thus he exhibits
a Picture of future Rewards and Punishments, even of the most selfish
Kind: He recommends the Conformity to Virtue, on the Score both of
present and future Advantage: He deters his Reader from the Commission
of Vice, by representing the Misery it will produce. And these too, such
Advantages and such Miseries, as are entirely distinct from the mere Feeling
of virtuous Affection or its contrary: From the Considerations of Safety,
Alleviation of bodily Pain, the Avoidance of Distaste, and Diseases. Now
doth not his own Cavil here recoil upon him? "That in this Sort of Di
scipline, and by exhibiting such Motives as there, the Principle of Self-Love
must be made stronger, by the Exercise of the Passions in a Subject of
more extended Self-Interest: And so there may be Reason to apprehend, lest
the Temper of this Kind should extend itself in general through all the
Parts of Life ”. Thus the Objection proves equally against both: In Reality,
against neither. For, as we have seen, the Sense or Prospect of Happiness,
is the only possible Motive to Action; and if we are taught to believe that
virtuous Affection will produce Happiness, whether the expected Happiness
lies in this Life; or another, it will tende, and equally tend, to produce
virtuous Affection. The noble Writer, therefore, and his admires, might
as well attempt to remove Mountain, as to prove that the Hope and Pro
spect of a happy Immortality, can justly be accounted more servile, mercenary,
or hurtful, than the View of those transient and earthly Advantages, which
his Lordship hath so rhetorically and honestly display’d, for the Interest and
Security of Virtue. In Truth, they are precisely of the same Nature, and
only differ in Time, Duration, and Degree. They are both established by our
Creator for the same great End of Happiness. And what god hath thus
connected, it were absurd, as well as impious, to attempt to separate, there
is yet another Circumstance observable in human Nature, which still further
proves, that the Hope of a happy Immortality hath no Tendency to produce
selfish Affection, but its contrary. For let the stoical Tribe draw what Pic
tures they please of the human Species, this is an undoubted Truth, " that
Hope is the most universal Source of human Happiness: And that Man is
never so sincerely and heartily benevolent, as when he is truly happy in
himself ”. Thus the high Consciousness of his being numbered among the
Children of god, and that his Lot is among the Saints; that he is destined
to an endless Progression of Happiness, and to rise from high to higher
Degrees of Perfection, must needs inspire him with that Tranquillity and
Joy, which will naturally diffuse itself in Acts of sincere Benevolence to all his
APPENDICI 363
Shape that his spiritual Superiors shall prescribe. At other Times, and in
innumerable Places, he scatters such Insinuations against Christianity, and
that too with all the Bitterness of Sarcasm and Invective, as must needs be
more effectual in promoting Irreligione than a formal and avowed Accusation.
For in the Way of open War, there is fair Warning given to put Reason
upon Guard, that no pretending Argument be suffered to pass without Exami
nation. On the contrary, the noble Writer’s concealed Method of Raillery,
steals insensibly on his Reader; fills him with endless Prejudice and Su
spicion; and, without passing thro’ the Judgment, fixeth such Impressions
on the Imagination, as Reason, with all its Effects, will be hardly able
afterwards to efface. These inconsistent Circumstances in his Lordship’s Con
duct, have made it a Question among some, what his real Sentiments were
concerning Religion and Christianity. If it be necessary to decide this Que
stion, we may observe, that a disguised Unbeliever may have his Reasons for
making a formal Declaration of his Assent to the Religion of his Country:
But it will be hard to find what should tempt a real Christian to load
Christianity with Scorn and Infamy. Indeed, the noble Writer, to do him
Justice, never designed to leave us at a Loss on this Subject. For he hath been
so good, frequently to remind his Reader, to look out for the true Drift of
his Irony, lest his real Meaning should be mistaken or disregarded. Here
then lies the Force of his Lordship’s Attack on Christianity, “ In exciting
Contempt by Ridicule ", A Method which, as we have already seen, tho’
devoid of all rational Foudation, is yet most powerful and efficacious in
working upon vulgar Minds. Thus the Way of Irony, and false Encomium,
which he so often employs against the blessed Founder of our Religion, serves
him for all Weapons; the deeper he strikes the Wound, the better he
shields himself. We are not therefore to be surprised, if we find the noble
Writer frequently affecting a Mixture of solemn Phrase and low Buffoonry;
not only in the same Tract, but in the same Paragraph. In this Respect, he
resembles the facetious Drole I have somewhere heard of, who wore a
transparent Masque: Which, at a Distance, exhibited a Countenance wrap’d
up in profound Solemnity; but those who came nearer, and could see to the
Bottom, found the native Look distorted into all the ridiculous Grimace,
which Spleen and Vanity could imprint » (Sezione I, pp. 242-245).
La Sezione II attacca con accanimento la tesi della Letter on Enthusiasm,
ch’è indegno di Dio e dell’uomo il concepire Dio come un giudice che
punisce il vizioso, scoprendo il fondo epicureo della sua concezione della
vita: « But still the noble Writer proceeds in the Spirit of Derision, to expose
the Absurdities and Mischiefs this misguided religious Principle hath occa
sioned: he often expatiates on the superstitious Horrors, and furious Zeal
which have had their Source in this Principle; and thence, in the Way of
Insinuation, concludes it irrational and groundless » (p. 252). Perché infatti
la divina bontà non dovrebbe spingerci ad aver orrore del vizio e a temerne
la giusta pena? 4
4 Qui il Brown introduce un’ampia citazione dal Preface ai Sermoni del suo
contemporaneo, il celebre dr. Butler (p. 254 s.).
APPENDICI 365
Te è non solo la più grande delle incoerenze e quanto di più assurdo si possa
immaginare ma che come la tua esistenza è dimostrata con certezza così lo
sono la tua perfetta giustizia, bontà e sapienza, e che le basi della super
stizione, che sono imperfezioni a Te attribuite, sono detestabili menzogne
e i loro effetti spregevoli. Tu che attraverso una nube oscura mi hai portato
al libero discernimento e mi hai posto nella luce chiara e radiosa, fa’ che
la tua immagine impressa potentemente nella mia mente e la giusta intelli
genza della tua bontà e dell’eccellenza del grande beneficio che mi hai elar
gito mi sostengano nell’impegno di diventare degno spettatore di cose tanto
eccelse da contemplare; e non solo spettatore, ma attore, come è tua volontà
che io sia in questo tuo teatro. Fa’ che il mio applauso pieno e intero accom
pagni tutto quello che in esso è rappresentato, sapendo donde proviene e a
quale perfezione contribuisce. Fa* che mi attenga a questo, e solo a questo
aneli, e che desideri, poiché non vi è niente che non debba essere, che
niente sia diverso da come è e da come la Provvidenza divina lo ha effettuato.
Per amore di questo, fa’ che estingua gli ardori e le passioni della mente
per le cose esteriori; che possa ardere di passione solo quand’è giusto, solo
quando l’oggetto ne sia degno e solo quando possa agire schiettamente e
aspirarvi senza disinganno, afflizione, dolore o tormento; senz’essere abbietto,
servile, spregevole, sempre bisognoso e sempre incompleto; senz’essere per
verso e corrotto e senza che avvenga un completo contrasto e disordine di
vita. Pertanto fa’ che rivolga la mia avversione in questo senso. Fa’ che non
detesti e aborrisca più quello che la tua Provvidenza mi ha dato in sorte,
ma detesti ciò che rende male accetta la tua Provvidenza e la mia sorte e
mi rende incapace di accettare con serenità e benevolenza qualunque cosa
accade ed è.
E giacché la radice ( = causa) di questo sta negli ardori mal riposti e
nella cupidigia della mente eccitata e malata per il godimento delle cose
mondane, che ricevono apprezzamento e valore solo da parte dell’immagi
nazione esaltata e incoerente, fa’ che su ciò riversi tutta la mia avversione e
odii e detesti quest’intima corruzione che mi fa solo conoscere odio e ran
core e provare ripugnanza e amarezza; che una volta disimparata ( = dimen
ticata, distolto da) l’inclinazione violenta e la bramosia del desiderio io possa
apprendere a rettamente orientarmi e a sentire il giusto impulso ( = influsso)
verso ogni oggetto nel corso della vita e a questo dedicare in giusta misura
( = proporzionalmente) le mie cure e preoccupazioni, i miei disegni e sforzi,
con quest’unica riserva ed eccezione che in tutte le occasioni, se a Te piace,
altrimenti così piacerà anche a me e lo considererò quand’è avvenuto la cosa
migliore, poiché saprò allora che è tale dal momento che è accaduto.
Fa’ che questo sia la misura e il carattere di tutte le mie passioni e
affetti e fa’ che il rapporto che intercorre tra me e ogni singolo membro
dell’umanità e ogni parte delle vicende umane guidi la mia inclinazione e
mi induca a quel grado di affetto e di considerazione che essi legittimamente
richiedono e che, in conformità con la società umana e con l’ordine da Te
stabilito fra le creature (e specialmente fra noi, esseri razionali), devo rispet
tivamente ad ognuno; che come padre possa essere veramente un padre,
come fratello un fratello, come figlio un figlio e così in ogni rapporto. Fa’
che niente mi distolga mai da questo e mi faccia perdere i miei naturali e
giusti affetti qui o verso l’umanità in generale: che così anche come uomo
368 DEISMO E ATEISMO NELL'EMPIRISMO INGLESE
bisogno divento naturalmente più povero e verso in uno stato più infermo
e calamitoso; e che il non desiderare nulla è la tua divina Perfezione; e il
non desiderare altro che di saper rinunciare facilmente a ciò che manca è
la perfezione più prossima a quella divina.
Sii Tu dunque, o Signore, il promotore e l’esaltatore della mia natura,
così da sollevarmi da una degradante e abbietta sottomissione fino alla
Libertà e alla Virilità. Fa’ che non dipendendo più dall’evento di fatti este
riori e mondani, non essendo più avvilito da un basso e miserevole inte
resse per cose disprezzabili, non strisciando più servilmente o tremando per
queste, non avendo niente di sinistro che incomba, niente che mi sgomenti
da alcuna parte, niente di terrificante o di orribile da temere da alcun
lato, niente dalla morte o dalle circostanze di un naturale dissolvimento, ma
essendo desideroso di rendere di nuovo quella liberalità e quella vita che ho
ricevuto là donde Pho ricevuta, e di affidare il mio spirito e la mia anima
a Te (o infinita ed eterna Unità dell’universo), io possa con perfetta desi
gnazione e in piena coerenza con la tua regola e il tuo ordine essere in grado
di dirti: ponimi in qualsiasi eventualità e circostanza che alla tua Provvi
denza sembra conveniente. Tutto sarà bene, ogni cosa gradita. Io ne farò
giusto uso, ne trarrò vantaggio e me ne farò oggetto di devozione, di retta
e generosa condotta, e per essa magnifìcherò ed esalterò il tuo nome. Disponi
di me come ti piace, la mia mente è pronta, la mia volontà preparata. Io
possiedo abbastanza poiché ogni mia soddisfazione, piacere, gioia, successo,
felicità è questa, di avere la mia volontà in conformità con la tua, di accom
pagnare quell’ordine perfetto, quella legge eterna che procede da Te, che
sei la fonte di ogni bene e di tutto il Bene supremo ».
Now that Enthusiasts and superstitious People are more mischievous to So
ciety, I will prove to you in the judicious Remarks of two Men of great
Authority» (p. 105 s.: si tratta ancora di Bacone e del dr. Hickes).
Quanto all’obiezione che « ... i liberi pensatori sono i peggiori soggetti
del mondo », il Collins risponde che coloro che usano ed insegnano ad usare
la ragione devono esser detti i più virtuosi (p. 120). E ritorce da par suo
l’accusa contro il clero e alle sue assemblee fonte di ogni confusione da supe
rare ogni Conciliabolo di atei: « With respect to the Meetings of Priests
in their Councils, Convocations, General Assemhlys, Synods, and Preshyterys,
his Enemys record this Bon Mot of his, That he never knew any Good to
come from the Meetings of Priests. But his own words of the Second
General Council of Nice, more fully show his Judgment of the Authority of
such Bodys: That if a General Council of Atheists had met together with
a design to abuse Religion, by talking ridiculously concerning it, they could
not have done it more efectually » (p. 175).
L’opera del Collins può essere considerata il manuale moderno del
libero pensiero ch’egli definisce in apertura con molta enfasi: « Per libero
pensiero io intendo l’uso dell’intelligenza nell’impegno di scoprire il signi
ficato di qualsiasi proposizione, di considerare la natura dell’evidenza pro e
contra e di giudicare di essa secondo la forza o debolezza apparente del
l’evidenza » (Sezione I, p. 5). La dimostrazione è assai semplice: se ab
biamo il « diritto » (Right) di conoscere la verità, abbiamo il diritto di pen
sare « liberamente » (freely). Poiché nessuna proposizione prima dell’uso
della ragione può essere conosciuta come vera o può essere messa in disparte
come falsa (p. 6). Ogni pretesa scienza dei Libri e delle cose sacre presup
pone questa libertà e la « legge di natura » (Law of Nature) che la esprime:
perciò tocca riconoscere alla ragione la sua completa libertà a sbarazzare la
religione e il cristianesimo di tutte le nozioni spurie, assurde e abusive che
vi si sono infiltrate (p. 13; v. a p. 14 l’accenno alla condanna di Galileo.
Segue una critica alla possibilità dei miracoli: v. a p. 23 l’accenno al mira
colo del sangue di S. Gennaro) e si rallegra che il libero pensiero goda ora
nel Regno Unito la massima perfezione, dopo aver scosso il giogo papista
(p. 28). In verità contro tutte le oppressioni e superstizioni l’unico rimedio
è il libero pensiero e questo era anche lo scopo del Vangelo (p. 44), contro
tutte le dispute teologiche sui dogmi venute di poi (i criteri di ermeneutica
biblica — che qui, a p. 58 ss. il Collins presenta — meritano una considera
zione a parte).
Precisando il suo principio del libero pensiero, Collins afferma il dovere
di usare di questo diritto ch’è concesso a coloro che sono in grado di eser
citarlo e non alla massa dell’umanità (the Bulk of Mankind)’, non tutti
infatti sono in grado di farlo (p. 100). E non è affatto vero che il libero
pensiero scateni divisioni dottrinali senza fine e nella società ogni disordine:
al contrario presso le civiltà più tolleranti, come i greci e i musulmani, fio
rivano le scuole e le opinioni più diverse senza alcun inconveniente, mentre
le controversie più feroci sono quelle che si agitano fra i teologi. Anzi è
proprio del libero pensiero stimolare l’esercizio della virtù, anche se questo
suscita la reazione del volgo e l’ira dei potenti fino ad accusare i liberi pensa
tori di ateismo (Socrate; i primi cristiani secondo Giustino martire: p. 124 ss.;
372 DEISMO E ATEISMO NELL'EMPIRISMO INGLESE
soprattutto gli stoici fra i quali Seneca fu in grande stima presso gli stessi
cristiani: p. 135 ss.).
E Collins cita Teofrasto il quale, prima di Bayle, riteneva l’ateismo un
male minore della superstizione (p. 132). Fra gli ebrei rappresentanti del
libero pensiero furono soprattutto Salomone, che fu calunniato per ateo
(p. 150 s.), e soprattutto i profeti stessi (p. 152 ss.); fra i cristiani Minucio
Felice, Origene e Sinesio (p. 162 ss.); fra i moderni « my Lord Bacon » e
Hobbes, il Vescovo Tillotson, e si potrebbero citare Erasmo, Scaliger, Car
tesio, Gassendi, Grozio, tutti i deisti con a capo Locke (p. 177).
Di qui si vede che accusare i liberi pensatori di ateismo, libertinismo, è
perfida calunnia contro i più degni rappresentanti dell'umanità (p. 176).
Non v’è dubbio che il deismo apparve subito, nelle sfere ufficiali della
teologia e dell’ortodossia cristiana, — sia pure in un ambiente a maglie
piuttosto larghe com’è quello delle varie Chiese staccatesi da Roma — come
un movimento eterodosso, profondamente anticristiano e connesso stretta-
mente con il panteismo ch’è il fratello siamese dell’ateismo. Uno dei nuclei
più attivi per arginare la marea montante dell’incredulità può essere ricono
sciuto quello delle Boyle’s Lecturesy fondato dal teologo Robert Boyle
(1627-1691) avversario di Hobbes: alla sua morte il Boyle lasciò per testa
mento un legato che assicurasse l’onorario per chiamare un teologo o predi
catore a tenere otto lezioni o prediche ogni anno in difesa della religione
cristiana « ... contro coloro che sono notoriamente infedeli come gli atei, i
deisti, i pagani, i giudei e i maomettani, senza scendere a quelle controversie
che dividono i cristiani fra loro ». La serie fu aperta nel 1692 da Richard
Bentley [autore di due scritti espressamente antideisti: Matter and Motion
cannot think\ or a Confutation of Atheism from the faculties of the Soul, 1692
(evidente la polemica contro Locke e Toland); Remarks upon a late Discourse
of Free-Thinkingy 1713 (contro il Collins) con lo pseudonimo di Phileleu-
therus Lipsiensis], il quale diede una « Confutazione dell’ateismo » ch’è
divisa in tre parti, d’ampiezza assai ineguale: dopo una breve confutazione
dell’ateismo come « contrario a tutte le leggi del buon senso », segue la
374 DEISMO E ATEISMO NELL'EMPIRISMO INGLESE
accessoria (Burnet I, 248; tr. fr. I, 495), di voler distinguersi dagli altri.
Di qui il giudizio drastico: « Atheists of Deists, whether real or pretended,
are generally Persons of no great Reach : but Men of strong Lusts, and
irregular Imaginations, without a due Ballast of Reason. If some of them
have more natural Sense, it is uncultivated'. Or if they have made any
Advances in Knowledge by Study, they have either begum late, and applied
themselves to Books without Direction; or else they have been conversant
in such Studies as have by no means qualified them to be Judges of their
own Way » (Burnet I, 250 s.; tr. fr. I, 501 s.). L’ultima Sezione (VII) è
dedicata a chiarire la differenza fra ateismo e deismo: « By an Atheist is
commonly meant, one who believes no God. And in this Sense of the Word
it may be a Question, whether there be an Atheist in the World? For ’tis
hard to find a Man who has not some Idea in his Mind which he will
allow the Name of God to, though perhaps it will be found nothing else
but a confused Notion of some vast Rower, first Cause, original Mover, or
Immortal Being enjoyng eternal Rest and Quiet. Now according to this
Notion of Atheism, he who believes a God and denies his Providence is
called a Deist. But where Revelation is owned, he that is called a Deist is
one who believes some Sort of Providence, but denies Revelation; who
practises Justice for his own Advantage and Interest of Society, not in Obe
dience to God, or a future Prospect, because he believes no future Life.
This is the common Use of these Words. But by an Atheist, I think, may be
meant, not only he that absolutely denies the Being of a God, but whoever
says, there is no God that governs the World, or will punish or reward
Men hereafter, according to their Actions here. For Atheism is to be consi
dered as a Vice, and not a mere Error in Speculation. And ’tis all one
with Respect to Practice, to say, there is no God , as to say, there is no
Obedience due to him , or no Punishment for Disobedience, if there be.
For the End of these Opinions is to establish a Liberty for every Man
to live as he pleases; and what is this, but to say, there is no God ? »
(Burnet I, 252 s.; tr. fr. I, 505 s.). La distinzione quindi è piu formale
che reale: « ...by a Deist is to be meant one, who acknowledges all the
Principles of Religion here maintained, but does not believe Revelation, or
those peculiar Doctrines that are discoverable by it. And, if a Deist be such
a one, I don’t know whether there be any... » (Burnet I, 253; tr. fr. I, 507).
E si ha l’impressione che l’avversario che il pio Vescovo teme ancor più
degli atei (impossibili, per lui) sono proprio i deisti: « Upon this Account
it is that I have several times mentioned the Deists as Enemies of natural
Religion, and so properly coming within my Subject, and not as mere
Opposers of Revelation, which belongs to another Argument» (Burnet I,
254; tr. fr. I, 508).
La seconda Lettura è stata tenuta nel 1698 dal dr. Harris (Refuta
tion of the Atheistical Objections against the Being and Attributes of
God), secondo il quale la principale causa dell’ateismo è la corruzione mo
rale o libertinage du Cceur (Burnet I, 267 ss.; tr. fr. II, 7 s.) e l’orgoglio
o vanità (Burnet I, 260: tr. fr. II, 7 s.); l’Autore ammette per suo conto
l’esistenza di « atei di speculazione » nell’antichità e nei tempi moderni con
le testimonianze di Bayle, Blount e Vanini che qualifica Machiavelli come
Atheorum facile Princeps (Burnet I, 261 s.; tr. fr. II, 11). Sul con
376 DEISMO E ATEISMO NELL'EMPIRISMO INGLESE
in costoro è lo stesso col mondo; e come può aver luogo l’equivoco, e molto
peggio la somiglianza? Con questo stesso luogo di Paolo, e con ciò che
segue nel testo, pretende l’Autore della traduzione latina del Pope uscita
in luce a Vitemberga nell’anno 1743, giustificar alcune espressioni del Poeta
censurate come panteistiche! Ma ad onta di tutti gli annessi e connessi, a
cui ricorre, non renderà mai innocenti questi versi, ch’egli così traduce:
Ep. I, v. 470 Commentario de Homine [è il celebre Essay on Man].
« [...] Chi non sente in questi versi le frasi spinozistiche? Non può
negarlo il commentatore, onde dice: “ Loquitur Poeta cum Spinoza, sed
valde diversum ab eodem sentit. Immo vero et loquitur, et sentit Scriptura
Sacra ”. Quali siano stati i sentimenti del Pope , io non intendo cercarlo:
ma quanto poi al parlare, cui il commentatore vuole che sia alla Scrittura
conforme, io lo sfido a trovarmi nelle sacre Carte, che Dio sit portio mundi,
che cum rebus variis varie mutatur in boras, che extenditur una rebus in
extensis, etc. » (L. II, c. 11, § 2; ed. lat., pp. 200a-201a\ ed. it., t. II, p. 94;
la nota continua incriminando di panteismo anche il Pope, Ep. I, v. 170 ss.
On Man). E* confutato il determinismo sensistico del Collins (L. I, c. 6, § 4:
è citata nella versione francese Popera Recherches sur la liberti) ed è lodata
la confutazione fatta dal Bentley del Discourse of Freethinking (L. I l i , c. 6,
§ 5 ). Altri deisti criticati sono: Dodwell sulla scarsità e mancanza di fortezza
dei martiri (L. II, c. 14, § 4), Woolston rinnovatore della negazione spinoziana
della Risurrezione di Cristo (L. II, c. 16, § 3), Tindal e il suo maestro
Locke secondo i quali la ragione è capace di operare da se stessa la remis
sione dei peccati (L. II, c. 4, § 5: è citato il Christianity as Old as the
Creation di Tindal).
Una trattazione a parte riserva il Vaisecchi all’etica dei deisti (e dei
naturalisti) i quali pretendono innalzare « ... l’onestà, la buona fede, la virtù
e i costumi [ ...] » : ma questo come sarà possibile quando concepiscono la
Divinità « ... cieca, oziosa, imbelle, togliendone la conoscenza e il reggi
mento del mondo e specialmente il vegliar sulle azioni umane per premiarle
o punirle? » (L. I l l , P. I, c. 10, § 1; ed. lat., p. 336 a\ ed. it., V II, t. I li,
p. 84). È interessante notare che in tutto il capitolo non si cita nessun
deista ma solo opere anonime, come le Lettres sur la religion essentielle a
Vhomme (§§ 2-6), seguite dai Principes de philosophie morale di cui il Vai
secchi mostra una certa stima (« ... non manca né penetrazione, né metodo »).
Trattando poi più avanti (L. I l i , cc. 14-16) del « principio di tolleranza »,
il Nostro mette i deisti sullo stesso piano degli atei perché fautori, come
questi, del naturalismo, e cita dalla sua il Woodward e il Gibson (ed. lat.,
p. 403; ed. it., V II, t. I l i , p. 140 s.). Nell’esposizione della seconda causa
dell’ateismo, la perversione della mente, sono ampiamente citate le Pensées
di Pascal (L. I l l , P. II, c. 1; ed. lat., p. 410 a; ed. cit., V II, t. I l i , p. 151 s.).
Ad un altro domenicano, p. Tommaso Vincenzo Moniglia, contempo
raneo del Vaisecchi e autore di varie opere apologetiche, si deve una prolissa
critica della dottrina della « materia pensante » (La mente umana spirito
immortale, non materia pensante, 2 tomi, Padova 1766). Anche qui gli av
versari sono Spinoza (I, 9, 29; II, 84), Hobbes (II, 74 s., 131 ss., 175),
Collins (II, 173), Toland (II, 7, 83 ss., 129), Dodwell (I, 66; II, 181).
Per confutare il criptomaterialismo dei deisti, fautori della « materia pen
sante », il nostro domenicano non si appoggia a S. Tommaso (che trovo
APPENDICI 383
citato solo una volta: II, 71), bensì a scritti del tempo, come l’anonimo
ha Belle Wolfienne (II, 104 ss.), il platonico Cudworth (II, 120 ss.), una
dissertazione del teologo inglese Ditton (II, 125 ss,), vari trattati di autori
della scuola wolffiana come Reinbeck (II, 145 ss.), Bulfinger e spec. Cantz
(II, 152 ss., 158 ss.). Molte simpatie per Leibniz « gran Fisico, gran Meta
fisico, gran Matematico... » (II, 5 s.). Anche qui neppure il sospetto del ca
povolgimento speculativo operato dal cogito e ci si accontenta di ridurre
rateismo a materialismo (II, 49 ss.). Il Moniglia sembra meno informato del
Vaisecchi, ed anche più enfatico e meno robusto.
Vaisecchi e Moniglia erano stati preceduti nella loro opera apologetica
dal confratello friulano p. Daniello Concina (1687-1756) con l’opera Della
religione rivelata contro gli ateisti, deisti materialisti, indijferentisti che
negano la verità dei misteri, Venezia 1754. La tesi del Concina, agli antipodi
della posizione del Bayle, sostiene che « l’incredulità è il naturale e obbli
gato effetto dei costumi corrotti » (cf. A, Prandi, Religiosità e cultura nel
J700 italiano, Bologna 1966, p. 195 s. L ’opera, che apre un solco nuovo
nella storiografia religiosa, tratta a fondo specialmente l’opera apologetica
del Vaisecchi: p. 256 ss.).
solato: « Ogni giorno mi prende un senso di peso più forte di mille dimostra
zioni che tutta la teologia, il Cristianesimo, la speranza della vita eterna, la
fede in Dio non sono che pazzia, sogno, nonsenso, superstizione e ateismo
senza il sentimento immediato di Cristo. Io mi disprezzo più a fondo di
quanto non possa alcuno dei miei schernitori, mi disprezzo come ipocrita,
truffatore, chiacchierone, pazzo, bestemmiatore fin quando io non sia per
suaso della Vita di Cristo come della tua benché io non ti veda. [Aut-Aut] O
ateo o cristiano. Io disprezzo il deista, è l’uomo più incoerente del mondo.
Io non ho altro Dio che Gesù Cristo. Il suo Padre — pensiero grandioso!
— è per me solo in Lui, è per me in tutto, non sarebbe in nessuna parte,
se per me non fosse in Lui. Io prego l’aria, se prego Dio fuori di Cristo;
io amo un idolo della mia simbolica se amo Dio fuori dell’uomo. Tutto è
fanatismo fuori della fede in Cristo la quale si fonda sulle esperienze dei
sensi, fuori dell’amore degli uomini come figli di Dio, del mio Dio, sorelle
del mio fratello. La Scrittura non porta un solo esempio dove l’esperienza
sensibile non stia a fondamento; pertanto io prego tanto spesso: “ Se tu sei,
allora mostrami che sei tu ” {Bist du, so zeige mir, dass du bist) » (Op. cit.,
Bd. II, p. 48).
E la sua professione di fede è tutta incentrata in Cristo: « Religione cri
stiana - Credere nel Padre del Messia Gesù e nel suo Regno eterno invi
sibile, a motivo della sua apparizione in Gesù Cristo che in modo divino ha
insegnato, operato, sofferto ed è risorto, che domina su tutto. Vivere e muo
vermi nel Dio di Cristo e nelle esperienze simili di questo Dio come aveva
Cristo, in una tale comunione con Dio in cui Egli stava con la divinità! Vi
vere e muovermi nel suo senso e nel suo regno! » (Op. cit.y Bd. II, p. 184).
Ma la marcia illuministica del deismo e del razionalismo teologico era
ormai inarrestabile soprattutto per opera della pubblicazione nell’aprile 1778
dei Frammenti di Wolfenbuttel (Von dem Zwecke Jesu und seiner Jtinger)
ad opera di Lessing. Fu allora, il 4 maggio del 1779, che Lavater tenne,
sembra improvvisando, un violento discorso contro il deismo ed il razio
nalismo ecclesiastico (Synodalrede gegen Deismus und kirchlichen Ratìona-
lismus; Ausgew. Werke, ed. cit., Bd. I l i , p. 3 ss.). Nel prologo lamenta che
« la santa religione di Cristo ai nostri giorni sia in molti modi decaduta e
turbata così che anche nella nostra cara città natale [Zurigo] si diffonde la
incredulità, l’odio della religione, lo scherno del Vangelo di Cristo... » (p. 5).
E dopo aver espressamente indicato come principali responsabili della preoc
cupante situazione di decadenza della religione la pubblicazione dei Fram
menti di Reimarus, ad opera di Lessing (p. 9), e quella delle opere dell’avan
guardia del razionalismo teologico (W. A. Teller di Berlino, G. S. Steinbart
di Francoforte e Jo. S. Semler di Halle) nelle quali non si vede tanto il Cristo
degli Apostoli quanto quello dei deisti, rivendica con energia la divinità di
Cristo (p. 16). Il resto, tutta la concezione deista della religione, non è che
parodia e sacrilegio (p. 19). A questa situazione probabilmente alludeva un al
tro geniale polemista quando scriveva: « Il nostro mondo diventerà così raffi
nato che sarà così ridicolo il credere in un Dio, come oggi credere ai fantasmi »
(G. Chr. Lichtenberg, Vermischte Schriften, Gottingen 1800, Bd. I, p. 166).
APPENDICI 385
Si tratta di un’opera curiosa 6 che sembra non abbia lasciato tracce no
tevoli nello sviluppo del nostro problema se non a distanza: la sua caratte
ristica sembra quella di aver cercato una spiegazione adeguata del mondo
(soprattutto delle maree, com’è indicato nel titolo) nella scia del naturalismo
deista. Autore d’una Description de VEgypte assai apprezzata, nella presente
opera il De Maillet si sbizzarrisce in spiegazioni spesso ingegnose non solo
delle maree ma anche dei più svariati fenomeni naturali. Ciò che ha dato
l’allarme nel campo dell’ortodossia è l’impressione che, accanto al Dio eterno
ed immutabile (dei deisti), egli ammetta una materia anch’essa eterna ed
increata che Dio si è limitato a disporre e ad ordinare così da poter trarre da
essa una moltitudine di mondi opachi o luminosi, i regni vegetali ed animali
ed infine gli stessi uomini. E quel ch’è interessante è che Telliamed conce
pisce il sorgere di questi vari piani del cosmo ed il loro articolarsi nell’eco
nomia dell’universo secondo un processo di evoluzionismo assoluto cioè mec
canico. Di qui l’accusa di ateismo.
L’autore e panegirista della sua vita lo nota subito con amarezza:
« Ce que j ’ai dit jusqu’ici de Monsieur de Maillet, n’annonce certainement
point en lui un homme sans religion, un impie, un athée, encore moins un
extravagant qui ne se repaìt que de chimeres. C’est cependant de ces noms
odieux, que des hommes qui font profession de pieté et de charité par con
sequent, ont osé se servir pour noircir sa réputation, aussitót qu’ils ont vu
paroxtre son Traité de la diminution de la Mer. Je respecte le zele qui les
fait parler; mais si ce zele fait honneur à leur religion, il est à craindre qu’il
n’en fasse pas beaucoup à leur esprit et à leur jugement. Du reste je serois
charmé qu’ils voulussent entendre raison, et comprendre une bonne fois, qu’il
n’y a ni justice ni charité à taxer d’athéisme et d’impieté ce qui n’est qu’un
jeu d’esprit et un systèrne purement philosophique. A l’égard de ceux qui
sont d’humeur à se payer de bonnes raisons, je les renvoie à la Préface qui
est à la tète de ce livre » (t. I, p. 10 s.).
La Préface, a cui si allude, è probabilmente la « Epitre dedicatoire à
l’illustre Cyrano de Bergerac, Auteur des Voyages dans le Soleil et dans la
Lune » nella quale si evita ogni contatto con i problemi religiosi per magni
ficare unicamente l’ardimento delle ipotesi, più o meno fantastiche, nel campo
dei fenomeni della natura. D’altra parte oppure, se piace, coerentemente al
suo meccanicismo (cartesiano?) Telliamed spiega che tutti questi mondi sono
sorti dall’acqua, formati nei suoi abissi e così la narrazione biblica del diluvio
non ha senso: nella formazione dei terreni varia e irregolare non si vede
«...altro che l’effetto di una causa cieca e successiva» (t. I, pp. XXV,
XXIX s.). Per rendere verisimile l’ipotesi dell’evoluzionismo assoluto, Tel-
liamed si richiama a testimonianze di viaggiatori e missionari7 sull’esistenza
di Tritoni o uomini marini e racconta perfino che una baleniera nei mari di
Groenlandia, a cinquanta leghe dalla terra, fu circondata verso mezzodì da
sessanta a ottanta piccole barche in ciascuna delle quali si trovava un uomo.
Dopo molti sforzi ne fu catturata una e l’uomo fu portato a bordo: visse venti
giorni senza prendere nessun cibo, senza gettare nessun grido o fare alcun
suono o espressione di linguaggio, « ...soupirant pourtant sans cesse, et les
larmes coulant de ses yeux ». Quanto alla figura « ... il étoit fait comme nous,
avec des cheveux et une barbe assez longue; mais de la ceinture en bas son
corps étoit tout couvert d’écailles ». Ed ecco la conclusione: « Les conse
quences d’un fait si singulier et si autentiquement attesté sont telles pour
les preuves de la possibilité de la sortie des races humaines des eaux de la
mer, qu’il ne paroit pas qu’après cela on puisse en douter. En effet à la raison
près dont il n’est point ici question, les hommes de ces petites barques
étoient des hommes tels que nous » (t. II, pp. 182 ss., 192). Più avanti, dopo
aver narrato altri fatti consimili, Telliamed espone l’opinione che gli uomini
sono nati dall’incrocio di animali più perfetti: « Ainsi d’une race muette et
sans esprit, il s’en forme par son mélange avec une autre plus parfaite,
une postérité très-différente de la tige originaire. Un Auteur Chinois a
prétendu que les hommes sont une espèce de singes plus parfaite que celle
qui ne parie point. Je suis fort éloigné d’adopter cette opinion; mais il est
certain, que du commerce de l’homme avec eux il naìt une race qui a l’usage
de la parole » (t. II, p. 251). Ipotesi ardite, almeno per quei tempi.
La conclusione dell’opera, se è autentica e non un’aggiunta dell’editore,
intende dare la garanzia esplicita dell’ortodossia dell’enigmatico filosofo in
diano ossia il De Maillet stesso. Una glorificazione dell’uomo nella glorifica
zione del creato: « C’est mal juger de ce vaste univers, de ne lui attribuer
qu’une fin aussi bornée que l’utilité de l’homme. Les vues de Dieu sont aussi
étendues et aussi incompréhensibles que lui-mème. Marquer un commencement
à ses ouvrages, ou les condamner à l’anéantissement, c’est vouloir trouver une
mesure et une fin à celui qui n’en a aucune. C’est ce principe qui n’en a
point, qui est celui de toutes choses, et de cette infinité de globes dont nous
sommes environnés. L’homme est dans celui que nous habitons, l’image la
moins imparfaite de cet Esprit éternel et infìni; d’autres globes peuvent
en avoir de plus excellentes. Lorsque ces images s’effacent dans un, elles re-
naissent dans un autre, peut-ètre avec plus de perfection. Si un Soleil s’éteint,
il est remplacé par un nouveau. Si un globe semblable au nótre s’embrase, et
que tout ce qu’il renferme de vivant y soit détruit, de nouvelles générations
le remplaceront en un autre. Les Soleils, les globes habités, ceux qui sont
prèts à le devenir, les plantes, les arbres, des espèces d’animaux sans fin
7 All’inizio del voi. II c’è una Table dei documenti e delle relazioni su cui
si fondano le descrizioni strane a cui accenniamo nel testo.
APPENDICI 387
ATEISMO ILLUMINISTICO
1
O R IG IN I CARTESIANE E LOCKIANE
D EL M A TERIA LISM O A TEO D EL SETTECENTO
3 II Vartanian (Op. cìt., p. 14) presenta tre conclusioni principali: prima, che
vi è stata una decisiva rottura nella dottrina e nello spirito passando da Descartes
ai pbìlosophes \ seconda, che una fondamentale somiglianza è evidente tra il
pensiero dell’uno e quello degli altri; terza, che i pbìlosophes, dividendo il siste
ma cartesiano nel modo che si adattava ai loro scopi, separarono la metafisica dalla
fisica, ma portarono a piena maturità il metodo critico, razionalista di Descar
tes. Per parte nostra ci sembra che nel « passaggio » da Cartesio ai pbìlosophes
non si deve propriamente parlare di « rottura decisiva » dei principi e quindi di
riduzione al fondamento che vale tanto per la linea idealistica come per quella
meccanicistica ambedue coesistenti in Descartes.
4 Hanno riconosciuto l’influsso decisivo della fisica cartesiana sull’ala sini
stra delPilluminismo ateo francese il Brunetière e il Lange, e, più recentemente,
il Maritain secondo il quale Cartesio è vittima dell’illusione di scambiare per cause
i principi reali della natura, i puri aspetti quantitativi ch’egli prende in consi
derazione e gli enti matematici ch’egli elabora. Egli spinge quest’illusione « ...à ses
dernières consequences avec une parfaite obstination, convaincu que la physique
“ n’est que géométrie ”, et faisant de la science physico-mathématique la philoso
phic naturelle elle-mème, Descartes consommé la rupture de la nouvelle science
avec l’ancienne sagesse, et il la rive pour plusieurs siècles aux postulats métaphy-
siques les plus hypocritement tyranniques et les plus décevants, aux postulats du
mathématisme universel. La vérité scientifique qu’il a amenée à la lumière, se
tournant en mécanicisme, devient, elle aussi, le véhicule d’une erreur » (J. Ma
ritain, Le Songe de Descartes, Paris 1932, p. 48).
ORIGINI CARTESIANE E LOCKIANE DEL MATERIALISMO ATEO 393
5 Gli accenni sostanziali che qui si danno della « fisica » di Cartesio riman
dano agli scritti della maturità, soprattutto: Le Monde ou Traité de la Lumière e
Principes de la Philosophie.
394 ATEISMO ILLUMINISTICO
della sua esistenza, della sua essenza e delle sue proprietà. I suoi
vari modi di agire sono i necessari risultati dei suoi differenti modi
di essere. Una sostanza materiale senza proprietà non è altro che puro
e semplice non essere. Così dal momento che la materia esiste, essa
deve agire... » 8. Cartesio, ch'era così suscettibile alle critiche, non
avrebbe certamente mancato di esprimere tutto il suo disappunto per
questo massiccio saccheggio e tradimento della sua filosofia a favore
proprio di quell'ateismo materialistico ch'egli intendeva combattere e
debellare, rispetto al quale la critica dell'Hardouin e l ’accusa di Voezio
diventavano quasi pettegolezzi insignificanti. Qui era la concezione
stessa del mondo ch'era in gioco: una volta che la sua struttura in
terna e i suoi rapporti dinamici erano garantiti e fondati nel modo più
semplice mediante la sola distribuzione autonoma del movimento,
ch'era considerato la fonte unica e originaria di ogni distinzione e dif
ferenziazione qualitativa, non restava che affermare la sufficienza e il
circolo chiuso del mondo fisico in tutte le sue manifestazioni9. Nel
progressivo affermarsi dell'immanentismo e dell’ateismo moderno si
deve perciò riconoscere che la fisica cartesiana col suo rigido mecca
nicismo ebbe un compito decisivo almeno pari, e ad ogni modo com
plementare, a quello esercitato dal cogito nell'ambito della vita dello
spirito. Anzi, e la storiografia più accorta l'ha avvertito, il cogito stesso
nello sviluppo del pensiero moderno non ha potuto resistere che in
parte e fiaccamente all'irruenza del principio meccanicistico, di quale
ha finito per rompere le dighe ed aprire presto il libero corso al mate
rialismo. E non si tratta soltanto dell’ambiguità, certamente preoccu
pante, dello spinozistico Deus sive natura che può a suo modo rifarsi
a precise istanze cartesiane, come si è visto, quanto di una crescente
e completa liberazione che siffatto meccanicismo attribuisce alla fisica
rispetto alla metafisica così che l’uomo, proteso nell’analisi del movi
mento, diventa arbitro del reale nelle sue forme e nei suoi sviluppi come
della sua verità. È la fine della metafisica come ricerca del trascendente
e del sovrasensibile.
Non sorprende allora che da Cartesio derivino direttamente il
loro materialismo ateo pensatori come Meslier, Diderot, D ’Holbach e
lo stesso La Mettrie... Quest’ultimo in particolare ha potuto sviluppare
la sua teoria dell 'Homme machine a partire dalla concezione carte
siana della Bète machine 10. Secondo il rigido dualismo della res cogitans
e della res extensa Cartesio aveva dovuto sostenere che tutti i feno
meni vitali e sensibili della sfera infraumana si riducevano a processi
infracoscienti ossia puramente fisici, risultanti dalle comuni leggi della
materia in movimento; di conseguenza ogni comportamento apparen
temente cosciente e finalistico, cioè in un certo senso intelligente, degli
animali, poteva e doveva, non diversamente dalle funzioni dell’orga
nismo, essere spiegato con cause puramente meccaniche senza far
ricorso assolutamente all’esistenza in essi di un principio nuovo o
« anima », distinto dalla materia. Si può dire, servatis servandis, che
La Mettrie e gli altri philosophes del gruppo di D ’Holbach si sono com
portati con Cartesio come Feuerbach e la sinistra hegeliana con Hegel:
hanno portato il « sistema » al fondamento risolvendone l’ambiguità
e l ’insolubile quanto inutile tensione in cui si dibatteva. Così i carte
siani materialisti hanno negato lo spirito per comprendere meglio la
materia, come poi gli hegeliani di sinistra hanno respinto l’Assoluto
10 Cartesio, com’è noto, pensava che la concezione degli animali come « pure
macchine » contribuisse a favorire la fede nell’immortalità dell’anima umana. Sulla
concezione meccanicistica del vivente, Cartesio è di una perfetta chiarezza: ogni
funzione vegetativa e sensitiva è compiuta dagli « spiriti animali » i quali traspor
tati dalle arterie compiono nel corpo tutti i movimenti che presiedono alle diverse
funzioni, poiché è un errore il credere che l’anima dia movimento e calore al
corpo. La differenza allora tra un corpo vivo e morto è quella di una macchina
montata e smontata: « Jugeons que le corps d’un homme vivant differe autant de
celuy d’un homme mort, que fait une montre, ou autre automate (c’est à dire,
autre machine qui se meut de soy-mesme), lorsqu’elle est montée, et qu’elle a en
soy le principe corporei des mouvemens pour lesquels elle est instituée, avec tout
ce qui est requis pour son action, et la mesme montre, ou autre machine, lors
qu’elle est rompué et que le principe de son mouvement cesse d’agir » (Des passions
de l}ame} c. 6, ed. Adam-Tannery, t. X I, p. 330 s.).
ORIGINI CARTESIANE E LOCKIANE DEL MATERIALISMO ATEO 397
di Hegel per realizzare nella sua concretezza quella realtà umana sen
sibile di cui l ’Assoluto non era che un vuoto simbolo: certamente né
Cartesio e neppure Hegel avrebbero fatto buon viso ad un simile trat
tamento ed avrebbero tentato una più impegnativa difesa delle rispet
tive metafisiche, ma ciò non avrebbe comunque impedito di mettere
in crisi il senso stesso del « sistema » e del suo cominciamento. Nel
caso nostro, La Mettrie fa una significativa dichiarazione di principio
circa il suo debito con Cartesio — « ce grand homme » — che non
ammette dubbio o incertezze, convinto di ridargli una gloria che i
filoinglesi... « tous ces petits philosophes, mauvais plaisants et mauvais
singes de Locke, qui, au lieu de rire impudemment au nez de Descartes,
feraient mieux de sentir que sans lui le champ de la Philosophie,
comme celui du bon esprit sans Newton, serait peut-ètre encore en
friche ». Segue la dichiarazione singolare: « Il est vrai que ce célèbre
Philosophe s’est beaucoup trompé, et personne n’en disconvient. Mais
enfin il a connu la nature animale; il a le premier parfaitement
démontré que les animaux étaient de pures machines. Or, après une
découverte de cette importance et qui suppose autant de sagacité, le
moyen sans ingratitude, de ne pas faire grace à toutes ses erreurs! Elles
sont à mes yeux toutes réparées par ce grand aveu. Car enfin, quoi
qu'il chante sur la distinction des deux substances, il est visible que
ce n’est qu’un tour d’adresse, une ruse de style, pour faire avaler aux
théologiens un poison caché à Lombre d’une analogie qui frappe tout
le monde, et qu’eux seuls ne voient pas. Car c’est elle, c’est cette forte
analogie qui force tous les savants et les vrais juges d’avouer que ces
ètres fiers et vains, plus distingués par leur orgueil que par le nom
d’hommes, quelque envie qu’ils aient de s’élever, ne sont au fond que
des animaux et des machines perpendiculairement rampantes » 11.
È facile del resto a chiunque verificare per proprio conto una
siffatta rivendicazione del La Mettrie. Il concetto del corpo vivente è
per Cartesio quello di una statua o una « macchina di terra » la quale,
una volta montata [da Dio] in tutti i suoi pezzi, continua a compiere
da sé i suoi movimenti non diversamente dagli orologi, dalle fontane
tinuellement dans son coeur, et qui n'est point d'autre nature que tous
les feux qui sont dans les corps inanimez » 14.
È stato Cartesio quindi il vero fondatore di quella che il Lange ha
chiamato la « psicologia senz'anima », dalla quale non a caso è scaturita
per intima coesione e ad un tempo inarrestabile maturazione la nuova
« filosofia senza Dio » 15: benché velata da abili reticenze e da continue
proteste di ortodossia, è stata proprio la concezione cartesiana del mondo,
prima e più che quella di Hobbes e di Spinoza, che ha fatto il passo
decisivo per lo sganciamento radicale dell'uomo dalla trascendenza.
Per Marx l’illuminismo ateo francese, che ha preparato la Rivolu
zione, non fu solamente una lotta contro le istituzioni politiche esistenti,
così come contro la religione e la teologia, ma anche una lotta aperta
ed esplicita contro le metafisiche del see. xvn ed in particolare contro
quelle di Cartesio, Malebranche, Spinoza e Leibniz. Si oppose la filosofia
alla metafisica, così come poi Feuerbach farà con la speculazione hege
liana, e la metafisica ■
— dichiara Marx — soccomberà davanti al mate
rialismo che rappresenterà il definitivo punto di arrivo della specula
zione e segnerà Pinizio vittorioso del nuovo umanesimo.
Marx vede nel materialismo francese due tendenze 16: Luna che
prende l'inizio da Cartesio, l'altra da Locke; questa tende principal
mente allo sviluppo della cultura francese e arriva direttamente al so
cialismo — ch'è quella che ha per i suoi principali rappresentanti Hel
vétius e D'Holbach — mentre L altra, il materialismo meccanicista, si
applica nelle scienze naturali propriamente dette. Le due direzioni s'in
crociano nel corso del loro sviluppo, ma a Marx interessa soprattutto la
seconda direzione, ossia quella che partendo da Locke si è applicata a
fondo allo studio dell'uomo e alla formazione del suo spirito.
Precursore di questa destructio metaphysicae è considerato da Marx,
con la guida autorevole di Feuerbach, Pierre Bayle il quale corrose col
17 « D ’une manière générale, ils insistent fort peu sur la philosophic de l’esprit,
étant assez disposés à croire que Locke a dit sur ce point le dernier mot, et
ayant une méfiance profonde des subtilités métaphysiques : c ’est, plus que les
facultés de Tesprit, la nature et la société qui les intéressent. Chez Diderot en parti-
culier, et chez ses amis matérialistes, D ’Holbach et Helvétius, et, auparavant, La
Mettrie, Ton trouve une conception de la nature qui va s’affirmant » (E. Bréhier,
Hìstoìre de la Philosophie, Paris 1962, t. II, p. 444).
ORIGINI CARTESIANE E LOCKIANE DEL MATERIALISMO ATEO 401
parie al loro sonno religioso, di scuoterle a fondo con i mezzi più di
versi, ecc. Ora gli scritti ardenti, vivi, ingegnosi, pieni di spirito dei
vecchi atei del see. xviii che attaccavano violentemente il clericalismo
imperante, si mostreranno molto spesso mille volte più adatti a scuotere
i popoli dal loro sonno religioso che non le ripetizioni del marxismo,
fastidiose, aride, quasi completamente sprovviste di fatti abilmente
scelti e destinati ad illustrarli, che dominano nella nostra letteratura e
che (inutile nasconderlo) deformano spesso il marxismo. Ed è sciocco il
temere, ammonisce Lenin, che la conoscenza del vecchio materialismo
e del vecchio ateismo possa nuocere ai progressi apportati da Marx ed
Engels, e conclude che « il sottrarsi all’alleanza con i rappresentanti
della borghesia del see. x v iii , l’epoca in cui essa divenne rivoluzionaria,
equivarrebbe a tradire il marxismo e il materialismo » 24.
Marx aveva fatto i primi passi, nella sua critica alla religione, con
il materialismo ateo dell’atomismo cosmologico di Democrito ed Epi
curo: ma si tratta di un ateismo ancora statico e metafisico. Il materia
lismo illuministico invece era dinamico e dal principio stesso della filo
sofia moderna, il cogito , attingeva il suo fondamentale carattere di deri
vazione antropologica: si aggiunga la polemica diretta contro la reli
gione in generale e contro il cristianesimo in particolare, accusati di
corrompere la morale e di distruggere la libertà25, che sarà e resterà uno
dei pilastri dell’ateismo marxistico. In questo il marxismo, mentre af
ferma di preferire al materialismo metafisico di coloro i quali come La
Mettrie partivano dalla materia secondo la concezione cartesiana, il
materialismo sensualistico d’ispirazione lockiana, lotta come questi
suoi precursori, che sono gli atei francesi del see. x v iii , contro ogni
forma di deismo e contro lo stesso Voltaire il quale, pur criticando il
cristianesimo, aveva sempre difeso con vigore l ’esistenza di Dio e
l ’immortalità 26.
condizione della cultura e non si può far colpa agli illuministi francesi
di aver ignorato la dialettica della natura, quando lo stesso Hegel con
cepisce la natura come semplice estrinsecazione dello spazio e riserva
alla realtà umana (del Bewusstsein) la capacità di evolversi nel tempo.
Ciò che sorprende è che, dopo Hegel e Marx, i materialisti come Biichner
e Mach con i machisti abbiano fatto ritorno a quel materialismo statico28.
Gli illuministi poi esagerano il significato sociale della religione e
cercano d'indicare, come sorgente fondamentale, se non unica, di ogni
male della società il dominio delPideologia religiosa: è un ateismo ancor
metafisico che trascura rimportanza del momento economico e la con
cezione materialistica della storia. Anche Lenin, che apprezzava il ma
terialismo illuministico ateo, osserva che vedere l'origine della religione
nell'ignoranza delle masse è una spiegazione superficiale e idealistica.
Essi sbagliano anche nel metodo di combattetre la religione, appellandosi
alla « cultura » contro le masse tenute nell'ignoranza: essi non hanno
sospettato che l'unica origine della religione — come si dirà — è eco
nomica e che l'unico mezzo per abbattere la religione è la soppressione
della proprietà privata dei mezzi di produzione. Gli illuministi sono
rimasti completamente all'oscuro della essenza della religione cioè del
suo carattere classistico: il loro ateismo rimase borghese, illuministico:
« Nessuno scritto dell’illuminismo, osserva Lenin, eliminerà la religione
dalle masse, le quali, tenute soggette dal lavoro coatto dei capitalisti,
dipendono dalle forze cieche e distruttive del capitalismo, fin quando
queste masse non abbiano imparato a combattere unite, organizzate, con
un piano prestabilito, contro la radice della religione, contro il dominio
del capitale in tutte le sue forme... » 29. L'ateismo illuministico non co
nosce quindi, secondo i marxisti, la situazione reale delle cose e rimane
prigioniero della mentalità borghese: ma gli illuministi hanno preparato
la Rivoluzione e la proclamazione dei diritti dell'uomo e con ciò la libe
razione delle masse dall'oppressione capitalistica mediante un nuovo
concetto dell'uomo.
qu’il ne sera athée ”, etc.), although what this really espresses is little else besides
a general hostility to the established religion. But on the philosophical plane,
atheism is presented neither as a premise nor a consequence of the man-machine
theory» {La Mettrie’s UHomme machine..., p. 24).
10 D’Holbach, Système de la nature, P. L , eh. II, nouv. éd., à Londres 1774,
t. I, p. 56; cf. p. 71 s. L ’ordine del mondo non è effetto d’intelligenza, ma il
risultato dei vari movimenti. Perciò a questo mondo non c’è il caso né alcunché
di capriccioso e tutto procede secondo leggi necessarie (p. 75).
11 D’Holbach, Système de la nature, ed. cit., P. I, eh. II « Du mouvement
et de son origine », ed. cit., t. I, p. 13 ss.
l ’ateismo edonistico di j . o. de la m ettrie 411
bles, ne sont évidents, quelque loin qu’on pousse cet argument, que pour
les antipyrrhoniens ou pour ceux qui ont assez de confiance dans leur
raison, pour croire pouvoir juger sur certaines apparences, auxquelles,
comme vous voyez, les athées peuvent en opposer d’autres peut-étre
aussi fortes et absolument contraires. Car si nous écoutons encore les
naturalistes, ils nous diront que les mémes causes qui, dans les mains d’un
chimiste et par le hasard de divers mélanges, ont fait le premier miroir,
dans celles de la Nature on fait l’eau pure, qui en sert à la simple bergère;
que le mouvement qui conserve le monde a p-u le créer; que chaque
corps a pris la place que la Nature lui a assignee; que Pair a du entou-
rer la terre, par la mème raison que le fer et les autres métaux sont l’ou-
vrage de ses entrailles; que le soleil est production aussi naturelle que
celle de Pélectricité; qu’il n ’a pas plus été fait pour réchauffer la terre
et tous ses habitants, qu’il brulé quelquefois, que la pluie pour faire
pousser les grains, qu’elle gate souvent; que le miroir et l ’eau n’ont
pas plus été faits pour qu’on put s’y regarder, que tous les corps polis
qui ont la mème propriété; que Poeil est à la vérité une espèce de trumeau
dans lequel Fame peut contempler Pirnage des objets, tels quTls lui sont
représentés par ces corps; mais qu’il n’est pas démontré que cet organe
ait été réellement fait exprès pour cette contemplation, ni exprès placé
dans Forbite; qu’enfin il se pourrait bien faire que Lucrèce, le médecin
Lamy et tous les épicuriens anciens et modernes eussent raison, lorsqu’ils
avancent que Poeil ne voit que parce qu’il se trouve organisé et placé
comme il l ’es t ; que posées une fois les mèmes règles de mouvement que
suit la Nature dans la génération et le développement des corps, il n’était
pas possible que ce merveilleux organe fut organisé et placé autrement »
(p. 109 s.; Vartanian, p. 178).
La conclusione vuole essere di obiettiva neutralità: « Tel est le
pour et le contre, et l ’abrégé des grandes raisons qui partageront éter-
nellement les Philosophes. Je ne prends aucun parti ». Ma si tratta di
una neutralità piuttosto ambigua, poiché immediatamente il Nostro passa
a difendere l ’ateismo, come quella concezione che si attiene alla sem
plice « legge naturale » senza sovrastrutture: « Quiconque en est rigide
observateur, est honnéte homme et mérite la confiance de tout le genre
humain. Quiconque ne la suit pas scrupuleusement, a beau affecter les
spécieux dehors d’une autre religion, est un fourbe ou un hypocrite dont
je me défie » (p. 110 s.; Vartanian, p. 179).
A questo punto il nostro medico passa alla considerazione del
l ’anima, a riguardo della quale mostra una sicurezza che non conosce
oscillazioni ma procede risoluto al suo scopo ch’è quello della dimostra
l ’ateismo edonistico di j . o. de la mettrie 413
sto, tranquillo sulla sua sorte e quindi felice; amante della vita egli at
tenderà 'la morte, senza temerla né desiderarla, e pieno di amore per
l ’umanità egli ne amerà il carattere fino nei suoi nemici. Questo « matè
rialiste convaincu » non maltratterà i suoi simili « ... trop instruit sur la
nature de ces actions, dont l ’inhumanité est toujours proportionnée au
degré d’analogie prouvée ci-devant, et ne voulant pas en, un mot, suivant
la Loi naturelle donnée à tous les animaux, faire à autrui, ce qu’il ne
voudrait pas qu’il lui fit » (p. 142). Il significato di tutta l ’opera non
lascia dubbi e il La Mettrie ne è fiero: « Concluons done hardiment
que l ’Homme est une Machine et qu’il n ’y a dans tout l ’Univers qu’une
seule substance diversement modifiée » (p. 142; Vartanian, p. 197).
Questa conclusione moralistica costituisce però la facciata apparente
di quest’edificio che fin troppo apertamente si presenta come un’apo
logià dell’edonismo 14. Ciò che però conta è l’influsso innegabile eserci
tato da quest’opera nel corso delle idee che portarono alla rivoluzione
degli spiriti nel mondo moderno. La separazione cartesiana di corpo e
anima, di sensazione e pensiero, si trasforma in trionfo incondizionato
del primo elemento e scompare così ogni tensione e alternativa dell’essere
e della libertà; la tesi di Bayle dell’indipendenza della morale dalla reli
gione diventa la giustificazione aperta dell’ateo contro il credente ch’è
ipocrita e bacchettone. La tesi-ipotesi della materia semovente di Locke
si eleva a ditirambo dei sensi e a celebrazione del cervello come organo
proprio del pensiero e ad apologia del piacere come scopo supremo del
l ’esistenza. In questo senso la posizione del La Mettrie può essere con
siderata la prima forma coerente e radicale dell’ateismo illuministico 15.
trarre nel pensiero. Egli non è fuori del gran Tutto di cui è una parte.
Tutte le altre nature, che si suppongono al di sopra o accanto alla
natura, appartengono al regno delle favole.
2) La realtà del mondo si manifesta mediante il « movimento »
ed il movimento costituisce il rapporto fra i nostri organi e la realtà che
sta in e fuori di noi. L'essenza di ogni corpo si manifesta mediante il
movimento e tutto è in movimento nelPuniverso.
3) La materia è sempre esistita e il movimento è un suo attributo
essenziale: ha quindi ricevuto il movimento da se stessa. Perciò il
movimento è Tunica causa delle mutazioni, delle forme, delle mani
festazioni della materia di ogni esistente.
4) Mediante il movimento si compie un continuo processo di muta
zione, scambio, circolazione della materia... mediante il quale i vari esseri
si differenziano fra loro e costituiscono nuovi rapporti e nuovi effetti.
5) L'uomo è un prodotto della natura come qualsiasi altra cosa,
ma non sappiamo come e quando sia apparso 3. * Egli è un tutto organiz
zato che risulta composto di diverse materie le quali operano secondo
le proprie qualità.
6) L ’uomo non figura affatto nella natura come un essere privile
giato ed è soggetto ai medesimi fenomeni di scambi energetici come gli
altri esseri.
7) La conoscenza fondamentale è la sensazione la quale consiste
in un impulso o urto che i nostri organi di senso, mediante il movimento,
ricevono dai corpi; la percezione è Timpulso che si prolunga fino al
cervello. Il pensiero o sfera delle « idee » altro non è che Timmagine o
rappresentazione di quegli oggetti che le sensazioni e percezioni hanno
prima appresi4.
bach, Système de la nature, P. II, eh. IV, nouv. éd., à Londres 1774, t. II, p. 95 ss.,
spec, p, 110 ss.). L ’operetta ha avuto una versione abbreviata in tedesco col titolo:
Neunundztvanzig Thesen der Materialismus, Halle a. S. 1873 (la Biblioteca Vaticana
possiede una copia della I ed. francese). È noto che l’operetta è stata postillata
con note critiche, specialmente in difesa dell’esistenza di Dio, da Voltaire (cf. W.
S. Ljublinski, Voltaire-Studien, Akademie Verlag, Berlin 1961, p. 112 ss. Le os
servazioni marginali di Voltaire sono riportate a p. 125 ss.).
3 La risposta del materialismo a questa questione verrà data un secolo più
tardi dalla dottrina dell’evoluzione di Darwin.
4 D e VHomme. De ses facultés intellectuelles et de son education, à Londres
1776, p. 64. Già nell’opera precedente e più nota aveva ridotto l’attività dello
spirito ai sensi esterni (la sensibilità physique) e alla memoria concludendo: « Je
L'ATEISMO SENSUALISTICO DI C.-A. HELVÉTIUS 417
dis que la sensibilité physique et la mémoire, ou, pour parler plus exactement, que
la sensibilité seule produit toutes nos idées » (De VEsprit, scritto nel 1758;
uso Ped. Paris, Pan deuxième de la République, t. I, p. 66 s.).
5 Cf. De VEsprit y t. I, ed. cit., p. 63 ss.; D e VHomme, Sect, II, eh. 20, ed.
cit., p. 148.
6 De VHomme, Sect. II, eh. 1, ed. cit., p. 61; v. anche eh. 23, ed. cit., p. 169.
Esplicito richiamò al Locke fa anche D’Holbach, ma gli rimprovera Pincoerenza
418 ATEISMO ILLUMINISTICO
principe qui, seul, nous explique comment il se peut que ce soit à nos
sens que nous devions nos idées, et que ce ne soit cependant pas, comme
l’expérience le prouve, à Pextrème perfection de ces mèmes sens, que
nous devions la plus ou moins grande étendue de notre esprit » 7.
Quanto alla memoria... « le livre De l’Esprit dit que la mémoire n ’est
en nous qu’une sensation continuée, mais affoiblie. Dans le vrai, la mé
moire n’est qu’un effet de la facuite de sentir » 8.
Di qui si conclude subito che come le cosiddette idee astratte e
generali si riducono a sensazioni e percezioni, così anche i giudizi con
sistono in un riportarsi ovvero riferirsi ad una sensazione per gli oggetti
presenti e alla memoria per gli oggetti assenti: una volta fatto questo,
io giudico, io rapporto cioè esattamente l ’impressione che ho ricevuta.
Di qui la formula, ch’è quasi la versione letterale della celebre teoria di
Hume, sulla fondazione del giudizio: « Tout jugement n}est done que
le récit de deux sensations ou actuellement éprouvées , ou conservées
dans ma mémoire » 9. Cos’è allora giudicare? È dire ciò che sento, e il
semplice racconto di ciò che provo forma il mio giudizio. Ed Helvétius
non si arresta davanti alle formule e si esprime con assoluta chiarezza,
qual è possibile forse solo al genio francese: « Juger est sentir ». E vale
la pena leggere il seguito di questo esemplare procedere. Il fulcro della
vita di coscienza è quindi la sensazione: posto questo, tutte le operazioni
dello spirito si riducono a sensazioni, e la facoltà di giudicare non è una
funzione o facoltà distinta dal sentire ma unicamente la capacità di con
frontare due sensazioni, ossia « di diventar attenti alle diverse im
delle nostre azioni, dei nostri pensieri, delle nostre passioni e della
nostra socialità » e quindi essa è « Punico motore [della vita] dell’uo
mo » 13. Dolori, rimorsi, amicizia, piacere, potere... e la stessa socialità
dipendono da ciò che nell'uomo tutto si riduce al sentire, e quindi al
piacere e al dolore che sono le forze fondamentali dello spirito14. Perciò
anche l ’atto discriminativo (o « metodo » di giudicare) non solo del vero
e del falso, del bene e del male, ecc..., ma della stessa scienza pura, per
esempio la geometria, si riduce in fondo ad un’impressione sensoriale:
« Les jugemens portés sur les moyens ou les méthodes que le hazard
nous présente pour parvenir à un certain but, ne sont proprement que
des sensations, et que dans l ’homme, tout se réduit à sentir » 15.
Il risultato di quest’ardita fenomenologia è la nuova definizione
di « spirito » che caratterizza l ’indirizzo dell’iUuminismo libertino.
Formalmente lo spirito è definito « Vaptitude à voir les ressemblances
et les différences, les convenances et les disconvenances qu’ont entr’eux
les objets divers ». Lo spirito è pertanto una struttura secondaria, come
nel sensismo di Locke, non primaria, ossia è un prodotto della sua
sensibilità fisica, della memoria e soprattutto dell’interesse ch’egli tro
va nel combinare le sensazioni fra di loro: « Lo spirito è perciò il
risultato del confronto fra le sensazioni » 16.
Profonde sono perciò le differenze fra « anima » e « spirito »:
1) Lo spirito è suscettibile di sviluppo, l ’anima no: « L ’ame existe
en entier dans l ’enfant comme dans l’adolescent. L ’enfant est, comme
Thomme, sensible au plaisir et à la douleur physique; mais il n’a,
ni autant d’idées, ni par conséquent autant d’esprit que l ’adulte. Or,
si l ’enfant a autant d’ame, sans avoir autant d’esprit, l’ame n’est done
pas l’esprit ».
2) L ’anima ha un’attività di presenza continua, lo spirito no:
« L ’ame ne nous abandonne qu’a la mort. Tant que je vis, j ’ai une
ame. En est-il ainsi de l ’esprit? non: je le perds quelquefois de mon
vivant, parce que, de mon vivant, je puis perdre la mémoire, et que
13 De VHomme, Sect. II, eh. 7, ed. cit., p. 81. E sotto la conclusione: « Que
dans les hommes tout est sentir. Q ’uils ne sentent et n’acquièrent l’idées que
par les cinq sens » (Sect. II, eh. 15, p. 119).
14 D e VHomme, Sect. II, eh. 8 ss. Nel eh. 9 Helvétius fa la difesa del suo
precedente libro De VE sprit dagli attacchi dei teologi (p. 93 ss.).
15 De VEsprìt, Disc. I, eh. 1, ed. cit., t. I, p. 73; cf. anche Disc. I, eh. 4,
t. I, p. 107.
16 De VHomme, Sect. II, eh. 15, ed. cit., p. 116.
L'ATEISMO SENSUALISTICO DI C.-A. HELVÉTIUS 421
17 D e rHommey Sect. II, eh. 2, ed. cit., p. 66 ss. Nella Sect. I l i , eh. 1-3,
p. 172 ss. si tratta delle « cause generali delTineguaglianza degli spiriti » le quali
sono ridotte a due: Tuna è il caso (basard) o concatenazione differente di eventi,
circostanze e posizioni in cui si trovano i diversi uomini; l’altra è il desiderio più
o meno vivo o amore della gloria che hanno gli uomini d’istruirsi.
18 D e VHomme, Sect. II, eh. 15, ed. cit., p. 116. Nello stesso senso già prima
aveva scritto: «U esprit [...] consiste à comparer et nos sensations et nos idées,
c’est-à-dire à voir les ressemblances et les dijférences, les convenances et les disconve-
nances qu'elles ont entr’elles. Or, comme le jugement n’est que cette appercevance
elle-mème, ou, du moins, que le prononcé de cette appercevance, il s’ensuit que toutes
les opérations de l’esprit se réduisent à juger » (De VEsprit, Disc. I, eh. 1,
ed. cit., t. I, p. 69). Si noti il termine (neologismo?) di appercevance che forse
viene, ma con altro significato, dall’appercezione di Leibniz.
19 D e VHomme, Sect. II, eh. 19, ed. cit., p. 141. E un po’ più sotto: « Ce
Dictionnaire traduit dans toutes les langues, seroit le recueil général de presque
422 ATEISMO ILLUMINISTICO
toutes les idées des hommes. Qu’on attache à chaque expression des idées précises;
et le Scholastique, qui par la magie des mots, a tant de £ois bouleversé le monde,
ne sera qu’un magicien sans puissance ». E con reminiscenza spinoziana: « Alors
les propositions morales, politiques et métaphysiques, devenues aussi susceptibles
de démonstration que les propositions de Geometrie, les hommes auront de
ces sciences les mèmes idées, parce que tous (comme je Pai montré) appergoivent
nécessairement les mèmes rapports entre les mèmes objets » (1. c., p. 143).
20 De VHomme, Sect. II, eh. 18, ed. cit., p. 140. Sul valore della nuova
metafìsica baconiana Helvétius non ha nessun dubbio: « C est une science vraie,
lorsque, distinguée de la Scholastique, on la resserre dans les bornes que lui assigne
la définition de Pillustre Bacon » (Sect. II, eh. 23, p. 170, nota).
21 De PHomme, Sect. II , eh. 23, ed. cit., p. 165; cf. anche p. 169.
L'ATEISMO SENSUALISTICO DI C.-A. HELVÉTIUS 423
che coincide col paganesimo, una volta che questo sia sfrondato della
sua mitologia fantastica e che siano messi in evidenza i valori umani
e terrestri che il paganesimo intendeva esaltare29.
Quindi, la religione della non religione: umanesimo puro di
stampo feuerbachiano. Quindi, ateismo? È questa la tesi soprattutto
della storiografia marxista30 al seguito di Marx-Engels-Lenin: una tesi
che dopo quanto abbiamo esposto non dovrebbe incontrare sostanziali
difficoltà, anche se Helvétius non fa mai l'apologià esplicita dell'atei
smo come l'ultimo Diderot e D'Holbach. Egli però, nelle ampie note
al De l’H om m e , riduce a schermaglie verbali le accuse di ateismo e
nega ch'esistano atei: ma noi sappiamo cosa ormai può significare Dio
e l'Assoluto in questo naturalismo radicale a sfondo sociologico. Dia
mo due testi significativi. Il primo, espositivo, è ispirato da Hume
e Robinet: « C'est à des disputes de mots qu'il faut pareillement rap-
porter presque toutes ces accusations d'Athéisme. I l n'est point d'hom-
me éclairé qui ne reconnoisse une force dans la nature. Il n ’est done
d'Athées. Celui-là n'est point Athée, qui dit: le mouvement est Dieu;
parce qu’en effet le mouvement est incompréhensible, parce qu'on
n'en a pas d'idées nettes, parce qu'il ne se manifeste que par ses effets,
et qu'enfin c'est par lui que tout s'opere dans l'Univets. Celui-là n'est
pas Athée, qui dit, au contraire: le mouvement n'est pas Dieu; parce
que le mouvement n'est pas un ètre, mais une maniere d'etre. Ceux-là
ne sont pas Athées, qui soutiennent le mouvement essentiel à la matiere,
qui le regardent comme la force invisible et motrice qui se répand dans
toutes ses parties. Voit-on les Astres changer continuellement de lieu,
se rouler perpétuellement sur leur centre; voit-on tous les corps se
détruire et se reproduire sans cesse sous des formes différentes; voit-on
enfin la nature dans une fermentation et une dissolution éternelle: qui
peut nier que le mouvement ne soit, comme l'étendu, inhérent aux
corps, et que le mouvement ne soit cause de ce qui est? En effet, diroit
M. Hume, si l'on donne toujours le nom de cause et d'effet à la conco
mitance de deux faits, et que, partout où il y a des corps, il y ait du
29 Cf. D e VHomme, Sect. I, eh. 15, ed. cit., p. 57 ss.; v. anche Sect. IV, eh. 13,
p. 219 ss. La Sect. V II ha per titolo la tesi del Bayle: « Les Vertus et le Bonheur
d’un Peuple sont TefFet non de la sainteté de sa Religion, mais de la sagesse de
ses Loix » (p. 354; a p. 356 la conclusione: « L a pureté des moeurs est done
indépendante de la pureté des dogmes »).
30 Cf. Ch. N. Momdshian, Helvétius. Ein streitbarer Atheist des 18. Jahr-
hunderts, tr. ted., Berlin 1959, p. 211 ss. (Der Atheismus Helvétius).
426 ATEISMO ILLUMINISTICO
31 De VHomme, Sect. Il, eli. 19, ed. cit., p. 142 s. L ’autenticità di queste note
è garantita dall’editore (cf. Pré face, p. V).
32 De VHomme, Sect. IV, eh. 20, ed. cit., p. 248.
33 De VHomme, Sect. V II, eh. 2, ed. cit., p. 362. Alcuni testi, in apparenza
positivi, non devono perciò trarre in inganno (Sect. I, eh. 13, p. 48 ss.; Sect. II,
eh. 2, p. 65 ss., nota). Si tenga presente che la «legge morale», che forma
l’essenza della Religion universelle, non è innata, non proviene da Dio ma dall’espe
rienza soltanto (v. spec. Sect. II, eh. 21, p. 156 ss., nota;Sect. V, eh. 3, p. 268 s.,
nota; spec. Sect. V II, eh.2, dal titolo significativo: « De l’Esprit religieux,
destructif de l’Esprit législatif », p. 359 ss.). C’è in verità un testo che sembra
quasi una professione di fede: « D ’ailleurs quelle impiété me reprocher? je n’ai
L'ATEISMO SENSUALISTICO DI C.-A. HELVÉTIUS 427
dans aucun endroit de cet Ouvrage nié la Trinité, la Divinité de Jésus, Timmor-
talité de Tame, la resurrection des morts, ni mème aucun article du Credo papiste:
je n’ai done point attaqué la Religion » (De VHomme, Récapitulation, eh. 3, ed.
cit., p. 580). Ma i principi hanno pur la loro coerenza e quelli posti dalTHelvétius
non lasciano e non hanno lasciato dubbi sulle loro conseguenze e sul mondo
spirituale al quale appartengono.
34 Cf. E . Kant, Die Religion innerhalb der Grenzen der blossen Vernunfti IV
Stiick, Teil II, Kehrbach 180 ss.
428 ATEISMO ILLUMINISTICO
35 Cf. R. Hubert, D ’Holbach et ses amis, ed. cit., p. 27. Quindi si può
dire che, a partire da Cartesio, ogni filosofo — ed ogni filosofia che resta fedele
al cogito ovvero alla priorità della coscienza sull’essere e quindi alla fondazione
dell’essere a partire dalla coscienza ■ — è in lotta col demone dell’Io o piutto
sto con una duplicità dell’Io di cui la prima forma si attua nel piano della co
scienza proiettata nel mondo dell’esperienza e delle sue forme (sensibilità, ten
denze, conoscenza, affettività, libertà...) e l’altra nascosta e misteriosa, demoniaca
per l’appunto, che tende ad esprimere ed impadronirsi delle forze ultime sia del
mondo come della soggettività e perciò dell’Io stesso. Questo può spiegare l’at
trazione esercitata da Spinoza, che ha posto nella Sostanza l’unità inesauribile di
siffatte energie, nel seguito del pensiero moderno sia materialista come idealista.
La flessione materialistica di Spinoza porta al meccanicismo della natura che prende
il posto di Dio e alla negazione delle cause finali (cf. D ’Holbach, Systèrne de la
nature, ed. 1821 [rist. Hildesheim 1966], t. II, p. 110 — polemica contro Newton).
La flessione idealistica porta invece al finalismo trascendentale che identifica Dio
con l’ordine morale a cui noi apparteniamo come già appare, e lo vedremo a
suo tempo, in Fichte: « Fichtens Ich ist die Vernunft — Sein Gott und
Spinotzas Gott baben grosse Aehnlichkeit. Gott ist die ubersinnliche Welt der-
selben » (Novalis, Schriften, I I I Band: Das philosophische W erk} hrsg. R. Sa
muel, Stuttgart 1968, p. 469).
4
4 Pensées philos., § X X II, ed. cit., p. 22; Assezat I, 136. Nella Suite de
VApologie de M . Vabbé De Prades, I I I e Partie, del 1752, il termine « teista » ha
un significato positivo di chi accetta tutta la religione naturale, mentre « deista » è
colui che ammette solo resistenza di Dio e la realtà del bene e male morale, ma
nega la rivelazione e di fatto anche ogni religione (Naigeon I, 449 s.; Assezat I,
479). Poco prima Diderot combatte l’innatismo e propone l’origine a posteriori
della prova dell’esistenza di Dio creatore « ... une suite de ses sensations et de
ses reflexions » (Naigeon I, 442). Ha dato una descrizione gustosa e particolareg
giata della complessa vicenda della tesi del De Prades lo stesso Voltaire, Le tom-
beau de la Sorbonne, 1753, in Oeuvres completes, Paris 1784, t. 49 (Mélanges litté-
raires, 3), p. 387 ss. Sulle circostanze della tesi del De Prades, che mise lo scompiglio
nell’episcopato francese dopo essere stata approvata a pieni voti (e poi condannata)
dalla Facoltà di teologia della Sorbona, e dell’apologià fattane dal Diderot, v.
ora: L. Thielemann, Diderot and H obbes, in Diderot Studies, II (Syracuse U. P.
1952), p. 224.
5 È la ripresa della nota tesi del Bayle, che Diderot certamente conosce ma
ch’egli qui prova con un celebre testo di Plutarco. Non sorprende pertanto che
queste Pensées philosophiques siano state subito condannate dal Parlamento
« ...comme présentant aux esprits inquiets et téméraires le venin des opinions les
plus criminelles et les plus absurdes, dont la dépravation de la raison humaine
434 ATEISMO ILLUMINISTICO
soit capable, et plagant par une incertitude affectée toutes les religions presque
au mème rang pour finir par n’en reconnaìtre aucune » (cf. J.-P. Belin, Le moti
ve ment philosophique de 1748 à 1789, Paris 1913, p. 25).
6 « Le déiste assure l’existence d’un Dieu, l’immortalité de l’àme et ses suites;
le sceptique n’est point décidé sur ces articles; l’athée les nie. Le sceptique a done,
pour étre vertueux, un motif de plus que l’athée, et quelque raison de moins que
le déiste. Sans la crainte du législateur, la pente du tempérament et la connaissancc
des avantages actuels de la ver tu, la probité de l’athée manquerait de fondement,
et celle du sceptique serait fondée sur un peut-ètre » (Pensées philos.y § X X III;
Naigeon I, 230; Assezat I, 137).
7 « On demandait un jour à quelqu’un s’il y avait de vrais athées. Croyez-
vous, répondit-il, qu’il y ait de vrais chrétiens? » (Pensées philos., § XV I; Naigeon
I, 17; Assezat I, 132).
8 La critica ai miracoli continua nei §§ X L V I-X L IX , LI-LIV (il § L U I è
un’aspra filippica contro i miracoli che i giansenisti andavano proclamando come
avvenuti sulla tomba del celebre diacono Paris).
DAL DEISMO ALL'ATEISMO IN D. DIDEROT 435
illuminista: « Je vous dis qu’il n’y a point de Dieu; que la creation est
une chimère; que l ’éternité du monde n’est pas plus incommode que
l ’éternité d’un esprit; que, parce que je ne congois pas comment le
mouvement a pu engendrer cet univers, qu’il a si bien la ver tu de
conserver, il est ridicule de lever cette difficulté par l’existence supposée
d’un ètre que je ne congois pas davantage; que, si les merveilles qui
brillent dans l ’ordre physique décèlent quelque intelligence, les désordres
qui règnent dans l’ordre moral anéantissent toute Providence. Je vous
dis que, si tout est l’ouvrage d’un Dieu, tout doit ètre le mieux qu’il
est possible: car, si tout n’est pas le mieux qu’il est possible, c’est en
Dieu impuissance ou mauvaise volonté. C’est done pour le mieux que
je ne suis pas plus éclairé sur son existence: cela posé, qu’ai-je affaire
de vos lumières? Quand il serait aussi démontré qu’il l ’est peu que tout
mal est la source d’un bien; qu’il était bon qu’un Britannicus, que le
meilleur des princes pérìt; qu’un Néron, que le plus méchant des hommes
régnàt; comment prouverait-on qu’il était impossible d’atteindre au
mème but sans user des mèmes moyens? Permettre des vices pour
relever l’éclat des vertus, c’est un bien frivole avantage pour un incon
venient si reel. Voilà, dit l ’athée, ce que je vous objecte, qu’avez-vous
à répondre?... » u.
E Diderot si affretta a scusare l ’ateo, con zelo ancor più ardente
del Bayle, di non essere per ciò solo uno scellerato.
Un teismo o piuttosto deismo, affidato soltanto alla scienza ossia
come affermazione del finalismo naturale, sguarnito di ogni fonda
mento metafisico, non doveva durare a lungo. Ma già in queste prime
Pensées la convinzione in Dio non sembra del tutto incrollabile: è
soprattutto il problema degli « attributi di Dio », nel suo aspetto tra
dizionale, che turba il Nostro. Dio infatti è circondato da attributi
così orripilanti che sarebbe meglio che non esistesse 112... e ciò dimostra
serait assez tranquille en ce monde, si Ton était bien assure que Fon n’a rien à
craindre dans Fautre: la pensée qu’il n’y a point de Dieu n’a jamais effrayé per-
sonne, mais bien celle qu’il y en a un, tei que celui qu’on me peint » (Pensées philos.,
§ IX; Naigeon I, 13; Assezat I, 129 s.). Il Vernière rimanda a Shaftesbury come
fonte diretta.
13 Pensées philos., § X I; Naigeon I, 13 s.; Assezat I, 130. In pieno accordo
e di poco posteriore secondo il Rosenkranz alle Pensées philosophiques, che vi
sono espressamente citate, è il breve saggio De la sujfisance de la religion naturelle,
pubblicato nel 1770 sotto il nome di Vauvenargues (morto 25 anni prima!) e
attribuito al Diderot dal Naigeon. La critica a tutte le religioni positive, ed in
particolare ai misteri del cristianesimo, è dominata dal principio cartesiano del
l’idea chiara e distinta: « N’est-il pas de la nature de toute vérité d’etre claire et
d’éclairer? deux qualités que les propositions révélées ne peuvent avoir. On ne
dira pas qu’elles sont claires; elles contiennent clairement, ou il est clair qu’elles
contiennent une vérité, mais elles sont obscures; d’où il s’ensuit que tout ce qu’on
en infère doit partager la mème obscurité; car la conséquence ne peut jamais ètre
plus lumineuse que le principe » (§ 5). Cito dal volume Recueil philosophique,
Londres-Amsterdam 1770, t. I, p. 110 s.; Assezat I, 264; cf. K. Rosenkranz,
Diderot's Lehen, ed. cit., Bd. I, p. 55.
438 ATEISMO ILLUMINISTICO
troublé dans son bonheur par les actions et les pensées des hommes
qu’il a lui-mème formés tels qu’ils sont. Un Dieu souverainement heu-
reux et qui se suffit à lui-mème n’a pas besoin des hommes ni de leurs
cultes pour ètre glorifié. Un Dieu parfaitement bon et qui fait tout,
connoit et prévient les besoins de ses enfants qu’il aime, sans attendre
que ceux-ci Ten avertissent et Pimportunent. Enfiti la raison ne con-
cevra jamais qu’un Dieu bon, qu’un Dieu juste, qu’un Dieu sage puisse
punir éternellement et par des supplices extremes des fautes passageres,
commises durant le temps par des creatures dont il n ’eut tenu qu’à lui
de faire des ètres tout différents » 14. La teologia negativa di questi testi
si impone per caratterizzare la nuova form a mentisi essa è una sintesi
del meccanicismo cartesiano e del deismo inglese, ma con la netta me
diazione del sensismo di Bacone e Locke che viene conquistando in
Francia il mondo in pieno fermento dei philosophes.
Era in crisi allora fin dalle Pensées philosophiques non solo il
teismo ma anche il deismo di Diderot? Egli è convinto di aver attac
cato solo i fautori della superstizione e del bigottismo e si aspetta per
ciò le loro ire come già hanno fatto condannando Cartesio, Montaigne,
Locke e Bayle. Segue una candida (!) professione cattolica: « Je leur
declare cependant que je ne me pique d’etre ni plus honnéte homme,
ni meilleur chrétien que la plupart de ces philosophes. Je suis né dans
l ’Eglise catholique, apostolique et romaine; et je me soumets de toute
ma force à ses décisions. Je veux mourir dans la religion de mes pères,
et je la crois bonne autant qu’il est possible à quiconque n ’a jamais eu
aucun commerce immédiat avec la Divinité, et qui n’a jamais été
témoin d’aucun miracle. Voilà ma profession de foi » 15. Ma si tratta
di un gesto inutile, poiché Diderot s’affretta a dichiarare di non poter
credere alla verità del cristianesimo, né accettare l’infallibilità della
Chiesa e -neppure la divinità della Sacra Scrittura che dev’essere as
soggettata, come qualsiasi altro libro, alle leggi della critica (§§ LIX-
LX). E dopo aver affermato che la posizione più ovvia dovrebb’essere
quella di uno « scetticismo necessitato », causato proprio dall’uso di
quei libri che dovevano dare la certezza, egli mostra il profondo smar
rimento in cui si trova il suo spirito: « C’est en cherchant des preuves
que j ’ai trouvé des difficultés. Les livres qui contiennent les motifs de
ma croyance m’offrent en mème temps les raisons de l’incrédulité. Ce
sont des arsenaux communs. Là, j ’ai vu le déiste s’armer contre l ’athée;
le déiste et l’athée lutter contre le juif; l ’athée, le déiste et le juif se
liguer contre le chrétien; le chrétien, le juif, le déiste et l’athée se
mettre aux prises avec le musulman; l ’athée, le déiste, le juif, le mu-
sulman et la multitude des sectes du christianisme fondre sur le chrétien,
et le sceptique seul contre tous ». Dopo molte incertezze, Diderot fa
piegare la bilancia a favore del cristiano e ripete: « J ’atteste Dieu de
sincérité » 16. Nessuna meraviglia che un tessuto così fragile si sia presto
rotto nelle mani di chi l ’aveva elaborato.
Tre anni appena più tardi il filo era rotto: nella celebre Lettre sur
les aveugles del 1749, il finalismo teistico è abbandonato per lasciar
posto ad una materia in perpetuo movimento nel cui sviluppo entrano
in gioco il caso, la generazione spontanea, la selezione naturale... con
una coerenza sempre più risoluta allo sperimentalismo puro e al sen
sismo materialistico17. Teismo e deismo sono ormai alle spalle e l ’atei
Marcel); la simpatia per gli atei appare evidente nella Promenade d’un sceptique del
1747 e in De la sufisance de la religion naturelle ancora del 1747; l’ateismo è abbrac
ciato esplicitamente nella Lettre sur les aveugles e negli scritti seguenti, a partire dal
1749, con l’adesione sempre più manifesta a Spinoza (cf. J. K. Luppol, Diderot. Ses
idées philosophiques, tr. fr. de V. et Y . Feldmann, Paris 1936, p. 107 ss. L ’A.
polemizza con le « posizioni borghesi » del Rosenkranz in Diderot’s Leben und
W erke} Leipzig 1866, 2 voli.).
23 Le réve d’Alembert; Vernière, 312; Assezat II, 139. Più tardi, nel 1770,
questo meccanicismo rigido appare in forma sintetica nei Principes philosophiques
sur la matière et le mouvement, ed. cit., p. 393 ss. Nella Réfutation suivie de
l’ouvrage d’Helvétius intitulé « L ’Homme » del 1774-75, Diderot precisa il suo
sensismo e materialismo piegando verso Hobbes: « Je sens, je pense, done une
portion de matière organisée comme moi peut sentir, penser et juger » (Vernière,
564; Assezat II, 301).
24 « Songez qu’elle [la religion] a créé et quelle perpétue la plus violente anti-
pathie entre les nations. Il n’y a pas un musulman qui n’imaginàt faire une action
agréable à Dieu et à son Prophète, en exterminant tous les chrétiens, qui, de leur
còte, ne sont guère plus tolérants. Songez qu’elle a créé et qu’elle perpétue dans
une méme contrée, des divisions qui ne sont rarement éteintes sans effusion
de sang. Notre histoire ne nous en offre que de trop récents et trop funestes
exemples. Songez qu’elle a créé et qu’elle perpétue dans la société entre les citoyens,
et dans les families entre les proches, les haines les plus fortes et les plus constantes.
Le Christ a dit qu’il était venu pour séparer l’époux de la femme, la mère de ses
enfants, le frère de sa soeur, l’ami de l’ami; et sa prédiction ne s’est que trop
fìdèlement accomplie » (Entretien d’un philosophe...; Vernière, 533; Assezat II,
512 s. L ’éd. P. Vernière ha sostituito Crudeli con Diderot).
444 ATEISMO ILLUMINISTICO
attributi di Dio sui quali gli uomini non sono mai riusciti ad accordarsi.
La morale del Vangelo è di pratica impossibile; basta alPuomo la morale
comune. La speranza di una vita dopo la morte, cioè in condizioni del
tutto opposte alla vita attuale, non ha senso: « Je n’ai pas cet espoir
parce que le désir ne m’en a point dérobé la vanite; mais je ne Tòte
à personne. Si Pon peut croire qu’on verrà, quand on n’aura plus
d’yeux; qu’on entendra, quand on n’aura plus d’oreilles; qu’on penserà,
quand on n’aura plus de tète; qu’on aimera, quand on n’aura plus de
coeur; qu’on sentirà, quand on n’aura plus de sens; qu’on existera,
quand on ne sera nulle part; qu’on sera quelque chose, sans étendue
et sans lieu, j ’y consens » 25. Il dialogo si conclude con un’ironia ch’è
una professione categorica di ateismo, incredulità e fatalismo senza
pentimenti e incertezze26. Senza dubbio l ’opera di Diderot — più an
cora che quella più appariscente di D ’Holbach, La Mettrie, Helvétius —
ha costituito uno dei momenti più decisivi del mondo moderno.
La parabola della sua vita è stata complessa e tormentata e la sua
conclusione atea sembra non lasciare dubbi27: egli si trovò inserito in
una corrente spirituale o più esattamente in un complesso di movimenti
di pensiero che possono avere i loro vertici in Cartesio-Spinoza da una
parte e Bacone-Locke dall’altra, che lo spingevano ad una scelta radi
cale. La scelta, alla fine, fu tutta per l ’uomo: per una visione del mondo
che si adeguasse alla realtà viva e infinita dell’esperienza e per una con
unes de leurs propriétés ou qualités par les effets ou changemens qu’elles produi-
sent sur nos sens, c’est-à-dire, par les différens mouvemens que leur presence fait
naìtre en nous. Nous leur trouvons la consequence de l’étendue, de la mobilité,
de la sensibilité, de la solidité, de la gravite, de la force d’inertie. De ces propriétés
générales et primitives il en découle d’autres, telles que la densité, la figure, la
couleur, le poids, etc. Ainsi relativement à nous la matière en général est tout ce
qui affecte nos sens d’une fagon quelconque; et les qualités que nous attribuons aux
différentes matières sont fondées sur les différentes impressions, ou sur les chan-
gemens qu’elles produisent en nous mèmes » (Système de la nature, P. I, eh. I l i « De
la matière, de ses combinaisons différentes et de ses mouvemens divers, ou de la
marche de la nature », ed. cit., t. I, p. 35).
6 Système de la nature, P. I, eh. IV , ed. cit., t. I, p. 48.
7 D ’Holbach si richiama, per questo principio, al De Civitate Dei di S. Ago
stino (Op. cit., t. I, p. 53).
450 ATEISMO ILLUMINISTICO
10 « Dans tous les phénomènes [ou changements] que l’homme nous présente
depuis sa naissance jusqu’à la fin, nous ne voyons qu’une suite de causes et d’effets
nécessaires et conformes aux lois communes detous les ètres de la nature.Toutes
les facultés d’agir, ses sensations, ses idées, ses passions, ses volontés, ses actions
sont de suites nécessaires de ses proprietés et de celles qui se trouvent dans les
ètres qui les remuent » (Système de la nature, P. I, eh. V I, ed. cit., t. I, p. 79).
Più sotto, questo procedimento è detto « circolo vizioso » (1. c., p. 99, nota 22).
11 Système de la nature, P. I, eh. V I, ed. cit., t. I, p. 93 s. Si tratta di una
concezione senza pentimenti: « Concluons done que l’homme n’a point de raisons
pour se croire un ètre privilégié dans la nature; il est sujet aux mèmes vicissitudes
que toutes ses autres productions. Ses prétendues prérogatives ne sont fondées que
sur une erreur. Qu’il s’élève par la pensée au-dessus du globe qu’il habite et il
envisagera son esp'èce du mème oeil que tous autres ètres: il verrà que, de mème
que chaque arbre produit des fruits en raison de son espèce, chaque homme agit
en raison de son énergie particulière et produit des fruits, des actions, des ouvrages
également nécessaires. Il sentirà que l’illusion qui le previent en faveur de lui-méme
vient de ce qu’il est spectateur à la fois et partie de l’univers. Il reconnaitra que
l’idée d’excellence qu’il attache à son ètre n’a d’autre fondement que son intérèt pro
pine et la prédilection qu’il a pour lui-mème » (1. c., p. 95 s.).
12 II testo è di particolare importanza per chiarire il « metodo » di questo modo
sbrigativo di saltare le difficoltà: « Ainsi la nature, dans sa signification la plus
étendue, est le grand tout qui résulte de l’assemblage des différentes matières, de
leur différentes combinaisons et des différens mouvemens que nous voyons dans
l’univers. La nature dans un sens moins étendu, ou considérée dans chaque ètre,
est le tout qui résulte de l’essence, c’est-à-dire, des propriétés, des combinaisons, des
mouvemens ou fagons d’agir qui les distinguent des autres ètres. C’est ainsi que
l’homme est un tout résultant des combinaisons de certaines matières, douées de
propriétés particulières, dont l’arrangement se nomme organisation, et dont l’essence
est de sentir, de penser, d’agir, en un mot de se mouvoir d’une fagon qui les distin
gue des autres ètres avec lesquels il se compare: d’après cette comparaison l’homme
se range dans un ordre, un système, une classe à part, qui difière de celle des
animaux dans lesquels il ne voit pas les mèmes propriétés qui sont en lui » (Système
de la nature, P. I, eh. I, ed. cit., t. I, p. 11).
452 ATEISMO ILLUMINISTICO
negli uomini o nelle altre cose ch’essi conoscono: mediante questi attri
buti Dio è sottratto a tutto ciò che l ’uomo indica in se stesso o nelle
cose che lo circondano come debolezza o imperfezione. Così affermare
che Dio è infinito significa dire che Dio, a differenza dell’uomo e delle
altre cose, non è racchiuso in limiti di spazio. Affermare che Dio è
eterno significa che Dio, a differenza di noi stessi e di tutto ciò che
esiste, non ha avuto un inizio e non avrà una fine. Affermare che Dio
è immutabile significa che Dio non è soggetto alle mutazioni come noi
e come tutte le altre cose. Affermare che Dio è immateriale significa
dire che la sua sostanza ossia la sua essenza ha una natura che noi non
comprendiamo ma che dev’essere completamente diversa da tutto ciò
che conosciamo. Infinità, immensità, spiritualità, onniscienza, ordine,
sapienza, intelligenza e potenza illimitata... sono i termini vaghi che
indicano nozioni ancora più confuse, le quali costituiscono il contenuto
della nozione metafisica di D io 19.
Una critica speciale è rivolta alla concezione di Dio come « prin
cipio di ordine » ossia all’argomento ch’è considerato il più decisivo
per la dimostrazione dell’esistenza di Dio preso dalle « cause finali » 20:
si dà per certo che Dio abbia creato il mondo soltanto per l ’uomo e
che l ’uomo è stato costituito il re della natura. Povero monarca: bastano
un granello di sabbia, un disguido nella secrezione biliare o in qualsiasi
altro umore per distruggere la tua esistenza e il tuo dominio! Pretendi
di dominare l’intera natura e non riesci a proteggerti dal più piccolo
dei suoi colpi! Sei tu allora che ti crei un siffatto Dio, persuaso che
vegli sulla tua conservazione e si preoccupi della tua felicità. Non vedi
tu come le bestie, che tu credi aver Egli assoggettate al tuo dominio,
sbranano spesso i tuoi simili, come il fuoco li abbrucia, come il mare
li inghiotte, com’essi cadono vittime di quegli spaventosi disordini degli
elementi naturali di cui tu ammiri l’ordine?... Ma cos’è il genere umano
produrre i fenomeni che noi vediamo nel mondo24 e quindi eh’è del
tutto superfluo far ricorso ad un Agens spirituale invisibile: sia il con
cetto di Spirito assoluto come quello di creazione della materia dal
nulla sono incomprensibili, poiché allora Dio avrebbe dovuto cavare
la materia da se stesso e avrebbe ragione il panteismo. Comunque i
teologi si volgano per affermare Dio e i suoi attributi, cadono sempre
nell’antropomorfismo25.
L ’origine dell’idea di Dio è spiegata con l ’ignoranza delle cause,
con l ’inquietudine e l’angustia per i mali della vita in cui viene a tro
varsi l ’uomo nelle congiunture della realtà, che spingono l ’uomo a tro
vare una spiegazione degli eventi ed un conforto per le sciagure della
vita col ricorso ad una Prima Causa fuori del mondo; soprattutto resi
stenza del male spinge l ’uomo ad immaginare un Essere assolutamente
buono e potente che lo possa liberare dalle sofferenze del corpo e dello
spirito26. Ma in tutto questo non si tratta che di una proiezione psico
logica soggettiva, secondo l’antica sentenza che « il timore è stato la
prima origine degli dèi »: in breve, se non ci fosse nessun male in
questo mondo, l’uomo non avrebbe mai pensato alla divinità27.
Di più: l ’esistenza di Dio, com’è concepita dai teologi, è in sé
contraddittoria, poiché la nozione di Dio risulta di attributi in sé con
traddittori: Dio dev’essere dappertutto, anche nelle cose materiali
estese, senz’avere in sé estensione; Dio è detto immutabile, onnipo
tente e onnisciente, ma allora non si comprende perché la religione
faccia l’obbligo della preghiera; Dio come onnipotente è detto l ’autore
dei miracoli o delle infrazioni delle leggi della natura, ma se Dio deve
intervenire a riparare l’opera sua è segno che prima non aveva ben
disposto l ’opera sua né aveva previsto ogni cosa. Un secolo prima di
Feuerbach, pertanto, il D ’Holbach afferma che non Dio creò l’uomo
ma fu l’uomo a creare Dio con la sua fantasia28. La « teologia natu
rale » quindi dei teisti e dei deisti è un esercizio intellettuale del tutto
inutile, anzi è dannosa e irrispettosa: essa ammette infatti che l’uomo
natura: la morale di natura è chiara per tutti, anche per quelli che la
offendono, e non ha bisogno di aspettare che i teologi e i metafisici si
mettano d’accordo 32. La natura esige dall’uomo di amarsi, di conser
varsi, di aumentare continuamente la somma della propria felicità, di
prendere consiglio dalla propria ragione e di lasciarsi guidare da essa,
di cercare la verità, di essere sociali, di amare i propri simili, di eser
citare la magnanimità e di procurarsi fama con opere degne di me
rito, ecc. In breve, il D ’Holbach attribuisce alla religione tutti i mali
e i difetti, alla natura tutti i beni e i meriti: alla prima l’origine d’ogni
schiavitù privata e pubblica, alla seconda la fonte di ogni libertà e
benessere; in una parola, quella è la via dell’errore, questa della verità.
Il carosello di questa metafisica dell’antimetafisica termina con
Tapologia dell’ateismo3334: le masse sono e rimangono schiave dei pre
giudizi religiosi e l’ateismo è l ’atteggiamento di pochi spiriti liberi che
preparano il futuro dell’umanità. Infatti oggi, cioè ai tempi di D’Holbach,
nessuno epiteto è più esecrato di quello di ateo. Ma cos’è in realtà un
ateo ? Ateo, risponde il Nostro, è un uomo il quale distrugge i fantasmi
dannosi per il genere umano per riportare gli uomini alla natura, all’espe
rienza, alla ragione. È un uomo il quale, dopo aver riflettuto sulla
materia, la sua energia, le sue proprietà, la varietà dei suoi effetti, non
ricorre per la spiegazione dei fenomeni dell’universo e dei processi della
natura a nessuna forza di ordine ideale, a nessuna intelligenza puramente
immaginaria, a nessuna rappresentazione astratta le quali, invece di far
conoscere la natura, l ’oscurano e la rendono ancor più incomprensibile
ed inutile. Se poi con il termine « ateo » si vuol indicare colui che nega
l’esistenza di una forza la quale muove dall’interno la materia e questa
forza di movimento la si chiama Dio, allora atei non esistono e il ter
mine « ateo » non ha alcun senso. Atei, in senso positivo, sono allora
coloro i quali lottano contro ogni fanatismo; sono i ricercatori della
natura i quali son convinti che i fenomeni della natura vanno spiegati
con le leggi del movimento della natura; sono coloro i quali non sanno
che cosa sia spirito e non comprendono gli attributi negativi che i teologi
attribuiscono allo spirito e alla d i v i n i t à N o n si comprende però
come, in mezzo a quest’inno all’ateismo, il D ’Holbach invochi l ’esempio
32 La nota tesi del Bayle è ripresa, come si è visto anche nel capitolo con
clusivo (t. II, p. 371 ss.: È l’ateismo conciliabile con la morale?) dove ilD ’Holbach
cita espressamente le Pensées diverses... sulla cometa (t. II, pp. 380, 390).
33 Système de la nature, P. II , eh. XI, ed. cit., t. II, p. 350 ss.
34 Système de la nature, P. II, eh. XI, ed. cit., t. II, p. 364 ss.
460 ATEISMO ILLUMINISTICO
37 La critica al deismo si trova nel Systeme de la nature, P. II, eh. V II, ed.
cit., t. II, p. 207 ss.
38 Systeme de la nature, P. II, eh. X III, ed. cit., t. II, p. 402 s.
462 ATEISMO ILLUMINISTICO
39 Système de la naturey P. II, eh. X, ed. cit., t. II, pp. 329-331 (fol. III). L'o
pera si chiude con un inno alla Natura principio del tutto: « O nature! Souveraine
de tous ètres! et vous ses filles adorables, vertu, raison, vérité; soyez à jamais nos
seules divinités, c’est-à-vous que sont dus l’encens et les hommages de la terre. Mon-
tre-nous done, o nature! ce que l’homme doit faire pour obtenir le bonheur que tu
lui fais désirer. Vertu! rechauffe-le de ton feu bienfaisant. Raison! conduis ses
pas incertains dans les routes de la vie. Vérité! que ton flambeau l’eclaire, ecc. ecc. »
(1. c , eh. XIV, t. II, p. 453).
40 Sull’ateismo di D ’Holbach non sembra possibile alcun dubbio. Anche Helvé
tius è presentato, con Diderot, come ateo dai marxisti, ma la posizione del primo
non è del tutto chiara anche se la logica dei principi sembra stare per l’ateismo.
Però si legge che Helvétius critica la religione non per distruggerla, ma per puri
ficarla: « Toutes les religions sont fausses, à l’exception de la religion chrétienne »
(De VHommey Sect. I, eh. II, Paris 1818, p. 49). E c’è la dichiarazione finale che
sembra senz’altro sincera: « Je n’ai dans aucun endroit de cet ouvrage nié la
464 ATEISMO ILLUMINISTICO
europeo, non solo quello politico, ha fatto molto cammino dopo queste
posizioni: ha cercato di colmare il deserto di Dio di questo pensiero con
Kant e l ’idealismo41, ma, avendo smarrito la fonte dell’acqua viva, il
deserto si è fatto ancor più vasto, più desolato, più irreparabile.
8 « On m’a envoyé les deux extraits de Jean Meslier: il est vrai que cela est
écrit du style d’un chevai de carrosse; mais qu’il rue bien à propos » (ed. cit.,
p. 263).
9%Extraìt du Testament..., ed. cit., p. 322 s.
10 Le Testament de Jean Meslier, ed. Charles, Amsterdam 1864 (3 tomi). Il
titolo originale è: Memoir e des pensées et sentiments de J. M., prètre et curé
d’Etrepigny et de But, sur une partie des abus et des erreurs de la conduite et
du gouvernement des hommes, où Ton voit des demonstrations claires et éviden-
tes de la vanite et de la fausseté de toutes les divinités et de toutes les religions
du monde, pour ètre adressée à ses paroissiens après sa mort, et pour leur servir
de témoignage de vérité à eux et à tous leurs semblables (t. I, p. I).
l 'a t e i s m o r a d ic a l e d e l l 'a b b é m e s l ie r 469
8 « On m’a envoyé les deux extraits de Jean Meslier: il est vrai que cela est
écrit du style d’un chevai de carrosse; mais qu’il rue bien à propos » (ed. cit.,
p. 263).
9 *Extrait du Testament..., ed. cit., p. 322 s.
10 Le Testament de Jean Meslier, ed. Charles, Amsterdam 1864 (3 tomi). Il
titolo originale è: Mémoire des pensées et sentiments de J. M., prètre et curé
d’Etrepigny et de But, sur une partie des abus et des erreurs de la conduite et
du gouvernement des hommes, où Ton voit des demonstrations claires et éviden-
tes de la vanite et de la fausseté de toutes les divinités et de toutes les religions
du monde, pour ètre adressée à ses paroissiens après sa mort, et pour leur servir
de témoignage de vérité à eux et à tous leurs semblables (t. I, p. I).
l ’a t e i s m o r a d ic a l e d e l l ’a b b é m e s l ie r 469
« De. là vient qu’ils tiennent encore pour maxime qu’il faut renoncer
à cet égard à toutes les lumières de la Raison et à toutes les apparences
des senses pour captiver leur esprit sous l ’obéissance de leur Foi. En
un mot ils tiennent que pour croire fidèlement, il faut croire aveuglement,
sans raisonner et sans vouloir chercher des preuves. Or il est evident
qu’une croiance aveugle de tout ce qui se propose sous le nom et l’autho-
rité de Dieu, est un principe d’erreurs, d’illusions et d’impostures » 16.
Con queste premesse, è facile immaginare quale trattamento abbiano
qui le dottrine fondamentali del cristianesimo e gli argomenti fonda-
mentali che i Padri prima e poi soprattutto S. Tommaso (di cui non
trovo alcun accenno nel Testament) hanno elaborato per risolvere l’enig
ma del bene e del male, della vita e della morte nell’esistenza umana.
Non meno radicale è la condanna della morale cristiana a cominciare
dal suo punto di partenza ch’è la dottrina del peccato originale il quale,
per due argomenti soprattutto, ripugna allo stesso concetto di Dio quale
è esposto dalla teologia:
a) « Car premièrement, comment accorder dans un mème Dieu
un si grand excès de bonté et un si grand excès d’amour pour les hom
ines, avec si peu de soin, qu’il auroit eu, de les conserver dans leur inno
cence, lorsqu’ils y étoient, et avec une si grande faiblesse et une si grande
fragilité, que celle dans laquelle il les auroit volontairement laissé, pour
tomber si facilement et si tòt, qu’ils ont fait, dans le péché? ».
b) « Est-il croiable qu’un Dieu infiniment bon, et qui auroit tant
de douceur et de bonté pour les hommes, auroit voulu reprouver, perdre
et condamner tout le genre humain, non seulement à toutes les peines et
à toutes les misères de cette vie, mais aussi à bruler éternellement dans
les flames effroiables d’un enfer, pour une si légère faute, que celle
qu’Adam auroit commise, en mangeant dans un jardin quelques fruits
qui lui auroient été defendus? E t pour une faute, qui ne méritoit pas un
coup d’étrivière. Il est indigne d’avoir seulement une telle pensée d’un
Dieu, qui seroit souverainement bon et souverainement sage » 17.
20 Per il Nostro tutti gli scienziati e i saggi dell’antichità erano atei o furono
accusati di ateismo: Aristotele, Diagora, Pitagora, Plinio, Triboniano, Rabelais,
Spinoza e perfino due Papi, Giulio II e Leone X {Testament..., eh. L X I, t. II,
p. 290).
21 Testament..., eh. C X II « D’où vient la première croiance et connaissance des
dieux », t. II, p. 298 ss.
474 ATEISMO ILLUMINISTICO
« Mais si nos Christicoles, ni les autres Deicoles, n’aiant pas voulu pour
cela rejetter toute croiance de Dieu, ils ont été obliges de se restraindre
au moins à la croiance d’un seul Dieu, unique en substance et en nature,
mais triple en personnes, comme nos Christicoles le prétendent; et cela
étant, voilà déjà tout d’un coup bien de Dieux anéantis; puisque d’un si
grand nombre de Divinités, que les superstitieux Deicoles reconnossoient
et adoroient dans les siècles passés, il a fallu que leurs descendans se
soient réduits et restraints à la croiance et à l ’adoration d’un seul Dieu
et mème d’un Dieu invisible, et d’un Dieu incorporei et immatériel et
par consequent d’un Dieu qui n’a ni chair, ni dos, ni ventre, ni bras,
ni jambes, ni piés, ni mains, ni yeux, ni tète, ni bouche, ni langue, ni
oreilles, ni dents, ni ongles, ni griffes, ni aucune autre partie, et qui
par conséquent encore n’a ni forme, ni figure, ni couleur au dehors, ni
aucun coté, ni aucune configuration au dedans, ou plutot qui n’a aucun
dedans, ni aucun dehors, ni aucun dessous, ni aucun dessus; d’un Dieu
néanmoins qui, selon eux, est partout, qui voit tout, qui gouverne tout,
qui soutient tout, qui est tout entier en tous lieux, et tout entier en
chaque partie de lieux, qui est tout puissant, infiniment bon, infiniment
sage, infiniment juste, infiniment aimable et enfin qui est infiniment
parfait en toutes sortes de perfections, dont la nature est immuable,
immobile et éternelle, dont la nature est sa puissance, sa sagesse, sa
bonté et sa volonté mème; et dont réciproquement la puissance, la sa
gesse, la bonté et la volonté sont la nature et son essence mème. Voilà
certainement une bien surprenante idée d’Etre; mais on peut bien cer-
tainement dire aussi que c’est l ’idée d’un Etre entièrement imaginaire
et tout-à-fait chimérique... » 22. Evidentemente, con una logica siffatta si
può dimostrare qualsiasi cosa.
27 Testament..., eh. LXVI e eh. LXV II, t. II, pp. 318, 320. Però si ammette
che non c’è legame necessario fra l’idea di materia e l’idea di movimento (p. 323).
28 Testament..., eh. LXIX, t. II, p. 328 ss.; v. anche: pp. 338 ss., 346 ss.,
381 s.
29 Testament..., eh. LXXXII, t. II, p. 172.
30 Testament..., eh. LXXXIX, t. I l i , p. 273 ss.
31 Testament..., eh. IC, t. IH , p. 398.
APPENDICI
b) L}ateo e Vateismo
« Qu'est-ce en effet qu'un athéeì C’est un homme qui détruit des
chimères nuisibles au genre humain pour ramener les hommes à la nature,
à l'experience, à la raison. C'est un penseur, qui, ayant médité la matière,
son énergie, ses propriétés, et sa fagon d’agir, n’a pas besoin pour expliquer
les phénomènes de l'univers et les opérations de la nature, d'imaginer des
puissances idéales, des intelligences imaginaires, des ètres de raison qui,
loin de faire mieux connoitre cette nature, ne font que la rendre capricieuse,
inexplicable, méconnaissable, inutile au bonheur des humains. Ainsi les
seuls hommes qui peuvent avoir des idées simples et vraies de la nature
sont regardés comme des speculateurs absurdes et de mauvaise foi!
SÌ par athée , l’on designe un homme qui nieroit l’existence d'une force
inhérente à la matière et sans laquelle l’on ne peut concevoir la nature, et
478 ATEISMO ILLUMINISTICO
si c ’est à cette force motrice que Fon donne le nom de Dieu, il n ’existe
point d ’athées.
Mais si par athées, Fon entend des hommes dépourvus d ’enthousiasme,
guides par Fexpérience et le témoignage de leurs sens, qui ne voient dans
la nature que ce qui s’y trouve réellement ou ce qu’ils sont à portée d ’y
connoitre; qui n ’apercevoient et n ’y peuvent apercevoir que de la matière
essentiellement active et mobile, diversement combinée, jouissante par elle-
mème de diverses propriétés, et capable de produire tous les étres que nous
voyons. Si par athées, Fon entend des physiciens convaincus que, sans re-
courir à une cause chimérique, Fon peut tout expliquer par les seules lois
du mouvem ent... Si par athées, Fon entend des gens qui ne savent point
ce que c ’est qu’un esprit et qui ne voient point le besoin de spiritualiser
ou de rendre incompréhensibles des causes corporelles...
Si par athées, Fon entend des hommes qui conviennent de bonne foi
que leur esprit ne peut ni concevoir ni concilier les attributs négatifs et
les abstractions théologiques avec les qualités humaines et morales que Fon
attribue à la divinité... Si par athées, Fon désigne des hommes, qui rejettent
un phantòme dont les qualités odieuses et disparates ne sont propres qu’à
troubler et à plonger le genre humain dans une démence très-nuisible. Si,
dis-je, des penseurs de cette espèce sont ceux que Fon nomme des athées,
Fon ne peut douter de leur existence; et il y en aurait un très-grand nombre,
si la lumière de la saine physique et de la droite raison étoient plus repan-
dus » (Le Système de la Nature, P . I I , eh. X I ; ed. cit., pp. 3 5 3 , 3 6 4 -3 6 6 ).
glois, Londres 1768. - 2. Dieu et les hommesy ouvr. théologique, mais raison-
nable, Londres 1770. - 3. Discours sur les miracles de Jésus-Christ, trad, de
l’anglois de Woolston, xvm siècle. - 4. Examen critique des apologistes de
la Religion chrétienney par Mr. Fréret, 1767. - 5. Examen impartial des prin
cipals Religions du monde. - 6. Le Christianisme dévoiléy ou Examen des
principes et des effets de la Religion chrétienne, 1787. - 7. Sistème de la Na
ture, ou Des loix du monde physique et du monde moral.
(Imprimé par ordre exprès du Roi)
seules peuvent remplir, dies passent une vie oisive dans la méditation de ces
ouvrages scandaleux.
A peine sont-ils devenus publics dans la Capitale, qu’ils se répandent
comme un torrent dans les provinces, et dévastent tout sur leur passage. Il
est peu d’asiles qui soient exempts de la contagion: elle a pénétré dans les
ateliers, et jusques sous les chaumières: bientót plus de foi, plus de
religion et plus de moeurs: Finnocence primitive s’est altérée; le soufflé
brulant de Fimpiété a desseché les àmes, et a consumè la vertu. Le peuple
étoit pauvre, mais consolé; il est maintenant accablé de ses travaux et de
ses doutes: il anticipoit par l’espérance sur une vie meilleure; il est sur-
chargé des peines de son état, et ne voit plus.
C’est peu de voir multiplier les fruits malheureux de la fureur impie
de nos écrivains; il s’est établi un commerce de poison avec FEntranger.
Les haines nationales se taisent devant Fimpiété; elle est devenue un lieu
funeste qui réunit les esprits les plus divisés: elle ne craint pas méme de
violer la cendre des morts, de calomnier leur esprit, et croit peut-etre encore
honorer leur mémoire. [...]
Vous reconnoitrez, Ms, cette imposture dans deux des ouvrages dont
nous allons rendre compte.
Le septième et le dernier des ouvrages que nous apportons à la cour
est le combe du scandale, et couronne tous les attentas dont Fimpiété est
coupable envers Fétat et la religion. Il nous a paru mériter une analyse
exacte, non seulement parce qu’il réunit tous les blasphèmes et les absurdités
des six premiers qu’on s’est attaché à reduire en un corps de système [...],
mais encore parce que la cabale philosophique dont il est devenu le code,
annonce avec orgueil ce nouveau Système de la Nature, comme devant anéan-
tir tous les préjugés, rappeler Funivers entier à son état primitif, et faire
rentrer le genre humain dans tous ses droits.
L’Auteur inconnu du Système de la Nature, sous le nom de M. Mi-
rabeau [1770...], n’a fait que répéter le système d’Epicure (la première partie).
Pour fonder son athéisme, il semble avoir pris à tàche de détruire tous les
principes regus, et de renouveler tous ceux qui avaient été proscrits. Son
ouvrage est divisé en deux parties. Dans la première, il examine ce que
c’est la matière et le mouvement; il trai te ensuite de Fhomme et de son
origine et de sa fin: de-là, on passe à la nature de Fame. Cette discussion
le conduit à agiter les fameuses discussions de la liberté, de l’immortalité,
du dogme de la vie future, du fatalisme, de la nécessité, et du suicide; il
finit par aprécier les devoirs de Fhomme envers ses semblables, par détermi
ner Forigine de la societé, et par fixer tous les droits de la souveraineté. Dans
la seconde partie, FAuteur traite de la religion, de Fexistence de Dieu, des
preuves de cette existence; du déisme et de Foptimisme, de Finutilité de
la théologie, et de Finutilité de la conduite des hommes envers Dieu: enfin
il termine par Fapologie du code de la nature.
Une multitude d’Ecrivains téméraires ont foulé aux pieds les Loix
divines et humaines; les vérités les plus saintes ont été obscurcies, et les
principes de la Monarchie ébranlés; rien n’a été respecté, ni dans l’ordre
civil, ni dans l ’ordre spirituel; les faits les plus authentiques ont été revo-
qués en doute; les Institutions les plus sages décréditées; les maximes les
plus pures combattues: on a prétendu ne voir par-tout que des maux à réparer,
des changemens à faire, des abus à réformer. On a osé envier au Peuple cette
religieuse simplicité qui assuroit sa foi et son bonheur; en feignant de l’éclai-
rer, on a cherché à le séduire; on a altéré sa tranquillité en flattant ses pas
sions^ et sous le vain prétexte de détruire ses préjugés. On s’est efforcé
d’effacer de son esprit toute impression de Religion, de piété, de crainte
et d’amour pour son Dieu, de confiance et de soumission pour ses Pasteurs,
de respect, de fidélité et d’obéissance pour son Souverain; en un mot, tout
sentiment honnète et vertueux.
Au milieu de cette multitude d’ennemis, la Cité sainte n’a point man-
qué de défenseurs. Des Evèques ont prémuni les Peuples par des instructions
salutaires contre la seduction qui les menagoit. Des Théologiens habiles ont
confondu, dans leurs Ouvrages, les sophismes de l’impiété et de l’indépen-
dance; la Faculté de Théologie de Paris a flétri par une Censure détaillée,
quelques-unes de ces productions impies; les droits du Sanctuaire et ceux
du Tróne ont été vengés; le mal n’est done pas sans remede; mais il est as-
sez pressant pour allarmer les deux Puissances; et on ne peut se dissimuler
que ìes maximes anciennes s’affoiblissent; que les liens de l’obéissance se
relàchent; que la majesté de TE tre suprème et celle des Rois sont outragées:
que le zèle religieux et celui de la Patrie s’éteignent presque dans tous
les coeurs, et que dans l’ordre de la foi, dans celui des moeurs, dans l’ordre
mème de PEtat, Pesprit du siècle semble le menacer d’une révolution qui
annonce de toutes parts une ruine et une destruction totale.
C’est done comme Pasteurs et comme Citoyens, comme Evèques de
PEglise de Dieu et comme membres d’un Etat, dont nous avons Phonneur
de former le premier ordre, que nous nous croyons obligés d’élever la voix
contre cette multitude d’Ouvrages impies, qu’on ne craint pas de répandre
publiquement depuis quelques années, et nous ne croirions pas moins man-
quer au serment que nous avons fait entre les mains de notre Souverain,
qu’à celui que nous avons prononcé aux pieds des Autels, si nous n’em-
ployons pas tous les moyens qui sont en notre pouvoir, pour nous
opposer à ces productions criminelles et aux malheurs qu’elles nous
annoncent.
Mais considérant que parmi tant d’Ouvrages enfantés par Pesprit de
mensonge, il y en a plusieurs qui produisent des eSets plus funestes, soit parce
que le charme de la nouveauté, ou la séduction du style, ou la triste célé-
brité de leurs Auteurs leur ont donné plus d’éclat, soit parce qu’ils renferment
des principes plus pervers et des traits d’une impiété plus scandaleuse, et
qu’ils sont par-là mème dignes d’une flétrissure particulière.
Considérant de plus que ces Ouvrages ne contiennent pas seulement des
propositions condamnables, mais que le fonds en est mauvais, et qu’ils n’ont
pour objet dans toutes leurs parties que d’attaquer la Religion chrétienne, les
principes des moeurs et ceux qui servent de fondement à la constitution
des Etats.
486 ATEISMO ILLUMINISTICO
pretendile de ceux qui passent pour Athées ou pour Matérialistes ! Quel soin
n’y prend-on pas de faire entendre au Lecteur que Vespoir ou la crainte des
peines ou des plaisirs temporels, soni aussi propres à former des hommes
vertueux, que les peines et les plaisirs éternelsl (page 58, 68, 109; page 233.
Ibid.).
Mais ne nous trompons-nous pas, M. T. C. F., et de pareils traits ne
prouvent-ils que de FindifEérence pour la Religion? Ne renferment-ils pas
piutòt des principes formellement opposés à toute espece de culte; et si Fon
rapproche de ces divers textes, ceux où FAuteur se declare pour la tolérance
universelle, ceux où il invective sans distinction et sans reserve contre tous
les Intolérans, ceux où il manifeste un fonds d’animosité contre les Ministres
de FEglise, ceux où il s’égaye en rapportant de petits faits très-insultans pour
la Religion, ceux où il renverse, autant qu’il est en lui, toute la morale de
FEvangile, pourra-t-on s’empècher de reconnoitre que ce Livre s'èie ve avec
hauteur contre toute la science de Dieu? (2 Cor. X, 5).
[...] Il est bien surprenant, M. T. C. F., que les Incrédules d’aujourd’hui,
jaloux, comme ils le sont, du titre de Philosophes, s’attachent à une doctrine
aussi monstrueuse que Test le Matérialisme. Cent fois on a développé Fhor-
reur et Fabsurdité de ce système. On a démontré la spiritualité de notre ame
par le sentiment que nous avons de la pensée, par la faculté qui est en nous
de produire des jugemens, des raisonnemens, des desirs, des doutes, des
resolutions, par la vivacité avec laquelle nous compafons nos idées, nos
sensations, nos reminiscences, par l’avantage de pouvoir nous élever à la
connoissance de Dieu, de la vertu, de la loi, du mérite, et en generai, de
tous les objets purement intellectuels, par le libre arbitre inseparablement
attaché à notre nature. Et cet amour nécessaire de l’existence, cette ardeur
dominante que nous éprouvons pour la gioire, ce cri violent de toutes nos
facultés vers la possession d’un bonheur sans bornes et sans vicissitudes, ne
sont-ce pas autant de gages d’une vie future autant de témoignages sensibles
et subsistans de Fimmortalité de Fame? Argumens infaillibles par eux-mèmes,
et qui se présenterent à Fintelligence humaine, jusqu’au milieu des ténebres
de FIdolàtrie. Quelle force n’acquierent-ils point par les lumieres de la
Révélation! Quelle joie ne répandent-ils point dans les coeurs que la grace
a détachés du monde!
Cependant, le Livre de YEsprit (page 5, 32 et page 2) vient nous enlever
cette puissante ressource et cette douce consolation. Il commence par mettre
en problème la spiritualité de Fame; il semble n’admettre entre Fhomme
et la bete que des différences accidentelles dans le physique et dans la con
formation des organes; imagination qui étoit déja venue, il y a plus de
quinze siecles, au grand adversaire de la Religion Chrétienne, à Fimpie Gelse.
Il disoit que Fhomme et Fabeille ne différoient pas essentiellement, et qu’on
pouvoit en juger par leurs travaux respectifs. A quoi Origene répondoit que
Fhomme opere par la raison, et la bète par Finstinct (Orig., Lib. IV contr.
Cels.)\ ce qui signifie que Fhomme a dans lui-mème le sentiment de son
action purement spirituelle, et qu’on ne peut assurer la mème chose de la
bète, dont la nature nous est inconnue.
L’Auteur du Livre de YEsprit passe bientót du pur problème aux asser
tions positives: il parie toujours de Fame comme d’un ètre, qui n’a que la
sensibilité physique (page 293, 328, 371); il n’admet dans cette puissance,
APPENDICI 489
que de la force et du mouvement; il la soumet corame le corps à des attractions
et à des inertìes\ il fait voir qu’il ne la croit capable ni d’aimer Dieu, ni de le
posséder, puisqu’il avance cette étrange proposition; que Vhomme n'étant, par
sa nature, sensible qu’aux plaisirs des sens, ces plaisirs, par consequent soni
Vunique objet de ses desirs (page 326). Quelle doctrine, M. T. C. F.! Elle
anéantit, tout à la fois, et la spiritualité de Tame, et son immortalité; elle
rabaisse Lhomme à l’état des animaux; elle borne toutes ses vues aux biens
de cette vie. Et quels biens encore! Ce ne seront ni les beautés de la vertu,
ni les richesses de la science, ni les délices de Lamitié, ni la gioire de servir
la Patrie, etc. Tout se bornera aux plaisirs des sens, à la satisfation des
desirs terrestres.
[...] Ce n’est pas, M. T. C. F., que les Loix humaines, la Politique, la
Jurisprudence ne puissent et ne doivent aussi concourir au gouvernement
des hommes; mais ces moyens doivent toujours ètre subordonnés à la Religion:
ces moyens sont, sans la Religion, pleins d’artifices, d’inutilités, de dangers
mème à mille égards. Otez la Religion, tout le pouvoir des Législateurs
humains se borne à Textérieur; et c’est aussi ce que pretend YAuteur de
YEsprit.
Mais les principes de son Livre vont plus loin: ils sont les mémes
que ceux de Hobbes; ils tendent à détruire tous les fondemens de la Justice
et de la probité; à effacer toutes les notions qu’on a eues jusqu’ici de la
vertu et des devoirs qu’elle impose. Selon ce dangereux moraliste, la
sensibilité physique, et Vintérèt personnel ont été les auteurs de tout e
justice: Vintérèt est Vunique Juge de la probité, et du ménte des hommes:
si Von perd Vintérèt de vue, on n*a nulle idée nette de la probité: VUnivers
moral est soumis à la Loi de Vintérèt, comme VUnivers physique Vest aux
Loix du mouvement: avant la formation des Sociétés, il n}y avoit aucune
Loi... ni par conséquent aucune injustice: la vertu est le desir du bonheur
général: la Justice consiste dans Vobservation exacte des conventions que
Vintérèt commun a fait faire, etc. (page 276, 48, 55, 127, 53, 279, 134 et 278).
Ainsi, M. T. C. F., il ne subsistera aucune distinction primordiale, et
fondée sur la Loi mème éternelle de Dieu, entre le Juste et lTnjuste; il n’y
aura aucune obligation naturelle de pratiquer certains devoirs, et d’éviter
certaines fautes. Toute la législation, par rapport aux hommes, dépendra
de leur union en société, et de la volonté des premiers Chefs, qui les auront
rassemblés. Quand on se rendra coupable de quelque injustice, on pourra
ètre soumis aux peines portées par les Legislateurs; mais du reste nul cri de
la conscience, nulle crainte de tomber entre les mains de l’Arbitre Suprème
de toutes choses. Qu’il se trouve des motifs d’honnèteté, de charité, de ma-
gnanimité pour entreprendre des actions vertueuses, ce seront de savoir si
Tinterèt personnel ou public se rencontre dans ses entreprises; cet intérèt
sera le mobile de tout, le juge unique du mérite, la cause absolue, et le
ressort total de ces actions.
[...] Quelles armes encore les saints monumens du Christianisme ne
nous fourniroient-ils point contre les pernicieuses regies de Morale, que le
mème Ouvrage publie? Nous Tavons déja insinué, M. T. C. F.; dans le Livre
de YEsprit, la base des moeurs est le plaisir (page 361 et suiv.), sans en
excepter mème le plus sensuel, le plus honteux, le plus indigne de l’homme.
L ’Auteur propose l’amour profane comme le grand ressort des vertus; il
490 ATEISMO ILLUMINISTICO
remet, à cette occasion, sous les yeux de son Lecteur, les pratiques licentieuses
de quelques peuples idolàtres; il ne rougit point de rassembler quantité
d’Anecdotes obscènes, d’Images indécentes, de Maximes scandaleuses. O dé-
testable Philosophic du dix-huitieme siede; c’est done là le terme; disons
plutòt le precipice où tu conduis les hommes! Quoi, M. T. C. F., ces passions
que je s u s -christ et les Saints Apòtres nous ont ordonné de combattre, de
réprimer, de mortifìer, on vient nous les représenter comme Fame de toutes
les grandes et héroiques actions? Ce fruit malheureux du péché, ce germe
de corruption, qui fait gémir les plus grands Saints, on nous le vante comme
le mobile general du gouvernement des hommes? Ce n’est pas encore assez,
on condamne en quelque sorte la raison à se taire, en presence des passions;
à leur céder l’Empire au moins durant la plus grande partie de nos jours.
Car void, M. T. C. F., les propositions surprenantes qu’on trouve dans
le Livre de VEsprit. Que la raison nous dirige dans les actions importantes
de la vie, je le veux: mais qu}on en abandonne les détails à ses gouts et à
ses 'passions. Qui consulteroit surtout la raison, seroit sans cesse occupi à
calculer ce qu}il doit faire, et ne feroit jamais rien (page 618). Et quand
il s’agit destructions élémentaires, d’education de la jeunesse, FAuteur trouve
de grands avantages à ne point s’opposer aux passions (page 337) de ce pre
mier age. Il appelle des Fé dans, des Eeclamateurs, des Gens sans esprit
(page 164) ceux qui recommandent sans cesse la modération des desks
(page 373). II pretend que celui qui, pour étre vertueux, auroit toujours ses
penchans à vainere, seroit nécessairement un malhonnète homme\ et au lieu
de se souvenir des égards qui sont dùs à un sexe dont la pudeur fait le plus
bel ornement, il semble Finviter à franchir toutes les barrieres, il lui en
fournit des exemples, il l’arme de prétextes, il fait Fapologie des excès en ce
genre. Que de choses, M. T. C. F., nous sommes obligés de supprimer, pour
épargner à vos oreilles des details dangereux, des termes capables de blesser
Fhonnéteté publique.
Nous devons nous taire également sur les endroits où ce Livre effraye
la Patrie et alarme les Citoyens. Eh! falloit-il done, en traitant de la puis
sance des passions (page 298 et suiv. et page 223) faire paroìtre sur la
scene, des hommes bravant le d e l , et armés contre leurs Souverains? Falloit-il
chercher dans FAntiquité, des traits qui ne méritent qu’un éternel oubli, des
forfaits dont les Auteurs ne furent que des furieux ou des impies? Mais,
voilà, M. T. C. F., ce qu’opere encore Forgueilleuse Philosophic du siede.
Elle accoutume ceux qui s’y livrent à discuter les droits des Puissances,
après avoir combattu ceux de la Divinité. Les mèmes Ecrivains, qui nient
Fimmortalité de Fame, la vie future, les principes des moeurs, entreprennent
aussi de rompre les noeuds qui attachent les Sujets à leurs Maitres. On
n’attaque pas, il est vrai, à découvert, Fautorité dont on depend immédia-
tement; on cherche des objets de critique dans les Religions éloignées; on
paroìt borner ses observations, ou plutòt ses invectives, aux gouvernemens
qui passent, ou qu’on donne pour despotiques. Mais dans ces discussions
téméraires, on ne manifeste toujours que trop les sentimens d’indépendance
et mème de revoke, dont on s’est laissé prevenir contre tout ce qui porte les
caracteres du Pouvoir Supreme. Bientót on pousse Faudace jusqu’à donner
des idées favorables de ceux qui se sont signalés par d’énormes attentats;
on ne craint pas de les représenter comme des hommes rares, comme des
APPENDICI 491
4 - ARREST DU PARLEMENT
indifference sacrilège pour ses mystères et pour ses dogmes qu’il voudroit
pouvoir anéantir.
Que tels sont les principes impies et détestables que se propose d’éta-
blir dans son Ouvrage cet Ecrivain qui soumet la Religion à l’examen de
la raison, qui n’établit qu’une foi purement humaine, et qui n’admet de
vérités et de dogmes en matiere de Religion, qu’autant qu’il plait à l’esprit
livré à ses propres lumieres, ou plutót à ses égaremens, de les recevoir ou
de les rejet ter.
Qu’à ces impietés il ajoute des details indécens, des explications qui
blessent la bienséance et la pudeur, des propositions qui tendent à donner
un caractère faux et odieux à l’autorité souveraine, à détruire le principe de
l’obéissance qui lui est due, et à affoiblir le respect et l’amour des Peuples
pour leurs Rois.
Qu’ils croient que ces traits sufìisent pour donner à la Cour une idée
de TOuvrage qu’ils lui dénoncent; que les maximes qui y sont répandues
forment par leur réunion un système chimérique, aussi impraticable dans
son exécution, qu’absurde et condamnable dans son projet. Que seroient
d’ailleurs des Sujets élevés dans les pareilles maximes, sinon des hommes
préoccupés du scepticisme et de la tolérance, abandonnés à leurs passions,
livrés aux plaisirs des sens, concentrés en eux-mémes par l’amour propre, qui
ne conno!troient d’autre voix que celle de la nature, et qui au noble desir
de la solide gioire, substitueroient la pernicieuse manie de la singularité?
Quelles règles pour les moeurs! Quels hommes pour la Religion et pour
l’Etat, que des enfans élevés dans des principes qui font également horreur
au Chrétien et au Citoyen!
Que FAuteur de ce Livre n’ayant point craint de se nommer lui-mème,
ne s^auroit ètre trop promptement poursuivi; qu’il est important puisqu’il
est fait connoìtre, que la Justice se mette à portée de faire un exemple tant
sur l’Auteur que sur ceux qu’on pourra découvrir avoir concouru soit à
l’impression, soit à la distribution d’un pareil Ouvrage digne comme eux
de toute sa sévérité.
Que c’est l’objet des Conclusions par écrit qu’ils laissent à la Cour
avec un exemplaire du Livre; et se sont les Gens du Roi retirés.
Eux retirés:
Vu le Livre en quatre tomes, in 8°, intitulé Emile, ou de VEducation,
par J. J. Rousseau, Citoyen de Geneve. Sanabilibus aegrotamus malis;
ipsaque nos in rectum, natura genitos, si emendari velimus juvat. Senec. de
Ira. Lib. XI, cap. X III, tom. 1, 2, 3 et 4; à La Haye, chez Jean Neaulme, Li-
brake, avec Privilege de Nosseigneurs les Etats de Hollande et Westfrise.
Conclusion du Procureur-Général du Roi; ou'i le Rapport de Me Pierre-
Frangois Lenoir, Conseiller; la matiere mise en délibération.
La Cour ordonne que ledit Livre imprimé sera lacere et brulé en la
Cour du Palais, au pied du grand escalier d’icelui, par l’Exécuteur de la
Haute-Justice; enjoint à tous ceux qui en ont des Exemplaires, de les ap-
porter au Greffe de la Cour, pour y ètre supprimés; fait très expresses inhi
bitions et défenses à tous Libraires d’imprimer vendre et débiter ledit Livre,
et à tous Colporteurs, Distribùteurs ou autre de le colporter ou distribuer,
à peine d’etre poursuivis extraordinairement, et punis suivant la rigueur des
Ordonnances. Ordonne qu’à la Requète du Procureur-Général du Roi, il
496 ATEISMO ILLUMINISTICO
Si FAuteur étoit connu, il ne vous paroltroit pas moins digne que son
Ouvrage des peines les plus rigoureuses. Quelle frénesie possedè done cer
tains esprits de nos jours? Quel fruit pensent-ils retirer de leur doctrine
impie^ cruelle mème pour l’humanité? Que présente-t-on dans ce Dictionnaire?
Les dogmes de la Religion présentés comme des nouveautés introduites par la
succession des temps; dérision de la discipline et des usages de l’Eglise;
anéantissement des saintes Ecritures et de toute Révélation: on essaye de
sapper les fondemens de la Religion Catholique: on nie la Divinité de
je s u s -ch rist : on ne craint pas, on ne rougit pas de traiter de fable ce
que les Evangélistes en rapportent, et de donner pour institution humaine
la foi et la discipline de l’Eglise; les Sacremens, le culte des Saints pour
superstition. On rapporte des allegories, des figures qui se trouvent dans
les Ecrivains Sacrés, mais on soustrait aux Lecteurs l’objet des allegories, les
vérités et les faits annoncés par les figures, et qui en rendent le rapport
et la justesse sensibles.
On expose des contradictions entre les Auteurs divins, et on tait avec
soin les explications qui concilient de la maniere la plus satisfaisante ces
contrariétés apparentes. On se permet de falsifier les Textes de FEcriture, et
on en donne des traductions infidèles; on y ajoute mème quelquefois pour
tromper le Lecteur peu attentif; on ne respecte pas plus les Textes des Peres,
et on porte la témérité jusqu’à vouloir jetter un vernis d’ignorance ou d’idio-
tisme sur les plus fameux génies, tels que les Augustin et les Chrysostomeyetc.
Point de miracles; e’est, selon PAuteur, insulter Dieu que d’en sup-
poser. Point de péché originel dans Fhomme; point de liberté dans sa
volonté; point de Providence générale ni particuliere: la matiere est éternelle
selon lui: il n’y a de certitude que la Physique et la Mathématique: illusion
que l’espérance d’une vie future, Fhomme périt tout entier; invectives contre
les actes consacrés par la Religion: loix divines et humaines également
méprisées; on présente les Religions comme faites pour les climats. Toutes
les Loix qui concernent la Physique sont calculées pour le méridien qu’on
habite, et les Rites de la Religion sont de mème nature. On paroìt admettre
une Religion naturelle dans laquelle on reconnoìtroit Dieu quelconque; mais
quelle seroit cette Religion, et quel Dieu y reconnoitroit-on, puisque, selon
FAuteur, on n’a aucune idée de Dieu, qu’on ne peut le connoìtre, et qu’on
ne lui rendroit aucun culte, sous prétexte qu’il n’a pas besoin de nous?
Mysteres, Dogmes, Morale, Discipline, Culte, Vérité de la Religion,
Autorité divine et humaine, tout est done en butte à la piume sacrilège de
cet Auteur qui se fait gioire de se ranger dans la classe des bètes en mettant
Fhomme à leur niveau, puisqu’il n’admet de bonheur que celui des sens,
et qu’il consent à périr entièrement comme elles.
Et quels moyens emploie-t-on pour inviter à adopter ces erreurs? Le
ridicule, la plaisanterie, les doutes, les sophismes, les objections, les difficultés,
les blasphemes mème mille fois répétés par les impies depuis dix-huit siecles,
et mille fois réfutés, résolus avec la force et Févidence qui fait le caractere
de la vérité, et qui ne peuvent en imposer qu’a ceux qui négligent de s’in-
struire, et à ceux qui ont quelqu’intérèt à se laisser séduire et à se faire illusion.
Tel est FOuvrage que la République de Geneve a déja condamné aux
flammes, et que tout Etat policé, n’eut~il pas Favantage que nous avons
d’etre dans le sein de l’Eglise Catholique, ne peut s’empècher de proscrire,
498 ATEISMO ILLUMINISTICO
parce qu’il n’est pas de Société aux intérèts de laquelle ne soient contraires
la licence, l’indépendance et l’irréligion. Doit-on s’étonner que les Loix qui
gouvernent les différens Etats, ne soient pas plus respectées par cet Auteur,
et que celle en particulier, qui assure depuis tant de siecles le Sceptre et
la Couronne aux Princes aìnés males de nos Rois, soit aussi l’objet de ses
railleries.
A ce premier Ouvrage nous en joindrons un autre intitulé Lettres écrites
de la Montagney etc. en deux Parties. L’Auteur dans la première s’occupe
à défendre ses précédens Ouvrages, et en particulier son Emile, contre la
proscription prononcée par le Conseil de la République de Geneve: malheu-
reusement opiniàtre dans le système qu’il a adopté, loin de profìter des cen
sures qui en ont été faites, d’avouer avec candeur les erreurs dont on Fa
convaincu, et de les détester; il renouvelle tous ses principes impies et
détestables contre la Religion Catholique et contre je s u s -christ mème qui
Fa fondée, contre la Revelation et les Livres Saints, contre les Miracles,
toutes les autres erreurs, enfìn dont le detail a révolté si justement tous les
esprits à la lecture d'Emile. A ces impiétés il ajoute de nouveaux blasphe
mes que nous n’osons répéter, et qui annoncent un de ces Philosophes or-
gueilleux qui résistent à la vérité en lui opposant leurs illusions, hommes
corrompus dans Vesprit et ferver tis dans la Eoi, mais le pro grès qu’ils feront
aura des bornes, car leur folie sera connue de tout le monde.
Quel abus plus enorme et plus déshonorant de Fesprit et des talens!
La Religion aura toujours des Celse} des Julien , des Socin, des Bayley des
insensés, en un mot, qui blasphèmeront contraile et contre son divin Auteur:
mais malheur à ces hommes qui, flattés diriger une école d’erreur et d’ini-
quités, et d’y perpétuer la race des impies, se chargent de Fhorreur et de
Fexécration des hommes sages et vertueux de tous les siecles et de tous
les Pays.
[De tels Philosophes, dit un des plus grands Orateurs de la Hollande,
sont ceux qui se piquent le plus de bon air et de belles manieres, ce n’est
mème souvent que les fausses idées qu’ils s’en sont formées qui les deter
mined au système de l’incrédulité; ils trouvent, dit-il, que la raison sent
trop l’Ecole, et que la foi est pédantesque: ils croient que pour se distinguer
dans le monde, il faut affecter de ne point croire et de ne point raisonner.
Qu’ils apprennent de cet homme cèlebre, qu’on les regarde dans le monde
comme des insensés: ils vivent avec des personnes qui croient un Dieu et
une Religion, avec des personnes qui ont été élevées dans ces principes: bien
plus encore, ils vivent dans une Société dont les fondemens vont crouler
avec ceux de la Religion; ensorte que, s’ils parvicnnent à sapper ces der-
niers, ils vont par cela mème sapper les autres: tous les Membres sont
intéressés au maintien de cet édifice qu’ils veulent détruire... L’Univers entier
les conjure de ne point établir des systèmes dont la connaissance va lui étre
funeste: malgré tant de voix, malgré tant de prieres, malgré tant d’instances,
et parmi tant de gens intéressés à l’établissement de la Religion, soutenir que
la Religion est une chimere, s’acharner à la combattre, mettre toute son ap
plication et toute sa gioire à la détruire, n’est-ce pas le comble de la brutalité
et de la fureur?]
Nous remettons à la Cour ces Imprimés, avec les conclusions par écrit
APPENDICI 499
que nous avons prises à ce sujet. Et se sont lesdits Gens du Roi retires.
Eux retires:
Vu les deux Imprimés, in 8°, le premier portant pour titre, Dictionnaire
Philosophique por tatif, Londres 1764, commengant par 1’article Abraham, et
finissant par Particle Vertu, contenant 344 pages d’impression, sans nom
d’Auteur ni d’Imprimeur; le second intitule Lettres écrites de la Montagne,
par Jean-Jacques Rousseau, première et seconde Partie, à Amsterdam, chez
Marc-Michel Rey, 1764, contenant la première Partie 334 pages, et la seconde
226 pages d’impression. Conclusion du Procureur-Général du Roi. Oui le
rapport de Me Joseph-Marie Terray, Conseiller. La matiere mise en deli
beration.
La Cour ordonne que lesdits deux imprimés seront lacérés et brulés
au pied du grand escalier du Palais par l’Exécuteur de la Haute-Justice,
Enjoint à tous ceux qui en ont des Exemplaires de les rapporter au Greffe
de la Cour, pour y ètre supprimés; fait défenses à tous Imprimeurs, Libraires,
Colporteurs et autres, de les imprimer, vendre, débiter, ou autrement di-
stribuer, sous telles peines qu’il appartiendra. Ordonne qu’à la Requète du
Procureur-Général du Roi, et par-devant le Conseiller-Rapporteur que la
Cour commet, il sera informé contre ceux qui auroient composé, imprimé,
vendu, ou autrement distribué lesdits deux Imprimés, pour ladite information
faite, et communiquée au Procureur-Général du Roi, ètre par lui requis ce
que de raison, et par le Cour ordonné ce qu’il appartiendra. Ordonne en
outre que le présent Arrét sera imprimé, publié et affiché par-tout où besoin
sera, fa it en Parlement, toutes les Chambres, le dix-neuf Mars mil sept cens
soixante-cinq.
Signé, DUFRANC
Il Meslier ch’è Punico a citarlo, a mia conoscenza, nulla dice del suo
autore. Anche il titolo completo è un po’ diverso, a giudicare da quella ch’è
forse la prima edizione: UEspion dans les Cours des Princes Chrétiens, ou
Lettres et Memoires d’un Envoyé secret de la Porte dans les Cours de
VEurope, où Von voit les découvertes qu’il a faites dans toutes les Cours
où il s’est trouvé, avec une Dissertation curieuse de leurs Forces, Politique
et Religion, à Cologne (leggi: Rouen), chez Erasme Kinkius, 1696, in 8 tomi.
Nel foglio della copertina interna c’è il ritratto dell’autore anonimo con la
scritta: Mehemet Espion Ture, Aet. Suae LXXII, che ha finito per dare il
titolo all’opera, la quale meriterebbe uno studio accurato in merito alla
dipendenza del Meslier. L’Autore è stato individuato nel genovese Gian Paolo
Marana, sul quale esiste uno studio di P. Toldo, Dell’« Espion » di Gian
Paolo Marana e delle sue attinenze con le « Lettres Persanes » del Montes
quieu, in «Giornale storico della letteratura italiana», XXIX (1897),
pp. 45-79; cf. S. Cotta, Montesquieu e la scienza della società, Torino 1953,
p. 133, nota 41. Devo queste informazioni al prof. S. Cotta (dell’Università
di Roma) che qui ringrazio vivamente.
500 ATEISMO ILLUMINISTICO
deplora le sètte e le guerre che i Cristiani fanno dappertutto gli uni contro
gli altri (t. IV, lett. 19, p. 81 ss.; t. V II, lett. 6, p. 39 ss.); attacca la con
dotta scandalosa di alcuni Papi e accusa Leone X di incredulità (t. V II, lett. 4,
p. 25 ss. e ved. t. II, lett. 66, p. 204); si mostra invece favorevole ai Quie
tisti e li difende dagli attacchi dell’Inquisizione, dei Domenicani e dei Gesuiti
(t. V, lett. 108, p. 424 ss.). Ma si professa favorevole alla religione (t. I,
lett. 41, p. 117 ss.) ed è risolutamente contrario all'ateismo che considera
la piaga più grave dell'Occidente: « Il se trouve en Occident une infinité
de gens, qui non seulement méprisent et difament nótre Loi, mais mème
la leur, et qui se moquent ouvertement de toutes les Religions du monde.
On les connoit sous le nom d’Athées et de Libertins; c'est à dire Ennemis
declarez de la creance d’un Dieu; animaux infames et étourdis qui n’osent
demeurer seuls, de peur que venans à penser à eux-mèmes ils ne deviennent
plus sages » (t. II, lett. 66, p. 200; fra gli atei più celebri ricorda Nino,
Sardanapalo e Dionigi di Siracusa).
In questa critica sono accomunati atei e libertini di cui traccia i ca
ratteri fondamentali: « Ceux-ci ont été des Athées Rois, à l'impieté desquels
personne n’a osé trouver à redire. Les Libertins de aujourd’hui sont plus
modestes et plus politiques. Ils n’osent pas violer les Temples, ni profaner
publiquement les Autels des Chretiens; mais ils tàchent de miner sous
main tout ce qui s'appelle Religion, et de grossir le nombre de leurs par
tisans. [...] Ils sont Ennemis declarez de la Resurrection des bons et des
mauvais Esprits, du jour du Jugement, du Paradis et de l'Enfer. Ils ne re-
gardent la Religion que comme une invention de la politique pour reduire
le monde sous une mème forme de Gouvernement, et ne font point de diffi-
culté d'appeller Moyse, et Jesus Fils de Marie, des Imposteurs, aussi bien
que Mahomet nótre Saint Legislateur. Ils se mocquent des miracles et tour-
nent les prophéties en redicule; et Ton ne gagne pas plus de leur parler
de l'apparition d'un mort, que de leur dire qu’il y a un homme dans la
Lune » (l.c., p. 203 ss.). Di ateismo, secondo il Nostro, è infetta la stessa
Corte di Roma, che mercanteggia indulgenze e favori spirituali: « Le com
merce spirituel qui se fait à la Cour Souveraine de la Chrétienté n'à pas
peu contribué à faire tomber dans l'Athéisme une infinité de gens car par-là
la Religion devient méprisable; on ne la regarde plus que comme un ar
tifice de la politique, et comme un stratagème inventé par les Ecclesiastiques
pour retenir les fous dans le respect et dans la dépendance. Ainsi ceux
qui ont meilleure opinion d'eux-mèmes, et qui voudroient passer pour des
gens sensez, prennent occasion de là de pointiller sur les principes fonda-
mentaux de toutes les Religions et de disputer contre l'existence de Dieu.
Au lieu de se soumettre tranquillement à des Dogmes qu’ils font semblant
de regarder, ou qu’ils regardent effectivement comme des impostures ma-
nifestes, ils secoiient comme des poulains farouches et indomtez, non seule
ment le joug de la Religion naturelle, mais mème celui de la Morale com
mune. Et comme ils ont trop de bon sens pour ètre les dupes d'un ombrage
de Religion, aussi n'ont-ils pas assez de foi pour gober toutes les fraudes
pieuses de l'Eglise comme autant de Oracles du Ciel, dont il ne faut aucu-
nement douter. Ils aiment mieux ètre Sceptiques en tout, et ne s'attacher
qu'à satisfaire à leurs passions. Et il n'y a point de momens qu’ils croient
plus mal employez que ceux qu’on donne à penser à la vie à venir »
504 ATEISMO ILLUMINISTICO
(l.c., p. 205 s.). Non esita infine ad accusarli tutti senz’altro di ateismo:
« ... que les Chretiens sont ennemis de vrai Dieu, de l’Empereur et de la
Religion » (t. I, lett. 41, p. 117), sia a causa del dogma della Trinità (t. V,
lett. 23, p. 89), sia perché responsabili principali della irreligione (t. V II,
lett. 43, p. 237 s.).
L ’accusa diventa esplicita in una lettera del settimo volume: « Il dé-
dame contre les Chretiens, de faire profession ouverte d’Athéisme, et de
nier publiquement l’existence de Dieu, et se rejouit de ce que ce crime
est inconnu parmi les Sectateurs de Mahomet » (t. V II, lett. 24, p. 125).
La ragione della pesante accusa è di pretendere che l’unico vero Dio sia
quello della fede cristiana, e insieme di aver oscurato con le dispute di
scuola il concetto di Dio: « En un mot, ils ont si subtilement philosophé
sur leur Dieu, et raisonné si finement sur le nom qu’ils devoient lui donner,
qu’ils l’ont enfin tout~à~fait perdu de vue, et qu’ils se demandent tous les
jours l’un à l’autre, s’il est bien vrai qu’il y ait en effet quelque chose de
pareil au monde » (l.c., p. 126). Ed infine la constatazione che sarà fre
quente negli storici dell’ateismo del secolo seguente: « ... car enfin ce n’est
que parmi eux [ = i cristiani] qu’il se trouve des Athées, ce n’est que parmi
eux qu’il se trouve des Hommes douez d’un esprit si fort et de facultez si
extraordinaires de l’ame, qu’ils puissent nier l’existence de celui de qui ils
tiennent Tètre » (l.c., p. 128).
Una curiosità: in una lettera datata nel 1656 si parla di una nuova
stella apparsa in Europa che avrebbe suscitato l’attesa e l’entusiasmo messia
nico negli Ebrei (t. IV, lett. 30, p. 113 ss.). Pensando che la cometa delle
celebri Pensées del Bayle apparve nel 1680 e che la presunta prima edizione
del nostro Espion è del 1684, vien quasi da dubitare che si tratti dello stesso
fenomeno e che la data delle lettere sia un espediente letterario.
Però, in conclusione, bisogna dire che gli argomenti religiosi sono
nell’opera appena delle parentesi nell’intrigo degli affari politici dell’Europa
ai quali è rivolta principalmente l’attenzione del Marana.
comme tous les autres. Pour le fond des choses, il faut s’en défier très-
souvent en physique et en morale. Il s’agit ici de l’intérét du genre humain.
Examinons done si sa doctrine est vraie et utile, et soyons courts si nous
pouvons.
« L ’ordre et le désordre n’existent point, etc. » (P. I, p. 60).
Quoi! en physique un enfant né aveugle, ou prive de ses jambes, un
monstre n’est pas contraire à la nature de l’espèce? N’est-ce pas la régularité
ordinaire de la nature qui fait l’ordre, et l’irrégularité qui est le désordre?
N’est-ce pas un très-grand dérangement, un désordre funeste, qu’un enfant
à qui la nature a donné la faim, et a bouché Poesophage? Les évacuations
de toute espèce sont nécessaires, et souvent les conduits manquent d’orifices:
on est obligé d’y remédier: ce désordre a sa cause, sans doute. Point d’effet
sans cause; mais c’est un effet très-désordonné.
L’assassinat de son ami, de son frère, n’est-il pas un désordre horrible
en morale? Les calomnies d’un Garasse, d’un Le Tellier, d’un Doucin,
contre les jansénistes, et celles des jansénistes contre des jésuites; les im
postures des Patouillet et Paulian ne sont-elles pas de petits désordres? La
Saint-Barthélemy, les massacres d’Irlande, etc., etc., ne sont-ils pas des dé
sordres exécrables? Ce crime a sa cause dans des passions; mais l’effet est
exécrable; la cause est fatale; ce désordre fait frémir. Reste à decouvrir, si
Ton peut, l’origine de ce désordre; mais il existe.
« L ’expérience prouve que les matières que nous regardons comme
inertes et mortes prennent de Paction, de l’intelligence, de la vie, quand
elles sont combinées d’une certame fagon » (P. I, p. 69).
C’est là précisément la difficulté. Comment un germe parvient-il à la
vie? l’auteur et le lecteur n’en savent rien. De là les deux volumes du
Systèrne; et tous les systèmes du monde ne sont-ils pas des rèves?
« Il faudrait définir la vie, et c’est ce que j ’estime impossible » (P. I,
p. 78).
Cette définition n’est-elle pas très-commune? la vie n’est-elle pas or
ganisation avec sentiment? Mais que vous teniez ces deux propriétés du
mouvement seul de la matière, c’est ce dont il est impossible de donner une
preuve; et si on ne peut le prouver, pourquoi l’affìrmer? pourquoi dire tout
haut: Je saisy quand on se dit tout bas: J ’ignore?
« L ’on demanderà ce que c’est que l’homme, etc. » (P. L, p. 80).
Cet article n’est pas assurément plus clair que les plus obscurs de Spi
noza, et bien des lecteurs s’indigneront de ce ton si décisif que l’on prend
sans rien expliquer.
« La matière est éternelle et nécessaire; mais ses formes et ses combi-
naisons sont passegères et contingentes, etc. » (P. I, p. 82).
Il est difficile de comprendre comment la matière étant nécessaire, et
aucun étre libre n’existant, selon 1’auteur, il y aurait quelque chose de con
tingent. On entend par contingence ce qui peut ètre et ne pas ètre; mais tout
devant étre d’une nécessité absolue, toute manière d’etre, qu’il appelle ici mal
à propos contingent, est d’une nécessité aussi absolute que Tètre mème. C’est
là où Ton se trouve encore plongé dans un labyrinthe où Ton ne voit
point d’issue.
Lorsqu’on ose assurer qu’il n’y a point de Dieu, que la matière agit
par elle-mème, par une nécessité éternelle, il faut le démontrer comme une
506 ATEISMO ILLUMINISTICO
proposition d’Euclide, sans quoi vous n’appuyez votre systèrne que sur un
peut-ètre. Quel fondement pour la chose qui interesse le plus le genre
humain!
« Si Thomme d’après sa nature est force d’aimer son bien-ètre, il est
forcé d’en aimer les moyens. Il serait inutile et peut-ètre injuste de demander
à un homme d'etre vertueux, s’il ne peut Tètre sans se rendre malheureux.
Dès que le vice le rende heureux, il doit aimer le vice » (P. I, p. 152).
Cette maxime est encore plus execrable en morale que les autres ne
sont fausses en physique. Quand il serait vrai qu’un homme ne pourrait
ètre vertueux sans souffrir, il faudrait Tencourager à Tètre. La proposition de
Tauteur serait visiblement la ruine de la société. D’ailleurs, comment saura-t-il
qu’on ne peut ètre heureux sans avoir des vices? n’est-il pas au contraire
prouvé par Texperience que la satisfaction de les avoir domptés est cent fois
plus grande que le plaisir d’y avoir succombé: plaisir toujours empoisonné,
plaisir qui méne au malheur? On acquiert, en domptant ses vices, la tranquil-
lite, le témoignage consolant de sa conscience; on perd, en s’y livrant, son
repos, sa santé; on risque tout. Aussi Tauteur lui-mème en vingt endroits veut
qu’on sacrifìe tout à la vertu; et il n’avance cette proposition que pour
donner dans son système une nouvelle preuve de la nécessité d’ètre vertueux.
« Ceux qui rejettent avec tant de raison les idées innées... auraient du
sentir que cette intelligence ineffable que Ton place au gouvernail du monde,
et dont nos sens ne peuvent constater ni Texistence ni les qualités, est un
ètre de raison » (P. I, p. 167).
« En vérité, de ce que nous n’avons point d’idées innées, comment
s’ensuit-il qu’il n’y a point de Dieu? cette consequence n’est-elle pas absurde?
y a-t-il quelque contradiction à dire que Dieu nous donne des idées par nos
sens? n’est-il pas au contraire de la plus grande évidence que s’il est un
ètre tout-puissant dont nous tenons la vie, nous lui devons nos idées et nos
sens comme tout le reste? Il faudrait avoir prouvé auparavant que Dieu
n’existe pas, et c’est ce que Tauteur n’a point fait; c’est mème ce qu’il n’a pas
encore tenté de faire jusqu’à cette page du chapitre X » (Dìctionn. Philos.,
ed. R. Naves, pp. 513-515).
L’esposizione prosegue polemizzando contro l’ateismo del Système con
Tanalisi dell’argomento capitale per l’esistenza di Dio nella letteratura deista,
cioè la finalità naturale, specialmente biologica: la posizione atea del Système
è qualificata per « sottise innouie » (1. c., p. 516). La Sect. V ha per argo
mento: De la nécessité de croire un Eire suprème e vi leggiamo che il
Système è rimasto inferiore a Spinoza in quanto questi ammette un’intelli
genza nel mondo.
In una nota del 1770, all’art. Causes finales, riferisce integralmente la
critica del Système alla finalità (P. II, p. 158 ss.), dopo aver premesso la se
guente presentazione assai lusinghiera: « Il vient, en 1770, un homme très-
superieur à Spinoza à quelques égards, aussi éloquent que le juif hollan-
dais est see; moins méthodique, mais cent fois plus clair; peut-ètre aussi
géomètre, sans affecter la marche ridicule de la géométrie dans un sujet
métaphysique et moral: c’est Tauteur du Système de la Nature; il a pris le
nom de Mirabaud, secrétaire de l’Académie frammise. Hélas! notre bon Mi-
APPENDICI 507
rabaud, n’était pas capable d’écrire une page du livre de notre redoutable
adversaire. Vous tous qui voulez vous servir de votre raison et vous instruire,
lisez cet éloquent et dangereux passage du Systèrne de la Nature » (Dictionn.
philos., ed. cit., p. 539).
Nei momenti cruciali dell’ateismo di cui pullula il testo holbachiano,
Voltaire non manca di chiarire il proprio dissenso con brevi, ma efficaci
note e rimanda alla confutazione che ne ha dato negli articoli Athéisme e
Dieu. Ci sembra perciò esagerata l’accusa di ateismo che il Dictionnaire Anti-
Rhilosophique fa a Voltaire, accomunandolo ad Helvétius: « L ’espèce
d’athéisme, qui se montre dans le livre De VEsprit, trionfe dans le Dictionnaire
Rhilosophique » (s.v. Athéisme, à Avignon 1767, p. 36. Il Dictionnaire Anti-
Philosophique è attribuito all’Abbé Nonnotte, ma quest’articolo è dell’Abbé
Troublet).
le seul fondement légitime qui puisse assurer le consentement qu’on doit aux
autres. C’est à quoi ne pensent pas assez ceux qui embrouillent la Philoso
phic par des idées chimériques, contre lesquelles dépose notre sentiment
intime bien observe ». E protesta indignato: « On ne fait pas moins de tort
à la Religion divine en accusant légèrment d’incrédulité des hommes dont
les talens honorent et servent la Patrie, et que leurs vertus rendent chers
à la société. Il semble qu’on ait pris à tàche d’établir que tous les Savans
sont Athées ou Déistes, et que le don de la foi n’est accordé qu’aux ignorans
et aux imbecilles. Mais le comble du blaspheme, c’est d’employer, pour défen-
dre l ’éternelle vérité, les armes propres du mensonge, une adresse frauduleuse,
des imputations téméraires et enfin la persecution » (p. 9 s.).
Perciò, pur rispettando il giudizio dei tribunali, dei pastori e dei dot
tori della Facoltà di teologia di Parigi, egli vuole anzitutto far presente
che la verità fondamentale per la conservazione di ogni società, ossia l’osser
vanza dei doveri imposti agli uomini dalla natura e il buon ordine della
società, sta alla base ed è l’oggetto del libro De VEsprit (p. 16 s.). La cen
sura della Facoltà di teologia invece di chiarire ha confuso di molto la
situazione col proposito evidente di « ... indisposer l’autorité souveraine con
tre les Philosophes » (p. 21).
Ciò non potrà riuscire che estremamente nocivo poiché « ... les vérités
philosophiques sont, après celles de la vraie Religion, le dépòt le plus
sacre,que l’on puisse conserver aux hommes. On peut dire mème que c’est
aux Philosophes à nous conduire au pied des autels, à nous prouver avec
evidence la nécessité et la certitude de la révélation, à disposer par la
raison tous les hommes raisonnables à se soumettre aux dogmes de la foi »
(p. 28 s.). La polemica è rivolta contro gli attacchi del Journal de Trévoux
e il nostro anonimo — pur dissentendo su alcuni punti — è convinto che
il libro incriminato « ... n’enseigne (ni) le matérialisme ni le mépris de la
Religion sainte » (p. 31).
Nel condurre la sua requisitoria, l’autore insiste da una parte nella
critica alla dottrina delle « idee innate » di derivazione cartesiana, ch’era la
posizione dei rigidi censori della Sorbona, ritorcendo contro di loro l ’accusa
con l ’appoggio del protestante Barbeyrac: « Les Théologiens, dit M. Barbeyrac,
donnent eux mèmes beaucoup de prise aux Athées, lorsque ne se contentant
point des preuves incontestables qu’on a des grandes vérités de la Religion
et de la Morale, ils s’entétent par un zele imprudent de quelques raisons
pour le moins fort douteuses, criant après cela, que tout est perdu si l’on
n’admet celles-ci comme les premières » (p. 182; cf. p. 190 ss.). Dall’altra
scagiona il libro dall’accusa sia di aver trascurato di trattare della Legge na
turale e dei doveri dell’uomo verso Dio, sia di non aver preso in conside
razione il problema dell’immortalità: su questo i teologi stessi hanno fatto
poco o punto luce anzi hanno portato molta confusione. E conclude: « C’est
done injustement qu’on reproche aux Philosophes de s’en tenir à la déci-
sion de l’Eglise sur la nature de notre àme. Si notre corps, comme l’Eglise
l’enseigne, est doué d’une faculté sensitive ou passible qui nous est commune
avec tous les autres animaux, le sentiment intime de la Loi naturelle et de
l’immortalité de Fame distingue essentiellement l’homme de la bète. Il ne
peut méconnoìtre la lumiere divine qui l’éclaire, qui constitue en lui In te l
ligence, la raison, et qui lui montre la règie de ses devoirs » (p. 168).
510 ATEISMO ILLUMINISTICO
col gesuita De Tournemine e si vede bene che il problema sta al centro della
sua concezione metafisica. Dopo aver affermato che secondo la scoperta della
gravitazione fatta da Newton il movimento è intrinseco alla materia, passa
a formulare il suo quesito: « On a regardé comme impie cette proposition:
Nous ne pouvons pas assurer qu’il soit impossible à dieu de communiquer
la pensée à la matiére. Je trouve cette proposition religieuse, et la contraire
me semble déroger à la toute-puissance du Créateur. Ceux qui me condamnent,
me reprochent de croire Tame mortelle. Mais quand mème j’aurais dit, Vame
est matièrey cela serait bien éloigné de dire, Vame périt. Car la matière elle-
mème ne périt point. Son étendue, son impénétrabilité, sa nécessité d ’etre
configurée et d ’etre, dans l ’espace, tout cela et mille autres choses lui demeu-
rent après no tre m ort. Pourquoi ce que vous appelez ame ne demeurerait-il
pas? Il est certain que je ne connais ce que j’appelle matiére, que par quel-
qu’une de ses propriétés. Je connais mème ces propriétés très-imparfaitement.
Comment puis-je done assurer que dieu tout-puissant n’a pu lui donner la
pensée? d ieu ne peut pas faire ce qui implique contradiction; mais il faut,
je crois, ètre bien hardi pour dire que la m atière pensante implique contra
diction. Je suis bien loin de croire que je puisse affirmer que la pensée est
matière. Je suis bien loin aussi de pouvoir affirmer que j’aie la moindre idée
de ce qu’on appelle esprit. Je dis simplement qu’il me paraìt aussi possible
que dieu fasse penser la substance étendue, qu’il me paraìt possible que
dieu joigne un ètre étendu a un ètre imm atériel » * 4. Il problema è nei ter
mini di Locke, ma Voltaire lo m ette nel vivo della polemica metafisica e reli
giosa.
Ciò è dimostrato dall’insoddisfazione per la risposta del gesuita il quale
sembra poco incline a riconoscere con N ew ton che il movimento è una pro
prietà (concessa da D io) alla materia e Voltaire non vuole credere che ciò sia
per paura che ne scapiti la validità della prova dell’esistenza di Dio. Quanto
al secondo problema V oltaire, contro la difficoltà del dotto Padre presa
dalla divisibilità della m ateria, ribadisce la sua convinzione: « Vous avez beau
dire, la matière est divisible; ce n ’est ni comme divisible ni comme étendue
qu’elle peut penser; mais la pensée peut lui ètre donnée de d ieu , comme
dieu lui a donné le mouvement et 1’attraction, qui ne lui sont pas essentiels,
et qui n ’ont rien de commun avec la divisibilité. Je sais bien qu’une pensée
n’est ni quarrée, ni octogone, ni rouge, ni bleue; qu’elle n ’a ni quart, ni
moitié: mais le mouvement et la gravitation ne sont rien de tout cela, et
cependant existent. Il n ’est done pas plus difficile à dieu d ’ajouter la pensée
à la m atière, que de lui avoir ajouté le mouvement et la gravitation. Je vous
avoue que plus je considère cette question, et plus je suis étonné de la témé-
rité des hommes qui osent ainsi borner la puissance du Créateur à Faide d ’un
syllogisme » (l. c.y p. 5 3 s.). E V oltaire ricorda al suo interlocutore che alcuni
Padri della Chiesa hanno concepito Dio stesso e gli angeli come corporei.
V oltaire ha occasione di riprendere la questione Tanno appresso (1 7 3 6 )
in una lettera a M . de Form ont, nella quale osserva che se non si amm ette
quella possibilità di una m ateria capace di pensare, non si può amm ettere
neppure che u n ’anima spirituale ( un ètre pensant) si possa unire al corpo.
L o spunto polemico, com ’è detto espressamente un po’ più sotto, è con
tro il p. De Tournemine e Voltaire precisa il senso della sua tesi: « On dit
que la pensée peut ètre ajoutée de dieu à la m atière, comme le mouvement
et la gravitation qui n ’ont aucun rapport à la divisibili té; done d ieu peut
donner à la m atière des attributs tels que la pensée et le sentiment, qui ne
sont point di visibles » (/. c.y p. 74 ).
É interessante notare come il caposcuola del sensismo francese, l ’abate
Condillac, rigetti invece con orrore l ’ipotesi del Locke, benché l ’abbia scelto
per m aestro nella teoria del conoscere: « Je ne sais pas comm ent Locke a
pu avancer qu’il nous sera peut-ètre éterneflement impossible de connoitre si
Dieu n ’a point donné à quelque amas de matière, disposée d ’une certaine
fa^on, la puissance de penser. Il ne faut pas s’imaginer que, pour résoudre
cette question, il faille connoitre l ’essence et la nature de la matière. Les
raisonnemens qu’on fonde sur cette ignorance, sont tout-à-fait fri voles. Il
suffit de rem arquer que le sujet de la pensée doit ètre un. O r un amas de
matière n ’est pas un; e’est une m u ltitu d e » 5. Segue una decisa professione
di spiritualismo cristiano: mentre prima del peccato l ’anima era esente da
ignoranza e da concupiscenza, comandava perfettam ente ai sensi e Dio
l ’aveva già fornita d ’idee, dopo il peccato l’anima per conoscere deve dipen
dere dalle impressioni dei sensi e tutte le nostre idee vengono dall’esperienza
sensibile: ogni altra ipotesi, nella situazione attuale dell’uomo, è priva di
senso.
B en ed etto X I V ) ch e rip ren de e critica con acum e i principi del razionalism o e del
deism o d erivati so p ra ttu tto da Spinoza com e il R a cin e stesso osserva nelle n o te;
ed. c it., pp. 2 0 e 2 7 (B ay le), 45 (L o c k e ), 6 4 (Sp in oza), 1 7 9 e 1 9 3 (T olan d ).
514 ATEISMO ILLUMINISTICO
nime le Pensées phìlosophiques; qui non conosce né cita nulla (mi sembra)
di D ’Holbach. Invece conosce molti altri anonimi come: Epìtres sur la Reli
gion essentielle de Vhommey Lettres juivesy Les Moeurs, Le traité de la
Raison humainey U'examen de la Religion, La Religion des Dames, La Prin
cesse de Malhabar e il celebre Le Telliamed... « quibus addi possunt duo
Poetae Popius, et Voltaerus, H elvetius, Roussojus, aliique plurimi, quorum
scripta larvata praeferentia titulos Ephem eridum , Narrationum , Satyrarum,
Romanensium etiam in mulierum manus incidunt ». Nei §§ 8-12 la confu
tazione del sistema ateo di Spinoza. L a critica a Spinoza ritorna, assieme a
Hobbes, nel lib. I l l , c. IV , § 5 e passim.
L 'attacco frontale contro l’ateismo è nel lib. I l l , pars I, che inizia con
la tesi: « Im pietatis fons non est in intellectu, sed in corde » e fonda la sua
trattazione sulla tesi di Fénelon che « . . . non c'è via di mezzo fra religione
cattolica e ateism o » (ch ’era già la tesi di Cam panella!). L ’esposizione del
l ’ateismo segue alla lettera il Bayle delle Pensées e del Dictionnaire (nell’ed.
del De Maizeaux) di cui fa ampie citazioni nel testo originale (ed. cit.,
p. 3 1 5 ss.). Il Vaisecchi mostra di conoscere i nomi, e quasi sempre anche
le opere dei principali fautori dell’ateismo illuministico; oltre i già citati si
rilevano: De La M othe le Vayer, Saint Evrem ont, Shaftesbury (Mylordus
Shaftsburgius), Tindal, Locke, Collins, W oolston, Pope, V oltaire, Rousseau,
Montesquieu (p. 3 1 7 e passim), L a M ettrie di cui è citato UHomme machine
(p. 3 2 1 ). Difende energicamente Pascal contro il noto attacco di V oltaire
(lib. I I , c. V , § 2). L a tesi di Bayle sui rapporti fra religione e morale è esposta
nei cc. I I I-IX (pp. 3 2 6 -3 6 5 ).
Segue la discussione del deismo nel c. X e nel c. X I [systerna liberti-
norum est socie tati perniciosumy p. 3 7 4 ss.), riprende la confutazione della
tesi del Bayle; in particolare discute gli argomenti più im portanti del Bayle
a cui si è alleato il Toland (cc. X II-X V I). L a seconda parte tratta della
seconda fonte dell’empietà cioè il turbamento della ragione. L ’intento apolo
getico dell’opera è nella sua stessa disposizione che fa precedere la dimo
strazione della verità della religione naturale (lib. I ) alla difesa della religione
cristiana (lib. I I ) , per discutere il problema dell’ateismo solo alla fine (lib. I I I ).
Ma già nel lib. I, l ’A utore è costretto di volta in volta a incontrare i suoi
principali rappresentanti come si è visto. Manca qualsiasi avvertenza o so
spetto della novità del cogito moderno e tanto l ’esposizione come la critica
seguono la facile e comoda riduzione dell’ateismo al materialismo e allo scet
ticismo. L ’obiettivo apologetico principale dell’opera è senza dubbio la con
futazione della tesi del Bayle, di cui si è già detto a suo luogo, e in confor
mità dell’atteggiamento fondamentale dell’opera l ’Autore non lascia occa
sione per m ostrare che l’ateo non è stato e non può essere che uno scostu
mato e un fellone. La distinzione fra deismo e ateismo è per il Vaisecchi
pressoché trascurabile (cf. lib. I l l , c. X , § 6 ): « ... aut parvum aut nullum
discrimen est inter A thei Deum negantis et Deistae systemata, qui si eum
agnoscit, humana tamen eum non gubernare sentit » (ed. cit., p. 37 0 b)\
deisti e atei sono insieme compresi sotto l ’etichetta di « libertins » e « spi-
ritus fortes ». Si tratta quindi dell’opera fondamentale, a nostro avviso, per
conoscere l’atteggiamento della teologia cattolica alla fine del see. x v ii verso il
pensiero moderno e misurare i meriti e i limiti di un metodo eh’è giunto
quasi intatto fino ai nostri giorni.
APPENDICI 517
7 Nel suo « destino storico » Tateismo moderno è una risultanza del prin
cipio d’immanenza con la deviazione materialistica del fondamento dell’essere
la quale, iniziatasi con la dottrina medievale della pluralità delle forme, ha finito
per togliere la « differenza metafisica » fra atto e potenza, fra materia e forma,
con la conseguenza di attribuire un atto formale imperfetto alla materia come
tale ed un atto esistenziale sia alla materia come alla forma. Di qui la necessità del
vinculum substantiale che a Leibniz è suggerito dallo scotista Suarez e che è
già il prologo dell’essere come spontaneità (cf. sul vinculum, e sull’intera conce
zione della sostanza di Leibniz, la Epist. XXX al P. Des Bosses, in Opera
Philosophica Omnia, ed. J. E . Erdmann [1 8 4 0 ], rist. con aggiunte e prefazione
di R. Vollbrecht, Aalen 1959, spec. p. 741, col. a).
Di qui anche l’affermazione di Locke e Toland della « continuità metafì
sica » fra materia e pensiero, che Marx fa risalire allo stesso Scoto, ossia della
possibilità di attribuire il pensiero alla materia ch’è l’aspetto noetico di quella
prima tesi metafisica. Un critico contemporaneo della posizione di Locke-Toland
vedeva nella tesi della possibilità della « materia pensante » non solo la rovina
della spiritualità e dell’immortalità dell’anima ma della stessa libertà dell’uomo:
« We must therefore affirm, if there be nothing in man but matter, that matter
thus disposed, ecc. thinks. I here ask you, whether it be not agreeable to your
ideas, that if nothing guides matter thus disposed, there could be no such thing
as freedom; for freedom implies in some cases, a power of acting or not acting;
but you can never deduce this from any being, that has nothing in it, but matter
disposed into a system. For there being nothing to hinder its operations, it would
always act or operate, where the cause were sufficient; where the cause were
not sufficient, no operation or effect would succeed. And hence, if I mistake not,
Mr. Hobbes was obliged, from this principle to deny all Liberty in man » (B.
Bayly, On the Immateriality of the Soul and its Distinction from the Body, in
« The Miscellaneous Works of Mr. John Toland », by Mr. Des Maizeaux, London
1747, voi. II, p. 20 s.).
IV
LA RISOLUZIONE ATEA DELL’IDEALISMO
1
2 Ha raccolto gli sparsi elementi di questi influssi sul razionalismo tedesco fino
a Jacobi e Kant, G. Zart, Einfiuss der englischen Philosophen seit Bacon auf die
deutsche Philosophie des 18. Jahrbunderts, Berlin 1881 (cf. spec.: p. 207 ss., Die
Glaubensphilosophen-Hamann, Jacobi; p. 215 ss., Der systematische Kritizismus).
3 Cf. Von den gòttlichen Bingen und ihrer Ojfenbarung, S. W ., I l i , p. 342 ss.
4 Jacobi cita dal saggio, importante per il progressivo distacco di Kant dal
l’indirizzo spinoziano e wolffiano, del 1763: Ber einzig mogliche Beweisgrund znr
einer Bemonstration des Baseins Gottes (cf. I Abt., IV Beitr., 1. « Das notwendige
IL CONFLITTO SPINOZIANO 525
Wesen ist ein Geist », dove lo spunto antispinoziano è evidente: ed. Cassirer II, 92
ss.). Sulla posizione antispinoziana di Jacobi ed il suo significato nello sviluppo del
pensiero tedesco ed in particolare delPidealismo, v. la precisa analisi di B. Magnino,
Romanticismo e Cristianesimo, Brescia 1962, t. I, p. 149 ss.; cf. anche: L. Lévy-
Bruhl, La philosopbie de Jacobi, Paris 1894, p. 139 ss.; F. A. Schmid, Friedrich
Heinrich Jacobi, Heidelberg 1908, spec. p. 248 ss; O. F. Bollnow, Die Lebensphi-
losophie F. H. Jacobis, Stuttgart 1933, p. 110 ss. (sulla differenza fra la concezione
di Dio cristiana e quella di Jacobi).
5 « Da man unter dem Begriffe von Gott nicht etwa bloss eine blindwirkende
ewige Natur, als die Wurzel der Dinge, sondern ein hochstes Wesen, das durch
Verstand und Freiheit der Urheber der Dinge sein soli, zu verstehen gewohnt ist,
und auch dieser Begriff allein uns interessirt, so konnte man, nach der Strenge,
dem Deisten alien Glauben an G ott absprechen und ihm lediglich die Behauptung
eines Urwesens, oder obersten Ursache ubrig lassen. Indessen, da Niemand darum,
weil er etwas sich nicht zu behaupten getraut, beschuldigt werden darf, er wolle
es gar leugnen, so ist es gelinder und billiger zu sagen: der Deist glaube einen
Gott, der T heist aber einen lebendigen Gott (summam intelligentiam) » (Kritik
der reinen Vernunft, Transz. Dialektik, I I Buch, I I I Hauptst., 7 Absch.; A 633,
B 661; Reclam 495 s.).
6 Cf. Vorrede zugleich Einleitung...y S. W ., II, p. 11 s.
526 LA RISOLUZIONE ATEA DELL'IDEALISMO
forme di spazio e tempo. E vani sono allora per Jacobi tutti gli sforzi
di Kant per difendersi dall’idealismo.
Per Jacobi quindi il risultato della critica di Kant agli idealismi di
Cartesio, Malebranche, Berkeley... fu la proclamazione di un idealismo
totale, universale e completo che volatilizza tanto il mondo materiale,
come quello spirituale: Kant perciò si oppone all’idealismo*9, una volta
che non è in grado di dimostrare la corrispondenza effettiva fra le rap
presentazioni e la realtà e così va perduto completamente tanto il mondo
della materia come quello dello spirito. Resta in Kant, Jacobi lo riconosce,
l ’affermazione positiva della « fede », la quale prende il posto della meta
fisica da lui distrutta: alla base della fede sta la coscienza della propria
vita e della propria libertà e il sapere più vero scaturisce nelPuomo
dalla sua volontà. Alla libertà, continua Jacobi, va necessariamente
connessa la Provvidenza ( Vorsehung ) poiché un’onnipotenza senza prov
videnza è cieco fatalismo; queste due realtà sono però inafferrabili per
l’intelletto di tipo kantiano o idealistico in generale dove la libertà è
preceduta dalla necessità ed è concepita in modo meccanicistico: non
è la libertà in se stessa che produce con intenzione , ch’è il principio ori
ginario di opere e fatti , la sola libertà ch’è degna di questo nome. Se è
vero che l’uomo ha conoscenza diretta di quest’attività, mediante la fede
come attività della ragione, egli è anche consapevole d’aver di fronte a
sé una natura che si trasforma di continuo secondo leggi di una ferrea
necessità: ha coscienza cioè di non essere onnipotente e perciò comprende
che al di sopra della natura c’è un Onnipotente, la cui copia (Nachgebild)
è l ’uomo 10Il. Ma tutto questo, lamenta Jacobi, è passato del tutto inosser
R is o l u z io n e d e l p a n t e is m o spinoziano n e l l ’a t e is m o
11 F. H. Jacobi, Ueber die Lehre des Spinoza, in Briefen, I ed. 1785, II ed.
1789. Sulle circostanze della polemica, v.: L. Lévy-Bruhl, La philosophic de Jacobi,
Paris 1894, p. 140 ss.
12 Era certamente nota a Jacobi l’accusa di Bayle.
13 Cf. Jacobis Spinoza Buchlein, nebst Replik und Duplik, hrsg. von Fritz
Mauthner, Miinchen 1912; H. Scholz, Die Hauptschriften zum Pantheismusstreit
zwischen Jacobi und Mendelssohn, Berlin 1916, p. X II.
IL CONFLITTO SPINOZIANO 529
Lo SPINOZISMO È ATEISMO 15
sivo, è il fato cieco, è una Vita (ammesso che sia vivente) cieca e imper
sonale, non è Dio, non è ciò che si può e si deve intendere per Dio.
L ’essenza di questa posizione è il principio degli antichi e'Ev xod 7iàv
che Spinoza, secondo Jacobi, ha in comune col Bruno al quale hanno
attinto le proprie idee metafisiche anche Cartesio, Gassendi, Leibniz16...
ed è la formula che dà il prototipo seguito poi da tutte le metafisiche
speculative.
Due erano state le difficoltà che avevano arrestato le filosofie mec
canicistiche e materialistiche dell’antichità: quella di derivare le qua
lità dell’essenza pensante dalle qualità dell’essenza corporale, cioè l’im
penetrabilità, la figura, la posizione, la grandezza e il movimento; e in
secondo luogo l ’impossibilità di procurare un’esistenza naturale al movi
mento stesso o alle sue modificazioni. Il sistema cartesiano, invece di
risolverle, non ha fatto che acuire queste due difficoltà. Ed ecco venire la
soluzione di Spinoza col suo *'Ev xal 7iav che riduce i due principi
all’unità: « La materia senza la forma e la forma senza la materia
sono due cose egualmente impensabili: la loro unificazione dev’essere
perciò dappertutto essenziale e necessaria » 17. Cioè, l ’unificazione dei mo
menti e degli attributi nell’unica sostanza è la dottrina dell’Uno-Tutto
(All-Einheitslehre ). Jacobi insiste a varie riprese nella riduzione dello
spinozismo a questo « fondamento ».
Nella lettera a Hemsterhuis mette in luce l’unità dell’essere come
principio di derivazione dei suoi modi, l ’estensione e il pensiero:
« L ’ètre n’est pas un attribut, et ne derive d’aucune facuite; il est ce
qui soutient tous les attributs, toutes les qualités et facultés quelcon-
ques: il est ce qu’on désigne par le terme de substance; à quoi rien ne
peut ètre préposé, et que tout presuppose. Parmi les différentes energies
dérivant de Tètre, il y en a qui tiennent im m é d ia t e m e n t à la substance.
Tel est le continu absolu et reel de Tétendue, et celui de la pensée. La
pensée qui n’est qu’un a t t r ib u t , une q u a l it é de la substance, ne peut
en aucun sens ètre la cause de la substance. Elle dépend de ce qui la fait
ètre; elle en est l ’expression et Taction, et il est impossible que ce soit
elle qui fasse agir la substance » 18.
19 Ueber die Lebre des Spinoza..., S. W ., IV, I, p. 129 s. Un po' più avanti si
legge la seguente precisazione: « La volonté n’est qu’un ètre secondaire, dérivé, et
de relation, ainsi que le mouvement dirige. De mème que le pourquoi de la direc
tion du mouvement ne sauroit ètre dans la direction, puisqu’alors elle auroit été
avant que d’etre; de mème le pourquoi de la direction de la volonté ne sauroit
ètre dans cette direction, puisqu’alors elle auroit été avant que d’etre. Votre
velléité déterminée par la volonté est exactement un effet qui produit la cause.
Vous m’accordez, car vous venez de l’observer vous-mème, que la volonté est
postérieure non seulement à la pensée, mais encore à l’idée. Or la pensée, considérée
dans son essence, n’est que le sentiment de Tètre . L ’idée est le sentiment de
Tètre, en tant qu’il est determiné, individuel, et en relation avec d’autres individus.
La volonté n’est que le sentiment de Tètre determiné agissant comme individu »
(1. c., p. 133 s.).
20 Ueber die Lebre des Spinoza..., S. W ., IV, I, p. 150 s. Nella sua perorazione
Jacobi fa dire a Spinoza che « ... en toutes choses Taction a précédé la réflexion,
532 LA RISOLUZIONE ATEA DELL IDEALISMO
qui n’est que le progrès de Taction. En un mot, nous savons à mesure que nous
faisons; voilà tout » (1. c., p. 157).
21 Ueber die Lebre des Spinoza..., S. W ., IV, I, p. 172 s. Jacobi per il terzo
principio cita YEpist. 29 di Spinoza.
22 Ueber die Lebre des Spinoza..., S. W ., IV, I, p. 173 ss. Jacobi rimanda a
Spinoza, Ethica, P. I, Prop. X XV III, Demostr. e Scholion, e illustra in nota
la dottrina kantiana dell’infinità (ideale) dello spazio e del tempo secondo la Cri
tica della ragion pura.
IL CONFLITTO SPINOZIANO 533
nelle Prop. XXIV e XXV. Nella Prop. XXVI si legge la formula conclusiva: « Poi
ché la coscienza è congiunta inseparabilmente con l’estensione, tutto ciò che c’è nel
l’estensione, dev’esserci anche nel pensiero» (1. c., p. 193).
28 Ueber die Lehre des Spinoza..., S. W ., IV, I, p. 196 s.
29 Ueber die Lehre des Spinoza..., S. W ., IV, I, p. 202 s. Il secondo principio
o punto nel quale Jacobi afferma che « la filosofìa della Kabbala altro non è che
uno spinozismo confuso » (1. c., p. 217 ss.) non presenta per la nostra ricerca par
ticolare interesse.
IL CONFLITTO SPINOZIANO 535
I l d in a m is m o di L e ib n iz -W o l f f è a t e is m o
vazione delle creature e della potenza di Dio con la potenza delle crea
ture... e quindi il panteismo che ne deriva; la negazione della libertà di
Dio nella creazione — e quindi anche della Provvidenza — e della li
bertà individuale degli uomini così come dell'immortalità dell'anima indi
viduale; infine la separazione assoluta anzi opposizione fra ragione e
fede, fra filosofia e teologia...32.
Tuttavia non si può negare come Leibniz si sentisse anche vicino a
Spinoza. Quando questi scrive a Oldenburg: « Nam Deum nullo modo
fato subjicio, sed omnia inevitabili necessitate ex Dei natura sequi con
cipio, eodem modo, quo omnes concipiunt quod ex ipsius Dei natura
sequatur, ut Deus se ipsum intelligat, quod sane nemo negat ex divina
natura necessario sequi; et tamen nemo concipit quod Deus fato aliquo
coactus, sed quod omnino libere, tametsi necessario, se ipsum intelligat »,
Leibniz commenta solo: « Hoc ita explicari debet. Mundum aliter pro
duci non potuisse, quia Deus non potest non perfectissimo modo operari.
Cum enim sapientissimus sit, optimum eligit. Minime vero putandum
est omnia ex Dei natura sine ullo voluntatis interventu sequi. Exemplum
de operatione Dei qua seipsum intelligit, non videtur apposi turn, quia id
fit citra interventum voluntatis » 33.
Alla fine quindi anche Leibniz identifica in Dio necessità e libertà
ed allora non si vede come possa più distinguere fra la libertà con cui
si afferma che Dio conosce se stesso e la libertà della creatio ad extra\
l ’ottimismo leibniziano si rivela così il pendant critico dell'orbo rerum est
idem ac ordo idearum di Spinoza, benché Leibniz abbia distinto decisa
mente — com'è noto — fra le vérités de raison e le vérités de fait.
Il razionalismo assoluto che lega la serie dei più grandi pensatori dell’epo
ca moderna da Descartes a Malebranche, a Spinoza, a Leibniz... procede
per passi distinti ma insieme strettamente connessi e l’idealismo trascen
dentale ne caverà una lezione decisiva: li considererà come aspetti e mo
menti di un'unica soluzione34. Se ci fu quindi qualche incertezza, special-
mente all’inizio, nella critica di Spinoza, sull’atteggiamento negativo di
Leibniz sembra non ci possa essere dubbio 35: tuttavia non trovo mai
Hobbes ma tace su Spinoza (cf. Leibniz, Die philosophischen Schriften, ed. cit.,
Bd. IV, p. 105 s.). L ’accusa di ateismo contro Spinoza partì soprattutto, come si sa,
dal Bayle (Diet. hist, et crit.y s. v.: « Il a été un Athée de système et d’une métbode
toute nouvelle », ed. di Basilea 1738, t. IV, p. 253 s. Nelle lunghe note il Bayle dà
ampie informazioni sulla letteratura contro Spinoza in particolare per l’accusa di
ateismo) e fu accolta quasi senza discussione dai deisti inglesi i quali potevano,
sotto vari aspetti, chiamarlo un loro precursore (cf. G. Bohrmann, Spinozas Stel
lurig zar Religion. Anhang « Spinoza in England », Giessen 1914, p. 59 ss.). L ’acco
stamento fra deismo e spinozismo si trova esplicito in Leibniz: « Je crois [...]
que ceux qu’on appelle Sociniens, et après eux ceux qu’on nomme Déistes et
Spinozistes, ont beaucoup contribué à répandre cette doctrine » (Leibniz, Opera O.,
ed. Dutens, t. I, p. 690 s.).
36 In una breve nota Jacobi cita Kant, ma i testi a cui rimanda (delle due Cri
tiche della ragion pratica e della ragion pura) sembrano piuttosto vaghi. L ’accusa di
ateismo partì dai pietisti della Facoltà di teologia guidati da un certo Lange,
Prlifting der verniinftigen Gedanken des Herrn Wolf von Goti, der Welt...y in
Zwei Stricken, Halle 1723, 1724: l’accusa gli procurò l’allontanamento dall’Univer
sità di Halle (cf. K. Erdmann, Das Treiben der hallischen Pietisten gegen Christian
Wolf und die Philosophie uberhaupt, nel voi. Die theologische and philosophische
Aufklàrung des sechzehnten und neuzehnten Jahrhunderts, Anhang I, Leipzig 1849,
p. 333 ss). Ha fatto uno studio storico-critico del caso E . Zeller, Wolff's Vertreibung
aus Halle; der Kampf des Pietismus mit der Philosophie. Vortràge und Abhand-
lungen, Leipzig 1865, Bd. I, p. 108 ss. Lo stesso Wolff ha cercato i motivi ideali
dell’accusa, nell’invidia accademica, richiamandosi ai casi di Socrate, Anassagora...
fino a Cartesio e Campanella (cf. De peccato in Philosophum, in Horae subsecivae
Marburgenses, a. 1731, Francofurti et Lipsiae 1731, p. 371 ss.).
37 Chr. Wolff, Theologia naturalis, §§ 671-716, ed. Francofurti et Lipsiae 1741,
p. 672 ss., spec. pp. 709-710, p. 721 ss.
538 LA RISOLUZIONE ATEA DELL’IDEALISMO
38 Chr. Wolff, Op. cit.y p. 729 s. Wolff è stato giudicato « .. l’ultimo vero
grande conoscitore dello spinozismo prima di Jacobi in Germania » (H. Scholz, Die
Hauptschriften der Pantheismusstreit, ed. cit., p. XLI).
39 XJeber die Le hr e des Spinoza.,., S. W ., IV, I, p. 223.
40 Cf. M. Wundt, Die deutsche Schidphilosophie im Zeitalter der Aufklàrung,
Heidelb. Abhandlungen 32, Tubingen 1945, p. 159. La dipendenza da Suarez risale
allo stesso Leibniz: P. Mesnard, Comment Leibniz se trouva place dans le sillage
de Suarez, Arch, de Philos. 1959, p. 7 ss. Wolff fu accusato dal teologo Budde di
aver negato anche la libertà dell’uomo per aver separato completamente l’anima
dal corpo con la negazione dell’influsso fisico e quindi di... « aver tolto ogni morale
e religione » (cf. Hans M. Wolff, Die Weltanschauung der deutschen Aufklàrung,
Bern 1949, p. 152 ss.). Sulla fortuna di Wolff, anche presso i cattolici, v. gli accenni
di F. Valjavec, Geschichte der abendlàndischen Aufklàrung, Wien-Miinchen 1961,
p. 140 ss.
540 LA RISOLUZIONE ATEA DELL'IDEALISMO
41 Ueber die Lebre des Spinoza..., Beylage V II; S. W ., IV, II, p. 125 ss.
A questo riguardo Jacobi cita il celebre testo di Spinoza: « Eh, pro dolor, res eo
iam pervenit ut qui aperte fatentur se Dei ideam non habere, et Deum nonnisi
per res creatas (quarum causas ignorant) cognoscere, non erubescant Philosophos
Atheismi accusare »: Tract, tbeol. politicus, c. 2 (F. H. Jacobi, Wider Mendelssohns
Beschuldigungen in dessen Schreiben an die Freude Lessings, S. W ., IV, II, p. 239).
Il lamento di Spinoza si riferisce probabilmente all’accusa del medico olandese van
Velthujsen: « Arbitror itaque me non magnopere a vero aberasse, neque Auctori
a me iniuriam fieri, si denunciem eum tectis et fucatis argumentis merum Athei-
smum docere » (Epist. 42, ed. Gebhardt, t. IV, p. 218). La difesa di Spinoza è
un’evasione ma è sintomatica: « Solent enim athei honores et divitias supra modum
quaerere, quas ego semper contempsi, ut omnes qui me norunt,. sciunt » {Epist. 43,
ed. Gebhardt, t. IV, n. 219). Veramente è un po’ poco, quand’è in questione la
trascendenza e la libertà di Dio nella creazione e nel governo del mondo: eh’è
il punto su cui insiste anche Jacobi.
IL CONFLITTO SPINOZIANO 541
vamente alle leggi della natura, di modo che noi non siamo in grado
di formarci nessun concetto come concetto di ciò ch’è semplicemente
naturale e ciò che non può diventare reale secondo la natura non pos
siamo neanche farlo possibile nella rappresentazione, cioè pensabile.
Per uscire dal labirinto, Jacobi afferma ch’è afferrato il soprannaturale,
resistenza di Dio, prima del naturale e che quello sta a fondamento
di questo, che la creazione sta a fondamento della causalità naturale
che non è più di stretta necessità fatalistica, com’esige invece il principio
di ragion sufficiente.
L ’uomo, insiste Jacobi, ha il principio della conoscenza in gene
rale nella ragione ( Vernunft) che è lo spirito (Geist), mediante il quale
Tuomo esiste42. Prendendo ora l’uomo tutto intero, io trovo che la sua
coscienza è composta di due rappresentazioni originarie — è il prin
cipio metodologico di Jacobi della duplice immediatezza primaria, in
contrasto col nominalismo del razionalismo, di Kant e dell’idealismo — :
la rappresentazione del condizionato e quella dell’Incondizionato. Tutte
e due sono connesse in modo inseparabile, però così che la rappre
sentazione del condizionato presuppone la rappresentazione dell’Incon
dizionato e può esser data soltanto con questa. Noi non abbiamo quindi
bisogno di ricercare prima l’Incondizionato, ma della sua esistenza
(Dasein ) noi abbiamo la stessa evidenza, anzi una certezza maggiore
di quella che noi abbiamo della nostra esistenza condizionata. L ’Incon
dizionato quindi, ch’è poi Dio stesso, in quanto non può essere fondato
o dedotto dalla natura perché è fuori della natura e di ogni connessione
naturale con essa, vien chiamato da Jacobi il soprannaturale (das
Uebernatiirliche) dal quale poi il naturale, cioè l’universo, è derivato
unicamente in modo soprannaturale e non naturale43, come vuole Spinoza
e la filosofia in genere.
Questa priorità noetica dell’Incondizionato, che Jacobi chiama
risolutamente col nome di Dio (der Gott), riduceva di molto la di
44 « Meine Briefe iiber die Lehre des Spinoza wurden desshalb nicht geschrie-
ben um ein System durch das Andre zu verdrangen, sondern um die Uniiberwindlich-
keit des Spinozismus von Seiten des Logischen Verstandesgebrauches darzutun »
(S. W ., IV, I, Vorrede, p. XXXVII).
45 « Das Causalitatsprincip des Verstandes fiihrt nicht iiber die Natur, iiber
den InbegrifE des Endlichen, hinaus. Es findet sich sogar vermittelst des Causa-
litatsprincips, dass es keinen Inbegriff des Endlichen geben kann, dass des Natur-
begriff, geschieden vom Begriff eines Uebernatiirliches, ein erdichteter Begriff
ist. Soli also iiber das Endliche hinausgegangen werden, so muss iiber das Causa-
litatsgesetz, welches das Gesetz des Endlichen ist, hinausgegangen werden,
welches nicht zulasst, dass eine Handlung sich selbst anfange » (S. W ., IV, I,
Vorrede, p. XXXII s.).
IL CONFLITTO SPINOZIANO 543
46 Ueber die Lehre des Spinoza..., Beylage II, « Diokles an Diotima ùber den
Atheismus », S. W ., IV, II, p. 47 ss. (lo scritto porta la data 7 settembre 1787).
47 Sendschreiben an Ehrard O., S. W ., I, p. 251. Nella conversazione con Les
sing: « Icb glaube eine verstàndige persònlicbe Ursache der Welt » (S. W ., IV, I,
p. 59). A questo riguardo egli cita come suo alleato contro lo spinozismo anche con
compiacenza Kant, il quale scrive: « Unter dem Begriffe von Gott versteht man nicht
etwa bloss eine blindwirkende Natur als die Wurzel der Dinge, sondern ein
hòchstes Wesen, das durch Verstand und Freiheit Urheber der Dinge seyn soli
und dieser Begriff eines lebendiges Gottes interessirt uns auch allein »: Kritik
der reinen Vernunft, A 633, B 660 s. (cf. Jacobi, S. W ., II, Vorrede, p. XXXIV).
IL CONFLITTO SPINOZIANO 545
più profondo sentimento. Noi, noi che crediamo in un Dio vero, che
si rivela ai nostri sensi nello spazio infinito e al nostro spirito nel pen
siero infinito, noi che nella natura adoriamo un Dio visibile e percepiamo
nella nostra anima la sua voce invisibile, siamo toccati in modo da pro
vare disgusto alle parole aspre con le quali Fichte definisce il nostro
Dio una semplice fantasticheria facendo perfino dell’ironia. In realtà è
dubbio se si tratti di semplice ironia o di demenza quando Fichte spoglia
il buon Dio di ogni attributo sensibile in modo da negargli persino
l ’esistenza, poiché esistere è un concetto sensibile ed è possibile solo
sensibilmente. La Dottrina della scienza, egli dice, non conosce altra
esistenza che quella sensìbile , e, poiché si può attribuire un’esistenza
soltanto agli oggetti dell’esperienza, questo predicato non è da usare
per Dio. Di conseguenza, il Dio di Fichte non ha alcuna esistenza; egli
non è ma si manifesta soltanto come pura azione , come un ordine di
fatti, come ordo ordinans, come la legge dell’universo. In tal modo l ’idea
lismo ha filtrato la divinità attraverso tutte le astrazioni possibili fin
che, alla fine, non ne è rimasto più nulla. Ora, come da voi [in Francia]
al posto di un Re, così da noi al posto di un Dio regna la legge. Ma
cosa vi è mai di più assurdo di una legge atea, di una legge che non ha
Dio o di un Dio-legge, che è soltanto una legge? L ’idealismo fichtiano
appartiene agli errori più colossali, che lo spirito umano abbia mai esco
gitato. È più empio e riprovevole del più grossolano materialismo.
Quello che qui in Francia si chiama ateismo dei materialisti, sarebbe,
come facilmente potrei dimostrare, ancora qualcosa di edificante, quasi
una fede devota, in paragone dei risultati del trascendentalismo fichtia
no » 52. Però Heine riprova la condanna e repressione poliziesca del
l’ateismo di Fichte.
------------------- V...
3 Ved. l’elenco dato da Fr. Meyer, Bine Ficbte-Sammlung, Leipzig 1921,
nn. 30-88, p. 8 ss.
4 « Ehe Fichte 1790 von der kantischen Philosophic ergriffen wurde, ist er
Fatalist mit stark spinozistiscbem Einschlage gewesen. E r fasste Goti als ein ewig
notwendiges Wesen, das kraft ewiger Notwendigkeit die Welt denkt und dadurch so
setzt wie sie ist. [...] Die Grundart des spinozistischen Begrifis vom All, das Gott
ist, kehrt in etwas vergeistigter Fassung wieder » (E. Hirsch, Gescbichte der neuern
evangeliscben Theologie, ed. cit., Bd. IV , p. 340).
EVIDENZE E OSCURITÀ DELL’« ATHEISMUSSTREIT » 551
6 « Religion ist nicht anderes, als ein praktischer Glaube an eine moralische
Weltregierung; oder, um denselben Begriff in einer bestimmten geheiligten Sprache
auszudriicken, ein lebendiger Glaube an das Reich Gottes, welches komtnen wird
auf die Erde » (F. C. Forberg, Entwicklung des Begrijfs der Religion, ed. Lindau,
p. 37; anche: Fichtes Werke, ed. Medicus, Bd. I l l , p. 137).
7 F. C. Forberg, Op. cit., Lindau, p. 37 ss., Medicus II I, p. 137.
EVIDENZE E OSCURITÀ D ELL'* ATHEISM USSTREIT » 553
come dèi se avessero agito solo in modo morale. Quindi per avere una
religione basta ammettere ch'esiste un governo morale del mondo ed
una divinità la quale governa il mondo secondo leggi morali: chi
crede a questo, ha religione. Ma ora sorge la questione: « su cosa
si fonda questa fede » (worauf grundet sich dieser Glaube)? Il Forberg
indica tre fonti delle nostre convinzioni: l'esperienza, la speculazione,
la coscienza morale (Erfahrung , Spekulation , Getuissen). Noi appren
diamo ch'esiste un governo morale del mondo, vale a dire: noi ve
diamo nell'esperienza coi nostri occhi che il bene alla fine trionfa e
che il male alla fine fallisce... Chi invece cerca la divinità fuori di sé,
nel corso delle cose, non la troverà mai. Egli incontrerà da tutte le
parti « opere del diavolo » (W erke des Teufels) e solo di rado, e sempre
timido e dubbioso, egli potrà dire: « qui c'è il dito di Dio » ( hier ist
Gottes Finger ).
La speculazione sembra, od è ritenuta, più fortunata nella di
mostrazione dell'esistenza di Dio ed è ritenuta capace di dimostrare
con sicurezza l'esistenza d'un governatore morale del mondo: il For
berg accenna alla prova ontologica che pretende concludere dal puro
concetto dell'essere perfettissimo alla sua esistenza, alla prova della
contingenza che presuppone qualcosa di assolutamente necessario e a
quella dell'ordine in quanto l'ordine del mondo non è possibile senza
un principio ordinatore. Ma nessuna di esse raggiunge lo scopo. Il
puro concetto dell’Essere perfettissimo non contiene, cioè non dimostra
la sua esistenza perché l'esistenza è un dato di fatto, non una qualità
o perfezione: è la celebre critica kantiana che ha un certo, improprio
però, riscontro con la non meno celebre critica di S. Tommaso all’argo
mento ontologico di S. Anseimo8.
Né miglior esito, continua Forberg, ottiene la speculazione con
la prova della contingenza (del mondo) la quale dovrebbe presupporre,
e provare, l'esistenza dell'essere necessario. Ma cos'è il contingente
(das Zufallige)? È forse ciò di cui si può pensare il non-essere? Al
lora in tutto l'ambito dell'intelletto umano non c'è nessun concetto
per l'Essere assolutamente necessario, poiché non è possibile trovare
cosa alcuna di cui non si possa pensare il non-essere. È mai il con
tingente ciò che non esisteva sempre, ma che una volta ha cominciato
9 Mt. 5, 8.
10 « Religion entsteht einzig und allein aus dem Wunscb, dass das Gute in der
Welt die Oberhand uber das Bose evhalten moge » (Lindau, p. 42, Medicus II I,
p. 138).
11 Riassumo l’entusiasta perorazione del Forberg (Lindau, pp. 42-53, Medicus
III, pp. 140-147).
EVIDENZE E OSCURITÀ DELL’« ATHEISMUSSTREIT » 555
12 L ’espressione richiama quella più nota degli ambienti pietisti: die Stille im
Lande, a cui allude spesso anche Kierkegaard.
556 LA RISOLUZIONE ATEA DELL'IDEALISMO
diose » che fanno luce sulla teoria che del resto non ha nulla di tra
scendentale 13:
Esiste Dio? — È e rimane incerto (si tratta di una pura curiosità
della sfera speculativa...).
È permesso all’uomo di credere in Dio? — No, perché si attri
buisce alla sfera pratica della fede un oggetto della sfera teoretica.
La religione è una convinzione dell’intelletto o una massima della
volontà? — È una massima della volontà: se fosse una convinzione
dell’intelletto sarebbe superstizione!
Come agisce l’uomo religioso? — Non si stancherà mai di pro
muovere la causa del vero e del bene nel mondo.
Può ogni uomo avere religione? — Senza dubbio, così come può
agire secondo coscienza. L'irreligione (la disperazione per la buona causa
senza sufficiente ragione) è mancanza di coscienza.
Quanti sono gli articoli di fed e della religione? — Due: fede nel
l'immortalità della virtù e fede nel regno di Dio sulla terra.
È possibile l’onestà (Rechtschaffenheit) senza religione? — No,
sarebbe un'onestà senza interesse per l'onestà; così come la religione
senza onestà non sarebbe religione, perché sarebbe interesse per l'onestà
senza onestà!
Si può essere onesti, senza credere in un Dio? — Sì, poiché qui si
tratta solo di fede teoretica (come si è già detto sopra).
Può un ateo avere religione? — Certo. Di un ateo virtuoso si può
dire ch’egli riconosce col cuore quel Dio che nega con la bocca: così,
fede pratica e incredulità teoretica possono benissimo coesistere.
Come si rapporta la religione alla virtù? — Come la parte al tutto.
Si può imparare la religione? — Sì, come le altre virtù: con
l'esercizio.
È di aiuto la religione alla virtù? — Non alla virtù in se stessa, ma
al dispiegamento delle virtù ossia alla manifestazione (Erscheinung) del
carattere virtuoso.
È la religione d ’impedimento al vizio? — Seppure può esserlo la
superstizione, ma non la religione. Chi teme la divinità è segno che
non l’ha ancora trovata. La felicità della virtù è nel trovare una divinità
e l'infelicità del vizio nel non trovarne nessuna.
Verrà una volta il Regno di Dio come il regno della verità e della
giustizia sulla terra? ■
— È incerto e, basandoci sull'esperienza del pas
sato, è piuttosto improbabile.
Invece del Regno di Dio, potrebbe venire il Regno di Satana? —
Anche questo è altrettanto incerto.
Allora la religione deWinferiore non sarebbe altrettanto fondata
come la religione delVuomo buono sulla terra? — Di fronte al poco
della speculazione, Tuna non è più fondata dell'altra.
È mai la religione adorazione della divinità? — Nient’affatto. Verso
un essere di cui l'esistenza è e resta sempre incerta, non c’è alcun
dovere: chi lo facesse è un superstizioso.
La nozione della religione esposta in questa teoria è anche quella
vera ed esatta? — Senz'alcun dubbio, supposto che si tratti di un con
cetto della religione razionale e non irrazionale, come qualcosa d'in-
comprensibile.
Ultima questione: Il concetto di una fede pratica non è piuttosto
un concetto futile che un serio concetto filosofico ? — La risposta a
questa « insidiosa » questione il Forberg dice di lasciarla volentieri al
lettore idoneo e insieme anche il giudizio se l ’autore di questo saggio
abbia voluto soltanto giocare con lui!
Il saggio che forse non è stato ancora approfondito dalla storio
grafia in tutte le sue parti e fonti principali è indubbiamente di grande
interesse teoretico e storico, anche se il contenuto speculativo è in
apparenza assai fragile: esso infatti riassume in modo abbastanza fe
lice le principali convergenze dell'ateismo moderno da Spinoza a Kant
inserendovi risolutamente la tesi di Bayle sul rapporto fra virtù e
ateismo e abbozzando il progetto della religione senza Dio ossia della
pura religione dell'ideale morale del laicismo moderno.
L ’ateismo di Forberg restava ancorato ad un kantismo a sfondo
scettico e decisamente pragmatico e anticipava di un secolo la celebre
teoria del « come se » di Vaihinger 14.
14 Cf. H. Vaihinger, Die Philosopbie des « Als-ob », V II-V III Aufl., Leipzig
1913, ove sui rapporti fra Forberg e Kant si legge: « Kein Einziger der fast unzahli-
gen damaligen-und spateren Kantschrifsteller hat im Grunde verstanden, worauf
Kant in letzter Linie mit seiner Religionsphilosophie hinzielte. Dieser Mann [For
berg] mit seinen klaren Verstand, seinem intellektuellen Mut ging der Sache auf den
Grund » (p. 736 s.). Qualche storico di Fichte è però di altro avviso: « Die Kant-
Forbergsche Als-ob-Theorie ist ganz aus vorkantischem Geiste entsprungen. Kant
selbst war diesem nicht vòllig los geworden, und Forberg war uberhaupt vom
Wirken Kants (und ebenso von dem Fichtes) nur ausserlich beriihrt » (F. Medicus,
558 LA RISOLUZIONE ATEA DELL IDEALISMO
zione propria delle scienze fisiche esula ogni spiegazione del mondo
delle sue forme in funzione della finalità, posta da un’Intelligenza
suprema. Se invece si guarda il mondo sensibile dal punto di vista
trascendentale, tutte queste difficoltà sfumano: non esiste un mondo
per sé stante; in tutto ciò che noi vediamo, vediamo unicamente il
riflesso della nostra propria attività interiore. Fichte perciò si riferisce
subito alla propria dottrina dell’Io, e lo dichiara in una lunga nota,
com’è stata più sviluppata nella Dottrina della scienza, ossia che il
principio cioè l’Io non è oggetto di dimostrazione ma d’intuizione;
esso è una verità immediata e come tale non può essere oggetto neppure
di « spiegazione » in senso proprio, poiché « ogni spiegazione rende
dipendenti » (alle Erklàrung macht abhàngig).
D ’accordo nella formula con Forberg, Fichte afferma che l’or
gano di apprensione del mondo sovrasensibile è la « fede » (Glaube ):
la fede, egli precisa con Kant ma mirando assai più alto, è l’attua
zione della libertà. Per essa io mi trovo libero da ogni influsso del
mondo sensibile, come una potenza librantesi al di sopra di ogni realtà
sensibile; insieme, questa libertà non è indeterminata ma ha uno
scopo ch’è di « porre se stessa mediante se stessa ». Il mio Io ed il
mio scopo necessario, ecco ciò che costituisce il mondo del sovrasen
sibile; di qui si comprende che l’elemento di ogni certezza è [la] fede,
non la deduzione logica. Ecco l’ordine del processo. Non si deve par
tire dalla possibilità per arrivare alla realtà, ma viceversa. Cioè, non
si deve dire: io devo, quindi posso; ma, io posso, quindi devo. Il
[principio] primo, il più immediato, è che io devo e ciò che io devo;
questo non ha bisogno di ulteriore spiegazione, autorizzazione, è co
nosciuto per sé ed è vero per sé; non è fondato né determinato da
alcun’altra verità, ma invece ogni altra verità è fondata su esso. È
questo il mondo della moralità (Moralitàt), il contenuto e lo scopo
della libertà, a cui ci porta il punto di vista trascendentale.
organisiertes und organisierendes Ganzes, das den Grund aller in ihm vorkom-
menden Phanomene in sich selbst und in seinem immanenten Gesetzen enthalt »
(J. G. Fichte, Ueber den Grund timers Glaubens an eine gòttliche Weltregiemngy
Lindau, p. 24, Medicus I I I , p. 123 s.). Sui rapporti di questo scritto con gli scritti
precedenti e specialmente con la Sittenlehre 1798, v. l’analisi di W. Ritzel, Fichtes
Relìgìonsphilosophìe, ed. cit., pp. 76 ss., 88 ss. Nello studio di Fichte bisogna
essere particolarmente attenti al significato dei termini, specialmente di quelli più
fondamentali come Wissen, Glaube..., i quali sono conservati da principio alla fine
ma con significati notevolmente diversi se non del tutto opposti.
560 LA RISOLUZIONE ATEA DELL’IDEALISMO
seguenze dei medesimi atti possono essere custodite soltanto in esso 18.
Il vero ateismo, precisa Fichte per cautelarsi, l ’autentica incredulità e
empietà consiste nel sacrificare le conseguenze delle proprie azioni, nel
non obbedire alla voce della propria coscienza prima di prevederne il
buon successo, nell’anteporre il proprio consiglio al consiglio di Dio
e nel fare di se stessi Dio. Colui che vuol fare il male per cavarne il
bene è un empio. In un governo morale del mondo non può derivare
dal male niente di buono, e certamente se allora tu credi al primo ti è
impossibile pensare al secondo19. Tu non devi mai mentire, anche se il
mondo dovesse andare in frantumi.
Ci sembra che Fichte svolga con sincerità e coerenza il proprio
attivismo trascendentale, mediante questo concetto di fede ch’è il
punto intensivo nella determinazione del reale a partire dall’attività
della coscienza. Seguiamo le ultime riflessioni. È questa la fede de
rivata, ma è anche la fede nel senso completo e pieno. Dio non è che
quello stesso ordine morale vivente e operante: non abbiamo bisogno
di nessun altro Dio e non saremmo neppure in grado di capirlo. Non
c’è nessun fondamento nella ragione per svincolarsi da quell’ordine
morale: quest’ordine morale, per poco che uno rientri in se stesso, è
quel [principio] assolutamente primo di ogni conoscenza obiettiva,
così come la libertà e la determinazione morale di ciascuno è il [prin
cipio] assolutamente primo di ogni certezza soggettiva. Ogni ulteriore
conoscenza oggettiva dev’essere fondata e determinata mediante esso,
ma esso non può essere determinato mediante nulla di altro poiché
fuori di esso non c’è nulla.
18 « Dies ist der wahre Glaube; diese moralische Ordnung ist das Gottliebe,
das wir annehmen. E r wird konstruiert durch das Rechttun. Dieses ist das einzig
mògliche Glaubensbekenntnis: fròhlich und unbefangen vollbringen, was jedesmal
die Pflicht gebeut, ohne Zweifeln und Kliigeln iiber die Folgen. Dadurch wird
dieses Gottliche uns lebendig und wirklich; jede unserer Handlungen wird in der
Voraussetzung desselben vollzogen, und alle Folgen derselben werden nur in ihm
aufbehalten » (Op. city Lindau, p. 31 s., Medicus II I, p. 129).
19 « Der wahre Atheismus, der eigentliche Unglaube und Gottlosigkeit besteht
darin, dass man iiber die Folgen seiner Handlungen kliigelt, der Stimme seines
Gewissens nicht eher gehorchen will, bis man den guten Erfolg vorherzusehen
glaubt, so seinen eigenen Rat iiber den Rat Gottes erhebt und sich selbst zum
Gotte macht. Wer Bòses tun will, damit Guter daraus komme, ist ein Gottloser.
In einer moralischer Weltregierung kann aus dem Bosen nie Gutes folgen, und
so gewiss du an die erstere glaubst, ist es dir unmoglich, das letztere zu denken »
(Op. cit.y Lindau, p. 32, Medicus II I, p. 129).
562 LA RISOLUZIONE ATEA DELL’IDEALISMO
20 Nella conclusione Dio è identificato col « divino » {Op. cit.y Lindau, p. 31,
Medicus III, p. 129).
21 « Es ist daher ein Missverstandnis, zu sagen: es sei zweifelhaft, ob ein
Gott sei oder nicht. Es ist gar nicht zweifelhaft, sondern das Gewisseste, was es
gibt, ja der Grund aller anderen Gewissheit, das einzige absolut giiltige Objektive,
dass es eine moralische Weltordnung gibt, dass jedem verniinftigen Individuum
seine bestimmte Stelle in dieser Ordnung angewiesen und auf seine Arbeit gerech-
net ist; dass jedes seiner Schicksale, inwiefern es nicht etwa durch sein eigenes
Betragen verursacht ist, Resultat ist von diesem Piane; dass ohne ihn kein Haar
fallt von seinem Haupte und in seiner Wirkungssphare kein Sperling vom Dache »
{Op. cit.y Lindau, p. 34 s., Medicus I I I , p. 131). L ’ultima espressione è un’allu
sione al Vangelo {Le. 21, 18), Ved. sopra le dichiarazioni opposte di Forberg
(p. 491 s.).
EVIDENZE E OSCURITÀ DELL'« ATHEISMUSSTREET » 563
dichiarazione ossia che per colui che riesce a riflettere anche un solo
istante non può rimaner dubbio che il concetto di Dio come una so
stanza particolare è impossibile e contraddittorio 22.
Confrontato con l'articolo di Forberg, che procede senza pieghe
o sottintesi e senza virtuosismi dialettici e trascendentali, quello di
Fichte può essere già considerato come un ritratto fedele dell'uomo e
un documento fra i più significativi del suo ingegno in uno dei mo
menti più critici dello sviluppo culturale e politico dello spirito te
desco. Nulla di più risoluto dell'affermazione di teismo, qual è data
in quest'articolo: ma nulla anche di più vago e problematico del con
tenuto di tale affermazione, nella quale Dio è ridotto alla legge o or
dine immanente alla ragione pratica. Nulla anche di più decisamente
antispinoziano nella proclamazione della libertà umana, ma insieme
nulla di più strettamente legato alla legge di questa libertà come in
serimento nell'ordine universale ch'è valido in sé e per sé. Di qui la
polemica che scoppiò immediatamente.
È noto quanto accadde dopo la pubblicazione degli scritti: l'ac
cusa di ateismo fatta da parecchie parti ai loro autori, la confisca da
parte del governo degli scritti stessi e le dimissioni di Fichte dall'Uni
versità di Jena. Ma Fichte non era un uomo che si rassegnasse alla
disgrazia, tanto più che sembra fosse convinto di essere la vittima di
un grosso error facti , ossia che la sua filosofia non era affatto atea,
ma al contrario ch'essa — sottraendo la religione alla filosofia e affi
dandola alla fede — le forniva l'unico valido fondamento. Gli scritti
polemici23 che seguirono non presentano però sostanzialmente nulla
22 « Der Begriff von Gott, als einer besonderen Substanz, unmoglich und
widersprechend ist » (Lindau, p. 35, Medicus I I I , p. 132). L ’articolo termina con due
citazioni poetiche di Goethe e Schiller, assai significative. Così Fichte si distacca
dalla concezione spinoziana, ma anche dalla concezione cristiana: « Es gibt keine
Persdnlichkeit, kein Selbstbewusstsein, ausser der eines eingeschrdnkten ìndividuellen
Ich » (E. Hirsch, Geschichte der neuern evangelischen Theologie, ed. cit., Bd. IV,
p. 352).
23 I principali sono: Appellation an das Publicum del 1799 e Riickerinne-
rungen, Antworteny Fragen..., anch’esso del 1899, ma lasciato inedito e pubblicato
dal figlio nel 1845 nell’edizione completa delle opere. Da parte sua risponde am
piamente anche il Forberg col volume: Friedrich Cari Forbergs Apologie seines an-
geblichen Atheismus, Gotha 1799, 181 pp.; cf. H. Vaihinger, Op. cit., p. 740 ss., ove
sono riassunti i momenti principali. Essi confermano punto per punto la sua pre
cedente posizione ed in particolare la tesi che il problema di Dio esula dalla
filosofia la quale perciò è intrinsecamente atea e che l’essenza della religione è la
564 LA RISOLUZIONE ATEA DELL’IDEALISMO
fede la quale si attua nel « dovere »: ogni forma di « teologia naturale » si riduce
ad antropomorfismo.
24 Cf. Appellation an das Publicum (Lindau, p. 112, Medicus II I, p. 168 s.).
Però nelle Ruckerinnerungen...} § 32, Fichte si sforza di distinguere moralità e reli
gione, affermando che la fede religiosa si connette alla coscienza morale e la compie
(Lindau, p. 315 s., Medicus III, p. 228).
25 « Nach tnìr ist die Beziehung der Gottheit auf uns, als sittliche Wesen, das
unmittelbar Gegebene; ein besonderes Sein dieser Gottheit wird gedacht lediglieli
zufolge unseres endlichen Vorstellens, und in diesem Sein liegt schlechthin nichts
anderes als jene unmittelbar gegebenen Beziehungen; nur dass sie darin in die
Einheit des Begriffs zusammengefasst sind » (Appellation an das Publicum, Lindau,
p. 119, Medicus I I I , p. 174).
EVIDENZE E OSCURITÀ D ELL'« ATHEISMUSSTREIT » 565
28 « Was sie Gott nennen, ist mir ein Gotze. Mir ist Gott ein von aller
Sinnlichkeit und allem sinnlichen Zusatze ganzlich befreites Wesen, welchem ich
daher einmal den mir allein mbglichen sinnlichen Begriff der Existenz zuschreiben
kann. Mir ist Gott bloss und lediglich Regent der ùbersinnlichen Welt. Ihren
Gott leugne ich und warne vor ihm, als vor einer Ausgeburt des menschlichen
Verderbens, und werde dadurch keineswegs zum Gottesleugner, sondern zum
Verteidiger der Religion. Meinen Gott kennen sie nicht und vermogen sich
nicht zu dessen Begriffe zu erheben. E r ist fiir sie gar nicht da, sie konnen ihn
sonach auch nicht leugnen und sind in dieser Rucksicht nicht Atheisten. Aber sie
sind ohne Gott, und sind in dieser Rucksicht Atheisten » ( Op. cit., Lindau, p. 127,
Medicus III, p. 180). Un po’ più sotto: « Unsre Philosophie leugnet die Existenz
eines sinnlichen Gottes und eines Dieners der Begier » (Lindau, p. 131, Medicus
II I, p. 183).
* 29 « In Ahsìcht der Religionslehre ist ihr einiger Ztveck der, dem Menschen
alle Stiitzen seiner Traghetta und alle Beschónigungsgrunde seines Verderbens zu
entreissen, alle Quellen seines falschen Trostes zu verstopfen; und weder seinem
Verstande noch seinem Herzen irgendeinen Standpunkt ubrigzulassen als den der
reìnen Pflicht und des Glaubens an die ubersinnliche Welt » (Lindau, p. 131,
Medicus III, p. 183).
30 Op. cit., Lindau, p. 131, Medicus I I I , p. 65 s.; v. anche: Riickerinnerun-
gen..., g 16, Lindau, p. 296 s., Medicus II I, p. 213 s.
EVIDENZE E OSCURITÀ DEL l ’« ATHEISMUSSTREIT » 567
34 « Durch ein gottliches Leben wird man Gottes inne » (Briefe iibev die
Lehre des Spinoza. Fichte cita la II ed., p. 234 s.),
35 « Gott konne nicht gewusst, sondern nur geglaubt werden. Ein Gott, der
bewusst werden konnte, ware gar kein Gott » (Lettera di Jacobi an Fichte del 1799,
Vorbericht; S. W ., I l i , p. 7). Questo testo è riportato in un contesto affine da
H. L. Mansel, The Limits of Religious Thought, II I ed., London 1859, p. 354.
EVIDENZE E OSCURITÀ DELL,’« ATHEISMUSSTREIT » 569
di Fichte nella scia diretta della filosofia moderna ossia che essa risulta
delle sue due componenti principali, lo spinozismo e l ’idealismo: è
uno spinozismo idealistico ossia «rovesciato» (umgekehrte Spinozis-<
mus) rispetto al materialismo illuministico, una sintesi di materia
lismo e d’idealismo, e lo proclama perciò « il re fra i giudei della
ragione speculativa ». Egli poi gli concede ampiamente che la « scien
za », ch’è la filosofia pura per Fichte, sia un agire interiore, autopro
duzione del suo oggetto in forma di pensieri mediante la forma ori
ginaria dell’Io ch’è quindi principio e mezzo di risoluzione di ogni
oggetto di conoscenza. Ed è qui che si manifesta la divergenza, pre
cisa Jacobi: mentre Fichte vuole che si dimostri che il fondamento
di ogni verità si trova nella scienza del sapere, lui invece intende sia
manifesto che questo fondamento, cioè il vero stesso, si trova neces
sariamente fuori di essa36. È in questo che consiste per Jacobi il
rapporto di simpatia-antipatia, d’identità e differenza fra lui e Fichte.
La filosofia di Fichte è una filosofia pura, cioè una filosofia assoluta-
mente immanente, un vero sistema della ragione, nella quale ogni
cosa dev’essere data soltanto nella ragione e per mezzo di essa, nel
l’Io in quanto Io, nell’egoità pura, e dev’essere in essa contenuta;
poiché la ragione soltanto, e soltanto da se stessa, deve poter dedurre
ogni cosa. Si vede subito che il critico vuole andare a fondo, senza
perdere tempo.
Con un tratto magistrale Jacobi svela la nuova via dell’attuali
smo puro di Fichte e il nuovo « principio della negatività », come atto
costitutivo dell’essere della coscienza, col quale la filosofia presentata
nelle Wissenschaftslehren di Fichte tagliava i ponti col dualismo e col
realismo e dava inizio a quel nuovo cammino dello spirito che di
tappa in tappa avrebbe portato l ’uomo all’ateismo positivo o costrut
tivo della filosofia del nostro secolo. Jacobi non si ferma alla polemica
contingente sull’ateismo e non si riferisce affatto espressamente agli
scritti incriminati; egli guarda più a fondo, si riporta alla filosofia si
stematica che Fichte veniva elaborando ed esponendo fin dal 1790,
perché assuma tutta la sua responsabilità. La filosofia di Fichte è mo-*I,
36 « Beide wollen wir also mit àhnlichem Ernst und Eifer, dass die Wissen-
schaft des Wissens — welche in alien Wissenschaften das Eine, die Weltseele in der
Erkenntniswelt ist — vollkommen werde: nur mit dem Unterschiede, dass Sie
es wollen, damit sich der Grund aller Wahrheit als in der Wissenschaft des Wissens
liegend zeige, ich, damit offenbar werde, dieser Grund » (Lindau, p. 165, Jacobi
III, p. 17).
570 LA RISOLUZIONE ATEA DELL IDEALISMO
allein im Be griffe zu entstehen, sich zu haben: in dem Begriffe eines reinen abso-
luten Ausgehens und Eingehens, urspriinglich — aus nichts, zu nichts, fiir nichts,
in nichts » (Lindau, p. 168, Jacobi II I, p. 21 s.).
39 « 1st das Hòchste, worauf ich mich besinnen, was ich anschauen kann, mein
leer und reines, nackt und blosses Ich, mit seiner Selbstandigkeit und Freiheit, so ist
besonnene Selbstanschauung, so ist Verniinftigkeit mir ein Fluch — ich verwunsche
mein Dasein » (Lindau, p. 181, Jacobi II I, p. 41).
572 LA RISOLUZIONE ATEA DELL’IDEALISMO
48 Fra questi c’è, p. es., Kierkegaard (cf. Diario, s. v. Lutero, tr. it. C. Fabro,
II ed., Brescia 1962, voi. II, p. 926 ss.).
49 Cf. Gerichtliche Verantwortungsschrift..., Lindau, p. 205 ss.
576 LA R ISO LU Z IO N E A T EA D E L L ID E A L IS M O
54 « Jeder Glaube an ein Gb ttliches, der mehr enthàlt als diesen Begriff der
moralischen Ordnung, ist insofern Erdichtung und Aberglaube, welcher umchàdlìch
sein mag, aber doch immer eines verniinftigen Wesens unwurdig und hòchst
verdàchtig ist » (Lindau, p. 352, Medicus II I, p. 258 s.).
55 La deduzione trascendentale dell’Io puro è esposta in forma sistematica nelle
Grundlagen der gesammtem Wissenschaftslehre del 1794, in dieci punti (Medicus
I, p. 286 ss.).
EV ID EN ZE E O SC U R ITÀ D E I X ’« A T H E IS M U S S T R E IT » 579
abbia potuto concepire Dio come « l’ordine morale del mondo » ossia
ridurlo alla razionalità morale o moralità razionale nel suo attuarsi e
quindi perché egli abbia eliminato Dio come Assoluto metafisico: è vero
che Fichte pone Dio come VIncondizionato condizionante, ma non è
meno vero che il suo Dio senza l ’uomo, senza il mondo della libertà e
dei valori umani, non è Dio, non è più concepibile, quindi Dio senza
l ’uomo non può più esistere. Quindi senza l’Io Dio non è Dio: la
formula è nostra, ma è l ’espressione schietta della dottrina di Fichte.
schieden, dass das Objekt der letzteren selbst eine freie Handlung, das Objekt
der ersteren aber notwendige Handlungen sind » (Ueber den Be griff der Wissen
schaftslehre, II Abschn., § 7, Medicus I, p. 202).
58 Grundlagen der ges. Wiss., § 3, Medicus I, p. 313.
59 « Das Ich setzt das Nicht-Ich als heschrankt durch das Ich ». « Das Ich
setzt sich selbst als beschrankt durch das Nicht-Ich » (Grundlagen der ges. Wiss.,
§ 4, Medicus I, p. 320 s.).
EVIDENZE E OSCURITÀ D E L l/« ATHEISMUSSTREIT » 581
65 « Alles Sein ist ihr notwendig ein sinnlichesy denn sie leitet den ganzen
Begriff erst aus der Form der Sinnlichkeit ab; und man ist in ihr vor der
Behauptung eines Beziehungsmittels darauf vollkommen gesichert. Die intellek-
tuelle Anschauung im kantischen Sinne ist ein Unding, das uns unter der Hànden
verschwindet, wenn man es denken will, und das uberhaupt keines Namens wert ist.
Die intellektuelle Anschauung, von welcher die Wissenschaftslehre redet, geht
gar nicht auf ein Sein, sondern auf ein Handeln » ( Zweite Binleitung in die
Wissenschaftslehre, § 6, Medicus I I I , p. 56). Mi permetto di rimandare, su questo
punto della risoluzione del cogito nel volo, al mio: G. F. G. Hegel. La dialettica,
Introduzione, p. LXXXIV ss.
66 « Sein ist offenbar kein reales Pradicat, d. i., ein Begriff von irgend etwas,
was zu dem Begriffe eines Dinges hinzukommen kònne. Es ist bloss die Position
eines Dinges, oder gewisser Bestimmungen an sich selbst. Im logischen Gebrauche
ist es lediglieli die Copula eines Urtheils » (Kritik der reinen Vernunft, Transz.
Dialektik, II Buch, 3 Hauptst., A. 599).
67 «R ein philosophisch miisste man von Gott reden: E r ist (diedogische
Kopula) kein Sein, sondern ein reines Handeln (Leben und Prinzip einer iibersinn-
lichen Weltordnung), gleichwie auch ich, endliche Intelligenz, kein Sein, sondern
ein reines Handeln bin: - pflichtmàssiges Handeln, als Glied jener iibersinnlichen
Weltordnung» ( Gerichtliche Verantwortungsschrift..., Lindau, p. 221).
EVIDENZE E OSCURITÀ DELL’« ATHEISMUSSTREIT » 585
qui allora si deve anche ammettere che Dio non può essere detto né
sostanza, né causa, né persona, né provvidenza... né altro di simile, poiché
queste sono categorie che si riferiscono alla sfera dell’intuizione sensibile
e sarebbe perciò ridurre Dio ad una sostanza materiale.
Fra le poche voci, levatesi in soccorso di Fichte, contro la valanga
délVAtheismusstreit, si può ora leggere un breve scritto di F. Schlegel,
in forma di una dichiarazione: « Per Fichte. Ai tedeschi », ch’è datata
nel 1799. In apertura Schlegel accusa i tedeschi di non aver capito un
bel nulla della filosofia di Fichte e può darsi benissimo che non capiranno
nulla anche di questa sua difesa; ma anche se non soddisfarà la loro
attesa, questo non gli impedirà di essere esplicito. Nella società a cui
tutti apparteniamo, egli osserva, tutti devono aspirare con verità e virtù
all’Eterno: ognuno quindi che si sente chiamato a pronunciarsi su ciò
che interessa tutti, deve dire la propria opinione come « voce di un
Singolo » {als Stimme eines Einzelnen). Se ognuno aspira soltanto ad
essere come Singolo, ciò che deve essere, allora il medesimo Spirito
diventerà chiaro da se stesso in universale.
Il punto della controversia, secondo Schlegel, è stato, in maniera
incomprensibile, completamente frainteso. « Non si fa questione pro
priamente di ateismo e teismo. Infatti tanto Fichte quanto i suoi avver
sari, quelli benpensanti, sono d’accordo che l ’uomo deve riferire alla
volontà di Dio tutto il suo fare e non fare (Thun und Lassen). L ’oggetto
della controversia è la esistenza (Dasein ) in generale, non la cosiddet
ta esistenza di Dio ma ogni esistenza in generale ed il suo valore e non
valore rispetto all’agire ed il rapporto di entrambi all’Infinito e al finito.
Fichte afferma che l’agire puro è il [momento] originario e primo da cui
procede l ’esistenza ed è contraddittorio derivare l ’agire da un’esistenza
data originariamente secondo i precedenti filosofi. Ogni esistenza è finita
e sensibile e soltanto nell’agire può l’uomo afferrare l ’Infinito ed acqui
stare il diritto di cittadinanza nel mondo sovrasensibile. Perciò il filosofo
come tale non può pensare la Ragione infinita che nel suo agire eterno e,
come questo stesso, mai attribuirle un’esistenza fuori di questo. In una
parola, è la lotta fra idealismo e realismo ». A suo parere anzi la filosofia
di Fichte si trova perfettamente d’accordo con la filosofia cristiana
« ...non per un accostamento arbitrario ma per l ’interiore necessità dei
suoi propri principi. Anche secondo questa filosofia c’è nel mondo una
lotta eterna del bene e del male. Esistono nell’uomo due tendenze ori
ginariamente diverse, [Puna] verso il finito e [ l ’altra] verso l ’Infinito:
non c’è quindi una semplice diversità di grado, di sfumatura, fra virtù
e vizio, ma un’opposizione assoluta del cammino che ogni uomo è libero
586 LA RISOLUZIONE ATEA DELL’IDEALISMO
L a po lem ic a di J acobi-Schelling
3 « E r ist demnach das Interesse der Wissenschaft, dass kein Gott sey, kein
ubernatiirliches, ausserweltliches, supramundanes Wesen. Nur unter dieser Be-
dingung, namlich, dass allein Natur, diese also selbstandig und alles in allem
sey — kann die Wissenschaft ihr Ziel der Vollkommenheit zu erreichen, kann sie
ihrem Gegenstande gleich und selbst alles in allem zu werden sich schmeicheln »
(F. H. Jacobi, Von den gdttlicken Dingen..., S. W ., I l i , p. 384 s.).
4 Jacobi a questo proposito cita F. Schlegel che rimprovera alla « filosofia
della natura » di togliere la distinzione fra il bene e il male: « Das System welches
lehret, Alles sey Eins (Es nenne sich Naturalismus, Pantheismus, Spinozismus oder
wie es wolle) hebt den Unterschied des Guten und des Bosen unvermeidlich auf,
so sehr es sich in Worten dagegen strauben mag. — Denn wenn alles nur Eines
ist, so ist es alles gut, und jeder Anschein von dem, was wir unrecht oder
schlecht nennen, nur eine leere Tauschung » (F. Schlegel, JJeber die Sprache nnd
Weisheit der Indier, apud: F. H. Jacobi, Op. cìt., S. W., I l i , p. 387, nota).
590 LA R ISO LU Z IO N E A T EA D E L L ’ID E A L IS M O
5 « Sie [die Natur] sey einzig und allein das Hervorbringen ah solcbes, das
reine Hervorbringen ohne alle Absicht, die absolute Produktivitat » (F. H. Jacobi,
Von den góttlichen Dingen...y S. W., I l i , p. 389).
6 « Die Natur oder die absolute Produktivitat sey - die Heilige ewig schaffende
Urkraft der Welt, die alle Dinge ans sich selbst erzeuge, und wevkthdtig bervor-
bringe\ sie sey der allein ivabre Gott, der Lebendige » (F. H. Jacobi, Op. cit.y
S. W ., I l i , p. 390 s.).
7 F. H. Jacobi, Op. cit.y S. W ., I l i , p. 394 s. Jacobi, fondato sul suo fideismo,
diffida poi ogni prova metafisica delFesistenza di Dio e della creazione poiché nel
l’uomo, secondo la sua dottrina del Glaubey la coscienza immediata della libertà
della natura è insieme coscienza della sua somiglianza con Dio e della dipendenza
da Dio (Op. cit.y S. W ., I l i , pp. 400 s., 412 ss.).
8 « Man wird Naturalist oder Theist, nachdem man entweder dem Verstande
die Vernunft, oder der Vernunft den Verstand unterordnet » (F. H. Jacobi, Op. cit.y
S. W ., I l i , p. 412).
RISOLUZIONE DELL'IDEALISMO NEL PANTEISMO ATEO 591
il mondo e tutti gli esseri finiti all'Assoluto come Causa prima, il natu
ralismo risolve tutta la realtà del mondo nell'Uno-Tutto... come fonda
mento e abisso infinito (ein unendlicher Grund und Abgrund). È una
sostituzione o inversione assai sintomatica per smascherare il vero volto
delle nuove filosofie nelle loro variazioni panteistiche9. Jacobi ripete
perciò a Schelling, contro il materialismo trascendentale, ciò che aveva
opposto a Fichte, contro il suo moralismo trascendentale: « La ragione
senza personalità è un assurdo, lo stesso assurdo di quella materia fon
damentale o di fondamento originario, ch'è tutto e non uno, ossia uno e
nessuno, la perfezione dell'imperfetto, l'assolutamente indeterminato,
ed è chiamato Dio da coloro che non vogliono sapere del vero Dio, ma
che tuttavia evitano di negarlo: con le labbra » 101. La formula intensiva
di questa lotta di giganti, che il vecchio Jacobi sta conducendo contro
il panteismo ateo dell'idealismo trascendentale, si legge in un'ampia ci
tazione presa dalla Jenaische allgemeine Literaturzeitung (1807, l'anno
della Phànomenologie des Geistes di Hegel!) e costituisce una nuova
professione della sua fede filosofica: « Senza il mondo, non c'è Dio: è
la formula in cui si esprime nel modo più semplice e chiaro il naturalismo.
Ma tutte le religioni hanno da tempo immemorabile capovolto la propo
sizione e affermato: Senza Dio, non c'è il mondo. La fede in Dio ci
è data prima di ogni intuizione del mondo; col nostro Io è già dato un
Io originario. Nel profondo dell'animo noi intuiamo la forma originaria
della vita e la vediamo riflettersi nel volto senza veli della natura, e allora
restiamo attoniti, amiamo e preghiamo: questo è religione; non un pro
cesso chimico d'identificazione, dove noi ci fondiamo in un crogiolo,
insieme con la natura, per diventare una massa caotica e buttiamo all’aria
la nostra vita e insieme quella della natura e Dio » n.
12 II titolo completo è: Denkmal der Schrift von den gottlichen Dingen etc.
des Herrn F. H. Jacobi und der ìhm in derselben gemachten Beschuldigung eines
absichtlichen tauschenden, huge redenden Atheismus, 1812 (ma finito di scri
vere il 13 dicembre 1811), S. W ., Stuttgart u. Augsburg 1861, Abt. I, Bd. V ili,
p. 19 ss.
13 « Hienach solite man schliessen, der Satz: uber der Natur sey nichts und
sie allein sey, mùsse dem Leser liberali in meinen Schriften entgegenkommen. Ich
versichere, dass er in keiner einzigen meiner Schriften anzutreffen ist » ( Op. cit.,
p. 25). Più avanti Schelling osserva che Jacobi per questo falso in scrittura pubblica
sarebbe passibile della pena comminata dalla Lex Cornelia (1. c., p. 35, nota).
RISOLUZIONE DELL'IDEALISMO NEL PANTEISMO ATEO 593
14 « Wir verstehen un ter Natur die absolute Identitàt, sofern sie nicht als
seyend, sondem als Grund ihres eignen Seyns betrachtet wird » (Op. cit.y p. 25).
15 I termini polemici sono: « Alleinheitslehre, Identitatslehre, Naturphiloso
phic... », dati come identici (Op. cit., p. 23).
16 « Die Naturphilosophie erkennt nur Ein hòchstes Princip und hebt inso-
fern alien Dualismus auf, ausgenommen den in dem hochsten Princip selbst » (Op.
cit.y S. W ., I, 8, p. 2).
594 LA R ISO LU Z IO N E A T EA D E L L ’ID E A L IS M O
del medesimo » 20. Il testo di Kant, ch’è un’eco in qualche modo della
schietta distinzione tomistica fra ragione e fede e della precedenza della
ragione sulla fede, attinge però la stessa dottrina kantiana sulla « fede
razionale » (Vernunftglaube) di cui Jacobi, come si è detto, si era fatto
forte per combattere il razionalismo teologico.
La controversia quindi penetra per gradi nel cuore dello sviluppo
del pensiero moderno e mostra l ’approfondirsi del disagio nel trovare
un « fondamento » ( Grund ) per la risoluzione del problema della verità
nel suo momento originario. Schelling passa poi, come Fichte, a prendere
le difese di Lessing contro Jacobi e specialmente contro la sua teoria del
« salto » (Sprung) per difendere le idee spinoziane del primo: « Lessing,
in una parola, si comportò da filosofo autentico che non si vergogna
della professione, che non era disposto ad abbandonare il suo intelletto
e che preferiva le malfamate idee spinoziane a quelle ortodosse quando
queste non erano rese evidenti anche per l’intelletto, un’opinione —
commenta Schelling — in cui ogni vero pensatore non gli può dar
torto » 21. Jacobi è preso dal delirio dell’ateismo e il suo cervello non fa
che sognare atei dappertutto! Né gli giova l’espediente di mettersi sotto
la protezione di Kant e di adottare la sua terminologia: l’aver identifi
cato il Gefiihl della sua teoria con la Vernunft di Kant, non ha servito
che ad abbassare la Vernunft e a fare confusione22. Deplora Schelling in
particolare la lettera di Jacobi a Fichte e l ’accusa ivi contenuta contro la
sua filosofia la quale, perchè non insegna un Dio personale, è spacciata per
atea, benché Fichte volesse anche parlare di Dio e delle cose divine e non
ci fosse nei suoi scritti neppure una parola indicante ch’egli negasse Dio.
Nella parte positiva del suo scritto che tratta dell’aspetto scientifico
(das Wissenschaftliche), Schelling passa al contrattacco: nulla di più
inconsistente e vago del Glaube di Jacobi ed è allora la sua filosofia
che porta all’ateismo! Egli passa a confrontare la filosofia di Jacobi in ben
20 Op. cit., S. W ., I, 8, p. 41; cf. E. Kant, Was heisst sich im Denken orien-
tieren?, Cassirer IV, p. 352. Lo scritto è una risposta di Kant alla polemica Men
delssohn-Jacobi sullo spinozismo e lo riprenderemo fra poco nella conclusione di
questa discussione.
21 Op. cit., p. 45. Ma nella nota della p. 46 Schelling si adopera a sca
gionare Lessing dall’accusa di spinozismo!
22 Viene citato per rincalzo anche il giudizio severo di Hegel, ch’è detto
« un giudice profondo » ( ein griindlicher Beurtheiler), contro le « ... distorsioni
e le false citazioni» di Jacobi (Op. cit., p. 49).
RISOLUZIONE DELL'IDEALISMO NEL PANTEISMO ATEO 597
dieci punti con la sua mostrando, di volta in volta, da quale parte stiano
il teismo e l ’ateismo. Notiamo le osservazioni più notevoli. Quando
Jacobi mette l ’essenza di Dio in ciò che i filosofi hanno detto l’« aseità »,
per indicare ciò che in Dio c’è di più profondo e di più nascosto, in realtà
egli si ferma al concetto di una sostanza spinozistica: può mai questa
aseità essere coscienza, essere il Dio cosciente? Riesce Jacobi a com
porre l ’aseità con la coscienza? 2324. Arbitraria è poi l’opposizione che
Jacobi mette fra naturalismo e teismo, come sistemi antitetici: « Io in
fatti intendo per naturalismo non un sistema che si riferisce alla natura
esteriore, ma il sistema che afferma una natura in D io 24. Teismo e natu
ralismo s’integrano a vicenda: il teismo da solo, senza il naturalismo, non
può fare un passo e allora voler affidare la certezza dell’esistenza di Dio
ad espedienti come... presentimento {Ahnung), nostalgia ( Sehnsucht) e
sentimento ( G efuhl ), è un battere l ’aria invano. L ’errore di questo teismo
è di partire da Dio per arrivare alla natura, mentre il cammino va fatto in
direzione inversa, ossia con la dottrina che in Dio ci sia per fondamento,
per principo di sviluppo ( Entwicklungsgrand ), una natura ». Uno « spi-
nozismo dinamico » quindi anche il sistema di Schelling, come quello di
Fichte, ma che intende trasfigurare il mondo sensibile e riempirlo di
Dio, come Goethe.
Anche questo confronto diretto delle due dottrine non ha però
portato ad alcun risultato apprezzabile, se non a quello di chiarire ancor
di più il contrasto e l’inconciliabilità, come si rileva dalla conclusione:
« Jacobi afferma una conoscenza incondizionata di Dio — probabilmente
di un Dio personale — la quale proviene immediatamente dalla ragione.
In questo io non posso esser d’accordo e, con licenza del mio maestro
[ = Jacobi], egli afferma più di quanto io non desideri. Il sapere puro
immediato della ragione può essere soltanto un sapere mediante la sua
legge assoluta: un conoscere la contraddizione ovvero Vassoiata identità
delVInfinito e del finito, come la Realtà suprema. Questo conoscere è
certamente anche un sapere di Dio in quanto l ’essenza di quell’assoluta
identità è già Dio stesso, ossia, per parlare più esattamente, è la mede
sima essenza la quale si trasfigura in un Dio personale ». Ma ciò non si
23 Op. ait., S. W ., I, 8, p. 62; v. anche più sotto (p. 73 s.) Taccusa dell’impos
sibilità in cui lo stesso Jacobi si trova di affermare la « personalità » di Dio.
24 « Verstehe ich unter N aturalism i nicht irgend ein auf die aussere Natur
sich beziehendes System, sondern das System, welches eine Natur in G ott be-
hauptet » (Op. cit.y S. W ., I, 8, p. 69).
598 LA RISOLUZIONE ATEA DELL’IDEALISMO
divergono nel fondo e nel profondo, nel significato e nel segno cioè del-
Tessere, nelTantitesi delTimmanenza e della trascendenza che non am
mette conciliazione ma traduce una tensione infinita ch’è quella ora in
atto, di cui Hegel e non altri è il principale ispiratore: non Feuerbach,
non Marx, non Darwin, non Haeckel, non Sartre... che sono pensatori
di secondaria importanza al suo confronto e diventano addirittura insi
gnificanti senza di lui. L ’ateismo contemporaneo, come radicalizzazione
del cogito senza residui, rimanda soprattutto ad un pensatore, e questo
è Hegel.
Per la nostra ricerca basti osservare, in chiave affermativa, che nes
suno ha proclamato e difeso più di Hegel resistenza di Dio, non solo
dedicando a questo problema un celebre corso di lezioni, ma ponendo Dio
come principio e medio e termine della ricerca della realtà e della verità:
così egli ha potuto respingere con indignazione, come si è visto sopra,
l ’accusa di ateismo. Più ancora, sempre in chiave affermativa, anzi nessu
no più di Hegel ha affermato l’accordo fra ragione e fede, e precisamente
fra la (sua!) filosofia e il cristianesimo: più di Jacobi e di Fichte, paladini
della fede, e più dello stesso teologo (l’avversario!) Schleiermacher. Ma
bisogna anche osservare subito, in chiave negativa, che si tratta degli
onori della sepoltura.
Si tratta, è vero, dappertutto dell’Assoluto ed Hegel lo chiama
Dio: però non è il Dio trascendente ma immanente al finito, come Realtà
e Verità, e Idea e Tutto del finito. Circolo infinito di circoli...: è un
« Dio che senza il mondo non è Dio » 32, e mai espressione fu più
spaventosa e più felice a un tempo per caratterizzare l’abisso di vuoto e
di disperazione dell’epoca moderna!
Poi, riguardo alla religione e al cristianesimo, è vero che Hegel si
profonde in atti di omaggio per Tuna e per l’altro e in particolare attri
buisce al cristianesimo la scoperta dell’uomo come « spirito » ( Geist ):
ma è altrettanto certo che subordina la coscienza religiosa alla coscienza
filosofica e considera i dogmi della Rivelazione cristiana (Trinità, Incar
nazione, Peccato originale...) come semplici miti e rappresentazioni prov
visorie di ciò che il concetto puro esprime in modo assoluto, ossia come
attuazioni imperfette della coscienza, che scompaiono di fronte alla
filosofia. Tutta la filosofia di Hegel — ch’è ad un tempo di massima sem
plicità e di estrema complessità — si presenta come un movimento
alterno di « trasferimento » del finito nell’Infinito come nella sua realtà
33 « Wenn das gòttliche Wesen nicht das Wesen von Mensch und Natur
ware, so ware es eben ein Wesen, das nichts ware » (Philosophie der Weltgescbichte,
Einleitung, ed. Lasson I, p. 38). Espressioni come queste si potrebbero moltiplicare.
P. es. circa la conoscenza di Dio: « Dass der Mensch von Gott weiss: ist nach
der wesentlichen Gemeinschaft ein gemeinschaftliches Wissen, - d. i. der Mensch
weiss nur von Gott, insofern Gott im Menschen von sich selbst weiss, dies Wissen
ist Selbstbewusstsein Gottes, aber ebenso ein Wissen desselben vom Menschen, und
dies Wissen Gottes vom Menschen ist Wissen des Menschen von Gott. Der Geist
des Menschen, von Gott zu wissen, ist nur der Geist Gottes selbst » (Philosophie
der Religion, Anhang « Beweise fiir das Dasein Gottes », ed. Marheineke II,
p. 496, ed. Lasson II I, 2, p. 117).
34 Philosophie der Religion, 1. c., ed. Marheineke II, p. 494, ed. Lasson III,
2, p. 115.
602 LA RISOLUZIONE ATEA DELL'IDEALISMO
35 Cf. Geschìchte der Philosopbie, ed. Michelet II I, p. 332 s., spec. p. 360 s.
(accusa di ateismo Jacobi), p. 366 s.
36 La derivazione (o « superamento ») della Trinità cristiana nella dialettica
del concetto è già esposta in modo compiuto nella Vhanomenólogie des Geistes. Die
offenbare Religion, ed. Hoffmeister, p. 534 ss., su cui torneremo più avanti nella
RISOLUZIONE DELL’IDEALISMO NEL PANTEISMO ATEO 603
dei « Concetto » è l’ultimo capitolo della Wissenschaft der Logik (« Die absolute
Idee ») che andrebbe riportato su doppia colonna con l’esposizione che diamo
della Philosophic der Religion.
39 Hegel difende in questo con energia il valore fondamentale che ha il
dogma trinitario del cristianesimo, contro le trascuratezze del teologo pietista
Tholuck, suo avversario (cf. Enc. d. philos. Wiss.y Vorrede zur zweiten Aufl., ed.
Hoffmeister, p. 16 s.; v. anche l’accenno nella ree. ad Hamann: Berliner Schriften,
ed. Hoffmeister, Hamburg 1956, p. 259).
RISOLUZIONE DELL'IDEALISMO NEL PANTEISMO ATEO 605
purus degli scolastici, nota Hegel), ma per esser posto come atto puro,
dev'essere posto nei suoi momenti. Al pensiero appartiene un che di
Altro, ecc. e Hegel ripete la filastrocca che abbiamo già esposta.
Ciò che invece merita di essere rilevato, e di cui Hegel fa soltanto
sparsi accenni, è la corrispondenza fra le norme del pensiero soggettivo,
in senso hegeliano — concetto, giudizio, conclusione — nel rapporto che
esse hanno alla spiegazione trinitaria. Il concetto (Begriff ) nella sua ve
rità universale, astratta, è il Padre, di cui Hegel ha sempre assai poco da
dire. Nel giudizio (das Urtheil) è l'Altro, ciò che si oppone all’universale,
il particolare, D io , come il distinto da esso, ma così che questo distinto
è la sua intera Idea in sé e per sé...: come nel concetto indistinto si può
dire che il pensiero assume la forma di « intuizione pura » (reine An-
schauung), così nel giudizio si può parlare di una « assoluta scissione »
(absolute D irem tion) 45, il momento cruciale della dialettica e della misti
ficazione hegeliana del dogma cristiano. Per lui la formula cristiana della
Trinità, come rapporto di Padre, Figlio e Spirito, è fanciullesca... limitata
all’ambito dell'immaginazione.
Hegel non si stanca di ritornare sui suoi passi e noi lo seguiamo
per l'ultima volta e non sarà fatica inutile: qui troviamo l'applica
zione esplicita del ritmo ternario dialettico. Per lui il Padre è il Dio
astratto, è l'Universale, la particolarità eterna, abbracciante, totale.
Noi siamo [qui] nello stadio dello Spirito, l'Universale include qui
tutto in sé; l'Altro, il Figlio, è l ’infinita particolarità, l'apparizione;
il terzo, lo Spirito, è la singolarità come tale, ma l ’Universale come
totalità è anche spirito, tutti e tre sono spirito. Nel terzo noi dicia
mo, è Dio lo spirito, ma questo è anche presupponente, il terzo è
anche il primo. Questo è essenzialmente da mantenere. Infatti quando
noi diciamo: Dio in sé secondo il suo concetto è la potenza immediata,
che si dirime e che ritorna in sé, allora questo è soltanto come la nega
tività che immediatamente si rapporta a se stessa , cioè l'assoluta rifles
sione in sé, ciò ch'è già la determinazione dello spirito. Poiché noi vo
gliamo pertanto parlare di Dio come nella sua prima determinazione,
secondo il suo concetto, e di qui vogliamo giungere alle altre determina
zioni, ecco che noi qui parliamo già del terzo: VUltimo è il Primo.
Poiché noi per evitare questo, si comincia astrattamente; o poiché
l'imperfezione del concetto trascura di parlare del Primo solo secon-
45 Philosophie der Religion, ed. cit., Bd. II, pp. 225, 237, 240, e passim. « Di-
remtion » è un termine proprio di Hegel di difficile traduzione.
RISOLUZIONE DELL'IDEALISMO NEL PANTEISMO ATEO 609
50 « Gott ist Geist, das sich Gegenstàndlichmachende und sich darin selbst
wissend, das ist die concrete Identitat » (Philosophie der Religion, ed. cit., Bd. II,
p. 236). Perciò un teologo danese, contemporaneo di Kierkegaard, concludeva che
nella filosofia hegeliana non si può più parlare della categoria della personalità:
« At Personlighedens Kategorie, sensu teologico, ikke naermere er kommen til
Orde i Hegel Logik, er indlysende » (P. M. Stilling, Den moderne Atheisme, Cope
naghen 1844, p. 33).
612 LA RISOLUZIONE ATEA DELL'IDEALISMO
51 Philosophie der Religion, ed. cit., Bd. II, p. 228 s. Più sotto: « Gott schaut
in dem Unterschiedenen sich an, ist in seinem Anderen nur mit sich selbst ver-
bunden, ist darin nur bei sich selbst, nur mit sich zusammengeschlossen, er schaut
sich in seinem Anderen an » (1. c., p. 233). Ancora: « Gott, der Geist, ist es eben
selbst auch, der diese Widerspriìche aufhebt. E r hat nicht erst auf diesen Verstand
gewaertet, diese Bestimmungen, welche den Widerspruch enthalten ebenso diess,
sie in sich zu unterschieden, diese Diremtion » (1. c., p. 237).
52 « Die absolute Idee allein ist Sein, unvergangliches L eben, sich wissende
Wahrheit, und ist alle Wahrheit » (Wissenschaft der Logik, Buch II I, Kap. 3,
ed. von Henning I I I , p. 328, ed. Lasson II, p. 484).
53 « Aber es ist nun auch erfulltes Sein, der sich begreifende Begriff, das
Sein als die konkrete, ebenso schlechthin intensive Totalitat » (Wissenschaft der
Logik, 1. c., ed. von Henning II I, p. 352, ed. Lasson II, p. 504).
,a 54 In questo senso l’ultimo capitolo della Logica (Vie absolute Idee) offre un
compendio di evidenza impressionante di questa « steologizzazione » del pensiero
nella semplice riduzione di Dio all’Essere come universale concreto.
4
1 Cf. l’eccellente studio di E . Brunner, Die Mystìk und das Wort. Der Gegen-
satz zwischen moderner Religionsauffassung und christlichem Glauben dargestellt
an der Theologie Schleiermachers, Tubingen 1924, spec. p. 358 ss.
614 LA RISOLUZIONE ATEA DELL’IDEALISMO
2 La tesi dell’Hirsch che le Reden siano state scritte sotto lo stimolo del-
VAtheismusstreit (cf. Geschichte der neuern prot. Theologie, IV, p. 515) non
sembra molto fondata, per la diversità dei punti di vista difesi da Schleier
macher e da Fichte (così Fried. Hertel, Das theologische Denken Schleiermachers,
Zurich 1965, p. 195 s.); ma perché le Reden non potrebbero essere una risposta
alla posizione di Fichte?
3 E . Brunner, Op. cit.} p. 323 ss. FA. mostra in particolare l’influsso su
Schleiermacher di Fichte (attivismo), di Herder, Goethe, Schelling... (panteismo
vitalistico), così che l’individuo come persona diventa un nome vuoto. Schleierma-
TEOLOGISMO IDEALISTICO E ATEISMO IMMANENTISTICO 615
Dio fuori del mondo » né ci può essere dato, né può da noi essere com
preso così che i due valori si condizionano a vicenda in guisa che
Schleiermacher ripete — certamente senza volerlo! — la formula del-
ravversario Hegel: « Non c’è Dio senza mondo, non c’è mondo senza
Dio » *4, non come identici ma come « correlati » dialettici. La ragione
profonda di questo nuovo panteismo è che il Glaube di Schleiermacher
non si rapporta affatto alla fede biblica del cristianesimo, ma al principio
d’immanenza attuato come Gefiihl soggettivo. Di qui la negazione della
dottrina della creazione ch’è giudicata « priva d’interesse religioso »: in
fatti il nostro « sentimento immediato di dipendenza » ( unmittelbares
Abhàngigkeitsgefiihl) — ch’è il principio fondamentale di Schleiermacher
come l’intuizione intellettuale degli idealisti trascendentali — non trova
nella dottrina della creazione « una soddisfazione più precisa che in una
creazione eterna del mondo ». Quindi la creazione, per Schleiermacher
come per Hegel, sfuma in una specie di rapporto dialettico eterno fra il
finito e l ’Infinito, così che di una distinzione fra il mondo e Dio nel
senso del teismo non si può più parlare: per Schleiermacher come per
Hegel, « ...non si può più parlare di un creatore o di un formatore del
mondo, ma di uno Spirito del mondo » soltanto 5.
Altrettanto dicasi del problema cruciale della « personalità di Dio »:
se Schleiermacher applica spesso a Dio il termine e il concetto di « vi
vente » ( lebendig) come già Fichte-Schelling-Hegel..., si guarda bene
invece dall’applicare a Dio l’idea di « persona » e glielo proibisce il prin
cipio della sua semantica teologica, il quale dice: « Tutte le proprietà
che noi attribuiamo a Dio non devono indicare qualcosa di particolare in
Dio, ma solo qualcosa di particolare nella maniera di riferire a lui il
semplice sentimento di dipendenza » 6. Dio sfuma così nella « unità »
dei contrari o, come dice Schleiermacher, nella « indifferenza » dei mede
cher diventa così, come Hegel, il sostenitore delTuniversale, del genere, della
massa... contro il singolo, a differenza di Kierkegaard che il Brunner opportuna
mente evoca qui contro Schleiermacher (p. 329 s.).
4 « Kein Goti ohne Welt, so tuie keine Welt ohne Gott » (F. D. Schleier
macher, Dialektik, § 218, ed. R. Odebrecht, Leipzig 1942, p. 303).
5 Per la dottrina di Scheiermacher sulla creazione, v. Der christliche Glaube,
I, § 36, 2 e § 49, 3. L ’ultima espressione da noi citata è di H. Scholz, riportata
da E. Brunner (Op. cit.> p. 366, nota 4) ed è l’espressione dominante nelle Reden
iìber die Religion, come abbiamo osservato nell’Introduzione.
6 « Alle Eigenschaften, welche wir Gott beilegen, sollen nicht etwas besonders
in Gott bezeichnen, sondern nur etwas besonderes in der Art, das schlechtinnige
Abhangikeitsgefiihl auf ihn zu beziehen » (Der christliche Glaube, I, § 50, ed.
Redeker, Bd. I, p. 255).
616 LA RISOLUZIONE ATEA DELL’IDEALISMO
13 Cf. G. W. Hegel, Enc. d. philos. Wiss., spec. §§ 50, 62, 86. Va segnalata
anche l’ampia esposizione che Hegel fa della critica di Jacobi contro la sintesi kan
tiana a priori nella grande Logica (si tratta del saggio: Ueber das XJnternehmen
des Kriticismus, die Vernunft zu Verstande m bringen, Jacobi, S. W ., I l i , p. 61 ss.).
Hegel prende atto della critica di Jacobi alFastrazione intellettualistica, da cui non
si può mai giungere al concetto ossia ad una « sintesi »: dallo spazio ano [astratto],
dal tempo uno, dalla coscienza una... non si arriva alla sintesi, ogni cosa è uno e
non altro... un is, ea, id, identitas senza hicceitas, haecceitas, hocceitas... Qui tre
astratti restano perduti nell’indeterminato, né la « spontaneità pura » (deWIch
denke) può nulla, la pura vocale non può da sé diventare consonante! Bene! ma
c ’è un’altra sintesi, non puramente estrinseca quale la pensa Jacobi, cioè la sintesi
a priori dei diversi ossia dell’essere e del nulla, quale si dà nel « divenire », per la
quale la domanda di Jacobi del « come » dall’astratto si passi al concreto non ha
più senso. E l’errore di Jacobi è di fermarsi al punto dell’inizio: allo E * E ’ E ’
della copula, che preclude la possibilità di ogni sintesi per restare nel vuoto (Wissen-
scbaft der Logik, Buch I, Absch. I, ed. Lasson I, p. 81 ss.).
14 « Es ist gar nicht zweifelhaft, sondern des Gewisseste, was es gibt, ja
der Grund aller anderen Gewissheit, das einzige absolut gùltige Objektive, dass
es eine moralische Weltordnung gibt » (Ueber den Grund timers Glaubens...,
Lindau, p. 34, Medicus II I, p. 131).
TEOLOGISMO IDEALISTICO E ATEISMO IMMANENTISTICO 619
valore, questo rapporto scambievole dei due mondi, sia un fare che così
oggettiva ed espone se stesso: fra il primo Fichte e il secondo, quindi,
non c'è rottura alcuna 18, poiché è YAtheismusstreit che ha provocato
l'ulteriore sviluppo in cui si attenua il dualismo iniziale (kantiano) per
far emergere l'unità della vita, della morale, della religione... nelPasso-
lutezza dell'Io puro 19.
Però il problema, almeno per me, non ha avanzato di un passo ri
spetto alla sua esigenza reale ch'era poi semplicemente quella presen
tata, sia pur rozzamente, da Fichte: nella sua concezione dell'essere, Dio
non è, né può essere, coscienza o persona..., a confessione dello stesso
Fichte, e ciò finisce per sconvolgere ogni coscienza umana. È vero che
né Jacobi, né alcuno dei suoi contemporanei era in grado di riprendere
il problema al livello dove Fichte l'aveva posto per fugare lo scandalo
che n'era sorto: occorreva, ed occorre tutt'oggi, cambiare completamente
rotta al pensiero riportandolo al suo momento costitutivo del presentifi-
carsi originario dell'essere per l'uomo, al di qua e quindi prima delle
false vie del puro oggettivismo e del puro soggettivismo. L'ultimo Fichte,
22 « Das reale Leben des Wissens ist daher, in seiner Wurzel, das innere Sein
und Wesen des Absoluten selber, und nichts anderes » (Die Anice isnng..., lez. I l i ,
Medicus V, p. 155). Nella lez. IV, Fichte sembra attribuire l’origine di questa no
zione di essere all’educazione religiosa (Medicus V, p. 159 s.).
23 In questi ultimi scritti Fichte trascende Kant, poiché nega la morta « cosa in
sé »: « Wenn Fichte Kants Ding an sich Begriff ablehnt, so bekàmpft er darin
nicht (wie der erkenntnistheoretische Idealismus) das Moment des “ Ansich ”, des
“ absolut ” Existierens, sondern die Auffassung dieses Absoluten als eines “ Dings ”,
das heisst als eines Toten, Sachlichen; nach ihm ist das Absolute (Gott) = Leben »
(A. Messer, Fichtes religiose Weltanschauung, Stuttgart 1923, p. 97).
24 Die Anweisung..., lez. IV, Medicus V, p. 162. Il cambiamento di cui si parla
è indicato fin dalla lez. I e consiste nell’identificazione di Essere-Vita (Coscienza):
« Sein, — Sein, sage ich, und Leben ist abermals Eins und dasselbige. Nur das Leben
vermag selbstandig, von sich und durch sich selber da zu sein; und wiederum
das Leben, so gewiss es nur Leben ist, fiihrt das Dasein bei sich ». Se l’Essere è
vita, continua Fichte, il non-essere è morte; non siamo ancora alla « negatività
attiva » hegeliana, ma piuttosto ad una visione parmenidea trascendentale del reale:
« Das Sein ist durchaus einfach, nicht mannigfaltig: es gibt nicht mehrere Sein,
sondern nur Ein Sein» (Op. c i t lez. I, Medicus V, p. 116).
624 LA RISOLUZIONE ATEA DELLTDEALISMO
pietà senza alcun residuo. Già nella W.-L. del 1801 si legge di colpo
l’identificazione dell’Assoluto con l ’Essere, concepito al vertice del
sapere e identificato col sapere: esso è scoperto ossia rivelato mediante
l’intuizione ch’è un atto di libertà25. L ’Essere di cui si parla è quindi
l’atto di coscienza, l ’essere come « presenza » di e alla coscienza, come
afferma nel modo più esplicito la W.-L. del 1804, così che non c’è essere
senza pensiero né pensiero senza essere ed ogni distinzione fra essere
e pensiero si è completamente dileguata26. Il Setti, all’interno di questa
nuova determinazione — con la quale sembra che Fichte faccia un nuovo
passo per distaccarsi dal dualismo kantiano ed accostarsi al nuovo cam
mino di Schelling ed Hegel — , subisce una complicata elaborazione che
meriterebbe di essere approfondita in altra sede ma il cui nucleo cen
trale può essere espresso dicendo che l’Essere è il contenuto, il darsi,
il momento dell’oggettività, mentre la libertà (Freiheit) è l’atto, il pro
durre, il momento della soggettività e l ’Assoluto è la sintesi. Fichte, è
vero, rimarrà fedele fino in fondo alla « intuizione intellettuale » (intei-
lektuelle Anschauung), ma ora egli parla anche della Ragione (Vernunft)
ch’è descritta come la « pura luce » ( reines Lìchi) e costituisce l’essere
interiore e quindi il punto più alto del conoscere e alla fine l ’Essere as
soluto: 27 e questo è nuovo ed è un progresso non di terminologia sol
tanto. Sembra che questa Wendung zum Sein dell’ultima filosofia di
Fichte sia dovuta proprio all’influsso di Jacobi, ossia anzitutto al prin
cipio che noi filosofando « possiamo solo costruire imitando l’essente
originario » — e la W.-L. ne ha mostrato il processo effettivo, mentre
il principio resta in Jacobi solo un postulato — e poi nel principio che...
« la filosofia deve scoprire e manifestare l 'Essere in sé e da sé » 28.
Questi due punti di Jacobi sono capitali per la filosofia secondo Fichte
il quale però non accetta il terzo ossia che non si possa dare una filosofia
in senso proprio. UAtheismusstreit non è stato quindi vano per il nuovo
corso del pensiero.
Le ultime W.-L. corrono in questo nuovo solco delPEssere con
sempre maggior risolutezza. Nella critica a Schelling del 1806 il Sein
non è solo il punto di partenza ma anche il punto di arrivo della Vita
( L eben ) e Fichte accetta la formula di Schelling che lo scopo della
filosofia è la « conoscenza dell’unità di ogni essere con l’Essere divino ».
Nella W.-L. del 1810 Dio è proclamato la Vita (e l’Essere) assoluta,
nulla è fuori di Dio e il mondo è l ’apparizione di Dio (Erscheinung G ot-
tes), lo « schema della vita divina » (Schema des gottlichen Lebens ) 29.
Un’esposizione dei rapporti fra Essere e Vita, Essere e Immagine (Bild ),
Essere e Concetto (Begriff ) si legge nella postuma Transzendentale Logìk
del 1812 secondo la quale l’Essere è il fondamento {Grand) dell’imma
gine e del concetto: l’Essere è quindi l’attualità della vita che procede
alla costruzione e comprensione (V erstehen) delle sue forme superiori.
In quest’ultima fase del pensiero di Fichte, che mostra il superamento
completo mediante il Verstehen della primitiva concezione del Glaube ,
abbiamo il trionfo di Dio — ma di un Dio ch’è solo Lui nella dignità
dell’essere, mentre tutto il resto è apparire: un Dio quindi che non è
né persona, né creatore libero, né provvidenza e dove tanto l ’uomo come
il mondo si esauriscono nell’essere una sua apparizione e senza speranza
alcuna d’immortalità 30 — come in Hegel e nello spinozismo in generale
contro il quale era partito col fervore di un apostolo il buon Jacobi.
Se si può riuscire a indicare i filoni profondi di una dottrina e
i principi che ne guidano la formazione e lo sviluppo, non è mai facile
invece mostrarne l ’interiore dinamismo e il posto che ciascuno di essi
occupa nel divenire dei vari sistemi. Così nella formazione della teologia
fangen nur nachkonstruiren, oder auch nachstùmpern der Natur [Schelling!] und
der Vernunft [Reinhold], sich vorteilhaft ausgezeichnet » (1. c., p. 315). Hegel nel
1804 era ancora agli inizi e stava maturando il suo pensiero. Perciò la seconda
allusione forse riguarda Reinhold.
29 Bericht iiber W.-L., Medicus V, pp. 320 ss., 355. Wissenschaftslehre, 1810,
Medicus V, p. 615 ss.). Sembra questa Tultima formula: « Nur Gott ist. Ausser ihm
seine Erscheinung » (Angewendete Phìlosophie, 1813, Medicus V I, p. 479, cf. p. 577).
30 Ved. la negazione recisa dell’immortalità in senso panteistico nella Wissen
schaftslehre del 1804: « Ueber die Unterblichkeit der Seele kann die W.-L.
nichts statuiren: denn es ist nach ihr keine Seele, und kein Sterben, oder Sterblich-
keit, sondern es ist nur Leben, und dieses ist ewig in sich selber, und was da ist,
ist im Leben, ist so ewig dies » (Medicus IV, p. 236).
626 LA RISOLUZIONE ATEA DELL’IDEALISMO
31 Cf. Die Religion innerhalb der Grenzen der blossen Vernunfty specialmente
per la critica alla dottrina del peccato originale e il concetto del « Regno di Dio in
terra » e della Chiesa.
32 II titolo completo è: Beitrag zur Berichtigung der Urteìle des Publikums
iiber die Franzósische Revolutiony ed. R. Strecker, in J. G. Fichte W erkey Erste
Erganzungsband, Leipzig 1922. Al primo periodo invece appartengono i brevi
Einige Aphorismen iiber Religion und Deismus (1790) ch’è un ditirambo per la
religione illuministica e la sua interpretazione del cristianesimo in cui si avverte,
secondo i nuovi editori, una conoscenza appena iniziale del pensiero kantiano
(cf. J. G. Fichte, Nachgelassene Schriften, hrsg. R. Lauth und H. Jakob, Stuttgart
1962, Bd. I, p. 286).
TEOLOGISMO IDEALISTICO E ATEISMO IMMANENTISTICO 627
33 Beìtrag tur Berichtigung..., ed. cit., pp. 10, 40, 47, 77 s., 82, 95 s.,
110 s., 217, 224 ss. (discussione sulla Chiesa e le Chiese con evidenti accenni al-
l’incoerenza delle Chiese protestanti e riformate e alla superiorità della Chiesa catto
lica: p. 226 ss. Il testo merita uno studio a parte). La volonté générale di Rousseau
è espressamente ricordata a p. 47. Scarsi, e in prevalenza negativi, sono gli ac
cenni all’illuminismo negli scritti sistematici (cf. System der Sittenlehre del 1798:
rilluminismo fa consistere la felicità nel sapere. Medicus II, p. 668. Die Grund-
zuge d. gegemv. Zeitalters del 1806, spec. lez. I l l e IV, Medicus IV, pp. 428 s.,
472 ss.).
34 Cf. Geschichte der Philosophie, ed. Michelet, S. W ., XV, p. 456 ss.
Schelling, com’è noto, si volse nell’età matura ad una forma di teismo realistico
ch’egli tendeva a mettere in armonia col cristianesimo: così si sottrasse alla « lotta
per l’ateismo » e l’opera si ridusse a un episodio che rimase tagliato fuori dallo
sviluppo del pensiero europeo.
628 LA RISOLUZIONE ATEA DELL'IDEALISMO
und Wissen): sotto questo titolo infatti Hegel pubblicò nel 1802 un
importante saggio di critica alla dottrina della fede di Kant, Jacobi
e Fichte, nel quale già si mostra il superamento da parte della Ra
gione (Vernunft ) dei conflitti creati dall’intellettualismo astratto fra
scienza e fede. Si senta il significativo prologo: « La cultura si è ele
vata tanto in questi ultimi tempi, al disopra della vecchia opposizione
fra fede e ragione, fra fede e sapere, che questa ha acquistato un senso
del tutto differente ed ora è stata trasferita dentro la filosofia stessa.
Contro la formula dei tempi antichi che la filosofia è ancella della teo
logia, la filosofia affermò in modo invincibile la propria assoluta autono
mia, così quelle concezioni ed espressioni sono scomparse e la ragione...
si è fatta valere (geli end ) nella religione in modo che un conflitto contro
il [suo lato] positivo, miracoli od altro del genere è considerato come
qualcosa di superato e di oscuro » 36. Il merito di questo cambiamento
di rotta, più che a Kant, va riconosciuto alYAufklàrung alla quale si
deve la vittoria della ragione sulla fede: se non che, osserva lucida
mente Hegel, nessuno dei due contendenti aveva vinto, non la religione
che la critica illuministica aveva spodestato per sempre, neppure la
ragione vittoriosa perché quella dell’illuminismo non è ancora la ra
gione stabilita in se stessa. L ’effetto di questa mancanza di autoconsa
pevolezza della ragione sono le « filosofie della fede » di Kant-Jacobi-
Fichte per le quali Dio resta inaccessibile in se stesso: Hegel non
poteva scegliere meglio il suo punto di partenza polemico per la re
staurazione della filosofia della Ragione assoluta, nel mostrare cioè il
paradosso di queste filosofie della fede che si precludevano ogni cono
scenza di Dio. Toccava perciò rivalutare diversamente la critica nega
tiva dell’Aufklàrung, trasfigurandola cioè nel divenire storico della
Ragione assoluta ch’è il compito del nuovo cammino dell’idealismo
oggettivo nella conciliazione dei contrari. Così, procedendo a ritroso
nello sviluppo del pensiero di Hegel, abbiamo potuto indicare la sua
effettiva continuità, il vuoto del sacro e del divino ch’essa mostra in
ogni sua tappa e la crescente scoperta dell’identità del reale e del
razionale, di sapere e felicità, di oggettività e verità...
Questo giovane Hegel non mostra altro ideale che di perseguire
fino in fondo quello prospettato dell'Aufklàrung , liberandolo dagli
« arresti » che gli hanno imposto le varie « filosofie della fede » le
quali non hanno superato lo stadio puramente negativo della cono
41 L ’accenno è in una parentesi della parentesi: « Ich beziehe mich hier gar
nicht auf wirkliche Begebenheiten, denn von alien diesen Dingen ist in betreff der
W.-L. gar nicht die Rede gewesen, indem in der Tat keiner Etwas von ihr
[ = l a W .-L.] gewusst » (Op. cit., Medicus IV, p. 225).
42 Wissenschaftslehrey 1804, Medicus IV, p. 224 s. È questo il significato dello
« spinozismo rovesciato » o « trasfigurato », o « spinozismo secondo » cioè dinamico,
il cui fondamento è stato Kant (cf. le citazioni in W. Steinbeck, Das Bild des
Menschen in der Philosophie J. G. Fichtes, Miinchen 1938, p. 140).
TEOLOGISMO IDEALISTICO E ATEISMO IMMANENTISTICO 633
45 Cf. spec. Op. cit., II I Stiick, « Von dem Sieg des guten Prinzips uber das
bbse und der Stiftung eines Reiches Gottes auf Erden » (ed. Reclam, p. 96 ss.).
46 Scrive a questo proposito un esperto di particolare competenza nella forma
zione delTidealismo moderno: « In una lettera indirizzata a Fichte, un suo con
temporaneo, credente nella Rivelazione, chiamava giustamente il suo idealismo
“ nichilismo ” , in quanto con la coscienza della propria autonomia annienta tutto
ciò che costituisce il mondo. Ma anche Dio scompare nell’ordine morale del mondo
deirlo che pone se stesso » (K. Lowith, Dio, uomo e mondo da Cartesio a
Nietzsche, Napoli 1966, p. 48).
636 LA RISOLUZIONE ATEA DELL'IDEALISMO
erat (nam fìngebat in dispersis schedis, quod Jenae circiter septingenti suae sectae,
quam conscientiariorum der Gewissener vocabat, addicti essenti id vero erat falsis-
simum) ita nec in eo fidem meretur, quod vere persuasus fuerit non esse Deum,
licet verbis id diceret. Prudenter tunc admodum Professores Theologi negotium
tractabant, quippe in id incumbentes, ut Stratagemate quodam schedas disseminatas
quam occultissime poterat perquirerent et elicerent e studiosorum manibus, longa
dilatione eludentes restitutionem, et interim quasi aliud agendo suppeditantes phar-
maca adversus venenum, aut quae ad rem dijudicandam pertinebant » (A. Chr. Rotth,
Atheistica scriptorum Thomasianorum, Lipsiae 1698, p. 13 s.). Contro il Knutzen
ma senza nominarlo, sempre secondo la testimonianza del Rotth, portò a fondo la
discussione dell’ateismo il primo teologo di Jena Jo. Musaeus il quale, nel 1674,
confutò direttamente le idee del Knutzen e la sua setta immaginaria dei « coscien-
ziari » (Gewissener) nello scritto: « Ableinung der ausgesprengten abscheulichen
Verleumbdung: ob ware in der Fiìrstlichen Sàcbsischen Residenz und gesamten Uni-
versìtat ]ena eine nette Sect e der jo genandten Gewissener entstanden etc. » (Op. cit.,
p. 23).
3 G. Stiehler, D er Magdeburger Atheist, nel voi. cit. Beitràge..., spec. p. 53 ss.
Secondo l’A. anche l’ateismo illuministico tedesco è anzitutto sotto l’influsso di
Bayle e nella sua scia vanno ricordati Chr. Thomasius (1655-1728) che accetta in
pieno la tesi delle Pensées sur la Comète; un deciso materialista è anche il medico
U. G. Bucher: è da queste fonti che ha attinto probabilmente l’ateo di Magdeburgo.
Una fonte comune a tutta questa letteratura atea fino a Lessing e Kant sono due
opuscoli dal comune titolo blasfemo De tribus impostoribus, l’uno di origine me
dievale arabo-cristiana (che fu chiamato « Spinoza secondo ») che accusa d’impostura
Mosè, Gesù e Maometto, l’altro del Kortholt (già citato) per il quale gl’impostori sono
i moderni Spinoza, Herbert de Cherbury, Hobbes. Cf. J. Presser, Das Buch « De
tribus impostoribus » (V on den dreì Betriìgern), Diss., Amsterdam 1926 e spec.:
De tribus impostoribus, Anno mdiic , Zweisprachige Ausgabe, [latino e tedesco],
hrsg. u. eingeleitet von G. Bartsch, Akademie Verlag, Berlin 1960. (L ’importante
Introduzione critica del Bartsch è riportata anche nel voi. Beitràge..., p. 9 ss.).
APPENDICI 639
7 G. Stiehler, Art. cit.yp. 148. Anche per i problemi morali del resto lo Stosch
resta fedele ad una concezione teista ed ogni lettore può giudicare da sé la con
traddizione dello Stiehler quando scrive: « Diese Pflichten haben als moralische
Gebote ihren Ursprung im menschlichen Verstand, keineswegs aber in Gott. Als
ethische Norm stellt Stosch folgendes Gebot auf: Was du tust, tue im Blick auf
Gott, dich und die Gesellschaft » {Art. cit.y p. 151).
8 G. Stiehler, Theodor Ludwig Lau, nel voi. cit. Beitràge..., p. 164 ss.
APPENDICI 641
2 - « PRECURSORI DI FORBERG »
9 II Lau ha sviluppato questi punti nella risposta agli attacchi del Thomasius
che porta il titolo: Meditationes, Theses, Dubia, etc., Freystadii 1719 (G. Stieh-
ler, Art. cit., p. 186 s.).
10 « Ich, Theodorus Ludovicus Lau, Doctor, erkenne, dass ich in meinen,
in den Druck herausgegebenen Schriften, besonders in dem Tractat de Deo, mundo
et homine, Irrtùmer begangen, die einen Indifferentismum religionis in sich halten.
Solche widerrufe, detestire und revoche ich nochmals so wie ich sie bey dem
Tribunal, in denen sub En et Ecce auch Vide, dem Statuti causae annectirten
Beylagen, und dem gehaltenen Disputat, als Irrtùmer bereits erkannt und impro-
biret. Gelobe auch, dass vor solche verworrene Meynung mich bestmoglichst hùten
volle» (apud: G. Stiehler, Art. cit., p. 211). G. Stiehler ha raccolto un’antologia di
testi significativi di questa corrente atea del materialismo razionalistico tedesco, con
temporaneo di Leibniz (che sembra ignorarlo) e ispirato da Spinoza, nel voi.: Mate-
rialisten der Leibniz-Zeit, VEB, Berlin 1966, p. 39 ss.
11 Ciò ch’è stato detto per il problema di Dio, si può ripetere per la dottrina
sull’anima dei filosofi illuministi del see. xvin (Michael Hissmann, Melchior Adam
Weickard e Johann Christian Lossius), esposta da O. Finger nel volume Von der
Materialitàt der Seele, Berlin 1961.
12 Cf. A. W. Gulyga, Der « Atheismusstreit » und der streitbare Atheismus in
den letzten Jahrzehnten des 18. Jahrhunderts in Deutschland, nel volume Wissen
und Gewissen. Beitrage zum 200 Geburtstag Johann Gottlieb Fichte 1762-1814,
hrsg. M. Buhr, Berlin 1962.
642 LA RISOLUZIONE ATEA DELL'IDEALISMO
13 II titolo è dato dal Gulyga: Friedrich Carl Forbergs der Philosophie Doktors
und des Lyzeums zu Saalfeld Rektors Apologie seines angehlichen Atheismus,
Gotha 1799. Di quest’apologià diede notizia già H. Vaihinger, Die Philosophie des
« Als oh » (ed. cit., p. 740 ss.) come si è accennato di sopra.
14 « Der Atheismus an sich die Moralitàt keineswegs aufhebe, dass vielmehr
die reinste moralische Gesinnung im Herzen mit theistischen Prinzipien im Kopfe
ganz wohl zusammenbestehen kónne; und dass mithin der Staat ganz und gar
nicht Ursache habe, ùber die mògliche Verbreitung eines spekulativen Atheismus,
an und fiir sich betrachtet, sonderlich besorgt zu sein » (F. C. Forberg, Apologie,
1. c., p. 209).
APPENDICI 643
d « Gott sei das Alles und das Nichts. [...] Wer die Gottheit sich zur deutli-
chen Vorstellung bringen wolle, sei demjenigen gleich, der einen Schatten mit der
Hand greifen wolle. [...] Je mehr man Gott suche, desto mehr werde man ùber-
zeugt, dass er nicht zu finden sei» (apud: O. Finger, Art. c i t p. 221). ^
18 « Ein jeder Mensch ist nàmlich dem andern ein Atheist: weil seine Phan-
tasie, die von der anderen verschieden ist und sein muss, ihm auch seinen eigenen
besonderen Herr Gott bildet, der von dem Gott des anderen verschieden ist »
(apud: O. Finger, Art. cit., p. 236).
19 O. Finger, Art. cit., p. 237 s. Il testo di Mendelssohn, a cui si riferisce
la critica, ci sembra il seguente: « Der Staat hat zwar von feme darauf zu sehen,
dass keine Lehren ausgebreitet werden, mit denen der òffentliche Wohlstand nicht
bestehen kann, die wie Atheisterey und Epikureismus den Grund untergraben auf
welchem die Gluckseligkeit des gesellschaftlichen Lebens beruht. Plutarch und
Bayle mògen immer untersuchen, ob ein Staat bey der Atheisterey nicht besser
bestehen konne, als beym Aberglauben, mògen immer die Plagen berechnen und
vergleichen, die dem menschlichen Geschlechte aus diesen verschiedenen Quellen
des Elends bisher entstanden sind und noch zu entstehen drohen. Im Grunde
heisst dieses nicht anders, als untersuchen, ob ein schleichendes oder ein hitziges
APPENDICI 645
Fieber tòdtlicher sey? Seinen Freunden wird man gleichwohl keines von beyden
anwiinschen. So wird eine jede biirgerliche Gesellschaft wohl thun, wenn sie
keines von beyden, weder Fanatismus noch Atheisterey, Wurzel schlagen und sich
ausbreiten làsst » (M. Mendelssohn, Jerusalem oder iiber réligiósen Macht und Ju -
denthum, in Sàmmtliche Werke, ed. in 1 voi., Wien 1838, p. 238 s.). Sui rap
porti fra morale e religione, aveva poco prima affermato: « Im Grunde machen
in dem Systeme der menschlichen Pflichten die gegen Gott keine besondere
Abteilung, sondern alle Pflichten des Menschen sind Obliegenheiten gegen Gott »
(ed. cit., p. 233).
20 O. Finger, D er Kampf Karl von Knoblauchs gegen den relìgiosen Aber-
glauben, nel volume indicato Beitrdge zur G e s c h i c h t e p. 255 ss. Il Knoblauch ha
scritto anche un saggio: Ueber das Denken der Materie, in cui si richiama espressa-
mente a Spinoza. Maestri e ispiratori diretti del materialismo di Knoblauch furono
lo psicologo Michael Hissmann di Gottinga e il fìsiocratico francese J. Mouvillon,
critico della religione.
21 Knoblauch si richiama per questo non solo a Spinoza, Boscovich, Buffon,
Diderot ma anche a Hume e a Kant (O. Finger, Art. cit., p. 289).
22 O. Finger, Art. cit., p. 293.
646 LA RISOLUZIONE ATEA DELL’IDEALISMO
23 « Er beweist nicht das Daseyn Gottes, das Daseyn ist Gott. Und wenn ihn
andere deshalb Atheum schelten, so mògte ich ihn theissimum und christianissimum
nennen und preisen » (Briefwechsel zioischen Goethe und Jacobi, apud: H. Lindner,
Op. cit.y p. 8).
648 LA RISOLUZIONE ATEA DELL’IDEALISMO
27 Cioè, come Fichte dice qualche anno più avanti, in Spinoza non si vede
come dai Molti si possa passare all’Uno né come dall’Uno si arrivi ai Molti (cf.
Die Wissenschaftslehre von 1804, Medicus IV, p. 194). Nelle Vorlesungen iìber Logik
und Metaphysik del 1797 l’obiezione è esplicita e candida: « Gegen dieses System
lasst sich folgendes eimvenden: Es liegt darin etwas unerklàrtes und unbegreifliches ;
es lasst sich nicht erklàren, wie die unendliche Substanz ubergehe in die Bestim-
mungen, die sie in endlichen hat. Dies ist das Crux aller Metaphysik. In der
Wissenschaftslehre ist der Uebergang gezeigt » (ed. Hans Jakob, Berlin 1937,
p. 243). Col suo teleologismo e attivismo Fichte si accosta più a Leibniz che non
a Spinoza (Bruno Wagener, Ueber die Beziehung Fichtes zu Spinoza und Leibniz.
Diss., Borna-Leipzig 1914, p. 68 s.).
650 LA RISOLUZIONE ATEA DELL’IDEALISMO
31 « Diesem System fehlt es bloss daran, dass es nicht transzendental ist, dass
Spinoza sich selbst im philosophieren vergessen hat » (Vorlesungen iiber Logik
unà Metapbysik. Deduktion des Glaubens an Gott, ed. cit., p. 318).
652 LA RISOLUZIONE ATEA DELL’IDEALISMO
findet sich vom selbst mit dem Bestreben, das Reich Gottes zu realisieren
[...]. Jeder Glaube der nicht aus der moralischen Uberzeugung fliesst ist
ein Aberglaube [...]. Der wahrhaftige Glàubige spricht: ich glaube an die Mo-
glichkeit der Realisation des Sittengesetzes » (ed. cit., p. 49). Il progresso
quindi è essenziale: ormai il dovere vale per se stesso, senza riferimento a
Dio (cf. H. Scholz, Ein neues Dokument zu Fichtes religionsphilosophischer
Entwicklung, in Kant-Studien, XXII, 1918, p. 398 ss., spec. p. 404 ss.).
Scrivendo alla moglie il 5 novembre 1799, Fichte ammette che la po
lemica lo ha spinto ad approfondire il problema religioso e a chiarirne il
significato: « Ich habe bei der Ausarbeitung meiner gegenwàrtigen Schrift
einen tieferen Blick in die Religion getan als noch je. Bei mir geht die Be-
wegung des Herzens nur aus vollkommener Klarheit hervor; es konnte nicht
fehlen, dass die errungene Klarheit zugleich mein Herz ergriff. Glaube mir,
dass diese Stimmung an meiner unerschutterlichen Freudigkeit und an der
Milde, womit ich die Ungerechtigkeit meiner Gegner ansehe, grossen Anteil
hat. Ich glaube nicht, dass ich ohne diesen fatalen Streit und ohne die bòsen
Folgen desselben jemals zu dieser klaren Einsicht und zu dieser Herzensstim-
mung gekommen ware; und so hatten ja die mir zugefiigten Gewalttàtig-
keiten schon jetzt eine Folge, die weder Du noch ich wegwiinschen werden »
(Fichtes Briefe, ed. E. Bergman, Leipzig 1919, p. 111. Lo scritto a cui si
allude è, con ogni probabilità, Die Bestimmung des Menscheny composto fra la
metà di luglio e la metà di novembre 1799 e pubblicato a Berlino all’ini
zio del 1800).
A questa nuova piega sembra abbia influito anche lo scritto di Schel
ling, Von der Idee des ahsoluten Ichy dal quale Fichte avrebbe avuto una
vigorosa spinta verso la dottrina spinoziana dell’Essere assoluto (cf. N. Wall-
ner, Fichte als politischer Denkery Halle/Saale 1926, p. 140 s., spec, nota 3.
Il Wallner si fonda sulla tesi di M. Horneffer, Die Identìt'àtslehre Fichte in
den Jahren 1 8 0 1 -1 8 0 6 , Leipzig 1925). Ma l’interesse e la conoscenza di Spi
noza si trovano già assicurate nelle Vorlesungen iiber Logik und Metaphysik
del 1793, che sono un ampio commento ai celebri Aphorismen di Platner,
§ 754 (cf. /. G. Fichtes Nachgelassene Schriften, ed. H. Jakob, Berlin 1937;
Bd. II, p. 238 ss.). L ’esposizione è fatta in quattro punti e vi traspare una
evidente simpatia, con una spiccata preferenza per l’interpretazione di Jacobi
contro Kant. Nello spinozismo non c’è posto per la libertà (« An Freiheit
ist in diesem System nicht zu denken ». Op. cit.y p. 241) e Fichte si ri
chiama alla sua critica nella Wissenschaftslehre ossia che Spinoza non mo
stra come la Sostanza finita passi nelle sue determinazioni finite (p. 242).
Nella conclusione Fichte dà un cenno esplicito dell’assunzione dello spino
zismo nella nuova filosofia trascendentale: « Es gibt auch ein solches System
wie das spinozische in der kritischen Philosophic; aber der kritische Philosoph
weiss, dass er so denkt. In dieser Philosophic hat dieser Spinozismus transzen-
dentale Gultigkeit; es ist das notwendige Wesen der Vernunft. Bei Spinoza
ist es transzendent, und das ist das Wesen des Dinges an sich » (p. 243).
Interessante è anche il confronto fra Leibniz e Spinoza al § 762, n. 10, dove
Fichte ripete esplicitamente il giudizio di Jacobi: Allein der Spinozismus ist
Atheismusy mentre non lo è il leibnizianesimo che però non è logico (p. 249).
Sappiamo che il primo Fichte era tutto preso dallo spinozismo e che
l’assunzione del kantismo provocò l’attivismo trascendentale, come si è visto.
654 LA RISOLUZIONE ATEA DELL’IDEALISMO
girava attorno a Kant: di qui la quasi assenza del problema di Dio nei primi
scritti. È stata precisamente l’accusa di ateismo prima e poi l’influsso della
dottrina di Schelling sull’Assoluto (e quindi lo spinozismo) che lo spinsero
alla lettura degli scritti mistici di Taulero, Bòhme, Madame de la Mothe-
Guyon..., i quali ebbero molto influsso sulla sua posteriore concezione di Dio
che anche il Krause riconosce come un capovolgimento della prima incriminata
dalla censura ma ch’egli per suo conto non giudica affatto soddisfacente:
«Fichte hatte, durch den Vorwurf des Atheismus gedràngt, durch sein reli-
gioses Gefiihl geleistet, durch Lesen einiger Mystiker erleuchtet, eingesehen,
dass seine Wissenschaftslehre Gottes ermangele und bedùrfe, und dass, wenn
Gott angenommen und anerkannt werde, sie nichts sei als ein Gott Aeusseres,
folglich Nichtiges. Diese wollte, oder vielmehr konnte, er sich nicht gestehen.
Daher dieses kiinstliche Strauben (wider den Stachel Loken, besonders hier
=Die Tatsachen des Beiousstseins, 1813, p. 210 ss.; cf. i Nachgelassene
Werke , hrsg. J. H. Fichte, Bonn 1834; Bd. I, p. 407 ss.), und das vergebliche
Streben: seine insofern friihere Speculation mit Gott in Verbindung zu
setzen » (Krause, Op. cit.y p. 277).
Anche un gruppo di «parroci» (cattolici?) contemporanei vedono nel
kantismo, ch’essi pensano derivare soprattutto dal sensismo inglese, il germe
del passaggio al materialismo, scetticismo e ateismo..., anche se i kantiani
non se ne accorgono: « Nolite tamen existimare Domini Kantiani, nos ita in
vos insanire, ut nefandis impiorum, Materialistarum, Scepticorum atque
Atheorum gregibus. vos accensere velimus, vos quidem principia admittitis,
sed consequentias a plerisque vestrum negari optime novimus » (Epistulae
nonnullorum Germanìae Parochorum ad germanos kantianae philosophiae
propagatores et asseclas, seu quam sit urgens kantianam philosophiam a Ger-
maniae fìnibus exterminandi necessitas, Francofurti 1799, p. 4). L’accusa
non fa nome alcuno né ricorda la disavventura di Fichte del 1798: sull’inizio
si fa menzione dello scandalo suscitato dalla difesa tenuta alla Sorbona delle
tesi del De Prades, morto già da alcuni anni in esilio, sotto la protezione
del re di Prussia (p. 1).
Il volume, eh’è in nostre mani, è (per quanto ci consta) del tutto
ignorato dalla letteratura kantiana.
spinozismo (p. 194 s.) e costituisce l’essenza del sistema: « Hier zeigt sich der
Atheismus der Hegelschen Philosophic in seinen wahren Lichte, und zugleich
in einer jàmmerlichen Mattheit und verworrenen Triibseligkeit. Das menschli-
che Ich als der letzte positive Haltpunkt; die Abstraction als das Absolute,
in ihr das Ich wiederum als das Absolute; als Allgemeinheit, als allgemeines
Wissen, und wiederum concrete Einzelnheit und Subject; Trivialitaten in
abstracte Wortverbindungen gehùllt, und nirgends eigentiches geistiges
Leben; so war es mòglich, diesen Widerspruch dahin zu stellen — ein
sich. in sich als absolut wissendes Selbsbewusstseyn, das nach der Defini
tion viel zu nichtig ist, um nur zerbrechlich zu seyn, und noch gerade an der
Stelle, wo die Philosophic sich mit dem ewigen Geist identifiziren will, zu
behaupten, dass dieser Geist auch als ein solches Nichts ein solches nihil
negativum genommen werden konne » (p. 200 s.).
La stessa esplicita accusa di ateismo alla filosofia hegeliana è fatta nella
tesi del teologo danese Peter Michael Stilling, Den moderne Atheisme eller
den saakaldte Neohegelianismes Consequenser, Copenaghen 1844. L’Autore
si rifa esplicitamente alla celebre critica di Feuerbach (pp. 3 s., 10). Sulla
mancanza o negazione della singolarità e soprattutto della « personalità »
sensu theologico (p. 32 s.); di qui anche la negazione deH’immortalità indivi
duale (p. 45 s.). Sull’esposizione e sulla critica della « sinistra hegeliana » e
soprattutto di Feuerbach, da parte dell’Autore, accenneremo nel capitolo se
guente. In questa linea critica sono anche gli studi di H. M. Chalybaeus,
Iiistorische Entwicklung der spekulativen Philosophie von Kant bis Hegel,
Dresden 1837, che espone con particolare impegno il processo d’involuzione
del problema religioso soprattutto in Fichte-Schelling-Hegel, e il saggio più
maturo Philosophie und Christentum, Ein Beitrag zur Begrundung der Re-
ligionsphilosophie, Kiel 1853, che s’inizia con la tesi: « Die speculativen
Systeme der neuesten Philosophie haben zu Naturalismus und Atheismus
gefùhrt » (p. 2). Al crollo della nozione di Dio come Essere supremo e Per
sona trascendente fa riscontro nell’idealismo, e soprattutto in Hegel e nella
teologia degli hegeliani, il crollo della dogmatica cristiana nelle sue verità
fondamentali della Trinità, del peccato originale e dell’Incarnazione. La sini
stra hegeliana, come ora si vedrà, avrà la curiosa ma sintomatica funzione
storica di porsi contro la « lettera » dell’hegelismo per esplicitarne più a
fondo lo spirito e le effettive istanze dei principi. In questo senso — in pole
mica con D. F. Strauss — aveva visto i problemi fondamentali lo stesso Cari
Friedrich Goschel nei Beitrage zur spekulativen Philosophie von Goti und
von dem Gott-Menschen, Berlin 1838. Ma dei rapporti fra filosofia moderna
e cristianesimo, secondo gli indirizzi della recente storiografia, abbiamo inten
zione di trattare in altra occasione.
testo, scritto mentre Hegel viveva ancora, non perché contenga alcunché di
nuovo, ma per la completezza degli aspetti ivi considerati che abbracciano
tutti gli stadi della vita religiosa. Si tratta di un’aggiunta di una lettera ad
un certo Dr. S. del 29 aprile 1829. Ecco i punti principali:
1) Lo spiritualismo di Hegel è uno spinozismo e panteismo tinto di
spirito, poiché secondo lui lo Spirito universale o Spirito del mondo ottiene
e mantiene la sua coscienza solo mediante (durch Hilfe) le singole (creatu-
rali) personalità.
2) Chi volesse trovare il panteismo nei miei scritti, lo può e lo deve
trovare per me anche in S. Paolo. È altrettanto falso fare simili accuse a
Taulero e al Maestro Eckhart, le quali colpiscono parimenti almeno in parte
anche Scoto Eriugena e l’autore della Theologia deutsch.
3) Una concezione e visione filosofica delle cose è possibile soltanto
quando si ammette che Dio conosce se stesso e le sue creature! Ma solo in
quanto Dio è distinto dalle creature (mondo), egli le può conoscere e cau
sare. Colui che è separato, il quale nel medesimo rapporto conosce lo stesso,
gli è inconoscibile, ma non perde la facoltà di rendersi liberamente cono
scibile a quest’ultimo.
4) Il rapporto dello spirito hegeliano alla natura (cioè che quello co
mincia dal togliersi di questa) si può trovare (ma d’accordo e non in opposi
zione alla religione) in J. Bòhme.
5) I principi o agenti i quali producono la materia sono gli Elohim. Di
qui l’incomprensione degli gnostici col loro demiurgo.
6) Contro la negazione hegeliana della Chiesa io mi sono già spesso
espresso e lo farò in modo più preciso nella filosofia della società. In gene
rale la negatività del protestantesimo è stata spinta al vertice da Hegel; ma
questa conseguenza è salutare, come per esempio il recente ripiegamento
sincretistico di Schelling, il quale dopo aver qui [a Monaco?] tenuto lezione,
vuol mettere il vino nuovo in otri vecchi e rattoppare con stracci nuovi
l’abito vecchio (panteistico)38.
l ’Histoire, c’est par elle seulement que celle-ci est parfaite et définitivement
achevée. Car c’est seulement en se comprenant dans cette Science comme
mortel, c’est-à-dire comme un individu libre historique, que l’homme arrive
à la plénitude de la conscience d’un soi qui n’a plus aucune raison de se
nier et de devenir autre. La Science hégélienne culmine dans la description
de l’homme compris comme un ètre total ou dialectique. Or dire que l’hom-
me est dialectique, c’est dire qu’il “ apparait ” à lui-mème comme mortel
(pian phénoménologique); ou ce qui est la mème chose, qu’il existe néces-
sairement dans un Monde naturel qui n’a par d’au-delà, c’est-à-dire où il n’y
a pas de place pour un Dieu (pian métaphysique); ou ce qui est la méme
chose encore, qu’il est essentiellement temporei dans son ètre mème, qui
est ainsi, en véri té, action (pian ontologique) » (p. 324).
È in sostanza la resolutio ad hominem dell’hegelismo ch’era stata già
fatta un secolo prima da Feuerbach. È comprensibile ch’essa non trovi il gra
dimento di qualche superstite hegeliano: come J. Wahl, À propos de VIntro
duction à la Phénomenologie de Hegel par A. Kojève (in Deucalion 5, Etudes
hégéliennes, Neuchàtel 1955, p. 77 ss.).
V O LU M E II
V
L’ATEISMO ESPLICITO COSTRUTTIVO
POSTHEGELIANO
Già il cogito cartesiano e le sue variazioni razionalistiche, sia
nell’empirismo come nel deismo e nelPilluminismo, può essere detto
ateo radicalmente, come si è visto: il fatto però che l’ateismo esplicito
del see. xviii ha fatto ricorso, per affermarsi, in prevalenza a principi
di sensismo e materialismo potrebbe far credere che l ’ateismo (mate
rialistico) sia un corpo estraneo e in contrasto con lo spirito originario
del cogito stesso. La realtà è però che non solo lo stesso Cartesio fu
accusato di ateismo, ma soprattutto il cartesiano più geniale, ch’è Spi
noza, si mette alla testa delle nuove forme di ateismo, mascherato o
aperto, al quale ricorrono i deisti, i liberi pensatori, gli atei espliciti
dell’illuminismo francese prerivoluzionario: si tratta allora che il cogito
ha creato un ambiente e un’atmosfera che portava in sé l’espulsione
del sacro e del trascendente. Quest’atmosfera non significa teoretica-
mente altro che questo: col cogito il fondamento prima e poi il con
tenuto della verità è trasferito alla coscienza così ch’è l’atto di coscienza
e sono le strutture della coscienza nelle sue funzioni intuitive, predi
cative, discorsive... a fondare la presenza dell’essere e le sue strutture
non comunque ma nell’unico senso, rigorosamente univoco, in modo
che l’atto e le strutture dell’essere « si risolvono » nell’atto e nelle
strutture di coscienza. Alla metafisica dell’essere è subentrata la meta
fisica della mente la quale è fatta partire direttamente da se stessa
ossia « muove se stessa », è tolto così alla radice il legame fondante
immediato con l ’essere e mediato con Dio e d’ora in poi la coscienza
si definisce non più per rapporto all’essere ma per rapporto al « feno
meno » di essere di cui essa coscienza è la verità risolvente.
La « priorità di fondamento » della coscienza rispetto all’essere
— checché sia della priorità di funzione, di cui si dirà più avanti
nella discussione critica — ottiene la sua formula risolutiva col trascen
dentale kantiano dal quale s’inizia la « lotta dei giganti » dell’idea
lismo trascendentale contro la trascendenza e la personalità di Dio.
E Kant stesso è accusato di ateismo *, non solo dagli apologeti del1
sigkeit des Kantischen Systems, Wien 1801, e lo storico più completo deU’ideali-
smo, O. Willmann, Geschichte des Idealismus, Braunschweig 1879, Bd. I l i , p. 494 s.).
Il Willmann parla di un « cinismo kantiano » e osserva: « So wenig wie an
Gott glaubte Kant an die Unsterblichkeit der Seele » (p. 494). I postulati della
Ragion pratica, dopo le demolizioni della Ragion pura, si riducono a « funzioni »
utili solo per i meno progrediti, e conclude: « Dies ist es was den kantischen Athei-
smus so viel wider wartiger macht, als es et was der unverlarvte Humesche ist »
(p. 495).
2 Cf. la lettera a Reinhold del 22 aprile 1799 (Fichte’s Briefwechsel, ed.
Schulz, Bd. II, p. 84) ove la filosofia di Kant è detta « ateismo scettico ». A torto
quindi si è risentito contro il Willmann (v. nota prec.) il Paulsen (Philosophia nuli-
tans. Gegen Klerikalismus und Naturalismus, III-IV Aufl., Berlin 1908, p. 14). L ’ac
cusa di ateismo a Kant si legge anche in B. Bauer: « Kant hatte theoretisch Gott
gelàugnet, den Atheismus gepredigt und dem Evangelium hartnackig widerstan-
den » (Die Posatine des jiingsten Gerìchts, 1841, ed. Lowith, in Die Hegelsche
Linke; v. infra: p. 168).
3 Sui rapporti poco chiari fra spinozismo e kantismo, in questo momento, si
vedano le osservazioni di E . Hirsch, Die idealistische Philosophic und das Chri-
stentum, Giitersloh 1926, p. 144 ss.
4 « Ein Gott, der nicht sagen kann: Ich bin; ein Gott ohne Persònlichkeit,
ohne Existenz, der nichts schafft und nichts gibt — ist — so wahr ein Gott lebt, der
ein Geist ist, ohne Finsternis und die allerlebendigste Liebe — kein Gott. In der
allerheiligsten Sache mit leeren Zauberworten sein Spiel treiben — ist das aller-
unheiligste Spiel » (Lavater an Reinhold, apud: H. Maier, An der Grenze der
Philosophic, Tubingen 1909, p. 260).
l ’a t e is m o e s p l ic it o c o s t r u t t iv o p o s t h e g e l ia n o 669
5 « Der Begriff von Gott als Einheit, Realitat, und Wirklichkeit sei unmdglich
und widersprechend. Er [Fichte] wird, mit einem Worte, vielleicht behaupten,
man durfe sich Gott nicht unter Kategorien denken » (Jo. H. G. Heusinger, Ueber
das idealistisch-atheistische System des Herrn Prof. Fichte, Dresden u. Gotha 1799,
p. 78 s.; cf. l’accusa esplicita di ateismo a p. 51 ss.).
In particolare Heusinger contesta a Fichte la negazione di Dio come « so
stanza » e la riduzione arbitraria della sostanza a realtà sensibile: « Gott ist
Substanz, heisst, Gott ist ein besonderes, unabhàndiges Wesen. Denn die Substanz
wird dem Adhàrenz entgegensetzt. Substanz aber ist Keineswegs, wie Hr. Fichte
glaubt, ein sinnliches, in Raum und Zeit vorhandenes Wesen, sonder nur die
sìnnlìchen, die materiellen Substanzen sind sinnliche und in Raum und Zeit
vorhandene Wesen » (p. 78).
Una recente dimostrazione dell’ateismo di fondo del pensiero hegeliano, dal
l’interno dello sviluppo delPidealismo, è quella di R. Garaudy, Dieu est mort.
Etude sur Hegel, Paris 1962.
1
COERENZA O M ISTIFIC A Z IO N E
N ELL'A TEISM O H EG ELIA N O (B. BAUER)
1 Si tratta del celebre scritto, pubblicato anonimo nel novembre 1841, dal ti
tolo (ironico, secondo i critici): Die Dosarne des jiìngsten Gerichts iiber Hegel
den Atheisten und Antichristus (« Le trombe del giudizio universale su Hegel l’ateo
e l’Anticristo »). È stato incluso nell’ottima antologia di K. Lowith, Die Hegelsche
Linke (Stuttgart 1962, pp. 123-225), alla quale si riferiscono le nostre citazioni.
Lo scritto voleva essere una burla e una protesta contro la destra hegeliana e l’ado
zione dell’hegelismo da parte della cultura prussiana ufficiale; è infarcito di cita
zioni bibliche e, nella sua stucchevole prolissità, è un documento di prim’ordine
per la nostra indagine. Da una lettera di Jung al Ruge del 24 dicembre 1841
sappiamo che lo scritto fu composto dal Bauer e da Marx (MEGA I, 1, 2, p. 262);
una lettera del Bauer al Ruge dello stesso 24 dicembre c’informa che Marx, es
sendo caduto ammalato, ridusse a ben poco la sua opera (MEGA I, 1, 2, p. 265).
Nella coll. « Philosophisches Erbe » (Bd. 5) si trova ora una raccolta sistematica di
testi significativi che riguardano la presente ricerca sull’ateismo dei posthegeliani:
Die Junghegelianer (D. F. Strauss, B. Bauer, A. Ruge), a cura di H. Steussloff,
Berlin 1963.
COERENZA O MISTIFICAZIONE NELL’ATEISMO HEGELIANO 671
battere Hegel, può loro giovare poiché Schelling è una nullità. La loro
pretesa di offrire una filosofia che morde direttamente sul reale è
«una filosofia da b estie» (eine Philosophie der Thiere: p. 137) 3. Né
miglior trattamento è riservato al Leo ch’è indicato come il « pub
blico accusatore » dell'ateismo hegeliano, poiché non ha visto che gli
aspetti esteriori senz'afferrare i fondamenti e lo spirito dell’ateismo
hegeliano.
Entrando nel vivo dell'argomento, il Bauer traccia la linea essen
ziale della sua esposizione che si può esprimere, crediamo, nei seguenti
termini: sotto l ’espressione del riconoscimento del valore della reli
gione e dell'accordo fra cristianesimo e filosofia, la filosofia di Fiegei
contiene in realtà la dissoluzione e distruzione della religione e la
perversione o deformazione radicale dei dogmi fondamentali del cri
stianesimo. Il nucleo mortifero del sistema, che toglie alla radice
ogni pietà e religiosità, è nel panteismo in quanto la religione [il rap
porto religioso] « ... è concepito nella forma del “ rapporto di sostan
zialità ” e come la dialettica nella quale lo spirito individuale si dà
e si sacrifica allo [spirito] universale, il quale come sostanza ovvero
come Idea assoluta ha potere su di lui, gli toglie la sua singolarità
e si pone in unità con esso ». Ossia, si afferma la dissoluzione dei singoli
nell’unità (spinoziana) dello Spirito assoluto. Ciò ch'è ancora più tre
mendo, e che dà il significato autentico a questa posizione, è la conce
zione della religione secondo la quale il rapporto religioso altro non è
che un rapporto interno dell’autocoscienza così che tutte quelle forze
le quali, come sostanza o come Idea assoluta, sembrano essere ancora
distinte dall’autocoscienza, altro non sono che i momenti propri della
4 « Wer diesen Kern genossen hat, ist fiir Gott todt, denn er halt Gott fiir
todt, wer diesen Kern isst, ist tiefer gefallen als Èva, da sie den Apfel ass und
Adam von ihr verfiihrt wurde; denn hoffte Adam zu wei'den wie Gott, so fehlt
dem Anhanger jenes Systems sogar dieser — wenn auch siindhafte — Hochmuth,
er will gar nicht mehr werden wie Gott, er will nur Ich-Ich seyn und die bla-
sphemische Unendlichkeit, Freiheit und Selbstgenugsamkeit des Selbstbewusstseyns
gewinnen und geniessen. Diese Philosophic will keinen Gott, keine Gòtter, wie
die Heiden; sie will nur Menschen, nur das Selbstbewusstseyn und Alles ist ihr
eitel Selbstbewusstseyen » (B. Bauer, Die Posatine..., loc. cit., p. 151).
5 La terminologia viene da Hegel: « Diese Vorstellung [di Dio come VAsso
luto-Uno] hat man mit dem Namen Pantheisnms bezeichnen wollen; richtiger
wurde man sie nennen: Vorstellung der Substantiality. Gott ist da zunachst nur
als Substanz bestimmt; das absolute Subject, der Geist bleibt auch Substanz, aber
er ist nicht nur Substanz, sondern in sich auch als Subject bestimmt » (G. W. Hegel,
Pbilosophie der Religion, ed. Marheineke, Berlin 1840, Bd. I, p. 93).
674 l ’a t e i s m o e s p l ic it o c o s t r u t t iv o p o s t h e g e l ia n o
8 Qui Hegel, e lo riporta il Bauer (1. c., p. 164), cita il testo virgiliano: « Tan-
tae molis erat, seipsam cognoscere mentem » (Aen. I, 33; G. W . Hegel, Gescbìchte
der Pbilosophie, ed. cit., Bd. I l i , p. 618).
9 B. Bauer, Die Posatine..., 1. c\, p. 165 ss.
10 G. W. Hegel, Gescbìchte der Pbilosophie, ed. cit., Bd. IH , p. 337.
676 l ’a t e i s m o e s p l ic it o c o s t r u t t iv o p o s t h e g e l ia n o
per la filosofia e solo l'Io come autocoscienza, solo l’Io vive, opera
ed è Tutto (p. 169).
d) L'ateismo costitutivo hegeliano. Questa simpatia, anzi solida
rietà, di Hegel col materialismo e ateismo degli illuministi francesi*16
contemporanei o seguaci di Spinoza, scopre quindi per il Bauer l'intimo
spirito della filosofia hegeliana radicalmente atea: questo riferimento,
di solito trascurato dagli storici più vecchi del pensiero moderno, ci
trova — com'è ovvio — pienamente consenzienti con l ’accusa del
Bauer. Il giovane Hegel, cosiddetto teologico (a torto, come abbiamo
già osservato), si è formato lo spirito senza dubbio nella scia degli atei
e materialisti francesi, cultori àtWesprit. La filosofia francese, a diffe
renza dell'empirismo inglese di Locke e Berkeley e dello scetticismo di
Hume statico e negativo, è più vivace, più movimentata, più spiritosa,
o piuttosto è il momento della ricchezza dello spirito (das Geistreiche).
Essa è il Concetto assoluto il quale si volge contro l'intero mondo
delle rappresentazioni esistenti e dei pensieri stabilizzati e fissi, di
strugge tutto ciò ch'è fisso e si dà la coscienza della pura libertà. Que
st'attività idealistica ha per fondamento la certezza che ciò che è, ciò
che ha valore in sé, è tutto da riferire all'essenza dell'autocoscienza:
né i concetti (essenze singole che reggono l'autocoscienza effettiva) di
bene e di male, né quelli di potenza e ricchezza, né le rappresenta
zioni fisse della fede in Dio e del suo rapporto al mondo, del suo
governo ed a sua volta i doveri dell’autocoscienza verso di lui: che
tutto questo non è verità che sia in sé, fuori dell'autocoscienza 17. Ed
ecco l'affermazione del compiuto ateismo in forma teoretica compiuta
da questa filosofia: « Tutte queste forme, il reale in sé del mondo
effettivo, l ’in-sé del mondo sovrasensibile, si tolgono in questo spirito
consapevole di se stesso ». Può darsi che Hegel anticipi a modo suo e
riversi su questa filosofia molte delle sue stesse idee, ma è sintomatico
per un’interpretazione di fondo dello svolgimento essenziale del pen
werden miisse » (G. W. Hegel, Geschicbte der Philosopbie, ed, cit., Bd. XV, p. 555).
Acutamente il Bauer osserva che « ..d’ateismo di Hegel diventa sempre più
evidente e si manifesta in tutta la sua nudità quando noi osserviamo come questo
Anticristo tiene in alta considerazione i Francesi che si sono ribellati a Dio e di
sprezza i Tedeschi perché ad essi è mancato il coraggio di negare Dio nella realtà
e perfino nell’epoca dell’illuminismo non hanno potuto dimenticare completamente
Dio e la religione » (B. Bauer, Die Posatine..., ed. cit., p. 173).
16 II Bauer, Die Posatine..., ed. cit., dedica a questo punto l’intero § 5 « Be-
wunderung der Franzosen und Verachtung gegen die Deutschen », p. 174 ss.
17 G. W . Hegel, Gescbichte der Pbilosopbie, ed. cit., Bd. XV, p. 456 s.
678 l 'a t e i s m o e s p l ic it o c o s t r u t t iv o p o s t h e g e l ia n o
esposizione sul mediocre De la nature di Robinet (Op. cit., p. 469 ss.). Si veda anche,
per conferma della posizione hegeliana qui esposta, il capitolo di Hegel su l’illumi-
nismo e la rivoluzione francese nella Philosophie der Geschicbte (ed. K. Hegel, Berlin
1840, p. 526 ss., ed. Lasson, p. 915 ss.). Sul progresso portato da Lutero al con
cetto di libertà, Hegel si era già espresso prima (Geschicbte der Philosophie, ed. cit.,
Bd. I l i , p. 230; cf. anche Philosophie der Geschicbte, ed. K. Hegel, Berlin 1840,
p. 501 s., ed. Lasson, p. 916. Il testo delle due edizioni si presenta qui notevolmente
diverso come sviluppo).
21 B. Bauer, Die Posatine..., ed. cit., p. 180 ss. Segue un interessante paragra
fo sull’odio di Hegel contro il Giudaismo (p. 186 ss.) e sull’odio contro la Chiesa
(p. 192 ss.) che sono ancora di attualità; così anche sul disprezzo della S. Scrit
tura e della Storia sacra (p. 199 ss.), e perfino sull’odio di Hegel contro l’erudi
zione delle fonti e dello scrivere in latino (p. 222 ss.). Sulla critica hegeliana al
latino degli scolastici, v.: G. W. Hegel, Geschicbte der Philosophie, ed. cit., Bd. XV ,
p. 122.
22 B. Bauer, Die Posarne..., ed. cit., p. 202. Il Bauer ripete l’accusa di ateismo
contro Hegel, sempre sotto la maschera pietistica, nello scritto Hegels Lehre von
der Religion und Kunst. Von dem Standpunkte des Glaubens aus beurteilt (1842),
che prelude gli scritti seguenti di critica al cristianesimo (cf. E. Barnikol, Bruno
Bauer, der radikalste Religionskritiker und konservativste Junghegelianer, Das
Altertum, V II, 1 [1 9 6 1 ], p. 44).
COERENZA O MISTIFICAZIONE NELL’ATEISMO HEGELIANO 681
32 Seguo: Der alte und neue Glaube, § 36 ss., Ges. Schr., ed. E . Zeller, Bonn
1877, Bd. V I, p. 70 ss.
33 Sono note le particolari simpatie di Strauss per Schleiermacher (cf. Op. cit.,
§§ 17-19, p. 27 ss.).
686 l 'a t e i s m o e s p l ic it o c o s t r u t t iv o p o s t h e g e l ia n o
34 « Da nun aber die richtige Auffassung des Seienden nur die sein kann, es
als Einheit in der Vielheit und umgekehrt zu begreifen, so bleibt als die eingentlich
oberste Idee nur die des Universums ubrig » (D er alte tend, nette Glaube} § 39, ed.
cit., p. 80).
35 D er alte und neue Glaube, §§ 40-41, ed. cit., p. 81 ss.; v. la severa de
nunzia di superficialità dell’opera di Strauss in: O. Pfleiderer, Dìe Entioicklung der
protestantischen Theologie seti Kant und in Grossbritannien seit 1825, Freiburg
i. Br. 1891, p. 131 ss.
COERENZA O MISTIFICAZIONE NELL'ATEISMO HEGELIANO 687
36 « Insofern sagt Feuerbach mit Recht, der Ursprung, ja das eigen diche We-
sen der Religion sei der Wunsch. Hàtte der Mensch keine Wiinsche, so hatte er
auch keine Gòtter » (D er alte und neue Glaube, § 42, ed. cit., p. 90).
37 D er alte und neue Glaube, ed. cit., p. 96 s. Strauss passa quindi risoluta-
mente al positivismo scientifico (cf. Op. cit., c. I l i « Wie begreifen wir die Welt »,
spec. p. 103 ss.).
38 F. W. Nietzsche, Unzeitgemasse Betrachtungen, Erstes Stiick « David
Strauss, der Bekenner und der Schriftsteller (1 8 7 3 )» , Ges. Werke, Munchen 1922,
Bd. V I, p. 129 ss.
688 l 'a t e i s m o e s p l ic it o c o s t r u t t iv o p o s t h e g e l ia n o
42 G. W. Hegel, Geschichte der Vhìlosophie, ed. cit., Bd. XV, p. 619 ss. eppure
Hegel, esponendo Spinoza, aveva affermato: « Der Unterschied unseres Stand-
punkts von der Eleatischen Philosophic ist nun dieser, dass durch das Christentum
in der modernen Welt im Geiste durchaus die concrete Individuality vorhanden
ist », a differenza della Sostanza spinoziana ch’è ancora astratta (Op. cit.y Bd. XV,
p. 337). Similmente: « Der Inhalt des Christen turns aber, der die Wahrheit ist,
ist als solche unverandert geblieben und hat darum beine oder so gut als beine
Geschichte welter » (Geschichte der Philosophie. Einleitung, ed. Jo. Hoffmeister,
Leipzig 1944, p. 17).
2
DALLA TEO L O G IA H EGELIA N A A LL'AN TROPOLOGIA
(L. FEUERBACH)
3 Basti la nota dichiarazione del manoscritto del 1844: « Von Feuerbach datiert
erst die positive humanistische und naturalistische Kritik. Je gerauschloser, desto
sichrer, defer, umfangreicher und nachhaltiger ist die Wirkung der Feuerba-
chischen Schriften, die einzigen Schriften seit Hegels Phanomenologie und Logik,
worin eine wirkliche theoretische Revolution enthalten ist » (K. Marx, Zur Kritik
der Nationaldkonomie...y MEGA, Berlin 1927, Abt. I, Bd. I l i , p. 34, ed. H.-J.
Fueter u. P. Futh, Darmstadt 1962, Bd. I, p. 508). Qualche capoverso prima Marx
accenna alla tracotanza dei critici hegeliani teologizzanti e riporta una serie di espres
sioni caratteristiche di Bauer, senza nominarlo (1. c., pp. 33, 507).
4 Se il Die Posarne... è opera del Bauer, come viene attribuito, non ci sembra
che questo giudizio di Marx sia esatto. Eppure pare che lo stesso Marx abbia, sia
pur in piccola parte, collaborato col Bauer.
692 l 'a t e i s m o e s p l ic it o c o s t r u t t iv o p o s t h e g e l ia n o
Gestalt giebt » (J. H. Fichte, Ueber dìe christliche and unchristliche Spekulation
der Gegenwart, Bonn 1842, p. 21). Questo, ci sembra, è cogliere in pieno il nucleo
della critica di Feuerbach di cui Fichte sta esaminando il Das Wesen des Christen-
tumSy ch’è riassunto egregiamente un po’ più avanti: « Religion, Bewusstsein des
Menschen von Gott, ist das Bewusstsein des Menschen von sich selbst » (p. 30).
9 L. Feuerbach, V orlatifige The sen zur Reform der Philosophie, 1843, S. W .,
ed. Bolin-Jodl, Stuttgart 1904, Bd. II, p. 222 s.; Kleine philos. Schriften, ed. M. G.
Lange, Leipzig 1950, p. 55.
10 Ved. al riguardo il c. I del Das Wesen des Christentums che tratta della
« essenza dell’uomo » (S. W ., ed. Bolin-Jodl, Bd. V II, p. 8).
DALLA TEOLOGIA HEGELIANA ALL’ANTROPOLOGIA 695
nità come la sua realizzazione che non quando io separo singoli uo
mini come tali? Un’incarnazione di Dio fin dall’eternità non è forse
più vera di una [sola] in un punto conchiuso nel tempo? La chiave di
tutta la Cristologia è che il soggetto del predicato che la Chiesa asse
gna a Cristo, invece di un individuo, è posto come un’Idea, ma un’Idea
reale e non inattuale come in Kant. Pensate in un individuo, in un
Uomo-Dio, le proprietà e le funzioni che la dottrina della Chiesa at
tribuisce a Cristo: esse si contraddicono. Nell’Idea del Genere invece si
accordano 12. L ’umanità è l ’unificazione delle due nature, il Dio fatto
uomo, lo spirito finito che estraniato diventa infinito nella finitezza e
memore della sua infinitezza; Egli è figlio della Madre visibile e del
Padre invisibile, dello Spirito e della Natura; Egli è il Taumaturgo, in
quanto nel corso della storia umana lo Spirito prende sempre più potere
della natura nell’uomo, come fuori di lui, così che questa diventa sog
getta alla sua attività come materiale inerte; essa è senza peccato, in
quanto il corso del suo sviluppo è senza macchia, in quanto la conta
minazione si attacca solo all’individuo; essa è colui che muore, risorge
e ascende al cielo, in quanto dalla negazione della sua maturità le
deriva una vita spirituale sempre più alta e dal superamento della
13 D. F. Strauss, Das Leben Jesu, Tubingen 1836, Bd. II, p. 734 s. (apud:
M. Reding, D er politische Atheismus > Graz-Wien-Kòln 1957, p. 98 s.; PA. dà una
accurata rassegna dello sviluppo del principio antropologico nella sinistra hegeliana).
14 « Der “ Pantheismus ” ist die notwendige Consequenz der Theologie (oder
des Theismus), die consequente Theologie; der “ Atheismus ” die notwendige
Consequenz des “ Pantheismus ”, der consequente ** Pantheismus ” » (L. Feuerbach,
Vorldufige Thesen..., ed. cit., Bd. II, p. 223, ed. M. G. Lange, p. 55).
698 l 'a t e is m o e s p l ic it o c o s t r u t t iv o p o s t h e g e l ia n o
15 « Die wahre Dialektik ist kein Monolog des einsamen Denkers mit sich
selbsty sie ist ein Dialog zwìschen lek und Du » (Grundsàtze der Fhilosophie der
Zukunft, § 62, ed. cit., Bd. II, p. 319, ed. M. G. Lange, p. 169). È probabile
che il titolo stesso dell'opera più famosa di Feuerbach sia di origine straussiana.
Feuerbach vedeva in Strauss... « l’uomo che finalmente aveva detto una parola al
tempo, una parola libera ed aperta » e si scagliava contro i titolari delle università
tedesche, « uomini stupidi e malvagi (dumm und boshaft) come le bestie che l'ave
vano attaccato» (Lettera all’amico Chr. Kapp del 1° novembre 1837; Ausgewablte
Briefe, ed. Bolin, Leipzig 1904, Bd. I, p. 313).
16 Ved. la nostra tr. it. nel voi. cit. Feuerbacb-Marx-Engels...y p. 29 ss.
17 Feuerbach prende l'occasione per diffidare il materialismo tradizionale che
non conosce l'essere originale dell’uomo né riconosce lo spirito: « Il materialista
privo di spirito (geistlose) dice: L ’uomo si distingue dall’animale soltanto per la co
scienza, è un animale con coscienza; costui non riflette che in un essere che si risve
glia a coscienza avviene una mutazione qualitativa di tutta l’essenza » {Das Wesen...,
ed. cit., Bd. V I, p. 3, nota).
DALLA TEOLOGIA H EGELIANA A L L ’ANTROPOLOGIA 699
Gattungen): nella vita abbiamo a che fare con individui, nella scienza
con generi: e solo un essere che ha per oggetto il proprio genere, la
propria essenza, può avere per oggetti altre cose o esseri secondo la loro
natura essenziale. È lo stesso principio d’immanenza, come ognuno
vede, che ha per contenuto la coscienza umana universale: un oriz
zonte d’immanenza però ben più angusto di quello del Concetto tut-
t’abbracciante ( das AUumfassende) di Hegel. Ma qui Feuerbach si
impasticcia subito: mentre attribuisce all’uomo, a differenza delPani-
male, la proprietà di parlare con se stesso e di assolvere da se stesso
le funzioni del genere, poi afferma ch’egli esercita le funzioni del genere
mediante la dialettica di Io e Tu!
Se la religione sorge nell’uomo in virtù della sua natura, sorge
allora in quanto l’uomo conosce se stesso ed in quanto questo cono
scere se stesso è non solo il fondamento ma anche l’oggetto della re
ligione, secondo la linea di Strauss: ossia la religione sorge come « co
scienza dell’Infinito » (Betvusstsein des Unendlichen) e poiché la co
scienza non è che « coscienza di sé », la religione è la coscienza che
l’uomo ha di sé ossia della propria essenza (come genere) non però in
quanto finito, limitato, ma in quanto infinito. Infatti, insiste il Nostro
hegeliano, coscienza in senso proprio e rigoroso e coscienza dell’Infinito
sono inseparabili e la coscienza è essenzialmente di natura infinita, onni
comprensiva. Ma, poiché oggetto della coscienza è la coscienza stessa,
la [cosiddetta] coscienza dell’Infinito non è che la coscienza della « in
finità della coscienza » ( Unendlichkeit des Bewusstseins ): ossia, nella
coscienza dell’Infinito, propria dell’uomo, ciò che diventa oggetto della
coscienza è per l ’uomo l’infinità della propria essenza 18. Ecco il nucleo
della nuova antropologia trascendentale. Il procedere di Feuerbach fa
ogni sforzo per mantenersi coerente a quest’immanentismo realistico e
tocca seguirlo con attenzione, anche se l’esito sembra scontato in partenza.
Si tratta che l ’uomo non solo sviluppa se stesso, ma che le forze
sue costitutive che sono la ragione, la volontà, il cuore (Vernunft ,
W ille , Herz) sono fatte per sviluppare se stesse a proprio vantaggio
(um seiner Selbst willen): così la « trinità divina », che Hegel faceva
svanire nella dialettica astratta, è l’unità operante di ragione, volontà,
amore. Queste sono le forze che operano nell’uomo e lo dominano;
quest’unità però trascende l ’uomo individuale, è precisamente il suo co
31 Ispirata alla più severa semantica hegeliana, come ognuno può vedere,
è quest’ennesima definizione della religione come processo di auto-oggettivazione del
suo essere e di trasformazione di quest'oggetto in un Essere da lui distinto: « Der
Mensch — dies ist das Geheimnis der Religion — vergegenstàndlicht sein Wesen
und macht dann wieder sich zum Gegenstand dieses vergegenstàndlichten, in ein
Subject, eine Person verwandelten Wesens; er denkt sich, ist sich Gegenstand, aber
als Gegenstand eines Gegenstandes, eines anderen Wesens. So hier der Mensch ist
ein Gegenstand Gottes » (Das Wesen..., ed. cit., Bd. V I, p. 37).
32 Feuerbach ha certamente presente anche il seguente testo della Enciclopedia
nel quale Hegel celebra la superiorità della filosofia sulla religione e della ragione sul
la fede. Dopo aver osservato che la conoscenza di Dio può essere appagata non nelle
semplici rappresentazioni della fede (scblechte Vorstellungen des Glaubens) ma
deve avanzare fino al pensiero concettuale ed è compito perciò dei filosofi e non
dei teologi faciloni i quali si accontentano di concludere che non sappiamo nulla di
Dio, Hegel continua: « Was Gott als Geist ist, dies richtig und bestimmt im Ge-
danken zu fassen, dazu wird grùndliche Spekulation erfordert. Es sind zunàchst
706 l 'a t e i s m o e s p l ic it o c o s t r u t t iv o p o s t h e g e l ia n o
e nella storia e si può dire quasi ch'egli respira unicamente col respiro
della storia ch'è soltanto storia umana. Ed è Hegel che al riguardo si
spiega senza possibilità di equivoci, per esempio nel seguente testo assai
intenso e significativo: « L'oggetto, la comunità di Dio e dell’uomo del
l'uno con l’altro è una comunità di spirito con lo spirito. [...] Che l'uomo
abbia conoscenza di Dio è secondo la comunità essenziale un sapere
comune, cioè l'uomo sa di Dio soltanto in quanto Dio sa di se stesso
nell'uomo, questo sapere è autocoscienza di Dio, ma è altrettanto un
sapere del medesimo [D io] da parte dell'uomo, e questo sapere di Dio
da parte dell’uomo è sapere dell'uomo da parte di Dio. Lo spirito del
l'uomo, di conoscere Dio [le tt.: di conoscere di Dio] è il sapere che
l'uomo ha [lett.: dell'uomo] di Dio. Qui cadono allora le questioni sulla
libertà dell'uomo, della connessione del suo sapere e della sua coscienza
individuale con il sapere, in cui egli è in comunanza con Dio, del sapere
di Dio in lui » 33. Il passaggio dal Geist hegeliano alla Gattung di Strauss
e Feuerbach era nella cadenza stessa del tema speculativo essenziale
del pensiero hegeliano ossia il rapporto dialettico fra finito e Infinito:
die Sàtze darin enthalten: Gott ist nur Gott, insofern er sich selber weiss; sein
Sichwissen ist ferner sein Selbstbewusstsein im Menschen, und das Wissen des
Menschen von Gott, das fortgeht zum Sichwissen des Menschen in Gott » (Enc.
d. phìlos. Wiss., § 564, ed. Jo. Hoffmeister, p. 472). Hegel rimanda agli Aphorìsmen
del Goschel di cui abbiamo già fatto cenno.
33 « Dass der Mensch von Gott weiss, ist nach der wesentlichen Gemein-
schaft ein gemeinschaftlichen Wissen, - d. i. der Mensch weiss nur von Gott, in
sofern Gott im Menschen von sich selbst weiss. diess Wissen ist Selbstbewusstsein
Gottes, aber ebenso ein Wissen desselben vom Menschen, und diess Wissen Gottes
vom Menschen ist Wissen des Menschen von Gott. Der Geist des Menschen, von
Gott zu Wissen, ist Wissen des Menschen von Gott » (G. W. Hegel, Pbilosopbie der
Religion, ed. cit., Bd. II, p. 496). È un testo che ricalca quello del § 564 deWEnci-
clopedia. Non v'è dubbio che Feuerbach aveva davanti questa concezione e questo
testo di Hegel quando riassumeva il punto cruciale della sua dissoluzione di Dio
nell’uomo: « Wenn nur aber, wie es in der Hegel’schen Lehre heisst, das Bewusst-
sein des Menschen von Gott das Selbstbewusstsein Gottes ist, so ist ja das men-
schliche Bewusstsein an sich schon gottliches Bewusstsein. Warum entfremdest du
also dem Menschen sein Bewusstsein und macht es zum Selbstbewusstsein eines
von ihm unterschiedenen Wesens, eines Objects? Warum eignest du Gott das Wesen,
dem Menschen nur das Bewusstsein zu? Gott hat sein Bewusstsein im Menschen
und der Mensch sein Wesen in Gott? Das Wissen des Menschen von Gott ist das
Wissen von sich? Welch ein Zwiespalt und Widerspruch! Kehre es um, so hast du
die Wahrheit: das Wissen von Gott ist das Wissen des Menschen von sich, von
seinem eigenen Wesen. Nur die Einheit des Wesens und Bewusstseins ist Wahrheit »
(L. Feuerbach, Das Wesen des Cbristentums, c. XXIV, S. W ., V I, p. 278).
DALLA TEOLOGIA HEG ELIAN A ALL'ANTROPOLOGIA 707
ciso del nostro studio. Il concetto di ateismo si chiari in lui man mano
che procedeva nella « risoluzione » del principio d’immanenza e questa
lezione è rimasta fondamentale sia per Marx, Engels, Lenin, sia per
l’esistenzialismo di Sartre, Merleau-Ponty, Camus e in generale per tutti
gli ateismi pullulati dalla dissoluzione delPidealismo. Quel che importa
osservare — chiedo scusa dell’insistenza, perché si tratta di un punto
capitale ch’è senz’altro il punto di vista proprio di questa nostra inda
gine — è la profonda differenza fra l’idealismo speculativo dei secoli
precedenti e la nuova negazione di D io 42. Infatti il concetto dell’ateismo
in senso proprio, cioè dell’ateismo cosiddetto speculativo, consiste sol
tanto, preso in senso rigoroso, nella negazione dell 'esistenza di Dio.
Benché l’ateo assieme all’esistenza neghi anche l’essenza, però questa ne
gazione non ha ancora il significato del male causale vero, ma di un male
derivato. Così che allora il suo concetto specifico, la sua posizione carat
teristica nella storia, è soltanto questo, di togliere l ’esistenza [di D io].
Esso non toglie l’esistenza di Dio perché toglie l’essenza del medesimo,
ma toglie l’essenza soltanto indirettamente perché toglie l ’esistenza.
L ’essere di Dio crea del tutto un concetto empirico. La questione: esiste
Dio? era identica, in conformità del concetto dell’essere anche in altre
situazioni che qui non c’interessano, alla questione: esistono spiriti?
esiste il diavolo? La questione intorno all’essere di Dio era quindi una
questione sull’essere nel senso di un essere il quale ha un plurale, di cui
esistono molti, di un essere propriamente di manifestazione per le cose
fuori di noi: in breve, di un essere esteriore oggettivo particolare empi
rico. Si trattava di un essere, il quale aveva in sé l’essenza dell’essere sen
sibile, senz’avere però i segni (Zeichen ) del medesimo, il cui garante per
tanto era diventato unicamente il senso in sé secondo la natura di questo
senso. Questa contraddizione, la contraddizione di un essere il quale
secondo il suo concetto era un oggetto d’esperienza, con l ’esperienza
reale la quale non mostrava questo essere, era il fondamento dell’ateismo.
Esso [ateismo] dubitava, esso negava pertanto un essere che secondo
la sua natura era oggetto di dubbio , di negazione; esso negava non il di
vino in sé, ma soltanto un concetto ateo , come in realtà era il concetto
dell’essere.
Giustamente per Feuerbach tutti i tentativi di dimostrare l’esistenza
di Dio — fatti dalla filosofia moderna a partire dal pensiero — sono
vani; essi vorrebbero interiore realtà della ragione concludere a
una realtà esteriore, dallo spirito cogliere una realtà senza spirito, dal
concetto derivare una realtà senza concetto, una realtà di fatto, e cc.43.
Quindi, l ’unica via per sfuggire alla contraddizione è l ’ateismo. Questo,
perché anche Feuerbach per suo conto non ha mai messo in discussione
il principio d’immanenza e perché non ha visto che la prima e fonda-
mentale contraddizione, anzi impossibilità, è quella di derivare l’essere
dalla coscienza e di farne una funzione di coscienza, che diventa in lui
un’impossibilità ancor più palese in quanto si fa appello unicamente
alla coscienza sensibile.
DALL'ATEISM O ANTROPOLOGICO
A LL’A TEISM O N A TURALISTICO (F. ENGELS)
rivela per tempo un senso deciso dei problemi ed una notevole forza di
coerenza dei principi: chi parte da Hegel, ed ormai non si può partire
che da lui, non può arrivare che all’ateismo.
Dei tre è stato, almeno in un primo tempo, soprattutto Strauss a
riportarlo ad H egel2 per il quale il giovane Engels professa una stima
incondizionata; ma anche l ’opera di Bauer e poi ancora quella di Feuer
bach, che viene sempre più chiarendo le sue intenzioni, operano in pro
fondità sul suo spirito 3 per avviare la nuova interpretazione dell’uomo
sgombra di qualsiasi riferimento, positivo o negativo che fosse, alla
religione e alla teologia che porterà poi a termine col suo grande amico.
In principio egli si butta a capofitto nella riflessione teologica che gli
procura un mare di dubbi e di tormenti sulle dottrine fondamentali della
religione e del cristianesimo (provvidenza, peccato, redenzione, ispira
zione biblica, vita futura...). Ecco una descrizione del suo stato d’animo
nel luglio 1839: « La mia religione era ed è pace tranquilla, beata, e se
l’avrò anche dopo la mia morte allora sono contento. Non ho motivo di
credere che me la si voglia togliere. La convinzione religiosa è affare
del cuore ed ha rapporto al dogma solo nella misura in cui questo con
trasta, o non, al sentimento. Così possa lo Spirito di Dio mediante il tuo
sentimento darti testimonianza che tu sei un figlio di Dio, ma che tu
lo sia mediante la morte di Cristo questo ancora non è certo; altrimenti
2 Ved. a questo riguardo la corrispondenza del 1839 coi fratelli Graeber, pro
testanti conservatori. Per esempio il Das Leben Jesu è detto: « ...ein unwiderle-
gliches Werk » (1. c., p. 523), e Strauss è con Theodor Mundt e Karl Gutzkow
l’alfiere della nuova Germania: « ... Ich kenne unter den jetzt lebenden nur eineny
der gleichen Geist, gleiche Kraft und gleichen Mut hat, das ist David Friedrich
Strauss » (p. 532). È la sua bandiera, è un genio: « Ich habe nàmlich zu der
Fahne des David Friedrich Strauss geschworen und bin ein Mythiker erster Klasse;
ich sage Dir, dass Strauss ist ein herrlicher Kerl und ein Genie und Scharfsinn
hat er wie keiner » (p. 546). E la sua conversione hegeliana: « Ich bin namlich
auf dem Punkte, ein Hegelianer zu werden; Ob ich’s werde, weiss ich freilich noch
nicht, aber Strauss hat mir Lichter iiber Hegel angesteckt, die mir das Ding ganz
plausibel darstellen » (p. 552). Il 2 dicembre la cosa è fatta: « Ich bin jetzt durch
Strauss auf den strikten Weg zum Hegeltum gekommen » (p. 554).
3 Voler ridurre Feuerbach alle cose vecchie presentandolo come un roman
tico fuori stagione od una sintesi di Fichte ed Hegel, come fa certa storiografia
marxista fin troppo gelosa della originalità di Marx-Engels (cf., p. es., J. Vuille-
min, L’humanisme atbée chez Feuerbach , Deucalion 4, Neuchàtel et Paris 1952,
p. 22 s.), è un voler misconoscere la scoperta dell’« essere sensibile » dentro il
principio d’immanenza che Feuerbach viene facendo nel suo progressivo distaccarsi
da Hegel, con sempre maggiore penetrazione, fino alla Somma dell’ateismo posthe
geliano che è il Das Wesen des Chrìstentums del 1841.
d a l l ’a t e is m o a n tr o po lo g ic o a l l ’ a t e is m o n a t u r a l is t ic o 715
4 Lettera del 12 luglio a F. Graeber (1. c., p. 530 s.). Engels, forse ancor più
di Feuerbach e quindi assai diversamente da Marx, era una natura religiosa e
ciò appare chiaramente in gioventù: cf., al riguardo, le prime lettere a F. Graeber
di cui abbiamo parlato. Fra gli scritti giovanili di Engels c ’è una poesia a Gesù
Cristo (datata dal Rjazanov alPinizio del 1837 cioè all’epoca della sua Conferma
zione) ch’è un’ardente professione di fede (MEGA I, 2, p. 465, lin. 3-32). Però
il padre, in una lettera del 1835 alla moglie Elisa, manifestava già le sue preoc
cupazioni: « Noch einmal, der liebe Gott wolle den Knaben in seinen Schutz
nehmen, damit sein Gemùt nicht verderbt werde. Bis jetzt entwickelt er eine
beunruhigende Gedanken- und Charakterlosigkeit, bei seinen ubrigens erfreulichen
Eigenschaften » (MEGA I, 2, p. 463). Sulla sincerità della sua fede e dei senti
menti espressi nella poesia, egli scriveva due anni più tardi all’amico F . Graeber
che l’aveva completamente fraintesa, nella lettera che abbiamo già citato sopra:
« Wegen der Poesie des Glaubens hast Du mich verkehrt verstanden. Ich habe
nicht um der Poesie willen geglaubt; ich habe geglaubt, weil ich einsah, so nicht
mehr in den Tag hineinleben konnte, weil mich meine Siinden reuten, weil ich
der Gemeinschaft mit Gott bedurfte » (MEGA I, 2, p. 530).
716 l 'a t e i s m o e s p l ic it o c o s t r u t t iv o p o s t h e g e l ia n o
5 M a , 5, 37.
6 Lettera a F. Graeber; aggiunta del 27 luglio 1839 (1. c., p. 531 s.).
7 Lettera a F. Graeber del 29 ottobre 1839 (1. c., p. 546).
d a l l ’a t e i s m o a n t r o po l o g ic o a l l ’a t e i s m o n a t u r a l is t ic o 717
8 « Seine (Hegels) Geschichtphilosophie ist mir ohnehin wie aus der Seele
geschrieben. Sieh doch, dass du Strauss’ Charakteristiken und Kritiken bekommst,
die Abhandlung ùber Schleiermacher und Daub ist wundervoll. So grundlich, klar
und interessant schreibt ausser Str(auss) kein Mensch » (1. c., p, 552). Nell’ul
tima lettera a F. Graeber (22 febbraio 1841) Engels ironizza con l’amico sulla
inutilità della sua polemica antistraussiana di fronte al nuovo corso della filosofia
(1. c., p. 562 s.).
9 F. Engels, Immermanns Memorabilien, 1. c., p. 115. Lo Stato maggiore del
neohegelismo è già delineato (cf. l’art. Ernst Moritz Arndt, del gennaio 1841, 1. c.,
p. 102, dove si legge: « Strauss auf theologischem, Gans und Ruge auf politischem
Felde werden epochemachend bleiben »).
10 Si tratta di tre scritti, due anonimi e uno con lo pseudonimo di Friedrich
Oswald, che Rjazanov ha raccolto con la denominazione di « Anti-Schelling » :
Schelling ììber Hegel, una filippica giornalistica pubblicata alla fine di novem
bre 1841 sotto l’impressione della prolusione di Schelling (15 novembre), e due
scritti più elaborati: Schelling und die Ojfenbarung, tra la fine del 1841 e l’inizio
del 1842, e Schelling, der Philosoph in Christo, 1842. Si ricorderà che anche Kier
kegaard fu a Berlino per ascoltare Schelling e che anch’egli, malgrado un entusiasmo
iniziale, rimase profondamente deluso (cf. Papirer 1841, II I, 9, 179: « Io sono così
contento di aver sentito la seconda lezione di Schelling... », tr. it. C. Fabro, II ed.,
n. 624, t. I, p. 352) come si rileva dalla lettera scritta al fratello Pietro nel feb
braio 1842: « Schelling chiacchiera in un modo insopportabile... » (Breve og
Aktstykker vedrbrende S. Kierkegaard, ed. N. Thulstrup, Copenaghen 1953, voi. I,
p. 109; tr. it., 1. c., n. 66 a, t. I, p. 365). Kierkegaard ha raccolto (dal novembre
1841 al febbraio 1842) queste lezioni di Schelling (5. K.s Papirer I I I C 27: c’è
solo l’indicazione) che sono state pubblicate in tr. ted. da A. M. Kortanek, Schellings
Seinslehre und Kierkegaard, Miinchen 1962, p. 98 ss. Gli appunti di Kierkegaard
non mostrano l’impegno critico e polemico di quelli di Engels e s’interrompono
alla discussione della rivelazione e della religione cristiana.
718 l ’a t e i s m o e s p l ic it o c o s t r u t t iv o p o s t h e g e l ia n o
Engels, fra Schelling e tutti gli altri filosofi: qui il primo tentativo di
contrabbandare nella scienza libera del pensiero la fede di autorità, la
mistica del sentimento, la fantasticheria gnostica, spezzando l'unità della
filosofia e la totalità di ogni concezione del mondo mediante la contrad
dizione di fare del cristianesimo anche il principio della filosofia. Ma
senza nessun risultato.
Infatti come procede Schelling? Rispolverando la distinzione scola
stica di essenza ed esistenza ossia del quid e quod , del Was e Dass, egli
afferma che il Was delle cose l'insegna la ragione (Venturi ft ), mentre
l’esistenza o Dass lo dimostra l'esperienza. Ma a questo modo, osserva
il Nostro, l'unico campo del pensiero sarebbe confinato al possibile, con
esclusione del mondo reale: la ragione sarebbe impotente a dimostrare
l'esistenza di qualche cosa e dovrebbe accettare a questo riguardo come
sufficienti le testimonianze dell'esperienza. Eppure la filosofia deve occu
parsi di oggetti i quali, soprattutto per il teista Schelling, trascendono
l'esperienza, per esempio Dio: è in grado la ragione di dimenticare
l’esistenza? Schelling ammannisce una lunga discussione che però non
prova un bel nulla; alla domanda: esiste Dio?, bisogna rispondere secon
do le sue premesse con un « no » (New) deciso. Infatti il principio di
Schelling è che la ragione nel puro pensiero non deve occuparsi delle
cose realmente esistenti, ma delle cose come possibili: così il suo
oggetto è ben l'essenza di Dio, ma non la sua esistenza. Per il Dio reale
bisogna trovare allora un'altra sfera da quella puramente razionale, il
presupposto dell'esistenza devono essere le cose le quali solo in un se
condo tempo, a posteriorly si devono mostrare come possibili ossia razio
nali e come accessibili all'esperienza (erfahrungsmàssig) nelle loro con
seguenze cioè reali. È qui che si vede il contrasto fra Hegel e Schelling.
Hegel afferma: « Ciò ch'è razionale, dev’essere anche reale » 13, mentre
per Schelling « ciò ch’è razionale, è possibile ». La requisitoria diventa
implacabile e penetra dall'interno della nuova « filosofia positiva ». La
ragione è proclamata l ’infinita potenza ( die unendliche Potenz) del co
noscere. Ora potenza è lo stesso di « capacità » (Vermogen): essa sembra
come tale senza alcun contenuto, e tuttavia essa ne ha uno e precisamente
senza sua cooperazione, senz’atto (Aktus) da parte sua, altrimenti cesse
rebbe d'essere potenza, poiché potenza ed atto sono opposti14. Questo
13 « Was vernunftig ist, das ist wirklich; und was wirklich ist, das ist ver-
niinftig » (G. W. Hegel, Phìlosophìe des Rechts, Vorrede, ed. Jo. Hoffmeister, Ham
burg 1955, p. 14; cf. Eric. d. philos. Wiss., Einleitung, § 6, ed. Jo. Hoffmeister,.
Leipzig 1949, p. 36).
14 Secondo la dottrina di Aristotele (Metaph.y IX), ripresa da Schelling.
720 l 'a t e i s m o e s p l ic it o c o s t r u t t iv o p o s t h e g e l ia n o
20 Schelling und die Offenbamng, 1. c., p. 226 s. E più sotto con evidente
ironia: « So konnte Schelling denn auch erst jetzt seinen ehemaligen Genossen in
der Gottlosigkeit, den verrufenen H egel, recht beurteilen. Denn dieser Hegel hatte
einen solchen Hochmut in der Vernunft, dass er sie geradezu fùr Gott erklarte,
als er sah, dass er mit ihr zu einem andern wahren, uber dem Menschen ste-
henden Gott nicht kommen konnte. Darum erklarte Schelling denn auch offen, er
wolle mit diesem Menschen und seiner Lehre nichts mehr zu schaffen haben und
kùmmerte sich weiter auch nicht um ihn » (1. c., p. 234).
21 Cfr. 1. c., p. 204 ss.
724 l ’a t e i s m o e s p l ic it o c o s t r u t t iv o p o s t h e g e l ia n o
che salva, all’araba Fenice che sempre risorge ringiovanita dalle fiamme 22.
Quest’enfasi ingenua, quasi da cartolina illustrata, illustra all’evidenza
10 stato d’animo di eccezionale euforia che animava la nuova generazione
filosofica in Germania, dopo lo scarso successo di Schelling a Berlino:
« Non si proclamava l ’abbattimento dell’hegelismo atteso per la
Pasqua 1842, la morte di tutti gli atei e non-cristiani? Tutto è andato
altrimenti. La filosofia hegeliana sopravvive come prima sulle cattedre,
nella letteratura, nella gioventù; essa sa che tutti i colpi diretti finora
contro di essa non le hanno portato alcun danno e attende tranquilla al
proprio sviluppo. [ ...] Quando Hegel morendo nel 1831 lasciò ai suoi
discepoli l’eredità del suo sistema, il loro numero era relativamente
esiguo. Il sistema era presente soltanto nella sua forma rigorosa e rigida
ma anche severa che poi è stata biasimata tante volte, ma che non' era
altro che una necessità. Hegel per conto suo, nell’orgogliosa fiducia
nella forza dell’idea, aveva fatto poco per cattivarsi la popolarità della
sua dottrina. Ma, appena morto Hegel, la sua filosofia cominciò la sua
vera vita. La sua dottrina sulla bocca dei suoi allievi prese una forma
più umana, più intuitiva, l ’opposizione da parte della filosofia divenne
sempre più fiacca e insignificante e finì per spegnersi. La gioventù s’im
padronì del nuovo che le veniva offerto. [...] Ed ora un nuovo mattino
è spuntato, un mattino di significato universale, come quello che dalle
brume dell’Oriente fece sorgere la luminosa libera coscienza greca » 23.
11 ditirambo continua e documenta il fervore appassionato, l’estro ro
mantico e messianico che animava Engels 24 ed i parricidi dell’idealismo
teologico hegeliano, nel proposito di salvare l’hegelismo essenziale.
22 Un testo fra gli altri: « Und diesel* Glaube an die Allmacht der Idee, an
den Sieg der ewigen Wahrheit, diese feste Zuversicht, dass sie nimmermehr wanken
und weichen kann und wenn die ganze Welt sich gegen sie empòrte, das ist die
wahre Religion eines jeden echten Philosophen, das ist die Basis der wahren
positiven Philosophic, der Philosophic der Weltgeschichte. Diese ist die hÒchste
Offenbarung, die des Menschen an den Menschen, in der alle Negation der Kritik
positiv ist. [...] Die Idee, das Selbstbewusstsein der Menschheit ist jener wun-
derbare Phonix, der aus dem Kostbarsten, was es auf der Welt gibt, sich den
Scheiterhaufen baut und verjiingt aus den Flammen, die eine alte Zeit vernichten,
emporsteigt » ( Schelling und die Offenbarung, 1. c., p. 227).
23 Schelling und die Offenbarungy 1. c., pp. 182 s., 225.
24 Ancora nel 1842 Engels scrive il poemetto: « Il trionfo della fede » (Der
Triumph des Glaubens) in quattro canti, eh'è un’ironia della denunzia di ateismo
fatta da Bauer a carico di Hegel con il saggio: Die Posaune... Il poemetto si trova
in MEGA I, 2, p. 253 ss. Rileviamo l’attribuzione evidente e indiscussa dello
scritto al Bauer (« O lass des Weltgerichts Posaune bald ertbnen! », 1. c., p. 254,
d a l l 'a t e i s m o a n t r o po l o g ic o a l l 'a t e is m o n a t u r a l is t ic o 725
lin. 15). La scena si svolge all’inferno: fanno corona al diavolo, che si ap
presta a giudicare Bauer, Hegel e Voltaire e con essi sono Danton, Edelmann,
Napoleone... e dopo che ognuno ha detto la sua davanti al diavolo sul conto
di Bauer, prende la parola Hegel stesso: « Tutta la mia vita io l’ho dedicata alla
scienza / ho insegnato l’ateismo con tutta la forza / ho messo sul trono l’autoco
scienza / credevo di poter abbattere Dio ». Ma si lamenta che la sua dottrina sia stata
fraintesa: « Ed ecco che ora finalmente si è alzato un uomo, / lo Strauss, il quale
aveva cominciato a comprendermi a metà / quando, appena chiamato a Zurigo, /
lo si respinse ai gradini dell’Aula » (1. c., p. 257, lin. 6-17). Nel terzo canto sono
nominati tra gli altri « un fusto bruno » (ein scbtoarzen Kerl) di Treviri, con evidente
allusione (mi sembra) a Marx e « il terribile Feuerbach » (1. c., p. 268 s.).
25 In un saggio del giugno 1842 con lo pseudonimo di Friedrich Oswald: « Das
junge Deutschland ist voriibergegangen, die junghegelsche Schule ist gekommen,
Strauss, Feuerbach, Bauer, die Jahrbiicher baben die allgemeine Aufmerksamkeit
auf sich gelenkt, der Kampf der Prinzipien ist in der schonsten Biute, es handelt
sich um Leben oder Tod, das Christentum steht auf dem Spiele, die politische
Bewegung erfiillt alles... » ( Alexander Jung , Vorlesungen..., MEGA I, 2, p. 324).
Questo A. Jung si dichiarava seguace del nuovo teismo schellingiano (1. c., p. 332).
26 Cf. Brief e aus London, II I, 9 giugno 1843. Inizia rilevando la decisione
con cui i socialisti inglesi combattono le varie Chiese e la religione in generale
{...von der Religion nichts wissen wollen)y la loro polemica contro il cristianesimo
e per l’ateismo: questo è presentato di solito in forma agnostica (...dass die
Existent Gottes oder die Nicbtexistenz den Menscben gleicbgiìltig sein kann)y ma
non mancano fra i socialisti teoretici gli atei radicali (ganze Atheìsten) come l’agi
726 l ’a t e i s m o e s p l ic it o c o s t r u t t iv o p o s t h e g e l ia n o
razione del pensiero di Engels la cui collaborazione con Marx può ben
essere considerata da pari a pari e forse con un lieve anticipo, sia pure
con minore penetrazione, del primo sul secondo27.
Il problema religioso rispunta nel saggio sulla « Situazione in
Inghilterra » ch’è uno studio critico sul volume Past and Present di
Thomas Carlyle, di cui riporta un ampio squarcio assai significativo
come analisi della crisi spirituale delPEuropa: « Noi abbiamo rifiutato
la religiosità del Medioevo senza ricevere nulla in compenso; abbiamo
dimenticato Dio, abbiamo chiuso i nostri occhi alle essenze eterne delle
cose per tenerli aperti solo per le illusorie apparenze delle cose. [...]
Nessun Dio esiste più per noi e l ’uomo, secondo la terminologia di Ben
Johnson, ha perduto la sua anima e l ’uomo cerca invano il sale che lo
salvi dalla putrefazione; al posto dell’antico Vangelo è subentrato il
nuovo vangelo, che corrisponde al vuoto della nostra epoca — il van
gelo di mammona — : ecco la nuova fede! Questo non ha portato affatto
gli uomini a unirsi fra loro: noi parliamo di “ società ” (Gesellschaft)y
ma in realtà non miriamo dappertutto che all’isolamento e alla più totale
separazione. La nostra vita non è affatto aiuto scambievole, ma ini
micizia scambievole, “ concorrenza razionale ” secondo precise leggi di
guerra, ecc. ». Ma Carlyle è in errore, ribatte Engels; egli deplora la
morte di tifo della povera vedova irlandese coi suoi 17 figli, abbandonata
da tutti, e dà la ragione che sarebbe stato « più economico » portarle
aiuto. La realtà è che anzi si rallegrano che quella morte abbia diminuito
la sovrapopolazione di 17 unità: ecco il ragionamento di questi ricchi
inglesi maltusiani! 28.
Di qui il travisamento che Carlyle fa dell’ateismo. Secondo lui
tutto sarà inutile e sterile fin quando l’umanità rimane nell’ateismo, fin
tatore Charles Southwell (MEGA I, 2, p. 370 ss.). Nella prima corrispondenza Engels
lamenta di non essere riuscito a trovare un editore per la versione inglese del Das
Leben Jesu di Strauss che ha dovuto uscire a dispense; altrettanto accade per Rous
seau, Voltaire, D ’Holbach e perfino per Byron e Shelley, che vengono letti solo dai
ceti inferiori (1. c., pp. 366, 372 s.).
27 Cf., p. es., il saggio: Umrisse zu einer Kritik der Nationalókonomie, scritto
verso la fine del 1843 e pubblicato nei Deutscb-Franzósische Jahrbucher del gen
naio 1844 (MEGA I, 2, pp. 379-404); esso è espressamente citato da Marx nei
suoi celebri*. Zur Kritik der Nationalókonomie, Oekonomisch-philosophische Ma
iluskripte del medesimo anno 1844 con l’espressione significativa: «. .. wo ich eben-
falls die ersten Elemente der vorliegenden Arbeit in ganz allgemeiner Weise an-
gedeutet habe » (MEGA I, 3, p. 33).
28 Die Lage En glands, MEGA I, 2, p. 412 s.
d a l l ’a t e is m o a n tr o po l o g ic o a l l ’a t e i s m o n a t u r a l is t ic o 727
30 « Der starke Glaube des Mittelalters verlieh auf diese Weise der ganzen
Epoche allerdings eine bedeutende Energie, aber eine Energie, die nicht von aussen
kam, sondern schon in der menschlichen Natur lag, wenn auch noch unbewusst,
noch unentwickelt. Der Glaube wurde allmàhlich schwach, die Religion zerbrockelte
vor der steigenden Kultur, aber noch immer sah der Mensch nicht ein, dass er
sein eignes Wesen als ein fremdes Wesen angebetet und vergóttert hatte » (Die
Lage E n glands, MEGA I, 2, p. 425).
d a l l ’a t e i s m o a n tr o po l o g ic o a l l ’a t e i s m o n a t u r a l is t ic o 729
31 « Nur der menschlìche Ursprung des Inhalts aller Religionen rettet ihnen
hier und da noch etwas Anspruch auf Respekt; nur das Bewusstsein, dass selbst
der tollste Aberglaube doch im Grunde die ewigen Bestimmungen des menschli-
chen Wesens enthalte, wenn auch in noch so verrenkter und verzerrter Form, nur
dies Bewusstsein rettet die Geschichte der Religion und namentlich des Mittel-
alters vor der totalen Verwerfung und vor dem ewigen Vergessen, was sonst aller-
dings das Schicksal dieser “ gottvollen ” Geschichten sein wiirde » (Die Lage En
gland* , MEGA I, 2, p. 427). Di qui le formule che seguono: « L ’empietà (Gottlosig-
keìt) della nostra epoca è appunto la sua pienezza di Dio (Gotterfulltheit) » e
Engels scrive Gottlosigkeit e Gotterfiilltheit per accentuare il capovolgimento dei
valori. Quindi non bisogna più dire che « l’uomo ha perduto la sua anima e co
mincia ora ad accorgersi della sua mancanza » ma « è nella religione che l’uomo ha
perduto la sua anima, che aliena la sua umanità, e s’accorge che l’unica via di sal
vezza è nel superamento di tutte le rappresentazioni e in un deciso ritorno non a
“ Dio ” ma a se stesso » (1. c., p. 428). Il panteismo — nel quale finisce anche
Carlyle — non è che l’ultima tappa, per una forma di libera e umana intui
zione (die letzte Vorstufe zur freien, menschlichen Anschauungsweise: 1. c., p. 428 s.).
4
L a f in e d e l l a « c r it ic a d e l l a r e lig io n e » (F e u e r b a c h )
smus und Kritizismus del 1809: « Fiacca non è la ragione che non rico
nosce nessun Dio oggettivo, ma quella che vuole riconoscerne uno » 3.
La situazione però, a voler guardare a fondo nel pensiero moderno, è
un’altra: Schelling, nota Marx, dovrebbe ricordare ciò che ha scritto
nelle sue prime opere. Per esempio nel saggio sull’« Io come principio
della filosofia » si legge: « Se si ammette per esempio che Dio, in
quanto è determinato come oggetto, è il fondamento reale del nostro
essere, allora cade anche lui nella sfera del nostro conoscerey non può
quindi per noi essere l’ultimo punto al quale sta sospesa tutta questa
sfera » 4.
Marx ricorda ancora a Schelling la frase conclusiva della Let
tera citata: « È tempo di annunziare all’umanità migliore la libertà degli
spiriti e di non sopportare più >a lungo ch’essa pianga la perdita delle sue
catene » 5. Messe in prosa, queste espressioni significano che quando si
vuol partire dall’autonomia costitutiva dell’Io ossia dall’immanenza
dell’essere alla coscienza, ch’è il nuovo concetto di libertà, non c’è più
posto per Dio. E non siamo che nell’anno 1795: cosa potrà essere il 1841?
Per rafforzare la sua istanza, Marx fa un breve excursus sulle prove
dell’esistenza di Dio nell’idealismo. Infatti Hegel ha capovolto comple
tamente queste prove teologiche, ossia le ha respinte, per giustificarle:
che clienti invero — osserva con ironia Marx — sarebbero mai quelli il
cui avvocato non ha altro mezzo per sottrarli alla morte che quello di
ammazzarli lui stesso? Hegel, per esempio, interpreta la deduzione del
mondo da Dio nella seguente forma: « Poiché il casuale non esiste,
esiste Dio ». Se non che la prova teologica dice viceversa: « Poiché il
casuale ha un vero essere, esiste Dio ». Dio è la garanzia di un mondo
soggetto al caso (zufdilige Welt). È chiaro che a questo modo resta
affermata anche la conclusione inversa. Si tratta, secondo Marx, di
un’alternativa che in ogni caso porta ad una conclusione negativa. In
fatti queste prove dell’esistenza di Dio o sono delle tautologie senza
3 Schelling nel periodo precedente aveva osservato che « ... se tu vuoi agire
liberamente, devi agire prima ch’esista un Dio oggettivo; poco importa che tu
creda in lui, una volta (ivenn) che tu hai agito. Ma nella realtà bisogna perdonare
la debole ragione » (F. W. Schelling, Pbilos. Briefe iiber Dogm. u. Krit., S. W.,
Abt. I, Bd. I, Stuttgart u. Augsburg 1856, p. 290).
4 « Man nehme z. B. an, dass Gott, insofern er als Objekt bestimmt ist, Real-
grund unseres Wesens sei, so fàllt er ja, insofern er Objekt ist, selbst in die
Sphàre unseres Wissens, kann also fur uns nicht der letzte Punkt sein, an dem
diese ganze Sphàre hàngt » (Schelling, S. W ., I, 1, p. 165).
5 Schelling, S. W., I, 1, p. 292.
l ’a t e i s m o d el m a t e r ia l is m o d i a l e t t ic o 733
6 K. Marx, Fritte Scbriften, ed. cit., Bd. I, p. 76, MEGA, Abt. I, Bd. I, 1,
p. 8 0 s.
7 Un documento della crescente importanza di Feuerbach per Marx, al di
sopra di Strauss, è l’entusiasmo suscitato in lui dal Das Wesen des Christentums
al suo primo apparire fino a proclamare: « Und es gibt keinen anderen Weg fur
euch zur Wahrheit kommen und Freiheìt, als ditrch den Feuer-bach. Der Feuer
bach ist das Purgatorium der Gegenwart » (Luther als Schiedsrìchter zwischen
Strauss und Feuerbachì in K. Marx, Frilhe Schrifteny Bd. I, p. 190). « Feuer
bach » significa « ruscello di fuoco ».
8 II suo giovanile « Inno a Prometeo » (MEGA I, 1, pp. 30-31), ispirato da
Goethe, può considerarsi la professione programmatica di ateismo.
734 l 'a t e is m o e s p l ic it o c o s t r u t t iv o p o s t h e g e l ia n o
11 « Die Kritik der Religion endet mit der Lehre, dass der Mensch das hóchste
Wesen fiir den Menschen sei » (K. Marx, Fruhe Schrìften, Bd. I, p. 497; Marx-Engels
W erke, Bd. I, p. 385).
736 l ’a t e i s m o e s p l ic it o c o s t r u t t iv o p o s t h e g e l ia n o
L ’a t e is m o c o s t r u t t iv o : la d ia l e t t ic a ( ritorno a H e g e l )
18 Cf. il breve appunto: /. ad Feuerbach, pubblicato col titolo: Marx iiber sebi
Verhaltnis zu H egel und Feuerbach, in Marx-Engels W erkey Bd. I l i , p. 356.
19 Marx usa i termini hegeliani di Entdusserung, Entfremdung e parla perciò
dell’uomo come di un entjremdete Wesen e della storia umana come di una Ent-
ausserungsgeschichte (Oekonomìsch-philosophìsche Manuskriptey §§ XV II-XV III,
MEGA I, 3, p. 154 ss.; K. Marx, Friìhe Schriften, Bd. I, p. 642 ss.). In italiano
i due termini « alienazione » e « estraneazione » presentano qualche sfumatura di
differenza (il primo ha senso prevalentemente giuridico p. es. nella vendita di og
getti, mentre il secondo si riferisce piuttosto alla condotta deH’uomo); mentre in Marx
si trovano alle volte insieme, quasi sinonimi (cf. l’osservazione di J. Hyppolite, Genèse
et structure de la Phénoménologie de Vesprit de H egel, Paris 1946, p. 372).
20 « Das Wahre ist das Ganze. Das Ganze aber ist nur das durch seine Entwick-
lung sich vollendete Wesen. Es ist von dem Absoluten zu sagen, dass es wesentlich
Resultat, dass es erst am Bude das ist, was es in Wahrheit ist; und hierin eben
l 'a t e i s m o d el m a t e r ia l is m o d i a l e t t ic o 739
alla società civile, la società civile tolta è uguale allo Stato, lo Stato
tolto è uguale alla storia universale. Quindi, nella realtà, diritto pri
vato, morale, famiglia, società civile, Stato... continuano a sussistere:
solo che non valgono più in sé come isolati, ma sono divenuti modi di
essere dell'uomo che si producono e si dissolvono reciprocamente. La
dinamica della negatività resta nascosta, inoperante. Essa si manife
sta solo nel pensiero e più precisamente nella filosofia, in quanto essa è
il momento superiore della vita dello Spirito22, ma in questa concezione,
se è vero che il momento superiore (la filosofia) supera quello inferiore,
non lo nega nella realtà ma lo deve anzi conservare a fondamento del
superamento, come « apparenza » (Erscheinung)y come tappe preliminari
indispensabili. Di qui si vede anzitutto come Hegel è in fondo un ateo
radicale in quanto la verità della religione non si trova nella religione
stessa, ma unicamente nella filosofia, come si è visto, e Marx l’esprime
dicendo che per Hegel « ... la mia vera esistenza religiosa è la mia
esistenza filosofica religiosa, ma allora io sono religioso solo in quanto
filosofo della religione e così nego la religiosità reale e il reale uomo
religioso; ma si vede anche come Hegel li mantiene e li conferma sia
in quanto ad essi oppongo solo la loro espressione filosofica e sia perché
l'autocoscienza ne ha un bisogno come forme del suo apparire e l'essere
religioso può così trovare in Hegel la sua ultima conferma » 23. Il proce
dimento a cui perciò si applica Marx è quello di attuare sul serio la
negatività hegeliana e quindi di ricuperare sul serio l’essere umano
estraniato nel lavoro.
Così Marx può dire di aver chiarito il significato preciso del suo
ateismo, del comuniSmo e deH'ateismo comunista ossia in quale senso
l'ateismo è la soppressione (Aufhebung) di Dio e il comuniSmo la sop
pressione della proprietà privata cioè come rivendicazione per l’uomo
dell’effettiva vita umana e così si ha l’umanesimo positivo ossia l'uma
nesimo procedente positivamente da se stesso. Perciò, conclude, l ’ateismo
e il comuniSmo non sono affatto la fuga, l'astrazione, la perdita del
mondo oggettivo prodotto dall'uomo; ma sono piuttosto l'effettivo at
tuarsi, la realizzazione divenuta effettiva per l'uomo del suo essere,
22 ConTè noto, per Hegel lo Spirito si manifesta come arte, religione, filo
sofia a seconda che l’Assoluto è riferito alPesteriorità, all’integrità o alla sintesi
dialettica di entrambi.
23 Oekonomiscb-pbilosopbìsche Mamiskripte, §§ XXIX-XXX, MEGA I, 1, 1,
p. 164 ss.; K. Marx, Fruhe Scbriften, Bd. I, p. 655 ss.
l ’a t e is m o d el m a t e r ia l is m o d i a l e t t ic o 741
della sua essenza come essenza reale24. Marx continua il suo dialogo
con Hegel, ma per noi l ’essenziale è in questa rivendicazione di reali
smo della dialettica come principio di rivendicazione della realtà del
l ’essere umano, da cui scaturisce l’alternativa: o Dio o l’uomo, il
ricupero dell’uomo fondato nella negazione di Dio. Di qui la formula:
l’alienazione religiosa come fondamento delle altre alienazioni e quindi
la lotta contro la religione per l’affermazione dell’ateismo come il com
pito primo e principale della concezione marxista della vita, Vabc del
materialismo dialettico (Lenin). D ’altra parte bisogna notare che Marx
ci tiene molto a presentare il proprio comuniSmo e ateismo come com
piuto umanesimo ossia come punto di arrivo di tutta la storia prece
dente. Infatti anche quando il comuniSmo comincia subito con l ’ateismo25,
l’ateismo resta aqcora un’espressione (negazione) filosofica astratta che
indugia nella contrapposizione di spiritualismo-materialismo e non nel
cercare la base di cui ha bisogno per presentarsi. Questa, secondo Marx,
si trova soltanto nel socialismo marxista26. Per esso infatti tutta la
cosiddetta storia universale altro non è che una produzione dell’uomo
mediante il lavoro umano, come il divenire della natura per l ’uomo: è la
versione marxista radicale, come ognun vede, del principio d’immanenza
secondo la quale l’uomo ha così la prova evidente, irrefutabile della sua
« nascita » ( Geburt ) mediante se stesso, del suo processo di origine
(Entstehungsprozess). In Marx l ’essenzialità dell’uomo e della natura è
divenuta (mediante il lavoro) praticamente sensibile e visibile, ed è dive
nuto praticamente sensibile l ’uomo per l ’uomo come esistenza naturale
(als Dasein der Natur) e la natura per l’uomo come esistenza dell’uomo.
Risulta allora praticamente impossibile la questione circa [ l ’esistenza di]
una essenza estranea, di un’essenza che sia al di sopra della natura e del
l’uomo, in quanto questa questione include l’ammissione dell’inessen-
zialità della natura e dell’uomo. La deduzione è in linea, senza dubbio,
coi principi: se l ’essere è fondato a partire dalla coscienza e se l’uomo si
definisce essenzialmente come sensibilità ossia come rapporto al mondo
sensibile, è evidente che un orizzonte intenzionale diverso dalla sensibi
lità non può esistere né aver « senso » alcuno.
È facile per Marx, troppo facile invero, affermare che il socialismo
3 Ueber die Religion, ed. cit., p. 48 ss. Verso la fine Lenin osserva ironico sul
problema della « personalità » nell’idealismo : « Dass der philosophische Idealismus,
“ immer nur die Interessen der Persònlichkeit im Auge hat ” [parole di Gorki,
credo], ist nicht richtig. Hat Descartes die Interessen der Persònlichkeit mehr in
Auge gehabt als Gassendi? Oder Fichte und Hegel mehr als Feuerbach? »
(p. 50 s.).
L ’ATEISMO SOCIAL-POLITICO DI N. LENIN 745
4 Sul significato del materialismo militante, in Ueber die Religiony ed. cit.,
p. 84 s.
5 « Jedem muss es vollkommen freistehen, sich zu jeder beliebigen Religion
zu bekennen, oder gar keine Religion anzuerkennen, d. h. Atheist zu sein, was
ja auch jeder Sozialist in der Regel ist » (Sozialismus und Religion, in Ueber die
Religion, ed. cit., p. 7). La religione come affare privato era stato uno dei punti
del « Programma di Erfurt » del 1891.
6 La frase è ripetuta anche nelTart.: Sul rapporto del partito operaio... (Ueber
die Religiony ed. cit., pp. 20, 28, 31...).
746 l 'a t e is m o e s p l ic it o c o s t r u t t iv o p o s t h e g e l ia n o
7 Lenin combatte perciò accanitamente Pindirizzo che voleva fare del sociali
smo la nuova religione, perché esso conservava ancora la « rappresentazione di Dio »
(nella tr. ted. si ha Gottbildnerei; cf. Ueber das Verhdltnìs der Arbeiterpartei
tur Religion, in Ueber die Religion, ed. cit., p. 28). A questi « figuratoti di
Dio (Gottbildner) come Lunatscharski, Basarow..., i quali cercavano un accordo
con la religione » si era accostato Gorki, al quale Lenin svelò l’essenza reazionaria
di quest’indirizzo nelle lettere già citate (Ueber die Religion, ed. cit., p. 44 ss., e
v. la nota 10 di p. 90).
L ’ATEISMO SOCIAL-POLITICO DI N. LENIN 747
8 Ueber die Religion, ed. cit., p. 53. Anche nel programma per KPR, scritto
nel febbraio-marzo 1919 e pubblicato nel 1930, nel quale dopo aver ribadito la
necessità della lotta per liberare le classi operaie dai pregiudizi religiosi e per la
propaganda dell’ateismo, ammonisce di evitare con ogni cura di non offendere il
sentimento religioso poiché tale offesa... «porterebbe senz’altro ad un rafforza
mento del fanatismo religioso » (Ueber die Religion, ed. cit., p. 55).
748 l 'a t e is m o e s p l ic it o c o s t r u t t iv o p o s t h e g e l ia n o
9 Ueber die Religion, ed. cit., p. 64 s.; cf. anche, nello stesso discorso, p. 68 ss.
10 Cf. Lenin, Aus dem philosophiscben Nacblass, Berlin 1958, p. 320, dove
a proposito dell’ultima (30a) lezione di Das W e sen der Religion si legge che « ... può
essere presentata come un esempio tipico di ateismo illuministico con tinta socia-,
listica » (mit sozialistischen Anstricb). L ’uomo è concepito da Feuerbach ancora
in modo astratto.
11 Ans dem philosopbischen Nacblass, ed. cit., p. 98 s. Un po’ più sotto: « La
logica è la dottrina della conoscenza. Essa è teoria della conoscenza. La conoscenza
è il riflesso della natura mediante l’uomo » (p. 101).
l ’a t e is m o SOCIAL-POLITICO DI N. LENIN 749
12 Zur Kritik der Nationalókonomìe mit eìnen Schlusskapìtel iìber die Hegel-
sche Pbilosophie, MEGA I, 3, p. 167.
750 l 'a t e i s m o e s p l ic it o c o s t r u t t iv o p o s t h e g e l ia n o
13 Cf. il testo capitale n. 1017 di Papirer 1846, V II A 181, tr. it. C. Fabro,
II ed., Brescia 1962, voi. I, p. 512 s., cf. anche: C. Fabro, Tra Kierkegaard e Marx,
Firenze 1952; Id., Storia della filosofia, II ed., Roma 1959, t. II, pp. 810 ss., 917 ss.
Sul carattere strutturale, e quindi inderogabile, che compete all’espulsione di Dio
(come fondamento della libertà deH’uomo) nell’ateismo contemporaneo — ed
in quello marxista in particolare — i fautori cattolici del « dialogo » diretto con
i comunisti (v. anche il par. seg.) sorvolano con leggerezza pari alPestrema serietà
ed importanza delPargomento. La solidarietà di comuniSmo e ateismo è salda nel
pensiero di Marx, benché i due termini non siano reversibili: « Atheìsmus, Kom-
munismus sind keine Flucht, keine Abstraktion, kein Verlieren der von dem
Menschen erzeugten gegenstàndlichen Welt, seiner zur Gegenstàndlichkeit herausge-
bornen Wesenskràfte, keine zur unnaturlichen, unentwickelten Einfachheit zuriick-
kehrende Armut. Sie sind vielmehr erst das wirkliche Werden, die wirklich fiir
den Menschen gewordne Verwirklichung seines Wesens und seines Wesens als
eines wirklichen » (Zur Kritik der Nationalòkonomie...y MEGA I, 3, p. 167).
Questa posizione di Feuerbach e Marx, anche secondo la critica più recente,,
procede soprattutto da Hegel (cf. G. Dicke, D er Identitatsgedanke bei Feuerbach'
und Marx, Koln und Opladen 1960, spec. pp. 15 ss., 104 ss.).
6
L ’ATEISM O P O SIT IV O
D E L L ’UMANESIMO MARXISTA
1 Sembra sia stato Moses Hess a mostrare che l’alienazione religiosa, come
era stata presentata da Feuerbach, trova la sua applicazione propria nella situa
zione economica e sociale (cf. A. Cornu, U idée d ’alienation chez Hegel, Feuerbach
et K. Marx, in La Pensée, 1948, nr. 17, p. 72; v. dello stesso A.: Moses Hess
et la gauche hégélienne, Paris 1934, p. V II: « Hess souligna le premier la nécessité de
transformer la philosophic hégélienne en une philosophic de Taction, et, prévoyant
lechec du mouvement libéral, le premier aussi il fixait à cette action un but non
pas politique mais social »).
752 l ’a t e i s m o e s p l ic it o c o s t r u t t iv o p o s t h e g e l ia n o
2 Cf. per quanto segue: K. Marx-F. Engels, Die Heilige Familie, Kap. VI,
d) Kritische Schlacht gegen den franzòsischen Materialismus; Marx-Engels W erke,
ed. cit., Bd. II, p. 131 ss.; anche Marx-Engels, Ueber die Religion, Berlin 1958,
p. 45 ss.
3 Si deve però osservare che facendo l’elenco dei propri antenati ideologici
Cabanis fa cominciare da Locke « ... la plus grande et la plus utile revolution de
la philosophie » e passa subito ad Helvétius e a Condillac senza neppur un cenno
a Descartes (Rapports du physique et du moral de Vhomme, Preface, I I P éd., à
Paris 1815, t. I, p. IX).
l ’a t e is m o p o s it iv o d e l l ’u m a n e s i m o m a r x is t a 753
5 K. Marx-F. Engels, Die Heilige Familie, 1. c., Bd. II, p. 138; Ueber die
Religion, p. 52.
6 K. Marx-F, Engels, Die Heilige Familiey 1. c., Bd. II, p. 139.
756 l 'a t e i s m o e s p l ic it o c o s t r u t t iv o p o s t h e g e l ia n o
sistica come in Marx, è forse l ’atto di coraggio più notevole del pen
siero moderno, un autentico ernst-nehmen del suo principio. Perciò
si deve riconoscere che la restrizione di « ateismo politico » va contro
il testo e il contesto. Lo Steinbùchel parla di « materialismo metafisico »
ma il termine non ci pare esatto: il sensismo radicale a cui si ispira
la gnoseologia marxista non ammette nessuna metafisica e del resto
la polemica della sinistra contro la destra hegeliana è precisamente nella
negazione della metafisica. La stessa polemica di Marx-Engels nel Die
Heilige Fam ilie , contro l’ala speculativa della sinistra, è ancora in fun
zione antimetafisica ossia per l’affermazione dello storicismo economico
puro, senza residui. E antimetafisici sono per l’appunto i termini sacri
di « materialismo dialettico » e « materialismo storico ».
Quando perciò si afferma con Reding che l’ateismo ha per Marx
il significato di « mezzo di lotta » (Kam pfmittel ), non nega ma piutto
sto presuppone che l’ateismo costituisca il nucleo della spiegazione del
mondo e dell’uomo 28: la politica è la decisione che l’uomo prende ri
spetto alla storia e al suo divenire, ma siffatta decisione presuppone
la decisione o determinazione che l’uomo fa di sé e della natura e del
suo rapporto alla natura 29. Il fatto che il concetto marxista di « mate
ria » abbraccia tutti i gradi del reale, e quindi anche le attività dello
spirito, che non si tratta quindi della materia sorda e opaca della metafi
sica razionalistica, non cambia affatto, ma aggrava la posizione di atei
smo del marxismo rendendola irrecuperabile in radice. La concezione
marxista, come si è visto, restando fedele al principio di coscienza,
assume per « realtà » fondamentale la sfera delle apparenze sensibili
e delle produzioni sensibili dell’attività umana: quindi non solo è incon
cepibile un assoluto trascendente come in Hegel, ma è esclusa per
definizione ogni realtà spirituale come tale. L ’ateismo che Bauer e
Marx avevano ironizzato in Hegel nel Die Vosatine... ha fatto ora un
passo indietro ed è solidale strettamente col « nuovo » materialismo,
appunto perché esso esprime lo (pseudo) spiritualismo hegeliano rove
sciato. Del resto lo stesso Reding scrive: « La materia è l’Assoluto di
Marx, come l’uomo era stato l’Assoluto di Feuerbach, lo spirito l ’As
soluto di Hegel, l’indifferente era l’Assoluto di Schelling. E come lo
spirito di Hegel toglie in sé tutti i gradi dell’essere, così la materia
e la natura abbracciano la realtà puramente materiale come anche i feno
meni spirituali. Bisogna prendere sul serio la frase di Marx ch’egli
ha rimesso in piedi Hegel; ma allora risulta che come lo spirito hege
liano include la materia, così la materia marxiana abbraccia anche lo
spirito » 30. Per questo appunto si deve ammettere che il cerchio della
finitezza e perciò dell’ateismo si chiude a doppia mandata, prima in
virtù del principio d’immanenza come tale e poi in virtù della ridu
zione della sfera dell’immanenza alla realtà sensibile e alla prassi mate
riale e sensibile dell’uomo: checché sia delle ambiguità interne a questa
risoluzione, di cui si dirà a suo luogo nella discussione finale del prin
cipio d’immanenza.
Concludiamo intanto che se c’è un punto fermo nello sviluppo
del marxismo, dal Marx giovanile fino a quello del Capitale e dal mar
xismo dei classici (Marx-Engels-Lenin) al marxismo contemporaneo di
qualsiasi indirizzo economico-politico, è questo dell’ateismo e del mate
rialismo di fondo. E secondo la nostra analisi ateismo e materialismo
nel marxismo finiscono sul « materialismo fisico » o sullo scetticismo,
39 « Der Atheismus ist fiir ihn [M arx] kein Problem, sondern ein Selbstver-
standlichkeit » (L. Landgrebe, Das Problem der D idektikyin Marxismus-Sttidien, I I I
[1 9 6 0 ], p. 42).
40 Cf. H. Gollwitzer, Dìe marxistische Religion skritik..., 1. c., p. 114.
774 l ’a t e i s m o e s p l ic it o c o s t r u t t iv o p o s t h e g e l ia n o
2 « Es liegt im Empirismus dies grosse Prinzip, dass was wahr ist, in der
Wirklichkeit sein und fiir die Wahrnehmung da sein muss. [...] Wie der Empirismus
erkennt auch die Philosophic nur das was ist; sie weiss nicht solches was nur
sein soli und somit nicht da ist » {fine. d. philos. Wiss., § 38, ed. Hoffmeister, p. 64).
IL COSIDDETTO « P R IN C IP IO D’E S P E R IE N Z A » 783
3 Enc. d. phìlos. Wiss.y § 38, Zusatz, ed. L. von Henning, Berlin 1840,
p. 80 ss.
4 Hegel rimanda al suo articolo del 1802 di recensione allo Schulze: Ver haltnis
des Skeptizismus zur Philosopbìe (c£. Erste Druckschriften, ed. Lasson, Leipzig
1928, spec. pp. 175 ss., 193 ss.) dove manca però ogni accenno esplicito a Hume, al
quale invece YEnciclopedìa riconosce di aver messo per fondamento — contro lo
scetticismo greco — la « verità dell'empirico, del sentimento e dell’intuizione »
ossia il principio dell’attività pura della coscienza. Mentre lo scetticismo antico
consisteva nel ritorno alla coscienza singola in modo che per lui questa non è la
verità, lo scetticismo moderno invece ha « fede » nella realtà dell’autocoscienza e
può essere considerato già come una tappa dell’idealismo (cf. Geschichte der Phi-
ìosophìe, Teil II I, ed. Michelet, Berlin 1844, p. 440).
IL COSIDDETTO « P R IN C IP IO D 5E S P E R IE N Z A » 785
I l d iv e n ir e d e l l ’e s p e r ie n z a e la f in it e z z a di Dìo (J. S. M i l l ,
W . J am es)
10 J. Stuart Mill, Three Essays..., ed. cit., p. 153 s. Di qui anche l’impossibilità
del miracolo: cf. Op. cit., pp. 219, 232... (con riferimento esplicito alla critica di
Hume). La sua posizione è esplicita: « Accordingly when we hear of a prodigy we
always, in these modern times, believe that if it really occurred it was neither
the work of God nor of a demon, but the consequence of some unknown natural
law or of some hidden fact » (p. 230); v. a p. 238 l’attacco alla dottrina cattolica
sulla continua presenza dei miracoli nella Chiesa, ch’è negata invece dai prote
stanti (il valore della tesi cattolica, com’è noto, è stato ai nostri giorni portato sugli
schermi nel capolavoro filmico di T. E. Dreyer: Ordet - « La Parola » - preso
da Kaj Munk e ispirato da Kierkegaard).
11 J. Stuart Mill, Three Essays..., ed. cit., p. 613 ss.
12 È la nota tesi del Bayle.
IL COSIDDETTO « P R IN C IP IO D E S P E R IE N Z A » 789
19 Cf. la lettera inedita del James a Thomas Davidson del 2 gennaio 1882,
pubblicata da J. S. Bixler, Religion in the Philosophy of 'William James, Boston
1926, p. 125 ss. L ’opera più rappresentativa di questo primo periodo è The
Will to Believe and other Essays, che comprende gli articoli dal 1880 al 1892
(II ed., 1897).
IL COSIDDETTO « P R IN C IP IO D ’E S P E R IE N Z A » 793
20 « Anything short of God is not rational, anything more than God is not
possible» (The Will to Believe..., II ed., New York 1909, p. 116).
21 W . James, The Will to Believe..., ed. cit., p. 212 s. Si osserva la fusione
di elementi empiristi e idealisti in questa « postulazione » di Dio come garante
dell’azione (James cita infatti il suo collega idealista J. Royce: Op. cit., p. 214).
22 Questo stadio è rappresentato soprattutto da The Varieties of religious
Experience (New York 1913), che può essere considerata l’opera maggiore. Ne
tratta specialmente il cap. « Philosophy », p. 430 ss.
794 l ’a t e i s m o r e l ig io s o d e l l ’e m p i r i s m o a n g l o -a m e r i c a n o
con un atto libero e come una sostanza estranea, e produce l’uomo come
una terza sostanza, estranea a sé e al mondo. Secondo la teologia
scolastica Dio dice « uno », il mondo « due » e l’uomo « tre »... e:Dio
non ha alcuna relazione effettiva alle creature, essi sono toto. genere
distinti e non hanno nulla ( nothing) in comune. Dio può bensì toccarli
con la sua azione, ma non può essere mai toccato dalla nostra reazione:
a rigore, nel teismo, fra Dio e l’uomo non ci può essere una vera rela
zione di carattere sociale e così tutto è pervaso da un carattere di
esteriorità. Dio non è più il cuore dei nostri cuori e la ragione della
nostra ragione, ma il nostro magistrato, e l’unico nostro dovere con
siste nell’obbedire meccanicamente ai suoi comandi. Quindi l’errore
capitale del teismo è la mancanza d’interiorità (lack of intimacy). È
strano che il Nostro abbia un’idea così sommaria e caricaturale del
teismo creazionistico e gli preferisca il panteismo induistico: « Dio,
inteso come l’anima e la ragione intima dell’universo, è sembrato
sempre ad alcuni una conoscenza più degna di quella di un Dio crea
tore estrinseco. Così concepito egli appariva (capace) di unificare il
mondo più perfettamente, lo rendeva meno finito e meccanico ed a
confronto di un tale Dio un creatore estrinseco sembrava come il pro
dotto di una fantasticheria infantile » 26. Egli perciò fa un’accurata
distinzione fra l’Assoluto dei sistemi panteisti e monisti e il Dio crea
tore della teologia cristiana ortodossa ed insiste per suo conto che il
Dio della filosofia è un essere essenzialmente finito [situato] nel cosmo
e non il cosmo in lui...; un Dio degno di questo nome dev’essere finito
e solo così si potranno evitare i guai e le contraddizioni che sorgono
dal concetto di Assoluto in quanto questo non può per definizione
avere nulla fuori di sé. Il Dio finito, precisa, che io contrappongo, non
ha quasi nulla fuori di sé; egli può aver trionfato di tutto e assorbito
tutto, eccetto la più piccola frazione dell’universo: ma questa frazione,
benché piccola, lo riduce allo stato di un essere relativo, e così in
linea di principio — a suo parere — l’universo è salvo da tutte le
irrazionalità che toccano all’assolutismo27. Iddio, per essere accessi
the evidence of God lies primarily in inner personal experiences » (W. James,
Pragmatism, ed. cit., p. 109).
30 In una delle sue ultime prese di posizione sul problema James confessava nel
1907 all’amico Charles A. Strong di trovarsi d’accordo con il suo Dio « ideale »
e aggiungeva: «T h e “ omniscient” and “ omnipotent” God of theology I regard
as a disease of the philosophy-shop. But, having thrown away so much of the
philosophy-shop, you may ask me why I don’t throw away the whole? That
would mean too strong a negative will-to-believe for me. It would mean a dog
matic disbelief in any extant consciousness higher than that of the “ normal ”
human mind;... If other, then why not higher and bigger?... What harm does
the little residuum or germ of actuality that I leave in God do? If ideal, why
(except on epiphenomenist principles) may he not have got himself at least partly
real by this time? » {The Letters of William James, ed. by his son Henry James,
Boston 1920, voi. II, p. 269 s.). Più importanti sembrano le risposte che James
diede ad un questionario presentatogli da James B. Pratt da cui possiamo racco
gliere che Dio è una combinazione di idealità e realtà ed esprime pressappoco la
totalità della coscienza umana universale « ... from which our belief selects and
emphasizes such parts as best satisfy our needs » (ibid., p. 213). Egli ammette
l’esistenza e l’originalità dell’esperienza religiosa che è la base da cui son sorte le
varie religioni, la filosofia e la teologia, così che possiamo riconoscere che « ... so
mething, not our immediate self, does act on our life » (a Henry W . Rankin, ibid.,
p. 149 s.). E dichiarava ad un esperto in materia, come il Leuba, che si tratta di
qualcosa di assai indeterminato: « Now, although I am so devoid of Gottesbe-
wusstsein in the directer and stronger sense, yet there is something in me
which makes reponse when I hear utterances made from that lead by others.
I recognize the deeper voice» (ibid., t. II, p. 211). Iddio, comunque, non può
essere concepito come assoluto: « I myself read humanism, theistically and plura
listically. If there be a God, he is no absolute all-experiencer, but simply the
experiencer of widest actual conscious span » (Essays on radical empiricism, New
York 1938, p. 194).
2
L ’APPARTENENZA D E L L ’ASSOLUTO AL FIN ITO
N ELL’IDEA LISM O EM PIR IC O (F. H. BRA D LEY - J. RO YCE)
Scasse realmente con la loro, qui pertanto noi dovremmo una buona
volta aver trovato la nostra risposta e il nostro rifugio. Ma con
questo noi avremmo passato sicuramente i limiti di ogni personale in
dividualismo. Per questo noi dobbiamo avere di più della semplice
accumulazione di molteplici sforzi. Non possiamo riposare in un Dio
che non è più onnipotente di qualunque di noi e il quale, benché ani
mato, oso dirlo, dalle migliori intenzioni, non può rispondere per la
forza sconosciuta che fronteggia lui e noi » 3. Cioè, il Dio antropomorfico
del pragmatismo non è Dio, perché fatto su misura e quindi è una
pura illusione.
La teologia cristiana, osserva Bradley, ha il concetto di Dio come
l ’Essere infinito, onnipotente e onnipresente nella fusione completa
cioè della « qualità » metafisica (l’Essere) e della « qualità » antro
pomorfica (intelletto e volontà), dando origine alle ben note difficoltà:
suppongo che Bradley alluda alle difficoltà di concepire la libertà
dell’intervento di Dio nella creazione, nella contingenza della storia
umana, parimenti nella conciliazione fra la Provvidenza divina con
l ’esistenza del male od anche fra la mozione divina con la libertà
umana e simili. Ora per Bradley, d’accordo in questo con James, l ’uni
ca via di scampo da queste difficoltà è nel rimuovere ossia rinunciare
a uno o più attributi che disturbano (troublesom attributes). Se Dio è
reso finito e, suppongo, in parte ignorante e in parte impotente, e in
breve se lo si è ridotto per principio al livello di una creatura fra le
altre, certe obiezioni perdono ovviamente la loro forza. Cosi, ancora,
se vi piace trattare Dio come [fosse] una persona al di sopra delle
altre, la via più facile è di negare ch’Egli sia infinito. E se voi desi
derate sollevare una persona dalla responsabilità morale, è un espediente
molto conosciuto quello di togliere Dio o la conoscenza o la potenza 4.
Ci sono però, ammette Bradley, difficoltà ovvie anche per l’altra solu
zione, cioè per quella monista e idealista, ch’egli si impegna a risolvere.
Infatti venendo a trattare direttamente del problema di D io 5, il
3 Essays on Truth and Reality, ed. cit., p. 82. In nota si legge Fimportante
precisazione: « Instead of “ a God ” I should perhaps have written “ a God or a
set of gods ”. Our new gospel seems not to have decided at present whether mo
notheism or polytheism is to be the creed of the future. I should be inclined to
agree that from a religious point of view the difference in this case has no im
portance » (nota 1).
4 Essays on Truth and Reality, ed. cit., p. 100, nota.
5 Essays on Truth and Reality, eh. XV: « O n God and Absolute», ed. cit.,
p. 428 ss.
l ’a p p a r t e n e n z a d e l l ’a s s o l u t o al f in it o 801
6 Appearance and Reality, ed. cit., p. 445. Sulle aporie di questa concezione,
v. ora: H.-J. Schùring, Stadie zar Philosophie Francis Herbert Bradley, Meisen-
heim an Gian 1963, p. 121 ss
802 l ’a t e i s m o r e l ig io s o d e l l ’e m p i r i s m o a n g l o -a m e r i c a n o
la posizione finitista di Mill e James. Dio viene ridotto a uno che farà il
meglio che dipende da lui ma con coscienza e poteri limitati. Sufficien
temente superiore a noi per essere adorato, Dio tuttavia sarà imperfetto
e con questa imperfezione... la religione è salva: il compito della religio
ne è di aiutare Dio nella lotta contro il male, un compito senz’altro
degno e nobile che può attingere i vertici dell’eroismo. A guardare però
le cose più da vicino, questa concezione della religione abbassa Dió
senza possibilità di poter garantire una salvezza: una volta ammesso
che la divinità è limitata, e quindi contiene imperfezione, è poi un’illu
sione il supporre di poter arrestarla al limite del conveniente. L ’assertore
dell’imperfezione di Dio si trova così in un’alternativa disperata: egli
deve cercar di mostrare che il resto dell’universo, fuori del suo Dio
limitato, è conosciuto come più debole e più limitato. Oppure egli deve
incitarci a seguire la nostra Guida (Leader ) ciecamente e, per quanto
sappiamo, fino ad una comune e travolgente sconfitta. Il risultato inevi
tabile, in ambedue i casi, sarà la perdita della religione: così resta chiusa
ogni via di scampo. Infatti se Dio è perfetto, noi l’abbiamo visto, la re
ligione diventa inconsistente ed è appunto col cercare la consistenza che
noi siamo stati portati all’ammissione di un Dio limitato. E così siamo
arrivati al punto morto: non è possibile trovare per la religione una
consistenza teoretica', questo è per il Bradley un concetto basilare7.
Si tratta, per chiarire il concetto di « consistenza teoretica », di
ammettere che ogni verità dev’essere considerata imperfetta; e non è
che la verità alla fine diventi consistente e definitivamente vera, ma
essa si presenta soddisfacente in gradi vari e l’idea che noi disponiamo
di ^verità assolute nelle scienze, e a sua volta nella vita pratica, va
respinta come un’illusione. Ogni verità in questi campi ha un signifi
cato ed un valore approssimativo in relazione ai bisogni e alle questio
ni cui sono chiamate a rispondere: tali verità non possono quindi pre
tendere ad una consistenza teoretica. Ciò vale, secondo Bradley, anche
per le verità della religione. Certamente le idee che meglio esprimono i
nostri supremi bisogni religiosi e la loro soddisfazione devono essere
vere: ma la verità ultima esse non la posseggono, perché non siamo in
grado di conoscere ciò che alla fine deve renderle perfette. Sotto que
sto aspetto le verità religiose sono come qualsiasi altra verità parti
colare da noi raggiungibile o da qualsiasi essere finito in questo modo
8 Suirimmortalità dell’anima, v.: Appearance and Reality, ed. cit., p. 501 ss.;
Essays on Truth and Reality, ed. cit., p. 438 ss.
9 Essays on Truth and Reality, ed. cit., p. 432. In nota si legge che alla reli
gione non è affatto necessario un « Dio personale ». E nell’opera maggiore: « To
begin one’s work by some bald assumption, perhaps about the necessity of a
“ personal ” God, is to trifle indecently with a subject which deserves some
respect » (Appearance and Reality, ed. cit., p. 452 s.).
10 Appearance and Reality, ed. cit., spec. p. 144 ss.; Essays on Truth and
Reality, ed. cit., p. 409 ss.
804 l ’a t e i s m o r e l ig io s o d e l l ’e m p i r i s m o a n g l o -a m e r i c a n o
11 « For the reality of God means his own actual presence within individual
souls, and, apart from this presence, both he and they are no more than abstrac
tions » (Essays on Truth and Reality, ed. cit., p. 437).
12 « If again you separate them, God becomes a finite factor in the Whole.
And the effort of religion is to put an end to, and break down, this relation - a re
lation which, none the less, it essentially presupposes. Hence, short of the Absolute.
God cannot rest, and, having reached that goal, he is lost and religion with him »
(Appearance and Reality, ed. cit., p. 447).
13 Appearance and Reality, ed. cit., p. 448. Bradley pensa di sfuggire alla
istanza atea del principio dell’immanenza (Nietzsche, Feuerbach): « It leads to
l ’a p p a r t e n e n z a d e l l ’a s s o l u t o al f in it o 805
the dilemma: if God is, I am not, and, if I am, God is not. We have not reached
a true view until the opposite of this becomes self-evident. Then without hesitation
we answer that God is not himself, unless I also am, and that, if God were not.
I certainly should be nothing» {Op. cit., p. 451, nota 1).
14 Appearance and Reality, eh. XXVI: « The Absolute and its Appearances »,
ed. cit., p. 455 s.
15 Cf. G. W. Hegel, Wissenschaft der Logik, Buch II, Abschn. 1, Kap. 1,
Lasson II, p. 7 ss.
806 l ’a t e i s m o r e l ig io s o d e l l ’e m p i r i s m o a n g l o -a m e r i c a n o
17 « Ugliness, error, and evil, all are owned by, and all essentially contribute
to the wealth of the Absolute. The Absolute, we may say in general, has no
assets beyond appearances; and again, with appearances alone to its credit, the
Absolute would be bankrupt » (Appearance and Reality, ed. cit., p. 489).
18 Bradley lo considera il punto centrale della sua filosofia: « The positive re
lation of every appearance as an adjective to Reality, and the presence of Reality
among its appearances in different degrees and with diverse values — this double
truth we have found to be the centre of philosophy. It is because the Absolute
is no sundered abstraction but has a positive character, it is because this Absolute
itself is positively present in all appearance, that appearances themselves can
possess true differences of value » (Appearance and Reality, ed. cit., p. 551).
19 L ’immagine è presa da Strauss (cf. Appearance and Reality, p. 500, nota 1).
La concezione progressista è contraria, secondo il Bradley, alla concezione cristiana:
« You cannot be a Christian, if you maintain that progress is final and ultimate
and the last truth about things » (p. 500).
808 l 'a t e i s m o r e l ig io s o d e l l 'e m p i r i s m o a n g l o -a m e r i c a n o
22 Cf. specialmente: J. Royce, The World and the Individual, New York
1901, t. II, p. 399 ss.
23 The World and the Individual, I Series: « The Four Historical Conceptions
of Being », ed. cit., t. I, pp. 47 ss., 77 ss., 196 ss. Si tratta di questo che, mentre
tutte le preoccupazioni della metafisica sono nel cercare prove (a priori e a poste
riori) per dimostrare resistenza di Dio e professar poi l’agnosticismo sulla sua es
senza, neiridealismo tutto converge nell’essenza di Dio che assorbe in sé il pro
blema dell’esistenza e costituisce la formula comprensiva della verità stessa (cf.
al riguardo specialmente la nota lunga e accurata sulla distinzione di esse essen-
tiae ed esse existentiae: 1. c., p. 51 s.).
810 l ’a t e i s m o r e l ig io s o d e l l ’e m p i r i s m o a n g l o -a m e r i c a n o
24 « First, the rational unity and goodness of the world-life; next, its true but
invisible nearness to us, despite our ignorance; further, its fulness of meaning
despite our barrenness of present experience; and yet more, its interest in our
personal destiny as moral beings; and finally, the certainty that, through our
actual human loyalty, we come, like Moses, face to face with the true will of
the world, as a man speaks to his friend » (The Philosophy of Loyalty, ed. cit.,
p. 390 s.).
25 Seguo specialmente l’esposizione sintetica che si trova in William James
and other Essays, ed. cit., p. 167 ss.
l ’a p p a r t e n e n z a d e l l ’a s s o l u t o al f in it o 811
e Dio ch’è infinitamente di più di quel che ogni sistema finito di fatti
naturali o di vite umane può esprimere. Ma questa distinzione,- fra Dio
e il mondo, non significa separazione. Il mondo è l’ammasso frammen
tario di fenomeni che vediamo. Dio è il significato cosciente (conscious
meaning) ch’esprime se stesso in-e-mediante la totalità di tutti i fenomeni.
Il mondo, preso come una massa di accadimenti nel tempo, di processi
naturali, di singole vite, di eventi, non è in nessun luogo ed in nessun
tempo un’espressione completa della volontà divina. Ma il mondo intero,
di cui il nostro mondo conosciuto è un frammento — la totalità di ciò
che è, passato, presente e futuro, la totalità di ciò che è la realtà fisica
e di ciò ch’è la realtà spirituale ( mental ), di ciò che passa col tempo
{temporal) e di ciò che permane — , il mondo intero è presente anzitutto
all’eterna Coscienza divina come a un singolo. Tutto, e questo Tutto è
ciò che l’Assoluto sceglie come sua propria espressione e di cui esso è
conscio di scegliere come la sua propria vita. Questo mondo, quand’è
preso nella sua totalità, è anzitutto l’oggetto della conoscenza divina e
l’atto in cui esso è incorporato è la divina volontà. E Royce conclude
con il più alto riferimento biblico, da cui già Spinoza era partito per eli
minare la religione positiva rivelata: « Come il Logos del Quarto Van
gelo, quest’intero mondo non è soltanto con Dio, ma è Dio » 26. A que
sto si riduce, secondo Royce, l ’immanenza di Dio e ciò ch’è stato
detto l ’idealismo moderno.
Il caposaldo di questa concezione — è Royce stesso che si affretta
a precisare — è che « Dio e il mondo s’identificano » {God and bis
world are one). E quest’unità non è un fatto naturale morto. Essa
è l ’unità di una vita cosciente in cui, nel corso di un tempo infinito,
26 « Like the Logos of the Fourth Gospel, this entire world is not only with
God, but is God » {William James and other Essays, ed. cit., p. 169). Royce è
convinto di trovarsi d’accordo con la dottrina, se non proprio con le formule, della
Chiesa e di esprimere meglio di queste formule l’essenza vitale di questa dottrina:
« I believe, however, that this is the view of the divine nature which the church has
always more or less intuitively felt to be true, and has tried to express, despite
the fact that my own formulation of this doctrine includes some features which
in the course of the past history of dogma have been upon occasion formally
condemned as heresy by various church authorities. But for my part I had rather
be a heretic, and appreciate the vital meaning of what the church has always
tried to teach, than accept this or that traditional formulation, but be unable to
grasp its religiously significant spirit » {Op. cit., p. 170). La concezione del Royce
si collega direttamente al cosiddetto « cristianesimo giovanneo », derivato da Spinoza
e sviluppato da Lessing e dall’idealismo trascendentale.
812 l 'a t e i s m o r e l ig io s o d e l l 'e m p i r i s m o a n g l o -a m e r i c a n o
27 Cf., p. es., The World and the Individual, ed. cit., t. I, p. 462 ss.
28 « I mean by the term “ God ” the totality of the expressions and life of
the world will, when considered in its conscious unity » ( William James and
other Essays, ed. cit., p. 285).
l ’a p p a r t e n e n z a d e l l ’a s s o l u t o al f in it o 813
invece cerca una soluzione di tipo « quasi » nietzschiano: per non la
sciarci abbattere dall’esistenza e dalla pressione del male dobbiamo
guardare ai valori rappresentati dalla superiore coscienza religiosa
della nostra razza. La soluzione perciò non va data in astratto ma è da
afferrare in concreto, in quanto essa si è espressa negli eroi della,
morale più saggi e migliori di tutte le razze e nazioni dell’umanità.
La spiegazione, se tale può dirsi questa perorazione, diventa quasi
commovente: a noi basta raccogliere la formula finale secondo la quale
la legge assolutamente necessaria della più alta vita spirituale è di
essere perfetti mediante la sofferenza (perfect through suffering). Que
sta è una legge che vale per Dio e per l ’uomo, per coloro fra gli uo
mini che sono stati già illuminati con l’insegnamento delle vere lezioni
dei loro propri dolori, e per coloro i quali, colmi di speranza, ancora
guardano avanti per una vita animata dalla speranza di gioia anti
cipata e di successo mondano. Il compito di una vita superiore, con
clude Royce, non consiste nell’ottenere buona fortuna, ma nel tra
smutare tutti i valori transeunti della fortuna in valori eterni. Questo
noi lo faremo per il meglio quando impareremo con l ’esperienza come
anche la massima sfortuna può essere glorificata con sagge risoluzioni
e con la grazia che deriva dalla nostra unione consapevole col divino,
così da elevarci a qualcosa di assai meglio di quanto qualsiasi buona
fortuna possa darci: cioè, si badi bene, nella conoscenza di come lo
stesso Dio sopporta il male e trionfa di esso, lo eleva liberandolo da
se stesso e lo vince trasferendolo a servizio del bene. Il Royce sembra
dilettarsi con preferenza particolare in queste considerazioni: notiamo
in queste la sua osservazione o invito a quell’atteggiamento religioso
detto « unificazione-espiazione » (atonement) che ha avuto ed ha tut
tora corso e notevole rilevanza nella teologia anglosassone protestante
e cattolica.
A questo punto Royce vede la funzione mediatrice del dogma
cristiano dell’Incarnazione32: la dottrina dell’Incarnazione e dell’espia
zione è nella sua essenza semplicemente la concezione della natura di
Dio la quale esige questa soluzione del problema del male, e la nuova
unificazione-espiazione non fa che ribadire l ’esigenza inderogabile ormai
del principio d’immanenza. Anzitutto, torniamo a leggere, Dio esprime
se stesso in questo mondo di finitezza, incarna se stesso nell’ambito
dell’imperfezione umana, ma lo fa con lo scopo di poter ottenere, me
32 Ved. ancora: William James and other Essays, ed. cit., p. 179 s.
816 l 'a t e i s m o r e l ig io s o d e l l 'e m p i r i s m o a n g l o -a m e r i c a n o
34 Cf. G. W. Hegel, Pkanomenologie des Geistes, V II, Bd. II , ed. Jo. Hoff-
meister, Leipzig 1937, p. 525 ss.
35 « In seeking its object, any idea whatever seeks absolutely nothing but its
own explicit, and, in the end, complete, determination as this conscious purpose,
embodied in this one way. The complete content of the idea’s own purpose is the
only object of which the idea can ever take note. This alone is the Other that is
sought » (The World and the Individual, ed. cit., t. II, p. 329).
818 l ’a t e i s m o r e l ig io s o d e l l ’e m p i r i s m o ANGLO-a m e r ic a n o
36 « What the idea always aims to find in its object is nothing whatever but
the idea's oivn conscious purpose or will, embodied in some more determinate form
than the idea by itself alone at this instant consciously possesses. When I have
an idea of the world, my idea is a will, and the world of my idea is simply my
own will itself determinately embodied » (The World and the Individual, ed. cit.,
t. I, p. 327).
37 « True Being is essentially a Whole Individual Fact, that does not send
you beyond itself, and that is, therefore, in its wholeness, deathless. Where death
is, Being in its wholeness is not » (The World and the Individual, ed. cit., t. I,
p. 380).
38 The World and the Individual, ed. cit., t. II, p. 440.
l 'a p p a r t e n e n z a d e l l ’a s s o l u t o al f in it o 819
È vero infatti che l’uomo singolo nel complesso del mondo fisico e dello
scorrere inarrestabile del tempo è appena un granello di polvere od un
momento insignificante, tuttavia egli solo può conoscere tutto questo.
E tutto questo può essere reale solo in ragione di una relazione onto
logica la quale, quand’è esattamente considerata, lega l’uomo, malgrado
tutta la sua debolezza, alla vita stessa di Dio e l ’universo intero al si
gnificato di ogni individuo. Con il solito fervore e la perfetta coerenza
del principio d’immanenza, Royce può affermare ch’è in Dio che l’uomo
possiede la sua individualità 39. Questa sua dipendenza è la condizione
della sua libertà e del suo unico significato ed a questo si riduce la
filosofia che cerca la unità del finito e dell’Infinito, della dipendenza
temporale e del significato eterno, del mondo e di tutti i suoi individui,
dell’Uno e dei molti, di Dio e dell’uomo. Allora, non solo malgrado il
nostro legame finito, ma proprio a causa di ciò ch’esso implica e signifi
ca, noi siamo pieni della presenza e della libertà di Dio. Con ciò si
attua, nell’idealismo del Royce, la personalità di Dio ch’è essenzialmente
una categoria etica e significa... un essere cosciente la cui vita, vista nel
tempo, cerca il suo compimento mediante azioni, mentre questa stessa
vita, considerata nell’eternità, raggiunge consapevolmente la sua perfe
zione mediante la conoscenza attuale del complesso delle sue tendenze
spirituali40. È così che Dio è Persona. Considerata dal punto di vista
del tempo, la sua vita abbraccia l’intero ambito della coscienza in quanto,
nei suoi sforzi, la perfezione, questa coscienza dell’universo, passa da un
istante ad un altro nell’ordine temporale, di atto in atto, di esperienza
in esperienza, di stadio in stadio. La Vita di Dio è allora l ’infinito Tutto
che include questo processo temporale inesauribile, e che vigila su di esso
come su duna sola vita, la vita stessa di Dio. Dio pertanto è una
Persona perché, dal nostro punto di vista, egli è autocosciente e per
ché l’Io di cui ha coscienza è un Io la cui eterna perfezione è rag
giunta mediante la totalità di tutte queste aspirazioni etiche di signi-
41 Lo presenta con un'acuta analisi un discepolo del Brentano, Chr. von Ehren-
fels, Ueber Gestaltqualitaten, in Vierteljabrscbr. f. wiss. Pbilosopbie, XIV (1890),
p. 249 ss., rist. nel voi. Gestaltbaftes Sein, Ergebnisse und Aufgaben der Morpho
logic, hrsg. von F. Weinhandl, Darmstadt 1960, pp. 11-43. Cf. il nostro: fe n o
menologia della percezione, II ed., Brescia 1961, p. 193 ss.
42 II Royce ha dedicato alla discussione di questo problema, che costituisce il
nucleo della sua teoria dell’Essere, una speciale ricerca in cui prende in esame
le dottrine deU’Infinito avanzate da Bolzano, Dedekind, Cantor, Couturat, Schroe-
der... e soprattutto dall’amico Bradley (cf. The World and the Individual, ed. cit.,
t. I, pp. 473-588). In questo saggio il Royce dimostra che non si può applicare
ad una collezione infinita di oggetti l’assioma che « la parte non può essere eguale
al tutto ».
l 'a p p a r t e n e n z a d e l l 'a s s o l u t o al f in it o 821
44 The World and the Individual, ed. cit., t. II, p. 430. Al problema del
l’immortalità il Royce ha dedicato la « Ingersoll Lecture » del 1899: The Conception
of I mmortality, Boston and New York 1900; cf. spec. p. 48 ss., e nota 5 a p. 83.
45 The World and the Individual, ed. cit., t. I, p. 473 s.
3
SFALDAMENTO DI D IO
COME EM ERGENZA COSM ICO-IDEALE
(L. MORGAN - S. ALEXANDER)
3 « The hypothesis of the book is that Space-Time is the stuff of which matter
and all things are specifications. That the world does not exist in Space and Time,
but in Space-Time, that it is a world of events, has and had, even when I wrote,
become common property through the mathematicians, with whom, as I suppose,
the conception was a piece of scientific intuition » (S. Alexander, Space, Time,
and Deity, ed. cit., t. I, p. V I). In questo contesto l’Alexander dichiara che la sua
concezione « . . . has nothing in common with the great mathematical or logical con
structions, such as that of Mr. Whitehead ». E un po’ più sotto egli precisa che, a
differenza del metodo di Whitehead, egli vuole attenersi all’analisi rigorosamente
metafìsica (p. V II s.).
4 « Strictly speaking, all existence is local motion or locomotion, and there is
no such thing as rest, except as a relative description of such things as are not
in motion relatively to each other, like myself and the table at which I write. If
anything were at rest, everything would be at rest, and Space-Time would lose its
meaning » {Space, Time, and Deity, ed. cit., t. I, p. X II). Non è difficile perciò
afferrare l’orientamento metafisico di questa filosofìa che filtra l’essere e lo stesso
Assoluto mediante le componenti di spazio e tempo secondo quella che potrebbe
dirsi la « seconda linea » di derivazione cartesiana mediante una certa qual sintesi
di Spinoza-Kant passando, beninteso, attraverso l’empirismo inglese: « Alexander
always said that his doctrine of Space-Time — i. e. of a matrix in which space, inter-
826 l ’a t e i s m o r e l ig io s o d e l l ’e m p i r i s m o a n g l o -a m e r i c a n o
preted as space-stuff like Descartes’ extensio but never timelessely (since it was
motion and time was its “ mind ” ) — had been reached metaphysically, that is to say,
by intellectual experiments with the “ ultimates ” » ( J. Laird, Memoir, in: S. Alex
ander, Philosophical and Literary Pieces, London 1939, p. 63).
5 Alexander se ne dichiara soddisfatto: « The mind is a thing which has its
proper place assigned to it in the scheme of things. If such a doctrine is called
naturalism, I am content to be with Spinoza, and can claim that such naturalism,
like his,'admits all the human things of w orth» (Space, Time, and Deity, ed. cit.,
t. I, p. X III).
6 Enjoyment, alla lettera significa « godimento » e vale « soddisfazione » nel
senso di conseguimento e corrisponde in questo attuarsi di esperienze all’attua
zione primordiale della coscienza. Di Dio come oggetto della contemplazione o ri
flessione speculativa l’Alexander tratta nell’Op. cit., Book IV, eh. I, e come oggetto
del sentimento religioso nel eh. II (t. II, p. 373 ss.).
7 È la Prop. XV II della seconda parte delYEthica: « Si humanum corpus
affectum est modo, qui naturam corporis alicujus externi involvit, mens humana
idem corpus externum, ut actu existens, velut sibi praesens, contemplabitur, donee
corpus afficiatur affectu, qui eiusdem corporis existentiam, vel praesentiam seclu-
SFA LD A M EN TO DI DIO 827
dat ». Lo Scholion spiega: « Nec tamen credo, me a vero longe aberrare, quando-
quidem omnia illa, quae sumpsi, postulata vix quicquam continent, quod non
constet experientia, de qua nobis non licet dubitare, postquam ostendimus corpus
humanum, prout ipsum sentimus, existere (vide Coroll, post Prop. X I I I huius).
Praeterea (ex Cor oli. praeced. et Cor oli. 2 Prop. X V I huius) dare intelligimus,
quaenam sit differentia inter ideam ex gr. Petri, quae essentiam Mentis ipsius Petri
constituit, et inter ideam ipsius Petri, quae in alio homine, puta in Paulo, est. Illa
enim essentiam Corporis ipsius Petri directe explicat, nec existentiam involvit, nisi
quamdiu Petrus existit; haec autem magis constitutionem corporis Pauli, quam
Petri naturam indicat et ideo, durante illa corporis Pauli constitutione, Mens
Pauli, quamvis Petrus non existat, ipsum tamen, ut sibi praesentem contemplabitur »
(ed. Gebhardt, Heidelberg, t. II, pp. 104-105 s.). Più avanti FAlexander fa una
critica del panteismo di Spinoza in quanto esso elimina la sfera dei valori (t. II,
p. 392 s.).
8 « The real question raised in my mind is whether the physiological process,
I mean as describel physiologically, is not enough, and whether I have done rightly,
as is still feel I have, in making consciousness a “ quality ” of the brain-process
and its connections. But all that I mean now by various enjoyments is brain-pro
cesses with their quality of consciousness, a quality which they do not have unless
the process is of a certain sort, which is therefore intrinsic to them » (Space, Time,
and Deity, ed. cit., t. I, p. XVI). Anche un po> più sotto: « First, with me mental
happenings are dynamic from the outset, being identical with certain physiological
processes. Second, no mental event is a “ content the characters of green or
sweet or being a tree do not belong to the mental process which apprehends,
but to the physical object which is apprehended » (p. XXI). Questa dottrina
della corrispondenza diretta fra i processi cerebrali e la coscienza è stata ripresa,
com’è noto, dalla Gestaltpsychologie della Scuola di Berlino (cf. C. Fabro, La
fenomenologia della percezione, II ed., Brescia 1961, p. 367 ss.).
828 l ’a t e i s m o r e l ig io s o d e l l ’e m p i r i s m o a n g l o -a m e r i c a n o
l ’anticipazione e, quasi, una predizione del Dio ideale » 12. Anche per
Alexander pertanto Dio è un contenuto cosmologico e può disporre,
per così dire, di un doppio luogo di nascita: il primo è il Tutto consi
derato come Pinfinità di Spazio-Tempo, il secondo è quest’ultirna qua
lità verso la quale Punita dinamica di Spazio-Tempo si muove. Infatti
all’interno della materia o totalità di Spazio-Tempo tutt’abbracciante
(all-emhracing sttiff of Space-Time), l’universo mostra un’emergenza
nel tempo di livelli successivi di esistenze finite ciascuna con la sua
empirica caratteristica, di cui per noi la suprema è la coscienza. La
deità è perciò una qualità empirica e indica precisamente l’ultima qua
lità e quindi la più alta a cui è giunto di volta in volta lo sviluppo:
la deità allora è la qualità empirica più alta e prossima alla mente che
l’universo, è impegnato a far nascere e che resta in sé sconosciuta e
perciò i nostri altari sono elevati al Dio ignoto. Si tratta che nell’unità
di Spazio-Tempo è insita una spinta ( nisus), uno sforzo ascensionale
grazie al quale le creature attraverso la materia e la vita si spingono
verso la sfera della mente: perciò la deità si trova ad ogni tappa del
reale, come si è detto, come l’attività in atto del suo trascendersi in una
nuova qualità e in ultimo verso la mente. La deità perciò non si
identifica con « mente », non è « spirito ». Dio invece, ch’è l’essere
che possiede la deità, dev’essere anche spirito ossia dev’essere anche spi
rituale, nello stesso modo in cui dev’essere anche vivente e materiale e
l ’unità totale di Spazio-Tempo: è questo il concetto filosofico di Dio.
In questa concezione che intende risalire dalla qualità del « di
vino », attestata dall’evoluzione nella sua positiva ascesa, fino al rico
noscimento di Dio come soggetto portatore di questa qualità, leggiamo
che Dio è l’intero mondo in quanto possiede la qualità della deità.
Di tale essere l’intero mondo è il « corpo » e la deità è la « mente ».
Ma il possessore della deità non è attuale ma ideale. Come esistente
attuale, Dio è il mondo infinito con il suo nisus verso la deità ovvero,
adattando una frase di Leibniz, tutto in faccende con la deità 13. Sono
12 « What I say is that God as actually possessing deity does not exist, but
is an ideal, is always becoming; but God as the whole universe tending towards
deity does exist. Deity is a quality, and God a being. Actual God is the forecast
and, as it were, divining of ideal G od» (Space, Time, and Deity, ed. cit., t. I,
p. X X III).
13 « God is the whole world as possessing the quality of deity. Of such a
being the whole world is the “ body ” and deity is the “mind But this possessor
of deity is not actual but ideal. As an actual existent, God is the infinite world
with its nisus towards deity, or, to adapt a phrase of Leibniz, as big or in travail
830 l ’a t e i s m o r e l ig io s o d e l l ’e m p i r i s m o a n g l o -a m e r i c a n o
with deity » (Space, Time, and Deity, ed. cit., t. II, p. 353). Un po’ pin sotto:
« The body of God is the whole universe and there is no body outside his »
(p. 357). « Universo » significa, è chiaro, il tutto [dell’unità] di Spazio-Tempo.
14 La formula è dialettica, ma sempre sul piano della concretezza scambievole
dei due momenti: « God is immanent in respect of his body, but transcendent in
respect of his deity » (Space, Time, and Deity, ed. cit., t. II, p. 396). Il suo corpo
è l’unità prossima ch’è raggiunta nelTattuarsi dell’evoluzione universale.
15 Nel eh. I l i , dedicato al problema del valore, l’Alexander insiste sul carat
tere cosmologico del proprio Dio affermando che la deità non è in se stessa un
valore, perché i valori sono invenzioni umane mentre la deità è ultraumana (Space,
Time, and Deity, ed. cit., t. II, p. 409). Dio perciò può essere chiamato l’Essere
supremo: Dio resta al di là del bene e del male e perciò può usare il male per
cavarne il bene. La deità invece è un valore positivo poiché la deità rappresenta
l’intero corpo di Dio, il male che forma una parte di questo corpo è contemplato
da Dio come una parte del proprio corpo su cui la deità, in cui non c’è alcun
male, è basata. Così il male è redento — spinozisticamente — come parte dell’es
sere di Dio ossia della materia di lui (1. c., p. 419).
SFA LD A M EN T O D I DIO 831
19 Ho riassunto, traducendo da Spaee, Time, and Deity, ed. cit., t. II, p. 365 s.
SFA LD A M EN T O D I DIO 833
bra abbia avuto nella formazione del pensiero moderno, nei momenti
cruciali, una funzione — passi il bisticcio — di « mediazione del
l ’immediatezza » ossia di ricupero dell’esperienza come momento fon
dante e inderivabile. Infatti come il cogito cartesiano, ch’era stato anco
rato alla mediazione teologica, diventa il principio dell’empirismo di
Locke-Hume, che si fonda sull’identità nella percezione sensibile di
presenza e verità, così il trascendentale dell’idealismo tedesco si spinge
fino all’Assoluto come a un Tutto escatologico e metastorico ma per
diventare in effetti il Tutto del mondo di esperienza come la realtà
in divenire, di cui la divinità esprime di volta in volta, all’infinito, ma
sempre in forme finite, la vis emergendi ma come « proprietà empiri
ca ». Dio è prospettato come l ’ideale o la vis a tergo , la possibilità
della possibilità, la possibilità del progresso all’infinito, la quale in un
certo senso non può diventare reale che a patto di arrestarsi e di fini-
tizzarsi anch’esso. Per questo, mentre Whitehead che vuole « realiz
zare » Dio non ha difficoltà a finitizzarlo, Alexander preferisce mante
nerlo proiettato all’infinito e lo confina perciò nella sfera dell’ideale.
Per ambedue, e per tutta la scuola del neoidealismo inglese, il teismo
tradizionale si ferma ad un vuoto concetto di Dio e l’ateismo è un vuoto
e inutile affanno di combattere tale concetto.
Si tratta, come abbiamo esposto e per riprendere il linguaggio in
cisivo dell’Alexander, che « ... Dio è anima e corpo e la sua anima
è la sua deità, poiché il corpo di Dio è il tutto di Spazio-Tempo e Dio
rispetto al suo corpo è onniconclusivo e tutti i finiti sono inclusi in
lui ». Secondo questa concezione, ch’è per l’Alexander l’unica forma
plausibile di teismo, Dio non può essere indicato come realizzato in un
essere individuale infinito e qualificato, ma Egli è in continuo processo
verso questa qualità della deità 22 ch’emerge dovunque nel divenire del
reale dalla forma infima della Vita fino alla mente. La qualità distin
tiva di Dio — ed in questo consiste il carattere « cosmologico » di
questa teologia — non è però la mente ma essa è « la qualità prossima
più alta » (the next higher quality ), così ch’Egli non è un essere al
livello dell’uomo e come l’uomo dotato di personalità e di facoltà spiri
tuali, ma trascende tutti i finiti poiché è il mondo intero come proteso
ad un ordine più alto di finità: ed in questo senso la concezione si
può dire teistica secondo l’Alexander, ciò che difficilmente ammetterà
24 È la conclusione di Space, Time, and Deity, ed. cit., t. II, p. 429. L ’im-’
mortalità dell’uomo consiste quindi nel preparare la via alla deità e nel produrre
la soddisfazione (enjoyment) per l’essere di Dio.
25 Ved.: Ch. Hartshorne, Philosophers speak of God, ed. cit., p. 372 a. Una
conseguenza analoga è nella concezione di Alexander: la deità è in sé un « futu
ribile », non si vede più un preciso rapporto fra attuale e reale e si arriva invece
all’equazione di ideale-reale.
4
suasive agency and not as a coercive agency ), una dottrina che do
vrebbe essere considerata come una delle più grandi scoperte dell’in
telletto in quanto essa afferma che gli ideali sono forze operanti nel
mondo e che le forme dell’ordine si evolvono. La seconda fase è
il momento supremo della storia religiosa, secondo la religione cri
stiana. L ’essenza del cristianesimo è l’appello alla vita di Cristo come
ad una rivelazione della natura di Dio e della sua azione nel mondo:
qui Whitehead dà, a modo suo, un’ennesima versione di quel « cri
stianesimo giovanneo » o cristianesimo della ragione delineato da Spi
noza, elaborato poi dal deismo inglese e rimesso in circolazione nel con
tinente specialmente con Lessing: ossia della penetrazione completa fra
fede e ragione, fra religione e filosofia... La forza del cristianesimo è
indicata nell’aver mostrato la rivelazione in atto di ciò che Platone aveva
divinato in teoria. Ma Platone non è riuscito mai a dare un significato
positivo al rapporto Dio-mondo; il mondo include solo l’immagine di
Dio e le imitazioni delle idee e non mai Dio e le idee e perciò la sua
soluzione è debolissima. Ciò che la metafisica esige è una soluzione
che mostri come la pluralità degli individui è compatibile {as consi
stent) con l ’unità dell’Universo, ed una soluzione che mostri a sua
volta il mondo come esigente la sua unione con Dio. Una dottrina so
lida esige anche l’intelligenza del come gli ideali, a causa del loro
trovarsi nella natura di Dio, sono operanti come elementi persuasivi
nel processo creativo. Nello scontro-incontro fra cristianesimo e plato
nismo, Whitehead riconosce nei teologi cristiani i primi e coerenti arte
fici — nell’elaborazione dei dogmi della Trinità e dell’Incarnazione —
di una dottrina diretta dell’immanenza e di una spiegazione razionale
del ruolo dell’azione persuasiva di Dio {persuasive agency of God).
A questo punto però il Nostro denunzia l’incongruità della no
zione che la teologia cristiana si è fatta di Dio, il disgraziato presup
posto {unfortunate presupposition) di aver concepito Dio, al modo dei
despoti egiziani e mesopotamici, del tutto separato dal mondo e dal
l ’uomo: la natura di Dio era stata lasciata esente da tutte quelle cate
gorie che si applicavano alle cose individuali in questo mondo tempo
rale, e in questa finale sublimazione metafisica Dio divenne l’unica,
assoluta, onnipotente, onnisciente fonte di ogni essere in quanto Egli,
per esistere, non ha bisogno secondo i teologi di essere in relazione
con chicchessia all’infuori di se stesso. Dio era completo in se stesso.
La critica al cristianesimo e alla teologia cristiana, ch’è un momento
decisivo nel pensiero del Whitehead, è nella precisa contestazione della
trascendenza assoluta di Dio dopo averne affermato l’immanenza. Per
LA CONCRESCENZA O D IS P E R S IO N E D I DIO N EL MONDO 841
10 Process and Reality, P. V, eh. II, ed. cit., p. 492. Vi si afferma quindi,
ed è la caratteristica di questa concezione, che la natura [conseguente] di Dio è
da dire relativa, incompleta ed in flusso... (cf. Op. cit.y pp. 488-491).
11 In un certo senso allora la posizione di Whitehead, come già quella di Hegel,
resta nella scia di Aristotele: « Das blosse Sein ist ein Element des Werdens, nicht
das Werden ein Element des Seins. [...] Die umwandelbare Form ist etwas Ab-
straktes, Allgemeines, das im Konkret-Besonderen enthalten ist. Auf Gott angewandt
(Aristoteles hat eben diese Anwendung leider iibersehen) bedeutet diese Lehre,
dass, wenn Gott eine umwandelbare Form hat, so ist diese nicht seine konkrete
individuelle Wirklichkeit, sondern etwas Abstraktes daran. Der konkrete Gott
ware ein Werden, und die ewige Form ware eine abstrakte Eigenschaft, die jeder
Phase dieses Werdens gemeinsam angehort. Diese abstrakte Form Gottes nennt
Whitehead seine “ Primordial Nature ” , wàhrend die konkrete gottliche Wirklich
keit in “ The Consequent Nature of God ” besteht » (Ch. Hartshorne, Das meta-
physische System Whiteheads, in Zeitschr. f. philos. Porschungy II I, 1948, p. .573;
cf. p. 567). Solo a questo modo, secondo Whitehead, Dio può avere un rapporto
reale col mondo ed in particolare con Tuomo, p. es. di amore e provvidenza.
846 l 'a t e i s m o r e l ig io s o d e l l 'e m p i r i s m o a n g l o -a m e r i c a n o
Dio del tomismo è, com’è noto, indicato come actus purus trascendente, ciò che
espressamente viene invece escluso dall’Hartshorne per il Dio di Whitehead (cf. Whi
tehead’s Idea of G od, 1. c., pp. 523 e 527).
13 Questa conoscenza di Dio è riferita da Whitehead alla sfera del « senti
mento » con un esplicito e costante richiamo a Hume (cf. Process and Reality, P.V,
eh. II, ed. cit., p. 486), come si vedrà più avanti.
14 Per quel che segue si veda: Process and Reality, P. V, eh. II « God and
the World », ed. cit., p. 484 ss. Possiamo dire subito che nella «filosofia dell’or-
ganismo » Dio non sta e non si trova alla fine, ma è implicato come parte nella
struttura e definizione del reale: esso è in senso proprio la « esemplificazione
principale » dei principi metafisici (cf. Process and Reality, P. V, eh. II, ed. cit.,
p. 486 ss.; ved. l’esauriente esposizione di Donald B. Kuspil, Whitehead on Divi
nity, 1 . c., p. 98 ss.).
848 l ’a t e i s m o r e l ig io s o d e l l ’e m p i r i s m o a n g l o -a m e r i c a n o
16 « The theme of Cosmology, which is the basis of all religions, is the story
of the dynamic effort of the World passing into everlasting unity, and of the
static majesty of God’s vision, accomplishing its purpose of completion by absorp
tion of the World’s multiplicity of effort » (Process and Reality, P. V, eh. II,
ed. cit., p. 494).
850 l ’a t e i s m o r e l ig io s o d e l l ’e m p i r i s m o a n g l o -a m e r i c a n o
raggiunge lo scopo finale della creazione 17. È per questa via che l’imme
diatezza del dolore e della sofferenza è trasformata in un elemento di
trionfo: è questa la nozione di redenzione mediante la sofferenza che
frequenta ovvero penetra il mondo. Perciò — ed è la formula conclusiva
di questo Dio cosmico — la « natura conseguente » di Dio va considerata
ed è composta di una molteplicità di elementi con autorealizzazione indi
viduale: proprio in quanto molteplicità, essa è un’unità e proprio in
quanto è un fatto immediato esso è un progresso continuo che trascende
se stesso. Così l ’attualità di Dio dev’essere intesa come una molteplicità
di componenti attuali in processo di creazione e questo è Dio nella sua
funzione del Regno dei cieli.
E non c’è da rimanere impressionati davanti alle formule, anche
se non soddisfano né il teismo, né l’ateismo, né il panteismo. In questa
concezione ogni attualità del mondo temporale ha la sua recezione ov
vero è accolta nella natura divina. L ’elemento corrispondente della natura
di Dio non è un’attualità temporale, ma è la trasmutazione di quest’at
tualità temporale in un fatto vivente, sempre presente... Il fatto correla
tivo nella natura di Dio è un’unità sempre più completa di vita in una
catena di elementi per i quali la successione non significa perdita di
unione immediata, così come nella successione temporale avviene il pas
saggio continuo dal passato al futuro. È il principio della « relatività
universale » che non deve arrestarsi alla « natura conseguente » di Dio.
Questa stessa natura passa nel mondo temporale secondo la sua grada
zione d’importanza alle varie occasioni concrescenti.
Quest’avvento del Regno dei cieli passa per quattro fasi creative
nelle quali l ’universo porta a compimento la sua attualità. Anzitutto, la
fase del sorgere dei concetti ch’è deficiente in attualità, ma è infinita
nel suo accordo di valutazione. Poi, c’è la fase temporale del sorgere
fisico, con la sua molteplicità di attualità: in essa raggiunge l’attualità
piena, ma c’è deficienza nella solidarietà degli individui fra loro. In
terzo luogo, c’è la fase dell’attualità perfetta, nella quale i molti sono
eternamente uno, senza nessuna perdita né d’identità individuale né di
completezza né di unità. Nell’eternità, l ’immediatezza è riconciliata con
l’immortalità oggettiva. Infine, nella quarta fase, l’azione creativa com
17 « Each actuality has its present life and its immediate passage into novelty;
but its passage is not its death. This final phase of passage in God’s nature is ever
enlarging itself. In it the complete adjustment of the immediacy of joy and
suffering reaches the final end of creation » (Process and Reality, P. V, eh. II,
ed. cit., p. 495).
LA CONCRESCENZA O D IS P E R S IO N E D I DIO N EL MONDO 851
18 « For the kingdom of heaven is with us today. The action of the fourth
phase is the love of God for the world. It is the particular providence for parti
cular occasions. What is done in the world is transformed into a reality in heaven,
and the reality in heaven passes back into the world. By reason of this reciprocal
relation, the love in the world passes into the love in heaven, and floods back
again into the world. In this sense, God is the great companion - the fellow -
sufferer who understands » (Process and Reality, P. V, eh. II, ed. cit., p. 497).
852 l ’a t e i s m o r e l ig io s o d e l l ’e m p i r i s m o a n g l o -a m e r i c a n o
espressamente rimanda 19: questa coppia però indica solo i due mo
menti di contrasto, presenti nel contenuto oggettivo d’esperienza. L ’op
posizione invece fondamentale e primaria — è la professione del cogito
moderno — è quella di soggetto e oggetto, dell’oggetto appreso e del
modo di apprenderlo, del polo fisico e del polo mentale... con cui si
costituisce l ’atto metafisico. Da Cartesio la « filosofia dell’organismo »
del Whitehead prende l ’affermazione della « pluralità delle entità at
tuali », ma il suo « principio ontologico » non è che lo sviluppo del
principio che Locke espone nel suo Essay (II, X X III, § 7) quando af
ferma che la « forza » (power) è una « grande parte delle nostre idee
complesse di sostanza » 20: questa lockiana nozione di sostanza è tra
sformata dal Whitehead in quella (idealistica?!) di «entità attuale»
(actual entity) e la nozione di forza è trasformata nel principio che le
ragioni delle cose sono sempre da trovare nella natura composta di pre
cise entità attuali — ossia nella natura di Dio, come si è visto — per
le ragioni di valore assoluto supremo e nella natura di entità attuali
definite dal tempo per le ragioni che si riferiscono a un particolare
ambiente. La « entità attuale » è la res vera nel senso cartesiano del
termine come evidenza di presenza in atto ed è perciò una « sostanza »
in senso cartesiano (di contenuto di coscienza) e non in quello aristo
telico di « sostanza prima »; non però come « qualità », quale la con
cepiva Cartesio, ma come « rapporto » o relazionalità (relatedness ) 21.
Il « principio ontologico » afferma che « ogni cosa è positivamente in
atto in qualche parte ed [è ] dovunque in potenza »: questo principio
costituisce il primo passo nella descrizione dell’universo come una so
lidarietà di molte entità attuali ove ogni entità attuale è da concepire
come un « atto di esperienza » e non in funzione di contenuto e ma
teria (stuf). Qui è introdotto come terzo e fondamentale elemento,
dopo Cartesio e Locke, il richiamo alla dottrina del « sentimento »
(feeling) di Hume: è mediante il sentimento che i molti data si fon
26 Process and Reality, P. II, eh. V II, § 5, ed. cit., p. 234 e v. Preface, p. V II.
Sull’influsso della filosofia hegeliana nel formarsi della filosofia dell’organismo, v. le
dichiarazioni importanti in Essays in Science and Philosophy, ed. cit., p. 115 s.,
da cui si rileva che il Nostro ha assorbito il pensiero di Hegel attraverso i neohege
liani inglesi (Haldane, Me Taggart e specialmente Bradley). Ad essi va aggiunto
il maggiore di tutti, S. Alexander, come ha dimostrato Donald B. Kuspil, White-
head on Divinity (1. c., pp. 71, 104 ss., spec, la nota 8 assai importante).
27 Cf. il brioso riassunto di John F. Gates, Adventures in the History of
Philosophy, Grand Rapids 1961, p. 210.
28 C’è al proposito una dichiarazione esplicita e comprensiva: « Almost all of
Process and Reality can be read as an attempt to analyze perishing on the same
level as Aristotle’s analysis of becoming. The notion of the prehension of the past
means that the past is an element which perishes and thereby remains an element
in the state beyond, and thus is objectified. That is the whole notion. If you get a
general notion of what is meant by perishing, you mean by memory and causal
ity, what you mean when you feel that what we are is of infinite importance,
because as we perish we are immortal. That is the one key thought around which
the whole development of Process and Reality is woven, and in many ways I find
that I am in complete agreement with Bradley » {Essays in Science and Philosophy,
ed. cit., p. 117).
856 l ’a t e i s m o r e l ig io s o d e l l ’e m p i r i s m o a n g l o -a m e r i c a n o
zione è fedele nella sua relazione alla realtà » 29. La falsità si ha quando
l’apparizione passa ad effettuare connessioni e s’introducono qualità
che non hanno rispondenza nella realtà. In ogni caso l’apparizione è
una semplificazione della realtà che la riduce ad un proscenio di indi
vidui permanenti, ma questa è la fase finale del rapporto apparizione-
realtà. La prima tappa è data dall’accumulazione, per così dire, del
l’esperienza passata così da iniziare e mettere in movimento il processo,
attualizzando le diverse occasioni individuali: a questa forma di appa
rizione corrisponde la realtà, la nuova occasione, una realtà perciò di
primo grado nel polo sensibile. Il processo è spinto in avanti dall’ope
razione del polo mentale il quale provvede la materia-soggetto concet
tuale per la sintesi con la realtà, ch’è la realtà di secondo grado ossia
riflessa ovvero fondata.
È qui ch’emerge finalmente l’apparizione [autentica] la quale è
la realtà trasformata dopo la sintesi con le valutazioni concettuali.
Questo passaggio dalla prima alla seconda fase dell’apparizione e della
realtà non fa che riprodurre, nel suo nucleo, il passaggio hegeliano
dalla prima alla seconda immediatezza, dall’immediatezza esteriore astrat
ta dello Schein a quella essenziale costitutiva dell’Idea: esso supera
il punto morto della Critica della Ragion pura con la dottrina del feno
meno e nega ogni significato al problema dei giudizi sintetici a priori 30
e può porre il problema di Dio come Hegel. Ma a differenza del Dio
hegeliano, quello di Whitehead non è l’Assoluto, perché si esprime
mediante il rapporto al mondo (A-R) ed è immanente al mondo, benché
non in modo statico ma dinamico: Dio, sia come « natura primordiale »
sia come natura conseguente, è sempre riferito al mondo come « fun
zione » del suo processo di sviluppo. Whitehead parla anche di una
terza natura in Dio, la « natura tendenziale superiore » (credo sia il
significato dell’inglese: superjective nature) e la definisce come « il
carattere del valore pragmatico della sua soddisfazione specifica quali
35 Science and the M odem World, ed. cit., p. 221 s. E un po’ prima: « In the
place of Aristotle’s God as Prime Mover, we require God as the Principle of
Concretion » (Op. cit., p. 216). Un recente interprete del Whitehead spiega luci
damente questa dialettica scambievole fra Dio e il mondo: « God receives from the
world the effects of the world’s action but he receives them in his own way as
subject, and in the decision of his freedom. There is a divine passivity as well as
divine activity » (Daniel D. Williams, How does God act?: An Essay in Whitehead’s
Metaphysics, in Process and Divinity. The Hartshorne Festschrift, La Salle [Illinois]
1964, p. 175).
LA CONCRESCENZA O D IS P E R S IO N E DI DIO N EL MONDO 859
stico e organico, parimenti le due concezioni opposte del razionalismo e del misti
cismo ( Op. cit.y p. 82 s).
46 E ccola nuova formula: « Thus the positive content of theism and pantheism
can be consistenly combined in God is C-W; for the contradiction between theism
and pantheism arises only from the denial of any possible distinction between God
LA CONCRESCENZA O D IS P E R S IO N E DI DIO N EL MONDO 865
teismo e si può applicare a tutti gli autori della scuola, che stiamo
esponendo, di cui Hartshorne è stato un espositore risoluto ed un acuto
indagatore: egli è convinto che questa soluzione di interdipendenza scam
bievole di Dio e del mondo sia Punica capace di salvare la realtà di Dio.
Non basta dire, egli osserva, che Dio è tanto trascendente quanto imma
nente: la causa è naturalmente nell’effetto, poiché essa è logicamente
necessaria ad esso, solo così infatti si può dedurla da esso. Ma Dio è
puramente causa, solo C, o Egli è C-W? Ecco il punto critico della
questione e non si risponde affermando semplicemente l’immanenza del
mondo e la trascendenza di Dio sul mondo. La questione importante,
come affermava Fechner, è se il mondo è immanente in Dio 47. La posi
zione sembra ormai chiara e Hartshorne può interpretare di conse
guenza anche gli altri attributi di Dio (eternità, semplicità, perfezione...)
come già Whitehead: egli discute soprattutto, e con notevole impegno,
il problema del come si possa conciliare la conoscenza divina dei con
tingenti in modo da salvare l’immutabilità e perfezione di Dio (e
della conoscenza divina) e la contingenza di un certo fatto X il quale,
precisamente in quanto contingente, potrebbe non essere e potrebbe
quindi rendere falsa la conoscenza divina del fatto X 48. Il teismo per
ciò si può salvare solo come panenteismo, non separando Dio dal mondo
ma facendo del mondo il ricettacolo di Dio, nella linea del panpsichismo
che va da Leibniz a Fechner fino a Whitehead.
Nulla, ci si assicura, può essere estraneo a Dio, neppure la ma
teria: molti filosofi hanno respinto categoricamente il concetto di una
materia morta ed hanno fatto della vita la realtà universale, per esem
pio Leibniz. A sua volta la stessa libertà umana, secondo il principio
di Fechner, può essere concepita come parte della sapienza divina. La
verità ch’è concepita nella concezione teistica può essere espressa per
ciò unicamente con la formula AR-CW, nella quale il fattore assoluto,
as independent cause and God in his total actuality » (Ch. Hartshorne, Philosophers
speak of God, ed. cit., p. 504 a). Più sotto la formula diventa A-R cioè unità
di assoluto e relativo, sempre nel senso del principio di polarità (cf. pp. 504 ay
507 b ss.). Perciò la formula completa del panteismo è la sintesi AR-CW (v. l’ana
lisi in Op. cit,, pp. 512 *-513 a). Tale sembra anche il senso proprio del « concetto
di Dio » in Whitehead un derivative concept il quale — come concetto — è essen
zialmente contingente ossia dipende dall’esistenza del mondo (cf. William A.
Christian, God in Whitehead’s Metaphysics, in Process and Divinity, ed. cit.,
p. 198 s.).
47 Ch. Hartshorne, Philosophers speak of G od, ed. cit., p. 505 a.
48 Ch. Hartshorne, Philosophers speak of God, ed. cit., p. 510.
866 l ’a t e i s m o r e l ig io s o d e l l ’e m p i r i s m o a n g l o -a m e r i c a n o
non riflessivo ossia di pura identità in Dio, Dio come A-C, è la Causa
pura che non è e che non contiene nessun effetto: è il motore immo
bile il quale, secondo l’espressione del Bòhme, è in Dio ma non è Dio.
Invece la perfezione superrelativa di Dio, ossia della trascendenza ri
flessa, è la pienezza del suo essere ossia la sua totalità sempre a sé
identica, ma a sé identica come autoarricchita, influenzata ma mai com
pletamente determinata (e mai completamente determinante) da altri.
Brevemente, Dio è una personalità vivente, sensitiva, libera... la quale
preserva tutti gli eventi attuali con sollecitudine imparziale e che ag
giunge sempre nuovi eventi alla sua esperienza49. Tutte le altre conce
zioni sono pure astrazioni che rendono impossibile ogni considerazione
degli attributi fondamentali di Dio: la vita, la conoscenza, la libertà...
Si tratta quindi, anche in questa concezione che ha preso l’etichetta di
panpsichismo, di una variazione del principio d’immanenza e ciò è reso
evidente dall’identificazione che vi si fa del concetto di sostanza con
quello di causa mediante la quale si opera il « travaso di attributi »
fra Dio e il mondo con la mediazione della coscienza umana.
Il concetto di « evoluzione emergente » cresce pertanto di inten
sità in questo tipo di filosofia che pretende ad un’inequivocabile ed
esplicita affermazione di Dio, anzi al salvataggio in extremis di Dio
ch’era stato compromesso dalle posizioni antitetiche del teismo e del
l’ateismo: il teorico dell’evoluzione emergente ricorda anche Bergson
che aveva teorizzato la evolution créatrice 50. La concezione dell’evolu
zione emergente può essere considerata l’erede della prima speculazione
deH’illuminismo inglese, che attribuiva alla materia, contro il dualismo
cartesiano, la capacità intrinseca di muoversi e quindi di vivere, sentire,
percepire... (Toland) e chissà, forse, anche di pensare (Locke) e che si
è approfondita con la dottrina della « fede » {faith) di Hume opposta
alla nozione razionalistica di causa: il ricorso alla concezione hegeliana
e la nuova configurazione di un « idealismo naturalistico » o « idea
lismo realistico », ch’è diventato più esplicito nelle forme più elaborate
di quest’indirizzo, intende saldare col ricorso alla dialettica sia il rap
porto funzionale e scambievole del Tutto (spinoziano) con le parti, sia
garantire l ’inesauribile cammino del « progresso » che si presenta alla
coscienza umana nel suo rapporto al mondo. Quest’incontro conclusivo
di empirismo e idealismo ha, per noi, un interesse teoretico di primo
piano nell’approfondimento di quella ch’è l’essenza del pensiero mo
derno e il significato del principio d’immanenza che nella nostra inter
pretazione è l’unico principio esclusivo di ogni apertura di trascendenza
ovvero capace di fondare un ateismo positivo e costruttivo senz’alcuna
possibilità di sviluppo. Certamente, l ’evoluzione emergente di un
mondo che « si fa » Dio non può costituire o fondare una siffatta
possibilità: è processo cosmico e nient’altro.
Infatti l’evoluzione emergente opera muovendo verso l’alto a par
tire dalla materia, mediante la vita, la quale raggiunge nell’uomo il
suo livello più a lto 51: l’intuizione più sottile dell’artista e del poeta,
la più alta aspirazione del santo sono apparizioni di un processo unitario
che arriva a comprendere lo sbocciare delle ninfee, il formarsi delle
forme cristalline della neve o delle più minute strutture dell’atomo.
L ’evoluzione emergente esige che il « più » che si trova in un dato
stadio, anche nel più alto, implica il « meno » degli stadi che l ’hanno
preceduto e continua a coesistere con essi. Non si tratta però d’interpre
tare ciò ch’è più alto con ciò ch’è più basso o viceversa, poiché allora
non si potrebbe più parlare di evoluzione emergente. Invece si tratta
di riconoscere — è il momento spinoziano — da una parte il mondo
fisico soggiacente alle apparenze fenomeniche col quale noi veniamo
in contatto mediante i sensi, e dall’altra una Sorgente immateriale di
tutti i cambiamenti che in esso avvengono: in altre parole, dobbiamo
riconoscere sia gli eventi fisici come ultimamente « implicati » (involved),
sia Dio dal quale ogni processo evolutivo « dipende » (depends). Tocca
riconoscere quindi che la causalità come tale è sempre « emergente »
ossia produzione di una « qualità di essere » sempre più alta: è sintesi
di « causazione » e « causalità » 52 senza contraddizione ed in questa
sintesi si attua l’evoluzione emergente in cui trova posto la mia fede
55 A. N. Whitehead, Science and Religion, New York 1931, p. 136. Sul fon
damento di questi e simili testi ha interpretato anche il Dio di Process and Reality
W. Mays, The Philosophy of Whitehead (London-New York 1959, p. 56 ss., spec,
p. 73) che ha suscitato però le riserve di Ch. Hartshorne (cf. The Relevance of
Whitehead, ed. by J . Ledere, London-New York 1961, p. 23). A nessuno sfugge la
somiglianza di questo panevoluzionismo e panteismo cosmico con le vedute, d’ispira
zione però più fantastica e apocalittica, di Teilhard de Chardin di cui troppi oggi
abusano per la propaganda del cosiddetto « dialogo » fra comunisti atei e cattolici
nel pubblico sprovveduto (cfr. ora l’opportuna stroncatura di J. Maritain, Le paysan
de la Garonne, Paris 1966, p. 173 ss., Annexes I e II, p. 379 ss. Il Maritain si
collega alla critica di E . Gilson).
5
LA V ER ITÀ COME AZIONE
E LA SCOMPARSA D I D IO IN J. D EW EY
fatti non può essere appreso nella conoscenza o realizzato nella rifles
sione. L'unificazione completa dell’Io come un Tutto non può essere
raggiunta né con l’osservazione o col pensiero e neppure con l ’attività
pratica: il Tutto {W hole) in se stesso è un’idea, una proiezione del
l’immaginazione. Di qui l’idea dell’Io, che penetra e si sprofonda in
armonia con l’Universo (questo termine indica la totalità delle condi
zioni con le quali l ’Io è in rapporto), opera solo mediante l ’immagina
zione. Lungi allora dall’essere la volontà il principio di questo « adatta
mento » (adjustement come scrive Whitehead), è la volontà ch’è il suo
espresso prodotto. Gli apologeti della religione ( religionists) hanno ra
gione nel pensare che si tratta di un influsso che scaturisce da fonti poste
al di là della deliberazione e dell’intenzione consapevole: ciò può servire
a spiegare dal punto di vista psicologico l’origine della credenza in Dio
come un Essere soprannaturale com’è concepito dalle religioni. È chiaro
che l’unificazione dell’Io attraverso il flusso incessante di quanto esso
fa, soffre e compie non può essere ottenuto in termini dell’Io stesso.
L ’Io si rivolge sempre — è il principio dell’intenzionalità — verso qual
cosa al di là di se stesso e così la sua unificazione dipende dall’idea dell’in
tegrazione delle mobili scene del mondo nella Totalità d’immaginazione
che noi chiamiamo l’Universo.
A questo punto anche Dewey, nella linea classica del pensiero anglo-
sassone della linea empirista e soprattutto d’accordo con Hume, come
Whitehead, ricorre ah principio sintetico della « fe d e » {faith). La fede
non è soltanto un principio di valore teologico, come afferma la religione
cristiana, ma ha pure un’importanza pratica e morale. Ma anche fuori
del contesto teologico si deve distinguere fra una fede « speculativa »
ossia intellettuale ed una fede « giustificativa » {justifying faith), ossia
fra la fede come una convinzione dell’esistenza di un fine supremo della
propria condotta e la fede ch’esiste un certo oggetto od essere come
verità per l ’intelletto. La convinzione nel senso morale comporta con
quista, vittoria, che un fine ideale ottiene sulla nostra natura. Significa
riconoscimento della sua giusta pretesa sui nostri progetti e propositi.
Simile riconoscimento è di natura pratica e non prevalentemente intel
lettuale: la riflessione spesso ardua e lunga può anche arrivare alla con
vinzione, ma l’intelletto può rimanere ancora insoddisfatto. L ’autorità
di un ideale sulla scelta e condotta [della vita] è l ’autorità di un ideale
e non di un fatto, di una fede garantita all’intelletto e non dello stato
d’animo di uno che propone la verità.
E Dewey si diffonde nell’analisi di questa fede morale, la Common
Faith che ha dato il titolo al suo saggio, come primo nucleo psicologico
876 l ’a t e is m o r elig io so d e l l ’e m p ir is m o anglo -am erican o
ì
dell’origine della religione. Comprendere la vera natura di questa fede
morale, egli osserva, non è facile, meno facile ancora è mantenere che il
suo oggetto è e deve rimanere nella sfera ideale: invece le filosofie e le
teologie di ogni genere hanno abbassato questo ideale sottoponendolo a
schemi e a realtà di fatto. Essi hanno mancato di vedere che, trasfor
mando le realtà morali in oggetti ( matters) di assenso intellettuale, hanno
mostrato in realtà mancanza di fede morale. La fede che qualcosa verrà
all’esistenza in quanto essa è in nostro potere, ciò ch’è l ’essenza della
fede morale, è trasformata nella fede intellettuale ch’essa si trova „già
nella nostra esistenza. E quando l’esistenza fisica non è in grado di conva
lidare (bear — portare) la nostra asserzione, il [fatto] fisico è trasfor
mato subito in [oggetto] metafisico. Ed ecco che a questo modo il
gioco è fatto: la fede morale è stata collegata alle credenze intellet
tuali sul soprannaturale. Ed ecco anche l’origine della religione. Da
quanto si è detto non segue che ogni fede morale in scopi ideali sia
in virtù di questo fatto religioso come qualità. Il religioso è « mo
ralità toccata da emozione » soltanto quando gli scopi della convin
zione morale provocano emozioni che non sono soltanto intense, ma
sono attuate e sostenute da scopi così [fra loro] inclusivi da unificare
l ’Io. L ’inclusività del fine in relazione sia all’Io come all’Universo, ai
quali un Io inclusivo si rapporta, è indispensabile. E questo si accorda
anche con l ’antica etimologia di « religione » che significa « esser le
gato », come l’esser legato con i voti religiosi ad una particolare forma
di vita. Parimenti dal punto di vista filosofico — nella filosofia di
Dewey, s’intende! — l ’atteggiamento religioso significa essere legati
con l’immaginazione a un atteggiamento generale , ossia di ampiezza e
valore universale.
Pertanto, se ora applichiamo questo alla definizione corrente di re
ligione — come « riconoscimento da parte dell’uomo di qualche potere
superiore invisibile che ha il controllo sul suo destino ed esige obbe
dienza, riverenza e culto » 5 — essa prende un significato nuovo. Il po
tere invisibile che controlla il nostro destino diventa il potere di un
ideale, ed è allora quest’ideale che nella sfera razionale prende il
posto di Dio. Tutte le possibilità, come tali, sono di carattere ideale:
queste possibilità del Dewey ci sembrano assai vicine agli « oggetti eter-
6 « For all endeavor for the better is moved by faith in what is possible, not
by adherence to the actual » (A Common Faith, ed. cit., p. 23, Ratner, p. 1019).
878 l ’a t e i s m o r e l ig io s o d e l l ’e m p i r i s m o a n g l o -a m e r i c a n o
7 « It trusts that the natural interactions between man and his environment
will breed more intelligence and generate more knowledge provided the scientific
methods that define intelligence in operation are pushed further into the mysteries
of the world, being themselves promoted and improved in the operation. There
is such a thing as faith in intelligence becoming religious in quality » (A Common
Faith, ed. cit., p. 26, Ratner, p. 1022).
8 « It is this active relation between ideal and actual to which I would give
the name God » (A Common Faith, ed. cit., p. 51, Ratner, p. 1025).
LA V ER IT À CO M E AZIONE 87 9 '
forza, almeno per Dewey, ch’è attribuita alla concezione di Dio in tutte
le religioni che hanno un contenuto spirituale.
È quest’idea allora delPunione dinamica fra la sfera ideale e attuale
che tocca affermare, si tratta di un’unione attiva e pratica ossia « unifi
cante » [uniting), ma non qualcosa di dato e tanto meno di mistico.
La ragione che ha spinto il Dewey — dobbiamo dar atto alla sua buona
fede! — a chiamare Dio il principio unificante la sfera ideale e quella
attuale, sta nel fatto che per lui ateismo e teismo (ch’egli, come si è
visto, chiama « soprannaturalismo ») hanno in comune di considerare
l ’uomo in uno stato di isolamento. Infatti benché il soprannaturale si
riferisca a qualcosa che trascende la natura9, esso concepisce questa terra
come il centro morale dell’universo e l’uomo come l ’apice di tutto lo
schema ascendente delle cose; considera inoltre il dramma del peccato
e della redenzione concentrato nell’anima sola e isolata dell’uomo come
l ’unica cosa d’importanza decisiva, fuori di cui ogni altra cosa e la na
tura tutta ha scarsa e poca importanza. L ’ateismo militante manca invece
d’altra parte di pietà naturale: la sua concezione del mondo trascura
i legami che legano l’uomo alla natura, celebrati dai poeti, e considera la
situazione dell’uomo nella società con ostilità e diffidenza. Un atteggia
mento religioso pertanto è indispensabile per dare il senso di una con
nessione dell’uomo, sia come dipendenza sia come sostegno, col mondo'
che lo circonda quale l’immaginazione per conto suo lo sente come un
« universo ». L ’uso dei termini « Dio » e « divino » . . . per Dewey sono
quindi equivalenti per indicare quell’unione dell’attuale con l ’ideale che
può proteggere l ’uomo da un senso di isolamento e dalla conseguente di
sperazione o diffidenza 10. Bisogna subito infatti avvertire che qui « Dio »
è un termine di significato funzionale e simbolico e non reale: esso
« serve » cioè per indicare la convergenza di quei fattori dell’esistenza
che generano e sostentano la nostra idea del bene come uno scopo a
cui aspirare ed escludono gli impulsi che possono nuocere o distrarre.
Si tratta quindi di un espediente psicologico, di una proiezione ed
16 « When the belief that knowledge is active and operative takes hold of
men, the ideal realm is no longer something aloof and separate; it is rather that
collection of imagined possibilities that stimulates men to new efforts and reali
zations. It still remains true that the troubles which men undergo are the forces
that lead them to project pictures of a better state of things » {Reconstruction in
Philosophy, ed. cit., p. 118).
LA V ER IT À CO M E AZIONE 885
senso del fondamento della vita, di questa filosofia che vuol essere la
conciliazione del principio baconiano col principio idealistico ossia
dell’immediatezza e della mediazione, dell’esperimento e della Tifles-
sione, del reale e dell’ideale, del singolo e dell’universale, del fatto e
del valore, dell’esperienza e della ragione, della natura e della libertà...
ciò che in verità deve e vuol essere ogni filosofia e che il Dewey ha
cercato di ottenere spingendo all’estremo punto ambedue i principi
per farli incontrare. E l ’incontro in modo inatteso, ma che ha profonde
radici nella filosofia anglosassone, è affidato — almeno in apparenza —
alla sfera religiosa, dove Dio ha il compito di esprimere e rendere
possibile quella conciliazione. Ma questa postulazione morale di Dio
— come quella kantiana — è proprio solo un’apparenza21: in realtà
è l’uomo stesso che tende in vari modi a far prevalere come fondante
una sfera della propria intenzionalità — ch’è più spesso quella dell’utile
— sulle altre.
Una ricerca più estesa e variata dell’oblìo di Dio nella filosofia
anglo-americana esula dal nostro preciso intento. Eppure ci si consenta
di affermare che forse in nessuna scuola di filosofia europea il problema
di Dio e dell’immortalità, della libertà e del valore, ha scosso le coscienze
con l’impegno e il fascino di questi ultimi eredi dell’empirismo baconiano
e lockiano: mentre, trasportato in Europa col razionalismo e col positi
vismo e infiltratosi anche nelle scuole neokantiane e persino hegeliane,
l ’empirismo otteneva presto e facilmente la sua cadenza atea, nella cul
tura anglosassone invece, penetrato di un profondo moralismo, esso si
alleava per spinta interiore col principio idealistico e poneva in Dio la
fondazione e consistenza della verità e del valore. E si badi bene che
quando questi filosofi attribuiscono la credenza in Dio alla sfera imma
ginativa (la fonction tabulatrice di Bergson) o alla forza humiana del
« sentimento », non intendono affatto abbassarne il valore o ridurre Dio
all’arido e formale Umgreifende jaspersiano, ma di situarlo al centro della
vita e come garanzia dell’umano progresso. E per uno strano paradosso,
scura la radicale differenza o contrasto fra l’Assoluto idealistico con i suoi modi rela
tivi e la distinzione teistica di Dio e delle cose finite (cf. J. Collins, God in Modern
Philosophy, ed. cit., p. 274).
21 Sintomatica l’ammissione del Dewey: « It is this active relation between
ideal and actual to which I would give the name “ God ”. I would not insist that the
name must be given. There are those who hold that the associations of the term
with the supernatural are so numerous and close that any use of the word “ God ”
is sure to give rise to misconception and be taken as a occasion to traditional
ideas » (J. Dewey, The religious experience, ed. cit., p. 51, Ratner, p. 1025).
LA V ER IT À CO M E AZIONE 887
Phìlosophy of Whitehead del 1941 (nel volume citato Alfred North Whitehead, ed.
cit., p. 643 ss.). Dewey, nella sua esposizione, si riferisce quasi esclusivamente al
volume Adventures of Ideas per il pregio ch’esso ha di « simplicity and comple
teness » (The Philosophy of Whitehead, voi. cit., p. 644, nota).
24 A. N. Whitehead, Process and Reality, ed. cit., p. 24. La nozione di « actual
entity », che richiama (ma non è del tutto identico) la nozione humiana di im
pression, è sviluppata con ben 27 teoremi (Op. cit., p. 30 ss.).
LA V ER IT À C O M E AZIONE 889
but that he must be, at the least, much more powerful than any other self,
and so powerful that his volition can affect profoundly all else that exists.
In including goodness, I do not mean that a being should not be called a
God unless he is morally perfect, but that he must be, at the least, more
good than evil » {ibid., p. 1 76). E non si venga a dire, egli osserva, che si
può concepire Dio in modo impersonale: la personalità è un attributo essen
ziale di quella realtà che si chiama Dio: quelle concezioni non sono che
sostituti verbali di Dio e delFidea di Dio.
O ra se questo è il significato corrente di Dio nella teologia e nel lin
guaggio comune, nella filosofia (leggi: « moderna ») — inclusi Spinoza ed
H egel — il significato di Dio ha una maglia molto più larga. In questa filo
sofia Dio è detto tutto ciò ch ’esiste, purché possegga soltanto qualche sorta
di unità, e non sia un mero aggregato, o un mero caos. In questo senso tu tti,
eccetto forse gli scettici, amm ettono l ’esistenza di Dio: ma allora, protesta
onestamente Me Taggart, la questione di Dio diventa triviale. E conclude,
e l ’osservazione la passiamo a quanti — e sono legione — pretendono
di fare la filosofia e la storia della filosofia con le buone intenzioni più che
con la coerenza dei principi: « The im portant question is not whether there
is a God, but what sort of nature he, or it, possesses » (Op. cit., § 4 8 9 ;
t. I I , p. 177).
L a conclusione quindi è che c ’è un contrasto profondo fra la conce
zione teologica e filosofica di D io: per la filosofia esso è il Tutto e l’A ssoluto,
quindi la filosofìa (moderna) è intrinsecamente atea perché il Tutto e l’A sso
luto può essere — osserva Me Taggart — lo stesso mondo nel suo com
plesso.
Nel seguito della sua analisi, svolgendo un discorso del tutto opposto
ai pretesi teisti finitisti, M ac Taggart contesta (dal punto di vista del pen
siero moderno) la possibilità di una relazione qualsiasi di Dio al mondo e
soprattutto del concetto di creazione nel senso autentico della teologia ( O p .
cit., § 4 9 2 ss.; t. I I , p. 178 ss.) e parimenti di Provvidenza (Op. cit., § 4 9 5 ;
t. I I , p. 181).
A ltrettanto dicasi del celebrato argomento preso dall’ordine del
m ondo: questo significa che il mondo non è un caos ma per dar ragione
di questo non è necessario postulare un Dio come persona trascendente e
indipendente (Op. cit., §§ 4 9 9 -5 0 0 ; t. I I , p. 184 ss.). L a concezione (nega
zione) dell’imm ortalità viene di conseguenza: è l’eternità della coscienza
universale. Una concezione quindi di perfetta ortodossia spinoziana ed hege
liana (sul suo pieno accordo con Spinoza, ved. la dichiarazione del § 5 0 2 ,
p. 187 e la nota 1. P er Hegel, ved. le magistrali analisi in Studies in Hege
lian Cosmology, Cambridge 1 9 0 1 , p. 56 ss.: « The personality of A b so lu te»;
Studies in the Hegelian Dialectic, Cambridge 1 8 9 6 , spec. p. 135 ss.).
Perciò non a torto il suo ortodosso hegelismo è stato anche detto
« personalismo ateo » in un senso quanto nuovo altrettanto proprio che
anticipa certe istanze dell’umanesimo ateo dei nostri giorni: « There is the
refore, according to Me Taggart, no God. Nothing exists but persons con
nected in a unity. Beyond them and independent of them there are no real
beings of any kind... Such a view of the world is manifestly personalistic in
spite of his atheism » (A . C. Knudson, The Philosophy of Personalism,
Boston U. P . 1 9 4 9 , p. 2 2 ).
894 l 'a t e i s m o r e l ig io s o d e l l 'e m p i r i s m o a n g l o -a m e r i c a n o
Sembra quindi non tanto audace quanto gratuito il tentativo d i'q u al
che cattolico di operare una sintesi od almeno un accostamento fra l’evolu-
zionismo assoluto di W hitehead e il teismo tom istico (cf. W . E . Stokes, S. J .,
Whitehead's Challenge to Theistic Realism, in The New Scolasticism, 3 8
[ 1 9 6 4 ] , p. 1 ss. Secondo l ’A utore la sintesi può ben farsi, purché si ammetta
che Dio — restando immutabile e trascendente — possa avere una « relazione
reale » al mondo e questo è possibile una volta che si abbandoni il concetto
greco naturalistico di Dio come esse e si prenda quello di Dio come libertà-
amore). A ltri, in una direzione opposta, osservano che secondo W hitehead il
suo primo rapporto (com e « natura primordiale ») al mondo, è col « non
agire » {by not acting;): « E gli opera con (il fatto di) essere. Egli è l’ordine
(del possibile) al quale ogni cosa deve conformarsi se vuol essere co
munque. La natura primordiale (D io) è semplicemente ciò che è, e niente
può essere qualcosa in particolare senza prendere quell’ordine... Nessuna
azione specifica è completamente determinata dall’ordine primordiale, essa
pone soltanto limiti a ciò che ogni azione può essere. L ’azione di Dio come
“ natura conseguente ” è di essere appreso concretam ente nel sentimento così
che la specifica risposta di Dio al mondo diventa una funzione costitutiva
nel mondo » (Daniel D . W illiam s, How does God act?: A n Essay in W h ite
head’s Metaphysics, in Process and Divinity. The Hartshorne Festschrift,
ed. by W illiam L . Reese and E . Freem an, L a Salle [Illin ois] 1 9 6 4 , p. 170 ss.).
Si può convenire che la concezione che W hitehead si fa di Dio risulta di
elementi assai complessi che sono stati ridotti da qualcuno a tre momenti,
quasi nello schema delle celebri tre vie tom istiche: 1) Si consideri la nostra
esperienza come una successione di momenti. 2) Questo plesso di espe
rienza è un nesso di occasioni attuali. 3) L a fonte delle aspirazioni soggettive
di queste occasioni è u n ’entità attuale primordiale ed eterna il cui vero nome
è D io (c f. W . A . Christian, The concept of God as derivative notion, in Process
and Divinity. The H artshorne Festschrift, ed. cit., p. 193. L ’A utore precisa e
corregge qui l ’interpretazione data nell’opera maggiore: An Interpretation for
Whitehead's Metaphysics^ Y ale U . P . 1 9 5 9 , pp. 2 9 2 ss., 353 ss.). Pertanto, per
quel che ci è stato dato di capire, la posizione del W hitehead, quando sia vista
tanto nel complesso della filosofia anglosassone a cui si collega quanto nella sua
struttura interna, finisce di legare D io al mondo non solo nell’ordine logico
del conoscere (come in S. Tom maso) ma anche nell’ordine reale come con
nessione scambievole col m ondo: sia D io come il mondo si trascendono e
s’implicano (sono immanenti) nella concrescenza l ’uno con l ’altro (cf. W . A.
Christian, Whitehead's Explanation of the Past, in A . N . W hitehead, Es
says on his Philosophy, Englewood Cliffs, N ew Y ork 1 9 6 3 , p. 99 s.).
Perciò questa concezione è stata qualificata — e ci sembra assai a
proposito — come « panpsichismo » e « panenteismo » in quanto gli attri
buti metafisici fondamentali sono in qualche modo scambievoli fra Dio e
il mondo: eterno, temporale, cosciente, conoscente, inclusivo del mondo,
avendo tutte le cose come costituenti (A ndrew J . Reck, The Philosophy of
Charles Hartshorne, in Studies in Whitehead's Philosophy, The Hague 1 9 6 1 ,
p. 101 s.). L o spirito di questa concezione panpsichistica, panvitalistica...
A PP EN D IC I 895
ledge and experience. In every field of human activity, the vital movement
is now in the direction of a candid and explicit humanism. [ .. .]
There is great danger of a final, and we believe fatal, identification
of the word religion with doctrines and methods which have lost their
significance and which are powerless to solve the problem of human living
in the Tw entieth Century. Religions have always been means for realizing
the highest values of life. Their end has been accomplished through the
interpretation of the total environing situation (theology or world view),
the senses of values resulting there from (goal or ideal), and the technique
(cult) established for realizing the satisfactory life. Today m an’s larger un
derstanding of the universe, his scientific achievements, and his deeper ap
preciation of brotherhood have created a situation which requires a new
statem ent of the means and purposes of religion. Such a vital, fearless, and
frank religion capable of furnishing adequate social goals and personal sa
tisfactions may appear to many people as a complete break with the past.
W hile this age does owe a vast debt to the traditional religions, it is none
the less obvious that any religion that can be hope to be a synthetizing and
dynamic force for today must be shaped for the needs of this age... W e
therefore affirm:
1) Religious humanists regard the universe as self-existing and not
created.
2 ) Humanism believes that man is a part of nature, that he is emerged
as the result of a continuous process.
3) Holding an organic view of life, humanists find that the traditional
dualism of mind and body must be rejected.
4) Humanism recognizes that m an’s religious culture and civilization...
are the product of gradual development due to his interaction w ith his
natural environment and w ith his social heritage. [ .. .]
5 ) Humanism asserts that the nature of the universe depicted by mo
dern science makes unacceptable any supernatural or cosmic guarantees of
human values... Religion must form ulate its hopes and plans in the light
of the scientific spirit and method.
6 ) W e are convinced that the time is passed for theism, deism, mo
dernism, and the several varieties of « new thought ».
7) Religion consists in those actions, purposes and experiences which
are humanly significant. Nothing human is alien to the religious. I t includes
labor, art, science, philosophy, love, friendship, recreation... The distinction
between the sacred and the secular can no longer be maintained.
8 ) Religious humanism considers the complete realization of human
personality to be the end of m an’s life and seek its development and ful
fillment in the here and now.
9) In place of the old attitudes involved in worship and prayer the
humanist finds his religious. emotions expressed in a heightened sense of
personal life and in a cooperative effort to prom ote social well-being.
10 ) I t follows that there will be no uniquely religious emotions and
attitudes of the kind hitherto associated with belief in the supernatural.
11 ) Man will learn to face the crises of life in terms of his know
ledge of their naturalness and probability. [ .. .]
12) Believing that religion must work increasingly for joy in living,
A PP EN D IC I 899
una loro scoperta ma già circolava nel pensiero europeo; poi, quel
tanto di nuovo e di costruttivo che si trova nel loro pensiero, furono
i tedeschi che subito cercarono di smorzarlo e d’impedirne lo sviluppo.
Nietzsche si chiede: « Furono i filosofi tedeschi veramente tedeschi filo
sofi? ». Lo furono — è il succo della risposta — solo in parte, sia per
ché le idee-maestre di un Leibniz, di un Kant e di un Hegel, potevano
ben essere trovate da altri non tedeschi ed in parte anche lo furono,
sia anche perché questi pensatori non scandagliarono ancora fino in
fondo l’essenza dell’anima tedesca. Quindi essi non furono, in quanto
filosofi, veramente tedeschi.
Lo stesso devesi dire, secondo Nietzsche, di Schopenhauer, e qui
incontriamo il filone maestro dell’ateismo : « L ’evento dopo il quale si
è dovuto porre con sicurezza questo problema, così che un astronomo
dell’anima ne avrebbe potuto calcolare e il giorno e l ’ora, il tramonto
della fede nel Dio cristiano, la vittoria dell’ateismo scientifico, è un
evento che interessa talmente l’intera Europa, che tutte le razze devono
attribuirsene la loro parte di merito e di onore. Invece sarebbe giusto
attribuire ai tedeschi ch’erano contemporanei di Schopenhauer di aver
ritardato al massimo e nel modo più pericoloso questa vittoria dell’atei
smo. Hegel principalmente fu il suo rallentatore {Verzógerer) par excel
lence , grazie al tentativo grandioso ch’egli fece di convincerci all’ultimo
della divinità dell’esistenza con l ’aiuto del nostro sesto senso, cioè del
" senso storico ". Ed ecco il pronunciamento: Schopenhauer fu quale
filosofo il primo ateo convinto ed inflessibile che noi tedeschi abbiamo
avuto: la sua inimicizia per Hegel ha qui la sua ragione profonda.
La non-divinità dell’esistenza valeva per lui come qualcosa di dato, di
tangibile, d’indiscutibile; egli perdeva alle volte la sua ponderatezza
filosofica ed andava su tutte le furie quando vedeva qualcuno indu
giare o arzigogolare » 5. Schopenhauer è così celebrato come l’eroe
intatto del pensiero che non ha esitato di fronte all’estrema conseguenza,
il pessimismo ch’è l’ateismo in atto, radicale e irreparabile, ma anche
egli conclude questo come filosofo europeo e non come filosofo tedesco
e Nietzsche diffida espressamente il nazionalismo in filosofia6.
7 Cf. A. Schopenhauer, Die Welt als Wille und Vorstellung, Buch IV, c. 54,
ed. Frauenstadt, Leipzig 1916, Bd. II, p. 325 ss.; Erganzungen zum ersten Buch, Kap.
1, ed. cit., Bd. I l i , p. 18 s.
LA L IB E R T À CO M E NEGAZIONE A TTIVA DI DIO 907
8 Cf. A. Schopenhauer, Die Welt als Wille und Vorstellung, Buch II, c. 29,
ed. Frauenstadt, Leipzig 1916, Bd. II, p. 196.
1
LA «M O R T E D I D IO »
N ELLTRRA ZION A LISM O V IT A L IST IC O
D I A. SCHOPENHAUER E F. W . N IETZSCHE
fuori di sé e del suo agire rispetto al quale non ha più senso il chie
dere il « perché » e il « donde » e il « a che scopo »: il suo dive
nire è il fluire eterno del suo agire nel mondo, il suo conato a trascen
dersi in forme sempre più perfette ed a consolidarsi come « volontà
di vita » nel mondo; essa è perciò il « nucleo della realtà stessa e il
suo costitutivo più reale » (das AUerrealste, der Kern der Realitat
selbst). Ritorno quindi al monismo cosmico dello èv xat 7rav secondo
la completa compenetrazione di coscienza ed essere nella volontà: non
solo è ormai insostenibile il teismo, ma anche il panteismo trascenden
tale è privo di senso. Schopenhauer accetta in sostanza la critica di
Feuerbach all’idealismo teologico con una lieve modifica: la teologia
non è antropologia, ma antropologismo. Il punto di arrivo, riconosciuto
e confesso di quest’immanentismo radicale, è Vateismo il quale va in
teso non come successore del teismo ma rivendicante lo jus primi occu -
pantis\ così il cogito , divenuto volere puro, si veniva trasfigurando nel
« carattere dinamico dell’essenza del mondo » 3, ch’è stata la versione
data da Schopenhauer al principio moderno d’immanenza.
Per Nietzsche l’ateismo diventa ormai il punto di partenza4: nello
sviluppo del nuovo corso del principio d’immanenza, per la perdita
della realtà di Dio da parte dell’uomo moderno, in cui la grandiosa e
presuntuosa teologia hegeliana esprime « l’ultimo indugio » per l’av
vento dell’onesto e radicale ateismo. Il pensiero di Nietzsche si svolge
all’interno di questa particolare « esperienza », ch’egli ha sentita in se
stesso ed ha proclamata fino alla lacerazione del proprio essere: esso si
svolge perciò non in forma deduttiva, ma come analisi del dramma della
coscienza moderna che si è condannata a muoversi e costruirsi da se
stessa, a porre nella negazione di Dio il fondamento dell’affermazione
dell’uomo. Egli si muove da Schopenhauer, ma intende procedere al
« progetto » dell’uomo nuovo che plasmerà il futuro e con ciò Nietzsche
costituisce effettivamente il momento di passaggio, non all’esistenzia
lismo autentico ch’era stato quasi mezzo secolo prima esposto da Kier
kegaard in polemica con Hegel e con lo stesso vanitoso Schopenhauer,
ma dall’esistenzialismo ateo contemporaneo che ha tradito — come di
remo — l’autentica esigenza esistenziale interpretando e riportando l’es
sere dell’esistenza all’interno del principio d’immanenza. Si tratta quin
di ormai di una dichiarazione di principio: « Schopenhauer è stato
come filosofo il primo ateo consistente e inflessibile che noi tedeschi
abbiamo avuto: la sua ostilità contro Hegel ha qui il suo fondamento.
L ’assenza di Dio nella esistenza (Die Ungòttlichkeit des Daseins) valeva
per lui come qualcosa di dato, di palpabile, d’indiscutibile [ ...]. L ’ateismo
onesto e incondizionato è pertanto il “ presupposto ” (Voraussetzung)
della sua posizione del problema, come una vittoria finalmente e diffi
cilmente ottenuta dalla coscienza europea, come l ’atto il più ricco di
conseguenza di una disciplina bimillenaria per la verità la quale si è
conclusa con l ’eliminazione della menzogna nella fede in Dio » 5.
Il motto e la formula dell’ateismo nietzschiano è la dichiarazione
hegeliana « Dio è morto » (Gott ist tot ) 6, che attraversa e sostenta l ’in
tera sua opera. Il testo più intenso si legge nella Gaia Scienza, del 1882,
al § 125: « L ’uomo folle » (Der tolle Mensch). « Non avete mai udito
parlare di quel folle che in un luminoso mattino accese la lanterna,
corse al mercato e gridava incessantemente: “ Io cerco Dio, Io cerco
D io ” ? Perché lì si trovavano molti di coloro che non credevano in
Dio, egli suscitò una grande risata. È mai Dio andato perduto? diceva
l ’uno. Se l’è sgattaiolata come un bambino? diceva l’altro. Oppure:
Si è Egli nascosto? Ha paura di noi? È salito su d*una nave? È .emi
grato? gridavano e ridacchiavano l ’un l’altro. L ’uomo folle irruppe
fra di loro e li trapassò coi suoi sguardi: “ Dov’è andato Iddio? ”
egli gridò, ve lo dirò io: “ Noi l’abbiamo ucciso, voi ed io! Noi tutti
siamo i suoi assassini! Ma come noi abbiamo fatto questo? Come
abbiamo potuto tracannare il mare? Chi ci ha dato la spugna per
cancellare l ’intero orizzonte? Che abbiamo fatto, quando abbiamo
sciolto la terra dal suo sole? Verso dove si muove essa ora? In quale
direzione ci muoviamo noi? Lontano da ogni sole? Non ci precipitiamo
noi di continuo? E indietro, a lato, avanti, da ogni parte? C’è ancora
9 È questa, secondo Jasp e rs, la tesi radicale di N ietzsch e com e espressione ri
solutiva del p rincipio m oderno d elPautocoscienza: « E r s t w enn kein G o tt ist, w ird
der M en sch frei » (K . Jasp e rs, Einfuhmng in die Pbilosophiey Ziirich 1 9 5 0 , p . 1 1 1 ).
914 LA L IB E R T À CO M E NEGAZIONE ATTIVA DI DIO
tur Macht non sarebbe au ten tica m a una com pilazione [della sorella E lisab etta e
di P . G a s t.] dal Nachlass (cf. K . S chlechta, Der Fall Nietzsche, M unchen 1 9 5 8 .
N ella sua nuova edizione delle opere di N ietzsch e lo Schlechta h a riord in ato questo
m ateriale: Nietzsches Werke, H a n se r V erlag, M iinchen 1 9 56, B d . I l i , pp. 1 3 9 3 -
1 4 3 2 ).
13 « D ie W esen sein heit des W illens zu r M a ch t kann nichts anderes sein als
er selbst. Sie ist die W e ise , w ie d er W ille zu r M a ch t als W ille sich v o r sìch selbst
b ringt » (M . H eid egger Nietzsches Wort..., 1. c ., p. 2 2 4 ). A l « pessim ismo dei
deboli » di S chopenhauer, N ietzsche ha sostitu ito il « pessim ism o dei fo rti » (ib id .,
p. 2 0 7 ).
916 LA L IB E R T À C O M E NEGAZIONE A TTIVA DI DIO
14 Secondo q ualcuno non si tra tte re b b e di « banale em pietà » (cf. K . Jasp ers,
N ietzsche , I I I ed ., B erlin 1 9 5 0 , p . 2 5 0 ).
15 P e r questo A lso sprach Zarathustra è stato a ccostato alle Untersuchungen
iiber das W esen der m enschlìchen Freiheit di Schelling ( 1 8 0 9 ), alla Pbanom eno-
logie des G eistes di H e g e l ( 1 8 0 7 ) e alla M onadologia di L eibniz ( 1 7 1 4 ), le quali
non sono p u ram en te op ere di m etafisica (M . H eid egger, N ietzsches W ort..., 1. c.,
p. 2 3 3 ).
16 P e r la discussione dell’in terp retazion e heideggeriana, v. E . F in k , N ietzsches
P h ilo so p h ic , S tu ttg a rt I 9 6 0 . L ’interesse di H eid egger per N ietzsch e è in un crescendo
co n tin u o: cf. Sein und Z eit , § 7 6 e dopo il saggio cit. di H olzw ege , il voi. di lezioni
W as heisst D en k en ? c h ’è un com m ento al te sto en igm atico: « Il deserto cresce...
( D ie W uste ivàchst ); guai a colui che in sé cela d e s e rti» di Z arath u stra (B d . X I I I ,
p. 3 8 5 ) ; cf. ora il com m ento di questa poesia, nella linea di H eid egger, da parte
di K . H . V olkm an n-S chluck , N iezsches G e d ich t: « D ie W iìste wàchst, w eh dem,
der W listen birgt... », F ra n k fu rt a. M . 1 9 5 8 .
17 Cf. W . T er-G eo rg ian , F. N ietzsches Stellung zur R eligion , D iss., H alle a. S.
1 9 1 4 , p. 8 4 s. L ’A . si richiam a anche al L an g e, all’U eb erw eg, all’E u ck en fautori,
com e N ietzsch e, di una specie di « religione d ell’um anità ».
LA « M O R T E DI DIO » N E L L ’IR RA ZIO N A LISM O V IT A L IS T IC O 917
e del mondo sensibile come secondario e apparente2 ... per dare alla
vita la sua piena espansione e affermazione di se stessa: l’attacco di
Nietzsche contro il cristianesimo attacca la concezione che Dio sia
PEssente supremo (das Seiendste) nel senso di Causa prima e che il
mondo sia creato da Dio e dipenda dalla sua volontà, secondo una
precisa tradizione teologico-filosofica. A questo modo la proclamazione
nietzschiana della « morte di Dio » non sarebbe affatto « ateismo »
in senso reale ma polemico soltanto. Nietzsche perciò nega e rifiuta
la fede nelPesistenza di Dio ossia in un Dio « essente » {an « seien-
den » G oti) nel modo come sempre — secondo questi critici — Dio
è anche stato pensato, dimostrato, rappresentato e creduto, poiché egli
protesta che Dio, quandi vero Dio, deve restare il vero essere...: per
ciò il Divino {das G'òttliche) diventa d’ora in poi una condizione {Zu-
stand) della vita, di quella vita cioè la quale in conformità delle con
cezioni dell’eterno ritorno del simile è il vero essere di ogni essente
in forma d’incondizionata affermazione di se stesso. Questo pertanto
non sarebbe affatto « ateismo », ma esattamente il suo opposto. In
fatti un giudizio di fondo della questione dovrebbe prima chiarire le
due questioni: 1) Come si viene a prospettare l ’essere stesso, una volta
che l’essere dell’essente è trasferito nell’essenza della vita ossia è in
terpretato in funzione della vita? 2) Come si prospetta l ’essenza di
Dio, quando il divino diventa la condizione suprema della vita? 3.
Afferrato il criterio e il contesto esegetico, l’ateismo svanirebbe.
Ed è precisamente in funzione di questo criterio e contesto che
invece l’ateismo nietzschiano è parte operante e conclusione insieme
del suo nichilismo. È vero che Nietzsche si ribella a un determinato
tipo di cultura e civiltà ch’è quello dell’intellettualismo platonico al
quale egli intende sostituire la sua Lebensanschauung , ma è anche al
trettanto certo che Nietzsche opera la sua critica e presenta la sua
« sostituzione » muovendo dal principio moderno d’immanenza, dal
cogito che nel suo cammino risolutivo si è affermato come volo 4. L ’es
senza perciò del Leben nietzschiano è il Wollen eh ’è principio di se
stesso ed esclude perciò ogni altro principio, come l’esclude il cogito .
E poiché nella filosofia moderna la coscienza fa il cominciamento da-
e-con se stessa, il cogito è effettivamente un volo (un volo ch’e, se
condo noi, a vuoto, com’è a vuoto il cogito preceduto dal nulla del
dubbio). Si deve riconoscere perciò che l’essere dell’essente appare
per la metafisica moderna come « volontà » senza eccezioni. Ciò è
implicito già in Cartesio, ma diventa esplicito in Leibniz e costituisce
l ’essenza della metafisica moderna: ma, osserviamo subito, questa ri
soluzione dell’essere nel « volere » ovvero nell’affermazione dell’auto
coscienza come « vita » può costituire la « ... rappresentazione-guida »
(Leitvorstellung ) 5 solo della filosofia e metafisica dell’immanenza per
dissolvere e portare alla tomba la metafisica. È vero quindi che Nietz
sche fa la « critica al tempo »; la sua non è però la diagnosi del me
dico bensì dell’ammalato anzi di un moribondo dello stesso male il
quale pretende di guarire e di far guarire portando all’estremo la viru
lenza del bacillo della malattia.
Sul significato del nichilismo nietzschiano come dissoluzione de
gli ideali del razionalismo e illuminismo dell’Occidente, la critica àpiù
recente si va sempre più accordando. Meno evidente sembra l ’accordo
6 C o sì, p. es., sem bra lim itare E . F in k , Nietzsches Philosophies ed. cit.,
p. 1 4 0 ss.
7 C f. M . H eid egger, Nietzsches P fullingen 1 9 6 1 , B d . I , p. 29 ss.
922 LA L IB E R T À CO M E NEGAZIONE ATTIVA DI DIO
europea, non è opera di Nietzsche ma tale titolo è in contrasto col suo contenuto dispa
rato e vario (cf. K. Schlechta, Der Fall Nietzsche, Miinchen 1958, pp. 87 ss., 110;
v. le prove e le documentazioni nell’ed. cit., Bd. I l i , pp. 1393-1423).
11 « Sein als Verallgemeinerung des Begriffs “ L e b e n ” (atmen), beseelt se'ni,
wollen, ivirken, werden » (Aus dem Nachlass..., ed. cit., Bd. I l i , p. 548).
12 Cf. Die Philosophie ini tragìschen Zeitalter der Griechen, §§ 9-13, ed. K.
Schlechta, Bd. I l l , spec. p. 388 ss.
LA « M O R T E DI DIO » C O M E GIUDIZIO 925
14 « Wahrheit ist die Art von Irrthum, ohne welche eine bestimmte Art von
lebendigen Wesen nicht leben kònnte. Der Werth fiir das Leben entscheidet
zuletzt » (Wille zur Macht, Musarion XIX, p. 19).
15 « Das Wort “ Gott ist tot ” ist kein atheistischer Lehrsatz, sondern die
Formel fiir die Grunderfahrung eines Ereignisses der abendlàndischen Geschichte »
(M. Heidegger, Nietzsche, ed. cit., Bd. I, p. 183). Meno complicata è l’interpreta
zione di Jaspers: « Nietzsche sagt nicht: es gibt keinen Gott, auch nicht: ich glaube
nicht an Gott, sondern: Gott ist tot. E r meint einen Befund der gegenwartigen
Wirklichkeit festzustellen, wenn er hellsichtig in das Zeitalter und das eigene Wesen
blickt » (Nietzsche, II I Aufl., Berlin 1950, p. 247; cf. Nietzsche und das Christentum,
Hameln 1947, p. 53). In una lettera del 1866 al barone de Gersdorff, Nietzsche
ironizza sulle seguenti posizioni presentategli dal Deussen perché le confutasse:
« Potrebbe darsi che ci fosse un Dio, questo Dio potrebbe allora essersi rivelato, e
questa rivelazione potrebbe essere contenuta nella Bibbia. Oh Brahma! Bisogna pro
prio stabilire il corso della propria vita su simili possibilità!? Ed egli vuole ancora
ch’io gliele confuti! » (apud: G. Walz, La vie de F. Nietzsche d’après sa correspon-
dance, Paris 1932, p. 112).
LA « M O R T E DI DIO » C O M E GIUDIZIO 927
16 F. W. Nietzsche, Jenseits von Gut und Bose, § 53, Schlechta II, p. 615;
Musarion XV, p. 73.
17 F. W. Nietzsche, Jenseits von Gut und Bosey § 54, Schlecta II, p. 615 s.
Musarion XV, p. 73 s.
928 LA L IB E R T À CO M E NEGAZIONE ATTIVA DI DIO
22 Cf., a questo riguardo, H.-H. Schrey, Exìstenz und Offenbarung. Ein Beitrag
zum christlichen Verstàndnis der Existenz, Tubingen 1947, p. 39 s.; v. anche:
J. Hommes, Zwiespaltiges D asein. Die exis tendale Ontologie von Hegel bis
Heidegger, Freiburg i. Br. 1933, p. 185 ss.
3
1 La dottrina della « cifra » intesa come puro « riferimento » che non si può
mai costituire in « oggetto » è la chiave della filosofia di Jaspers (cf. Pbilosopbie.
Metaphysik, III ed., Berlin 1956, Bd. I l i , p. 128 ss.).
2 « Es ist die harte Forderung, in der Leere der Welt zu ertragen, dass Gott
nicht da ist wie irgend etwas in der Welt » (Der philosophiscbe Glaubey Miinchen
1947, p. 103). Per una metafisica delTewe come quella di S. Tommaso, Dio è
presente al mondo «p er essenza, per potenza e per presenza» (cf. S. TheoL, I,
q. 8, aa. 1-3; cf. C. Fabro, Participation et causalità, Paris-Louvain 1960, p. 509 ss.,
ed. it., Torino 1961, p. 470 ss.).
932 LA L IB E R T À CO M E NEGAZIONE ATTIV A DI DIO
l ’identità idealistica di Dio col tutto, ma togliendo Dio dal mondo non
trova più nessun « luogo » per Dio poiché la coscienza nella sua tra
scendenza rimane a se stessa l’unica fonte di determinazione dell’essere.
In questa concezione della « cifra divina », a guardarci a fondo, sembra
che Dio abbia unicamente lo scopo d’indicare il compito del « con
tinuo infinito trascendere » che la coscienza deve operare sul suo
oggetto nel suo cammino, è un compromesso perciò per superare l’an
titesi hegeliana della cattiva e della buona infinità mediante l ’eleva
zione esistenziale dell’atto (o forma) dell’aspirare sul contenuto del
l’aspirazione stessa. Dio non può essere un oggetto, un contenuto: l’es
sere non può essere Dio, afferma Jaspers (come Heidegger), Dio non
può essere « persona » ma solo cifra e cifra delle cifre3.
Jaspers parla spesso e molto di Dio, ma finisce per dirne nulla e
per ridurlo a un nulla, a un nome vuoto: « Dio è solo un nome. Poiché
un nome non è nulla di pensato, nessuna categoria, sembra ch’esso sia
quanto mai adatto. Ma Dio può essere chiamato con mille nomi, con
infiniti nomi. Parlare di lui come di qualcosa di pensato, significa
invece volerlo ogni volta chiudere nelle categorie. Perciò l’Uno-Dio
si sottrae alla pensabilità, se si potesse pensare sarebbe un finito fra
gli altri finiti. Egli si sottrae alla rappresentazione e all’intuizione,
poiché esse lo renderebbero qualcosa di sensibile. Esso è per il pensiero
e l ’intuizione un semplice punto vuoto in divenire della trascendenza,
il punto di riferimento di tutto ciò che è, ne è il portatore, lo scopo,
l’origine. Così esso è lontano e inafferrabile, tanto lontano che sembra
irraggiungibile, tanto inafferrabile che sembra svanire nel nulla » 4.
3 Un testo esemplare: « Es ist hart, den personlichen Gott auf sein Chiffresein
zu reduzieren. Gott als Transzendenz bleibt fern. E r wird mir in dieser Chiffre, die
ich als Mensch in zweiter Sprache selbst schaffe, einen Augenblik naher. Aber
der Abgrund der Transzendenz ist zu tief. Diese Chiffre ist keine Losung der
Spannung. Sie ist erfullend und fragwiìrdig zugleich, ist und ist nicht. Die Liebe,
die ich der Gottheit als Person zukehre, ist nur gleichnisweise Liebe zu nennen.
Sie wird Enthusiasmus zur Schonheit des Daseins ». Perciò in concreto tutto si
riduce a « rapporti col mondo »: « Weltlose Liebe ist Liebe zu nichts als grundlose
Seligkeit. Liebe zur Transzendenz ist nur als liebende Weltverklarung wirklich »
[Philosophies ed. cit., Bd. I l i , p. 167). Jaspers non è costante nell’ortografia: alle
volte come qui e altrove (cf. Vernunft und Existenz, Groningen-Batavia 1935,
p. 75; Nietzsche, II I AufL, Berlin 1950, pp. 199, 289 e passim) scrive Chiffre men
tre nelle ultime opere (cf. Von der Wahrheit, Munchen 1947; Einfiihrung in die
Philosophie, Zurich 1950, p. 35 e passim) usa la grafia Chiffer.
4 Von der Wahrheit, ed. cit., p. 690 s. Non ha senso perciò dopo Kant par
lare di « dimostrazioni dell’esistenza di Dio »: « Ein bewiesener Gott, ist kein Gott
L ’EVA SIO N E D A L L ’A SS O LU T O IN K. JA S P E R S 933
subito agli occhi di chiunque abbia un po> di familiarità coi suoi scritti
e coi filosofi che gli fanno guida: Kant, Hegel, Nietzsche. Jaspers, ecco
la nostra conclusione, non è e non può essere teista secondo la linea
classica e realista da noi seguita, ma è anche certo che Jaspers non
si è mai dichiarato ateo.
In una delle ultime opere, dedicata allo studio del rapporto fra
fede filosofica e rivelazione, Jaspers riprende da capo Finterò problema
della trascendenza con un impegno ed una vastità di temi i quali dicono
l ’importanza decisiva ch’egli attribuisce al problema stesso nel plesso del
suo pensiero 6. Ma, con tutto questo, a noi sembra che l’orientamento
di fondo è rimasto immutato ed esso è ciò che importa.
Riveliamo infatti anzitutto che l ’intera nuova esposizione fa ancora
capo alla dottrina della trascendenza della « cifra », la quale sembra
ancor più diluita e frantumata che nelle opere precedenti. Poi Dio, o
piuttosto la Divinità ( G ottheit ), è concepita in forma di piani inten
zionali: il Dio Uno, il Dio personale, il Dio fatto-uomo... e ciascuno
costituisce una « cifra ». Il Dio della Bibbia, di Abramo, Isacco e
Giacobbe mostra bene l’astrattezza del Dio astratto di Aristotele, ma
anch’esso a sua volta diventa « cifra » perché anche per Jaspers, come
per Fichte, si può parlare di « persona » solo nell’ambito dell’uomo ed
è concepibile solo come limitatezza: iniziare perciò col concepire Dio
come persona è togliere alla trascendenza di essere l ’abbracciante di
ogni abbracciarne. La terza cifra infine, Cristo come Dio incarnato,
è filosoficamente impossibile e tocca allora decidersi fra il Cristo
corporeo (storico) e il Cristo come cifra (Uomo-Dio incarnato)7.
La conclusione è che l’uomo diventa quel Dio ch’egli ha davanti
agli occhi credendo: questo non è un soggettivare le « forme di Dio »
{Gotte sgestalten), purché l ’uomo concepisca Dio come « cifra » nella
mutua tensione di oggettività e soggettività e risolva in essa i vari
8 « Die Chiffer Gottes und die Existenz des Menschen entsprechen sich. Seine
auf Transzendenz bezogene Existenz erreicht nicht diese, aber bewegt sich in
der Chiffer. Die Weise, wie der Mensch in den je besonderen Chiffern sich anspre-
chen lasst, wird Moment seines Lebens. Wie er Chiffer Gottes denkt, nach diesem
Bilde wird er selber » (Der phìlosophische Glaube angesichts der Offenbarungy
ed. cit., p. 249).
9 Nacbfolgerìn, nel testo che seguo.
936 LA L IB E R T À CO M E NEGAZIONE ATTIVA DI DIO
10 P. Ricoeur, Philosophie and Religion bei Karl Jaspers, nel voi. Karl Jaspers.
Philosophen des 20. Jahrhunderts, Stuttgart 1957, p. 635 s. P. Ricoeur era giunto
sostanzialmente alle stesse conclusioni nel volume in collaborazione con H. Dufrenne:
Karl Jaspers et la philosophie de Vexistence, Paris 1947, ove si conclude con
fermezza: « C’est pourquoi si on dérivait de la philosophie de Jaspers une philoso
phie chrétienne, on en méconnaitrait le génie propre; c’est done du dehors qu’un
“ existentialisme chrétien ” se prononcerait sur le sens de la foi de Jaspers. Le
croyant estimerait d’abord que dans la critique de la religion, Jaspers est passe
tout à fait à còte de l’élément spécifique de la foi religieuse; le poids de sa
critique porte en effet sur le conflit de l’autorité et de la liberté, qui n’est que
la forme exaspérée du conflit de l’objectivité et de l’existence » (p. 391 s.).
11 Cf. Von der Wahrheit, ed. cit., pp. 43 ss., 123 ss., 605 ss. Il termine è
assente nella grande Philosophie, dove si parla solo di Transzendenz e Chiffre. La
prima esposizione délYU mgreifende si legge in Vernunft und Existenz (Groningen
1935, II Vorles., p. 28 ss.) e contiene già tutti gli elementi fondamentali. Come
guida delle prolisse analisi di Von der Wahrheit può servire la lucida sintesi di
Einfiihrung in die Philosophie (p. 28 ss.).
L ’EVA SIO N E D A L L ’A SS O LU T O IN K. JA S P E R S 937
solo sfuma nello spazio inafferrabile come qualcosa che per defini
zione non può essere oggetto del pensiero, bensì solo d i, fede, ma
fluttua senz’alcun contorno preciso nella coscienza, è una fede ch’è
esposta a tutti gli attacchi del dubbio: perciò desistenza di Dio si deve
dire ch’esula ad uno dei poli della dialettica come riferimento fondante,
ma anzitutto non è più il Dio della tradizione ma quello dell’oggéttività
trascendentale e poi Jaspers ha tagliato tutti i ponti della dimostra
zione valida per affidarsi a quello essenzialmente ambiguo della « fede
filosofica », che non esclude l’incredulità ma la richiama con sé come
l’altro polo in cui si deve attuare la tensione esistenziale. Una fede
quindi che non esclude ma include in sé il dubbio, la disperazione, il
timore... e sta perciò agli antipodi della certezza. Chiamare in causa
l’ateismo, come ha fatto il Ricoeur per il pensiero di Jaspers, implica
quel concetto ben preciso di Dio dal quale l ’uomo attende il significato
del suo essere e del suo destino: un tale significato nell’itinerario
jaspersiano non si compie né s’illumina nella sfera del conoscere ma del-
l ’agire ossia nella forma di esistenza. Siamo quindi, come sempre nei
punti cruciali di questo pensiero, alla dottrina kantiana del predominio
della ragione pratica sulla ragione pura, della fede (filosofica) sul sapere:
Dio perciò non è oggetto dell’esperienza sensibile. Dio è invisibile, non
può essere oggetto d’intuizione ma solo di fede. E questa fede, per
Jaspers, che svolge sempre la linea kantiana, non scaturisce dai limiti
dell’esperienza del mondo, ma dalla libertà dell’uomo: l’uomo che
diventa effettivamente consapevole della sua libertà, diventa insieme
certo anche di Dio. Libertà e Dio sono inseparabili14.
Questo discorso sta agli antipodi, almeno all’apparenza, della logica
del principio d’immanenza al quale Jaspers invece resta legato e ch’è
espresso dall’esistenzialismo francese con la formula brutale ma coeren
te: « se Dio esiste, io non sono libero » (Sartre)15. L ’argomentazione
di Jaspers potrebbe concludere solo nella prospettiva tomistica e kierke-
gaardiana della dipendenza totale dell’ente per partecipazione dall’Es
sere per essenza, ma in questa prospettiva il momento del conoscere
(la presenza dell’essere) precede l ’agire e quindi la libertà è la decisione
della persona che già si è orientata sulla verità dell’essere. Così, in que
14 Einfiihrung in die Philosopbie, ed. cit., p. 43 ss. Jaspers ha dato qui l’espo
sizione più limpida della sua posizione sul problema di Dio.
15 Jaspers riporta invece Nietzsche: « Erst wenn kein Gott ist, wird der
Mensch frei... » e si limita a dire che « ... solo con lo sguardo rivolto a Dio l’uomo
può progredire » (Einfiihrung in die Philosopbie, ed. cit., p. 111).
L ’EVA SIO N E D A L L ’A SS O LU T O IN K. JA S P E R S 939
sta prospettiva, non ha più senso parlare di « fede » nella sfera filo
sofica come principio di trascendenza. Jaspers argomenta: io sono co
sciente di me, nella mia libertà io non sono mediante me stesso, ma
essa mi viene donata poiché io posso venir meno e non realizzare la
mia libertà. Quando io sono veramente me stesso, sono certo che non
lo sono mediante me stesso; la suprema libertà si conosce nella libertà
dal mondo, ch’è insieme il più profondo legame con la trascendenza.
È questa libertà che costituisce l’esistenza: Dio è per me certo con la
decisione con cui io esisto, è certo non come contenuto di conoscenza
ma come presenza per l ’esistenza: c’è quindi una connessione necessaria
fra la certezza della libertà e la certezza dell’essere di Dio, fra la nega
zione della libertà e la negazione di Dio. E c’è anche una connessione
fra l ’affermazione di una libertà senza Dio e la divinizzazione dell’uomo.
Rispondiamo ancora che proprio il concetto di libertà come autonomia
dell’agire ha compiuto lo svincolo della coscienza dall’Essere e quindi
da Dio così che la coscienza della libertà, ch’è posta alla radice della
presenza dell’essere, non solo non pone ma esclude senza rimedio il
riferimento a Dio: né la negazione di Dio porta necessariamente alla
divinizzazione dell’uomo ma soltanto alla semplice accettazione del suo
essere in situazione, comunque poi questa vada concepita, come stanno
facendo, per esempio, il materialismo storico e l’esistenzialismo ateo.
Sembra che Jaspers ad un certo momento voglia frenare o igno
rare la corsa al galoppo verso l’ateismo del principio d’immanenza o
meglio ch’egli la voglia arrestare con un’esortazione edificante a non
precipitare nel nulla, senza però mostrare appoggio alcuno a cui
l ’uomo possa attenersi: « Credere in Dio significa vivere di qualcosa
che in nessun modo si trova nel mondo, se non nel linguaggio multi
forme delle apparenze che noi chiamiamo cifre ovvero simboli della
trascendenza. Il Dio ch’è oggetto della fede è il Dio lontano, il Dio
nascosto, il Dio che non si può mostrare e ciò va inteso nel senso più
forte ossia ch’io devo riconoscere non solo che non conosco Dio,
ma perfino ch’io non so se credo. La fede non è possesso alcuno; non
c’è nessuna sicurezza del sapere, ma solo certezza nella prassi della
vita » 16. Questa rinuncia ad ogni sapere di Dio nel rischio di credere,
spinta fino alla rinuncia dello stesso sapere se si crede, a noi sembra
L ’ASSENZA D I D IO
E L ’IN E V IT A B IL IT À D EL PROBLEM A D I D IO
IN M. H E ID E G G E R
L ’a c c u sa d i « a t e is m o » e la r a d ic a lit à d e l l ’e s s e r e
L ' e c l i s s i d e l « sacro » e la p e r d it a di D io
14 Nietzsches Wort « Gott ist tot », 1. c., p. 204. Hegel è citato a p. 197 e
Pascal a p. 198 col detto di Plutarco: « Le grand Pan est mort ». Alla negazione
della creazione nell'ambito della religione naturale, corrisponde per quella sopran
naturale la negazione dell'Incarnazione e della Redenzione in Cristo con la Morte
e Risurrezione come « eventi risolutivi » della storia. Tale negazione, taciuta ma
implicita nel pensiero di Heidegger, è stata sviluppata coi suoi principi dal teologo
R. Bultmann con la teoria della Entmythologisierung (cf. Das Evangelium des
Joannesn , Gottingen 1950, p. es., p. 38 e passim; v. anche Jesus, Tiibingen 1951,
p. 7 ss., ma soprattutto: Jesus Chrìstus und die Mithologie, Hamburg 1965).
l ’a s s e n z a d i d i o e l ’i n e v i t a b i l i t à d el pro blem a d i d io 951
17 Brief..., p. 102.
18 Brief..., p. 85 s.
19 Erlaut. Hólderlins..., p. 73 s.
l ’a s s e n z a d i d i o e l ’i n e v i t a b i l i t à d el pro blem a d i d io 953
pane e vino nella capanna) porta le cose più vicino; con ciò anche
il mondo vien portato più vicino, il quadrato che in esso si rispecchia:
terra, cielo, divini, umani. Nel mondo chiamato a questo •modo
« indugiano in qualche modo » le cose. I mortali sono chiamati come
ospiti nel quadrato del mondo. Nel linguaggio concesso all’uomo non
si compie nient’altro che l’unificazione di cosa e mondo, il loro intimo
scambievole rapporto, ma anche il loro essere nel rispettivo distinguersi.
Heidegger lo chiama la « distinzione » e anch’essa è una dimensione
del linguaggio come linguaggio. Ma quella separazione si manifesta
come il « dolore », si compie come dolore. Il viandante, che in Trakl
passa la soglia impietrito dal dolore, connette ciò ch’è separato, dal
l ’esterno nell’interno. Così l’uomo che poeta e pensa fa presente l ’essere,
attua « la ec-sistenza in cui può abitare o non abitare Iddio ».
Nei commenti a Holderlin, Heidegger si era fermato al Sacro,
scrivendo: « Il Sacro certamente appare. Il Dio però rimane lontano
[ ...] , il Dio manca e la “ mancanza di Dio ” (Fehl Gottes) è la ragione
del mancare dei “ santi n om i 99 ». Nel commento a Rilke, Heidegger
sembra considerare questa mancanza come irreparabile, almeno per
ora: anche se tale mancanza di Dio « non nega né la continuazione del
rapporto cristiano a Dio nei singoli e nelle Chiese, né significa un giu
dizio di svalutazione di questo rapporto a Dio » 22, si tratta che non si
deve né crearsi un Dio con astuzia, per mascherare quella mancanza,
e neppure di richiamarsi soltanto al solito Dio che sarebbe un mostrare
di trascurare quella mancanza. La conclusione è che tocca « attendere
nella mancanza così preparata, fino a che dalla vicinanza al Dio man
cante venga garantita la parola iniziale che nomina l ’Alto » 23.
In questa diagnosi pertanto c’è solidarietà fra l’eclissi del Sacro
e l ’ateismo moderno, così che la scomparsa di Dio nel mondo moderno
è la conseguenza diretta della perdita della verità dell’essere ossia
della riduzione dell’essere al fondamento della coscienza e dell’atto
di essere al volere, a voler di volere, a volontà di potenza (W ille zur
Macht). In questo Heidegger ha potuto osservare che l ’insicurezza del
mondo contemporaneo è la conseguenza dell’oblìo dell’essere nella filo
sofia occidentale24. Infatti è l’oblìo dell’essere come tale che provoca
lo svanire, l ’eclissi completa del Sacro nell’essente. Questo dileguarsi
28 Heidegger cita dalla Wissenschaft der Logik, Bd. II, p. 484: « Die absolute
Idee allein ist Sein, unvergangliches Leben , sicb ivissende Wahrheit, und ist alle
Wahrheit ». Heidegger è tornato su quest’accordo profondo del suo pensiero con
quello di Hegel, riportando l’istanza hegeliana del Sein al primo inizio della specu
lazione nel pensiero greco, nel saggio recente: Hegel und die Griechen , nel Festschrift
fur H. Gadamer zum 60. Geburtstag. Die Gegenwart der Griechen im neueren
Denkeny Tiibingen 1960, p. 43 ss.
29 E come hanno fatto i neohegeliani per lo stesso Hegel (« ciò ch’è vivo e
ciò che è morto nella filosofìa di Hegel »...; le svariate « riforme » della dialettica
hegeliana da Rosenkranz, a K. Fischer, Erdmann, Weisse... fino a N. Hartmann e
ai nostri giorni).
958 LA L IB E R T À C O M E NEGAZIONE ATTIV A DI DIO
L ’in d if f e r e n z a p e r i l p r o b l e m a di D io
40 Specialmente a partire dal Brief iiber Humanismus (1947), nel quale si di
chiara che la Kehre è stata da Sein und Zeit a Zeit und Seiny la quale non signi
fica una mutazione del punto di vista ma un approfondimento di ciò che ha por
tato alla Grunderfahrung der Seinsvergessenheit ( Op. cit., p. 72).
964 LA L IB E R T À CO M E NEGAZIONE A TTIVA DI DIO
cita) essenziale e che l’Essere non è Dio; anche per il Divino, il Sacro,
e gli dèi si manifesta una seconda forma di appartenenza essenziale.
Sappiamo anche dal celebre testo del Brief uber Humanismus che le
due coppie stanno in stretto rapporto ossia che il pensiero dell’Essere
prepara il pensiero del Sacro e il pensiero del Sacro muove a pensare
l’essenza della « deità » e che dall’essenza della deità possiamo indi
care cosa significa e indica il nome « Dio » 43. Cosa sia e soprattutto
come avvenga questo « passaggio », Heidegger non lo dice, lo afferma
però in modo abbastanza reciso come compito della metafisica: « La
metafisica deve elevarsi col pensiero fino a Dio, perché la cosa del
pensiero è PEssere, ma questo si manifesta in molteplici maniere come
fondamento: come i>7cox£L(jl£vov, come sostanza, come soggetto ». Ma
con tutto questo il problema non solo non ha guadagnato molto, ma
il « passaggio » vi appare radicalmente compromesso in quanto PEs
sere come fondamento qui (come per Aristotele) si dice in molti modi
(tò Sv tzoXK&x &S X éycT ai), cioè nei quattro indicati, nessuno dei
quali appartiene od è riferito a Dio. Ed è questa Paberrazione della
filosofia, secondo l’accusa di Heidegger. Dio perciò esula dalla meta
fisica, perché PEssere non è Dio: così leggiamo che nell’Essere in
quanto essere appare il « discorde », a fondamento della tensione di
Essere-essente sta la tensione di Essere-nulla o meglio di Essere (nel
senso di « apparire », « presentare-presentarsi... ») e nientificare ch’è il
disparire44. Così siamo riportati, se non erriamo, al cominciamento he
geliano del Sein puro in lotta col nulla così che questa lotta non è
la morte ma la vita dell’Essere. E si può dire, come in Hegel, che que
sto Sein selbst heideggeriano ha l ’Assoluto « dietro le spalle », non
nella forma dialettica hegeliana ma nella forma dell’esperienza del
Sacro: però l’esperienza del Sacro esula dalla filosofia. Allora a diffe
renza della filosofia contenutistica occidentale, ch’era culminata nella
« sdivinizzazione » (Entgótterung ), la filosofia di Heidegger afferma e
49 Cf. M. Heidegger, Nietzsches Wort «G oti ist tot», in Holzwege, ed. cit.,
p. 202 s.; cf. ancora: H. Birault, De Vètre, du divin, des àieux chez Heidegger,
nel voi. L existence de Dieu, Tournai 1961, p. 53 ss., e Art. cit. della nota prec.,
p. 117 ss.
50 Al tempo di Sein und Zeit e di Was ist Metaphysik? Heidegger dichiarava:
« Con l’interpretazione ontologica della realtà umana ( Dasein) come Essere-nel-
972 LA L IB E R T À C O M E NEGAZIONE A TTIV A DI DIO
jusqu’au bout la contestation des faux dieux que le Christianisme a installée dans
notre histoire » (M. Merleau-Ponty, Éloge de la philosopbie, Paris 1933, p. 63).
20 « On passe done à coté de la philosophic quand on la définit comme athé-
isme: c’est la philosophic vue par le théologien. Sa négation n’est que le commen
cement d’une attention, dune gravite, d’une experience sur lesquelles il faut la
juger» {Éloge de la philosopbie, ed. cit., p. 63). L ’A. passa perciò alla difesa di
Spinoza..., « le plus positif des philosophes » (p. 64).
21 La determinazione dell’essenza della libertà è dominata da Sartre: « Il n’y
a de choix libre que si la liberté se met en jeu dans sa decision et pose la situation
qu’elle choisit comme situation de liberté. Une liberté qui n’a pas à s’accomplir
parce qu’elle est acquise ne saurait s’engager ainsi; elle sait bien que l’instant
suivant la trouvera, de toutes manières, aussi libre aussi peu fìxée » (Vhénoméno-
logie de la perception, ed. cit., p. 499). Checché sia dell’ateismo di fondo dell’esi
stenzialismo francese e di Merleau-Ponty in particolare, va segnalato il saggio di
quest’ultimo: Christianisme et philosopbie (nel voi. Signes, Paris 1960, p. 176 ss.)
per l’acuta disamina e lo sforzo di comprensione in esso mostrato circa il dibattuto
problema della « filosofia cristiana ».
l ’e s i b i z i o n e d i a t e i s m o n e l l ’e s i s t e n z i a l i s m o fra n cese 985
l ’uomo che ha negato Dio. Ciò che distingue perciò Pateismo dell’esi
stenzialismo francese nel suo ricupero fenomenologico del cogito , con
siste nella rinunzia e denunzia della dialettica come dell’ultimo baluardo
della positività e quindi nell’accettazione incondizionata del tragico del
l ’esistenza. L ’espressione originale di questa negatività costitutiva del
cogito , che a nostro avviso s’intensifica con l’intensificarsi del principio
d’immanenza, è nel concetto esistenzialistico di libertà come puro
« lasciarsi-essere » nella situazione così da « ridursi sempre al non
essere » (questa ci sembra la formula) ch’è proprio d’ognuno e l’uomo
s’identifica con questa libertà24. È sintomatico però che la negazione
di Dio sia solidale con l ’idea o concezione di un essere-fenomeno con
cepito come non essere: « Il faut évidemment trouver le fondement de
toute negation dans une néantisation qui serait exercée au sein méme
de Vimmanence', c’est dans l ’immanence absolue, dans la subjectivité
pure du cogito instantané que nous devons découvrir l’acte originel par
quoi l ’homme est à lui-mème son propre néant » 25.
Quest’ateismo esistenzialistico può essere indicato come la realiz
zazione storica sempre in atto della caduta originale, della riduzione di
questa caduta come un continuo... « cadere dell’ente nel nulla »: Sartre
ha ragione allora di dire che in questa situazione Dio stesso, qualora
esistesse, non potrebbe farci nulla, perché la coscienza delluomo è in
uno stato di spogliamento totale: non solo è priva di tentacoli per aggan
ciare l ’essere e agganciarsi al mondo, ma si attua unicamente per dissol
vere l’essere nell’apparire e per dissolversi di volta in volta anch’essa
come apparizione apparente ch’è il vuoto del puro apparire. Non si tratta
quindi di « conclusioni atee », in queste filosofie dell’immanenza radi
cale, se non in quanto l ’immanenza stessa è già , cioè fin da principio e
come principio, mediante la negazione dell’essere come fondamento,
la negazione di Dio. È il nostro filo ermeneutico e non s’insisterà mai
abbastanza: cercare altrove è divagare e disperdersi nell’accidentale.
Ormai l ’essere, poiché non ha più fondamento, non può neppure
26 Cf. J.-P. Sartre, Descartes, ed. cit., p. 21; Situations, I, p. 320; H. Van Lier,
L’existentialisme de J.-P. Sartre, 1. c., p. 19, 14.1
27 H. Van Lier, L’existentialisme de J.-P. Sartre, 1. c., p. 19, 14.1 b. L ’analisi
fenomenologica e teorica più radicale che Sartre fa della negatività della coscienza,
dopo i romanzi e le commedie, ci sembra il suo: Saint Genet, comédien et martyr,
Paris 1952.
988 LA L IB E R T À CO M E NEGAZIONE ATTIVA DI DIO
28 J.-P. Sartre, Descartes, ed. cit., p. 33; Situations, I, p. 325. E più avanti,
mostrando il capovolgimento della posizione (teologizzante) di Cartesio mediante il
principio (d’immanenza) avanzata da Cartesio: « Descartes a parfaitement compris
que le concept de liberté renfermait Pexigence d’une autonomie absolue, qu’un acte
libre était une production absolument neuve dont le germe ne pouvait étre contenu
dans un état antérieur du monde et que, par suite, liberté et creation ne faisaient
qu’un. [...] Il faudra deux siècles de crise — crise de la Foi, crise de la Science —
pour que l’homme récupère cette liberté créatrice que Descartes a mise en Dieu
et pour qu’on soupgonne enfin cette vérité, base essentielle de l’humanisme: l’hom-
me est Tètre dont Tapparition fait qu’un monde existe » {Descartes, ed. cit.,
pp. 47 s., 51; Situations, I, pp. 332 s., 334).
29 « Nous étions convaincus en mente temps que le matérialisme historique
fournissait la seule interprétation valable de l’histoire et que l’existentialisme restait
la seule approche concrète de la réalité. Je ne prétends pas de nier les contradictions
de cette attitude » (J.-P. Sartre, Critique de la raison dialectique> Paris 1960, p. 24).
30 J.-P. Sartre, M. Francois Mauriac et la liberté, in Situations, I, p. 49.
l ’e s i b i z i o n e d i a t e i s m o n e l l ’e s i s t e n z i a l i s m o fr a n cese 989
salita e quindi sul concetto di Dio summum ens..., summum bonum... (c£. Nietzsche,
Bd. II, p. 415 s.) è molto sintomatico per cogliere la dimensione della sua svista. P er
una rettifica di fondo ci permettiamo di rimandare ancora ai nostri studi sulla
partecipazione tomistica {La nozione metafisica di partecipazione, III ed., Torino
1963; Partecipazione e causalità, Torino 1961, ed. fr. Paris-Louvain 1960).
8 Heidegger osserva giustamente che la nozione suareziana di existentia
{Disp. Metaph., X X X I, sect. IV, n. 6) ha influito sull’inizio della metafisica moderna
(Nietzsche, Bd. II, p. 418), ma manca nella sua opera qualsiasi avvertenza del
l’abisso che separa la posizione di Suarez, e della tradizione nominalistica ch’egli
riassume, da quella di S. Tommaso. Nel tomismo autentico non si tratta (come
fa Heidegger) d’identificare atto e potenza, ch’è un plesso metafisico, con materia
e forma, ch’è un plesso fisico secondo la terminologia medievale. Parimenti, e
di conseguenza, il plesso metafisico primario dell’ente è per S. Tommaso quello
di essentia (« quod est ») ed esse, che si applica anche agli angeli (cf. De spir.
creai., a. 1); non quello di esse essentiae ed esse existentiae (da cui è derivata
direttamente la deprecata coppia di essentia-existentia) che Heidegger giustamente
condanna ma che incautamente ancora attribuisce a S. Tommaso (cf. Brief ìiber
Humanismus, ed. cit., pp. 57, 68 s.). D’accordo con Heidegger nel denunziare
le conseguenze catastrofiche per il pensiero moderno della distinzione scolastica
di essentia-existentia, ma più avveduto di lui nel mantenere l’originalità di
S. Tommaso contro la posizione di Suarez e di buona parte della cosiddetta
Seconda Scolastica, è un critico moderno: « En fait, de 1550 à 1650, un lien
étroit unit les scholastiques espagnols à ce que nous avons appelé l’esprit de
la philosophic moderne. Sans remonter aux Grecs, rappelons que Saint Thomas
d’Aquin tenta de la résoudre nettement et harmonieusement par l’afBrmation
d’une distìnctio realis. Bien que la crainte de l’avicennisme entraìne certains auteurs
à diminuer l’importance de cette thèse dans la philosophic de Saint Thomas, il
semble que l’oeuvre du “ Docteur Angelique ” n’est pleinement comprehensible
qu’à la lumière d’une distinctio realis modérée » (J. Ferrater Mora, Suarez et la
philosophie moderne, in: « Revue de métaph. et de morale », 1963, p. 66 s.).
APPEN DICE
dell’uomo. (Sulla funzione critica del « nulla », cf. il nostro: Dall*essere ai-
resistente, II ed., Brescia 1965, p. 380 ) l.
L'ultimo scritto di Heidegger, dedicato al problema dell’essere in Kant,
rimane fedele a questa problematica, anzi si potrebbe quasi dire che siamo
di fronte ad una nuova Kehre che per noi ha una strana parvenza di ritorno
ad Aristotele secondo il quale l’essere si divide e si disperde negli enti e si
gnifica nella diversità dei predicamenti così che l’essere come tale « non è » né
come tale significa nulla. La differenza, ed ha certamente la sua importanza, è
che per Heidegger come si è visto l’essere significa proprio sul fondamento del
nulla (dell’ente). Infatti nello scritto recente dedicato al significato dell’essere
in Kant, trattando dei rapporti fra « essere e pensiero » (Sein und Denken)y
Heidegger alla fine si esprime come segue: « Im unscheinbaren “ ist " ver-
birgt sich alles Denkwùrdige des Seins. Das Denkwiirdigste darin bleibt
jedoch, dass wir bedenken, ob “ Sein ", ob das “ ist " selbst sein kann, oder
ob Sein niemals " ist " und dass gleichwohl wahr bleibt: Es gibt Sein. Doch
woher kommt, an wen geht die Gabe im “ Es gibt ", und in welcher Weise
des Gebens? Sein kann nicht sein. Wùrde es sein, bliebe es nicht mehr Sein,
sondern ware ein Seiendes » (Kants These iiber das Seiny Frankfurt a. M.
1963, p. 35).
Comunque si voglia interpretare tutto questo e quale possa essere il
significato più o meno recondito di questi passaggi nell’evoluzione di Hei
degger, bisogna ammettere che c’è tuttavia un’unità innegabile di sviluppo e
Heidegger fa bene — a nostro avviso — a difendere tale unità.
L ’ATEISM O VIRTU A LE
D EL PRIN C IP IO D ’IMMANENZA
p. 9). Gli atei sono qualificati per « sciocchi » (Athei, qui scioli magis quam inge-
niosi aut dodi esse solent, p. 6). Nella Praefatio Cartesio precisa che dimostrerà
l’esistenza di Dio dall’« idea » che ho di « una Cosa più perfetta di me » e che ha
visto «. . . duo quaedam scripta satis longa », ma inefficaci, contro gli atei.
2 Cf. Geschichte der Philosophie, Berlin 1844, S. W., Bd. XV , p. 337: « Spi-
nozist zu sein, ist der wesentliche Anfang alles Philosophirens ».
3 E nc. d. philos. Wiss., § 50, ed. Hoffmeister, Leipzig 1949, p. 76. Nella
celebre Prefazione alla II ed. del 1827 Hegel definisce la storia della filosofia come
« la storia della scoperta dei pensieri sull’Assoluto, ch’è il suo oggetto », e prende
l’occasione per associarsi a Lessing (accusato a suo tempo, com’è noto, da Jacobi
di spinozismo!) nel difendere Spinoza (Op. cit., p. 12 ss.).
4 Cf. spec. Enc. d. philos. Wiss., § 573, ed. cit., p. 477 ss. L’allusione alla
« teologia pietista » intende colpire certamente il teologo Tholuck, ch’è espressa-
mente citato e criticato nella Prefazione alla II ed. (ed. cit., p. 15 s.) come il « rap
presentante entusiasta dell’indirizzo pietistico ».
1008 C A R A T T ER E FO N D A M EN TA LE D E L L ’A T E IS M O MODERNO
l’atto del dubitare ch’è il cogito , l’affermazione del cogito non può
trascendere l’atto stesso e la certezza stessa del cogito è in proporzione
del dubitare, ossia dell’escludere e del negare, rispetto a tutto ciò
che « trascende » l’atto del momento ossia rispetto ad ogni contenuto
che non sia l ’atto stesso nella sua momentanea presenzialità. La verità
del cogito , se esclude al suo primo porsi il contenuto (l 'altro e l’Asso
luto), lo deve escludere per sempre se vuol mantenere la verità della
propria presenza. Pare quindi che l’immanenza non possa abbracciare
e fondare simultaneamente l’atto e l’oggetto e che debba fare una
« scelta »: la storia della filosofia moderna è la tensione di questa
scelta che continuamente si rinnova. La lotta che si esercita in questa
tensione può essere detta una controversia di famiglia, poiché ambedue
le direzioni — l ’empirismo e l ’idealismo — affermano di partire dal
medesimo principio ch’è il principio di coscienza o d’immanenza del
l’essere: in realtà però è la lotta che lo stesso principio d’immanenza
sostiene con-e-contro se stesso in quanto ogni volta che tende e intende
di radicalizzarsi, ossia di ridursi al fondamento, è costretto a perdere, ed
a riconoscere la perdita, dell’altro polo della dialettica: se va all’Asso
luto, scegliendo il contenuto, perde l’atto e con esso la presenza come
immediatezza fondata-fondante; se va invece all’atto, scegliendo l’im
mediatezza della presenza, perde il contenuto e con esso il fondamento
di struttura e di significato.
In ogni caso, la filosofia — per usare ancora un termine hege
liano, ripreso da Heidegger — la quale « va a fondo » del principio
d’immanenza5, è portata a confessare e a riconoscere il suo « tra
monto » (Untergang)y per cedere il posto alla volontà e all’azione.
Il p r in c ip io d e l l ’i m m a n e n z a e la f in it e z z a d e l l ’e s s e r e
the imprint or the scars of previous contact or struggle with that strange genius »
(apud: H. Wein, Realdialektik. Von hegelscher Dialektik zu dialektischer Anthro-
pologie, 1957, p. 14).
6 Si è già visto l’accusa esplicita di ateismo lanciata subito al razionalismo
ontologista e cartesiano dal gesuita, illustre storico dei Concili, J. Hardouin nel
trattato: Athei detecti (ossia « atei smascherati ») e dal teologo calvinista Gisberto
Voezio.
1010 C A R A T T ER E FO N D A M EN TA LE D E L L ’A T E IS M O MODERNO
Il s ig n if ic a t o d el d u b b io e d ella NEGAZIONE
La f in it e z z a d e l l ’e s s e r e e la n e g a z io n e di D io
Una volta che l’essere è concepito come presenza ch’è l’atto di co
scienza, il quale prova, verifica, attesta se stesso..., il principio dell’atto
va mantenuto fino in fondo: l ’essere è l ’atto nell’estrema concretezza del
la sua singolarità e storicità temporale — come l’impressione e avver
tenza pura (di sensazione e di riflessione) di Hume — ed è in questo
senso unicamente che la coscienza, secondo il principio d’immanenza, è
concretezza e libertà. Parlare di un doppio mondo, dell’apparenza e della
realtà, del fenomeno e del noumeno, del finito e dell’Infinito, non ha
più senso: se l ’antitesi, l’opposizione onde sorge e si sostenta la dialettica,
non è presente fin dal primo momento e non costituisce la struttura del
medesimo — com’è nella metafisica classica — non può esserlo più se
non costrettavi dall’esterno e quindi non valida. In questo senso la filo
sofia si risolve nel semplice « prender atto del principio dell’atto », che
Hegel esprime nella più schietta formula fenomenologica ch’è lo « stare
a vedere ». Come in Cartesio, così in Hegel, Dio è invocato come
Vultimo fondamento della verità (das Wahre ist das Ganze ): ciò si può
spiegare a partire dalla formazione spirituale che li guida entrambi ossia
nell’atmosfera di una precisa situazione teologica che opera « dietro le
spalle » 10, per usare ancora un’espressione felice che Hegel stesso mette
a fondamento dell’avanzare dialettico del pensiero. In realtà l’unico fon
damento del cogito è il cogitare , l’atto di coscienza nel suo attuarsi che
non può e non deve mediarsi con un contenuto (l’oggetto) ma soltanto
con se stesso nell’esperienza storica che lo sospinge. Su questo punto le
posizioni dell’ultima ontologia fenomenologica di Heidegger e Sartre
si presentano convergenti: la « presenza del presente » (die Anwesenheit
des Anwesenden) del primo ha senza dubbio preparato e suggerito il
phénomène d’etre del secondo, benché Heidegger continui a respin
gere l’accusa di ateismo. Il « trasferimento » che Hegel ha voluto fare
del finito nell’Infinito distinguendo una dialettica della vera infinità
da quella della « cattiva infinità » ovvero il « salto » (Sprung) nel-
T« Essere stesso » (Sein selbst) significherebbe che il cogito non è l’es
sere, perché postulare un cogito che non sia l’atto di coscienza, ossia
il suo presentificarsi, non ha alcun senso. La formula della fenome
nologia ontologica — della radicalità della finitezza dell’essere e della
negazione di Dio — si trova del resto nello stesso Hegel quando scrive
seguendo l’impeto interiore: « Il fenomeno [ l ’apparizione] è il comin
ciare e il finire, il quale per suo conto né comincia né finisce,: ma è
in sé e costituisce la realtà e il movimento della vita della verità » 11.
Il concetto di fenomeno o apparizione (Erscheinung) ha perso qui
ogni carattere di negatività che gli venga dal suo contrapporsi alla cosa
in sé: al noumeno e all’Assoluto, per assumere quello semplice e ul
teriormente non risolubile di presenza e di farsi presente nel quale
la coscienza dell’uomo esprime il suo attuarsi nel tempo. L ’identità
perciò di coscienza ed essere è l ’identità di essere e tempo e di essere e
storia « senza residui ». Se allora si può dire che nessun filosofo ha
mai parlato tanto di Dio né si è tanto richiamato a Dio, come ha fatto
Hegel, si deve subito riconoscere che nessuna filosofia — neppure
quella di Spinoza — ha stimolato la negazione di Dio come quella di
Hegel che sta effettivamente al vertice del divaricarsi delle forme
estreme dell’ateismo contemporaneo, l’esistenzialismo e il marxismo.
Questa riduzione di fondo della filosofia moderna all’ateismo (for
mula negativa) e all’umanesimo (formula positiva) non è una novità ed
ha una data di nascita che risale a più di un secolo fa: la « positività »
però di questa riduzione è una rivendicazione della filosofia contem
poranea in quanto essa ha voluto riportarsi al cogito nella sua purezza
originaria. Combattere perciò l’ateismo della filosofia contemporanea ri
manendo all’interno del principio dell’immanenza è mostrare di non aver
afferrato proprio quell’originalità che si attribuisce al cogito rispetto
all’essere, ossia di non afferrare nella sua estrema purezza la « teore-
ticità » nel senso originario di contemplazione o presenza pura ch’è
il « lasciar-essere-l’essere » o di attività pura quando sia preso come
l’« attuarsi » o il W ille puro, che sono i due sensi antitetici ma egual
mente portati dal cogito i quali, uniti nell’idealismo metafisico, si
sono successivamente separati ed ora oppongono fra loro l’esistenzia
lismo e il marxismo. Ma si tratta di un’opposizione irrilevante sul puro
piano del « fondamento » ch’è l ’atto di coscienza, anche se a rigore
l ’esistenzialismo possa pretendere un netto vantaggio nella coerenza del
principio, la quale va perduta nel marxismo col suo ritorno alla conce
zione hegeliana della verità come un « tutto » (la collettività, la classe
operaia, l’umanità come un « tutto ») e come un « risultato » (l’eli
minazione delle classi, in questo stato). D ’altra parte non si può non
riconoscere che se l’esito reale del cogito si attua nella perenne rimo
zione di ogni contenuto ovvero nel presentarsi del presente, come afferma
logicamente l ’esistenzialismo, esso è giunto allora ad un risultato dia
metralmente opposto a quello per cui è stato invocato ossia il fondare
l'esistenza di Dio e l'immortalità dell’anima. Perciò nella filosofia con
temporanea o si accetta l’annientamento del pensare (e dell'essere) o
bisogna riconoscere che tocca ricominciare da capo.
Il significato del cogito è quindi strettamente metafisico. Perciò i
suoi sviluppi ovvero le sue interpretazioni, sia soggettivistiche nel senso
fenomenista, sia assolutistiche cioè nel senso teologista, costituiscono una
remora del principio stesso: il soggettivismo fenomenista implicherebbe
la rinuncia proprio a quella verità in sé che il cogito è chiamato a
fondare, l'assolutismo teologista (di un Hegel, per esempio) impliche
rebbe non meno la rinuncia a comprendere quell'Assoluto ch'è il Tutto
il quale ha la sua totalità nel divenire in divenire del mondo e della
storia. Il parlare di una « cadenza » realistica del principio d'immanenza
può essere legittimo, ma unicamente in quanto dev'essere lasciato nella
sua intenzionalità sgombra di qualsiasi riferimento dell'atto a qualcosa
che non sia il proprio attuarsi.
La forma più radicale di questo attuarsi in assoluta libertà non
è, a nostro avviso, quella delle varie riforme della dialettica hegeliana,
le quali restano ferme sul principio del Tutto e dell'Assoluto, fosse
pure soltanto la storicità e circolarità dello Spirito crociano o la com
prensione dell’Atto puro di Gentile, ma unicamente come « esisten
za » o decisione di essere nel momento rispetto alla fine ch'è la morte.
La storia, non meno che la realtà della natura che sta di contro l'uomo,
sono senz'altro accolte; ma questo non costituisce affatto una profes
sione di dualismo e tanto meno di realismo nel senso classico di questi
termini. La forma estrema e finalmente autentica d’immanenza è pro
prio nel riferimento costitutivo, ch’è affermato, della coscienza finita
ad un mondo finito ossia del proiettarsi senza residui della coscienza
nel mondo, del suo attuarsi totale e puntuale nel momento dell'acca-
dere puro... È questa coscienza che si dà come intrinsecamente finita
in quanto rileva un mondo intrinsecamente finito ch'è la formula pura
dell'immanenza: l ’immanenza è proprio nella finitezza di questo essere
presente della coscienza per un mondo che la definisce e che rende
possibile la presenza precisamente mediante la finitezza ch'è essenziale
al presentarsi. Quest'intenzionalità allora definisce trascendentalmente
la finitezza della coscienza e della libertà come possibilità di essere:
per questo Sartre afferma giustamente, nella logica del principio d'im
manenza, che l'esistenzialismo non è ateismo in quanto si esaurirebbe
1016 C A R A T T ER E FO N D A M EN TA LE D E L L ’A T E IS M O MODERNO
a dimostrare che Dio non esiste, ma esso dichiara piuttosto che anche se
Dio esistesse, ciò non cambierebbe nulla 12. Basta rifarsi al cogito , basta
determinare in funzione del volo-cogito per avere l ’essere dell’uomo,
e il gioco è fatto. E si può riconoscere che questa derivazione o fonda
zione dell’ateismo è l’unica veramente radicale, perché è l ’unica ch’è
dedotta analiticamente dal principio della coscienza senza deviazioni
naturalistiche, metafisiche o teologiche: essa è molto più radicale del
materialismo antico o illuministico che deve sgobbare assai per ridurre
il pensiero e il conoscere ad attività della materia; più del monismo
e panteismo che deve ridurre la pluralità dei soggetti a mera parvenza
e accidentalità; più dell’idealismo teologico-metafisico che riduce ov
vero rapporta la vita divina alla totalità storica intensiva dell’attività
dello spirito umano; più dello stesso ateismo dichiarato di Stirner e
Nietzsche che trasferisce la pseudotrascendenza o emergenza del Dio
idealistico nel Superuomo e nel Singolo. Nella nostra terminologia la
filosofia contemporanea è certo tutta, più o meno, antidealistica, ma
non perché abbia fatto ritorno al realismo e al dualismo metafisico
bensì perché ha saputo con coraggio « andare al fondo » del principio
dell’immanenza in quanto ha « definito » l’essere in funzione esclusiva
dell’uomo ossia dell’essere umano che si manifesta unicamente nell’atto
di coscienza come dialettica dell’essere temporale.
D a l l ’i m m a n e n z a g n o s e o l o g ic a a l l ’i m m a n e n z a o n t o l o g ic a
16 « Was Sein, ausser dem Bewusstsein, noch heissen soli, ob es noch anderes
Sein gebe, und ob jenes und dieses wie 2 koordinierte Arten in gewissen abstrakten
Merkmalen, welche den Gattungsbegriff Sein ausmachen, iibereinstimmen, ist die
Frage. Man wird vergeblich nach solchen Merkmalen suchen » (Gnindriss der
E r k e n n t n is t h e o r ie p. 17).
17 « Es gehòrt zu dem Sein selbst, dass es in sich die beiden Bestandteile, den
Ich-punkt und die Objektenwelt (zuerst in ihr den “ eigenen ” Leib), in dieser
Einheit zeigt, dass jedes von ihnen ohne das andere sofort in Nichts verschwindet,
eines mit dem anderen gesetzt ist» (Grundriss der E r k e n n t n is t h e o r ie p. 22).
1020 C A R A T T ER E FO N D A M EN TA LE D E L L 'A T E IS M O MODERNO
22 « Wirklich seìn heisst Inhalt eines Bewusstseins uberhaupt sein » (H. Maier,
Pbilosopbie der Wirklicbkeit, Tiibingen 1926, Bd. II, 1, p. 197 s.).
23 Rickert ivi afferma di professare una « dottrina dell'essere » (Seinslehre)
eh'è in contrasto con ogni concezione metafisica. Anche per lui vale l’equivalenza
di « immanenza = contenuto di coscienza », soltanto che ai contenuti di coscienza
dell’essere si appaiano i contenuti superiori del valore: « Es gibt noch eine “ andere
Welt ” als die immanente wirkliche, und zwar liegt in der Sphare des Wertes oder
tritt uns als ein Sollen gegeniiber, das sich nie auf ein Seiendes zurikkfiihren
lasst. Sie besteht " unabhangig ” von jedem Realen und ist insofern transzendent, ja
erst in ihr haben wir die letzte Grundlage des Theoretischen uberhaupt oder den
“ Gegenstand ” der Erkenntnis... ». E conclude che tali rapporti logici non sono
degli esistenti, ma dei valori: « Doch kann man bei keìner Ontologie als dem
Letzten stehenbleiben. Das Logische existiert nicht, sondern es gilt » (Der Gegen
stand der Erkenntnis, Vorwort z. I l i Aufl.; cito dalla IV-V ed., Tiibingen 1921,
p. IX ).
l 'a t e i s m o v ir t u a l e d el p r in c ip io d ’i m m a n e n z a 1023
« essere » (Seìn). Nella terza edizione della sua opera Der Gegenstand der
Erkenntnis , Einfiihrung in die Transzendentalphilosophie (Tubingen
1915), Sein ha un significato più ristretto che non negli scritti seguenti
e nelle edizioni seguenti dell’opera. « Essere » sta ivi espressamente in
contrasto a « valere » ( Gelten ) ed ha quindi il significato di « va
lore » ( Wert), di « senso o significato » ( Sinn) e di « dovere » (Sollen )
e vi si dice espressamente che non ci si può fermare ad una « ontologia »
come all’ultimo punto. Ma questa terminologia col procedere della ri
flessione gli si rivelò inadatta a causa di malintesi. Nella prefazione
alla quarta edizione si mostra che la situazione circa il concetto di « esse
re » è cambiata: il termine Sein gli appare ora il più importante di tutti.
Il termine non è più usato per indicare l’effettuale o il reale in con
trasto con l ’irreale e col valore ma come la più densa espressione ( als
umfassendste Ausdruck) per tutto ciò ch’è oggetto del pensiero in ge
nerale e pertanto dappertutto con un’aggiunta per cautela, dove ci po
trebbe essere discussione, se s’intende significare l’essere reale o ir
reale24. È quasi un avanzamento, almeno nella semantica diretta del
Sein come tale, da Kant a Hegel. Sein così si dice di tutto ciò che è,
di ciò che in generale c’è, ossia di ciò che in generale si lascia pensare
come qualcosa e quindi anche il valore, il significato, la validità e il
dovere. Pertanto la « ontologia » può ora ben essere il « momento ul
timo » della scienza che cerca una conoscenza del mondo nella sua
totalità25. Di qui l’interesse speculativo di ricercare i vari significati
del termine « ente » - « essere ». Soprattutto « essere » va distinto
da « esistere », aggiunge subito Rickert: « esistere » è più ampio di
« essere » poiché esistere si dice non solo rispetto alla sfera reale ma
anche di quella ideale, per esempio delle figure della matematica. Il
Seiende (l’ente) può, in questa terminologia, essere sia esistente o non
24 « Dabei war vor alleni der Begriff des “ Seins ” wichtig. Das W ort ist
jetzt nicht mehr fur das Wirkliche oder Reale im Gegensatz zum Unwirklichen,
Geltenden oder Werthaften, sondern als umfassendster Ausdruck fiir alles Denkbare
ùberhaup gebraucht, und daher liberali mit einem Zusatz versehen, wo es
fraglich sein konnte, ob reales oder irreales Sein gemeint war » (Der Gegenstand
der Erkenntnis, Vorwort z. IV und V AufL, ed. cit., p. XII).
25 « Daher sei schon an diesel- Stelle bemerkt: ich nenne jetzt alles “ seiend ”,
was es liberhaupt “ gibt ”, oder was sich als “ etwas ” denken lasst, also auch das
Gelten, den Sinn, den Wert und das Sollen. Insofern kann jetzt die “ Ontologie ”
sehr wohl “ das Letzte ” in der Wissenschaft sein, die eine Erkenntnis der Welt
in ihrer Totalitat anstrebt » (H. Rickert, Die Logik des Prddikat und das Problem
der Ontologie, Heidelberg 1930, p. 8 s.).
1024 C A R A T T ER E FO N D A M EN TA LE D E L L 'A T E IS M O MODERNO
esistente, per esempio ciò che ha valore; l'esistente reale infine può essere
o di realtà sensibile (fisico o psichico) o di realtà sovrasensibile ed è l'og
getto della metafisica26. E con la metafisica si accede al Tutto in senso
assoluto, come la « cosa in sé », a partire dal quale si può parlare del
mondo come dell'aldiqua.
L'attuazione o espansione dell'immanenza, com'è forse il termine
più esatto in quest'ulteriore sviluppo del principio kantiano, ha il suo
fuoco o centro intenzionale nell'attività del giudizio il cui espandersi
esprime l'attuarsi stesso dell'essere, è una ripresa di Kant, ed un ri
torno alla sintesi predicativa come di una posizione del reale, muo
vendo da Hegel e dal fermento che Hegel ha suscitato nelle più recenti
filosofie. Di qui si comprende l’elevazione che il Rickert fa della « pro
posizione » (Satz ) alla dignità di ens realissimum di ogni scienza, anzi
di ogni conoscenza in generale che sia accessibile ad ogni uomo di
scienza. Senza proposizioni non c'è intesa teoretica alcuna degli uomini
fra loro. Fin quando la scienza esiste, la proposizione forma il pezzo
più importante della consistenza della realtà sensibile; poiché senza
proposizioni, le quali siano state prima oggetto di percezione da parte
degli uomini che lavorano nella scienza, non c'è fra gli uomini intesa
alcuna e la scienza non è possibile27. D'altronde — e qui il motivo
kantiano riprende il sopravvento — ogni uomo che forma la propo
sizione, che si pronuncia sull'essere ed aspira alla conoscenza della
Totalità del mondo, non esprime in realtà che qualche parte ed aspetto:
perciò la proposizione nel momento che apre, chiude anche l'orizzonte
dell'essere, come direbbe Jaspers che ha certamente presente queste
movenze del neokantismo più progredito. Quel che importa rilevare
è il progresso avvenuto rispetto all'« essere » il quale da copulativo,
qual era in Kant, è diventato costitutivo 28, anche se la situazione fonda
mentale prospettata da Kant resta intatta: ossia ciò che noi ci fac
ciamo presente sono concetti e non cose, così che cento talleri reali
non contengono di più di cento talleri possibili. In questa ontologia
del conoscere — ch’è un’eco della Metaphysik der Erkenntnis di
N. Hartmann ed esprime una forma più evoluta d’immanenza, as
sente dal testo kantiano come Rickert stesso dichiara — si rinsalda a
sua volta la prospettiva kantiana della soggettività trascendentale che
attua il proprio mondo di oggetti nella sua totalità*29. Messo al centro
della proposizione, non come semplice copula ma come principio at
tuante la presentazione del mondo, l’essere è essenzialmente finito come
sono finite di volta in volta le attuazioni della coscienza: è questa
forma di immanenza come l ’attuarsi di un mondo per la coscienza,
che si realizza come un essere-nel-mondo (in-der-Welt-sein: Heideg
ger) della coscienza, il denominatore comune della filosofia contem
poranea come mondanità e finitezza radicale dell’essere.
Il tentativo del Rickert di accentuare l ’essere dell’ente, che ha
colto e stimolato a sua volta lo sviluppo delle nuove ontologie, non
supera ma rinsalda l ’immanenza30, la quale però si configura ora con
movimento contrario a quella dello Schuppe in quanto fa leva sull’« es
sere » come principio dell’oggettività e non sulla semplice soggettività
che si attuava nell’oggettività statica di pura rappresentazione del
« contenuto o atto di coscienza ». Coll’allentarsi, nella progressiva
determinazione dell’« essere », tanto della determinazione della Realtà
come Totalità teologica (idealismo trascendentale) quanto della sua
proiezione nella Totalità del mondo costruito dalla nuova scienza e
stàndliche Erkenntnis sein will, voraus, dass “ dies ” iiberhaupt ist, und ein solches
Sein geht iiber die blosse Verbindung von “ dies ” und “ braun ” hinaus » (Die
Heidelberger Tradition und Kants Kritizismus, nel voi. Deutsche systematische
Philosophic nach ihren Gestalten, Estratto, Berlin 1934, p. 22).
29 Leggiamo infatti di lì a poco: « Die Vielheit der Bedeutungen, die das
W ort “ sein ” in den verschiedenen Urteilen hat, legt den Gedanken nahe, dass auch
das Sein der Welt selber mannigfaltig ist, und dass daher eine Ontologie nur dann
sich wahrhaft universal gestalten kann, wenn in ihr die Pluralitàt des in den Wissen-
schaften ausgesagten Weltseins Beriicksichtigung findet » (Die Heidelberger Tradi
tion..., p. 22 s.). Il Rickert ha sviluppato questo nuovo corso del Sein, come plurisi-
gnifìcativo della Totalità del mondo, in forma sistematica nella ultima sintesi del
suo pensiero (Gnmdprobleme der Philosophic, Tiibingen 1934, cf. p. 54 ss.).
30 Ved. la critica al Rickert della « prima forma » (Der Gegenstand der Er
kenntnis, I ed.) che vale anche per la seconda, da parte del caposcuola dell’ala vo
lontarista del neokantismo, L. Nelson: Ueber das sogenannte Erkenntnisproblem,
Gottingen 1908, p. 306 ss.
1026 C A R A T T ER E FO N D A M EN TA LE D E L L 'A T E IS M O MODERNO
des hi. Thomas von Aquiti, S. W ., XIV, pp. 197-348. Quanto al principio tomistico
che in Dio « ... intelligens et quo intelligit et intellectum sint omnino idem » (Com
pendium Theologiae), il von Baader commenta risoluto: « Falsch hat die neuere
Philosophic diese Identitat des Erkennenden und Erkannten von Gott auf die
Creatur ausgedehnt » (p. 199). E un po’ più sotto, con più precisione: « Die Iden
titat des Wissenden und Gewussten (Seins) findet nur im Selbstbewusstsein statt,
und auch hier par excellence nur in Gott. In uns ist natiirlich Sein {esse) und
Verstehen (intelligere) nicht eins, und unter gefasster Wort, welches nur intelligibles
Sein hat, ist seiner Natur nach von unserm Verstande (welcher naturliches Sein hat)
verschieden. Wovon aber in Gott das Gegentheil statt hat. Weswegen der Sohn
consubstantialis Patri heisst, weil er nicht verbum prout in mente nostra quasi
accidentaliter intellectui supervenit » (p. 202 s.).
Questa dipendenza e accordo di von Baader con S. Tommaso sono riconosciuti
espressamente, p. es. per la dottrina sull’essenza del peccato come « privazione »
(Beraubung, Abioesenheit...), da H. Spreckelmeyer, Die philosophische Deutung
des Sundenfalls bei Franz Baader (Wurzburg 1938) il quale conclude: « Doch
sei damit nicht entschieden, wieweit die Kenntnisnahme der Lehre des Aquinaten
im Anerkennen durch Baader bereits ihre theologisch-vitalistische Umdeutung
erfahren hat durch inhaltliche Assimierung » (p. 207).
2
LA D IS F U N Z IO N E D I ATTO E CONTENUTO
NELLA RISO LU ZION E ATEA D ELL’IDEALISM O
(J.G . FIC H T E - G.W . H EG EL - F. VON BAADER)
1 II Dilthey parla quasi di « ... una risurrezione dai morti » di chi d’un colpo
diventa il capo dei viventi: « So trat plòtzlich Spinoza, wie aus seinem Grabe, neben
den transzendentalen Idealismus Kants, der eben in seiner letzten Entwicklung und
in seinen ersten Einwirkungen begriffen war. Ja es schien, als ob er des Lebendigen
Herr werden solite » (Das Leben Schleiermachers, II Aufl., hrsg. v. Mulert, Berlin
1922, p. 183).
1030 C A R A T T ER E FO N D A M EN TA LE D E L L ’A T E IS M O MODERNO
di fatto — come nota H egel3 — la filosofia che da lui, per tramiti vari,
è seguita non ha fatto che svolgere e approfondire con tappe decisive
tale capovolgimento. È inutile divagare: la filosofia moderna è sepa
rata da un abisso dalla filosofia classica.
Il ricupero di Dio (argomento ontologico) di Cartesio e della me
tafisica moderna (Malebranche, Spinoza, Leibniz, ecc.) può essere an
che d’ispirazione agostiniana e anselmiana — lo stesso Hegel si ri
chiama con ammirazione a S. Anseimo 4 — ma esso è un passo arbi
trario che non lega con la vis arguens del cogito ch’è e altro non può
essere che « situazionalità » dell’uomo nel mondo.
Il diversivo dell’empirismo inglese con Bacone, Hobbes, Locke e
seguaci, lungi dal significare un ritorno al realismo, è stato invece il
primo passo dell’affermazione esplicita della priorità dell’atto di espe
rienza ed anche qui il giudizio di Hegel (da noi sopra riportato) ha
fatto centro: l’empirismo e il deismo inglese hanno un’importanza per
la risoluzione del cogito nell’ateismo, altrettanto decisiva dell’i o denke
kantiano che ai medesimi, del resto, espressamente li connette. Immanen
tismo quindi, e non realismo; il principio lockiano dell’« idea » come
riflessione sull’atto di esperienza (o impression di Hume) e la celebre
ipotesi della « materia pensante » (Locke, Toland) attestano all’evidenza
il notevole cammino fatto dal principio d’immanenza in terra inglese
rispetto al razionalismo continentale. Esso consiste nella rivendicazione
dell’appartenenza dell’interiorità dell’atto nella sua singolarità individua
le come presenza o esperienza pura. Senza la migrazione in Inghilterra,
dal cogito cartesiano non sarebbero venuti prima l’attivismo della filo
sofia illuministica e poi l ’Io trascendentale attivo dell’idealismo del con
tinente come fu iniziato da Kant. Il termine « empirismo » non deve
sviare dal senso profondo di questa filosofia e dal balzo in avanti da essa
provocato.
L ’importanza (e la « caduta ») del problema di Dio nel pensiero
moderno si vede chiaramente in questo punto ossia nella cambia
3 « In der Philosophic hat Cartesius eine ganz neue Wendung genommen; mit
ihm beginnt die neue Epoche der Philosophic. [...] Cartesius ging davon aus, der
Gedanke mìisse von sich selbst anfangen » (Geschichte der Philosophie, ed. Mi
chelet, Berlin 1844, Bd. I l i , p. 304).
4 Cf. Philosophie der Religion, ed. Lasson, Leipzig 1930, Bd. I l i , 2, p. 172 s.
Quest’introduzione porta la data del 1831, l’anno della morte di Hegel (cf. anche
Enc. d. philos. Wiss., § 193; Geschichte der Philosophie, ed. cit., Bd. I l i , p. 147
ss.). Sull’argomento torneremo fra poco.
1032 C A R A T T ER E FO N D A M EN TA LE D E L L ’A T E IS M O MODERNO
7 Così nel testo: Op. cit.y p. 176. La « rivelazione» quindi per Hegel è l’ap-
profondirsi dell’immanenza, poiché « Dio non è invidioso » (dass Gott nicht neidisch
sei) come ama ripetere, così ch’egli presenta la formula che lo Spirito di Dio si attua
e si conosce nelPuomo, poiché esso è « ... l’autocoscienza di Dio che si conosce nel
sapere dell’uomo » (Gottes Selbstbewiisstsein, welches sich in dem Wissen des Men-
schen iveiss). È questa la vera « mediazione » sempre in atto, che fonda la secon
da immediatezza, quella autentica, del circolare o scambievole appartenersi del
finito e dell’Infinito (cf. Op. cit.y p. 49. Un po’ prima, a p. 44 s., Hegel cita e
loda il saggio del Goschel, Aphorismen iiber Nichtwissen und absolutes Wissen,
Berlin 1829, per aver difeso questa sua concezione « ... ùber das Selbstbewusstsein
Gottes, das Sich-Wissen seiner im Menschen, das Sich-Wissen des Menschen in
Gott ». Il Goschel è ricordato nello stesso contesto anche nella Enc. d. philos.
Wiss.} § 564. Questo paragrafo, che inizia la trattazione della « Religione rive
lata », riassume con vigore tutta questa dottrina decisiva per la « caduta atea »
dell’hegelismo).
LA DI S GIUNZIONE DI ATTO E CONTENUTO 1035
nentesi fin dal 1794 quando afferma: « L 'Io è ed esso pone il suo essere,
mediante il suo puro essere. Esso è insieme l’agente e il prodotto del
l ’azione; l ’attivo e ciò che mediante quest’attività è prodotto: azione
ed operazione sono la stessa e medesima cosa e pertanto l ’Io sono è
l’espressione di un’attività operante » 101. Tutto questo è posto con lo:
10 sono Io (Ich bin Ich).
L ’Io come soggetto e l’Io come predicato, spiega Fichte, coincidono
e quindi la formula si può invertire: l’Io pone se stesso poiché esso è.
Esso si pone mediante il suo puro essere ed è mediante questo puro
esser-posto. Questo significa che l ’Io è il Soggetto puro: è il capovolgi
mento del cogito cartesiano e kantiano con la mediazione di Spinoza e
quindi si può dire uno spinQzismq kantiano o un kantismo spinoziano
(meglio, forse, questa seconda formula) in quanto l’Io prende da Spinoza
l ’unità della Sostanza assoluta costitutiva e da Kant l’attività assoluta pro
duttiva, realizzando così la doppia immanenza o riduzione metafisica al
l ’unità nella sfera sia della sostanza come dell’attività. Nulla di più
estraneo, a prima vista, sia da Kant come da Spinoza, ma nulla anche
di più consono all’istanza più profonda dell’uno e dell’altro ossia il
proposito di dare al pensiero, ossia alla coscienza nel suo stato puro,
11 fondamento della propria attività. Così l’Io — un termine kantiano
completamente assente nell’opera spinoziana — è qui nella veste e fun
zione della Sostanza unica: « Ciò il cui essere (essenza) consiste pura
mente in questo ch’esso pone se stesso come essente, è l ’Io come Sog
getto assoluto. In quanto pone se stesso, è , e in quanto è , pone se stesso;
perciò l ’Io è semplicemente per l’Io, e necessariamente. Ciò che non è
per se stesso, non è un Io » ll. L ’essere è identico al pensiero senza resi
dui e l ’Io come coscienza pura (autocoscienza) è per essenza soggetto
e oggetto, inizio, medio e termine: solo l’intelletto astratto, osserva
Fichte, li può distinguere. In realtà è assurdo pensare l’Io nel senso di
autocoscienza come sostanza inerte passiva, non è possibile astrarre dalla
filosofia cristiana in quanto esige che ogni e ciascuna filosofia sia del
tutto indipendente da ogni rivelazione e da ogni religione. Ed ecco, la
menta von Baader, che i teologi per contrastare questo razionalismo pre
tendono che per cominciare ad essere un buon teologo sia necessario
smettere di essere razionali. È questa salomonica infantile scissione car
tesiana ch’è stata fatta valere del resto nella rivoluzione francese, così
come anche Jacobi ha affermato ch’è nell’interesse della ragione d’igno
rare o di negare Dio poiché col riconoscimento di Dio cessa l’uso della
ragione 16. E nella posizione di Fichte il von Baader vede la deficienza
radicale nel suo procedere direttamente dalla posizione pura alla nega
zione pura ch’è una « fatica di Tantalo », quando non ha per fonda
mento un superiore positivo. Da questo però non si deve senz’altro
concludere, come ha fatto Jacobi, che la speculazione porta all’ateismo:
in effetti la conoscenza adeguata è la sintesi della conoscenza pratica
e speculativa. L ’ateismo sorge allorquando vien rotto, negato o igno
rato questo nesso, oppure — come nell’idealismo trascendentale ■ —
quando si vuol dedurre la conoscenza di Dio, come quella delle altre
intelligenze e non-intelligenze, dall’autoconoscenza dell’uomo, dall’auto
coscienza ( Selbstbewusstsein ) 17.
Nella spinta data da Fichte, come si è visto, Schelling sviluppa ge
nialmente il processo dell’identità dell’essere e del conoscere sul doppio
fronte della natura e della libertà della vita dello spirito rimanendo
quasi in bilico, mentre Hegel approfondisce la sfera dello spirito me
diante la dialettica della negatività ossia attribuendo all’Io trascen
dentale non la semplice posizione di sé come Fichte, ma il dominio attivo
su ogni particolare determinazione del reale così da fare il « supera
mento » (Aufheben) degli opposti ed elevarsi, mediante la negazione,
alla Totalità dell’Assoluto. Ricordiamo ancora, per non perdere di vista
la complessità ed insieme la linearità dello sviluppo del principio d’im
manenza, che questo decisivo progresso di Hegel su Schelling e Fichte
(qui, ci sembra, nel senso di Fichte quanto alla « forma » e più in quello
di Schelling quanto al « contenuto ») è dovuto al principio comple-
18 II von Baader fa una critica a fondo del celebre principio spinoziano che
Hegel pone a fondamento della dialettica, come presto diremo.
19 F. von Baader, Ueber die sich so nennende rationelle Tbeologie in Deut
schland, S. W., II, p. 499 s.
1042 C A R A T T ER E FO N D AM EN TALE D E L L ’A T E IS M O MODERNO
dovuto, per mantenere gli uomini al di sopra della regione dell’agire pura
mente strumentale (non libero, cieco), sollevarlo nella regione suprema
dell’agire assoluto, cioè, per non lasciarlo essere o rimanere un giumento,
ha dovuto farne un Dio. Così col presupposto di un essere divino
(Gottsein ) dell’uomo... si deve ora o negare apertamente la degradazione
dell’uomo [col peccato] oppure postulare (come ha fatto Kant) un’auto-
liberazione e un’autoelevazione (Selbstbefreiung und Selbsterhebung)
grazie all’imperativo della sua assoluta autonomia ovvero del suo essere
divino, in altre parole una simile filosofia deve presentarsi insieme aperta
e chiusa, ardita e vile, atea e anticristiana. E conclude: « L ’uomo è
nulla se non è un organo (immagine) di Dio e chi pertanto nega l’ori
ginale, nega anche l ’immagine, così come con la negazione di questa
nega anche l ’originale » 20.
In questa diagnosi l ’ateismo della filosofia moderna viene soprat
tutto dal monismo che scivola nel materialismo: se la polemica è meno
aperta contro Hegel che non contro Fichte è forse per quella tinta misti-
cheggiante, derivata da Eckhart e da Bohme, che Hegel accoglie nel
suo pensiero, ma sul fondo del problema von Baader non tentenna. Il
principio spinoziano: omnis determinatio est negatio è falso tanto ri
spetto al determinans (producens ) — che distinguendo un che di diverso
da sé oppure distinguendo sé da questo si determina perciò liberamente
(pone o afferma: dans sibi mundum) — quanto rispetto al deter mina-
tum poiché anche questo diventa qui parimenti da ciò che non è un che
di determinato come qualcosa. Come l’Io non potrebbe essere senza il
Non-Io, così questo non potrebbe essere senza quello. Con il termine
« differenza » si può comprendere allora soltanto il contrasto del deter
minare e dell’essere determinato la cui soluzione (come la salvezza
21 F. von Baader, Revision der Pbilosopheme der Hegel*schen Scbule, ed. cit.,
p. 178. Così la dialettica hegeliana deve partire da un positivo autentico, se non
vuol finire nel nulla e il principio di Spinoza dev’essere capovolto: Omnis deter
minate est positio (Ueber den Be griff des Gut — oder positiv Nicbtgut — oder
negativ gewordnen endlichen Geistes, § 5, Luzern 1829, p. 10 s.). Ved. anche § 22
dove mostra che il principio spinoziano porta al materialismo e denunzia l’an-
nientamento di Dio nella filosofia hegeliana: « Der von Hegel weiter durchge-
fiihrten Naturphilosophie lag derselbe Begriff Gottes als einer positiven Substanz
zum Grund, deren aktive Kausalitat nicht in den gòttlichen Personen, sondern
in den kreatiirlichen gesucht ward, und welcher Gott darum schlaft, bis und
wenn er nicht durch, in und am Geschopf erwacht, und als Geist zu sich selber
kommt » (p. 28). Nel § 24 ritorna sull’argomento osservando che Hegel ha ragione
quando dice che « ... l’Idea non è così impotente da non essere reale» ma si deve
anche aggiungere che quest’idea (com’è in Dio ed è Dio stesso) non è così arida
e povera d’aver bisogno della realizzazione delle creature (p. 29 s.). Sulla « chiu
sura » e sterilità del principio spinoziano v. anche: Ueber die Notwendigkeit einer
R e v i s i o n .ed. cit., p. 17.
1044 C A R A T T ER E FO N D A M EN TA LE D E L L ’A T E IS M O MODERNO
Dio e che pretende d iseg n arci a conoscere Dio... senza D io 22. Due
quindi sono anche per von Baader le radici delPateismo del pensiero
moderno: il principio spinoziano dell’unità dell’essere che immergi non
tanto la creatura in Dio quanto Dio nel mondo, ed il principio-base
dell’identità di essere e pensiero che rende impossibile ogni trascendenza
e confonde Dio con l ’uomo.
È chiaro pertanto che il principio d’immanenza sfocia e si esprime
nel « principio di appartenenza » ch’è la formula più progredita del
panteismo monistico il quale si risolve poi in ateismo per la conclamata
realizzazione di Dio nel mondo: così infatti l ’Infinito si realizza nel
finito, il Necessario e l’Assoluto nei contingenti, l ’Eternità nel tempo,
l’Uno nei molti...: brevemente l’Essere negli essenti come l’Universale
nei particolari. La realtà dell’Infinito come costituita dal suo calarsi nel
finito, dalla sua relazione al finito, è la formula spinoziana dell’ateismo.
La realtà di Dio come Spirito (assoluto), costituita dal suo attuarsi
nelle istituzioni umane, è la formula dell’ateismo hegeliano. La realtà
del mondo e dell’uomo, svincolata dall’Assoluto ch’è condannato ad
attuarsi nel finito, è la formula dell’ateismo ridotto all’istanza essen
ziale del principio d’immanenza che si riscontra — dopo l ’opera di
Feuerbach-Kierkegaard-Marx-Nietzsche... — nella filosofia contemporanea
e su questa via, dell’immanenza, non è possibile alcuna manovra di
ritorno. Per questi massimi epigoni e critici del pensiero moderno un’af
fermazione di teismo, a partire dal principio d’immanenza, è una cosa
non solo ridicola ma soprattutto disonesta: nel campo del pensiero,
come in quello dell’essere ch’esso manifesta, non è ammessa alcuna
sanatio in radice. Fin quando e in quanto siffatti idealisti-teisti e spiri
tualisti cristiani fanno credito al cogito e gli mettono a guinzaglio
l ’essere, anch’essi devono cadere, se sono metafisici, nel « principio di
appartenenza » del panteismo; oppure, se sono attualisti, nel « principio
dell’atto » e quindi della finitezza dell’essere ch’è la posizione dell’uma
nesimo ateo contemporaneo. A tutta questa filosofia dell’immanenza si
può applicare ciò che von Baader rimprovera giustamente all’Aufhebung
del metodo hegeliano: ch’essa lungi dal togliere il finito ed elevarsi
all’Infinito finiva per togliere e abbassare l ’Infinito nel finito e quindi
per perdere l ’Infinito stesso e dissolvere la personalità Dio nelle per
23 II testo è della piena maturità di von Baader il quale, a dieci anni dalla
morte di Hegel, preferisce rivolgersi alla sua Scuola che in questo punto essenziale
era fedele al Maestro: « ... nach Spinoza gesagt werden musste, eine solche Be-
stimmtheit eine negatio vitae ware, so hat auch die Naturphilosophie, Spinoza fol-
gend, die Wirklichkeit des Lebens nur als dessen Verendlichung, d. i. als Aufhebung
eines unendlicben, unbestimmten-Nichtlebens sicb vorgestellt, welches letztes als
nicbt schon Gott, sondern die prima materia zu einem personlichen Gott sey. Wie
denn die Hegel’sche Schule behauptet, dass Gott seine Personlichkeit gewinnt,
wonach diese Schule sich Gott als einen Schlafenden vorstellt, welcher aus dem
Schlaf seiner Personlichkeit nur durch das endliche persònliche Selbstbewusstsein
geweckt wird, im Erwachen aber sofort letztes aufhebt, hiemit aber freilich auch
seines Weckers verlustig wird, welcher Prozess zwischen Geschòpf und Schopfer in
indefinitum fortgeht » (Ueber die Notwendigkeit einer Revision..., ed. cit., p. 20).
1046 C A R A T T ER E FO N D A M EN TA LE D E L L ’A T E IS M O MODERNO
s Cf. G. W. Hegel, Wissenschaft der Logik, II, sez. II, c. I l l C; Enc. d. philos.
Wiss., §§ 138-141. Non a torto Kierkegaard, quando attacca la dialettica hege
liana, muove soprattutto contro questo punto: v. Enten-Eller, Pref., S. W. (II ed.,
Copenaghen 1938), Bd. I, p. I l l ; Afslutt. uvid. Efterskrift, P. I, c. II , S. W .,
Bd. V II, p. 45 ss.; P. II, c. I « Il problema soggettivo », p. 123 ss., ora tr. it. di
C. Fabro, Bologna 1963, t. I, pp. 145 ss., 253 ss.; v. anche Papirer 1846-47, V II
A 186, tr. it. di C. Fabro, II ed., Brescia 1962, t. I, p. 518 e la nota del traduttore
a p. 1027 ss.
6 Ethices, P. I, Prop. 1, ed. cit., II, p. 45.
1052 C A R A T T ER E FO N D AM EN TALE D E L L ’A T E IS M O MODERNO
7 « Die Schwierigkeit, welche die meisten finden, die Einheit des Unendlichen
mit dem Endlichen, oder das jenes unmittelbar dieses ist, zu denken, kommt vom
ihrem Missverstehen der absoluten Identitat und davon her, dass sie das Seyn
noch immer als etwas von der Substanz selbst Verschiedenes und wirklich Unter-
scheidbares imaginiren, da es doch eben die Substanz selbst ist. In dem Satz A
ist B, wird in der That nichts anderes ausgesagt als: A ist das Esse (die Wesenheit=
ecco Tessenzialismo capovolto della filosofia moderna!) von B (welches insofern
also fur sich selbst nicht ware; nun aber vermòge der Verkniipfung mit A ist).
Eben diess ist der Sinn des Satzes: Gott ist alle Dinge y welcher lateinisch nicht
sowohl durch est res cunctae, als vielmehr (invita latinitate) duch est res cunctas
ausgedriickt werden mùsste ». Così alla proposizione fondamentale: das Unendliche
ist das Endliche corrispondono, nel senso ora indicato, tutte le altre espressioni del-
Tunità dei contrari come, p. es.: « das Freie unmittelbar und als dieses [irt] das
Verkettete » (F. W. Schelling, Aphorismen iiber die Nattirphilosophie, S. W ., Abt. I,
Bd. V II, p. 205, nota. Questi aforismi girano quasi completamente attorno alla
coppia di natura naturans e natura naturata).
8 « Der Accusativ in diesem Satz soli anzeigen, dass innerhalb des Bezuges
von Gott und Mensch Gott der Trager und die Grundlage des welthaft Seienden
ist: “ Gott ist alle Dinge ” = “ Gott tragt alle Dinge ” » (W . Schulz, Der Gott der
neuzeìtlichen Metaphysik, ed. cit., p. 67. L ’A. osserva giustamente, a nostro av
viso, che mentre Cartesio segue in filosofia il metodo analitico, Spinoza invece
introduce quello sintetico che sarà il tipo proprio del pensiero moderno: v. pp. 59
s., 64 s.).
P R IN C IP IO MODERNO D ’IM M ANENZA 1053
attua che come esteriorità e l ’Uno non si manifesta che nei e mediante
i molti. È questa l ’autentica immanenza ch’è propria del pensiero
moderno a questo punto decisivo del suo sviluppo il quale, trasforman
dosi (come si è visto), l ’ha portato alle sue più recenti risoluzioni.
A nessuno sfugge il progresso decisivo che l’immanenza ha otte
nuto in Spinoza, ma è altrettanto certo ch’esso resta nella corrente in
tenzionale aperta da Cartesio e si muove del suo profondo movimento:
il richiamo a forme di panteismo neoplatoniche, medievali e rinasci
mentali ha significato estrinseco e di pura evocazione, come di Proclo
e Bòhme per Hegel. Anzi il cogito entra con più veemenza in Spinoza
che non in Cartesio e la prima definizione della causa sui ch’è stata
riportata ne dà l ’esatta misura, ossia che Spinoza comincia dove Car
tesio aveva accennato di finire9: è veramente dall’identità di essere e
pensiero con la posizione della causa sui> ossia dall’immanenza onto
logica, che viene' assunta l ’identità di finito e Infinito ossia l’immanenza
metafisica. Con estrema arte e abile coerenza nella serie delle Definitiones
che aprono YEthica si può facilmente osservare come le tre definizioni
di causa suiy sostanza ( I II ) e Dio (V I) coincidono: ma è opportuno
anche notare come dall’una all’altra c’è un « passaggio » che media
— anticipando il metodo hegeliano — il progresso verso l’identità che
si vuol raggiungere. Così fra la causa sui e la sostanza c’è la nozione di
« finito » ch’è detta riservata agli attributi, dove il limite resta in cia
scuno nel suo ordine: « Corpus dicitur finitum quia aliud semper maius
concipimus. Sic cogitatio alia cogitatione terminatur ». Invece la « so
stanza » va concepita come la sufficienza in se stessa: « Per substantiam
intelligo id, quod in se est, et per se concipitur; hoc est id cuius
conceptus non indiget conceptu alterius rei a quo formari debeat ». Per
poco che si rifletta la « sostanza » è qui anzitutto trovata e indicata
non in quanto concepta ma in quanto concipere attivo e perciò suffi
ciente: c’è già, latente certo, il dinamismo leibniziano e perfino la dia
lettica hegeliana alla quale accennano a distanza le due definizioni
hegeliano 14. Noi abbiamo, dice Hegel, Dio e il suo essere, la sua effet
tualità, oggettività e la coscienza ha lo scopo di mostrarci la connes
sione fra le due determinazioni poiché esse sono in sé diverse, cioè
— si badi bene — Dio e l’essere. Immediatamente ognuna ha il suo
riferimento a sé, Dio come Dio e l’essere come essere: cioè Dio come
l ’Assoluto in sé e l ’essere come il dispiegamento di attività della realtà
umana o « essere-di-coscienza ». Ora « dimostrare » (l’esistenza di Dio),
osserva Hegel, significa che questi (Dio e l ’essere di coscienza come
totalità), i quali sono anzitutto diversi, hanno anche una connessione,
un’identità — non un’identità astratta, ciò sarebbe medesimezza e
quindi immediatezza — : tale era il caso dei panteismi naturalistici e
intellettualistici. Ora dimostrare, precisa Hegel, è mostrare una connes
sione, ma c’è connessione e connessione; c’è una connessione esteriore
che lascia i singoli componenti (per esempio gli elementi di un edificio)
ciascuno nel proprio essere e ci sono connessioni che si trovano nelle
stesse cose, come la proprietà del triangolo rettangolo che il quadrato
costruito sull’ipotenusa è uguale alla somma dei quadrati costruiti sui
cateti. Ma la prova dell’esistenza di Dio non è a questo modo, poiché
qui (in geometria) il risultato è precontenuto nelle premesse, per esempio
la nozione di triangolo.
Nell’elevazione a Dio, le prove che partono dal finito, se si deve
respingere la forma in cui sono state finora presentate, il loro contenuto
però è valido ed è il movimento che dal finito porta all’Infinito. Al
l ’inizio si presentano due determinazioni connesse tra loro: Dio in ge
nerale, la rappresentazione indeterminata di Dio, e essere (Sein ), le
quali però in un secondo momento si devono unire. Si comincia, com’è
noto (in Hegel), dal puro essere, press’a poco così: poiché c’è il finito,
c’è — ci dev’essere! — anche l’Infinito. Ma il cammino può conclu
dere, osserva Hegel, solo in quanto il finito non ha in sé nessuna ve
rità, in quanto è qualcosa di contingente (ein Zufàlliges), precisamente
un essere ma che difatti è soltanto non-essere. È questo riconoscimento
del non-essere del finito che si rivela in forma positiva un’affermazione,
non del finito ma dell’Infinito: questo passaggio dal non-essere del
finito all’esistenza del non-finito ossia dell’Infinito è la dimostrazione
dell’esistenza di Dio. Tre sono quindi i momenti, quasi come nello
schema tomistico delle cinque vie: il punto di partenza è il finito, l’esi
an ihm selber die Dialektik, sich aufzuheben, zu negieren, und seine Negation ist
die Affirmation als Unendliches, als an und fùr sich Allgemeines » (Philosophie
der Religion, Lasson I, p. 218). In queste pagine ci sembra che Hegel dia Tesposi-
zione più pregnante e diretta del compito e del significato della dialettica.
18 F. von Baader, Fermenta cognitionisyViertes Heft, §§ 17-18, S. W ., II, p. 305
s. Più avanti il von Baader mentre mostra di accogliere la concezione hegeliana
del Geist, insiste nelPaffermare che il finito anche nella Aufhebungy fosse pure uno
spirito cattivo, si mantiene in sé (Fermenta cognitionisy Fùnftes Heft, § 1, S. W.,
II, p. 326).
PR IN C IP IO MODERNO D ’IM M ANENZA 1061
19 F. von Baader, ferm enta cognìtìonìsy Fiinftes Heft, §§ 1-2, S. W ., II, p. 326
s. Il von Baader tiene presente la Enc. d. philos. Wiss.y §§ 1-2. Nel § 3 il von Baader
critica la concezione minimista hegeliana della religione (Op. cit.} § 5) mostrando
come i « misteri » non impediscono il « libero movimento » del conoscere; nella
elevazione a Dio si dilegua solo la singolarità cattiva (schlechte Eìnzelheit) che non
si è soltanto tolta fuori delPunità ma che ha escluso da essa anche se stessa.
20 F. von Baader, ferm enta cognitionisy Sechstes Heft, § 6, S. W ., II, p. 400.
È evidente l’allusione, ,non solo a Schleiermacher, ma anche a Hegel.
1062 C A R A T T ER E FO N D A M EN TA LE D E L L 'A T E IS M O MODERNO
mente presente », von Baader risponde eh'è « ... tanto contro la Bibbia
come contro la filosofia voler separare il divenire interiore (ciò che
Hegel chiama contenuto) dal divenire esteriore (ciò ch’egli chiama sto
ria - Geschichte oder Histoire) non meno del mescolarle o di chiamarle
l’uno il positivo nell’astrazione dell’altra. Invece si tratta di tener salda
l ’azione della filosofia, l’unità di questo divenire interno ed esterno,
contro la sua separazione come contro la loro mescolanza: a questo modo
si evitano i fraintesi e gli equivoci circa la filosofia ed in particolare
svanisce quell’opposizione di filosofia e storia che Hegel ancora vuol
mantenere » 25.
Di qui, dall’incomprensione del finito ossia dall’immanenza sva
nita come pura oggettività ed esteriorità, si comprende come Hegel
abbia frainteso completamente il rapporto di fede e ragione e il signi
ficato della Redenzione come tale la quale, come ogni cura, si applica
volta per volta ai singoli soggetti e non al genere in massa. È la ri
vendicazione della libertà del Singolo, dell’autentica vita d’immanenza,
che Kierkegaard stava ormai conducendo a difesa della filosofia (prin
cipio di contraddizione) prima che della fede. È tutta la filosofia mo
derna ch’è qui chiamata in causa nei suoi rappresentanti più qualificati:
Fichte, Schelling, Hegel, Schopenhauer... Quando un altro filosofo (è
Schelling) — conclude von Baader — afferma che il Figlio, nascosto
nel Padre, ottiene personalità, « egoità » (Selbheit) e quindi « essen
zialità » ( W esenheit) soltanto con la creazione, così Hegel dichiara questo
Figlio altrettanto « non-vero » ( unwahrhaft) come l ’esser-altro e l ’este
riorità del Padre, come le creature stesse. E si capisce come, partendo
da Hegel, Schopenhauer sia passato all’ateismo: Hegel infatti concorda
(però solo nel fondamento) con la concezione di quei filosofi della natura
che confondevano Dio con la creatura in quanto ambedue, secondo lui,
hanno inizio e consistenza soltanto mediante il diventar altro e l’estra
niarsi ( Anderssein und Entàusserung). Di conseguenza questo Dio, dice
Schopenhauer, vuol sempre manifestarsi, presentarsi nel fenomeno o
apparizione ( Erscheinung)} ma questa volontà non può aver soddisfa
zione o compimento perché la sua apparizione si sfascia ogni volta nel
nulla. L ’errore perciò di fondo della metafisica dell’immanenza verte
anzitutto sul concetto di « finitezza come creaturalità » ( Endlichkeit als
Creaturlichkeit)y per non aver visto che il finito può ottenere la sua
5 Protestano oggi, contro questa invasione, gli stessi uomini di scienza: « Mein
einstiger Glaube an die Ueberlegenheit der naturwissenschaftlichen Denkweise iiber
andere Wege zum Verstehen und Handeln scheint mir jetz eine Selbsttauschnung,
die auf der jugendlichen Begeisterung iiber die Klarheit der physikalischen Lehren
im Vergleich mit der Verschwommenheit metaphysischer Spekulation beruht » (M.
Born, Physik im Wandel meiner Zeit> 1958, apud: G. Noli, Seìn und Brkennen,
Miinchen 1962, p. 9).
1070 C A R A T T ER E FO N D A M EN TA LE D E L L ’A T E IS M O MODERNO
6 II testo capitale per una sana metodologia del sapere è il commento (in
compiuto) al De Trincate di Boezio (spec. q. V, aa. 2-3; cf. a. 3 ad 5 l’accenno ge
niale alle « scientiae mediae inter mathematicam et naturalem », ed. B. Decker,
Leiden 1955, p. 188, 10) ch’è un’anticipazione del metodo della moderna fisica
teorica. Ma, purtroppo, si tratta di accenni che rimasero senza sviluppo e senza
effetto: i contributi positivi per la scienza moderna vennero soprattutto stimolati
dalla scolastica nominalistica, secondo le recenti indagini.
7 Non poca responsabilità del distacco della scienza dalla filosofia tradizionale,
sembra spetti al formalismo astratto della scolastica dell’età barocca: « Les sco-
lastiques du xviT siècle, s’ils avaient eu l’audace et le discernement des docteurs
du xn T siècle, d’un saint Thomas d’Aquin, comme d’un Gilles de Lessines, se
fussent bien gardés de lier à une science toujours^ hypothétique, et désormais
surannée, leurs doctrines de l’univers, de l’àme et de Dieu, et ils n’eussent pas
présente la pensée médiévale comme un bloc dont on ne peut remplacer une
pierre sans ébranler tout l’édifice » (J. Chevalier, Hìstoire de la pensée, Paris
1961, t. I l i , p. 28).
PR IN C IP IO D ’IM M AN ENZA E SCIEN ZA MODERNA 1071
Hume... fino a Mach e alla sua scuola (per esempio il fisico P. Jordan) —
la realtà consiste nei dati di fatto dell’osservazione, sia della vita
quotidiana come della scienza sperimentale, ciò che in sé è abbastanza
ovvio come riconosce anche il B orn 9 ch’è avversario del positivismo.
Il marxismo, soprattutto dopo la critica di Lenin a M ach101, rifiuta
la concezione fenomenistico-positivistica della scienza ch’esso considera
— e non senza ragione — come soggettivistica e idealistica. Il filo
hegeliano R. Haym, nel 1848, aveva rimproverato a Feuerbach di con
cepire la natura e lo spirito, ossia il rapporto fra la realtà obiettiva
e le leggi della scienza e quanto la mente concepisce sul corso dei fe
nomeni naturali (ordine, finalità...), senz’alcun legame e corrispondenza
fra loro. Il testo incriminato dall’Haym era il seguente: « La natura
non può in generale essere compresa che mediante se stessa ; la sua
necessità non è una necessità umana o logica, metafisica o matematica
cioè astratta, poiché la natura soltanto è l ’essere al quale non si può
e non si deve applicare nessuna misura umana, anche se noi paragoniamo
in generale i suoi fenomeni a fenomeni umani analoghi e ad essa
applichiamo, per renderla intelligibile, espressioni e concetti umani come
ordine, fine, legge [...] che l’esigenza del nostro stesso linguaggio ci
costringe ad usare » 11. E Feuerbach replica vivacemente: « Che significa
questo? Voglio forse dire che non c’è nessun ordine nella natura, di
modo che, ad esempio, l’estate potrebbe succedere all’autunno, l’inverno
alla primavera, o l ’autunno all’inverno? O che non c’è fine nella natura,
di modo che, ad esempio, non esiste nessuna coordinazione tra i polmoni
e l’aria, tra la luce e l’occhio, tra il suono e l’orecchio? O che non c’è
nessun ordine nella natura, di modo che, ad esempio, la terra segue a
volte un’orbita ellittica, e a volte un’orbita circolare, compiendo a
volte in un anno e a volte in un quarto d’ora la sua rivoluzione intorno
al sole? Quale assurdità! Che cosa volevo dire, dunque, in quel para
grafo? Intendevo solo distinguere tra ciò che appartiene alla natura
9 M. Born, Experiment and Theory in Physics, tr. it., Torino 1962, p. 50 ss.;
cf. P. Jordan, Der Naturwissenschaftler vor der religidsen Frage, ed. cit., p. 118 ss.
10 Cf. Lenin, Materialismus und Empiriokritizismus. Kritische Bemerkungen
fiber eine reaktionàre Philosophic (1909), Berlin 1949. In realtà i marxisti risfode
rano uomini e argomenti del positivismo materialistico più piatto, ligi al loro
dogmatismo di classe, come si può vedere, p. es., nell’antologia antireligiosa del
chimico W. Ostwald, Wissenschaft contra Gottesglauben, Urania Verlag, Leipzig-
Jena i960.
11 II testo è una citazione libera o un riassunto di Feuerbach (cf. Das Wesen
der Religion, 1845, § 48, ed. Bolin, Stuttgart 1903, Bd. V II, p. 519 s.).
1074 C A R A T T ER E FO N D AM EN TALE D E L L 'A T E IS M O MODERNO
e ciò che appartiene all'uomo; non dicevo che alle parole e alle idee
sull’ordine, il fine, la legge nulla di reale corrisponda nella natura; solo
si nega l'identità del pensiero e dell'esistenza, si nega che l'ordine, il
fine, ecc. siano gli stessi nella natura di ciò che sono nella testa o nella
sensibilità dell’uomo. L ’ordine, il fine, la legge sono parole per mezzo
delle quali l'uomo traduce nel suo linguaggio, per comprenderle, le cose
della natura; queste parole non sono prive né di senso né di oggetto,
ma si deve distinguere l ’originale dalla traduzione. L'ordine, il fine, la
legge sono, nel significato umano, qualcosa di arbitrario. Il teismo con
clude direttamente , dal carattere fortuito dell’ordine, del fine e delle
leggi della natura, coll'affermare la loro origine arbitraria e l'esistenza
di un essere diverso dalla natura, che porta l'ordine, il fine e la legge
nella natura caotica ( dissolute ) in se stessa (an sich)y estranea ad ogni
determinazione. Lo spirito dei teisti [...] è in contraddizione con la
natura, sull'essenza della quale non capisce assolutamente nulla. L'intel
letto dei teisti divide la natura in due esseri, l ’uno materiale, l'altro
formale o spirituale di cui l'uno chiama natura in senso rigoroso o
proprio, l'altro Dio » 12.
Il commento di Lenin è significativo, come tipo di esegesi ad
domesticata. Per lui... Feuerbach riconosce la regolarità obiettiva della
natura e la causalità obiettiva, la quale è riflessa mediante le idee
umane di ordine, legge, ecc. solo con esattezza approssimativa: « L'am
missione delle leggi oggettive nella natura è in Feuerbach indissolu
bilmente legata all'ammissione della realtà oggettiva del mondo esterno,
delle cose, dei corpi, degli oggetti riflessi dalla nostra coscienza. Il modo
di vedere di Feuerbach è quello d'un($ materialista conseguente. E
Feuerbach considera con ragione come appartenenti alla tendenza fidei
stica tutti gli altri modi di vedere, o più esattamente l ’altra tendenza
filosofica in materia di causalità, la negazione delle leggi, della causalità
e della necessità oggettive nella natura. È chiaro, infatti, che in materia
di causalità la tendenza soggettiva che attribuisce l ’origine dell’ordine
e delle leggi della natura, non al mondo esteriore oggettivo, ma alla
coscienza, allo spirito, alla logica, ecc., stacca lo spirito umano dalla
natura e, non limitandosi ad opporli l'uno all'altra, fa della natura una
parte dello spirito invece di considerare lo spirito come una parte della
natura. La tendenza soggettiva si riduce, nel problema della causalità,
all’idealismo filosofico (del quale le teorie della causalità di Hume e di
Kant non sono che sottospecie), cioè ad un fideismo attenuato, diluito. Il
16 Cf. M. Born, Experiment and Theory in Physics, tr. cit., p. 72 s., dove l’A.
riporta la confutazione di M. Bunge delTestrapolazione marxista della nuova fisica.
Più approfondita e analitica è la discussione della « complementarità » in P. Jordan,
Der Natunoissenschaftler vor der religiòsen Frage, ed. cit., pp. 200 ss., 208 s.,
341 ss. (per la biologia), secondo il quale, nel concetto di complementarità, ha
il suo compimento la moderna concezione indeterministica del mondo in fisica,
biologia e astronomia.
P R IN C IP IO D’IM M ANENZA E SCIENZA MODERNA 1077
sull’ipotesi che ogni essere umano sia libero delle sue decisioni. Ma
come si può conciliare tutto questo con le leggi naturali e con la nozione
di causa in generale? Secondo queste leggi ciò che io faccio è semplice-
mente l’ultimo anello di una catena di cause e di effetti di cui io non
posso essere ritenuto responsabile. Quando il determinismo cominciò a
vacillare si credette di aver trovato una via di uscita: se nei singoli
eventi è il caso che comanda, alla volontà, pensata come attività del
l’essere spirituale, tocca l ’ultima scelta. Questo è però del tutto inso
stenibile: il demone Volontà dovrebbe fare continuamente attenzione
a non violare le leggi statistiche. Secondo Bohr si tratta qui di un pro
blema solo apparente: vi sono due aspetti degli eventi, quello fisico
e quello morale, che sono complementari e non si possono ricondurre
l’uno all’altro 17. Si deve allora concludere che proprio a causa degli
strepitosi sviluppi e progressi della scienza pura e applicata, realizzati
negli ultimi cinquant’anni, il semplicismo delle dottrine della scienza
del positivismo, dell’idealismo, del materialismo dialettico e simili, è
del tutto insostenibile: non si dice neppure che la scienza sia diventata
un’altra volta — come ai tempi di Newton, Nieuwentyt, Derham... —
una « teodicea », ma si deve ammettere che la bagarre delle conclusioni
di ateismo da parte della letteratura pseudoscientifica marxista è una
mera estrapolazione di natura politica estranea alla scienza. Dio — ripe
tiamo per non essere fraintesi — non si trova certamente come un
elemento costitutivo del mondo fisico e con i procedimenti della scienza,
poiché se così fosse non sarebbe più Dio, ma un corpo o uno stato
fisico, una modificazione dei corpi: se gli idealisti non sono riusciti a
far dimenticare la materia, i materialisti non sono riusciti e non riusci
ranno a sopprimere lo spirito, e Dio si trova al vertice dello spirito. La
sua ricerca va quindi affrontata con i metodi dello spirito.
Altrettanto dicasi dell’altro problema capitale dell’uomo per la
comprensione della vita e della storia, la libertà di scelta ch’è radical
mente compromessa da ogni materialismo anche, e soprattutto, da quello
17 Cf. M. Born, Experiment and Theory in Physics, tr. it., p. 99. L’A. mentre
riconosce che «. . . molto di quello che pensa la fisica è stato anticipato dalla filo
sofia », conclude con ragione che « ... la nostra rappresentazione del mondo non si
adatta bene ad alcuno dei sistemi noti: non è né materialistica né idealistica, né posi
tivistica né realistica, né fenomenologica né pragmatistica, né di alcun altro sistema
si tratti » (p. 100). È innegabile, tuttavia, che questa concezione fa subito pensare
al senso profondo del dualismo aristotelico-tomistico, qualora sia svincolato dalle
condizioni di fatto della scienza antica e medievale e sia ripensato — come si è
detto poco fa — nella pura esigenza metodologica.
1078 C A R A T T ER E FO N D A M EN TA LE D E L L ’A T E IS M O MODERNO
tica » deve coincidere con essa, com’è ovvio. Orbene, tale categoria,
la materia, abbraccia tutta la realtà oggettiva quale è data nelle nostre
sensazioni in modo che le sensazioni sono pure « copie », « fotogra
fie », « riproduzioni »... ossia la coscienza è una semplice lastra foto
grafica che viene impressionata, per un processo puramente fisico di
recezione, dagli stimoli sensoriali. Un concetto di materia, quindi, che
non ha nessun riscontro esatto con la tradizione filosofica: appena, ap
pena — si potrebbe dire pensando agli studi del giovane Marx —
con la dottrina delle « emanazioni fisiche » ( aTtoppooct ) di Democrito,
benché nel più stridente contrasto col principio d’immanenza del pensiero
moderno col quale, come già si è visto, il marxismo professa la più
stretta attinenza. Ma una palese contraddizione e impossibilità emerge
in questa stessa nozione quando si attribuisce a siffatta materia, come
unica proprietà, quella « . . . di essere realtà oggettiva ossia di essere
fuori della nostra coscienza ». Per il poco che queste dichiarazioni de
vono pur esprimere, osserviamo che in una concezione dove il conoscere
è ridotto a semplice « riflesso » (Spiegelung) fisico non si vede come si
possa parlare di fuori o dentro la coscienza e quindi di un’opposizione;
non si vede poi la distinzione, espressa dall’Engels, fra la totalità della
materia e quella del movimento; non si vede come avvenga la « coagu
lazione » delle diverse qualità sensoriali nell’unica materia e poi la
disgiunzione in materia e movimento; non si vede quale possa essere la
distinzione fra materia, ch’è il contenuto ricevuto, e la coscienza, ch’è
il soggetto ricevente, e che poi diventa riflettente, operante... in tutti i
campi dell’attività teoretica e pratica. La psicologia antica, confermata
dalla fenomenologia moderna, non parla di sensazioni come contenuto
primario adeguato dell’esperienza sensibile, ma di « percezioni » che
sono apprensioni di un « tutto » in sé strutturato21: le sensazioni in sé
23 « Wie Lenin hinweist, ist es logisch anzunehmen, class die ganze Materie
eine Eigenschaft besitzt, die dem Wesen nach der Empfìndung verwandt ist, die
Eigenschaft der Wiederspiegelung. Jedoch nicht die ganze Materie besitzt die
Eigenschaft, auf Reize zu reagieren, und noch weniger die Fàhigkeit zu empfinden
und zu denken. Diese Eigenschaften sind nur der entsprechend hoch organisierten
Materie eigen, sie sind das Ergebnis einer langwierigen Entwicklung diesel* Materie.
Das Produkt der hochsten Entwicklungsstufe der Materie ist das menschliche Den
ken, das Bewusstsein » (Grosse Sowjet-Enzyklopadie, Die Materie..., ed. cit., p. 7).
24 L ’Enciclopedia sovietica accosta poi la dottrina leninista della Spiegelung
(detta anche Abbildtheorie) con la teoria di Pavlov sui « riflessi condizionati »
(1. c., p. 8), insistendo quindi pesantemente sulla natura passiva del processo cono
scitivo.
1084 C A R A T T ER E FO N D A M EN TA LE D E L L 'A T E IS M O MODERNO
27 « Das Denken ist ein Produkt des Gehirns, und das Gehirn ist das hochste
Produkt der Materie; man kann daher das Denken nicht von der Materie trennen.
Die Gegenuberstellung von Materie und Bewusstsein, Sein und Denken ausserhalb
der Grenzen der Hauptfrage der Philosophic steht im Widerspruch zu den Ergeb-
nissen der Wissenschaft und fiihrt zum Dualismus und zum Pfaffentum » (Grosse
Sowjet-Enzyklopadie, Die Materie..., ed. cit., p. 8 s.).
28 Sull’inadeguatezza della concezione meccanicistica della scienza nel marxismo
e in generale sull’ambiguità dell’epistemologia marxista, v.: S. Docky, Ciencia y
filosofia, Univ. Nac. de Mexico, 1960, p. 48 ss. L ’A. ricorda che a Zurigo il filo
sofo marxista Rieger ebbe con lui una conversazione « ... corno un realista —
justamente corno los tomistas — y no corno un idealista », ma solo per quanto
riguarda la realtà oggettiva del mondo esterno come si è visto. L’A. distingue
i marxisti come scienziati e come filosofi: « Su posición corno hombres de ciencia
es enteramente justa. Pero su filosofia, al negar la existencia de la realidad espiritual,
es necesariamente opuesta a la realidad del libre arbitrio en el ser humano, que
forma parte del mundo espiritual. Y , por lo tanto, consideramos que el marxismo
unicamente puede ser defendido dentro de la ciencia, pero no en el seno de la
verdadera filosofia » (1. c.). Però la concezione cartesiana della scienza fondata sulla
conoscenza puramente matematica e meccanicistica è oggi ampiamente contraddetta,
come si è visto, in Max Born e dai fautori del « principio di complementarità » di
N. Bohr.
1086 C A R A T T ER E FO N D A M EN TA LE D E L L ’A T E IS M O MODERNO
IMMANENZA E ATEISM O
DUE TERM IN I E UN DESTIN O
1 « Lotta per la coerenza » (atea), come abbiamo detto. Essa è ormai com
piuta nella filosofia contemporanea, ma essa vale e deve porsi e attuarsi per tutto
il pensiero moderno, e a nulla serve — contro la coerenza — la volontà o convin
zione personale di teismo dei singoli filosofi, di ieri e di oggi. Come giustamente
osserva anche un critico contemporaneo di sfondo marxista: « Un autre exemple
est celui de Descartes, de Fichte et de Gassendi, gardant tous les trois d’une
manière tout à fait sincère leur foi en un Dieu transcendent, bien que l’individua-
lisme — rationaliste, volontariste et sensualiste — qu’ils représentent soit peut-étre
la seule philosophie vraiment athée qui a existé dans Thistoire. Dans la célèbre
querelle de Tathéisme, Fichte avait sans doute raison en allégant la sincerité de sa
foi, mais les adversaires plus encore, quand ils alléguaient les consequences
immanentes de son système qui sont autrement importantes que les consequences
personnelles de Fauteur » (L. Goldmann, Recherches dialectiques, Paris 1959,
p. 35 s.).
IM M ANENZA E A T E IS M O 1093
2 « Fùr Descartes und Malebranche, fùr Spinoza und Leibniz gibt es keine
Lbsung des 1Wahrbeitsproblems ausser durch Vermittlung des Gottesproblems: die
Erkenntnis des gòttlichen Seins bildet das oberste Prinzip der Erkenntnis, aus dem
alle anderen abgeleiteten Gewissheiten herfliessen » (E. Cassirer, Die Philosophie
der Aufklarungy Tubingen 1932, p. 211).
3 Perciò prego i rispettabili recensori di risparmiarsi la fatica di ricordar
melo, se non vogliono mettermi in sospetto che si sono limitati a sfiorare qualche
capoverso senza entrare nel principio-guida di quest’opera. Certamente non l’ha
fatto il direttore di un grande quotidiano romano che l’ha considerata come la
difesa della posizione... neoscolastica! Invece la Rivista di filosofia neoscolastica
(1965, p. 694 ss.) ha visto in essa, e con ragione, la critica radicale ad ogni qua
lunquismo teoretico. Il quale qualunquismo, passi il bisticcio, può avere due sensi o
motivi: o la mancata avvertenza dell’opposizione di fondo del fondamento (un altro
bisticcio, ma necessario per la chiarezza della diagnosi) fra la filosofia dell’essere
e la filosofia del conoscere, fra Parmenide-S. Tommaso e Cartesio-Gentile (per esem
plificare), oppure il principio metodologico che la filosofia moderna è ricuperabile
nella sua essenza e nei suoi principi, anche se il credente deve respingere le conclu
sioni. Ossia secondo questi neoscolastici neoclassici... l’errore non è nell'essenza e nel
l’inizio del principio moderno, ma nelle applicazioni e quindi bisogna essere più car
tesiani di Cartesio, più kantiani di Kant, più hegeliani di Hegel, anzi si deve essere
più marxisti di Marx, più gentiliani di Gentile... per ritrovare la salda vena della
verità dell’essere... Non a caso qualche collaboratore di fondo della medesima
Rivista (Bontadini) ha sempre negato ogni valore al principio di causa e alle
vie tomistiche ed il suo più noto allievo è giunto alla negazione coerente della
metafisica ed a considerare lo stesso Cristianesimo, alla stregua del marxismo,
come effetto del nichilismo (E. Severino, Sul significato della « Morte di Dio »,
in « L ’analisi del linguaggio teologico », Roma 1969, p. 390 s.).
IM M ANENZA E A T E IS M O 1097
(die bure Vernunft ) 4. Secondo questi teologi Teff etto vale la causa e il
nichilismo in cui si attua ed al quale è detto terminare l ’ateismo moderno
costituisce la sua essenza e la conseguenza del processo di secolarizza
zione del mondo: « La secolarizzazione può semplicemente essere carat
terizzata così che il mondo è rappresentato dall’uomo come oggetto e
quindi diventa oggetto della tecnica. In tutti i campi della vita si compie
questa secolarizzazione: nell’etica, nel diritto, nella politica » 5. Ma,
osserviamo, la sfera del Sacro non può andar disgiunta da quella dell’As
soluto: quella dà il segno del valore, questa il fondamento e la chiave
dell’interpretazione. La religiosità protestante si è compromessa alla ra
dice col principio moderno d’immanenza da quando, prima ad opera del
pietismo e poi con la teologia nuova che ha accolto con Hamann-Kant-
Jacobi il principio d’autonomia e di libertà, ha abbandonato le forme
scolastiche della teologia protestante del Settecento, per riscoprire e
riproporre il principio d’interiorità come « libertà costitutiva », affermato
da Lutero, secondo l’affermazione di H egel6. È qui tutto il dramma
dell’ateismo risolutivo del Novecento, nell’andare con sé della libertà
come struttura ultima trascendentale della coscienza.
7 Cf. G. V. Lechler, Geschìchte des englischen Deismus, ed. cit., p. 450 ss.
INDICI
IN D IC E D EG LI A R G O M EN T I
zione, 738 n., 749; l’a. come molla per la rivendicazione dell’autentico
essere dell’uomo: Marx, 739; la situazione economica e sociale come
applicazione propria dell’a. religiosa: Hess, 751 n.; a. dell’a. nel mar
xismo, 770, 772; a. dell’Io nel mondo come conseguenza del principio di
immanenza, 1045.
A mor D e i in tellectu a lis (Spinoza) - 142, 163 s., 169, 828; a. i.
=
Mentis amor intellectualis erga Deum est ipse Dei amor, quo Deus
seipsum amaty 1049.
A mor fati (Nietzsche) - 929.
non l’ateismo come pretende Carlyle, 727, 729 n.; dissoluzione del
vuoto miraggio della trascendenza dell’a. nella filosofìa moderna: Marx,
734; Dio come l’a. onniconclusiva del mondo: James, 794, 796; pole
mica di James contro la concezione di Fechner di Dio come « A. uni
versale », 796 n.; la realtà di Dio è la sua attuale presenza dentro le
a. individuali: Bradley, 804; l’unione di a. e corpo è in forma stret
tamente dinamica e di assoluta corrispondenza: Alexander, 826.
A n im a m u n d i - Dottrina stoico-neoplatonica dell’A m. come fondamento
dell’ateismo spinoziano: Bayle, 173; rifiuto del Toland della conce
zione dellA. m.y 312; critica di Jacobi alla sostituzione della divinità
con VA. m.y 545; Dio come A. m. con le proprietà dell’atto aristotelico:
Whitehead, 846.
/
A n im is m o - L’a. come fonte del problema di Dio: Brunschvicg, 95 s.; a.
universale: Bruno, Toland, 311 n.; rapporto fra l’a. universale del
Fechner ed il naturalismo spinoziano dell’Alexander, 828.
- Il segreto della teologia è l’a.: Feuerbach, 49, 80 n., 694,
A n t r o p o l o g ia
722; anticipazione hegeliana della sostituzione dell’a. alla teologia, 628,
633, 690 ss.; ateismo antropologico, 681 (Bauer), 897 (umanesimo ame
ricano); risoluzione antropologica della religione, 684 (Strauss), 729
(Feuerbach, Engels); a. teologica di Strauss e a. naturalistica di Feuer
bach, 697; a. sensistica trascendentale: Feuerbach, 698 s., 708; limiti
dell’a. di Feuerbach: Marx, 737; a. marxista, 772; la teologia come
a.: Schopenhauer, 909; a. filosofica in Nietzsche, 922; primo passo
dell’a. pura verso l’ontologia con Kant, 1054.
- A . delle filosofie dell’immanenza, 50 s.; critica all’a.
A n t r o p o m o r f is m o
ingenuo: D’Holbach, 450; Dio come risultato di un processo antro
pomorfico: D’Holbach, 454, 457; critica di Wolff all’a., 537; accusa di
a. contro i panteisti: Jacobi, 542; ogni teologia naturale è a.: Forberg,
564 n.; rifiuto fichtiano dell’a., 565, 577; la religione come semplice
fenomeno di a.: Feuerbach, 702; 754 n.; il Dio antropomorfico del
pragmatismo non è Dio: Bradley, 800; necessità del panteismo per
superare la concezione antropomorfica di Dio: Bradley, 804.
’'Anreipov - Dio come a.: Schleiermacher, 616.
A - Prove a p. dell’esistenza di Dio, 118, 334, 809 n., 828;
p o s t e r io r i
necessità del procedere a p., 408 (La Mettrie), 433 n. (Diderot); 545;
critica di Engels all’ a p. schellinghiano, 718 s.
A ppa ren za - Distinzione fra a. e realtà, 27, 158 n.; a. del molteplice,
160; critica di Jacobi al concetto di a. kantiano, 341; la sfera delle a.
sensibili come la realtà fondamentale per il marxismo, 767; Dio come
a. dell’Assoluto: Bradley, 804.
Elevazione dell’a. ad essere: Sartre, 974 s.; principio fenome
A p p a r ir e -
nologico dell’essere come a.: M.-Ponty, 985.
L’a. del mutevole come «vuoto apparire»: Fichte, 623; il
A p p a r iz io n e -
mondo come a. di Dio: Fichte, 625; Pa. come dissociazione di conte
1106 IN D IC E D EG LI ARGOM ENTI
Moniglia, 383; a. della fisica cartesiana, 393 ss., 398; natura dell’a.
esplicito costruttivo post-hegeliano, 665 ss.; l’identificazione dell’essere
dell’uomo con la sua libertà come essenza dell’ateismo positivo e co
struttivo, 742 n.; identificazione dialettica di finito e Infinito co
me radice dell’a. risolutivo di Hegel, 1036; formula spinoziana del-
l’a.: la realtà dell’Infinito è costituita dal suo calarsi nel finito; for
mula dell’a. hegeliano : la realtà dello Spirito è costituita dal suo
attuarsi nelle istituzioni umane; formula dell’a. contemporaneo : la
realtà del mondo e dell’uomo è svincolata dall’Assoluto ch’è con
dannato ad attuarsi nel finito, 1044; fondazione della verità dell’es
sere nell’identità costitutiva di volo-cogito nella posizione del « nulla
costitutivo » dell’a. esistenzialistico, 1086; risoluzione del cogito al
« punto zero » come inevitabile e costitutiva nell’a. di struttura della
coscienza, 1091 s.; a. essenziale e costitutivo del pensiero moderno
come finitezza dell’orizzonte umano posto a fondamento dell’appa-
rire e del darsi dell’essere, 1097; il nichilismo come essenza dell’a. mo
derno e conseguenza del processo di secolarizzazione del mondo, 1098.
Attributi - Universalità, 16, 37; positività, 16, 35, 1004, 1014, 1094,
1097; radicalità, 17, 613, 907, 928, 1099; assolutezza, 20.
Dialettica - Dialettica dell’a. come condizione indispensabile per l’af
fermazione di Dio: Lagneau, 18 s.; dialettica di a. negativo e positivo:
Maritain, 19 ss.; doppia dialettica dell’a.: estrinseca del divenire sto
rico della cultura, intrinseca nell’approfondirsi teoretico dell’esigenza
di Dio da parte della coscienza umana, 62; dialettica dell’a. come ca
duta nel finito, 64; dialettica di a.-teismo nella metafisica immanen
tistica, 167.
Divisione - A. costruttivo, 16 s., 34, 59, 111, 126, 139, 206, 274, 569,
632, 665, 692, 698, 737, 742 n., 749, 867, 928 s., 1100; positivo, 16 s.,
19 ss., 34 s., 51 n., 55 n., 59, 63, 80 n., 95, 111, 126, 141, 178 n., 206,
235, 274, 569, 632, 651, 692, 698, 751, 742 n., 867, 899, 928, 1004,
1014, 1094, 1097, 1100; radicale, 17, 99 s., 613, 670, 734, 907, 909,
914 s., 928, 1099; pratico , 16 ss., 36, 86, 89, 93, 99, 198; negativo , 17,
19 ss., 34, 227, 789; teoretico o speculativo, 17 s., 22, 33, 35 ss., 38, 86,
89 s., 93, 99, 105, 186 s., 195 n., 198, 235, 350, 375, 646; assoluto,
20, sec. Clarke 346, 348s.; soggettivo, 36, 86; implicito, 39, 56, 86, 697,
731; oggettivo, 41, 86; per difetto e per eccesso, 55; esplicito, 56, 86,
258, 692, 697, 731, 871, 887; esigenziale o postulatorio, 56, 140; co
stitutivo, 72, 80 n , 81, 111, 141, 603, 677, 972 n., 1004, 1091, 1097,
1099; professato : Abbagnano, 86; diretto e indiretto : Spitzel, 88 s.; scet
tico-negativo e dogmatico-positivo: Bouterwek, 96 s.; proprio e parteci
pato : Rotth, 105; speculativo d;ignoranza vincibile e invincibile : Mu-
saeus, 106; virtuale e di conseguenza : Hobbes, 258, 269; statico e di
namico: Marx, 404, 406, 737; immediato, 524; scettico: Forberg 622,
Stuart Mill 789; rigoroso e moderato: Schulz, 644; scientifico e mo
rale: Schlegel, 646; scientifico e catartico: Nietzsche, 905, 915; ori
ginario: Sartre, 976 n.; strutturale, 1004; essenziale, 1097.
Form e - A. materialistico, 15, 17, 26, 393 ss., 403 ss., 415, 442, 446 ss.,
757, 1085 s.; illuministico, 15 ss., 256, 273 s., 300, 345 n., 404 ss.,
414, 442, 638 n., 677 s., 742 s., 748; fenomenologico, 15, 22; marxi-
Ilio IN D IC E D EG LI ARGOM ENTI
sta, 15 ss., 19, 21, 28, 35, 49, 403 ss., 709, 734, 739, 743, 748 s.,
750 s., 755 s., 757, 761, 764, 767, 772, 774 s., 897, 985, 1005;
ziaiistico , 15 ss., 19, 21, 35, 761, 903 s., 910, 914, 939, 944, 980,
985, 988, 1005, 1086; im m anentistico , 15, 20, 21 n.; neopositivista ,
16, 35, 887, 1005; um anistico , 16, 20, 26, 178 n., 769, 1044; antico ,
17, 35, 37, 59; sociologico , 17; storicistico, 17; psicologico , 22, 35;
pedagogico o didattico , 22; m etodologico, 23; scettico e fenom enista ,
26; idealistico , 26 s., 524, 657 ss.; pessim istico , 26; spinoziano , 27,
35, 41, 62, 140 n., 161, 168 ss., 172 s., 176, 178 n., 218, 464 n., 528 ss,
648, pragmatistico ,35, 887, 1005; kantiano , 41, 99, 547, 551 n ,
634 s , 656, 667 s.; infantile e sensibile : Schleiermacher, 46 s.;
sartriano , 49, 86 n , 634, 945, 987; razionalistico , 56 s , 75 ss,
219, 377; cartesiano , 113 s , 392 ss.; sincretista , 271 n.; epicureo , 345,
346 n , 404; sensualistico , 415 ss.; agnostico , 643; hegeliano , 657 ss,
669 n , 670 ss, 677 ss, 688, 697; antropologico , 681, 737, 897; feuer-
bachiano , 703, 708 ss, 738, 742 s , 748; com unista , 740, 742; leninista ,
748, 772, 897; naturalista , 769; personalistico , 892 s.; umanistico am e
ricano, 897, 899; schopenhaueriano, 904 s , 910; nietzschiano, 910,
914, 916, 918 s , 928 s.; jaspersiano, 935, 939 s.; heideggeriano,
972 n.; fichi latto, 1036 ss.
Ctfwre - L ’applicazione della categoria della causalità al problema di Dio
come principale fonte dell’a.: Marcel, 21 n.; il nuovo concetto di essere
e libertà scaturito dal cogito come punto di partenza dell’a. moderno, 36,
63; Buddaeus, 88; Spitzel, 89; Yvon, 90; l’idolatria: Bayle, 94; il natu
ralismo sensistico: Bouterwek, 96 s.; il problema del male: Rensi,
100; Tyndal, 102; il «sentimento della ragione»: Hobbes, 263; la
ammissione della materia come sostanza: Berkeley, 318 s.; come con
seguenza della religione rivelata: Berkeley, 323; l’ignoranza, 325 n ,
370 (Collins), 349 s. (Clarke), 642 (Schulz); la sostanzialità dell’anima:
Hume, 329; lo scetticismo: Platner, 338; materialità dell’anima: Ga-
strell, 374; Harris, 375; il razionalismo: Hancock, 377; Vaisecchi, 381 s.;
l’intolleranza: D ’Holbach, 478; l’accettazione della materia attiva a
fondamento del reale: Jacobi, 545 s.; Heine, 547; la radicalizzazione del
cogito ad opera soprattutto di Hegel, 600, 613; l’autocoscienza del
l’uomo come fondamento della conoscenza di Dio: Baader, 1040; il
monismo come via al materialismo: Baader, 1042; il principio spino
ziano dell’unità dell’essere e l’identità di essere-pensiero affermata dal
cogito come le due radici dell’a.: Baader, 1043 s.; la resolutio om nium
in D e uni del razionalismo come insidia già in atto di a., 1055.
A ccuse - Contro la filosofia m od erna: i teologi, 42; Tholuck, 44; 62;
86; 112; Jacobi, 545 s. - c. Spinoza\ i teologi, 42; Budde, 87 s.,
633 n.; Vatke, 99; Ostens, 143 ss.; Bayle, 172, 178 n., 186 n., 537 n.;
Wolff, 174, 537 ss.; Erhardt, 174 n.; Leibniz, Graevius, Jacobi, Powell,
178n.; Kuyper, 215s.; More, 217ss.; Pufendorf, 299; Kortholt, 271 n.;
Berkeley, 319 n., 324; Clarke, 349; Harris, 376; Hancock, 377; Vaisec
chi, 381, 515s.; Caillois, 464n.; Meslier, 473n.; D’Holbach, 478, 633n.;
S. Alfonso M. de’ Liguori, 518; Jacobi, 528ss., 546n., 572, 646; Velthuj-
sen, 540n.; Fichte, 632, 650 - c. Schleierm acher : 46; Kierkegaard, 47n.,
613 s. - c. la filosofia antica : 54, 62, 86; Jacobi, 545s. - c. W olff : Budde,
IN D ICE D EGLI ARGOM ENTI 1111
alla filosofia kantiana: Fichte, 668 n.; critica alTa. costitutivo hegeliano:
Bauer, 677 ss.; esaltazione hegeliana dell’a., 679; a. antropologico:
Bauer, 681; sviluppo hegeliano dell’a. in Strauss, 682, 688; il « di
venire » dell’a. esplicito e costruttivo come il « fatto storico » più rile
vante dell’epoca contemporanea, 692; l’a. come conseguenza necessaria
del panteismo hegeliano: Feuerbach, 697; la negazione di Dio come
passo decisivo per l’autenticazione dell’essere dell’uomo: Feuerbach,
701 s.; derivazione dell’a. di Feuerbach immediatamente dal principio
di coscienza, 708; insignificanza dell’a. senza il teismo: Feuerbach,
709; differenza fra l’a. speculativo e la nuova negazione di Dio, 711;
dall’a. antropologico all’a. naturalistico: Engels, 713 ss.; l’a. come
punto di approdo della filosofìa moderna: Engels, 725; critica al travi
samento dell’a. in Carlyle: Engels, 726 s.; l’a. come ricupero della
libertà perduta nell’estraneazione religiosa: Engels, 728; l’a. radicale
come l’autentica soluzione della Riforma: Marx, 724 s.; passaggio
dall’a. statico antropologico di Feuerbach all’a. dinamico costruttivo:
Marx, 737; accusa di astrattezza all’a. di Feuerbach: Marx, 738; l’a.
come soppressione di Dio per porre l’esistenza dell’uomo: Marx, 740,
742, 749; differenza fra l’a. illuministico, feuerbachiano e marxista:
Lenin, 743, 746, 748; l’a. come umanesimo mediato dalla soppressione
della religione: Marx, 749; a. positivo dell’umanesimo marxista, 751 ss.;
« dinamicità » dell’a. marxista, 755 s.; insignificanza dell’a. marxista
nel suo tentativo di qualificarsi come dialettico, 757, 763 s.; ori
gine dell’a. politico marxista dall’a. ontologico e antropologico, 761,
766; preferenza di Engels per l ’a. di Stirner derivato dall’egoismo a
quello di Feuerbach, 768 n.; l’a. in Marx non è una sovrastruttura ma es
senziale alla sua dottrina: Lacroix, 770 n.; impossibilità dell’a.: Goll-
witzer, Barth, 775; il «cristianesimo della ragione» come l’unica
alternativa valida contro l’a.: Royce, 810; precipitazione del prin
cipio d’immanenza, dopo l’idealismo, nell’a. dichiarato della filosofia
contemporanea, 814; teismo e a. come concetti polemici, vuoti e inu
tili: Alexander-Whitehead, 834; a. radicale dell’Alexander, 835; il prin
cipio di « polarità » come l’unica alternativa in grado di superare le
posizioni antitetiche sia del teismo che dell’a.: Hartshorne, 864; il prag
matismo del Dewey e l’a. esplicito della filosofia anglo-americana, 871; a.
e teismo considerano l’uomo in uno stato d’isolamento: Dewey, 879;
l’opposizione all’a. e alle religioni che ammettono un Dio sopranna
turale come compito dell’uomo « religioso »: Dewey, 885; a. esplicito del
pensiero anglo-americano: Hartshorne, Santayana, Russel, 887; a. per
sonalistico inglese: Me Taggart, 892 s.; differenza fra l’a. marxista-
leninista e l’a. dell’umanesimo americano, 897; risoluzione atea del cogito
nell’esistenzialismo, 903 s.; vittoria dell’a. scientifico sul Dio cristiano:
Nietzsche, 905; Schopenhauer risolutore radicale dell’a. dell’immanenza:
Nietzsche, 906; a. radicale come punto di arrivo di Schopenhauer e
punto di partenza in Nietzsche, 909, 927; l’a. onesto e incondizionato
come « presupposto » per l’eliminazione della menzogna della fede in
Dio: Nietzsche, 910; l’a. di Nietzsche non reale ma polemico: Heinz
Volkmann-Schluck, 919; La. nietzschiano come risolutivo ossia catartico
e escatologico, 923; ambiguità dell’interpretazione positiva heidegge
riana dell’a. del « Dio è morto » di Nietzsche, 926 s.; istanza anticri-
IN D ICE D EG LI ARGOM ENTI 1115
espulsivi di Dio, 22, 33, 37, 59, 72, 75, 140 s., 633, 907, 920; oppo
sizione radicale fra il c. nel realismo e neirimmanentismo, 59; c. con
Yens come atto sintetico per la coscienza: S. Tommaso, 60; il dubbio
assoluto come istanza teoretica pura del c. senza presupposti: Hegel,
74 n.; il problema essenziale della filosofia riguarda il c. e non le con
clusioni: Brunschvicg, 77; il c. col dnbito-cogito come avvento dell’uma-
nesimo essenziale, 80 n.; c. cartesiano con l’atto di coscienza (= cogito)
e c. spinoziano col principio di appartenenza, 140 s.; c. puro hegeliano
col vuoto di coscienza ossia con l’essere vuoto, 160, 607, 609, 784; il
vero c. in filosofìa va fatto con il «risultato» di tutto il movimento dialet
tico: Hegel, 611, 958; l’essere è a discrezione dell’uomo e l’uomo fa in-
e-da se stesso il c.: Nietzsche, 915; ritorno heideggeriano al c. hegeliano
del Sein puro in lotta col nulla, 957 s., 965; c. hegeliano a partire
dall’identità costitutiva di essere e pensiero, 1011 s.; il vero c. in Car
tesio non è il cogito ma il cogito Deum> 1032; doppio c. cartesiano,
prima il cogito e poi l’Idea di Dio, 1048; il cogito, come « c. assoluto »,
non può essere soddisfatto né dal puro immediato né dal puro mediato,
1093; solo con l’ente si può fare il c. che porta all’assoluto di essere
eh’è Dio, 1097.
Coscienza - Principio moderno di c., 16, 63, 190, 289, 708; c. sensibile,
teoretica e pratica: Marx, 21; immanenza di Dio nella c. in quanto
spirito, 22; mediazione dell’atto di c. nell’identificazione di Dio con la
vita universale: idealismo metafisico, 25; originalità dell’uomo come c.
di fronte al mondo, 29; la « c. di Dio » come atto fondamentale per la
soggettività umana: Schleiermacher, 47; accessibilità del problema di
Dio alla c. sia immediata che riflessa, 53; carattere fondante dell’es
sere rispetto alla c.: realismo, 59 s., 72, 169; priorità costitutiva della
c. sull’essere: immanentismo, 59 s., 72, 74, 163, 551, 651, 667, 692;
rapporto c. religiosa e scienza: Brunschvicg, 79; « senza una co
scienza non c’è nessun essere »: Fichte, 80 n,; principio moderno della
« c. come attività» (Leibniz-Hume-Kant), 141; il T)ens quatenus... spi-
noziano ispiratore di una fenomenologia trascendentale della c. reli
giosa, 163; c. come « atto », c. fenomenologica, c. morale: S. Tom
maso, 169 n.; essere di coscienza, 177, 632, 651; certezza immediata
della c. nella percezione: empirismo, 242; riduzione della c. religiosa
a sentimento soggettivo: Cherbury, 251; elevazione della c. indivi
duale a principio dei valori morali e religiosi: Shaftesbury, 274; posi
tività originaria della c.: Belief humiano, 338; chiusura dell’essere da
parte della c.: Cartesio, 392, 667; sinteticità creativa della c.: ideali
smo, 523; la « via della c. » per la fondazione della religione: For-
berg, 554; l’unica certezza di Dio è quella della c.: Fichte, 558; prin
cipio di negatività fiichtiano come atto costitutivo dell’essere di c.,
569 s.; riduzione della c. a volere ed agire: Fichte, 582; c. imme
diata di libertà e insieme c. di dipendenza da Dio: Jacobi, 590 n.;
subordinazione della c. religiosa alla c. filosofica: Hegel, 600; c. « sog
gettiva » e c. « teoretica »: Hegel, 605 s.; la c. umana è all’in
terno della manifestazione di Dio: Hegel, 611; le cose prive di c.
non sono se non in quanto conosciute e presenti nella c.: Fichte, 623;
smarrimento della c. moderna che ha perduto Dio: Hegel, 630; ridu
zione nella filosofia moderna della c. al suo vuoto originario come al
« fondamento », 632 s.; affermazione del principio della libertà di c.:
Forberg, 642; la c., dopo il cogito cartesiano, si definisce non più in
rapporto all’essere ma al « fenomeno » di essere, 667 ; negatività della
coscienza religiosa: Strauss, 684; reale è solo ciò ch’è reso presente dalla
c. umana sensibile: Feuerbach, 694, 710, 712; la c. del genere diffe
renzia l’uomo dall’animale: Feuerbach, 698 s.; oggetto della c. è per
l ’uomo l’infinità della propria essenza: Feuerbach, 699 ss.; assunzione
in Marx della finitezza della c. sensibile, 730 s., 735; immanenza ra
dicale dell’essere nella c.: Marx, 732; Lutero responsabile dell’elimina
zione della c. religiosa: Marx, 734; interpretazione della c. sensibile
feuerbachiana come azione, prassi: Marx, 738; intrinseca finitezza del
l’essere della c. sensibile, 741; l’essere sociale come condizionante l’es
sere della c.: Marx, 768 s.; assunzione nel marxismo della dialettica
hegeliana della « c. infelice», 772; la « c. prometeica»; James, 792;
Dio è una garanzia ideale come la totalità dell’attività della c. umana
universale: James, 793, 795, 798 n.; Dio non ha significato fuori della
c. religiosa: Bradley, 801; la c. religiosa non può rappresentarsi la
volontà di Dio che in relazione alla propria: Bradley, 803; riduzione
1130 IN D ICE D EG LI ARGOM ENTI
D eu s sive natura - 102, 150, 161, 169, 173, 393, 396, 633 (Spinoza); assi
milazione del D. s. n. nel pensiero di Diderot, 431 n.; il D. s. n. spino-
ziano come momento risolutivo del pensiero moderno nell’ateismo,
464 n., 647 (Goethe, Herder); variazione del D. s. n. spinoziano in
Whitehead, 828.
D ialettica - D. hegeliana, 43, 160, 163, 762 s., 1033 s., 1059 s.; d. di
«io-tu»: Feuerbach, 49, 698 s.; d. d’immanenza e trascendenza, 63 s.;
d. dell’ateismo come caduta nel finito, 64; critica alla d. hegeliana,
160, 1051 n. (Trendelenburg, Kierkegaard), 1043 (Baader); critica alla
esclusione spinoziana della d. dell’esistenza: Kierkegaard, 171; origine
1136 IN D IC E DEG LI ARGOM ENTI
E mozione - Fede emozionale: James, 792; «e. cosmica»: James, 796 n.;
critica alla «via emozionale» di Hume, Stuart Mill, James: Bradley,
799; corrispondenza fra l’e. di Alexander e Yamor intellectualis di
Spinoza, 828.
E m pietà - Critica alla concezione di Bayle che la negazione di Dio non
porta in sé e per sé all’e.: Trinius, 187 n.; accusa di e. contro Hob
bes: Bramhall, 265; fonti dell’e.: Vaisecchi, 381; requisitoria dell’avv.
Gen. dello Stato contro l’e. moderna spec, di D’Holbach, 479 s.; e. di
chi vuol cavare il bene dal male: Fichte, 561; l’e. della nostra epoca
è la sua pienezza di Dio: Engels,'729 n.
E m pirism o - Critica di Feuerbach, 56 n.; l’e. come tappa di autenticazione
del cogito, 83; interpretazione marxista dell’e. inglese, 237 ss.; e. in
glese, 239 ss., 779 ss.; il materialismo come conseguenza diretta dell’e.:
Hegel, 241; deismo e ateismo nell’e. inglese, 297 ss.; precipitazione del
principio del nuovo e., ossia l’affermazione dell’essere sul fondamento
della semplice impressione dei sensi, in Hume, 327 s.; gnoseologia em
piristica operante all’interno del Deus sive natura in Diderot, 431 n.;
influsso dell’e. inglese su D’Holbach, 448 n.; il gran principio dell’e.
è che ciò ch’è vero deve essere nella realtà e per la percezione: Hegel,
781 s., 784, 799; limiti dell’e. come dottrina dell’illibertà: Hegel, 782ss.;
rapporto fra l’e. e il pensiero astratto della metafisica antica: Hegel,
783; l’errore dell’e. è nel suo razionalismo che lo porta a cadere nello
scetticismo: Hegel, 784; e. teistico, 785; e. radicale del pragmatismo
IN D ICE D EG LI ARGOM ENTI 1145
coesiva del sentimento: Whitehead, 853 s.; gli «oggetti eterni» come
sfondo delle «e. attuali»: Whitehead, 859, 860 n.; «e. attuali» e
« occasioni reali » come sinonimi: Whitehead, 888 ss.
E ntusiasmo - Dottrina delPe. in Shaftesbury, 287 n., 323; critica alla dot
trina shaftesburiana dell’e., 355 (Butler), 359, 365 (Brown).
E picureism o - E. e ateismo nell’interpretazione di D’Holbach, 193; mate
rialismo epicureo, 236, 311, 393, 752, 755; e. shaftesburiano, 364; in
terpretazione marxiana dell’e., 731 n., 752.
E resia - Concetto di e.: Hobbes, 269 n.
E rrore - Assunzione della natura umana in Cristo per redimere l’uomo
dall’e. e dal peccato, 61; impossibilità di distinzione fra verità ed e.
nel monismo spinoziano: Bayle, 174; necessità della lotta contro l’e.:
Forberg, 555; anche l’e. appartiene all’Assoluto; differenza fra e. ed
illusione: Bradley, 806; equiparazione fra verità ed e.: Nietzsche,
926, 930.
E same - Principio del libero e.: Cherbury, 255.
E sistenza - E . di Dio come Primo Principio creatore, 14; critica all’e. di
Dio: Lagneau, 17 ss.; il cogito come ponente dell’e. in quanto distrut
tivo dell’essenza: Maritain, 20 s.; posizione dell’e. dell’uomo mediante
la negazione di Dio: Marx, 21; e. di Dio e problema del male, 26, 60;
fondazione della libertà dell’uomo sulla negazione dell’e. di Dio: atei
smo materialistico ed esistenzialistico, 28, 37, 63; difficoltà del pro
blema dell’e. di Dio, 33 s., 61; conoscenza dell’e. di Dio come con
clusione di un « processo » determinato trascendentalmente dal comin-
ciamento, 36 s.; il problema dell’e. di Dio nella filosofia antica e mo
derna, 40; funzione del dubbio nella dimostrazione dell’e. di Dio: E.
von Fiirstenberg, 69 ss.; «contraddizione secondaria» della nega
zione dell’e. di Dio in una metafisica realista, 72; nonsenso del pro
blema dell’e. del mondo: Brunschvicg, 79; critica alla pretesa cartesiana
di concludere all’e. di Dio partendo dall’idea di Dio: Hardouin, 121 s.;
concetto formalistico di e. come semplice « fatto » estrinseco o « sta
to » dell’essenza: positio rei extra causas\ Avicenna, 123 n.; critica
alla dimostrazione a priori dell’e. di Dio in Clarke: D’Holbach, 130 n.;
identità nella Sostanza spinoziana di essenza ed e., 152 ss.; 155,
157; assunzione e capovolgimento spinoziano e idealistico della dot
trina scolastica dell’e. come « modo » dell’essenza, 153, 155 s., 160,
1050; critica a Spinoza come iniziatore dell’equivoco moderno del con
cetto di e.: Kierkegaard, 170 ss.; critica alla prova leibniziana a priori
dell’e. di Dio: Kierkegaard, 171; critica al concetto spinoziano di e.:
Kant, 172; e. come e. di pensiero = negazione di e.: Kierkegaard, 172;
impossibilità cartesiana di dimostrare l’e. di Dio: More, 213; l’uomo
nulla sa dell’e. di Dio: Hobbes, 238, 400, 754; eliminazione della di
mostrazione dell’e. di Dio: Cherbury, Hobbes, 251, 263; dimostrazione
delPe. di Dio dalla finalità: Shaftesbury, 279, 295 n.; immaterialità
ed e. di Dio: Locke, 299 ss., 303; negazione dell’e. di Dio di chi non
lo riconosce giudice delle azioni umane: Berkeley, 324; la certezza
IN D ICE D EG LI ARGOM ENTI 1147
E sistenzialism o - E. ateo, 15, 20 ss., 28, 603 s., 903 s., 910, 914, 939,
944, 980, 985, 988; e. negativo, 16, 19; 56; 170; coincidenza dell’em
pirismo idealistico del Royce con la formula esistenzialistica della prio
rità dell’esistenza sull’essenza, 818; mistificazione dell’« esistenza » kier-
kegaardiana nell’e. contemporaneo, 903 s.; l’e. francese come conclu
sione inevitabile del cogito cartesiano come atto di coscienza, 974 ss.,
984 s.; risoluzione del cogito nell’e. come « teoreticità » nel senso ori
ginario di contemplazione o presenza pura ch’è il « lasciar essere l’es
sere », 1014.
Hume, 328 ss., 338 s., 866; ragione e f. nella teologia: Hume, 337;
f. come fondamento della convinzione di realtà: f. « razionale natu
rale »: Jacobi, 338 ss., 341 ss., 526 ss., 540; f. come fondamento della
possibilità di ogni scienza: Hume-Jacobi, 339 ss.; critica alla « f. ra
zionale » kantiana: Jacobi, 342; f. come facoltà del soprasensibile:
Jacobi, 343; Cristo centro della f.: Lavater, 384; tocca all’esperienza
dar ragione alla f.: La Mettrie, 408; professione di f. di Helvétius
nelle verità del Credo papiste, 426 n.; inutilità della f., 437 s. (Du
Marsais), 443 (Diderot), 470 s. (Meslier); distinzione fra f. rivelata dei
teologi e f. ragionata dei filosofi, 510; f. razionale pura in Kant, 526,
596; sostituzione kantiana della f. alla metafisica: Jacobi, 527; l’oppo
sizione spinoziana di ragione e f. secondo Leibniz, 536; spontaneità
della f. in generale in un Dio: Jacobi, 544; f. pratica nell’ordine mo
rale del mondo, 552 s., 563 n. (Forberg), 560 s., 577 s. (Fichte); fon
dazione della f. sull’esperienza, sulla speculazione, sulla coscienza
morale: Forberg, 553; coesistenza di f. pratica e incredulità teo
retica: Forberg, 556; la f. come attuazione della libertà ed unica cer
tezza di Dio: Fichte, 558 ss.; 566, 576 s., 581; fondazione e attua
zione della f. nel « dovere », 564 n. (Forberg), 655 (Fichte); priorità
della fede in Dio sull’intuizione del mondo: Jacobi, 591; critica al
concetto di f. di Jacobi: Schelling, 595; rapporto ragione-f. in S. Tom-
maso-Kant e S. Tommaso-Hegel, 596, 599 s.; l’entrare del Figlio nel
mondo, come secondo momento del Regno dello Spirito, è l’inizio della
f.: Hegel, 607; la f. come facoltà di apprendere lTJno, l’immutabile,
l’Eterno: Fichte, 623; il Geist hegeliano come risoluzione e libera
zione da ogni f. religiosa, 628 s.; critica hegeliana alle « filosofie della
f. » di Kant-Jacobi-Fichte, 629; la ragione contraddice alla f.: G. Wag
ner, 639; Hegel schernitore della f.: Baader, 675; sostituzione della
filosofia alla f.: Strauss, 682; critica alla f. panteistica materialistica
di Strauss: Nietzsche, 688; critica alla conciliazione schellinghiana di
f. e ragione: Engels, 718; critica alla f. cristiana: Engels, 728; merito
dello scetticismo moderno è la f. nella realtà dell’autocoscienza: Hegel,
784 n.; impossibilità dell’uomo di elevarsi all’Assoluto né con la cono
scenza né con la « credenza » o f. naturale: Stuart Mill, 790; l’affer
mazione « Dio esiste » non è una posizione speculativa ma una f.
pratica ed emozionale simile alla « coscienza prometeica »: James,
792; integrazione della f. religiosa in Dio con altre credenze che la
contraddicono: Bradley, 804; la deità, come qualità in processo di
realizzazione, è in senso proprio oggetto di f.: Alexander, 832 s.; pe
netrazione completa fra f. e ragione: Whitehead, 840; inserimento
della f. in Dio nella sintesi di «causazione» e «causalità»: Morgan,
867 s.; distinzione fra f. « speculativa » o intellettuale e f. « giustifi
cativa » o morale: Dewey, 875 s.; superiorità della f. nelle possibilità
di una ricerca continua su qualsiasi f. in una Rivelazione già compiuta:
Dewey, 877 s.; affinità della f. deweiana con la « f. filosofica » kantiana
e jaspersiana, 878; identità della f. in Dio con la f. nell’uomo: uma
nesimo americano, 897; menzogna della f. in Dio: Nietzsche, 910, 919;
f. filosofica come fedeltà della ragione nella sua possibilità illimitata di
trascendenza: Jaspers, 933 s., 939, 941; la f. filosofica esposta a tutti
1156 IN D ICE D EG LI ARGOM ENTI
gli attacchi del dubbio non esclusa l’incredulità: Jaspers, 938; la f. non
è possesso alcuno, so che non conosco Dio e non so se credo: Jaspers,
939 s.; ambiguità della « f. filosofica » o « laica » jaspersiana che non
fa capo a Dio ma alluomo ed esclude per principio qualsiasi: reli
gione, 940 ss.; la f. teologica come rapporto deiruomo con Dio in
quanto Dio « è entrato nella storia dell'esistenza »: Kierkegaard, 941;
tentativo di accordo fra « f. filosofica » e « f. rivelata » nelPultimo
Jaspers, 943 n.; la f. cristiana sulla creazione è indifferenza per la
questione stessa: Heidegger, 949; il problema di Dio come i prdeam
bula fidei sono affidati alla f.: Heidegger, 962; inconciliabilità fra f.
e ragione in Heidegger, 966, 970, 972 n.; una f. che non si espone
continuamente alla possibilità dell’incredulità non è f.: Heidegger, 968;
accostamento fra la f. di Heidegger e quella di Lutero: Birault, 970;
fraintendimento hegeliano del rapporto f.-ragione e del significato della
Redenzione: Baader, 1063 s.
F elicità - Aspirazione radicale dell’uomo verso la f.: S. Tommaso, Kant,
35, 41; rapporto fra ateismo-virtù-f. : D ’Holbach, 191 s.; la f. come
espansione integrale della natura umana: Shaftesbury, 286; rapporto
f.-virtù: critica di Brown a Shaftesbury, 361; inseparabilità della f.
dalla virtù: Diderot, 432 n.; critica all’esistenza di Dio per aprire al
l’uomo la via della f. su questa terra: D ’Holbach, 457 n.; inconsistenza
della conciliazione kantiana fra libertà-virtù-f., 551; la f. è rimanere
fedeli al divino ch’è in noi e seguirlo: Fichte, 573; identità di sapere
e f.: Hegel, 629; tentativo kantiano di saldare f. e immortalità col ri
corso a Dio, 635; l’ateismo scalza il fondamento della f. della vita so
ciale: Mendelssohn e critica dello Schulz, 644; la f. come compimento
dell’essenza eterna dell’uomo: Strauss, 682; la religione nasce dal de
siderio di f. spinto all’infinito: Strauss, 684; non vi è f. più grande
di tutte le cose se non in Dio: Whitehead, 844; Dio come « simbolo
supremo» della « f. suprema»: Lippmann, 900; infelicità della crea
tura finché non si fonda in Dio: Baader, 1063.
F enomenismo - Il f. come tappa di autenticazione del cogito, 83; f. radi
cale: Hume, 329; f. scettico: Sartre, 951.
F enomeno - Riduzione del mondo a f.: spinozismo, hegelismo, 31, 42, 44;
i f. come rivelanti una Mente attiva: Berkeley, 322; critica al f. kan
tiano: Jacobi, 341, 526; tutti i f. sono necessari ed il mondo è una
catena di f.: D’Holbach, 449 s.; spiegazione dei f. della natura con le
leggi del movimento: D’Holbach, 459; critica alla distinzione kan
tiana fra f. e noumeno: Heine, 547; definizione della coscienza in rap
porto al f. di essere nella moderna «metafisica della mente», 667;
rapporto di appartenenza fra il mondo dei f. e Dio: Royce, 810 s.; il
f. come specchio della volontà: Schopenhauer, 906; riduzione dell’es
sere di coscienza a f. d’essere: Sartre, 975 ss.; il concetto di f. o appa
rizione nella fenomenologia hegeliana, 1014.
F enomenologia - Ateismo fenomenologico, 15; dissoluzione di Dio nel
« divino » nella f. religiosa, 49; il Deus quatenus spinoziano come
principio di una f. trascendentale della coscienza religiosa, 163; in
IN D ICE D EG LI ARGOMENTI 1157
tato della « sopravvivenza del più forte »: Stuart Mill, 789; ammissione
della f. nel mondo soggettivo: James, 792.
F ine - Il f. ultimo come oggetto proprio della volontà, 24; Dio come ultimo
f. della libertà, 53.
F inito - Aspirazione della libertà a svincolarsi dalla tirannia del f., 9 s., 64;
riduzione del f. a « parvenza » delTAssoluto: Hegel, 50, 532; inter
narsi di Dio nel f. mediante la creazione: S. Tommaso, 61; consegui
mento delTidentità fra f. e Infinito mediante Tintuizione: Spinoza,
163; critica alla coesistenza eterna di f. e Infinito e rivendicazione della
realtà del f. contro Spinoza: Jacobi, 532, 534 s.; rifiuto di Jacobi di
stabilire un rapporto ascendente fra f. e Infinito, 543; identità di f. e
Infinito nell’appercezione trascendentale: Fichte, 579; immanenza di
Dio nel f, in un movimento alterno di trasferimento del f. nell’In-
finito: Hegel, 600 s.; solo TInfinito è, il f. non è: Hegel, 601 1057 ss.;
identità di f. e Infinito nello Spirito assoluto: Hegel, 610; accusa
contro Jacobi di essersi fermato al f. empirico del Verstand’. Hegel,
618; il f. come « apparizione », un aggettivo non reale della realtà:
Bradley, 805; questione metafìsica del rapporto fra f. e Assoluto: Royce,
818 s.; se Dio si potesse pensare sarebbe un f.: Jaspers, 932; la situa
zione fondamentale del f. verso TInfinito si configura come partecipa
zione: Baader, 1062.
F ondamento - Dio come causa e f. degli esseri finiti, 24; risoluzione del f.
nella « natura » per Spinoza e nello « spirito » per l’idealismo, 27; esi
genza di ritornare al f. mediante il principio di contraddizione, 29;
inevitabilità della negazione di Dio ossia ateismo costitutivo e riso
lutivo della riduzione al f. del principio d’immanenza, 29 s., 37, 59,
72, 586; mutua fondazione nel realismo parmenideo-tomistico di pen
siero ed essere sul f. dell’essere come atto della coscienza, 30, 37, 50,
59, 967; consistenza fenomenale del mondo come manifestazione di un
f. diverso da sé ch’è lo Spirito, nel teismo, 31; antitesi fondamentale
fra realismo e immanentismo nella riduzione al f. come istanza teore
tica radicale, 36 s., 59, 74 n., 80 n., 651; negazione, con l’avvento
del cogito, del f. della verità dell’essere e affermazione della prio
rità della coscienza sull’essere, 37, 59, 392, 651, 667; incoerenza
di voler passare dal principio d’immanenza al principio trascendente
in conformità dell’« esigenza del f. » ma contro la logica del prin
cipio d’immanenza, 39; la libertà come « f. senza f. » essenza del
pensiero moderno, 111; tentativo della ragione di costituirsi f. nel
deismo, 245; la fede come f. della possibilità della scienza: Hu-
me-Jacobi, 339; riduzione al f. del sistema cartesiano nel materialismo
ateo, 396; riduzione al f. del nuovo principio d’esperienza: Toland,
D’Holbach, 453; la necessità delle cose e non Dio come f. della morale:
D ’Holbach, 458; riduzione al f. dello spinozismo: Jacobi, 530; critica
all’identificazione razionalistica del concetto di causa con quello di f.:
Jacobi, 540, 542; il soprannaturale come f. del naturale: Jacobi, 541;
l’ordine morale del mondo come f. di ogni certezza: Fichte, 562,
620; la natura, f. della sua esistenza: Schelling, 593; disagio del pen
siero moderno nel trovare un f. per la risoluzione del problema della
verità, 596; rapporto dell’esistenza, come Dasein e Existenz, al f. in
Hegel, 605 n.; l’Essere come f. dell’immagine e del concetto: Fichte,
625; risoluzione nel f. del principio d’immanenza con Fichte ed Hegel,
632 ss.; il f. della verità è il f. dell’immanenza: Engels, 723; incon
sistenza del f. marxista, 763; l’uomo e non l’essere come f. della veri
tà e del valore nel pensiero moderno, 772 s.; l’astratto ch’è la mate
ria è per Fempirismo il f. di ogni oggetto sensibile: critica di Hegel,
783; Dio sta al principio come f. attivo della sfera morale dell’azione
umana: James, 793 s., 798; f. dell’esperienza religiosa è la coscienza
normale come parte dell’esperienza attuale: James, 795; il « principio
di appartenenza» come f. della concretezza di Dio: Whitehead, 841;
Dio come f. infinito di tutta la razionalità: Whitehead, 849; la dina
mica dei sentimenti come f. della verità: Whitehead, 860; Dio può es
1162 IN D IC E D EGLI ARGOM ENTI
I dea - Negazione della libertà nella necessità dell’i. nel monismo ideali
stico, 27; Pi. dell’essere perfettissimo come remora alla risoluzione atea
del principio d’immanenza nel razionalismo, 40; il « divenire dell’i.
di Dio » come momento intrinseco della dialettica dell’ateismo, 62;
confutazione delle i. innate: Locke, 93 n., 239, 327, 453; critica alla
i. innata di Dio, 124 (Hardouin), 126 (D’Holbach); P I . assoluta come
Tutto di appartenenza e comprensività nell’idealismo, 169; i. chiara e
distinta: Cartesio, 172, 201, 707, 1068; distinzione fra la sfera delle
i. e dell’azione: D’Holbach, 194; merito di Kant e Fichte per aver pro
pugnato l’autonomia dell’essenza dell’i. etica: Feuerbach, 205; conce
zione delle i. come moti meccanici: Le Roy, 235; i. particolari: Locke,
300; i. astratte = nomi generali: Locke, 301; i. della materia, i. della
corporeità e i. dello spirito: Locke, 304, 308; critica di Leibniz al con
cetto d’i. di Toland, 314; critica di Berkeley alle i. astratte, 326 s.;
corrispondenza di impressione-i.: Hume, 326; impossibilità kantiana
di fondare la validità oggettiva delle tre i. trascendentali: Jacobi, 342;
produzione di tutte le nostre i. dalla sensibilità fìsica: Helvétius, 416 s.,
419; riduzione delle i. astratte e generali a sensazioni e percezioni:
ritorno di Helvétius a Hume, 418; ritorno di Diderot all’i. chiara e di
stinta di Cartesio, 437 n.; l’ignoranza delle cause come origine dell’i.
di Dio: D’Holbach, 453 s., 457; diffida della critica dell’i. di Dio di
D’Holbach: Holland, 483; critica di Voltaire alla polemica di D’Hol
bach alle i. innate, 506; critica alle i. innate in difesa di Helvétius,
509; provenienza di tutte le i. dall’esperienza sensibile: Condillac, 512;
critica al principio nominalistico e moderno della i.-rappresentazione:
Jacobi, 527 n.; Dio come I. del finito: Hegel, 600, 603; «forme»
dell’L: Hegel, 605; PI. come autorivelazione divina: Hegel, 606 ss.,
610, 612; critica all’i. chiara e distinta di Cartesio: Vico, 636; critica
alle i. innate: Stosch, 640; critica all’I. assoluta hegeliana: Bauer,
672; soltanto il «genere» intero corrisponde all’I.: Strauss, 683; tale
è l’efficacia dell’i. di Dio che, anche se non esistessero ragioni meta
fisiche e tradizionali, gli uomini dovrebbero postularla: James, 793; l’i.,
come atto proprio dello spirito, è il prius assoluto della coscienza:
Royce, 817; identità di mente e i.: Alexander, 826 s.; Pi. della sps-
IN D ICE DEG LI ARGOM ENTI 1165
I deale - Dio come espressione della nostra fede negli i.: James, 791, 795;
Dio come « i. » o « potere i. » da non pensare tuttavia come infinito
e dotato di attributi infiniti: James, 794, 798; Dio come i. infinito:
Alexander, 834; equazione fra i.-reale: Alexander, 836 n.; attualità di
Dio non come esistente ma come i.: Whitehead, 869; Fi. prende il
posto di Dio nella sfera razionale: Dewey, 876; il regno ideale come
collezione di possibilità delPimmaginazione: Dewey, 883 ss.; cambia
mento dei rapporti fra i. e reale e incapacità della filosofia a risolverli:
Dewey, 884 s.; bipolarità e non separazione fra i. e reale: Whitehead,
889.
I dealismo - I. e materialismo, 27 s., 30; ateismo delPi., 56 s., 524; i.
e deismo illuministico, 61; i. radicale, a p r io r i , scientifico, 78; i. e
dogmatismo, 79; divergenza fra i. e realismo, 80, 585 (Schlegel), 592;
Fi. come tappa di autenticazione del c o g it o , 83; i. ontologista: Krause,
98; A th e is m u s d e r I d e a l it à t : Vatke, Goethe, 99; i. speculativo, 130,
177; i. trascendentale, 160, 167; i. teologizzante, 163; critica di Jacobi
alFi., 342; il dualismo cartesiano primo passo verso Fi. come antropo-
logismo ateo: Vartanian, 393; tensione dell’i. trascendentale fra Va
p r io r i metafisico spinoziano e Va p r io r i di coscienza (= I c h d e n k é ) kan
tiano, 523, 550 s., 650 s.; Fi. come momento speculativo più alto della
risoluzione atea definitiva del principio d’immanenza, 523 s., 1030; cri
tica all’i. kantiano: Jacobi, 527; razionalismo assoluto e i. trascen
dentale, 536; Fi. fichtiano come uno degli errori più colossali dello spi
rito umano: Heine, 548; Fi. fichtiano sintesi dei valori dell’azione e
della libertà kantiana, 550; i. e illuminismo, 626 ss.; il nuovo cam
mino dell’i. oggettivo come il divenire storico della Ragione assoluta:
Hegel, 629; accusa di « nichilismo » all’i. fichtiano, 635 n.; critica all’i.
leibniziano: G. Wagner, 639; l’ateismo spinoziano e la struttura dell’i.
trascendentale: Fichte, 648 ss.; spinozismo panteista e ateismo dell’i.
metafisico: Jàsche, 658; critica di Feuerbach all’i., 709; risoluzione
dell’i. nell’ateismo: Marx, 730; accusa di « astrazione » all’i. hege
liano: Marx, 739; accusa di i. contro Gorki: Lenin, 744; distinzione
fra i. e immanentismo, 760; i. empirico: Bradley, Royce, 799 ss.; i. di
Royce sintesi di James-Hegel-Bradley, 808 n.; validità della soluzione
dell’i. come unificazione nella distinzione dei molti nell’Uno: Royce,
809; sintesi di i. empirico e neoplatonismo in Whitehead, 837; i. fisico:
Whitehead, 843; i. naturalistico o realistico della filosofia anglo-ame
ricana, 866 ss.; critica al difetto dell’i. intellettualitstico di trasformare
Fi. dell’azione in un sistema di credenza: Dewey, 877; conciliazione del
principio baconiano con Fi. nella filosofìa del Dewey, 886; accusa all’i.
di « materialismo larvato »: Santayana, 887 n.; esigenza di ateismo
dell’i. moderno: Siegmund, 904 n.; critica di Schopenhauer alla cri
tica feuerbachiana all’i. teologico, 909; i. di fondo della posizione di
1166 IN D IC E D EG LI ARGOM ENTI
Tommaso, 600; i. assoluta di Dio nel finito, 600, 610 (Hegel), 811
(Royce); il profanimi essentìale hegeliano come risultato del prin
cipio d’i., 603; « svolgimento » di Dio dall’interno dell’i. della co
scienza umana in Hegel, 611; principio d’i. attuato come Gefiil sogget
tivo: Schleiermacher, 615; il principio d’i. in Fichte, 623 s.; precipi
tazione per la seconda volta del principio d’i. nell’ateismo con l’illu
minismo, 626; ateismo radicale del principio d’i. nella sua risoluzione
del fondamento, 632 ss., 907, 915, 1003; coerenza al principio d’i.
come «caduta nell’ateismo»: Feuerbach, 694, 710 ss.; la coscienza
umana universale come contenuto del principio d’i. in Feuerbach,
699; principio d’i. in Engels, 721; l’i. dell’essere alla coscienza come
nuovo concetto di libertà: Marx, 732, versione marxista radicale del
principio d’i. come « nascita » dell’uomo mediante se stesso, 741;
l’inserzione del materialismo antropologico di Feuerbach nella dialet
tica hegeliana come contenuto del principio d’i. marxista-leninista,
748 s.; affermazione marxista dell’i. come principio di ricupero del
l’essere umano alienato, 751; il «materialismo d’i.» come caduta del
principio d’i. nel materialismo fenomenologico: Steinbiichel, 765; ri
duzione dell’i. alla realtà sensibile e alla prassi materiale e sensibile
dell’uomo nel marxismo, 767; l’ateismo moderno come presa di pos
sesso che l’uomo ha fatto di sé mediante il principio d’i., 773; riso
luzione del principio d’i. nell’immediatezza di esperienza nell’empi
rismo inglese, 779, 782; i. ancora dualistica dell’empirismo teistico,
785; tentativo di sfuggire all’istanza atea del principio d’i.: Bradley,
803 s.; precipitazione del principio d’i., dopo l’idealismo, nell’atei
smo dichiarato delle filosofie contemporanee, 614, 933; attuarsi radi
cale del principio d’i., svincolato da qualsiasi contenuto che non sia
l’atto stesso, nell’empirismo anglo-americano, 818 s.; precipitazione del
principio d’i. nella finitezza dell’essere dell’uomo e nel significato tem
porale della sua libertà in Royce, 822; tentativo di salvare Dio all’in
terno del principio d’i.: Alexander, 828; fondersi e dissolversi dei
motivi fondamentali del principio d’i. nella concezione dell’Alexan
der, 833; nuova precipitazione del principio d’i. nella concezione
finitista di Dio in Whitehead, 837; i. di Dio e tentativo di comporre
la trascendenza con l’i.: Whitehead, 840, 845ss.; tentativo di Whitehead
di eludere la cadenza atea del principio d’i., 847; il «principio dell’atto»
come nuova versione del principio d’i. in Whitehead, 848; impor
tanza chiarificativa della filosofìa del Whitehead sul significato e sul
punto di arrivo inevitabile del principio d’i., 858; i. del mondo in
Dio così che il mondo è il ricettacolo di Dio: Fechner, Hartshorne,
865; principio d’i. e panpsichismo in Hartshorne, 866; identità del
« principio d’esperienza » della filosofia anglo-americana col prin
cipio d’i., 887; l’esistenzialismo ateo come risoluzione definitiva dell’esi
stenza all’interno del principio d’i., 903 s., 910; essenza atea del principio
d’i. in Schopenhauer e Nietzsche, 906, 909; l’i. dinamica del Wille
zur Wahrbeit e l’ateismo in Nietzsche, 913; sostituzione all’interno
del principio d’i. dell’intellettualismo platonico con la Lebensan-
schauung: Nietzsche, 919 ss.; ambiguità dell’essere nel principio d’i.
e sua risoluzione nell’orizzonte finito della possibilità dell’essere urna-
1170 IN D ICE D EG LI ARGOM ENTI
che poi raccoglie in filosofia per spiegare il valore della scienza e della
vita umana, 1086; punti di forza per la risoluzione atea del prin
cipio d’i., 1095; divergenza, fra le diverse soluzioni moderne del
principio d’i., nella semantica e convergenza nel riportarsi al fonda
mento, 1096.
I mmediatezza - Passaggio dalla « prima i. » (Dasein) alla « seconda i. »
(Existenz): la prima /., del finito, si rivela come un «togliersi», la
seconda i. è l’emergere dell’Assoluto mediante il « togliersi della me
diazione »: Hegel, 156, 762 s., 856, 1034; 1058 s.; critica hegeliana
al « progresso » empirista dalla i. della percezione al pensiero, 242; du
plice i. in Jacobi: percezione sensibile e sentimento della ragione, 343,
541; Dio come Seyn dell’i.: Schleiermacher, 616; la sfera dell’i. sen
sibile come quella dell’« essere morto » o Dasein: Fichte, 619, 622;
« mediazione dell’i. » nel pensiero moderno ad opera del pensiero
inglese, 834; conciliazione d’i. e mediazione in Dewey, 886; irrompere
dell’i. in Nietzsche, 924; la verità come i. dell’atto nell’empirismo, 1007;
distinzione fra immediato esistente e immediato in sé: Baader, 1027.
I mmoralismo - I. positivo in Nietzsche, 929.
I mmortalità - I. dell’uomo come persona libera e spirituale, 14, 57; equi
voci sull’i. dell’anima, 125 n.; il modo col quale la filosofia moderna
parla dell’esistenza mostra ch’essa non crede all’i. personale: Kierke
gaard, 172; i. dell’anima presso gli ebrei, 199 n.; deismo e i., 245, 351
(Diderot), 434; dottrina dell’i. in Hobbes, 268; ambiguità della filosofia
di Locke circa l’i.: Stillingfleet, 303 s.; accusa di Berkeley contro i ne
gatori dell’i. dell’anima, 324; critica al deismo come negatore dell’i.
e difesa dell’i. dell’anima: Clarke, 347 ss.; difesa dell’i. dell’anima con
tro Shaftesbury: Butler, 350, 353; fede cartesiana nell’i. dell’anima,
396 n.; nonsenso dell’i., 409 n. (La Mettrie), 790 (Stuart Mill); nega
zione dell’i., 417, 419, 481 (Helvétius, D’Holbach), 625 (Fichte), 657
(sinistra hegeliana), 659 (Hegel), 686 (Strauss), 734, 771, (Marx), 897
(umanesimo americano), 922 (Nietzsche); il sentimento dell’i. distingue
l’uomo dall’animale, 509; critica alla negazione spinoziana all’i. indivi
duale: Leibniz, 536; tentativo kantiano di saldare i. e felicità col ri
corso a Dio, 635; fondazione della fede nell’i. sulla coscienza del do
vere: Fichte, 655; negazione dell’i. personale nell’idealismo metafisico:
Jàsche, 658; inconsistenza teoretica dell’i. dell’anima: Bradley, 803; Pi.
come la vita dell’Io cosciente in Dio: Royce, 821 s.; Pi. dell’uomo è
nel preparare la via alla deità e nel produrre soddisfazione per l’essere
di Dio: Alexander, 836 n.; i. oggettiva del mondo in Dio: Whitehead,
848, 889; riconciliazione nell’eternità dell’immediatezza con Pi. ogget
tiva: Whitehead, 850 s.; impossibilità sia per Dio che per Pi. di en
trare nel plesso intenzionale dell’esistenza: Me Taggart, 892; Pi. come
eternità della coscienza universale: Me Taggart, 893; eliminazione da
parte della scienza del problema di Dio e dell’i.: Lamont, 899.
I mperativo categorico - Tentativo di un ricupero metafisico dell’autono-
nomia dell’i.c. kantiano nell’idealismo trascendentale, 66 n.; accosta
mento del « tu devi » kantiano alla posizione di Bayle, 634; principio
1172 IN D ICE D EGLI ARGOM ENTI
417, 447, 451 n,; la 1. umana non è che un’illusione: D’Holbach, 456;
481; negazione della 1. nella tesi di Locke-Toland della « materia pe
sante »: Bayly, 519 n.; rivendicazione della 1. contro Helvétius: Laharpe,
508; tentativo dell’idealismo di sciogliere l’enigma della 1., 523 ; l.e: Prov
videnza in Jacobi, 527; critica alla concezione meccanicistica della L ossia
al rapporto l.-necessità nel kantismo e idealismo: Jacobi, 527; critica al
fatalismo spinoziano ossia alla coincidenza della 1. con l’essere stesso:
Jacobi, 531 s.; 1. perfetta nell’uomo e 1. assoluta in Dio: Jacobi, 531;
critica alla negazione spinoziana della 1. di Dio e dell’uomo, 536 (Leib
niz), 538 (Wolff), 540 n. (Jacobi), 653 (Fichte); accusa contro Wolff
per aver negato la 1. dell’uomo: Budde, 539 n., risoluzione di Dio nella
realtà in atto della 1. umana nell’idealismo, 550; 1. attiva kantiana e suo
influsso sull’idealismo fìchtiano, 551; la fede come attuazione della 1.
che pone se stessa mediante se stessa: Fichte, 559; la moralità come
contenuto e scopo della 1. dal punto di vista trascendentale: Fichte,
559; la 1. come principio di ogni certezza soggettiva: Fichte, 561; 1.
come inserimento necessario nell’ordine universale: Fichte, 563; 1. asso
luta come assoluto apparire: Fichte, 573; 1. ponente dell’Io: Fichte,
579; appartenenza reciproca di essere e libertà: Fichte, 583 n.; difesa
della 1. morale: Schelling, 593, 595; personalità e 1. in Hegel, 610; il
mondo della 1. e della necessità in Fichte, 619; positività e rivendica
zione illuministica della 1.: Hegel, 627; riduzione kantiana della reli
gione a semplice esercizio della 1., 635; 1. assoluta in Fichte, 649; 1.
statica in Spinoza e 1. dinamica in Fichte, 650; l’atto radicale della 1.
come fondamento del sapere puro nella Fichte-Renaissance, 651; svi
luppo della dottrina della 1. in Fichte, 654; il riconoscimento della 1.
come nucleo della verità del kantismo: Hegel, 676; l’aver proclamato la
1. nella sua purezza come merito del materialismo francese e di Lutero,
678 s.; validità del principio di 1. instaurato da Cartesio: Feuerbach,
709; ciò che è razionale è anche libero e necessario: Engels, 718; l’uo
mo riguarda all’ateismo come al ricupero della 1. perduta: Engels, 728;
l’immanenza dell’essere alla coscienza come nuovo concetto di 1.: Marx,
732; se si vuole agire liberamente si deve agire prima che esista un Dio
oggettivo, poco importa dopo che si creda in lui: Schelling, 732 n.; la
religione come nemico numero uno dell’assoluta 1. dell’uomo: Marx,
733s., 735; se Dio esiste l’uomo non è libero, 749 (marxismo), 938, 978
(Sartre); necessità che la religione svanisca appena l’uomo avrà rag
giunto la 1. che gli compete: Marx, 760; annientamento della 1. del
singolo nell’attività storica, collettiva e necessaria sia in Hegel che in
Marx secondo Steinbùchel, 764; la dipendènza da Dio come condi
zione della 1. dell’uomo: Royce, 819; significato e destino temporale
della 1. dell’uomo: Royce, 822; la 1. come funzione o complessità di
tempo: Alexander, 836; la 1. di Dio come fondamento della 1. dell’uomo,
839 n.; il valore sociale della 1. sta nella sua produzione di disac
cordi: Whitehead, 843; concezione della 1. umana come parte della
sapienza divina: Fechner, Hartshorne, 865; conciliazione di natura e
1. in Dewey, 886; l’esistenzialismo come rivendicazione della 1. ricon
dotta all’esigenza radicale della spontaneità del cogito, 903 s.; 1. come
volere la propria volontà: Nietzsche, 913; 1. ed esistenza di Dio come
INDICE DEGLI ARGOM ENTI 1179
tanian), 514 (Bergier), 518 (S. Alfonso M. de’ Liguori), 545 (Jacobi);
m. eterna e increata: Telliamed, 385; concetto di m. in Hobbes, 400;
critica alla concezione della creazione della m,: D’Holbach, 456 s.; la
m. come realtà e causa fondamentale degli esseri: Meslier, 475 s.:; cri
tica alla concezione della « m. attiva » di D’Holbach, 481 (Avv. Gen.
dello Stato), 483 (Holland), 545 (Jacobi); critica alla concezione della
necessità eterna della m. in D’Holbach: Voltaire, 505 s.; critica al prin
cipio lockiano « se la m. possa pensare », 507 (Laharpe), 512 (Con
dillac); polemica sulla divisibilità della m.: Voltaire-Tournemine, 511;
critica al principio spinoziano deH’impensabilità della m. senza la forma
e viceversa: Jacobi, 530; l’accettazione della m. come fondamento del
l’ateismo sia antico che moderno: Jacobi, 546; critica alla riduzione
illuministica dell’Essere assoluto a m.: Hegel, 627; primato della m.
in G. Wagner, 639; importanza dell’illuminismo francese per la sco
perta del m.: Hegel, 678; pensabilità dell’essere schellinghiano solo
come m.: Engels, 720; impossibilità di separare il pensiero dalla m.
nel materialismo inglese, 754; nozione marxista di m. come categoria
filosofica per rivendicare la realtà oggettiva data all’uomo nelle sue sen
sazioni, 766 s. (Reding), 1078 ss. (Grande Enciclopedia Sovietica),
1079 (Engels); la m. è l’Assoluto di Marx: Reding, 767; critica alla
concezione empirista della m.: Hegel, 783; distinzione e convergenza di
ni. e spirito nella « filosofia del progresso », 824; nulla è estraneo a
Dio, neppure la m.: Hartshorne, 865; identificazione di Dio con la
m. come la sorgente originaria di ogni forma e forza: Hartshorne,
Santayana, 887; m. e intelletto come correlativi in Schopenhauer, 906;
critica al binomio m.-forma della filosofia medievale: Heidegger, 948;
impossibilità di distinzione, nella ideologia marxista, fra m. come con
tenuto ricevuto e coscienza come soggetto ricevente, 1080 s.; concetti
diametralmente opposti e fra loro contraddittori di m., nel marxismo,
come immediatezza di sensazione e proprietà di riflessione, 1082 s.;
coincidenza, per il marxismo, del dualismo di m. e spirito e dell’affer
mazione della libertà dell’uomo col « cristianesimo papista » : Grande
Enciclopedia Sovietica, 1085.
- M. ateo, 15; m. distruttivo, 17; m. delle religioni anti
M a t e r ia l is m o
che, 18; differenza e coincidenza di fondo fra m. e idealismo, 27 s., 30;
ateismo esplicito del m. assoluto metafisico e moderno, 56; il m. di La
Mettrie e D ’Holbach come la forma più sviluppata dell’ateismo teore
tico: Vatke, 99; m. immanentistico, 167; m. positivistico, 175; Spinoza
alfiere del m. ateo, 175 n. (Marx-Engels), 218 (More), 1043 n. (Baader);
influsso di Bayle sul m. ateo, 190; connessione fra ateismo-m.-fanatismo:
Spedalieri, 230; m. meccanicista, 235, 317, 393, 399, 752; Gassendi
restauratore del m. epicureo, 236; m. epicureo, 311, 393, 752, 755; m.
sensistico: Hobbes, 236, 238, 260n., 263, 326, 752ss.; m. inglese, 237,
752ss.; il m. come aspirazione originaria del pensiero umano: Marx, 237;
prevalenza del m. sull’idealismo in Locke, 240; il m. come conseguenza
dell’empirismo: Hegel, 241 ss.; Hobbes fonte del m.: D’Holbach,
Helvétius, Feuerbach, Marx, Engels, 272 n.; sensismo di Locke e m.,
298 n., 300 ss., 309; « apertura teologica » di Locke al m. moderno,
303, 309; m. di Toland, 313; * m. dinamico » di Toland precursore
IN D ICE D EG LI ARGOM ENTI 1183
stenza del m. di una testimonianza di Dio: Stuart Mill, 788; Dio come
Anima onniconclusiva del m.: James, 794 ss., 798; il m. come am
masso dei fenomeni e Dio come significato cosciente di tale totalità:
Royce, 810 s., 820; il m. come l’unità di spazio-tempo: Alexander; 825,
828; Dio in continuo divenire mediante lo sviluppo del m.: Alexander,
828; è il m. che precede, produce e tende a Dio: Alexander, 830 ss.,
834; dissoluzione di Dio nel m.: il m. è creatore, Dio creatura: Ale
xander, 835; la natura conseguente di Dio, come « funzione » di svi
luppo del m., è il m. che diventa « eterno »: Whitehead, 848 ss.,
856 s., 860; interdipendenza scambievole fra Dio e m.: Hartshorne,
865; esistenza di Dio come aspirazione del m. a realizzare la sua deità:
Whitehead, 870; impossibilità di una relazione qualsiasi fra Dio e m.:
Me Taggart, 893; Dio legato al m. sia nell’ordine logico che reale:
Whitehead, 894; i fenomeni costituiscono il m. come volontà e rap
presentazione: Schopenhauer, 906 s.; consolidarsi della « volontà di
vita » nel m.: Schopenhauer, 909; la « volontà di potenza » come vera
essenza del m.: Nietzsche, 914; assurdità del m. «ideale» della filo
sofìa e della religione: Nietzsche, 923; impossibilità di trovare Dio
nel m.: Jaspers, 931; m. come possibilità di libertà e legame con la
trascendenza: Jaspers, 939; scristianizzazione deH’immagine del m.:
Heidegger, 945; il « m. diventa m. »: Heidegger, 953; con la scomparsa
del Sacro il m. diventa senza salvezza: Heidegger, 956; Dio ha reso
stolta la scienza di questo m.: S. Paolo, 969; l’origine del m. va spie
gata a partire dal nulla: Sartre, 979 n.; il m. nell’immanenza moderna
avanza a fondamento della presenza dell’essere e la situazione nel m.
ch’è il «caso» definisce ed assale l’uomo da tutte le parti, 1026, 1094 s.;
il m. nella filosofia dell’immanenza come il complesso dei rapporti
che l’uomo viene in esso attuando e svolgendo, 1045.
M o n is m o - Affinità fra m. materialistico e spiritualistico, 26 ss.; m. ma
terialistico, vitalistico, spinoziano, idealistico, 27, 177; identità di pen
siero ed essere in ogni forma di m., 30; m. cosmico, 45; ateismo del
m., 57, 151; confutazione del m. spinoziano: Bayle, 173; m. dina
mico leibniziano in Diderot, 445; m. spinoziano e idealismo, 523 s.; m.
spinoziano e spiritualismo leibniziano, 535; m. della filosofia fichtia-
na: Jacobi, 569 s.; m. metafisico in Fichte, 630 s.; m. vitalistico del
l’Io penso trascendentale, 632; m. immanentistico del materialismo
marxista, 762; critica al dualismo e risoluzione della filosofia in un m.
epistemologico: James, 780; m. dinamico dell’azione: James, 794; unifi
cazione entitativa dell’uomo con Dio mediante il m. panteistico: James,
795; m. vitalistico e pragmatista a sfondo hegeliano-schopenhaueriano in
Royce, 813; ritorno di Schopenhauer al m. cosmico, 909; m. dell’essere
nel plesso inafferrabile àelYUmgreifende in Jaspers, 942; eliminazione
della vera interiorità produttiva dello spirito nel m. panteistico: Baader,
1061.
- Origine del m. a partire dal politeismo: Hume, 331 ss.; re-
M o n o t e is m o
ligione-politeismo-m. in Forberg, 552; differenza fra politeismo e m.:
Feuerbach, 703; il m. si concilia meglio del politeismo con i risul
tati della scienza: Stuart Mill, 786.
IN D ICE D EG LI ARGOM ENTI 1189
morale: Stuart Mill, 788; Dio come postulato per l’azione morale:
James, 791 s.; Dio come stimolo e garante di un ordine morale eterno:
James, 793 ss., 797; valore della fede non solo teologico ma pratico e
m.: Dewey, 875; critica alla m. cristiana perché solidale della metafì
sica: Nietzsche, 923; duplice aspetto degli eventi, fisico e morale, come
complementari ma non identici: M. Born, 1077.
rente della volontà dell’uomo con la n.: Nietzsche, 916; difesa delle
n. spirituali come sostanze semplici: S. Tommaso, 948; equiva
lenza per Hòlderlin di n., caos, sacro, l’aperto: Heidegger, 952; la
N. è al di sopra degli dei: Heidegger, 996; accordo sul concetto di
Geist e differenza fra Hegel e Bòhme sul concetto di « n. » e di « ra
gione »: Baader, 1060 s.; contraddizione della n. con il concetto di
« spirito » dei teisti: Feuerbach, 1074.
Ateismo del n., 55 ss.; influsso del deismo inglese sul n.,
N a t u r a l is m o -
285; n. radicale di Shaftesbury: Jodl, 290 n.; confutazione del n. di
Shaftesbury: Butler, 353; n. radicale a sfondo sociologico di Helvé
tius, 425; passaggio dal n. al deismo e all’ateismo: Vaisecchi, 517;
accusa di n. contro Spinoza: Leibniz, 535; critica di Wolff al n., 537;
critica al n. come filosofìa: Jacobi, 589 ss.; critica al principio del
n. che «senza il mondo non c’è Dio »: Jacobi, 591; difesa di Schelling
dall’accusa di n., 593, 597; il n. come sistema che afferma una natura
in Dio: Schelling, 597; influsso del n. mistico bòhmiano in Hegel,
609; esaltazione hegeliana del n. francese, 679; soltanto il n. può
ziana di n.n. e n.n.\ Jacobi, 533; critica alla n.n. e n.n. spinoziana:
dell’Alexander, 826, 828; n. evoluzionistico: Morgan, 869 n.
N atura naturan s - N a t u r a n a t u r a t a - 30 (Averroè), 151, 157 (Spi
noza), 640 (Lau), 1052 n. (Schelling); critica all’identità reale spino
ziana di n.n. e n.n.\ Jacobi, 533; critica alla n.n. e n.n. spinoziana:
Fichte, 650 n.
- Diffida del n. in filosofia e denuncia del « Deutschland fiber
N a z io n a l is m o
Alles »: Nietzsche, 905.
- Coincidenza di n. e rationale e opposizione assoluta di
N e c e s s a r iu m
fortuitum e n. in Spinoza, 147, 167.
N e c e s s it à- Capovolgimento della libertà nella n. in ogni forma di atei
smo, 27; n. del rapporto e distinzione dei componenti nell’identità
dialettica di mondo e Dio in Hegel, 43 s.; coincidenza di libertà e n.
in Dio, 143, 146 ss., 167 (Spinoza), 536 (Leibniz); libertà come inte
riore n. razionale: Spinoza, 147 ss.; cerchio della n. in Dio come ne
gazione di un Dio personale in Spinoza, 168; critica alla vanificazione
spinoziana di Dio nella n. della natura: Gebhardt, 209; rapporto li-
bertà-n.: polemica Hobbes-Bramhall, 270 ss.; critica alla n. come unica
legge della natura e della storia: Berkeley, 319; critica alla coinci
denza di libertà-razionalità-n. nell’idealismo: Jacobi, 342, 528, 590;
concezione della natura secondo la n. del meccanicismo: Cartesio, 393;
causalità come sinonimo di n.: D ’Holbach, 449 s.; inno di glorifica
zione alla n.: D’Holbach, 450 n.; la n. delle cose regge il mondo e co
stituisce il fondamento dell’obbligazione morale: D’Holbach, 456, 458;
critica al rapporto libertà-n. nel kantismo e nell’idealismo: Jacobi, 527;
il mondo della libertà e della n. in Fichte, 619; identificazione del
l’Essere supremo con la n.: G. Wagner, 639; n. del divenire storico
come divenire necessario delle forze e leggi economiche nel marxismo,
764 s.; coincidenza nel marxismo di razionalità e teologia con la n.,
IN D ICE D EG LI ARGOM ENTI 1193
- 16; confronto fra ateismo e p.: Bayle, 181, 183 s.; 330;
P a g a n e s im o
preferenza da accordarsi al p. rispetto al cattolicesimo: Helvétius,
424 n.; necessità della coincidenza della «religion de l’homme » col
p.: Helvétius, 425; critica al p.: Wolff, 537; differenza fra p. e cristia
nesimo: Feuerbach, 703.
- Ateismo e p.: 55, 57; p. del pragmatismo di James,
P a m p s ic h is m o
798; p. di Hartshorne nella linea Leibniz-Fechner-Whitehead, 865 s.;
p. di Whitehead, 894.
27, 41, 50; ateismo e p., 57, 151, 159, 162, 173; p. spi
P a n e n t e is m o -
noziano: 533, 633 n.; Alexander, 835; Hartshorne, 865; Whitehead,
894.
- Rapporto fra il p. della filosofia anglo-americana e
P a n e v o l u z io n is m o
Teilhard de Chardin, 870 n.
P anta rei - Rapporto fra Eraclito e Whitehead, 855.
P a n t e is m o- P . delle religioni antiche, 18, 25, 27; contraddittorietà del
p., 31; p. naturalistico, 40, 178 n.; 41; difesa hegeliana della filosofia
moderna dall’accusa di p., 42, 44; p. intuizionista, 45; p. materialistico,
46; ateismo del p., 56 s., 230 (Spedalieri), 324 (Berkeley), 560 n., 613
(Jacobi); distinzione fra p. cosmologico e idealistico, dialettico e mistico:
Bouterwek, 95 s.; non convincente la critica di Jacobi al p. spinoziano:
Boutervek, 96; 101; p. spinoziano, 147, 159, 176, 310 n., 533, 633 n.;
1198 IN D ICE D EG LI ARGOM ENTI
169; condanna del p.: Hobbes, 259; p. ateo di Toland, 318 n.;
critica al p. ateo dell’idealismo trascendentale: Jacobi, 339, 591; cri
tica al p. spinoziano, 381 (Vaisecchi), 536 (Leibniz); rapporto p.-spino-
zismo: Jacobi, Mendelssohn, Herder, Goethe, 528 s.; accusa di antro
pomorfismo contro il p.: Jacobi, 542; p. di Schleiermacher, 614 s.; p.
vitalistico: Herder, Goethe, Schelling, 614 n., 646 s.; accusa di p.
alla teologia hegeliana: Romang, 657; polemiche sul p. hegeliano, 671 s.;
il p. come nucleo mortifero del sistema hegeliano: Bauer, 672; p.
di Strauss, 692 n.; critica al p. hegeliano: Feuerbach, 697; p. idealisti
co di Carlyle, 727 n.; necessità di superare il p.: Engels, 729 n.; ne
cessità del p. per sfuggire alla concezione antropomorfica di un Dio
personale: Bradley, 804; critica al p. spinoziano distruttore della sfera
dei valori: Alexander, 827 n.; trasformazione del p. spinoziano in na
turalismo evoluzionistico: Morgan, Alexander, 828, 835; sintesi di tei
smo e p. in Whitehead e Hartshorne, 865 s.; rapporto fra il p. co
smico della filosofia anglo-americana e Teilhard de Chardin, 870 n.;
risoluzione del principio d’immanenza nel « principio di appartenenza »
nel p. monistico, 1044.
- L ’essere come fondamento del pensiero, 37; p. formale
P a r m e n id is m o
di Spinoza, 155, 160; p. di Hobbes, 261.
di Cristo alla natura umana, 61; ens dìcitur id quod
P a r t e c ip a z io n e - P .
finite participat esse : S. Tommaso, 69 n.; distinzione di causa univer
salis e particulars all’interno della nozione di p.: S. Tommaso, 72 n.;
p. intrinseca dell’esse : S. Tommaso, 152, 155, 172, 475, 938, 948,
973; comunicazione da parte di Dio, nella creazione, della p. dell’es
sere e dell’essenza secondo analogia, 896; rapporti negativo-positivi di
Heidegger con la dialettica tomistica della p., 973 n.; formula teore
tica risolutiva dell’immanenza metafisica dell’essere nella dottrina to
mistica della p., 1017; contro la concezione hegeliana, «la creatura ha
la propria essenza solo nel partecipare all’essenza di Dio »: Baader,
1062 s.; tensione di immanenza e trascendenza nella speculazione tomi
stica della p., 1062 n.
P a r t ic o l a r e - Critica alla dottrina spinoziana delle cose particolari come
non-entia: Jacobi, 533; immutabilità delle cose particolari nella loro
esistenza eterna: Spinoza, 534.
P arvenza - Il finito come p. ossia non-essere: Hegel, 50, 532, 1058 s.;
trasfigurazione del mondo della p. illusoria della Só£a parmenidea nel
mondo della realtà: Nietzsche, 924; distruzione della « cosa in se »
per affidarsi alla p. pura: Nietzsche, 926; il mondo della p. come unico
« teatro » d’azione e di apparizione dello Spirito Assoluto: Hegel,
1060.
- Libertà e p. nel problema del male, 188; ateismo e p., 192 s.
P a s s io n e
(D’Holbach), 230 (Spedalieri); p. come movimento meccanico: Hobbes,
238, 260, 400, 754; p. e virtù: Shaftesbury, 278, 293; le p. fonte
d’inquietudine: Shaftesbury, 291; le p. favoriscono l’ateismo: Clarke,
350; critica alla dottrina di Shaftesbury del rapporto fra p. e ragione:
IN D ICE DEG LI ARGOM ENTI 1199
703; il p. come prima tappa del teismo: Hume, Stuart Mill, 786; il
panteismo come necessario per superare il rozzo p.: Bradley, 804.
P o l it ic a -9; violenza politica, 15; 23; 48; l’uomo come essere-per la p.,
63; carattere deleterio dell’ateismo in p.: Voltaire, 198 s.; origine pura
mente politica della religione: Meslier, 473; D’Holbach, 481; con
nessione fra religione e p. secondo l’Episcopato francese nella con
danna ai libri contro la religione, 484 ss.; subordinazione della p., come
della legge umana, alla religione: C. de Beaumont, 489; influsso dele
terio nell’antichità della p. sulla religione: Jacobi, 545; tentativo
fichtiano di eguagliare la riflessione speculativa all’azione politica, 550;
polemica di Marx contro Bauer nell’emancipazione politica dalla re
ligione, 736.
P o po lo - P .atei, 199 (Bayle), 331 (Hume); inesistenza di p. atei: Cher-
bury, 248; p. atei morali: Diderot, 281 n.
- 83; critica al p. di Strauss: Nietzsche, 687; p. e critica di
P o s it iv is m o
Dewey alla religione, 872; la conoscenza dei fenomeni come verità pri
ma e ultima del p., 1069.
Libertà e sfera della p., 31; l’ateismo moderno come scatu-
P o s s ib il it à -
riente dall’attuarsi delle p. dell’uomo, 35; rapporto p.-realtà in Spinoza,
170; critica di Engels alla p. schellinghiana, 719, 721; idealità di tutte
le p.: Dewey, 876; l’idea di Dio come una delle p. ideali: Dewey, 878.
P o ten za - Identità di p. e libertà: Hobbes, 238, 400, 754; critica all’iden-
tificazione spinoziana della p. di Dio con la p. delle creature: Leibniz,
536; complementarità costitutiva fra atto e p. in Whitehead, 838.
P ra ea m bu laf i d e i - 107; negazione della dimostrabilità dei p. /. affidati
unicamente alla fede: Heidegger, 962, 970.
P r a e s e n t ia D e i in rebus sec u n d u m e s s e n t ia m , p o t e n t ia m et pra esen -
t ia m - S. Tommaso, 61, 897, 931 n.
di James, 794; il p. come la via di mezzo fra materia
P r a g m a t is m o - P .
lismo e teismo: James, 797 s.; critica di Bradley al p. di James, 799 s.;
p. di Dewey come risultato dei processi della ragion pratica, 871,
882 ss.; ateismo del p. 887.
P rassi - La p. come origine del pensiero: Marx, 737; necessità di interpre
tare la coscienza sensibile come p.: Marx, 738; primato della p.: Marx,
759, 763; riduzione della immanenza alla p. materiale e sensibile del
l’uomo nel marxismo, 767; nessuna sicurezza del sapere ma solo cer
tezza nella p. della vita: Jaspers, 939; la concezione dell’uomo come
« pura p. » ultima espressione del principio d’immanenza e dell’inva
sione della scienza nella filosofia, 1069; dipendenza del momento della
verità dal momento dialettico e immanentistico della p. nel materialismo
storico, 1084.
Una religione che ignora la p. non è religione: critica al Bayle,
P r e g h ie r a -
202; eliminazione della p.: Cherbury, Shaftesbury, 251, 293; p. a Dio
IN D ICE D EGLI ARGOMENTI 1203
stica del significato e del valore della i\: Stuart Mill, 786; solidarietà
di r. naturale e r. soprannaturale: Stuart Mill, 789; impossibilità della
r. speculativa di aprire un accesso a Dio: James, 793, 799; inconsi
stenza teoretica della r.: Bradley, 801 ss., 804 s.; appartenenza della
r. alla filosofia e cristianesimo assoluto: Royce, 809 ss.; invito di
Royce all’atteggiamento religioso d’« unificazione-espiazione », 815; il
cristianesimo come « r. assoluta »: Hegel, 816 s.; complementarietà di
r. e filosofia, 828 (Alexander), 840 (Whitehead); il sentimento come
unico contatto con Dio nella i\: Alexander, 833, 836; eliminazione del
problema di Dio e della r. dalla sfera teoretica: la r. come termine
strettamente sociologico: Dewey, 871 s.; inconciliabilità fra « r. » e
«religioso»: Dewey, 873 n.; la r. acuisce i fatti tristi dell’esistenza
per poi placare la paura e l’angoscia col ricorso ad un Essere sopranna
turale: Dewey, 877; Dewey mette in guardia dal considerare la sua
concezione come un r. dell’umanità, 880 n.; alla r. di Dio tocca sosti
tuire la r. dell’uomo e dell’umanità: umanesimo americano, 897; l’età
moderna si è sbarazzata di Dio e della r.: Nietzsche, 912; polemica di
Nietzsche contro la r. e l’ammissione di un Dio personale, creatore
e provvidente, 916 s.; la r. come uno stadio provvisorio della filoso
fìa e rifiuto della r. storica rivelata: Jaspers, 931, 935, 940; distin
zione fra r. naturale e rivelata in Kierkegaard, 946 n.; mancata distin
zione fra la r. storica in generale e il cristianesimo in Heidegger, 971;
la r. unicamente come forma di vita ed esperienza interumana: M.-
Ponty, 938; la r. dev’essere per tutti gli uomini: Hegel, 1034; la filo
sofia moderna ha strappato la r. dall’intimo dell’uomo: Baader, 1036;
critica alla concezione minimista hegeliana della r.: Baader, 1061 n.;
il compito della scienza moderna resta del tutto estraneo al problema
religioso, 1072; la vera lotta, per l’autenticazione dell’uomo, non è
fra capitalismo e socialismo, ma fra r. e ateismo, 1086; riduzione della
i\, nel marxismo, ad « affare privato », 1088 n.
R eligiosità - Rapporto r.-teismo-ateismo, 47; r. come inclinazione natu
rale dell’uomo a Dio: S. Tommaso, 48 s., 54; flessione, nell’ateismo,
della r. nel finito, 49; critica di Bayle al concetto di r., 201; r. di Spi
noza, 207 ss. (Freudenthal), 535 n. (Jacobi); r. cosmica, storica e lai
ca: Fichte, 654; inconciliabilità fra r. e religione: Dewey, 872 s.; la r.
come processo di adattamento della volontà ossia come la pienezza
organica del nostro essere: Dewey, 874; r. come rapporto dell’imma
ginazione a un atteggiamento generale: Dewey, 874; r. senza reli
gione nella « pietà naturale » di Dewey e sua identificazione col culto
dell’umanità e della scienza, 877 s.; necessità di un atteggiamento re
ligioso per il senso di una connessione deH’uomo: Dewey, 879; ten
tativo di Jaspers di salvare una certa r. dell’ateismo nietzschiano:
917.
R es cogitans - R es Extensa - Cartesio, 393, 396.
R iconciliazione - Processo di r. nella dialettica hegeliana, 604, 671, 674.
R idicolo - Critica alla dottrina shaftesburiana del r. considerato come prova
di verità: Brown, 357.
1212 IN D IC E D EG LI ARGOM ENTI
Feuerbach, 203; vuoto del s. nella filosofia hegeliana, 629; « morte del
s. »: Hegel, 630; espulsione del s. insita nel cogito, 667; misti
ficazione del s. in Feuerbach, 704; disintegrazione del s. nella coscienza
moderna: Marx, 734; esperienza del s.: Heidegger, 952, 965, 971;
s. di natura cosmica: Spinoza-Schleiermacher-Hòlderlin-Heidegger, 953;
apparizione del S. e lontananza di Dio, da cui la « mancanza di Dio »:
Heidegger, 954, 997; il s. come espressione della realtà divina e fon
dazione della possibilità della presenza di Dio sull’esperienza del
s.: Heidegger, 996; il s. come lo stesso « Chaos » da cui emerge ogni
realtà d’esperienza: Hòlderlin, Heidegger, 997.
Scelta - «S. » delPunica cosa necessaria che non è oggetto di s.: Kierke
gaard, 24 n.; la s. come « s. di non scegliere » nell’esistenzialismo ateo,
28; attuarsi della s., a partire da Kant, come progetto di « essere nel
mondo »: Sartre, 879.
Scetticismo - S. antico e s. moderno, 26; ateismo dello s., 57; dallo s.
all’ateismo: Rensi, 99; s. cartesiano: Voezio, 131 s.; connessione fra
dubbio assoluto, s. e ateismo in Cartesio: Spitzel, 134; s. religioso, 179
(Bayle), 327 (Hume); s. morale di Voltaire, 196; crisi dell’uomo one
sto per lo scandalo dei falsi credenti e suo passaggio allo s. religioso:
Rousseau, 224; la sostanza corporea fondamento dello s.: Berkeley, 318;
risoluzione del deismo nello s.: Hume, 328 s.; differenza fra lo s.
antico e quello di Hume, 330 n.; s. speculativo: Hume, 334, 337 s.,
343; s. fideistico: Hume, 335 s.; accostamento dello s. humiano allo
s. pirroniano: Platner, 337 n.; lo s. come fondamento dell’ateismo:
Platner, 338; deismo-s.-ateismo: Diderot, 434 n.; « s. necessitato»:
Diderot, 440, 442 n.; s. di Forberg, 643; accusa al dualismo cartesiano di
portare inevitabilmente allo s.: Locke, James, 780; differenza fra lo s.
antico e quello moderno: Hegel, 784n.; lo s. come atteggiamento tanto
naturale quanto soprannaturale: Stuart Mill, 789; s. conoscitivo della
filosofia moderna: Nietzsche, 927; tentativo di superare l’accusa di s.
contro la filosofia critica: Rickert, 1024 n.
Scienza - S. e problema di Dio: s. della natura e s. dello spirito: Dilthey,
9, 15, 23; 48; definizione dell’uomo nella filosofia dell’immanenza co
me « essere-per-la s., per la tecnica... », 63; nuovo concetto di materia
nella s. moderna, 76; riduzione della natura alla s. e della s. alla vita
dello spirito: Brunschvicg, 77; la s. come compimento (o eliminazio
ne?) della coscienza religiosa: Brunschvicg, 79; rapporto fra s.-evoluzio
ne-ateismo e fra s.-fede, 103, 216; la s. naturale meccanicistica come
conseguenza del materialismo cartesiano: Marx, 235 ss., 402; Bacone
capostipite del materialismo inglese e della s. moderna sperimentale:
Marx, 237; possibilità della s. di dare solo un nome: Hobbes, 238,
400; rapporto criticismo kantiano-metafisica-s.: critica di Jacobi, 342 s.;
celebrazione deistica del valore della s., 431; possibilità esclusiva della
s. di arrestare il materialismo ateo: Diderot, 434 ss.; la s. positiva
deve trascurare Dio: Diderot, 442; l’idealismo come dottrina della
s., 528; il problema di Dio e la s. come sapere puro: polemica Fichte-
Jacobi, 568 s.; l’esistenza di Dio, Essere personale, come oggetto di s.:
Schelling, 598; superamento della Ragione dei conflitti fra s. e fede:
Hegel, 629; critica all’identificazione di Strauss di filosofia e s.: Nietz
sche, 688; la s. come « coscienza del genere »: Feuerbach, 698 s.; ade
renza fra s. e filosofia nel pensiero anglo-americano, 823; identità di re
ligiosità e culto della s.: Dewey, 878; origine della filosofia (problemi,
concetti e metodo) dalla s.: Dewey, 882 ss.; eliminazione del problema
di Dio e dell’immortalità mediante la s.: Lamont, 899; la s. e la tec
nica come deviazioni della civiltà moderna: Heidegger, 945; tentativo
di far risalire la nuova s. al pensiero greco, così come il principio pan
teistico dell’immanenza moderna può connettersi al monismo ilozoistico
del mondo classico, 1066 s.; rapporto inverso di s. e filosofia nell’aristo
IN D ICE D EG LI ARGOM ENTI 1215
telismo e nell’epoca moderna, 1067 s.; principi del rapporto fra filo
sofia e s. secondo S. Tommaso: a) necessità dell’esperienza sensibile;
b) la quantità come primo accidente dei corpi; c) l’applicazione della
matematica alla fisica, 1069 s.; conflitto senza uscita fra oggettivismo e
soggettivismo a causa dell’intromissione del cogito nella s., 1070 s.; il
problema dell’esistenza di Dio esula dalla s. come tale: la dimostrazione
dell’esistenza di Dio come esigenza di tutta la persona, 1072, 1077;
polemica fra Haym e Feuerbach sul rapporto fra la realtà obiettiva
e le leggi della s., 1073 s.; riduzione di Lenin del concetto feuerba-
chiano di s. come « approssimazione » alla dottrina della Widerspie-
gelungy 1074 s.; la s., la filosofia e l’arte come attività del proletariato
cioè produzione della classe operaia: Alexandrov, 1075; validità del
concetto di s. come « approssimazione » realizzato in forma obiettiva
al massimo, cioè sgomberato da ogni aderenza psicologica: Born, 1075 s.;
apologia marxista della « s. atea »: Verret, 1075 n.; il problema
della libertà di comportamento del singolo individuo sfugge alla s.,
1078; inadeguatezza della concezione meccanicistica della s. e ambi
guità dell’epistemologia marxista: Docky, 1085; esula dalla s. tanto
la concezione del « puro caso » quanto quella teologica finalistica:
Jordan, 1088 n.; incompatibilità fra s. e filosofìa dell’immanenza,
1092 s.
Scienziato - Il problema di Dio non come oggetto della scienza ma come
problema dell’uomo, 23; lo s. che dalle sue teorie o scoperte preten
desse passare alla negazione di Dio non è più uno s. ma solo un cat
tivo filosofo, 1078.
Scolastica - Concetto di existentia ed essentia nella s. e suo rapporto con
lo spinozismo, 153 ss., 159, 172, 1050; negazione della distinzione
reale nelle creature di essenza ed esse nella s. decadente, 172; rap
porto fra estrinsecismo teologico della s. e Locke, 305; critica al for
malismo della s.: Wagner, 639; i dogmi della Chiesa cristiana come
contenuto presupposto per la filosofia scolastica: Hegel, 783; Dio come
amore nel senso chiarito da Spinoza e proposto dagli scolastici: Whi
tehead, 846; alterazione decisiva di quod est ed esse tomistici nella
coppia scolastica di essentia ed existentia o esse essentiae ed esse exi-
stentiaey 948 n.; polemica sull’equivoco di essentia-existentia nella s.:
Heidegger, 992 ss.; il ricorso al cogito e la scoperta del trascendentale
come conseguenza della carenza speculativa della s., 1067 n.; respon
sabilità della s. decadente nella crisi moderna di scienza e fede, 1070.
Scrupolo - Satira degli s. e dei rimorsi per i peccati contro Dio: Diderot,
432.
Singolo - Negazione del s., 28, 62; difesa del s.: Hardouin, 119; man
canza di centralità del s. nella Lebensphilosophie di Jacobi, 544; ri
vendicazione del s.: Schlegel, 585; l’essere appartiene al Tutto, mentre
al s. va attribuito il non-essere: Schleiermacher, 614; rapporto im
mediato del s. a Dio: protestantesimo, 626; esistenza fenomenale del
s. in Spinoza, 632, 650; accusa alla dissoluzione hegeliana dei s. nello
Spirito assoluto: Bauer, 672 s.; partecipazione del s. alla vita divino-
umana del genere: Feuerbach, 697; critica all’isolamento feuerbachia-
no del s.: Marx, 737; annientamento della libertà e personalità del s.
in Hegel e Marx nella necessità del divenire storico: Steinbiichel,
764; mancanza di verità e consistenza del s. in sé: Royce, 821; conci
liazione di s. e universale in Dewey, 886; dispersione dell’essere e della
libertà nella radicale contingenza del s.: esistenzialismo ateo, 904.
576; priorità noetica del s. sul sensibile: Fichte, 564; ogni atto di co
scienza come negazione in atto del s.: Marx, 742; negazione del mondo
sovrasensibile come platonismo: Nietzsche, 924.
Sp a z io- Concezione spaziale dell’immensità di Dio in Cartesio: Marx, 219;
infinità dello s.: Cherbury, 250; concezione della natura come estrinse
cazione dello s.: Hegel, 406; critica all’idealità delle forme kantiane di
s. e tempo: Jacobi, 526 s.; infinità ideale dello s. e del tempo in Kant,
532 n.; risoluzione metafisica dell’idealità kantiana di s. e tempo:
Fichte, 566; la dialettica dell’Idea e lo s.: Hegel, 605; nulla può sot
trarsi alla corrente inarrestabile dell’unità di s.-tempo: Alexander, 825,
828; spinta ascensionale verso la mente insita nell’unità di s.-tempo:
Alexander, 829.
Sp e r im e n t a l is m o - S. puro: Diderot, 440 s.
di Jacobi contro Lessing, 1007 n.; avvento con l’idealismo di una nuova
primavera spinoziana, 1029 s.; s. kantiano di Fichte, 1037; « s. rove
sciato » puramente ateo di Fichte: Baader, 1039; la negazione della per
sonalità di Dio come errore fondamentale dello s.: Baader, 1042 n.;
chiusura e sterilità dello s. nella sua inevitabile risoluzione nel mate
rialismo: Baader, 1043, 1063 n.; punti d’accordo fra Leibniz e Spi
noza, 1034 n.
Sp ir it o - Lo s. come capax Dei secondo S. Tommaso, 22; « essere s. »:
Kierkegaard, 24 n.; la distinzione sul piano dell’essere dello s. dalla
materia come primo passo del teismo, 26, 28; Dio è S., 26, 55 s.; lo
s. dell’uomo come principio di consistenza della libertà di fronte alla
natura, 31; ateismo di chi nega la spiritualità di Dio, 57, 62; lo s. come
capacitai entis in veritate sua\ S. Tommaso, 60; negazione materialisti
ca della spiritualità dell’anima, 62; il concetto di s. nella Scrittura:
Hobbes, 268; superamento locldano della separazione di s. e materia,
302 s.; affermazione contro il deismo di uno S. vigilante, attivo, intelli
gente e libero: Berkeley, 322 s.; difesa della spiritualità di Dio contro
Hobbes: Harris, 376; nonsenso del concetto di s., 409 n. (La Mettrie),
644 (Schulz); riduzione dell’attività dello s. ai sensi esterni e alla me
moria: Helvétius, 416 s., 420 s.; la differenza fra gli s. come effetto
dell’ineguale finezza dei loro sensi, del caso e dell’amore di gloria:
Helvétius, 417, 421; differenza fra anima e s.: lo s. come struttura
secondaria (sensismo di Locke) risultante dal complesso delle idee: Hel
vétius: 417, 420 s.; critica al concetto di s. ridotto ad esperienza sen
sibile di coscienza: D’Holbach, 454; incomprensibilità del concetto
di S. assoluto: D’Holbach, 457; lo s., contro Helvétius, come qualità
naturale: Diderot, 508; Cartesio scopritore del moderno concetto di
s.: Bergier, 515; concetto di s. in Jacobi, 541; critica allo s. umano
come creatore del mondo e di se stesso in Fichte: Jacobi, 570; lo S.
assoluto come verità dello s. finito: Hegel, 602, 1060; lo s. è libero in
sé solo mediante il ritorno in sé: Hegel, 605, 610; lo s. come attività
della coscienza umana è una modificazione e apparizione dell’Assoluto:
Schleiermacher, 613 s.; « regno degli s. »: Fichte, 655; accusa alla dis
soluzione hegeliana dei singoli nello s. assoluto: Bauer, 672 s.; critica
allo « s. del mondo » hegeliano: Bauer, 674 s.; critica al concetto di s.
hegeliano: Feuerbach, 708 n.; inclusione dello s. nella materia in Marx:
Reding, 767; inclusione del concetto di s. in quello di natura: Lenin,
767 n.; la legge necessaria, sia per Dio che per l’uomo, della più alta
vita spirituale è di essere perfetti mediante la sofferenza: Royce, 815;
distinzione e convergenza fra s. e materia nella « filosofia del pro
gresso », 824; Dio deve essere anche s. così come è anche vivente e
materiale: Alexander, 829; negazione di un mondo a sé dello s.: Scho
penhauer, 907; ricupero dell’uomo e del mondo sensibile contro le illu
sioni dello s. e dell’aldilà: Nietzsche, 927; lo s. come il negativo: Sar
tre, 977; dalla negazione della realtà spirituale alla negazione del libero
arbitrio nel marxismo: Docky, 1085 n.
o - Coesistenza fra immanentismo e teismo in alcune forme di
Sp ir it u a l is m
s. cristiano, 40, 80n., 1004; critica allo s.: La Mettrie, 408; professione
1222 IN D ICE DEG LI ARGOM ENTI
Luppol, 442 n.; critica al rapporto fra t. e morale: D ’Holbach, 458 n.;
critica favorevole al t. kantiano: Jacobi, 524 s.; professione di t. in
Fichte, 562 s., 618; il t. classico come una forma compiuta di filosofia:
Jacobi, 583 s.; vicendevole integrazione di t. e naturalismo: Schelling,
597; t. realistico di Schelling, 627 n.; difesa del t. di Hegel: Dieter,
657; critica del t. speculativo all’idealismo metafisico, 658; incoerenza
di chi sostiene il t. hegeliano: Bauer, 681; necessità di superare ogni
forma di t. e di credenza in Dio: Lenin, 748; il politeismo come
prima tappa del t.: Hume, Stuart Mill, 786; « evidenze del t. » adattate
alle diverse condizioni culturali degli uomini: Stuart Mill, 787; inesi
stenza di qualsiasi evidenza categorica a favore del t.: Stuart Mill, 789;
il t. della semplice umanità filosofica in James, 792; l’errore capitale
del t. nell’aver concepito Dio e la creazione come unità distinte e nella
mancanza d’interiorità: James, 795 s.; la concezione astratta e sterile
di Dio nel t.: James, 797; il t. come una concezione immaginativa e
mitica: Alexander, 831; il t. come vuoto concetto di Dio: Alexander-
Whitehead, 834; critica al t. cristiano che ammettendo l’Uomo-Dio li
mita la percezione della deità all’uomo sottraendola al cosmo: Ale
xander, 835; ingenuità di qualificare sia per t. come per ateismo la
filosofia di Whitehead, 847; il «principio di polarità» come l’unica
alternativa in grado di superare le posizioni antitetiche sia del t. che
dell’ateismo: Hartshorne, 865; t. e ateismo hanno in comune il con
siderare l’uomo in uno stato d’isolamento: Dewey, 879; il Dio finito e
il t. cristiano, 894 ss.; tramonto del t. europeo: Nietzsche, 927; impos
sibilità di un t. jaspersiano secondo la linea classica e realista, 934; ri
soluzione del t. di Jaspers in ateismo: Ricoeur, 935; lo spirito dei teisti
è in contraddizione con la natura, sull’essenza della quale « non ca
pisce assolutamente nulla »: Feuerbach, 1074; inautentiche e intruse
tutte le forme di t. apparse all’interno del principio d’immanenza del
pensiero moderno, 1092.
T e o r ia d ei v o r t ic i - Cartesio, 393.
T h e o l o g ia m y s t ic a - Cusano, 93.
- Dio come T. intensiva ossia Spirito: Hegel, 611 s.; Dio come t.
T o t a l it à
della coscienza umana universale: James, 798 n.; t. dello spazio-tempo
tutt’abbracciante: Alexander, 829; se Dio fosse una t. si dovrebbe ne
IN D ICE D EG LI ARGOM ENTI 1227
V alo re - L’« universale » come unico soggetto del v. sia nell’idealismo che
nel materialismo, 28; affermazione dell’ateismo come garanzia di libertà
e fondamento del v.: Bayle, D’Holbach, Feuerbach, 37 n.; ateismo
e teoria dei v., 57; capovolgimento dei v. nell’immanenza come « fini
tezza », 63; l’uomo come fondamento di ogni v. nel pensiero moderno,
245, 773; elevazione della coscienza individuale a principio dei v.
morali e religiosi: Shaftesbury, 274; v. dell’azione: Fichte, 550; il
mondo dei v. come frutto dell’agire puro dell’Io: Fichte, 619; l’auto
coscienza dell’umanità come l’unica fonte dell’essere e del v.: sinistra
hegeliana, 723; la trasmutazione dei v. transeunti della fortuna in v.
eterni come compito della vita superiore: Royce, 815; critica al pan
teismo spinoziano negatore dei v.: Alexander, 827 n.; i v. come inven
zioni umane, per questo la deità in sé non è un v.: Alexander, 830 n.;
i v. come funzioni o complessità di tempo: Alexander, 836; concilia
zione di fatto e v. in Dewey, 886; se « Dio è morto » l’uomo è l’unica
fonte del v.: Nietzsche, 912 ss., 922, 926; livellamento della tec
nica, nell’uniformità della produzione, di ogni gerarchia di v.: Heideg
ger, 955; se Dio non esiste non esiste alcun v.: Sartre, 980; verità e
v. come risultato esclusivo delle nostre verifiche: M.-Ponty, 982; l ’as
surdo e il crollo di tutti i v.: Camus, 989.
V an g elo - Critica all’affermazione di Bayle che il V. sia da considerare solo
come un modello della più grande perfezione: Trinius, 187 n.; impos
sibilità di praticare la morale del V.: Diderot, 444; allusione di Fichte
al V., 562, 565; critica alla proclamazione hegeliana della superiorità
della morale spinoziana su quella del V.: Bauer, 676; interpretazione
mitica dei V.: Bauer, Strauss, 681 s.
V e r a c it à - Ricorso cartesiano alla v. divina per frugare il dubbio, 123 n.
V e r it à - V . del cristianesimo, 14; v. come attuarsi delle possibilità dell’uo
mo, 35; fondazione della v. nell’essere: S. Tommaso, 72; la credenza
nella v. assoluta residuo della mentalità primitiva: Rensi, 99; impossi
bilità di accettare qualsiasi v. trascendente: Spinoza, 165 n.; equiva
lenza di v. ed errore nella filosofia spinoziana, 174; dissociazione fra
v. e moralità: Bayle, 190; v. come accordo delle rappresentazioni uma
ne: Locke, 240; negazione della v. oggettiva in Àvenarius e Mach:
Lenin, 241; v. come concretezza nell’empirismo, 242; l’uomo, non l’es
sere come fondamento della v. nel pensiero moderno, 245, 773; la ra
zionalità, criterio supremo della v.: Cherbury, 255; critica al concetto
1234 IN D IC E D EG LI ARGOM ENTI
A b b a d i e (J.): 191; 229; 411; 460. 599; 607; 611; 616; 639; 689;
A b b a g n a n o (N.): 86. 719; 759 s.; 835; 837; 839;
A ch illin i (C.): 90. 845; 855; 858; 881; 934;
A dam (K.): 909. 950 s.; 957; 962; 965; 969;
A d a m (P.): 182. 1016; 1026 s.; 1060; 1067.
A d l e r (F.): 862. A r m i n i o : 270.
A d o r n o (Th. W . ) : 1098. A rnauld (A .): 119; 189; 237.
A e n e s i d e m u s -S c h u l z e : 646. A rnold (S. J.): 638.
73; 94; 139; 184;
A g o s t in o ( S .) : A r v o n (H.): 704; 712.
206; 449; 475; 487; 491; 497; A s g i l (J.): 276.
515; 647; 672; 895; 1030. A t a n a s i o (S.): 267.
A k s e l r o d (L. J.): 176. A venarius (R.): 241; 1018.
A lberto M agno (S.): 130; 599. A verroè : 30; 90.
A lexander (S.): 823-836; 838;
855; 857; 860; 868; 895; 1095. B a ad er (F. von). 659 ss.; 1027 ss.;
A l e x a n d r o v (G.): 1075. 1036; 1039-1045; 1060-1065.
A lfonso ( d i Castiglia ): 90. B a c o n e (F.): 40; 82; 130; 140;
A lfonso ( d e * L iguori) (S.): 518. 187; 194 s.; 237 ss.; 245; 248;
A ltkirch (E.): 102. 258; 291; 300; 326; 332; 370;
A malrico (di Bène): 90. 372; 378; 400 s.; 422; 431;
A m erpoèl (J.): 124. 439; 444; 595; 753; 1009;
A m e s (E. S.): 897. 1031; 1072.
A nassagora: 2 7 ; 237; 5 3 7 ; 588. B a e u m k e r (Cl.): 921.
A nassarco : 90. B a i l l e t (A.): 1 2 0 .
A nassimandro : 950 s. B a n d in i (L.): 274; 276.
(C. I.): 229; 518.
A n sald i B a r b a r o (E.): 8 8 .
A n selm o (S.): 117; 158; 553; B arbeyrac (J.): 228 s.; 509.
603; 1031-1033. B arnikol (E .): 680.
A rcesilao : 90. B arth (K.): 117; 682; 712; 775.
A r c h i m e d e : 260. B a s a r o w (W.): 746.
A r e t i n o (P.): 89 s. B a u e r ( B . ) : 668; 670-675; 677;
A r io : 267. 680 s.; 684; 690 s.; 693; 713 s.;
A r is t ip p o :
193. 725; 727 s.; 730; 736; 751 s.;
92.
A r is t o f a n e : 755; 767 ss.; 928.
A ristosseno : 92. B a u m a n n (J.): 484.
A r is t o
tele: 27; 66; 87 s .; 96; B a u m g a r t e n (A. G.): 1003.
172; 212; 300; 319; 448; B a u m g a r t e n (E.): 880.
473; 514 s .; 524 s .; 545; 588; B a u m g a r t n e r (H. M.): 586; 651.
1238 IN D IC E D EG LI A U TO RI
Bayle (P.): 37ss.; 87; 90s.; 93ss.; Bòhme (J.): 237; 524; 592; 609;
143; 172 ss.; 178-184; 186-204; 626; 656; 660; 697; 866; 1042;
206; 210; 219; 220 ss.; 226- 1053; 1060; 1063-1065.
231; 244s.; 257s.; 266; 271ss.; B o h r (N.): 1076 s .; 1085.
276-278; 282 s.; 293; 296; 302; B o h r m a n n (G.): 177; 537.
309; 316; 324; 333; 352; 359; B o l i n g b r o k e : 257; 296; 347; 372.
372; 375; 378 s.; 381 ss.; 399; B o l l n o w (O. F.): 525.
405; 410; 414; 424; 427 ss.; B olzano (B.): 820.
432 ss.; 440 ss.; 446; 459; 484 B onaventura de P er ez : 89.
ss.; 498 ss.; 504; 513; 515-518; B onhoeffer (D.): 775; 972.
528; 537; 546; 557; 634 ss.; B onnet (Ch.): 483.
642; 654; 711; 753; 788; 903; B o r n (M.): 1069; 1073; 1075 ss.;
1095 s. 1080; 1085.
B a y l y (B.): 519. B oscovich (R. G.): 645.
B e a u m o n t (C. de): 224; 486. B osnjak (B.): 1088.
B e c k e r (B.): 196. B o ssu et (J. B.): 513.
B e l a v a l (Y.): 446. B o sw ell (G.): 372.
B e l i n (J. P.): 434. B o u i l l i e r (F.): 116; 120; 135;
B e n e d e t t o XIV: 513. 207.
B e n g e l ( J o . A.): 524. B oulanger: 479; 517.
B e n n (A. W.): 256. B outerwek (F.): 95-99; 588.
Ben tley (R.): 296; 325; 347; B oxel (H.): 147; 168.
373 s.; 377; 382. B o y e r (Ch.): 139.
B e n u s s i (V.): 1080. B o y l e (R.): 373 s.; 380.
B e r g i e r (N. S.): 514-518. B r a d l e y (F.H.): 799-808; 820ss.;
B e r g s o n (H.): 163; 886. 824; 835; 839; 841; 851 ss.;
B e r i g a r d o (C.): 90; 193. 855; 859; 880 s.; 895.
Berk eley (G.): 26; 40; 241; B r a m h a l l (J.): 261; 265-270.
257; 292; 294; 297; 318s.; 321- B r a m p t o n C u r d o n : 379.
328; 339; 347; 527; 677; 696; B r e d e n b o u r g (J.): 173; 210.
833; 1018; 1021; 1072; 1093. B r e g a (G. P.): 179.
B e r n a r d (Ch.): 229. B rehier (E.): 400 s.
B e r n s t e i n (E.): 175. B rentano (F.): 820; 1080.
B e r r i m a n (J.): 380. B reton (A.): 991.
B e r t h i e r (G. F.): 493. B rightman (E. S.): 37; 899.
B e r u l l e (P. de): 116.
B rockdorff (C. von): 244; 247.
B e t h (K.): 103.
B rown (J.): 356 s.; 359; 364 s.
B i e d e r m a n n (K.): 658.
B rowne (P.): 347.
B i l f i n g e r (G. B.): 383.
B i o n e d i B o r i s t e n e : 90; 193.
B rowne (T.): 90.
B i r a u l t (H.): 970 s . B runetière (F.): 392.
B i x l e r (J. S.): 792; 795; 837. B r u n n e r (E.): 613-615.
B l o c k m u h l (K. E.): 700; 704; B runo (G.): 88; 90; 96; 111;
775. 294; 311; 378; 478; 530; 647.
B l o n d e l (M.): 137 s. B r u n o (S.): 444.
B l o u n t (C.): 256; 375 s. B r u n s c h v i c (L.): 59; 75-80; 207;
B o b o l a (A.): 444. 536.
B o d in (J.): 112; 640. B r u s h i l k i (V. K.): 176.
B o e z i o : 1070. B ucher (U. G.): 637 s.
IN D ICE DEG LI AUTO RI 1239
B uch n er (L.): 101; 103; 406; 453; 456; 464; 483 s.; 500 s.;
748. 514 s.; 527; 530; 535 ss.; 545;
B u c k i n g h a m (Duca d i) : 248. 613; 632; 636; 667; 675s.; 679;
B u d d a (Gotamo): 912. 689; 707 s.; 744; 752; 788;
B ud d a eu s : v. B u d d e. 848; 852-855; 859; 903; 920;
B udde (J.F.): 67; 87s.; 539; 633; 927; 975; 977 s.; 985; 987 s.;
640. 1003; 1005 ss.; 1010; 1013;
B u f f i e r (CL): 510. 1021; 1029-1033; 1038 s.; 1047
B u f f o n : 406; 441; 483; 645. s.; 1052-1056; 1067 s.; 1072;
B u l t m a n n (R.): 941 ss .; 950; 970; 1087; 1092-1097; 1099.
1098. C a s i n i (P.): 431.
B u n d (H.): 1046. C a s s i r e r (E.): 244; 1096.
B u n g e (M.): 1076. C a t l i n (G. E. G.): 260.
B u o n a i u t i (E.): 101. C e l s o : 467; 487 s .; 498.
B u r n e t (G.): 374-379. C e s a l p i n o (A.): 88; 105.
B u r n e t (T.): 380. C e s a r e (G.): 225 ss .; 4 3 4 ; 710;
B u r t t (E. A.): 899. 774.
B u s s o n (H.): I l i ; 244. C h a l l i e n (De): 90.
B u t l e r (J.): 291; 294; 350; 353; C halybaeus (H. M.): 659.
356; 364. Chatelet (F.): 1087.
B y r o n (G.): 726. C h e r b u r y (H. de): 40; 210; 229;
246-256; 259; 271; 297; 309;
C a b a n i s (P. J. G.): 235; 752.
313; 350 s.; 638; 1099.
C h e v a l i e r (J.): 1070.
C a i l l o i s (R.): 464.
C h i a p p e l l i (B.): 351.
C a l v e z (J. Y.): 756.
C h i c o n i u s (P.): 8 8 .
C a l v in o (G.): 182; 270.
C h i l l i n g w o r t h (W.): 370.
C a m p a n e l l a (T.): 88; 90; 111;
C h r i s t i a n (W. A.): 865; 894.
478; 516; 537; 1066.
C h u b b (T.): 246; 256; 260.
C a m p b e l l M o s s n e r (E.): 373.
C i c e r o n e : 6 8 ; 90; 1 0 0 ; 225 s .;
C a m u s (A.): 633; 711; 928; 989-
249; 275; 308; 313; 346; 379.
991; 1003.
C i p r i a n o ( S .) : 94.
C antor (M.): 820.
C ir a n o (de Bergerac): 385.
C a n t z (J. G.): 383.
C l a r k e (J.): 379.
C a r d a n o (G.): 8 8 s.
C l a r k e (S.): 50; 127s.; 130; 244;
C a r l i n i (A.): 998 s.
C a r l y l e (T.): 726-729.
250; 271; 325; 344-350; 359;
C a r n e a d e : 26; 90.
370; 372; 376 s.; 415; 435;
C a r r i è r e (M.): 1062.
456; 484.
C l a u d iu s de So i n c t e s : 88.
C a r r o l (W.): 370.
C a r t e s i o (R.): 20 s .; 26;
38; 40; Clea n te: 334 ss.
50; 71 s.; 74; 78 ss.; 93; 111- Clem en te (S.): 88.
A l e s s a n d r in o
114; 116-128; 130-140; 144 ss.; Clem en te XIV: 514.
148 ss.; 155; 161; 176; 179; C l i t o m a c o : 90.
189 s.; 201; 207; 211-215; 217 C o h e n (M. R.): 861 ss.; 899 s.
s.; 227; 235 s.; 239; 251; 257; C o l l i n s (A.): 90; 196 s.; 219;
272; 302; 307; 310; 325; 328; 229; 239; 246; 256s.; 260; 273;
343; 372; 377; 391-399; 401 s.; 300; 314; 320; 325; 328; 347;
405; 408; 411; 418; 430 s.; 350 s.; 370-373; 378 s.; 382;
434 ss.; 440; 444; 446; 448 s.; 401; 484; 516; 518; 1099.
1240 IN D IC E D EG LI A U TO RI
F i s c h e r (K.): 560; 671; 957. 791; 840; 899 s.; 917; 934;
F l i n t (R.): 55. 940 s.; 950; 971; 979; 1098.
F l u d d (R.): 196. G i a m b l i c o : 467.
F o n t e n e l l e : 483. G i a n s e n i o (G): 113 ss.
F o p p i u s (J. H.): 87. G i b s o n (A.): 301; 374; 382.
F o r b e r : (F. C.): 56; 549; 552- G i l l o s -T o s (M. T . ) : 871.
560; 562 s.; 574; 576; 618; G i l s o n (E.): 59; 77; 79; 870.
622; 642 s. G i o v a n n i (Apostolo): 208; 647;
F o u c h e r (S.): 125. 715.
F o u c h e r d e C a r e i l (A.): 535 s. G i o v a n n i C r i s o s t o m o (S.): 497.
F o u r i e r ( F . M. C h .) : 755. G i o v a n n i D e l l a C r o c e (S.): 25.
F r a e n k e l (E.): 994. G i u l i a n o : 467; 498.
F r a n k (E.): 14. G i u l i o II: 473.
F r a n k (F. H. R. v o n ) : 683. G i u s e p p e F l a v i o : 434.
F r a s e r (A. C.): 300; 322 s. G i u s t i n o (S.): 371.
F r e r e t (N.): 231; 480; 517. G i z y k y (G.): 287.
F r e u d (S.): 903. G l a b e r (teologo): 574.
F r e u d e n t h a l (J.): 154; 207 s .; G l e s e r m a n n ( G . T.): 406.
211; 1050. Go eth e ( W .): 99; 102; 104;
F r i e d m a n n (G.): 536. 208 s.; 274; 383; 464;; 529;
F r i e s (J. F. ): 588; 982. 546; 563; 597; 614; 635;
F u r s t e n b e r g (E. v o n ) : 69; 72. 646 ss. ; 700; 733; 916; 1037.
G o e z e ( J o . M.) : 574 s.
G ogarten (F.): 654.
G a bler (G. A.): 671. G o l d m a n n (L.): 1092.
G a d a m er (H.): 957. G o l l w i t z e r ( H . ) : 772 s .; 775.
G a f f a r e l l o (G.): 89.
G o r g i a : 92.
G a lilei (G .): 125; 371; 4 84; 5 1 7 ; G o r k i (M.): 744; 746; 897.
1072; 1057; 1078. G o s c h e l (C. F.): 657; 659; 706;
G ans (E.): 717. 1034.
G a r a s s e (P.): 119; 505. Gotofredus a V a l l e : 89 s.
G a r a u d y (R.): 104; 669. G rabmann (M.): 599.
G a r i n (E.): 274.
G raeber (F.): 714 ss.
G a s s e n d i (P.): 120; 236; 257; G raevius (J o. G.): 178.
317; 372; 465; 530; 639; 744;
G ra ssel (H.): 671.
752 s.; 1092.
G regorio N azianzeno (S.): 94.
G a s t r e l l (Bishop): 374; 377.
G roos (H.): 523.
G a t e s (J. F.): 855.
G rozio (U.): 105; 189; 372.
G a w l i c k ( G . ) : 249; 313.
G rundtvig (N. F. S.): 942.
G e b h a r d t (K.): 162; 178; 209 s.
G runer (Chr. G.): 574; 576.
G e n t il e (G.): 99; 160; 818;
1015; 1096. G runwald (M.): 117 s.
G u altiero : 222.
G esù C r is t o : 146; 208; 254;
256; 263; 268s. ; 288 ; 299; 314; G ueroult (M.): 326.
348; 380; 424! 427; 443; 466; G ulyga (A. W .): 641 ss.
470 ss.:; 486 s.; 490 ss.; 494; G unther (A.): 664; 896.
497 s.; 501; 503; 536; 575; G urdon: 379.
G uttler (C.): 103.
692 s.; 696 s.; 704; 714 s.; 729^ G utzkow (K.): 714.
IN D IC E DEG LI AUTO RI 1243
G uyau (M.): 99. 704 ss.; 709; 713 s.; 717 ss.;
Guzzo (A.): 320; 323. 721 ss.; 727; 730-741; 744 s.;
748; 750 s. 754 s.; 757; 760;
H aeckel (E.): 92; 101; 104; 600; 762 ss.; 767-772; 775; 781-785;
1082. 791; 799; 801; 805; 808; 810;
H aldane (J. B. S.): 855. 813; 816 s.; 821; 823; 833;
H alifax (Lord): 248. 845; 855 ss.; 863; 880 s.; 885;
H aller (A.): 483. 893; 903-908; 910; 914; 916;
H a llet (H. R ): 142. 922s.; 925; 928ss.; 933s.; 942;
H amann (J o. G.): 338; 524; 604; 944s.; 947; 949s.; 956ss.; 962;
787; 1098. 964 s.; 970; 974 ss.; 988, 992;
H amelin (O.): 120. 997; 1003-1009; 1011-1015;
H amilton (W.): 787 s .; 790 s. 1017; 1023s.; 1027; 1029-1036;
H a m m elsbek (O.): 941; 943. 1040 ss.; 1045 ss.; 1051; 1053-
H ancock (J.): 377. 1065; 1067 s; 1084; 1095 ss.
H ardouin (J.): 71; 112-120; 122 H eidegger (M.): 30; 59; 72; 85;
ss.; 131; 135; 139; 207; 211; 138; 633; 663; 818; 838;
219; 318; 324; 395; 464; 529; 903s.; 906; 909s.; 915s.; 919ss.;
1009. 925 ss.; 930 ss.; 944-954; 956-
H arrington (J.): 248. 966; 968-978; 983; 992-999;
H arris (J.): 375 ss. 1003; 1008; 1011; 1024 s.;
H artley (D.): 239; 257; 300. 1067; 1097 s.
H artmann (A.): 657. H e il e r (R ): 45.
H artmann (N.): 72; 1024 ss. H e im (K.): 130.
H eim so eth (H.): 620.
H artshorne (Ch.): 828; 836;
842 s.; 845 ss.; 858; 860 s.; H ein e (H.): 102; 547 s.; 970.
H einemann (R): 317; 321; 366;
863 ss.; 870; 887; 895.
H artsoeker (N.): 435. 373.
H einze (M.): 1054.
H asaci (J.): 87.
H einz -H orst Sch rey : 930; 944;
H ase (K.): 549.
H a sse (H.): 908. 973.
H e is e (W.): 638.
H auter (Ch.): 558.
H aym (R.): 1073. H eisenberg (W.): 1088.
H azard (P.): 91; 179; 190; 201; H elfbo w er (S. G.): 311.
H elv étiu s (C. A.): 98; 214; 224;
466; 636.
H e b b e l (R ): 102. 272; 381; 399s.; 405; 415; 417-
H eb eisen (A.): 535.
428; 443s.; 452; 463; 468; 473;
H egel (G. W. R ): 16; 27; 30;
479; 483; 486; 492 s.; 507 s.;
32; 35; 38; 40; 42 ss.; 46; 50; 513-518; 643; 678; 752; 754;
56s.; 66; 72ss.; 80; 82s.; 85s.; 985.
92; 95; 102; 112; 117; 126; H em m er le (K.): 1065.
128; 149; 156; 158; 162s.; 167; H em sterh u is (T.): 530-617.
169 ss.; 175 ss.; 208; 241 ss.; H endel (C. W.): 337.
318; 330; 338 ss.; 392; 396 s.; H enning (L. von): 671.
402; 406; 453; 524; 529; 533; H enry (P.): 21.
542; 551s.; 578; 584; 587; 591; H erbart (J o. F.): 664.
596; 599-615; 618; 622; 624 s.; H erder (J o. G.): 209; 245; 274;
627-633; 635; 647; 650 s.; 656- 464; 529; 546; 614; 646 ss.;
663; 669-682; 684-697; 699 ss.; 700; 916.
1244 IN D IC E D EG LI A U TO RI
126; 138; 141; 149 s.; 171 s.; K rueger (F.): 1080.
176 s.; 205; 242; 245; 274; K rùger (G .): 944.
287; 291; 295; 299; 338-343; K u s p il (Donald B.):824; 838;
352; 392; 427; 464; 484; 524- 847; 855; 857; 860.
529; 537; 541 ss.; 547; 551 ss.; K u yper (F.): 173; 210; 215-219.
557 ss.; 568; 572 ss.; 581; 584;
586 ss.; 595 s.; 613 s.; 616 s.; L aas (E.): 1018.
620; 623; 626; 629; 631 s.; L abrousse (E.): 181 s.
634 s.; 638; 643; 645 ss.; 648; L achièze -Re y (P .): 157.
652 s.; 656; 658; 664; 667 s.; L acroix (J.): 21; 770.
676; 682; 685; 687; 689; 696; La C roze (M.): 318.
700; 707 s.; 717 s.; 731; 733; L agneau (J.): 17 ss.
751; 765; 774 s.; 784; 787 s.; L agrande (J. L.): 841.
791; 825; 848; 853 s.; 878; L aharpe (J. F .): 507.
880; 904 ss.; 908; 916; 920; L aird (J.): 826.
924; 932 ss.; 934; 940 s.; 951; L akebrink (B.): 85.
957; 962; 967; 971; 974; L amarck : 387; 406.
978 s.; 982; 992; 994; 999; L ambert (J. H .): 639.
1006; 1010 s.; 1018; 1020 s.; L a M et trie (J.): 92; 99; 193;
1023ss.; 1029; 1031ss.; 1036ss.; 231; 235; 396 s.; 399; 401 s.;
1041 s.; 1046; 1054; 1060; 404; 407-411; 413 s.; 444; 452;
1067 s.; 1074; 1094-1098. 507; 516; 678; 752; 754; 985;
K app (C.): 698.
1078.
K arpp (H.): 267. L ami (F.): 210.
Ke i m (A.): 415. L amont (C.): 899 s.
K eplero (G.): 1072; 1087. L a M othe-L e -Vayer (F.): 197;
K ierkegaard (S.): 24 s.; 53; 66; 6 56; 708.
73; 95; 160; 170 ss.; 184; 255; L am ourette : 513.
293; 555; 567; 575; 611; 615; L amy (B.): 412.
664; 670; 697; 712; 717; 750; L andgrebe (L .): 773.
788; 896; 903s.; 910; 913; 917; L ange (F. A.): 92; 322; 399; 401;
935; 941 s.; 946; 962; 975; 537; 909; 916.
990; 1008; 1021; 1044; 1051; L aplace (P. S.): 103.
1065; 1084; 1091; 1100. L ’A rgens : 518.
K lem m t (A.): 300.
L attanzio: 94.
K line (G. L.): 176. L au (T. L.): 637; 640 s.
K lopstock (F.): 464.
L autréamont (L): 991.
K noblauch (K. von): 643; 645.
L avater (J. C.): 383 s.; 464.
K nudsen (R. D.): 937. L a velle (L.): 903.
K nudson (A. C.): 893.
L a V ia (V .): 73.
K nutzen (M.): 105 . ; 637 .
s s
L aw (E.): 130; 236.
K offka (K.): 1080. L echler (G. V.): 248; 256; 351;
K òhler (W.): 1080. 1100.
K ojève (A.): 661 ss. L e C lerc (J.): 151; 209.
K òrner (J.): 646. L e D antec (F.): 100.
K ortanek (A. M.): 717. L eechman (W .): 372.
K ortholt (S.): 210, 247; 256; L e e s e (K.): 549; 712.
271; 351; 638. L efe b u r e (H .): 1087.
K rause (Ch. F.): 97s.; 652; 655s. L e G rand (A.): 113 s.; 124 s.
1246 IN D IC E D EG LI A U TO R I
L eibniz (G. W.): 26; 38; 40; 50; 291; 296-312; 314 ss.; 319;
59; 73; 82; 99; 117; 119; 136; 325 ss.; 347; 372 ss.; 376; 378;
141; 149; 178; 180; 205; 229; 380 ss.; 397; 399 ss.; 413 s.;
236; 239; 250; 292; 302; 314- 417 s.; 420; 424; 431; 439 s.;
318; 321; 324; 327; 337; 340s.; 444; 448 s.; 453; 457; 483 s.;
350; 381; 399; 401 s.; 408; 421; 507 s.; 510 ss.; 515 s.; 518 s.;
445; 453; 519; 530; 534 ss.; 617; 626; 639; 641; 677;
537; 539; 546; 616; 637; 641; 752 ss.; 780; 785; 834; 842;
649; 676; 689; 753 s.; 829; 846; 848; 852 ss.; 866; 1009;
865; 880; 904s.; 916; 920; 940; 1031; 1072; 1093; 1095 ss.
966; 983; 1003; 1005s.; 1010; L ohff (W.): 941.
1021; 1029; 1031 ss.; 1054 ss.; L ombardo R adice (L.): 104.
1067 s.; 1072; 1095 s. Lossius (J. C.): 641.
L eland (J.): 248. L ovejoy (A. O.): 780.
L e l e v e l (teologo): 119. L o w i t h (K.): 635; 670; 710; 712;
Le m o in e : 518. 766; 770 s.; 928 s.; 944; 962;
L e m p p (O .): 294. 964.
L eng (J.): 378. L ucas (S. M.): 176, 211.
L enin (V. I.): 240 ss.; 404 ss.; L ucchi (B .): 175.
425; 637; 711; 741; 743-748; L ucrezio : 206; 226; 345; 412;
762; 767 s.; 772 s.; 897; 1073- 515; 517.
1079; 1083; 1087 s. L uers (A.): 333.
L eone X: 473; 503. L ukacs (G.): 603.
L eone E breo : 647. L unatscharski (A.): 746.
L eroy (A.): 335; 752. L uppo l (J. K.): 176; 431, 443.
L e R o y (E.): 235. L utero (M.): 102; 270; 575;
L e Senne (R .): 903. 679 s.; 703; 733 s.; 940; 970;
L essin es (G. de): 1070. 1097 s.
L essing (G. E.): 91; 101 s.; 190; L utgert (W .): 549.
208; 245; 338 s.; 383 s.; 427; L yon (G.): 271.
438; 523 s.; 529 s.; 535; 540;
549; 552; 558; 574 s.; 596; M ach (E.): 241; 406; 1018; 1073;
598; 613; 616s.; 626; 635; 638; 1078.
646; 682; 700; 811; 840; 916; M a c h ia v e l l i (N.): 88 s .; 375;
940 s.; 1007; 1037; 1066.
424.
L euba (J.): 798.
M a c i n t h o s (Douglas C.): 897.
L e V ayer (M.): 516.
M a g n i n o (B.): 335; 525.
L eveque (R.): 164.
M a i e r (H.): 668; 682; 684; 1022.
L évy -Bruhl (L .): 525; 528.
M a i m o n (S.): 581; 646; 1039.
L ichtenber : (G. C.): 82; 384.
M a l e b r a n c h e (N.): 38; 40; 50;
L imborch (F. van): 150; 299. 73; 113; 115-119; 125; 128 s.;
L imentani (G.): 294. 237; 239; 257; 302; 308; 399;
L indau (H.): 549; 574. 401; 408; 411; 427; 434 ss.;
L indner (H.): 464; 646 ss. 456; 474; 484; 527; 536; 676;
L ippmann (W.): 900. 1003; 1005 s.; 1009 s.; 1031 s.;
L jublinski (S.): 416. 1055; 1068; 1072; 1093; 1096;
L ocke (J.): 26; 40; 73; 93; 99; 1099.
129 s.; 130; 138 s.; 186; 196 s.; M a l e s h e r b e s (C. G.): 529.
201; 237; 239 ss.; 257 s.; 273; M a l p i g h i ( M . ) : 411; 434.
IN D ICE D EG LI A U TO RI 1247
Schelling (F. W . J.): 27; 32; 38; Sco to (D.): 20; 130; 237; 302;
59; 95; 169; 209; 524; 551 s.; 519; 962; 970.
587-599; 601; 613ss.; 622; 624 Scoto E riugena (G.): 647; 660.
ss.; 631 s.; 635; 646ss.; 650s.; Seckendorff (V. von): 106;
653; 656; 658 ss.; 671 s.; 685; Seg u ier : 517.
717-724; 727; 731 ss.; 751; Sellars (Roy W .): 899.
767; 903; 906; 908; 916; 920; Sem le r (J. S.): 384.
942; 1003; 1011; 1036; 1039 Se n eca 100; 193; 392; 638.
:
s.; 1052; 1064; 1067; 1096 s. Sen g ler (J.): 671.
Scherer (C. Ch.): 656. Senocrate : 206.
Sch iller (C. S.): 899. Senofane : 90; 96.
Sch iller (F.): 274; 563; 635; Serini (P.): 310.
700; 770. Serveto (M.): 105.
Schilling (W.): 693; 712. Sesto E m piric o : 26; 376.
Schlatter (A.): 138. S’ G ravesande : 483.
Schlechta (K.): 915; 924. Sh aftesbur y (A.): 40; 186; 196
Schlegel (D. B.): 41; 295 s. s.; 246; 248; 257; 259; 273-
Schlegel (F.): 585 . ; 589; 598;
s 279; 281 ss.; 285-296; 323 s.;
646; 658. 330; 350; 352-357; 359s.; 363;
Schleiermacher (F. D.): 23; 44 365 s; 378 s.; 424; 431 s.; 437;
ss.; 592; 600; 613 ss.; 647; 440; 442; 464; 515 s.; 518;
672; 679; 684 ss. 715 s.; 874; 626.
916; 953; 982; 1036; 1061. Sh e l l e y (P. B.): 351; 726.
Schmaus (M.): 944. Sidney (H.): 248.
Schmid (F. A.): 525; 621. Siegmund (G.): 904; 909.
Schmidt (H.): 103. Simon a v a lle : 89.
Schmidt (J. E. C.): 619. Sin e s io372. :
Schmidt (K.): 175. S k e l t o n (P.): 246; 259.
Schòfer (E.): 994. Sm ith (N. K.): 291; 328; 332.
Scholz (H.): 248; 251; 528; Snellmann (J o. W.): 32.
S n o w (C. P.): 104.
615; 653.
S o c i n o (F.): 105; 498.
Schook (M.): 131.
Socrate : 27; 65; 86; 226; 348;
Schopenhauer (A.): 19; 26; 31
s.; 47; 49; 102; 126; 812 s.; 371; 460; 537; 545 s.; 923.
Sòderblom (N): 244; 296.
903-910; 912; 915; 920; 925;
Sofocle : 95; 951.
1063 s.; 1095.
Solovine (M.): 407.
Schroder (E.): 820.
Sorley (W. R.: 263; 344.
Schuffenhauer (W .): 742. Sortais (G.): 135.
Schuller (G. H.): 148 s.; Souilhé (J.): 207.
Schulz (H.): 586. Sozomeno: 88.
Schulz (J. H.): 643 ss. Spalding (M. J.): 567.
Schulz (W.): 137; 1052. Spallanzani (L.): 515.
Schulze (G. E.): 646; 784. Spanneut (M.): 267.
Sch um peter (J.): 760. Specht (K. A.): 103.
Sch u ppe (W .): 1018 ss.; 1025. Sped alieri (N.): 230 s .
Schuring (J. H.): 801. (B.): 27; 41 ss.; 47; 50;
S p in o z a
Schuwer (L.): 964. 72; 74; 80; 86ss.; 90; 92; 96ss.;
Schw eitzer (A.): 684. 101 s.; 126; 130; 140-149; 151-
IN D ICE DEGLI AUTO RI 1251
178; 180; 186 s.; 190; 196 ss.; 706 s.; 713-717; 722; 725 s.;
201; 205-211; 215; 217 s.; 222; 730; 733; 735; 751s.; 755; 766;
226; 228s.; 237; 239; 244; 247; 769; 771; 807.
257; 261 s.; 271; 292; 302; S t r a u s s (L.): 141; 465.
311 s.; 319; 324; 329; 340; Strong (Ch. A.): 798.
342; 344; 349; 376 s.; 379 ss.; S t u a r t M i l l (J.): 785-792; 802;
393; 399ss.; 430; 443s.; 452s.; 805; 839; 841.
464; 473; 478; 482; 500; 504 S t u b e l (M. A.): 57; 639.
ss.; 513-518; 527-537; 539 ss.; S u a r e z (F.): 85; 130; 168; 519;
544; 546 s.; 557; 567; 571 s.; 539; 995.
578; 589; 591; 594; 599; 602; Sugg (E. B.): 179.
616ss.; 626; 631 ss.; 636; 638s.; Sullivan (R. J.): 373.
641; 643; 645-651; 653; 657 s.; Su lzer (J. G.): 341.
667; 673; 675 ss.; 682; 685; S u n d e r l a n d : 248.
689; 752 s.; 811; 824-828; 833; Su sini (E.): 1063.
840; 847; 854; 874; 893; 929s.; Sw if t (J.): 90.
953; 957; 961; 984; 1003; 1005 Szigeti (J.): 444.
ss.; 1009 s.; 1014; 1021; 1029
ss.; 1037; 1039; 1041 ss.; 1045;
T amburini (M.): 135.
1048-1055; 1061; 1067 s.; 1095 Ta ube (J.); 771.
s.; 1099. T auler (J o.): 656; 660.
Spitz el (Th.): 88; 105; 133 ss.
T aurello (N.): 89.
Spr eck elm eyer (H.): 1028.
T e i l h a r d d e C h a r d i n (P .): 104;
Staedelen (J o. G.): 314.
870.
Stalin (G.): 16; 772.
T e l e s io (B.): I l i ; 1066;
Staudenmaier (F. A.): 696.
T eller (W. A.): 384.
Stàudlin (C. F.): 351.
T ellia m ed : v. De M a il let .
Stefanini (L.): 84.
T e m p l e (W.): 229; 248.
S t e i n (L.): 536.
T ennemann (W. G.): 529.
Steinbart (G. S.): 384.
T eodoro di Cir en e : 90; 92; 193.
Steinbeck (W.): 549; 632.
T eofrasto : 372.
Steinbuchel (Th.): 693; 761-766.
T e r c ie r (M.): 492 s.
Stephan (H.): 567; 681.
T e r e n z io :95.
S t e p h e n (L.): 76; 139; 257; 302;
T eresa (S.): 162.
313; 325; 335; 344; 347; 356 s. T er -G eorgian (W .): 916.
S t i e h l e r (G.): 637-641.
T e r r a y (J. M.): 499.
Stilling (P. M.): 611; 659.
T e r t u l l i a n o : 94; 260; 267; 269;
Stillin g fleet (E.): 303; 310;
575.
315. T hielemann (L.): 433.
S t i l p o n e : 90; 206.
T h ie r (E.): 770.
St ir n e r (M.): 752; 768; 991; T h ijssen -Schoute (C. L .): 133.
1016. T hilo (C. A.): 655.
Stokes (W . E.): 894 ss.
T h oluck (F. A.): 44; 604; 1007.
Storkenau (S.): 231. T (Ch.): 56s.; 106; 638
h o m a s iu s
Sto sc h (F. W.): 637; 639 s. ss.; 1003.
St o u pp : 210. T homassin (L.): 113 ss.; 117 s.
Strabone: 90. T iedemann (Th.): 529.
St r a u s s(D. F.): 92; 659; 670; T illotson (J.): 370; 372; 378.
681-688; 690 ss.; 697 s.; 700; T indal (M .): 41; 246; 256; 259;
1252 IN D IC E D EG LI AUTO RI
273; 276; 320; 322; 324; 382; V a n in i (L.): 88; 90; 105; 115;
516; 518. 119; 124; 131 ss.; 186; 198;
T itiu s (A.): 1066. 319; 375 s.; 405; 478; 577.
T it o L i v i o : 219 s . ; 434. V a n L i e r (H.): 976; 985; 987.
101; H5kP2 P V a r t a n i a n (A.): 391 s.; 394; 397;
T o l a n d (J.): 41; 86; 90; 95; 101; 399; 409; 431; 435.
129; 139; 196; 211; 219 s.; 229; V a t k e (W .): 99.
246; 256s.; 259; 273, 276; 294s.; V auvenargues (L.): 437.
297; 311-318; 320 ss.; 324; V elth u ysen (L. de): 143; 149;
328; 347; 350ss.; 373s.; 378s.; 210; 540.
401; 413; 442; 446; 448; 453; V e r n iè r e (P.): 177; 205; 211;
457; 513 ss.; 518 s.; 638; 866; 437; 440 s.; 508.
1031; 1084; 1099. V e r r à ( V . ) : 529; 546.
T o l d o (P.): 499. V er ret (M.): 1075.
T o m m a s o (S.): 20; 22; 24; 35; V iano (C. A.): 297.
48; 50; 60s.; 66; 68; 70; 72 s.; Vico (G. B.): 262; 524; 545;
77; 94; 106 s.; 130; 152; 155; 635 s.
158 s.; 169 s.; 184; 204; 206; V ICOMERCATUs (Jo.): 90.
247; 249; 382; 432; 471; 475; V i c t o r : v . M a r t i n (A.).
553; 591; 599; 619; 639s.; 703; V i r e t (P.): 244.
760; 813; 817; 845; 887; 894s.; V i r g i l i o : 95.
924; 931; 948 s.; 958; 961 s.; V o e z i o (G.): 88; 93; 105; 124;
972 s.; 994 s.; 1026 ss.; 1050 s.; 131 ss.; 186; 198; 319; 375 s.;
1058; 1069 s.; 1096. 405; 478; 577.
T ònnies (F.): 270. V o g e l (H.): 1088.
T orrey (N. L.): 444. V o g t (K.): 175.
T ournemine (De): 310; 511 ss.; V o l k m a n n -S c h l u c k (K. H.): 916;
T oynbee (A. J.): 771. 919.
T rakl (G.): 953 s. V olney (C. F.): 402.
T renchard: v . D ’H olbach . V o l t a i r e (F.): 41 . ; 76; 94 s.;
s
W artofsky (M. W.): 445. W o lff (Ch.): 67; 87 s.; 174 s.;
W aterland (D.): 347. 229; 237; 408; 535; 537; 539;
W eickard (M. A.): 641. 616; 626; 1003; 1005; 1033.
W e il (S.): 990. W o l f f (E.): 275.
W ein (H.): 1009. W o lff (H. M.): 539.
W e is s e (Ch. H.): 671, 957. W olfson (H. A.): 141.
W e l t e (B.): 917. W ollaston (W.): 359; 517 s.
W erth eim er (M.): 1080. W oodward (J.): 377; 382.
W et ter (G.): 769. W oolston (T.): 246; 256; 260;
W hitehead (A. D.): 824 ss.; 828; 382; 480; 516 ss.
830; 834; 836-849; 851-861; W ordsworth (W.): 797.
864 s.; 869 s.; 875; 877; 880; W undt (M.): 539; 620 s.
882; 884; 887 ss.; 894 s.; 1095. W unsch (G.): 771.
W ieman (H. w.): 876.
W ild (J.): 294.
Y von (P.): 90.
W ildman : 248.
W il h e l m i (J. H.): 909.
W illia m s (D. D.): 858; 894. Zableh (F.): 335.
W illmann (O .): 668. Z ahrnt (H.): 943.
W ilson (D.): 353. Z arathustra : 912; 916; 920.
W indelband (W.): 99; 1022; Z art (G.): 524.
1046. Z ebenko (M. D.): 404; 415.
W irth (J.): 654. Z e l l e r (E.): 537; 658.
W obbermin (G.): 104. Z enone : 90.
W olke (C. H.): 383. Z imara (M. A.): 90.
INDICE DEI TERMINI STRANIERI
H - 770.
e il s g e s c h ic h t e I nhalt - Correlazione fra Bewus-
H e il s l e h r e - 770, 972 n. stsein e 7., 1018.
H e r a b s t e i g e n - Fichte, 5 8 0 .
H e r a u f s t e i g e n - Fichte, 5 8 0 - J en seits - Marx, 751.
H e r d e - Nietzsche, 915. J etzt - Hegel, 606.
H erz - Feuerbach, 699; Marx,
770. K a m pffeld - Marx, 762.
H ie r (das) - 2 4 2 ; H egel, 7 8 2 . K à m pfm it t el - Reding, 766.
H omme m a c h i n e - Trasformazio
K eh re - Heidegger, 959, 963 n.,
ne della Bete machine cartesiana 999.
nell’#, m. di La Mettrie: Varta K lassenkam pf - Marx, 757 n.
nian, 396, 399 n., 402, 407 ss., K osm otheism us - Jàsche, 658.
413 s.; critica di Diderot all’/;?.
m., 441. L eben - 583n.; Fichte, 625; Nietz
sche; 916, 920; Heidegger, 971.
L ebending - Schleiermacher, 615.
ICH DENKE UBERHAUPT - 25, 316; L ebendigkeit - Hegel, 1060.
soggettività sintetica dello I. <7., L ebensanschauung - Nietzsche,
339; 7. d. come negazione di 919.
ogni trascendenza: Jacobi, 343; L ebensgeist - 237.
lo I. d. kantiano e il suo influs L ebensphilo so ph ie - 289; Jacobi,
so sulPidealismo, 523 s., 543; 544; Feuerbach, 701, 904, 929.
ateismo intrinseco allo 7. d. kan L ehre - Heidegger, 968.
tiano, 551, 1009, 1031; traspo L eitvorstellung - 920.
sizione della sostanza nello 7. L iber tist es - 20.
d.ii.: Fichte, 578; critica allo L icht - Fichte, 624, 631.
I. d. kantiano: Hegel, 618 n., L ichtung - Heidegger, 993.
633; lo 7, d. u. di Marx come L ist - Bauer, 671, 681.
volontà economica, 925; lo 7.
d. come apertura alla libertà pu M achine - Cartesio, 398.
ra e integrale, 1011 s.; impor M acht - Critica di Jacobi, 342;
tanza dello 7. d. kantiano per la Marx, 400.
« priorità » eh’esso ha attribui M assgabe - Heidegger, 957.
to all’atto sul contenuto, 1029;
M aterie - Engels, 1079.
Yomnis determination. trasferito
nello 7. d. il. è la molla di pro M ensch - Der urspritngliche M .:
pulsione della dialettica hegelia Hegel, 609.
na: Baader, 1041; Karit precisa M enschsein (das) - Heidegger,
l’attività della monade come la 955.
produttività dello 7. d. u.} 1054. M ind - Locke, 301; Hume, 327;
I m p r e s s i o n s - Rapporto fra le i. Stuart Mill, 788; James, 792;
di Hume e la prehension di Morgan-Alexander, 8j2 3, 8 2 5 ;
Whitehead, 859. Whitehead, 846.
I n -d e r - W e l t - s e i n - Anticipazione M ittag - Nietzsche, 914.
in Schopenhauer dello I.-d.-W.-s. M òglichkeit - Schelling, 721.
heideggeriano, 906; Heidegger, M oralitat - Fichte, 559.
972, 1 0 2 5 ; appartenenza di M utmassung - Nietzsche, 913.
Seiende e I.-d.-W.-s. in Heideg N atur - Differenza fra Hegel e
ger, 997. Bòhme sul concetto di N., 1060.
IN D ICE D EI T E R M IN I ST R A N IER I 1259
N atural discernment - Shaftes P o u r -so i - Vicendevole negazione
bury, 291. fra p.-s. ed en-soi: Sartre, 976;
N aturphilosophie - Critica alla impossibilità dell’uomo di ope
N. di Schelling: Jacobi, 589; di rare la sintesi del binomio di
fesa di Schelling della N., 593; p.-s. ed en-soi: Sartre, 979, 987.
influsso di Goethe e Herder sul P r e h e n s i o n - Whitehead, 858.
lo spinozismo della N. di Schel P rivatsache - La religione come
ling: Lindner, 648; critica di P.: Lenin, 745.
Baader alla N., 1039 n. P rozess - Hegel, Marx, 739.
N aturw esen - Marx, 751, 761,
763, 769. Q ual - Marx, 237.
N aturw issenschaften - Dilthey,
23. R ache - Nietzsche, 920 n.
N otwendigkeit - Identificazione R a i l l e r y - Brown, 357.
nella posizione spinoziano-kan- R e a s o n - Brown, 357, 359.
tiano-idealistica di Freiheit e R elatedness - Whitehead, 852.
N.: Jacobi, 342. R e l i g i o n d e l ’h u m a n i t é - Deis
mo di sinistra e illuminismo,
O ffenbarung - Fichte, 560; Hei 48.
degger, 968. R eligionnaires - Lotta di Bayle
O hne B ew u sst sein kein Sein - ai r., 190.
Fichte, 651. R e l i g i o n s f a c t i c e s - Critica alle
O hne W e l t kein G ott - Hegel, r. /.: Naigeon, 427 ss.
591 n. R u c k g a n g - Hegel, 1047.
R ùckkehr - Hegel, 604.
P a p is m e - P. come istituzione sol R uckprall - Hegel, 957.
tanto umana e pura idolatria,
423. Sa t z - Rickert, 1024.
P ersònlichkeit - Lebendige P .: S c h e in - Hegel, 43; leeres S.:
J. H. Fichte, 656. Fichte, 623; Marx, 735; rappor
P hanomen - 42. to fra lo S. hegeliano e VAppea
P hénomène d'etre - Riduzione rance del Bradley, 805; apparte
radicale dell’essere del cogito a nenza costitutiva di S.-Sein:
p. d'é,: Sartre, 160 n., 974 s., Whitehead, 838; passaggio dal
977; ogni atto di coscienza è lo S. alla Idea in Hegel, 856;
un puro p. d'é. come manifesta Nietzsche, 926; rapporto hege
zione del nulla di coscienza che liano fra S.-Wesen-Begriff, 1041.
si attua intensificandosi nel suo Schritt zuruck - Heidegger, 961.
nulla: Merleau-Ponty, 985; rap S e i e n d e - Schelling, 720; circola
porto fra la « presenza del pre rità fra Sein-S.y S.-Dasein: Hei
sente » heideggeriana e il p. d’é. degger, 963, 998; circolarità fra
sartriano, 1013. S. e In-der-Welt-sein in Heideg
P hilosophes libertins - 256, ger, 996; Rickert, 1023.
392 n., 396, influsso di Cartesio Sein - Dio come das S. als S., 7 0 ;
sui p. L, 431 n., 439, 442; ac Fichte, 581 s., 624; S. sinonimo
cusa contro i p. /., 515 s. (La- di Leben: Fichte, 583 n.; S. kan
mourette), 517 s. (Vaisecchi). tiano, 584; Dio come S. della
P opularphilosophie - Polemica immediatezza: Schleiermacher,
di Fichte con la P., 565 n., 620. 616; rapporto fra S.-Dasein in
1260 IN D IC E D EI T E R M IN I S T R A N IE R I
Pag.
Prefazione 9
APPENDICI . . . . 86
Pag.
2. Panteismo e ateismo nella metafisica spinoziana 140
3. Religione, moralità e ateismo in P. Bayle 179
APPENDICI . 207
A P P E N D I C I ............................................................................................................... 353
1. La confutazione del naturalismo di Shaftesbury nell’opera
di B u t l e r ........................................................................................... 353
2. La critica a Shaftesbury di J. Brown 356
3. Preghiera a Dio di Shaftesbury . 366
4. Collins e il libero pensiero 369
5. Deismo e ateismo in Hume 372
INDICE GENERALE 1265
Pag.
6. Deismo e reazione teologica (le « Boyle’s Lectures») 373
7. La critica cattolica al deismo (Vaisecchi) • 380
8. Deismo e ateismo nella critica di Lavater . . 383
APPENDICI . 477
Pag.
A P P E N D I C I ............................................................................................................... 637
1. Precursori dell’ateismo in Germania all’epoca dell’illumi
nismo . . . . ......................................................... 637
2. «Precursori di Forberg » . . 641
3. Schlegel, Goethe, Herder eS p in o za .................................... 646
4. L ’ateismo spinoziano e la struttura dell’idealismo trascen
dentale ( F i c h t e ) ................................................................................. 648
.
5. Intorno allo sviluppo della filosofia religiosa di Fichte 652
6. L ’ambiguità e il criptoateismo della teologia di Hegel . 656
7. Sulla critica di von Baader allo spinozismo hegeliano . 659
8. L ’ateismo antropologico di Hegel nell’esegesi contempora- *
nea ( K o j è v e ) ................................................................................ 661
9. Herbarth e l’accusa di ateismo . 664
Pag.
APPENDICI . . . . . 892
APPENDICE . 996
1. La natura e il « Sacro » secondo Heidegger 996
CONCLUSIONE . 1089
1. Immanenza e ateismo: due termini e un destino 1091
1268 IN D IC E G EN ER A LE
INDICI
1. Indice degli argomenti . 1103
2. Indice degli autori . . . 1237
3. Indice dei termini stranieri . 1255
FINITO DI STAMPARE NEL NOVEMBRE 1969
PRESSO LA S.P.A. TIP. « CREMONA NUOVA » - CREMONA