Sei sulla pagina 1di 43

V. Una disputa con Norton.

Una
discussione accanto al frigorifero
delle birre. Verifica

Jim e il suo buon amico Myron


erano subito dietro la porta, ciascuno
con una Budweiser in pugno. Guar-
dai Billy, vidi che era ancora addor-
mentato e lo coprii con il panno. Lui
si agitò un po', mormorò qualcosa,
poi si rimise tranquillo. Guardai l'o-
rologio. Erano le dodici e un quarto.
Mi parve assolutamente impossibile;
sembrava che fossero passate almeno
cinque ore da quando ero entrato per
la prima volta lì dentro a cercare
qualcosa con cui coprirlo, invece tut-
ta la faccenda, dall'inizio alla fine,
aveva preso solo poco più di mezz'o-
ra.
Tornai dove si trovava Ollie con
Jim e Myron. Ollie aveva preso una
birra e me ne offrì una. Io la presi e
ne ingoiai mezza lattina in un sorso,
come avevo fatto quella mattina ta-
gliando la legna. Mi sentii un po' ri-
sollevato.
Jim era Jim Grondin. Il cognome
di Myron era LaFleur - il che aveva
qualcosa di ridicolo. Myron il Fiore
aveva del sangue secco sulle labbra,
sul mento e sulla guancia. L'occhio
aveva già cominciato a gonfiarsi. La
ragazza con il maglione color mirtil-
lo ci passò accanto e lanciò a Myron
uno sguardo cauto. Avrei potuto dir-
le che Myron era pericoloso solo per
i ragazzini intenti a dimostrare la lo-
ro virilità, ma risparmiai il fiato. Do-
potutto, Ollie aveva ragione - aveva-
no fatto solo quello che pensavano
fosse la cosa migliore, sia pure in un
modo cieco, terrorizzato, senza tener
d'occhio alcun interesse comune. E
ora io avevo bisogno che facessero
quello che io pensavo che fosse la
cosa migliore. Non credevo che sa-
rebbe stato un problema. Avevano
perso tutti e due la voglia di fare i
gradassi. Nessuno dei due - soprat-
tutto Myron il Fiore - sarebbe servito
a molto per il prossimo futuro. Un
qualcosa che c'era nei loro occhi
quando stavano organizzando di
mandare Norm fuori a sturare il con-
dotto dello scappamento, ora era
scomparso. Avevano abbassato la
cresta.
«Dobbiamo dire qualcosa a questa
gente», dissi io.
Jim aprì la bocca per protestare.
«Ollie e io non faremo cenno alla
parte che avete avuto tu e Myron nel
mandar fuori Norm, se voi appogge-
rete quello che lui e io diremo su...
be', su quello che l'ha preso.»
«Certo», dichiarò Jim, con una
fretta penosa. «Certo, se non lo di-
ciamo, la gente vorrebbe uscire lì
fuori... come quella donna... quella
donna che...» Si passò la mano sulla
bocca e poi bevve in fretta altra bir-
ra. «Cristo, che casino.»
«David», disse Ollie. «Cosa...»
S'interruppe, poi si costrinse a conti-
nuare. «Cosa succede se entrano? I
tentacoli?»
«Come potrebbero?» chiese Jim.
«Voi avete chiuso la porta.»
«Certo», annuì Ollie. «Ma tutta la
parete anteriore di questo posto è di
vetro.»
Un ascensore mi piombò sullo
stomaco da venti piani. Già lo sape-
vo, ma in qualche modo ero riuscito
a ignorarlo. Guardai di nuovo dove
Billy stava dormendo. Pensai a quei
tentacoli che brulicavano su Norm.
Pensai che la stessa cosa poteva ac-
cadere a Billy.
«Lastre di vetro», mormorò
Myron LaFleur. «Gesù Cristo!»
Lasciai i tre accanto al frigorifero,
ognuno a farsi una seconda lattina di
birra, e andai a cercare Brent Norton.
Lo trovai immerso in una solenne
conversazione con Bud Brown alla
cassa numero due. La coppia - Nor-
ton con i suoi capelli grigi dal taglio
elegante e il bell'aspetto da vecchio
stallone, Brown con il suo muso ar-
cigno da New England - sembrava
uscita da una vignetta del New Yor-
ker.
Più di una ventina di persone si
aggiravano inquiete nello spazio tra
la fine delle corsie delle casse e il
lungo finestrone. Molte di loro erano
allineate lungo la vetrata e guardava-
no fuori nella nebbia. Mi venne di
nuovo in mente la gente che si radu-
na attorno ai cantieri.
La signora Carmody era seduta sul
tappeto mobile fermo di una delle
casse e fumava una Parliament in
uno di quei bocchini per smettere di
fumare. I suoi occhi mi misurarono,
mi trovarono carente e passarono ol-
tre. Pareva che stesse sognando a oc-
chi aperti.
«Brent», lo chiamai.
«David! Dov'eri finito?»
«Vorrei parlarti proprio di que-
sto.»
«C'è della gente accanto al frigori-
fero che beve birra», annunciò cupo
Brown. Pareva uno che stesse rac-
contando che alla festa del diacono si
proiettavano film porno. «Li vedo
nello specchio di sicurezza. Questa
cosa deve finire.»
«Brent?»
«Vuole scusarmi per un attimo,
signor Brown?»
«Certamente.» Incrociò le braccia
sul petto e fissò bieco lo sguardo nel-
lo specchio convesso. «E finirà, ve lo
prometto.»
Norton e io ci dirigemmo verso il
frigorifero delle birre nell'angolo in
fondo al negozio, passando accanto
ai prodotti per la casa e agli articoli
di merceria. Lanciai un'occhiata die-
tro di me, notando a disagio che le
strisce di legno che incorniciavano le
alte lastre rettangolari di vetro erano
scheggiate e ritorte. E uno dei vetri
non era neppure intero, mi ricordai.
Uno spicchio di vetro era caduto
dall'angolo in alto nel momento in
cui si era sentito quel tonfo inspiega-
bile. Forse potevamo otturarlo con
della stoffa, con qualcosa - magari
con una manciata di quei top da tre
dollari e cinquantanove che avevo
notato accanto al vino...
Il pensiero si interruppe di botto e
dovetti portarmi la mano alla bocca
come per soffocare un rutto. Quello
che in realtà stavo soffocando era il
flusso acido di risolini terrorizzati
che cercavano di sfuggirmi all'idea di
piazzare una manciata di camicette
in un buco per tener fuori quei tenta-
coli che si erano portati via Norm.
Avevo visto uno di quei tentacoli -
uno di quelli piccoli - schiacciare un
sacco di cibo per cani finché quello
semplicemente non era scoppiato.
«David? Tutto bene?»
«Eh?»
«La faccia che hai fatto! Sembrava
che ti fosse appena venuta una ma-
gnifica idea o una maledettamente
spaventosa.»
Allora qualcosa mi colpì. «Brent,
che fine ha fatto quell'uomo che è
entrato gridando che qualcosa nella
nebbia si era portato via John Lee
Frovin?»
«Quello con il naso sanguinante?»
«Sì, lui.»
«È svenuto e il signor Brown lo ha
fatto rinvenire con dei sali presi
dall'armadietto del pronto soccorso.
Perché?»
«Ha detto altro quando si è risve-
gliato?»
«Ha ricominciato con quell'alluci-
nazione. Il signor Brown lo ha porta-
to su nell'ufficio. Stava spaventando
le donne. Ma sembrava piuttosto
contento di andarci. Qualcosa a pro-
posito del vetro. Quando il signor
Brown gli ha detto che c'era solo una
finestrella nell'ufficio della direzione
e che era tutta rinforzata con il fil di
ferro, sembrava abbastanza contento
di andarci. Immagino che sia ancora
lì.»
«Quello di cui parlava non era
un'allucinazione.»
«No, certo no.»
«E quel tonfo che abbiamo senti-
to?»
«No, ma, David...»
È spaventato, continuavo a dirmi.
Non dargli addosso, ti sei già preso
stamattina la tua soddisfazione ed è
sufficiente. Non dargli addosso solo
perché lui faceva così durante quella
stupida lite sul limite di proprietà...
prima paternalistico, poi sarcastico e
infine, quando fu chiaro che avrebbe
perso, cattivo. Non dargli addosso
perché avrai bisogno di lui. Magari
non è capace di mettere in moto la
sua sega, ma ha l'aria della figura pa-
terna del mondo occidentale e se lui
dice alla gente di non lasciarsi pren-
dere dal panico, quelli non si lascia-
no prendere. Quindi non dargli ad-
dosso.
«La vedi quella doppia porta là in
fondo dietro il frigorifero delle bir-
re?»
Lui guardò, accigliato. «Uno di
quegli uomini che stanno bevendo
non è l'altro vicedirettore? Weeks?
Se Brown lo vede, posso assicurarti
che quell'uomo dovrà ben presto cer-
carsi un nuovo lavoro.»
«Brent, vuoi ascoltarmi?»
Lui mi guardò con aria assente.
«Che dicevi, Dave? Scusa, mi di-
spiace.»
Mai quanto gli sarebbe ben presto
dispiaciuto. «Vedi quelle porte?»
«Sì, certo che le vedo. E allora?»
«Danno sulla zona di deposito che
corre lungo tutta la facciata occiden-
tale della costruzione. Billy si era
addormentato e io ero andato lì den-
tro per vedere se riuscivo a trovare
qualcosa con cui coprirlo...»
Gli dissi tutto, lasciando fuori solo
la discussione su Norm, se dovesse
andare o meno. Gli dissi che cosa era
entrato... e infine, che cosa era usci-
to, urlando. Brent Norton rifiutò di
crederci. No - rifiutò anche di acco-
glierlo nella mente. Lo portai da Jim,
Ollie e Myron. Tutti e tre conferma-
rono la storia, anche se Jim e Myron
il Fiore erano a buon punto con la lo-
ro sbronza.
Di nuovo, Norton rifiutò di cre-
derci e anche di accogliere l'idea.
Semplicemente si rifiutò. «No», e-
sclamò. «No, no, no. Scusatemi, si-
gnori, ma è una cosa assolutamente
ridicola. O mi state prendendo in gi-
ro» - ci rivolse un abbagliante sorriso
paterno per mostrarci che sapeva ac-
cettare lo scherzo come chiunque al-
tro - «oppure soffrite di una qualche
forma di ipnosi di gruppo.»
Sentii che stavano di nuovo per
saltarmi i nervi, ma li controllai. Non
credo di essere uno che si accende
con facilità, ma queste non erano cir-
costanze normali. Avevo Billy a cui
pensare, e quello che stava succe-
dendo - o che già era successo - a
Stephanie. Quelle cose continuavano
a tormentarmi senza posa nel fondo
della mente.
«Sta bene», dissi. «Andiamo là
dentro. C'è un pezzo di tentacolo sul
pavimento. La porta lo ha tagliato
via quando è venuta giù. E puoi sen-
tirli. Stanno strisciando su tutta la
porta. Sembra il vento tra l'edera.»
«No», disse con calma.
«Cosa?» Pensai davvero di averlo
frainteso. «Che cos'hai detto?»
«Ho detto no, non ho intenzione di
venire lì dietro. Lo scherzo è durato
fin troppo.»
«Brent, ti giuro che non è uno
scherzo.»
«Ma certo che lo è», scattò lui. Lo
sguardo gli corse su Jim, su Myron,
si fermò brevemente su Ollie Weeks,
che lo sostenne impassibile, e infine
tornò su di me. «Questo probabil-
mente è quello che voi locali chia-
mate 'un vero scherzo da sgana-
sciarsi'. Vero, David?»
«Brent... guarda...»
«No, guarda tu!» La sua voce co-
minciò ad alzarsi verso un tono da
tribunale. Veniva fuori molto, molto
bene e un buon numero delle persone
che stavano aggirandosi nei dintorni,
tese e senza meta, guardarono per
vedere cosa stava succedendo. Nor-
ton continuava a piantarmi il dito
addosso mentre parlava. «È uno
scherzo. È una buccia di banana e io
sono quello che dovrebbe scivolarci
su. Nessuno di voialtri va proprio
pazzo per quelli di fuori città, ho ra-
gione? Vioaltri andate tutti molto
d'accordo. La stessa cosa che è suc-
cessa quando ti ho trascinato in tri-
bunale per avere quello che era mio
di diritto. Tu quella volta hai vinto,
va bene. Perché no? Tuo padre era
l'artista famoso e questa è la tua città.
Io pago solo le tasse e spendo i soldi
qui!»
Ora non stava più recitando, non
aveva più quella voce da tribunale;
stava quasi urlando ed era sul punto
di perdere il controllo. Ollie Weeks
si girò e si allontanò, stringendo la
sua lattina di birra. Myron e il suo
amico Jim fissavano Norton con a-
perto sbalordimento.
«Io dovrei andare lì dentro e tro-
vare qualche scherzo di gomma da
novantotto centesimi, mentre questi
due zotici se ne stanno in giro a
rompersi il culo dalle risate?»
«Ehi, attento a chi chiami zotico»,
intervenne Myron.
«Sono contento che quell'albero
sia caduto sulla tua rimessa, se vuoi
saperlo. Contento.» Norton ghignava
come impazzito verso di me. «L'ha
fatta a pezzi niente male, no? Fanta-
stico. Ora togliti dai piedi.»
Cercò di spingermi via per passa-
re. Lo afferrai per il braccio e lo sca-
raventai contro il frigorifero. Una
donna gracchiò di sorpresa. Due con-
fezioni da sei Bud si rovesciarono.
«Sturati bene le orecchie e ascol-
tami, Brent. Ci sono delle vite in
gioco. Non ultima quella di mio fi-
glio. Per cui ascoltami o ti giuro che
ti faccio il culo.»
«Vai avanti», mi sfidò Norton, an-
cora con quel sorriso di tracotanza
congelato sulla faccia. Gli occhi, i-
niettati di sangue e sbarrati, gli spor-
gevano dalle orbite. «Fai vedere a
tutti come sei grande e coraggioso, a
picchiare un uomo con il cuore in
cattive condizioni e tanto vecchio
che potrebbe essere tuo padre.»
«Dagliele lo stesso!» esclamò Jim.
«Fregatene delle condizioni del suo
cuore. Sono sicuro che un avvocatic-
chio di New York da quattro soldi
come lui non ce l'ha nemmeno un
cuore.»
«Tu non immischiarti», dissi a
Jim, e poi mi misi faccia a faccia con
Norton. Eravamo a distanza di bacio,
se avessi avuto questo in mente. Il
frigorifero era spento, ma emanava
ancora aria fredda. «Smettila di alza-
re polvere. Lo sai benissimo che sto
dicendo la verità.»
«Io non so... niente... del genere»,
ansimò lui.
«Se fossimo in un altro momento,
in un altro luogo, ti lascerei perdere.
Non mi importa quanto sei spaventa-
to e non ho intenzione di segnare dei
punti. Sono spaventato anch'io. Ma
ho bisogno di te, maledizione! Riesci
a capirlo? Ho bisogno di te!»
«Lasciami andare!»
Lo afferrai per la camicia e lo
scossi. «Possibile che non capisci
niente? La gente comincerà ad an-
darsene e a finire diritta in quella ro-
ba là fuori! Per l'amor di Dio, non
capisci?»
«Lasciami andare!»
«Non ti lascio finché non vieni là
dietro con me e non vedi tu stesso.»
«Te l'ho già detto, no! È tutto un
trucco, uno scherzo, non sono lo stu-
pido per cui mi prendete...»
«Allora ti ci trascinerò io.»
Lo afferrai per la spalla e per la
collottola. La cucitura della camicia
sotto un braccio si lacerò rumorosa-
mente. Lo tirai verso la doppia porta.
Norton mandò un grido infelice. Un
gruppo di persone, quindici o diciot-
to, si erano raccolte intorno a noi, ma
si tenevano a distanza. Nessuno dava
segni di voler intervenire.
«Aiutatemi!» gridava Norton. Gli
occhi gli sporgevano dietro gli oc-
chiali. I capelli ben pettinati erano di
nuovo in disordine e formavano due
piccoli ciuffi dietro le orecchie. La
gente strusciava i piedi e osservava.
«Cos'hai da gridare?» gli dissi
all'orecchio. «È solo uno scherzo,
no? È per questo che ti ho portato in
paese quando tu hai chiesto di venire
ed è per questo che ti ho affidato
Billy nel parcheggio - perché avevo
pronta tutta questa nebbia, avevo no-
leggiato una macchina da nebbia a
Hollywood, mi è costata quindicimi-
la dollari e altri ottomila per portarla
qui, tutto per potermi pagare uno
scherzo da fare a te. Smettila di
prenderti in giro e apri gli occhi!»
«Lasciami... andare!» urlò Norton.
Eravamo quasi arrivati alla porta.
«Ehi, ehi! Che cos'è? Che state fa-
cendo?»
Era Brown. Si fece spazio a gomi-
tate attraverso la folla di spettatori.
«Gli dica di lasciarmi andare», lo
scongiurò Norton con voce rauca. «È
pazzo.»
«No. Non è pazzo. Vorrei che lo
fosse, ma non lo è.» Questo era Ol-
lie, e avrei voluto benedirlo. Venne
dietro di noi facendo il giro del cor-
ridoio e si mise di fronte a Brown.
Gli occhi di Brown caddero sulla
birra che Ollie teneva in mano. «Stai
bevendo !» disse, e la sua voce era
sorpresa ma non del tutto priva di
piacere. «Perderai il posto per que-
sto.»
«Andiamo, Bud», dissi io, la-
sciando andare Norton. «Questa non
è una situazione normale.»
«I regolamenti non cambiano», ri-
spose Brown cupamente. «Ci pense-
rò io a farlo sapere alla compagnia.
Questa è responsabilità mia.»
Norton, nel frattempo, era sguscia-
to via e stava a una certa distanza,
cercando di raddrizzarsi la camicia e
di rimettersi a posto i capelli. Il suo
sguardo passava nervosamente da
Brown a me.
«Ehi!» gridò Ollie d'un tratto, al-
zando la voce e producendo un tuono
basso che non avrei mai sospettato in
quell'uomo grosso, ma molle e poco
appariscente. «Ehi! Tutti voi qui nel
negozio! Voglio che veniate tutti qui
in fondo a sentire questo! Vi riguar-
da tutti!» Mi guardò fisso, ignorando
completamente Brown. «Vado be-
ne?»
«Bene.»
La gente cominciò a radunarsi. Il
gruppetto originario di spettatori che
aveva assistito alla mia discussione
con Norton raddoppiò, poi triplicò.
«C'è una cosa che è meglio che
sappiate...» iniziò Ollie.
«Metti immediatamente giù quella
birra», ringhiò Brown.
«Chiudi tu immediatamente quella
bocca», dissi io e feci un passo verso
di lui.
Brown ristabilì le distanze con un
passo indietro. «Non so voialtri che
cosa pensate di fare, ma vi assicuro
che sarà riferito alla Federal Foods
Company! Sarà riferito tutto! E vo-
glio che sappiate... potrebbero esser-
ci delle denunce!» Le labbra gli si
sollevavano nervosamente sui denti
giallastri e arrivai addirittura a senti-
re simpatia per lui. Cercava di soste-
nere la situazione; questo era tutto
ciò che stava facendo. Come Norton,
che ci provava imponendosi un ba-
vaglio mentale di ordine. Myron e
Jim ci avevano provato trasformando
tutta la faccenda in una gara di virili-
tà - se si riusciva a riparare il genera-
tore, la nebbia se ne sarebbe andata
via. Questa era la tecnica di Brown.
Lui... stava proteggendo il Negozio.
«Allora», lo sfidai, «vai avanti e
prendi i nomi. Ma fai il favore di non
parlare.»
«Altro che se ne prenderò di no-
mi», rispose lui. «Il tuo sarà in cima
alla lista. Tu... tu bohémien.»
«Il signor David Drayton ha qual-
cosa da dirvi», annunciò Ollie, «e
credo che farete meglio a stare a sen-
tire, nel caso stiate pensando di an-
darvene a casa.»
E così raccontai quello che era
successo, come lo avevo raccontato a
Norton. All'inizio ci furono delle ri-
sate, poi a mano a mano che arrivavo
verso la fine un disagio sempre più
profondo.
«È una menzogna, lo sapete be-
ne», affermò Norton. Aveva mirato a
un'enfasi spinta, ma era sfociato nel-
lo stridulo. Quello era l'uomo a cui lo
avevo detto per primo, sperando di
tirare dalla mia la sua credibilità.
Bell'autogol.
«Certo che è una bugia», conven-
ne Brown. «È una cosa da sballati.
Da dove pensa che venissero quei
tentacoli, signor Drayton?»
«Non lo so, e a questo punto non è
questo l'importante. Sono lì. Sono...»
«Ho il sospetto che siano venute
fuori da qualche lattina di birra. Que-
sto è quello che sospetto io.»
La battuta suscitò qualche risata di
apprezzamento. Ma le risate furono
zittite dalla forte e rauca voce della
signora Carmody.
«Morte!» gridò, e quelli che sta-
vano ridendo tornarono rapidamente
in sé.
Si mise in mezzo al cerchio che si
era formato, con i pantaloni color
canarino che parevano emettere una
luce propria. Saettò in giro uno
sguardo arrogante, due occhi neri
acuti e scintillanti come quelli di una
gazza. Due belle ragazze di una
quindicina d'anni con CAMP
WOODLANDS scritto dietro le ma-
gliette bianche arretrarono di un pas-
so.
«Voi ascoltate, ma non sentite!
Sentite, ma non credete! Chi di voi
vuole uscire e andare a vedere di
persona?» I suoi occhi fecero il giro
dei presenti e poi caddero su di me.
«E lei, signor David Drayton, lei che
cosa propone di fare? Cosa pensa
che possiamo fare?» Sorrise, con un
ghigno da teschio sopra il suo abito
canarino. «È la fine, ve lo dico io. La
fine di tutto. È il giorno del giudizio.
Il dito ha scritto, non con il fuoco,
ma con linee di nebbia. La terra si è
aperta e ha vomitato i suoi abomi-
ni...»
«Non potete farla star zitta?»
scoppiò una delle ragazzine. Era sul
punto di mettersi a piangere. «Mi fa
paura!»
«Hai paura, cara?» chiese la si-
gnora Carmody e si volse verso di
lei. «Non hai ancora paura, no. Ma
quando le lerce creature sguinzaglia-
te sulla faccia della terra verranno a
cercarti...»
«Basta adesso, signora Carmody»,
esclamò Ollie, prendendola per un
braccio. «Così è sufficiente.»
«Mi lasci stare. È la fine, ve lo di-
co io! È la morte! Morte!»
«È un mucchio di merda», disse
disgustato un uomo con un cappello
da pescatore e gli occhiali.
«No, signori», intervenne Myron.
«Lo so che sembra un sogno di un
drogato, ma è la verità pura e sem-
plice. L'ho vista io stesso.»
«Anch'io», confermò Jim.
«E io», intervenne Ollie. Era riu-
scito a far tacere la signora Carmody,
almeno per un momento. Ma lei era
sempre lì, stretta alla sua grande bor-
sa e sorridendo con quel suo ghigno
folle. Nessuno voleva starle troppo
vicino - mormoravano tra loro, poco
contenti di quella conferma. Alcuni
guardavano il grande finestrone con
un'aria incerta, assorta. Mi fece pia-
cere vederlo.
«Bugie», ripeté Norton. «State
mentendo tutti. Questo è quanto.»
«Quello che state dicendo è asso-
lutamente incredibile», disse Brown.
«Non c'è bisogno di starcene qui a
rimuginarci sopra», ribattei. «Venga
nell'area del magazzino con me. Dia
un'occhiata e stia ad ascoltare.»
«Ai clienti è vietato l'ingresso...»
«Bud», disse Ollie, «vai con lui.
Sistema una volta per tutte questa
faccenda.»
«Sta bene», decise Brown. «Si-
gnor Drayton? Andiamo a sistemare
questa stupidaggine.»
Ci immergemmo nel buio attra-
verso la doppia porta.
Il rumore era spiacevole, forse
maligno.
Anche Brown lo sentì, nonostante
tutto il suo atteggiamento da yankee
dalla testa dura; immediatamente la
sua mano mi si strinse al braccio, il
respiro gli si bloccò per un momento
e poi riprese più roco.
Era un lungo suono bisbigliato
proveniente dalla direzione della
porta di carico: un suono quasi ca-
rezzevole. Saggiai delicatamente con
il piede il terreno intorno e finalmen-
te toccai una delle pile. Mi chinai, la
raccolsi e l'accesi. La faccia di
Brown era tesa e non li aveva neppu-
re visti: li aveva solo sentiti. Ma io
avevo visto e li potevo immaginare
mentre si contorcevano arrampican-
dosi sulla superficie di acciaio ondu-
lato della porta come un rampicante
vivo.
«Cosa ne pensa adesso? Comple-
tamente incredibile?» Brown si leccò
le labbra e guardò la confusione di
scatole e sacchi. «Sono stati loro?»
«In parte. La maggior parte. Ven-
ga qui.»
Lui venne, riluttante. Puntai il fa-
scio di luce sul pezzo di tentacolo
avvizzito e ricurvo, che giaceva an-
cora accanto alla scopa. Brown gli si
chinò sopra. «Non lo tocchi», gli
consigliai. «Potrebbe essere ancora
vivo.»
Si raddrizzò in fretta. Io presi la
scopa dalla parte dello spazzolone e
toccai il tentacolo. Il terzo o quarto
colpo lo fece distendere lentamente
rivelando due ventose intere e un
pezzo della terza. Poi il troncone si
ravvolse di nuovo con la velocità di
un muscolo e rimase immobile.
Brown fece un verso soffocato, di di-
sgusto.
«Visto abbastanza?»
«Sì», disse. «Andiamocene.»
Seguimmo la luce oscillante fino
alla doppia porta e la superammo.
Tutte le facce si girarono verso di noi
e il brusio della conversazione cessò.
La faccia di Norton aveva il colore
del formaggio vecchio. Gli occhi ne-
ri della signora Carmody scintillava-
no. Ollie beveva birra; sul viso gli
scorrevano ancora gocce di sudore,
anche se nel supermercato si era fat-
to piuttosto freddo. Le due ragazze
quindicenni con CAMP
WOODLANDS sulle magliette era-
no stretta l'una all'altra come puledri
prima di un temporale. Occhi. Tanti
occhi. Potevo dipingerli, pensai con
un brivido. Niente facce, solo occhi
nel buio. Potevo dipingerli, ma nes-
suno avrebbe mai creduto che erano
la realtà.
Bud Brown intrecciò davanti a sé
con aria compassata le mani dalle
lunghe dita. «Gente», annunciò. «A
quanto pare abbiamo un problema di
una certa gravità, qui.»

Potrebbero piacerti anche