Una discussione accanto al frigorifero delle birre. Verifica
Jim e il suo buon amico Myron
erano subito dietro la porta, ciascuno con una Budweiser in pugno. Guar- dai Billy, vidi che era ancora addor- mentato e lo coprii con il panno. Lui si agitò un po', mormorò qualcosa, poi si rimise tranquillo. Guardai l'o- rologio. Erano le dodici e un quarto. Mi parve assolutamente impossibile; sembrava che fossero passate almeno cinque ore da quando ero entrato per la prima volta lì dentro a cercare qualcosa con cui coprirlo, invece tut- ta la faccenda, dall'inizio alla fine, aveva preso solo poco più di mezz'o- ra. Tornai dove si trovava Ollie con Jim e Myron. Ollie aveva preso una birra e me ne offrì una. Io la presi e ne ingoiai mezza lattina in un sorso, come avevo fatto quella mattina ta- gliando la legna. Mi sentii un po' ri- sollevato. Jim era Jim Grondin. Il cognome di Myron era LaFleur - il che aveva qualcosa di ridicolo. Myron il Fiore aveva del sangue secco sulle labbra, sul mento e sulla guancia. L'occhio aveva già cominciato a gonfiarsi. La ragazza con il maglione color mirtil- lo ci passò accanto e lanciò a Myron uno sguardo cauto. Avrei potuto dir- le che Myron era pericoloso solo per i ragazzini intenti a dimostrare la lo- ro virilità, ma risparmiai il fiato. Do- potutto, Ollie aveva ragione - aveva- no fatto solo quello che pensavano fosse la cosa migliore, sia pure in un modo cieco, terrorizzato, senza tener d'occhio alcun interesse comune. E ora io avevo bisogno che facessero quello che io pensavo che fosse la cosa migliore. Non credevo che sa- rebbe stato un problema. Avevano perso tutti e due la voglia di fare i gradassi. Nessuno dei due - soprat- tutto Myron il Fiore - sarebbe servito a molto per il prossimo futuro. Un qualcosa che c'era nei loro occhi quando stavano organizzando di mandare Norm fuori a sturare il con- dotto dello scappamento, ora era scomparso. Avevano abbassato la cresta. «Dobbiamo dire qualcosa a questa gente», dissi io. Jim aprì la bocca per protestare. «Ollie e io non faremo cenno alla parte che avete avuto tu e Myron nel mandar fuori Norm, se voi appogge- rete quello che lui e io diremo su... be', su quello che l'ha preso.» «Certo», dichiarò Jim, con una fretta penosa. «Certo, se non lo di- ciamo, la gente vorrebbe uscire lì fuori... come quella donna... quella donna che...» Si passò la mano sulla bocca e poi bevve in fretta altra bir- ra. «Cristo, che casino.» «David», disse Ollie. «Cosa...» S'interruppe, poi si costrinse a conti- nuare. «Cosa succede se entrano? I tentacoli?» «Come potrebbero?» chiese Jim. «Voi avete chiuso la porta.» «Certo», annuì Ollie. «Ma tutta la parete anteriore di questo posto è di vetro.» Un ascensore mi piombò sullo stomaco da venti piani. Già lo sape- vo, ma in qualche modo ero riuscito a ignorarlo. Guardai di nuovo dove Billy stava dormendo. Pensai a quei tentacoli che brulicavano su Norm. Pensai che la stessa cosa poteva ac- cadere a Billy. «Lastre di vetro», mormorò Myron LaFleur. «Gesù Cristo!» Lasciai i tre accanto al frigorifero, ognuno a farsi una seconda lattina di birra, e andai a cercare Brent Norton. Lo trovai immerso in una solenne conversazione con Bud Brown alla cassa numero due. La coppia - Nor- ton con i suoi capelli grigi dal taglio elegante e il bell'aspetto da vecchio stallone, Brown con il suo muso ar- cigno da New England - sembrava uscita da una vignetta del New Yor- ker. Più di una ventina di persone si aggiravano inquiete nello spazio tra la fine delle corsie delle casse e il lungo finestrone. Molte di loro erano allineate lungo la vetrata e guardava- no fuori nella nebbia. Mi venne di nuovo in mente la gente che si radu- na attorno ai cantieri. La signora Carmody era seduta sul tappeto mobile fermo di una delle casse e fumava una Parliament in uno di quei bocchini per smettere di fumare. I suoi occhi mi misurarono, mi trovarono carente e passarono ol- tre. Pareva che stesse sognando a oc- chi aperti. «Brent», lo chiamai. «David! Dov'eri finito?» «Vorrei parlarti proprio di que- sto.» «C'è della gente accanto al frigori- fero che beve birra», annunciò cupo Brown. Pareva uno che stesse rac- contando che alla festa del diacono si proiettavano film porno. «Li vedo nello specchio di sicurezza. Questa cosa deve finire.» «Brent?» «Vuole scusarmi per un attimo, signor Brown?» «Certamente.» Incrociò le braccia sul petto e fissò bieco lo sguardo nel- lo specchio convesso. «E finirà, ve lo prometto.» Norton e io ci dirigemmo verso il frigorifero delle birre nell'angolo in fondo al negozio, passando accanto ai prodotti per la casa e agli articoli di merceria. Lanciai un'occhiata die- tro di me, notando a disagio che le strisce di legno che incorniciavano le alte lastre rettangolari di vetro erano scheggiate e ritorte. E uno dei vetri non era neppure intero, mi ricordai. Uno spicchio di vetro era caduto dall'angolo in alto nel momento in cui si era sentito quel tonfo inspiega- bile. Forse potevamo otturarlo con della stoffa, con qualcosa - magari con una manciata di quei top da tre dollari e cinquantanove che avevo notato accanto al vino... Il pensiero si interruppe di botto e dovetti portarmi la mano alla bocca come per soffocare un rutto. Quello che in realtà stavo soffocando era il flusso acido di risolini terrorizzati che cercavano di sfuggirmi all'idea di piazzare una manciata di camicette in un buco per tener fuori quei tenta- coli che si erano portati via Norm. Avevo visto uno di quei tentacoli - uno di quelli piccoli - schiacciare un sacco di cibo per cani finché quello semplicemente non era scoppiato. «David? Tutto bene?» «Eh?» «La faccia che hai fatto! Sembrava che ti fosse appena venuta una ma- gnifica idea o una maledettamente spaventosa.» Allora qualcosa mi colpì. «Brent, che fine ha fatto quell'uomo che è entrato gridando che qualcosa nella nebbia si era portato via John Lee Frovin?» «Quello con il naso sanguinante?» «Sì, lui.» «È svenuto e il signor Brown lo ha fatto rinvenire con dei sali presi dall'armadietto del pronto soccorso. Perché?» «Ha detto altro quando si è risve- gliato?» «Ha ricominciato con quell'alluci- nazione. Il signor Brown lo ha porta- to su nell'ufficio. Stava spaventando le donne. Ma sembrava piuttosto contento di andarci. Qualcosa a pro- posito del vetro. Quando il signor Brown gli ha detto che c'era solo una finestrella nell'ufficio della direzione e che era tutta rinforzata con il fil di ferro, sembrava abbastanza contento di andarci. Immagino che sia ancora lì.» «Quello di cui parlava non era un'allucinazione.» «No, certo no.» «E quel tonfo che abbiamo senti- to?» «No, ma, David...» È spaventato, continuavo a dirmi. Non dargli addosso, ti sei già preso stamattina la tua soddisfazione ed è sufficiente. Non dargli addosso solo perché lui faceva così durante quella stupida lite sul limite di proprietà... prima paternalistico, poi sarcastico e infine, quando fu chiaro che avrebbe perso, cattivo. Non dargli addosso perché avrai bisogno di lui. Magari non è capace di mettere in moto la sua sega, ma ha l'aria della figura pa- terna del mondo occidentale e se lui dice alla gente di non lasciarsi pren- dere dal panico, quelli non si lascia- no prendere. Quindi non dargli ad- dosso. «La vedi quella doppia porta là in fondo dietro il frigorifero delle bir- re?» Lui guardò, accigliato. «Uno di quegli uomini che stanno bevendo non è l'altro vicedirettore? Weeks? Se Brown lo vede, posso assicurarti che quell'uomo dovrà ben presto cer- carsi un nuovo lavoro.» «Brent, vuoi ascoltarmi?» Lui mi guardò con aria assente. «Che dicevi, Dave? Scusa, mi di- spiace.» Mai quanto gli sarebbe ben presto dispiaciuto. «Vedi quelle porte?» «Sì, certo che le vedo. E allora?» «Danno sulla zona di deposito che corre lungo tutta la facciata occiden- tale della costruzione. Billy si era addormentato e io ero andato lì den- tro per vedere se riuscivo a trovare qualcosa con cui coprirlo...» Gli dissi tutto, lasciando fuori solo la discussione su Norm, se dovesse andare o meno. Gli dissi che cosa era entrato... e infine, che cosa era usci- to, urlando. Brent Norton rifiutò di crederci. No - rifiutò anche di acco- glierlo nella mente. Lo portai da Jim, Ollie e Myron. Tutti e tre conferma- rono la storia, anche se Jim e Myron il Fiore erano a buon punto con la lo- ro sbronza. Di nuovo, Norton rifiutò di cre- derci e anche di accogliere l'idea. Semplicemente si rifiutò. «No», e- sclamò. «No, no, no. Scusatemi, si- gnori, ma è una cosa assolutamente ridicola. O mi state prendendo in gi- ro» - ci rivolse un abbagliante sorriso paterno per mostrarci che sapeva ac- cettare lo scherzo come chiunque al- tro - «oppure soffrite di una qualche forma di ipnosi di gruppo.» Sentii che stavano di nuovo per saltarmi i nervi, ma li controllai. Non credo di essere uno che si accende con facilità, ma queste non erano cir- costanze normali. Avevo Billy a cui pensare, e quello che stava succe- dendo - o che già era successo - a Stephanie. Quelle cose continuavano a tormentarmi senza posa nel fondo della mente. «Sta bene», dissi. «Andiamo là dentro. C'è un pezzo di tentacolo sul pavimento. La porta lo ha tagliato via quando è venuta giù. E puoi sen- tirli. Stanno strisciando su tutta la porta. Sembra il vento tra l'edera.» «No», disse con calma. «Cosa?» Pensai davvero di averlo frainteso. «Che cos'hai detto?» «Ho detto no, non ho intenzione di venire lì dietro. Lo scherzo è durato fin troppo.» «Brent, ti giuro che non è uno scherzo.» «Ma certo che lo è», scattò lui. Lo sguardo gli corse su Jim, su Myron, si fermò brevemente su Ollie Weeks, che lo sostenne impassibile, e infine tornò su di me. «Questo probabil- mente è quello che voi locali chia- mate 'un vero scherzo da sgana- sciarsi'. Vero, David?» «Brent... guarda...» «No, guarda tu!» La sua voce co- minciò ad alzarsi verso un tono da tribunale. Veniva fuori molto, molto bene e un buon numero delle persone che stavano aggirandosi nei dintorni, tese e senza meta, guardarono per vedere cosa stava succedendo. Nor- ton continuava a piantarmi il dito addosso mentre parlava. «È uno scherzo. È una buccia di banana e io sono quello che dovrebbe scivolarci su. Nessuno di voialtri va proprio pazzo per quelli di fuori città, ho ra- gione? Vioaltri andate tutti molto d'accordo. La stessa cosa che è suc- cessa quando ti ho trascinato in tri- bunale per avere quello che era mio di diritto. Tu quella volta hai vinto, va bene. Perché no? Tuo padre era l'artista famoso e questa è la tua città. Io pago solo le tasse e spendo i soldi qui!» Ora non stava più recitando, non aveva più quella voce da tribunale; stava quasi urlando ed era sul punto di perdere il controllo. Ollie Weeks si girò e si allontanò, stringendo la sua lattina di birra. Myron e il suo amico Jim fissavano Norton con a- perto sbalordimento. «Io dovrei andare lì dentro e tro- vare qualche scherzo di gomma da novantotto centesimi, mentre questi due zotici se ne stanno in giro a rompersi il culo dalle risate?» «Ehi, attento a chi chiami zotico», intervenne Myron. «Sono contento che quell'albero sia caduto sulla tua rimessa, se vuoi saperlo. Contento.» Norton ghignava come impazzito verso di me. «L'ha fatta a pezzi niente male, no? Fanta- stico. Ora togliti dai piedi.» Cercò di spingermi via per passa- re. Lo afferrai per il braccio e lo sca- raventai contro il frigorifero. Una donna gracchiò di sorpresa. Due con- fezioni da sei Bud si rovesciarono. «Sturati bene le orecchie e ascol- tami, Brent. Ci sono delle vite in gioco. Non ultima quella di mio fi- glio. Per cui ascoltami o ti giuro che ti faccio il culo.» «Vai avanti», mi sfidò Norton, an- cora con quel sorriso di tracotanza congelato sulla faccia. Gli occhi, i- niettati di sangue e sbarrati, gli spor- gevano dalle orbite. «Fai vedere a tutti come sei grande e coraggioso, a picchiare un uomo con il cuore in cattive condizioni e tanto vecchio che potrebbe essere tuo padre.» «Dagliele lo stesso!» esclamò Jim. «Fregatene delle condizioni del suo cuore. Sono sicuro che un avvocatic- chio di New York da quattro soldi come lui non ce l'ha nemmeno un cuore.» «Tu non immischiarti», dissi a Jim, e poi mi misi faccia a faccia con Norton. Eravamo a distanza di bacio, se avessi avuto questo in mente. Il frigorifero era spento, ma emanava ancora aria fredda. «Smettila di alza- re polvere. Lo sai benissimo che sto dicendo la verità.» «Io non so... niente... del genere», ansimò lui. «Se fossimo in un altro momento, in un altro luogo, ti lascerei perdere. Non mi importa quanto sei spaventa- to e non ho intenzione di segnare dei punti. Sono spaventato anch'io. Ma ho bisogno di te, maledizione! Riesci a capirlo? Ho bisogno di te!» «Lasciami andare!» Lo afferrai per la camicia e lo scossi. «Possibile che non capisci niente? La gente comincerà ad an- darsene e a finire diritta in quella ro- ba là fuori! Per l'amor di Dio, non capisci?» «Lasciami andare!» «Non ti lascio finché non vieni là dietro con me e non vedi tu stesso.» «Te l'ho già detto, no! È tutto un trucco, uno scherzo, non sono lo stu- pido per cui mi prendete...» «Allora ti ci trascinerò io.» Lo afferrai per la spalla e per la collottola. La cucitura della camicia sotto un braccio si lacerò rumorosa- mente. Lo tirai verso la doppia porta. Norton mandò un grido infelice. Un gruppo di persone, quindici o diciot- to, si erano raccolte intorno a noi, ma si tenevano a distanza. Nessuno dava segni di voler intervenire. «Aiutatemi!» gridava Norton. Gli occhi gli sporgevano dietro gli oc- chiali. I capelli ben pettinati erano di nuovo in disordine e formavano due piccoli ciuffi dietro le orecchie. La gente strusciava i piedi e osservava. «Cos'hai da gridare?» gli dissi all'orecchio. «È solo uno scherzo, no? È per questo che ti ho portato in paese quando tu hai chiesto di venire ed è per questo che ti ho affidato Billy nel parcheggio - perché avevo pronta tutta questa nebbia, avevo no- leggiato una macchina da nebbia a Hollywood, mi è costata quindicimi- la dollari e altri ottomila per portarla qui, tutto per potermi pagare uno scherzo da fare a te. Smettila di prenderti in giro e apri gli occhi!» «Lasciami... andare!» urlò Norton. Eravamo quasi arrivati alla porta. «Ehi, ehi! Che cos'è? Che state fa- cendo?» Era Brown. Si fece spazio a gomi- tate attraverso la folla di spettatori. «Gli dica di lasciarmi andare», lo scongiurò Norton con voce rauca. «È pazzo.» «No. Non è pazzo. Vorrei che lo fosse, ma non lo è.» Questo era Ol- lie, e avrei voluto benedirlo. Venne dietro di noi facendo il giro del cor- ridoio e si mise di fronte a Brown. Gli occhi di Brown caddero sulla birra che Ollie teneva in mano. «Stai bevendo !» disse, e la sua voce era sorpresa ma non del tutto priva di piacere. «Perderai il posto per que- sto.» «Andiamo, Bud», dissi io, la- sciando andare Norton. «Questa non è una situazione normale.» «I regolamenti non cambiano», ri- spose Brown cupamente. «Ci pense- rò io a farlo sapere alla compagnia. Questa è responsabilità mia.» Norton, nel frattempo, era sguscia- to via e stava a una certa distanza, cercando di raddrizzarsi la camicia e di rimettersi a posto i capelli. Il suo sguardo passava nervosamente da Brown a me. «Ehi!» gridò Ollie d'un tratto, al- zando la voce e producendo un tuono basso che non avrei mai sospettato in quell'uomo grosso, ma molle e poco appariscente. «Ehi! Tutti voi qui nel negozio! Voglio che veniate tutti qui in fondo a sentire questo! Vi riguar- da tutti!» Mi guardò fisso, ignorando completamente Brown. «Vado be- ne?» «Bene.» La gente cominciò a radunarsi. Il gruppetto originario di spettatori che aveva assistito alla mia discussione con Norton raddoppiò, poi triplicò. «C'è una cosa che è meglio che sappiate...» iniziò Ollie. «Metti immediatamente giù quella birra», ringhiò Brown. «Chiudi tu immediatamente quella bocca», dissi io e feci un passo verso di lui. Brown ristabilì le distanze con un passo indietro. «Non so voialtri che cosa pensate di fare, ma vi assicuro che sarà riferito alla Federal Foods Company! Sarà riferito tutto! E vo- glio che sappiate... potrebbero esser- ci delle denunce!» Le labbra gli si sollevavano nervosamente sui denti giallastri e arrivai addirittura a senti- re simpatia per lui. Cercava di soste- nere la situazione; questo era tutto ciò che stava facendo. Come Norton, che ci provava imponendosi un ba- vaglio mentale di ordine. Myron e Jim ci avevano provato trasformando tutta la faccenda in una gara di virili- tà - se si riusciva a riparare il genera- tore, la nebbia se ne sarebbe andata via. Questa era la tecnica di Brown. Lui... stava proteggendo il Negozio. «Allora», lo sfidai, «vai avanti e prendi i nomi. Ma fai il favore di non parlare.» «Altro che se ne prenderò di no- mi», rispose lui. «Il tuo sarà in cima alla lista. Tu... tu bohémien.» «Il signor David Drayton ha qual- cosa da dirvi», annunciò Ollie, «e credo che farete meglio a stare a sen- tire, nel caso stiate pensando di an- darvene a casa.» E così raccontai quello che era successo, come lo avevo raccontato a Norton. All'inizio ci furono delle ri- sate, poi a mano a mano che arrivavo verso la fine un disagio sempre più profondo. «È una menzogna, lo sapete be- ne», affermò Norton. Aveva mirato a un'enfasi spinta, ma era sfociato nel- lo stridulo. Quello era l'uomo a cui lo avevo detto per primo, sperando di tirare dalla mia la sua credibilità. Bell'autogol. «Certo che è una bugia», conven- ne Brown. «È una cosa da sballati. Da dove pensa che venissero quei tentacoli, signor Drayton?» «Non lo so, e a questo punto non è questo l'importante. Sono lì. Sono...» «Ho il sospetto che siano venute fuori da qualche lattina di birra. Que- sto è quello che sospetto io.» La battuta suscitò qualche risata di apprezzamento. Ma le risate furono zittite dalla forte e rauca voce della signora Carmody. «Morte!» gridò, e quelli che sta- vano ridendo tornarono rapidamente in sé. Si mise in mezzo al cerchio che si era formato, con i pantaloni color canarino che parevano emettere una luce propria. Saettò in giro uno sguardo arrogante, due occhi neri acuti e scintillanti come quelli di una gazza. Due belle ragazze di una quindicina d'anni con CAMP WOODLANDS scritto dietro le ma- gliette bianche arretrarono di un pas- so. «Voi ascoltate, ma non sentite! Sentite, ma non credete! Chi di voi vuole uscire e andare a vedere di persona?» I suoi occhi fecero il giro dei presenti e poi caddero su di me. «E lei, signor David Drayton, lei che cosa propone di fare? Cosa pensa che possiamo fare?» Sorrise, con un ghigno da teschio sopra il suo abito canarino. «È la fine, ve lo dico io. La fine di tutto. È il giorno del giudizio. Il dito ha scritto, non con il fuoco, ma con linee di nebbia. La terra si è aperta e ha vomitato i suoi abomi- ni...» «Non potete farla star zitta?» scoppiò una delle ragazzine. Era sul punto di mettersi a piangere. «Mi fa paura!» «Hai paura, cara?» chiese la si- gnora Carmody e si volse verso di lei. «Non hai ancora paura, no. Ma quando le lerce creature sguinzaglia- te sulla faccia della terra verranno a cercarti...» «Basta adesso, signora Carmody», esclamò Ollie, prendendola per un braccio. «Così è sufficiente.» «Mi lasci stare. È la fine, ve lo di- co io! È la morte! Morte!» «È un mucchio di merda», disse disgustato un uomo con un cappello da pescatore e gli occhiali. «No, signori», intervenne Myron. «Lo so che sembra un sogno di un drogato, ma è la verità pura e sem- plice. L'ho vista io stesso.» «Anch'io», confermò Jim. «E io», intervenne Ollie. Era riu- scito a far tacere la signora Carmody, almeno per un momento. Ma lei era sempre lì, stretta alla sua grande bor- sa e sorridendo con quel suo ghigno folle. Nessuno voleva starle troppo vicino - mormoravano tra loro, poco contenti di quella conferma. Alcuni guardavano il grande finestrone con un'aria incerta, assorta. Mi fece pia- cere vederlo. «Bugie», ripeté Norton. «State mentendo tutti. Questo è quanto.» «Quello che state dicendo è asso- lutamente incredibile», disse Brown. «Non c'è bisogno di starcene qui a rimuginarci sopra», ribattei. «Venga nell'area del magazzino con me. Dia un'occhiata e stia ad ascoltare.» «Ai clienti è vietato l'ingresso...» «Bud», disse Ollie, «vai con lui. Sistema una volta per tutte questa faccenda.» «Sta bene», decise Brown. «Si- gnor Drayton? Andiamo a sistemare questa stupidaggine.» Ci immergemmo nel buio attra- verso la doppia porta. Il rumore era spiacevole, forse maligno. Anche Brown lo sentì, nonostante tutto il suo atteggiamento da yankee dalla testa dura; immediatamente la sua mano mi si strinse al braccio, il respiro gli si bloccò per un momento e poi riprese più roco. Era un lungo suono bisbigliato proveniente dalla direzione della porta di carico: un suono quasi ca- rezzevole. Saggiai delicatamente con il piede il terreno intorno e finalmen- te toccai una delle pile. Mi chinai, la raccolsi e l'accesi. La faccia di Brown era tesa e non li aveva neppu- re visti: li aveva solo sentiti. Ma io avevo visto e li potevo immaginare mentre si contorcevano arrampican- dosi sulla superficie di acciaio ondu- lato della porta come un rampicante vivo. «Cosa ne pensa adesso? Comple- tamente incredibile?» Brown si leccò le labbra e guardò la confusione di scatole e sacchi. «Sono stati loro?» «In parte. La maggior parte. Ven- ga qui.» Lui venne, riluttante. Puntai il fa- scio di luce sul pezzo di tentacolo avvizzito e ricurvo, che giaceva an- cora accanto alla scopa. Brown gli si chinò sopra. «Non lo tocchi», gli consigliai. «Potrebbe essere ancora vivo.» Si raddrizzò in fretta. Io presi la scopa dalla parte dello spazzolone e toccai il tentacolo. Il terzo o quarto colpo lo fece distendere lentamente rivelando due ventose intere e un pezzo della terza. Poi il troncone si ravvolse di nuovo con la velocità di un muscolo e rimase immobile. Brown fece un verso soffocato, di di- sgusto. «Visto abbastanza?» «Sì», disse. «Andiamocene.» Seguimmo la luce oscillante fino alla doppia porta e la superammo. Tutte le facce si girarono verso di noi e il brusio della conversazione cessò. La faccia di Norton aveva il colore del formaggio vecchio. Gli occhi ne- ri della signora Carmody scintillava- no. Ollie beveva birra; sul viso gli scorrevano ancora gocce di sudore, anche se nel supermercato si era fat- to piuttosto freddo. Le due ragazze quindicenni con CAMP WOODLANDS sulle magliette era- no stretta l'una all'altra come puledri prima di un temporale. Occhi. Tanti occhi. Potevo dipingerli, pensai con un brivido. Niente facce, solo occhi nel buio. Potevo dipingerli, ma nes- suno avrebbe mai creduto che erano la realtà. Bud Brown intrecciò davanti a sé con aria compassata le mani dalle lunghe dita. «Gente», annunciò. «A quanto pare abbiamo un problema di una certa gravità, qui.»