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LE EMOZIONI
DEI BAMBINI
www.percorsiformativi06.it
U. Galimberti
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Le emozioni dei bambini – www.percorsiformativi06.it
Copyright 2017 Percorsi Formativi 06 – Tutti i diritti sono riservati
Oggi si sente parlare molto, finalmente, delle emozioni dei bambini e
dell'importanza di educarli a riconoscerle e gestirle per un sano
sviluppo lungo tutto l'arco della vita.
Infatti, per l'armonica crescita di un individuo e contrastare quanto
delineato da Galimberti nella citazione in apertura, fin dalla primissima
infanzia è fondamentale lo sviluppo della cosiddetta competenza
emotiva, ovvero la capacità di riconoscere e nominare le proprie
emozioni, comprenderle, esprimerle e regolarle in maniera equilibrata,
senza farsene sopraffare.
La competenza emotiva, come evidenziato da innumerevoli ricerche, è
anche centrale per stabilire buone relazioni, è la base dell’empatia e
delle abilità sociali: ci serve per comprendere gli stati d’animo altrui e
modulare i nostri comportamenti nei rapporti con gli altri.
È, quindi, molto importante che nella relazione con i piccoli gli adulti
assumano “un ruolo attivo e propositivo anche nell’esercitare in loro
alcune doti chiave dal punto di vista umano, quali la comprensione e la
gestione dei sentimenti problematici, il controllo degli impulsi e
l’empatia” (D. Goleman) attraverso l'educazione emotiva (ovvero
l'allenamento di cui sopra).
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Gli educatori hanno bisogno pertanto di comprendere sempre meglio le
emozioni dei bambini (e anche le proprie!), di creare un rapporto
empatico con loro, di aiutarli a rasserenarsi nei momenti di crisi e di
guidarli nel maneggiare i loro stati emotivi, in modo che, nel tempo, essi
possano sviluppare, appunto, la competenza emotiva.
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2 Brevemente, le emozioni primarie hanno le seguenti funzioni: la
paura serve a proteggerci dalle minacce; la rabbia serve a superare
gli ostacoli che si frappongono verso i nostri obiettivi e stabilisce i
confini del nostro "territorio"; la gioia ci aiuta a stabilire i rapporti
sociali; la tristezza ci è utile a sollecitare il supporto degli altri quando
viviamo una perdita; il disgusto ci protegge da alimenti
potenzialmente nocivi; la sorpresa ci serve per valutare stimoli
imprevisti.
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"Riconoscere quello che prova (il bambino N.d.a.) non
significa essere sempre d'accordo con lui.
Significa essere insieme a lui..."
E. Rossini/E. Urso
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In che modo gli educatori (genitori, familiari, insegnanti) possono
quindi "allenare" i bambini affinché acquisiscano la competenza
emotiva? 3
Innanzitutto, è fondamentale sintonizzarsi con gli stati emotivi dei
bambini, convalidandoli (anche quelli spiacevoli), senza temere che
ciò possa creare loro "danno". Oggi, infatti, frequentemente gli
adulti desiderano risparmiare ai piccoli le emozioni spiacevoli
temendo che siano "traumatiche".
Ma piangere perché, per esempio, non si può continuare a giocare
al parco non significa che il bambino sia traumatizzato!! È solo
triste, dispiaciuto, arrabbiato e ciò è normale e naturale. Anche a noi
dispiace quando dobbiamo interrompere qualcosa di bello! A
differenza dei piccoli, gli adulti sanno utilizzare il linguaggio per
comunicare i propri stati interiori. Come in questo esempio, invece, i
bambini usano il pianto perché non hanno ancora maturato
sufficienti competenze linguistiche, cognitive ed emotive per
comunicare in altro modo ciò che provano.
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"I sentimenti non hanno bisogno di essere aggiustati.
Non sono sbagliati o pericolosi. Sono parte della nostra
umanità e ci aiutano a crescere e a imparare.
Senza di loro la vita è vuota”
B. A. Bailey
4 G. Neufeld ne "I vostri figli hanno bisogno di voi" parla di senso di futilità per
indicare quel sentimento di tristezza, dolore, dispiacere che i bambini vivono
quando si rendono conto che non possono fare/avere tutto ciò che desiderano
e devono quindi fare i conti con la realtà. E' importante che possano esprimere
questo stato emotivo, manifestando le loro emozioni, al fine di integrare
l'esperienza ed utilizzarla per la propria crescita ed il proprio apprendimento,
supportati da un adulto empatico.
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Come abbiamo detto in precedenza, la competenza emotiva consiste
nel saper riconoscere, nominare, comprendere, esprimere e regolare
le proprie (e poi altrui) emozioni. I bambini in età prescolare provano
emozioni, ma (soprattutto nei primissimi anni) non ne conoscono
ancora il nome e faticano anche a comprenderle e comunicarle in
modo "socialmente adeguato".
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Per lavorare sulla comprensione delle emozioni, l'adulto supporta il
bambino aiutandolo a capire come mai prova ciò che prova. Per
esempio: "Ti sei arrabbiato perché Giovanni ti ha preso di mano la
macchinina e tu non volevi?". In questo modo il piccolo, un po' per
volta, apprende che le emozioni sono suscitate da eventi esterni, ma
anche interni. Per esempio, ad un bambino in ambientamento al Nido
si può dire: "Ti senti triste perché ti è venuta in mente la mamma? Ti
manca un po'?".
In merito all'esprimere e regolare le emozioni, gli adulti possono
aiutare i bambini guidandoli ad apprendere modalità socialmente
adeguate di espressione e gestione delle stesse. Come già detto, tutte
le emozioni sono ok ma NON tutti i comportamenti!
Infatti, va bene essere arrabbiati, ma quando si è arrabbiati non si può
spingere, picchiare, tirare i capelli. Serve una alternativa che deve
essere indicata a cura dell'adulto. I bambini, infatti, non possono
sapere quali azioni sono o non sono accettabili, anche perché questo
dipende molto dalla famiglia in cui si nasce e cresce e dalla cultura di
riferimento. Ciò che può essere accettabile in Italia potrebbe non
esserlo in Giappone...
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Riepilogando: "Sembri arrabbiato... È perché Giovanni ti ha portato
via la macchinina e tu non volevi?....Quando sei arrabbiato non voglio
che tiri i capelli. Puoi dirlo con le parole oppure vieni da me e ti aiuto
io".
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"Aiutare i figli a sviluppare il loro quoziente emotivo
ci obbliga a sviluppare il nostro. Non possiamo
aiutare un bambino a crescere senza crescere noi
stessi. I figli ci pongono di fronte ai nostri limiti e ci
insegnano ad amare; se sappiamo ascoltarli,
possono essere le nostre guide spirituali”.
I. Filliozat
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CAPITOLO 2
EMOZIONI E CERVELLO
Per lavorare al meglio con le emozioni dei bambini e per avere ancora
più consapevolezza dell’importanza di quanto detto fino qui, ritengo
sia utile conoscere e comprendere come funziona il nostro cervello:
queste informazioni, infatti, possono aiutarci a capire meglio le
reazioni emotive dei bambini in età prescolare ed aumentare la nostra
capacità empatica nei loro confronti, sostenendoci nell'avere più
pazienza e quindi maggiore efficacia nel nostro intervento educativo.
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Nella seguente immagine possiamo renderci conto visivamente di
quanto appena esplicato:
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Dal punto di vista strutturale, il nostro cervello è come un palazzo di
3 piani, sovrapposti l’uno all’altro, frutto della filogenesi, ovvero
dell’evoluzione della vita e della nostra specie sulla Terra. Ogni
“piano” è deputato a funzioni specifiche.
La parte più arcaica del nostro cervello è il cosiddetto cervello
rettiliano che presiede le funzioni corporee vitali come: fame,
digestione ed evacuazione, respirazione, circolazione, regolazione
della temperatura, movimento, equilibrio, etc.
Queste parti del cervello sono molto attive nei bambini piccoli e ciò spiega
perché essi sono cosi possessivi e tendano a reagire in modo aggressivo
alle minacce (appunto reali o potenziali).
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Infine, la neocorteccia (o “cervello razionale” o “superiore”) è la parte
più recente del cervello (risale a circa 150.000 anni fa). Il cervello
superiore è deputato, tra le altre cose, alla risoluzione dei problemi, al
ragionamento ed alla riflessione, all’autoconsapevolezza, alla
creatività, all’empatia, alla capacità di regolare le emozioni, alla
pianificazione del comportamento ed alla previsione delle
conseguenze dello stesso, alla moralità.
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Nell’immagine seguente è possibile notare l’evoluzione della
maturazione del cervello:
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Inoltre, la maturazione procede dai piani inferiori a quelli superiori,
pertanto il cervello inferiore è quello che si rende prima disponibile,
mentre la corteccia richiede un tempo di “download dei file” più
ampio.
Il nostro cervello ha dei tempi di maturazione così ampi per via della
propria plasticità, capacità di adattamento, possibilità di sviluppo
dell’intelligenza: “stando così le cose, se cioè si sfornano ciambelle
prima che siano cotte del tutto, occorre che dei cervelli esperti
istruiscano i nuovi nati per anni” (J. Medina “Naturalmente
intelligenti. Istruzioni per lo sviluppo armonioso del cervello dei
bambini della prima età” ed. Bollati Boringhieri).
6 le funzioni esecutive indicano diversi domini cognitivi collegati fra loro. Sono
comprese in queste funzioni abilità metà -cognitive come, tra le altre:
capacità di inibire gli impulsi, memoria di lavoro, flessibilità cognitiva, fluenza
verbale, capacità di pianificare i propri comportamenti e di prevederne le
conseguenze, regolazione delle emozioni. “Si tratta di abilità indispensabili
per affrontare situazioni nuove e mettere in atto nuove sequenze di
comportamento consone al contesto ed alle richieste ambientali, per andare
oltre il qui ed ora potendo così riformulare il passato ed esercitare un
controllo sul futuro, per svolgere simultaneamente più compiti o attività e per
monitorare il proprio comportamento ed apportarvi modifiche laddove sia
indispensabile” G.M. Marzocchi, S. Valagussa, “Le funzioni esceutive in età
evolutiva” ed. Franco Angeli, Milano, 2011
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Dal punto di vista strutturale, il nostro cervello è come un palazzo di
3 piani, sovrapposti l’uno all’altro, frutto della filogenesi, ovvero
dell’evoluzione della vita e della nostra specie sulla Terra. Ogni
“piano” è deputato a funzioni specifiche.
Sostanzialmente, quando un
bambino, soprattutto tra 0 e 3
anni, sperimenta un'emozione,
tipicamente ad essa corrisponde
un'azione, senza la mediazione
del pensiero (come dovrebbe
essere per noi adulti: emozione -
pensiero - azione). Ovvero, nei
piccoli, emozione = azione. Ciò
significa anche che essi non
sono capaci di riflettere sui loro
comportamenti come
intendiamo noi adulti e per
questo per esempio il time out è
del tutto inutile (vedi box più
avanti)!
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Per riflettere sulle proprie emozioni ed azioni e per attivare strategie
regolative basate sul pensiero, è necessario sviluppare la
metacognizione 7 la quale richiede circa 7-8 anni per far sì che i bambini
sappiano, per esempio, dirsi in modo consapevole: "pensa a qualcosa
di bello", "pensa a qualcos’altro”, “conta fino a 10” etc. per gestire i
propri stati emozionali.
Per non essere sopraffatti dai loro stati emozionali i bambini hanno
quindi bisogno del supporto di un adulto che li aiuti nella
regolazione emotiva, come affermato poc'anzi.
Ciò significa che i bambini hanno bisogno di sentirsi contenuti da un
adulto capace di pensare e di “reggere” le loro emozioni, regolarle e
indicare valide alternative di comportamento.
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È proprio grazie al fatto che i bambini ottengono il contenimento e la
regolazione emotiva di cui necessitano che impareranno, negli anni,
a regolare e gestire da soli le loro emozioni.
Senza regolazione da parte dell’adulto, i bambini non potranno
imparare da soli modalità sane di gestione emotiva. La linea
evolutiva prevede, infatti, che nei primi anni di vita prevalga
l’eteroregolazione (ovvero la regolazione da parte degli adulti) per
poi arrivare all’autoregolazione, tenendo conto che solo dopo i 7/8
anni, come anticipato, i bambini acquistano una maggiore
padronanza nel gestire in modo autonomo anche le loro emozioni
intense (anche grazie alla metacognizione di cui abbiamo detto in
precedenza).
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LA REGOLAZIONE EMOTIVA
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La regolazione può essere “intrinseca” quando il soggetto si
autoregola, oppure “estrinseca” quando una persona agisce per
regolare le emozioni di un’altra ("eteroregolazione"). La ricerca
neuroscientifica degli ultimi anni evidenzia l’importanza della
regolazione estrinseca nei primi anni di vita (soprattutto nella fascia
0-3 anni). Infatti, senza la guida dell’adulto, il bambino piccolo
difficilmente impara a regolare da solo le proprie emozioni in modo
equilibrato (come detto in precedenza).
Egli possiede già alcune capacità autoregolatorie innate (succhiarsi il
dito, toccarsi parti del corpo, dormire, distogliere lo sguardo), ma di
fronte ad emozioni intense gli è difficile farvi fronte da solo.
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Sostanzialmente la corteccia, nel corso degli anni, sviluppa la
possibilità di "contenere" le reazioni del cervello inferiore. Infatti, per
tutta la vita, nel nostro cervello inferiore si sviluppano emozioni,
impulsi, reazioni anche intense. Ma quando la corteccia è ben
sviluppata, essa (grazie anche ai percorsi top down) riesce a
"dialogare" col cervello inferiore, calmandolo e portandolo a "più miti
consigli". Ciò avviene anche attraverso la metacognizione (di cui
abbiamo parlato).
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Inoltre, una adeguata regolazione esterna permette al bambino di
introiettare un modello di gestione delle emozioni che contribuirà a
sua volta allo sviluppo di una buona autoregolazione emotiva.
Quanto visto fin qui ci conduce, quindi, alla riflessione sul ruolo
dell’adulto nella gestione delle emozioni dei bambini in un'ottica di
sviluppo della competenza emotiva e in accordo col funzionamento
del cervello nei primi ani di vita, per ribadire e ampliare quanto già
esplicitato nel primo capitolo.
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Abbiamo detto, quindi, che è importante supportare il bambino a
gestire le sue emozioni, aiutandolo a calmarsi ed a recuperare un
grado di attivazione fisiologica per lui sostenibile, soprattutto se
l’intensità emotiva è elevata. Ciò a partire da uno stato di calma
prima di tutto dell’adulto. Infatti, se il caregiver è emotivamente
molto attivato, difficilmente riuscirà a tranquillizzare il piccolo. È
esperienza comune di molti genitori, ad esempio, che quando si
interviene con aggressività ed ostilità, la situazione peggiora…Il
bambino si spaventa e va ancora più in crisi.
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A partire quindi da una situazione di tranquillità del caregiver, è
cruciale che egli si interroghi rispetto a quali modalità (per ciascun
bambino) sono utili per aiutarlo a ritrovare la calma. L’intervento, di
conseguenza, dovrà essere individualizzato: quello che funziona con
Luca può non funzionare con Giorgia.
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IL CONTENIMENTO
8Chiaramente, come anticipato prima, non è una bacchetta magica che risolve
tutto, né va adottato tout court con tutti, a prescindere. Osservare il bambino è
sempre essenziale per valutare in che modo è più opportuno intervenire.
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Il contenimento inteso qui come una forma di contatto fisico, può
aiutare il bambino in primis sul piano fisiologico: stimola nel cervello
la produzione di oppioidi ed ossitocina, ormoni che riducono lo stress,
regolano l’arousal 9 e facilitano le relazioni. Basta un abbraccio di
30’’!!
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Inoltre, poiché la pelle è in comunicazione diretta con il sistema
nervoso (si formano dallo stesso foglietto embrionale – ectoderma),
si può anche dire che è come se fosse la parte visibile, esterna, del
sistema nervoso e della psiche: ecco perché il contatto fisico può
rivelarsi molto utile in queste situazioni.
Si tratta, quindi, di valutare volta per volta quale modalità è più utile
per quel bambino nell’aiutarlo a ritrovare la calma: ognuno ha le sue
esigenze. Per qualcuno sarà utile una qualche forma di contatto fisico
(dall’abbraccio al semplice tenergli una mano o un lieve contatto sulla
schiena), per qualcun altro sarà meglio una parola o uno sguardo a
distanza, per qualcun altro ancora sarà più utile dare il tempo e lo
spazio per calmarsi da solo, pur rassicurando sulla propria
disponibilità e presenza… Ogni caso è diverso e richiede pertanto,
come detto, un intervento personalizzato.
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“Ignorare un bambino che si trova nel bel mezzo di una
crisi di collera è una delle cose peggiori che possiamo
fare, perché quando è così sconvolto, il bambino in realtà
soffre. Sta malissimo. Il cortisolo pervade il corpo e si
diffonde nel cervello, e il bambino non ha più alcun
controllo sulle sue emozioni e i suoi impulsi, è incapace di
calmarsi o di dire di cosa ha bisogno.”
D. Siegel/T. Payne Bryson
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ALLENARE LA COMPETENZA EMOTIVA
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È molto importante “educare” i bambini alle emozioni e favorire lo
sviluppo della competenza emotiva, intesa come consapevolezza del
proprio sentire e capacità di riconoscere, nominare, comprendere,
esprimere e regolare le proprie ed altrui emozioni senza farsene
travolgere.
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“È importante cominciare il prima possibile a far conoscere le
emozioni al bambino. Fate da ‘specchio’ ai suoi stati d’animo e
impiegate segnali non verbali (come abbracci ed espressioni facciali
che esprimano comprensione) per dimostrargli che lo capite.“ 11
10
D. Siegel/T. Bryson “12 strategie rivoluzionarie per favorire lo sviluppo
mentale del bambino” ed. Cortina, Milano, 2012
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mentale del bambino” ed. Cortina, Milano, 2012
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Usate le parole, ma mimate anche l’accaduto, per esempio lo scontro,
se possibile con un pizzico di umorismo e osservate come vostro figlio
ne rimarrà affascinato. Può essere utile realizzare un libricino o un
album con disegni e fotografie per raccontare un’esperienza difficile,
oppure per preparare il bambino a una transizione, come un nuovo
‘rituale del sonno’ oppure l’ingresso alla scuola materna”. 12
12 ibidem
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Altre strategie
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3) Lasciare scivolare via le nuvole delle emozioni: è importante
aiutare i bambini a comprendere che le emozioni vanno e
vengono, non durano per sempre. Anche se ora il bambino è
molto arrabbiato, presto gli passerà. “Fate attenzione, però, a non
dare al bambino l’impressione di non tenere nella giusta
considerazione i sentimenti che prova in quel momento.
Dimostrategli di riconoscere le sue emozioni attuali e consolatelo,
poi aiutatelo a comprendere che non si sentirà triste (o arrabbiato
nda) per sempre, che presto si sentirà meglio (…) Potreste persino
suggerire la risposta (nel caso dei bambini più grandi, nda)
domandandogli: Quando pensi che ti sentirai meglio?”16
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Secondo J. Gottmann 19, essere adulti emotivamente intelligenti
significa comprendere il bambino e le sue manifestazioni, accoglierlo
ed aiutarlo nella gestione dei suoi stati interni, attraverso 5 fasi di
“allenamento emotivo”:
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2) Riconoscere in quell’emozione un’opportunità di intimità ed
insegnamento: tutte le situazioni critiche sono delle opportunità
enormi per insegnare ai bambini come gestire le loro emozioni.
Insegnare ai bambini come calmarsi e reggere i propri stati interni
in queste occasioni è fondamentale per la vita sana del bambino
e dell’adulto che sarà. Sebbene si speri che le emozioni si
dissolvano ignorandole, non è così che funziona.
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Può essere utile, per esempio, anche raccontare al bambino
proprie esperienze passate simili, come ci si è sentiti e come le si
è risolte a suo tempo.
4) Aiutare il bambino a trovare le parole per definire le emozioni che
sta provando: questa fase ha come obiettivo aiutare il bambino a
passare da una sensazione/emozione indefinita, amorfa, ad
un’emozione definita, conoscibile e conosciuta, dai contorni chiari
e limitati, come ogni oggetto della vita quotidiana. Paura, rabbia e
tristezza diventano così esperienze comuni a tutti e che tutti sono
in grado di gestire. Dare un nome a ciò che si sente aiuta a
rasserenarsi ed a recuperare più in fretta le situazioni di
turbamento. Regolare meglio le emozioni vuol dire avere una
migliore salute sia fisica che psicologica, nonché maggiori
capacità di concentrazione e di conseguimento dei propri
obiettivi. Dare un nome alle emozioni NON significa suggerire ai
bambini quali sono le emozioni che dovrebbero provare secondo
noi, ma solo fornire un vocabolario emotivo.
Nel caso della “crisi di rabbia”, per esempio (ma non solo), è molto
utile, quando essa è terminata, mettere parole su quanto accaduto, in
modo da aiutare il bambino a rielaborare l’esperienza (come già
anticipato):
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“ti sei arrabbiato tantissimo perché non ti ho fatto mangiare la
cioccolata prima di cena! Ora hai visto che ti è passato e ti sei
calmato! È normale arrabbiarsi quando non si può avere ciò che si
desidera, può succedere a tutti…Poi ci si può calmare!”.
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CONCLUSIONI
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IN SINTESI
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Aiuta il bambino a sentirsi visto e capito
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Aiuta il bambino a sentirsi sicuro
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Oltre alle modalità relazionali viste fino qui, per aiutare il bambino
nella regolazione delle sue emozioni, sul piano operativo sono molto
utili il gioco del “far finta” e le attività espressive (narrazione, teatro,
musica, attività grafico-pittorica, psicomotricità) in contesti liberi,
attraverso cui i piccoli possono esprimere se stessi ed i propri vissuti
in modo simbolico, mettendole in scena e rappresentandole quindi
attraverso differenti medium, in grado di consentirne una
rielaborazione più o meno consapevole ed una integrazione delle
stesse nella propria esperienza.
Riassumendo, abbiamo quindi visto insieme come le emozioni e la
regolazione delle stesse siano aspetti fondamentali per la propria vita
e come sia importante passare ai bambini l’idea che tutte le emozioni
sono ok ma non tutti i comportamenti.
Abbiamo anche potuto apprendere come il cervello dei bambini sia
estremamente immaturo e richieda tempi lunghi per completare il
proprio sviluppo. A causa di tale immaturità essi hanno bisogno che
gli adulti li supportino nella gestione dei propri stati emotivi,
soprattutto intensi. e che non vengano lasciati a se stessi in questi
delicati momenti.
Grazie al supporto dell’adulto, i bambini impareranno, nel tempo, a
diventare sempre più autonomi nella gestione delle proprie emozioni,
comportandosi in modo socialmente adeguato.
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Guardando le cose da questa prospettiva, possiamo imparare a dare
valore ai momenti in cui abbiamo l’occasione di intervenire in aiuto
dei piccoli per la gestione dei loro stati emotivi, compreso il caso delle
“crisi di rabbia”: in queste situazioni il nostro ruolo è cruciale non solo
per il presente dei bambini ma anche per il loro futuro, nonché per la
salute della nostra relazione con loro.
Infatti, essere dei “buoni allenatori emotivi” risulta fondamentale
anche per costruire un rapporto saldo, di fiducia con essi, per cui poi
saranno portati ad assumerci come punto di riferimento stabile nella
propria vita ed a cui potranno rivolgersi nei momenti di fatica e
disorientamento, anche quando saranno più grandi (vedi per esempio
nel periodo adolescenziale).
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· Scarzello D. «Lo sviluppo della competenza emotiva nella prima
infanzia. Il ruolo della comunicazione affettiva e delle pratiche
educative» ed. Unicopli
· Siegel D. «La mente relazionale» ed. Cortina
· Siegel D./M. Hartzell «Errori da non ripetere» ed. Cortina
· Siegel D./T.Payne Bryson «12 strategie rivoluzionarie per
favorire lo sviluppo mentale del bambino» ed. Cortina
· Siegel D./T.Payne Bryson «La sfida della disciplina» ed. Cortina
· Soldera G. «Le emozioni della vita prenatale» ed. Macro
· Solter A. «Il bambino consapevole» ed. La Meridiana
· Sunderland M. «Il tuo bambino. Come educarlo e capirlo» ed.
Tecniche Nuove
· Sunderland M. «Aiutare i bambini a esprimere le emozioni» ed.
Erickson
· Faber A./E. Mazlish «Come parlare perché i bambini ti ascoltino
& come ascoltare perché ti parlino» ed. Oscar Mondadori
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Approfondimenti
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Questa modalità disciplinare viene utilizzata tanto nelle strutture
educative che in famiglia da molti genitori.
Ma è veramente utile e rispettosa nei confronti del bambino,
soprattutto piccolo? E quali sono i possibili risvolti sul suo sviluppo
emotivo?
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• sfavorisce nell’adulto la comprensione delle motivazioni del
bambino, del suo bisogno celato dietro il comportamento e quindi
un intervento educativo contingente;
• trasmette al bambino il messaggio di essere “sbagliato” e di non
essere accettato “quando si comporta male”, incidendo sulla sua
autostima;
• non permette la canalizzazione dell’energia emozionale dei
bambini in forme adeguate, sfavorendo l’apprendimento di
modalità alternative di gestione delle proprie emozioni e dei
propri comportamenti: “Invece di isolarli, dovremmo dare loro
l’opportunità di risolvere problemi, di prendere buone decisioni e
di essere consolati quando vanno in crisi”7.
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1 M. Noziglia, “Sviluppo, apprendimento, elaborazione delle
emozioni. I problemi e i disturbi dei bambini di oggi: una ricerca in
alcuni nidi e scuole materne milanesi“, ed. Junior, Bergamo, 2003
2 Per fare solo alcuni esempi, nel loro ultimo libro (“La sfida della
disciplina. Governare il caos per favorire lo sviluppo del bambino”,
ed. Cortina, Milano, 2015 ) D. Siegel e T. Payne Bryson (pag. 42-49)
sconsigliano l’uso di tale mezzo. Anche l’AAIHMI (Australian
Association for Infant Mental Health Inc.) è contraria al timeout per
i bambini 0-3 ed ha pubblicato sul proprio sito una dichiarazione in
merito. In Italia, D. Novara nel suo “Urlare non serve a nulla” (ed.
BUR, Milano, 2014) si schiera a sua volta a sfavore di tale strumento
per i bambini in età prescolare (pag. 77). Sul sito dell’organizzazione
Zero to Three viene riportato un articolo dove è evidenziata
l’importanza di non usare il time out in modo punitivo ma,
eventualmente, come risorsa quando l’adulto non riesce a
mantenere la calma e/o quando il bambino vive una emozione così
intensa per cui è importante lasciargli il tempo affinché possa
ridursi la forza dello stato emotivo.
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[6] D. Novara, “Urlare non serve a nulla” ed. BUR, Milano, 2014
Abbiamo visto come il time out sia uno strumento utile in alcune
situazioni, ma non in altre.
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• Se necessario e/o gradito al bambino, l’adulto può fornire
contatto fisico per aiutarlo a calmarsi e/o distanziarsi dalla
situazione insieme a lui: “Luca, non puoi continuare a giocare ora,
sei troppo agitato… Vieni, ci sediamo qui insieme e ci calmiamo,
dopo torniamo a giocare”;
Invece del time out, può essere utile il “time in” ovvero uno spazio
allestito ad hoc per favorire la ripresa del controllo del bambino. Al
nido/scuola può prendere la forma di un angolo (morbido o con un
tavolino) con peluches, libri, giochi cognitivi (puzzle, chiodini, incastri,
oggetti da classificare, seriare, ordinare, etc), calming jar, pasta da
manipolare, bolle di sapone, carta da ritagliare (a seconda dell’età del
bambino), laddove il piccolo può recarsi per ritrovare la
calma insieme all’adulto che funge da guida e da regolatore emotivo,
dopodiché potrà diventare, nel tempo, un apprendimento per cui il
bambino arriverà ad utilizzarlo in autonomia, su invito dell’educatore
o come propria iniziativa. Il time in NON ha alcuna sfumatura
punitiva: è uno strumento che serve al bambino per ritrovare la calma
con i suoi tempi, accompagnato da un caregiver in controllo emotivo;
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Appena il bambino si calma, l’insegnante può prendere in braccio il
bambino (se ora lui accetta) e riprendere l’interazione verbalizzando
quanto accaduto, in modo da aiutarlo a rielaborare ed integrare
l’esperienza.
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“Se i genitori (gli adulti nda) non aiutano i bambini a
tradurre in parole i loro sentimenti o, peggio ancora, li
ignorano, questi non saranno in grado di sviluppare
un’adeguata capacità di accettare i propri stati mentali
negativi, finendo per negarli o per cercare sempre più
conferme all’esterno”[2].
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BIBLIOGRAFIA
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Strumenti!
LA SCATOLA DELLA CALMA
(liberamente adattato
da L.M. Bomber “Feriti dentro. Strumenti a sostegno dei bambini
con difficoltà di attaccamento a scuola” ed. FrancoAngeli)
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✓ stringi il tuo oggetto del cuore
✓ fai le coccole con la maestra
✓ fai un puzzle o un altro tipo di gioco cognitivo
✓ fai un disegno
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Certo, i bambini rimangono affascinati dalle immagini, però,
dialogando con loro si vede come non riescano a cogliere, e
giustamente data la struttura degli albi, il senso pieno della
narrazione. La scelta degli albi va fatta dopo accurate analisi
interpretative e dialogando con i bambini per conoscere il modo in
cui li recepiscono.
A che cosa servono gli albi illustrati? Oltre le idee abituali e un uso
improprio
Da molti decenni, anche in Italia, come è avvenuto molto prima
all’estero, la migliore letteratura “a colori” per l’età prescolare (ma
anche per le età successive), ha cambiato funzioni. Nel passato i libri
per bambini avevano una funzione istruttiva, cioè volevano
esplicitamente insegnare, ammonire, spiegare, suggerire
comportamenti corretti. Ormai le cose sono cambiate, per cui gli albi
di qualità si prefiggono soltanto di raccontare storie di vita, belle e
originali, e nulla più. Esse sollecitano il bambino a conoscere se
stesso e gli altri, ad esplorare il mondo in tutte le sue dimensioni, a
costruire la propria personale identità. In realtà gli albi migliori sono
“educativi” (e non istruttivi) poiché parlano in modo implicito di stati
d’animo, valori e ideali importanti per la nostra vita personale e
sociale.
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Un aspetto, questo, che sembra essere sfuggito a educatori,
insegnanti, promotori, animatori, come pure a genitori e familiari
(anche giovani).
Che consigli operativi trarre da quanto detto sopra? Per gli adulti
(educatori, insegnanti, psicologi, genitori, promotori di lettura, ecc.) si
tratta di rivedere le idee abituali, di ripensare a ciò in cui credono, di
non lasciarsi irretire dalla pubblicità e dai consigli dispensati un po’
tutti, di non credere che i libri esposti sugli scaffali delle librerie siano i
migliori. Come acquisire questo nuovo sguardo verso gli albi di
qualità? Affidandosi a studiosi “seri”, quelli che conoscono a fondo la
storia della letteratura per l’infanzia italiana e straniera ma che,
soprattutto, lavorano costantemente con i bambini secondo criteri
“scientifici”, ascoltandoli nei loro bisogni e nelle reazioni alla letture
proposte.
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le emozioni, i grandi sentimenti, le difficoltà e i problemi),
rispecchiando la complessità del pensiero infantile.
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Ogni albo illustrato è un laboratorio di emozioni
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Questa pluriemozionalità presente in ogni albo è voluta dagli
illustratori e dagli scrittori che, rispettosi del bambino, desiderano
offrirgli storie autentiche e non false, storie che non sono costruite
per insegnare ma per aprire orizzonti e fare esperienze esistenziali
vicarie. Ad esempio in un albo-capolavoro come Un topolino per
amico (B. Becker, K. MacDonald Denton), dove un topolino furbo e
premeditato cerca di diventare amico di un orso scontroso, il piccolo
lettore viene a contatto con tutta una vasta gamma di emozioni:
diffidenza, collera, irritazione, esasperazione, stupore, collera,
delusione, dispiacere, tristezza, melanconia, allegria, felicità.
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Silvia Blezza Picherle
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Bibliografia essenziale
Blezza Picherle S., Leggere nella scuola materna, La Scuola, Brescia
1996.
Blezza Picherle S., “Di fronte alla figure”, Il Pepeverde, 2002, 11-12,
pp. 34 – 42.
Blezza Picherle S., “Il fascino della narrativa a colori”, Il Pepeverde,
2004, 19, pp. 34 – 43.
Blezza Picherle S., Libri bambini ragazzi. Incontri tra educazione e
letteratura, Vita e Pensiero, Milano, 2004.
Blezza Picherle S., “La qualità tra le pieghe del testo, in L’Italia che
(non) legge. Lettori piccoli e grandi nell’era digitale”, Il Pepeverde, n.
46, 2010, pp. 27-32.
Blezza Picherle, S., Ganzerla, L., “Definizioni e classificazioni. Narrativa
illustrata proviamo a metterci ordine”, Il Pepeverde, n. 51, 2012, pp.
26 - 27.
Blezza Picherle S., “Albi illustrati. Il “potere magico della qualità”, Il
Pepeverde, n. 66, 2015, pp. 24 – 26.
Blezza Picherle S., Formare lettori, promuovere la lettura. Riflessioni e
itinerari narrativi tra territorio e scuola, Franco Angeli, Milano, 2013,
2015.
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Silvia Iaccarino
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Percorsi formativi 0-6, grazie al nutrito gruppo di professionisti di valore, si
propone l’obiettivo di fare cultura e di portare qualità nei Servizi educativi 0-6
anni, sia attraverso le varie attività sopra menzionate che tramite
il blog, la pagina Facebook stessa, eventi ed iniziative (anche gratuite) che via
via verranno organizzate, destinate tanto alle famiglie quanto agli operatori.
In questi tempi liquidi, frenetici e di fronte ad un mondo in rapido e profondo
mutamento, chi lavora con i bambini 0-6 anni e le loro famiglie è importante
che si fermi per osservare e osservarsi, per riflettere e progettare le proprie
azioni educative con consapevolezza, attenzione e rispetto tanto per i
piccoli quanto per i loro genitori, coscienti che “per crescere un bambino ci
vuole un intero villaggio”. In tal senso, Percorsi formativi 0-6 vuole essere un
punto di riferimento per costruire e condividere pensieri e pratiche di qualità,
per fare rete tra Servizi, operatori, territori e portare un contributo nella
creazione di comunità educanti, dove i diversi attori in gioco possano diventare
sempre più corresponsabili, collaborando attivamente gli uni con gli altri
nell’interesse dei bambini.
Pertanto, la tipologia di iniziative che saranno proposte nel tempo, gli
argomenti dei percorsi formativi, sia a calendario che a catalogo,
la supervisione e tutti gli altri servizi offerti, vogliono rappresentare senz’altro
una risposta alle esigenze di aggiornamento e crescita professionale di chi
lavora nei contesti educativi 0-6 anni. Ma non solo. Il desiderio è quello di
ampliare lo sguardo ed avere un più ampio respiro culturale e sociale
per contribuire, da un lato, alla valorizzazione del lavoro educativo di chi opera
nei contesti 0-6 anni, troppo spesso considerato di minore importanza rispetto
a quello dei professionisti della scuola dell’obbligo e, dall’altro, per favorire
la creazione di solide alleanze educative tra educatori/insegnanti e famiglie in
un’ottica di sostegno alla genitorialità ed empowerment reciproco.
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