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Silvia Iaccarino

LE EMOZIONI
DEI BAMBINI
www.percorsiformativi06.it

Con un contributo di Silvia Blezza Picherle


CAPITOLO 1
L’EDUCAZIONE EMOTIVA PER IL PRESENTE ED IL
FUTURO DEI BAMBINI
"Oggi l'educazione emotiva è lasciata al caso e tutti gli
studi e le statistiche concordano nel segnalare la
tendenza, nell'attuale generazione, ad avere un
maggior numero di problemi emotivi rispetto a quelle
precedenti. E questo perché oggi i giovanissimi sono più
soli e più depressi, più rabbiosi e ribelli, più nervosi e
impulsivi, più aggressivi e quindi impreparati alla vita,
perché privi di quegli strumenti emotivi indispensabili
per dare avvio a quei comportamenti quali
l'autoconsapevolezza, l'autocontrollo,
l'empatia, senza i quali saranno sì capaci di parlare, ma
non di ascoltare,
di risolvere i conflitti, di cooperare" 1

U. Galimberti

1 ne "L'ospite inquietante", Feltrinelli, Milano, 2007

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Oggi si sente parlare molto, finalmente, delle emozioni dei bambini e
dell'importanza di educarli a riconoscerle e gestirle per un sano
sviluppo lungo tutto l'arco della vita.
Infatti, per l'armonica crescita di un individuo e contrastare quanto
delineato da Galimberti nella citazione in apertura, fin dalla primissima
infanzia è fondamentale lo sviluppo della cosiddetta competenza
emotiva, ovvero la capacità di riconoscere e nominare le proprie
emozioni, comprenderle, esprimerle e regolarle in maniera equilibrata,
senza farsene sopraffare.
La competenza emotiva, come evidenziato da innumerevoli ricerche, è
anche centrale per stabilire buone relazioni, è la base dell’empatia e
delle abilità sociali: ci serve per comprendere gli stati d’animo altrui e
modulare i nostri comportamenti nei rapporti con gli altri.

Inoltre, concorre a creare una buona autostima: infatti, sentirsi in grado


di padroneggiare le proprie emozioni fornisce un senso di fiducia e
sicurezza in se stessi, dato dal sapere di poter far fronte anche a stati
emotivi spiacevoli senza “andare in pezzi”.

Tale competenza non è innata né si sviluppa naturalmente per tappe di


maturazione. La competenza emotiva si acquisisce all'interno delle
relazioni sociali, a partire da quelle familiari, ed attraverso un
"allenamento emotivo" (J. Gottman) che gli educatori (genitori,
familiari, professionisti) mettono in campo nel rapporto col bambino.

È, quindi, molto importante che nella relazione con i piccoli gli adulti
assumano “un ruolo attivo e propositivo anche nell’esercitare in loro
alcune doti chiave dal punto di vista umano, quali la comprensione e la
gestione dei sentimenti problematici, il controllo degli impulsi e
l’empatia” (D. Goleman) attraverso l'educazione emotiva (ovvero
l'allenamento di cui sopra).

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Gli educatori hanno bisogno pertanto di comprendere sempre meglio le
emozioni dei bambini (e anche le proprie!), di creare un rapporto
empatico con loro, di aiutarli a rasserenarsi nei momenti di crisi e di
guidarli nel maneggiare i loro stati emotivi, in modo che, nel tempo, essi
possano sviluppare, appunto, la competenza emotiva.

Approfondiamo il discorso partendo innanzitutto dal chiarire


brevemente alcuni punti su cosa sono le emozioni e a cosa servono.
Le emozioni si verificano a fronte di stimoli esterni o interni che
producono in noi delle reazioni caratterizzate da modificazioni
fisiologiche (cambiamenti nel colore della pelle, del ritmo della
respirazione e cardiaco, nella temperatura corporea, etc), esperienziali
(nel vissuto che proviamo, piacevole o spiacevole, in estrema sintesi), e
nel comportamento (se proviamo rabbia non agiamo nello stesso modo
di quando ci sentiamo felici). Tali reazioni sono soggettive: infatti,
ciascuno di noi può reagire diversamente allo stesso stimolo. Per
esempio, di fronte a un cane c'è chi ne ha paura e chi no.

Le emozioni, tutte, servono in primis per la sopravvivenza fisica e per


quella psicologica e sociale 2. Oltre a proteggerci dalle minacce (fisiche o
psico-sociali), esse ci aiutano ad intrecciare relazioni con gli altri, a
comunicare ed connetterci reciprocamente. Senza di esse,
sostanzialmente, la nostra vita non sarebbe possibile.

Un aspetto importante, e che troppo spesso la nostra cultura distorce,


riguarda il valore delle emozioni. Infatti, frequentemente si parla di
emozioni "negative" e "positive", presumendo che le prime siano
"sbagliate" e che vadano eliminate. Non funziona così! Le emozioni
proprio perché, come abbiamo detto, servono tutte, semplicemente
SONO, né positive, né negative. Semmai, questo sì, possono essere
piacevoli o spiacevoli. È indubbio che sentirsi spaventati è spiacevole,
mentre sentirsi felici ci fa stare bene.

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2 Brevemente, le emozioni primarie hanno le seguenti funzioni: la
paura serve a proteggerci dalle minacce; la rabbia serve a superare
gli ostacoli che si frappongono verso i nostri obiettivi e stabilisce i
confini del nostro "territorio"; la gioia ci aiuta a stabilire i rapporti
sociali; la tristezza ci è utile a sollecitare il supporto degli altri quando
viviamo una perdita; il disgusto ci protegge da alimenti
potenzialmente nocivi; la sorpresa ci serve per valutare stimoli
imprevisti.

Da tener presente che il tema "emozioni", su cui le ricerche si stanno


concentrando da diversi anni, è molto dibattuto a livello scientifico e
gli studiosi non sono tutti concordi rispetto a come classificare i vari
stati emotivi (e non solo su ciò vi sono idee differenti). In questa sede
non ci occupiamo di questo dibattito, ma lo segnaliamo perché è
possibile trovare informazioni anche molto diverse.

È molto importante riconoscere un valore a tutte le emozioni in


quanto uno dei caposaldi dell'educazione emotiva è rappresentato
dall'accoglienza e dalla legittimazione di tutti gli stati emotivi,
nessuno escluso.: ovvero TUTTE LE EMOZIONI SONO ACCETTABILI,
anche se NON tutti i comportamenti lo sono, come vedremo meglio
più avanti.

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"Riconoscere quello che prova (il bambino N.d.a.) non
significa essere sempre d'accordo con lui.
Significa essere insieme a lui..."
E. Rossini/E. Urso

"Rispettare le emozioni di un bambino significa


permettergli di sentire chi è, di prendere coscienza di se
stesso in quel preciso momento. Significa considerarlo un
soggetto unico, consentendogli di mostrarsi diverso da
noi, una persona che ha il diritto di rispondere in modo
del tutto personale alla domanda: chi sono? Significa
anche aiutarlo a realizzarsi, a costruire il suo passato e
immaginare il suo futuro, a prendere coscienza delle sue
risorse, delle sue forze come delle sue mancanze"
I. Filliozat

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In che modo gli educatori (genitori, familiari, insegnanti) possono
quindi "allenare" i bambini affinché acquisiscano la competenza
emotiva? 3
Innanzitutto, è fondamentale sintonizzarsi con gli stati emotivi dei
bambini, convalidandoli (anche quelli spiacevoli), senza temere che
ciò possa creare loro "danno". Oggi, infatti, frequentemente gli
adulti desiderano risparmiare ai piccoli le emozioni spiacevoli
temendo che siano "traumatiche".
Ma piangere perché, per esempio, non si può continuare a giocare
al parco non significa che il bambino sia traumatizzato!! È solo
triste, dispiaciuto, arrabbiato e ciò è normale e naturale. Anche a noi
dispiace quando dobbiamo interrompere qualcosa di bello! A
differenza dei piccoli, gli adulti sanno utilizzare il linguaggio per
comunicare i propri stati interiori. Come in questo esempio, invece, i
bambini usano il pianto perché non hanno ancora maturato
sufficienti competenze linguistiche, cognitive ed emotive per
comunicare in altro modo ciò che provano.

In quest'ottica è fondamentale quindi accettare qualsiasi emozione


manifestata dai bambini, senza per forza voler far cambiare loro
umore. Infatti, se un bambino si sente triste e l'adulto fa di tutto per
farlo uscire da quello stato, implicitamente gli comunica di non
accettare ciò che lui prova e che quella emozione deve essere
abbandonata il prima possibile. Ciò significa anche, per esempio,
evitare frasi tipo: “Non è successo niente” o “Non c’è bisogno di
piangere” etc. A volte si usano parole come queste nel tentativo di
rassicurare i bambini, ma non è minimizzando e svalutando ciò che
provano che li supportiamo nella gestione delle loro emozioni.

3 Gli spunti sono molti e per approfondimenti rimando alla bibliografia di


riferimento (in particolare ai testi di D. Siegel/T. Payne Bryson ed a quello di J.
Gottman/J. Declaire )

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"I sentimenti non hanno bisogno di essere aggiustati.
Non sono sbagliati o pericolosi. Sono parte della nostra
umanità e ci aiutano a crescere e a imparare.
Senza di loro la vita è vuota”
B. A. Bailey

Al contrario, è utile invece accogliere lo stato emotivo del bambino,


rassicurandolo che non durerà per sempre.
Per esempio: "Ti senti triste perché dobbiamo andare a casa?
Ti capisco... È difficile interrompere una cosa bella come giocare al
parchetto...Tra un po', quando saremo a casa a giocare con le
costruzioni che ti piacciono tanto, ti sentirai di nuovo contento..".

Sarà poi il bambino, supportato dall'empatia dell'adulto, a modulare


la propria tristezza, uscendone quando l'avrà sperimentata per il
tempo a lui sufficiente a "digerire" il dispiacere della fine di una
attività divertente. 4

Nell'esempio di poco fa, si evidenzia ciò che viene chiamato


"rispecchiamento emotivo", uno degli elementi base dell'educazione
emotiva. Si tratta di fare da specchio a ciò che il bambino prova,
rimandandogli la sua emozione, arricchita di parole per darle forma e
renderla comprensibile: "sembri arrabbiato...sei felice...forse ti sei
spaventato" etc.

4 G. Neufeld ne "I vostri figli hanno bisogno di voi" parla di senso di futilità per
indicare quel sentimento di tristezza, dolore, dispiacere che i bambini vivono
quando si rendono conto che non possono fare/avere tutto ciò che desiderano
e devono quindi fare i conti con la realtà. E' importante che possano esprimere
questo stato emotivo, manifestando le loro emozioni, al fine di integrare
l'esperienza ed utilizzarla per la propria crescita ed il proprio apprendimento,
supportati da un adulto empatico.

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Come abbiamo detto in precedenza, la competenza emotiva consiste
nel saper riconoscere, nominare, comprendere, esprimere e regolare
le proprie (e poi altrui) emozioni. I bambini in età prescolare provano
emozioni, ma (soprattutto nei primissimi anni) non ne conoscono
ancora il nome e faticano anche a comprenderle e comunicarle in
modo "socialmente adeguato".

A partire quindi da un atteggiamento di ascolto, empatia ed


accoglienza, il primo step dell'educazione emotiva consiste
nell'aiutare il bambino ad imparare il "lessico emotivo", ovvero le
parole per indicare le emozioni, possibilmente con varie sfumature.
Per esempio, conoscere non solo la parola "triste", ma anche
"mesto", "desolato", "giù di corda", "abbattuto", etc .
In questo modo il piccolo, man mano che sviluppa il linguaggio, può
poi comunicare autonomamente il suo stato interiore in modo
articolato e preciso, a partire da una buona comprensione di sè.

Grazie al rispecchiamento emotivo che ottiene dall'adulto, il bambino


impara non solo il nome delle emozioni, ma lo abbina ad un set di
sensazioni interiori, per cui sarà poi in grado di riconoscere, oltre che
nominare, i suoi stati interni.

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Per lavorare sulla comprensione delle emozioni, l'adulto supporta il
bambino aiutandolo a capire come mai prova ciò che prova. Per
esempio: "Ti sei arrabbiato perché Giovanni ti ha preso di mano la
macchinina e tu non volevi?". In questo modo il piccolo, un po' per
volta, apprende che le emozioni sono suscitate da eventi esterni, ma
anche interni. Per esempio, ad un bambino in ambientamento al Nido
si può dire: "Ti senti triste perché ti è venuta in mente la mamma? Ti
manca un po'?".
In merito all'esprimere e regolare le emozioni, gli adulti possono
aiutare i bambini guidandoli ad apprendere modalità socialmente
adeguate di espressione e gestione delle stesse. Come già detto, tutte
le emozioni sono ok ma NON tutti i comportamenti!
Infatti, va bene essere arrabbiati, ma quando si è arrabbiati non si può
spingere, picchiare, tirare i capelli. Serve una alternativa che deve
essere indicata a cura dell'adulto. I bambini, infatti, non possono
sapere quali azioni sono o non sono accettabili, anche perché questo
dipende molto dalla famiglia in cui si nasce e cresce e dalla cultura di
riferimento. Ciò che può essere accettabile in Italia potrebbe non
esserlo in Giappone...

Pertanto, l'adulto guiderà il bambino indicando cosa non può fare


quando prova una determinata emozione ma fornendo
contemporaneamente una alternativa accettabile: "quando sei
arrabbiato non puoi tirare i capelli...puoi dirlo con le parole... 'ci sto
giocando io', oppure vieni da me e ti aiuto".

Ovviamente, tutto questo senza aspettarsi che il bambino


immediatamente metta in atto le indicazioni che gli forniamo: ci
vorranno tempo e ripetizione prima che lui possa utilizzare un
comportamento differente da quello che gli scatta in modo impulsivo:
“le azioni, come ogni seme, hanno bisogno di tempo per portar
frutto” (M.K.Gandhi).

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Riepilogando: "Sembri arrabbiato... È perché Giovanni ti ha portato
via la macchinina e tu non volevi?....Quando sei arrabbiato non voglio
che tiri i capelli. Puoi dirlo con le parole oppure vieni da me e ti aiuto
io".

Grazie al supporto dell'adulto, nel tempo il bambino imparerà a


regolare in modo autonomo le proprie emozioni in accordo con il
contesto sociale in cui è inserito.

“Entrare in sintonia con un bambino agitato o fuori


controllo significa soddisfare i suoi BISOGNI, non cedere
ai suoi voleri”
D. Siegel/T. Payne Bryson

Affinché l'adulto possa mettere in campo queste modalità è


importante che sia a sua volta emotivamente calmo, disponibile e
aperto all'ascolto. Quando si è stanchi, stressati o arrabbiati è
pressoché impossibile lavorare serenamente con le emozioni dei
bambini (oltre che con le proprie!). È normale che sia così. Del resto
essi non hanno bisogno che gli adulti siano sempre "zen"!

È auspicabile che i grandi sappiano mantenere la calma quando si


relazionano con i bambini, ma non è umano che ciò accada sempre.
Quando si è tristi, per esempio, è possibile mostrare questa emozione
al proprio bambino: in questo modo implicitamente gli si comunica
che va bene anche sentirsi così. Inoltre, il bambino può osservare in
che modo l'adulto gestisce le proprie emozioni e ciò funge per lui da
modello per ulteriori apprendimenti emotivi.

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"Aiutare i figli a sviluppare il loro quoziente emotivo
ci obbliga a sviluppare il nostro. Non possiamo
aiutare un bambino a crescere senza crescere noi
stessi. I figli ci pongono di fronte ai nostri limiti e ci
insegnano ad amare; se sappiamo ascoltarli,
possono essere le nostre guide spirituali”.

I. Filliozat

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CAPITOLO 2
EMOZIONI E CERVELLO
Per lavorare al meglio con le emozioni dei bambini e per avere ancora
più consapevolezza dell’importanza di quanto detto fino qui, ritengo
sia utile conoscere e comprendere come funziona il nostro cervello:
queste informazioni, infatti, possono aiutarci a capire meglio le
reazioni emotive dei bambini in età prescolare ed aumentare la nostra
capacità empatica nei loro confronti, sostenendoci nell'avere più
pazienza e quindi maggiore efficacia nel nostro intervento educativo.

IL CERVELLO CHE CRESCE

Quando nasciamo, il nostro cervello pesa circa 400 grammi. A 12 mesi


ha più che raddoppiato il proprio volume, arrivando a pesare circa 1
kg. A 5 anni ha raggiunto il 90% delle dimensioni del cervello adulto
(peso finale circa 1,4 kg). Si stima che alla nascita nel cervello umano
ci siano 100 miliardi di neuroni i quali, nel corso degli anni, si
potranno collegare anche fino a 10.000 altri neuroni Queste fibre
allineate si estendono per oltre 3.000.000 di km!!

Alla nascita, però, abbiamo poche connessioni (ovvero il cervello è


scarsamente "cablato"). Nei primi anni di vita, grazie alle esperienze
che il bambino sperimenta, stabilisce nuove sinapsi alla velocità di
oltre 1.000.000 al SECONDO!!!!! 5

5Fonte: Center on developing child – Harvard University. Recentemente


hanno corretto il dato precedente di 700/1000 nuove connessioni al
secondo, a seguito di nuove e più approfondite ricerche.

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Nella seguente immagine possiamo renderci conto visivamente di
quanto appena esplicato:

Immagine: Conel, JL. The postnatal development of the human


cerebral cortex. Cambridge,
Mass: Harvard University Press, 1959

Oltre ad organizzarsi creando nuove connessioni, il cervello svolge


anche un lavoro cosiddetto di "pruning" o "potatura" per cui seleziona
le connessioni maggiormente utilizzate e "taglia i rami secchi" ovvero
abbandona quelle scarsamente usate (il cosiddetto darwinismo
neurale: "use it or loose it”).

Il pruning ha due momenti topici: intorno ai 3 anni e in adolescenza.


Sono fasi in cui il processo di potatura è più sostenuto, sebbene il
cervello, in realtà, essendo estremamente plastico, si organizzi e
riorganizzi lungo tutto l'arco della vita.

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Dal punto di vista strutturale, il nostro cervello è come un palazzo di
3 piani, sovrapposti l’uno all’altro, frutto della filogenesi, ovvero
dell’evoluzione della vita e della nostra specie sulla Terra. Ogni
“piano” è deputato a funzioni specifiche.
La parte più arcaica del nostro cervello è il cosiddetto cervello
rettiliano che presiede le funzioni corporee vitali come: fame,
digestione ed evacuazione, respirazione, circolazione, regolazione
della temperatura, movimento, equilibrio, etc.

Il piano successivo è il cosiddetto cervello mammaliano o sistema


limbico: è la regione dove risiedono le emozioni ed attiva collera,
paura, ansia da separazione, attaccamento e accudimento, legami
sociali, divertimento, esplorazione, istinto sessuale. Regola inoltre la
reazione di lotta/fuga/congelamento (fight, flight, freeze) di fronte alle
minacce reali o potenziali.

Queste parti del cervello sono molto attive nei bambini piccoli e ciò spiega
perché essi sono cosi possessivi e tendano a reagire in modo aggressivo
alle minacce (appunto reali o potenziali).

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Infine, la neocorteccia (o “cervello razionale” o “superiore”) è la parte
più recente del cervello (risale a circa 150.000 anni fa). Il cervello
superiore è deputato, tra le altre cose, alla risoluzione dei problemi, al
ragionamento ed alla riflessione, all’autoconsapevolezza, alla
creatività, all’empatia, alla capacità di regolare le emozioni, alla
pianificazione del comportamento ed alla previsione delle
conseguenze dello stesso, alla moralità.

Alla nascita e per i primi anni di vita dell’essere umano, sebbene


l’intero “palazzo” sia già costruito, prevale il “cervello inferiore”
(composto da rettiliano e limbico). Infatti, la neocorteccia, pur
essendo chiaramente presente nel bambino, è sviluppata solo
parzialmente (come abbiamo visto dall’immagine precedente): le
recenti ricerche attestano che servono quasi 30 anni affinché essa
arrivi a completa maturazione!!

Il fatto che la corteccia possieda questa ampia possibilità di sviluppo ci


aiuta a comprendere come l’umano possa essere così in grado di
adattarsi a innumerevoli contesti e situazioni. Infatti, la plasticità del
nostro cervello consente di poterci integrare con la cultura e le società
di ogni luogo della Terra, di apprendere qualsiasi linguaggio
(soprattutto nei primissimi anni di vita, in modo del tutto naturale e
senza sforzo) e di adattarci a differenti contesti abitativi e climatici.

Spesso utilizzo l’immagine del computer per capire meglio lo sviluppo


del cervello: alla nascita l’hardware è presente, con alcuni software di
base caricati, necessari per la sopravvivenza. Ma per scaricare tutti i
software necessari al funzionamento completo della macchina, sono
richiesti diversi anni di download, per cui dalla nascita in avanti, in
base alle esperienze che il bambino vive, i software iniziano un lento
processo di scaricamento che tendenzialmente, se tutto procede
come dovrebbe, si esaurisce intorno ai 30 anni. Da lì in avanti, il
cervello prosegue comunque il suo lavoro costante di evoluzione, nel
senso che si modifica continuamente in base alle nostre esperienze.

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Nell’immagine seguente è possibile notare l’evoluzione della
maturazione del cervello:

Dal punto di vista strutturale, il nostro cervello è come un palazzo di 3


piani, sovrapposti l’uno all’altro, frutto della filogenesi, ovvero
dell’evoluzione della vita e della nostra specie sulla Terra. Ogni “piano”
è deputato a funzioni specifiche.

In particolare, il cervello matura dalla parte posteriore a quella


anteriore, ovvero dalla parte che coordina i sensi ed il movimento, a
quella che presiede alle emozioni e infine alla razionalità, alla
regolazione emotiva ed alla pianificazione del comportamento: le
cosiddette funzioni esecutive 6 che risiedono nella corteccia
prefrontale e orbitofrontale, la parte più evoluta in assoluto del nostro
cervello, la quale termina la sua maturazione, appunto, verso i 30
anni.

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Inoltre, la maturazione procede dai piani inferiori a quelli superiori,
pertanto il cervello inferiore è quello che si rende prima disponibile,
mentre la corteccia richiede un tempo di “download dei file” più
ampio.

Il nostro cervello ha dei tempi di maturazione così ampi per via della
propria plasticità, capacità di adattamento, possibilità di sviluppo
dell’intelligenza: “stando così le cose, se cioè si sfornano ciambelle
prima che siano cotte del tutto, occorre che dei cervelli esperti
istruiscano i nuovi nati per anni” (J. Medina “Naturalmente
intelligenti. Istruzioni per lo sviluppo armonioso del cervello dei
bambini della prima età” ed. Bollati Boringhieri).

6 le funzioni esecutive indicano diversi domini cognitivi collegati fra loro. Sono
comprese in queste funzioni abilità metà -cognitive come, tra le altre:
capacità di inibire gli impulsi, memoria di lavoro, flessibilità cognitiva, fluenza
verbale, capacità di pianificare i propri comportamenti e di prevederne le
conseguenze, regolazione delle emozioni. “Si tratta di abilità indispensabili
per affrontare situazioni nuove e mettere in atto nuove sequenze di
comportamento consone al contesto ed alle richieste ambientali, per andare
oltre il qui ed ora potendo così riformulare il passato ed esercitare un
controllo sul futuro, per svolgere simultaneamente più compiti o attività e per
monitorare il proprio comportamento ed apportarvi modifiche laddove sia
indispensabile” G.M. Marzocchi, S. Valagussa, “Le funzioni esceutive in età
evolutiva” ed. Franco Angeli, Milano, 2011

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Dal punto di vista strutturale, il nostro cervello è come un palazzo di
3 piani, sovrapposti l’uno all’altro, frutto della filogenesi, ovvero
dell’evoluzione della vita e della nostra specie sulla Terra. Ogni
“piano” è deputato a funzioni specifiche.

Questo significa che più i bambini sono piccoli, più i sistemi


emozionali e gli impulsi primitivi della regione inferiore riusciranno
a sopraffarli con facilità. Nel bambino piccolo, quindi, per esempio le
crisi di rabbia (i cosiddetti "capricci"), l’agitazione, l’aggressività e in
generale l'intensità delle sue emozioni, sono in genere
semplicemente la conseguenza della sua immaturità cerebrale e
quindi emotiva.

Il cervello superiore del bambino, deputato alla regolazione delle


emozioni e del comportamento, infatti, non si è ancora sviluppato a
sufficienza e pertanto non è in grado di gestire in modo efficace gli
stati emozionali impulsivi, “calmando” il cervello inferiore e limitando
il dilagare della “tempesta ormonale” (ormoni dello stress) che invade
il suo corpo quando è preda di emozioni intense.

Sostanzialmente, quando un
bambino, soprattutto tra 0 e 3
anni, sperimenta un'emozione,
tipicamente ad essa corrisponde
un'azione, senza la mediazione
del pensiero (come dovrebbe
essere per noi adulti: emozione -
pensiero - azione). Ovvero, nei
piccoli, emozione = azione. Ciò
significa anche che essi non
sono capaci di riflettere sui loro
comportamenti come
intendiamo noi adulti e per
questo per esempio il time out è
del tutto inutile (vedi box più
avanti)!
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Per riflettere sulle proprie emozioni ed azioni e per attivare strategie
regolative basate sul pensiero, è necessario sviluppare la
metacognizione 7 la quale richiede circa 7-8 anni per far sì che i bambini
sappiano, per esempio, dirsi in modo consapevole: "pensa a qualcosa
di bello", "pensa a qualcos’altro”, “conta fino a 10” etc. per gestire i
propri stati emozionali.

A causa di tale immaturità dei bambini è


necessario che la funzione regolatrice,
soprattutto nei momenti in cui le
emozioni sono molto intense, venga
svolta dall’adulto.

Quando il bambino, grazie


all’accompagnamento dell’adulto, viene
co-regolato nelle sue emozioni, nella
corteccia si formano dei percorsi
neuronali che sviluppano alcune aree del
cervello (come la corteccia prefrontale,
deputata alla gestione delle emozioni)
consentendogli così, nel tempo, di
imparare l’autoregolazione.

Per non essere sopraffatti dai loro stati emozionali i bambini hanno
quindi bisogno del supporto di un adulto che li aiuti nella
regolazione emotiva, come affermato poc'anzi.
Ciò significa che i bambini hanno bisogno di sentirsi contenuti da un
adulto capace di pensare e di “reggere” le loro emozioni, regolarle e
indicare valide alternative di comportamento.

7 La metacognizione indica un tipo di autoriflessività sul fenomeno cognitivo,


attuabile grazie alla possibilità - molto probabilmente peculiare della specie
umana - di distanziarsi, auto-osservare e riflettere sui propri stati mentali.
L'attività metacognitiva ci permette, tra l'altro, di controllare i nostri pensieri, e
quindi anche di conoscere e dirigere i nostri processi di apprendimento.
(Wikipedia)

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È proprio grazie al fatto che i bambini ottengono il contenimento e la
regolazione emotiva di cui necessitano che impareranno, negli anni,
a regolare e gestire da soli le loro emozioni.
Senza regolazione da parte dell’adulto, i bambini non potranno
imparare da soli modalità sane di gestione emotiva. La linea
evolutiva prevede, infatti, che nei primi anni di vita prevalga
l’eteroregolazione (ovvero la regolazione da parte degli adulti) per
poi arrivare all’autoregolazione, tenendo conto che solo dopo i 7/8
anni, come anticipato, i bambini acquistano una maggiore
padronanza nel gestire in modo autonomo anche le loro emozioni
intense (anche grazie alla metacognizione di cui abbiamo detto in
precedenza).

In questa parte dell’ebook ci siamo concentrati su una conoscenza


minima di come funziona il cervello e del suo sviluppo nel corso
dell'età evolutiva per aiutare gli educatori a comprendere meglio i
comportamenti dei bambini e tenere conto che le loro azioni non
sono dirette a "farci dispetto", "farci arrabbiare apposta" etc, ma
sono frutto della loro immaturità e della loro scarsa capacità di
autoregolazione. Tutto questo per rafforzare il messaggio del primo
capitolo e per comprendere in modo più approfondito come
“funzionano” i bambini.

Ora, per scendere ancora più in


profondità nella comprensione del
mondo emotivo dei bambini,
focalizziamo nello specifico il tema
della regolazione emotiva, parte
della più ampia competenza
emotiva di cui abbiamo già detto.

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LA REGOLAZIONE EMOTIVA

“L’organizzazione del Sé dipende dalle modalità con cui


le emozioni vengono regolate”
D. Siegel

La regolazione riguarda la consapevolezza che le emozioni possono


essere regolate e il modo per farlo. Le persone non solo provano
emozioni, infatti, ma le “manipolano”: valutano le conseguenze delle
proprie azioni di tipo emotivo, le giudicano “piacevoli” o “spiacevoli”
e si comportano di conseguenza.

Regolare le emozioni significa essere in grado di modularne


l’intensità e la durata, valutando il contesto in cui ci si trova e le
proprie risorse, adattando in modo flessibile il proprio
comportamento al contesto stesso.

La regolazione ci permette di adattarci alla società ed alle sue norme


e di coordinare le nostre azioni e desideri ai nostri interessi e bisogni
ed a quelli altrui.

I processi di regolazione agiscono sia con le emozioni “piacevoli” che


“spiacevoli”. Anche le emozioni “piacevoli”, infatti, per motivi
culturali, possono essere regolate: per esempio, nella nostra cultura
mostrarsi entusiasti per una vittoria può essere interpretato come
segno di superbia e quindi possiamo decidere di limitare le nostre
manifestazioni di gioia.

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La regolazione può essere “intrinseca” quando il soggetto si
autoregola, oppure “estrinseca” quando una persona agisce per
regolare le emozioni di un’altra ("eteroregolazione"). La ricerca
neuroscientifica degli ultimi anni evidenzia l’importanza della
regolazione estrinseca nei primi anni di vita (soprattutto nella fascia
0-3 anni). Infatti, senza la guida dell’adulto, il bambino piccolo
difficilmente impara a regolare da solo le proprie emozioni in modo
equilibrato (come detto in precedenza).
Egli possiede già alcune capacità autoregolatorie innate (succhiarsi il
dito, toccarsi parti del corpo, dormire, distogliere lo sguardo), ma di
fronte ad emozioni intense gli è difficile farvi fronte da solo.

La capacità autoregolativa nel bambino cresce in funzione


dell’attività di supporto e trasformazione svolta dall’adulto, ovvero il
lavoro che abbiamo delineato nel primo capitolo, soprattutto
attraverso il rispecchiamento emotivo e l’indicazione di valide
alternative di comportamento.

Il passaggio della regolazione emotiva dal caregiver al bambino è un


importante compito evolutivo che impegna quest’ultimo durante
l’infanzia e oltre, non raggiungendo, forse mai nel ciclo di vita, una
conclusione definitiva con la piena autosufficienza regolativa. Anche
da adulti, infatti, il ricorso agli altri quando siamo in difficoltà è
frequente.

È soprattutto durante l’infanzia, comunque, che vengono poste le basi


per l’acquisizione di un’ampia gamma di efficaci strategie di
regolazione emotiva.

La regolazione che l'adulto svolge con il bambino veicola la


formazione di percorsi cerebrali che collegano il cervello superiore
(neocorteccia) a quello inferiore (cosiddetti percorsi top down).
Grazie a tali connessioni, nel tempo, il bambino impara a riflettere
sulle sue emozioni anziché limitarsi a sfogarle, gestendole quindi in
modo appropriato.

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Sostanzialmente la corteccia, nel corso degli anni, sviluppa la
possibilità di "contenere" le reazioni del cervello inferiore. Infatti, per
tutta la vita, nel nostro cervello inferiore si sviluppano emozioni,
impulsi, reazioni anche intense. Ma quando la corteccia è ben
sviluppata, essa (grazie anche ai percorsi top down) riesce a
"dialogare" col cervello inferiore, calmandolo e portandolo a "più miti
consigli". Ciò avviene anche attraverso la metacognizione (di cui
abbiamo parlato).

Il bambino ha quindi bisogno di un adulto emotivamente disponibile


e sufficientemente in sintonia con lui da fornirgli aiuto nella
regolazione dei suoi stati di eccitazione e delle sue emozioni, perché
lo sviluppo procede dalla regolazione esterna da parte dell’adulto alla
conquista della regolazione interna autonoma 8.

8Tale processo è soggettivo. Infatti, le


differenze individuali nella regolazione
emotiva sono molteplici e dipendono da
numerosi fattori: da quelli di natura
biologica e temperamentale (intensità
della reattività emotiva, capacità di inibire
gli impulsi, tolleranza alla frustrazione) a
quelli di natura più relazionale legati ai
pattern di attaccamento ed ai contesti
educativi.

Un’adeguata regolazione emotiva da parte dell’adulto verso il bambino


nei primi anni di vita consente anche la costruzione di un buon legame
di attaccamento, fondamentale per costruire una relazione salda con
lui, grazie alla quale poterlo guidare al meglio. Inoltre, l’attaccamento
sicuro a sua volta garantisce nel piccolo lo sviluppo di una buona
autostima e di quel senso interiore di padronanza e di sicurezza
emotiva che gli permetterà di avventurarsi con fiducia nella vita.

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Inoltre, una adeguata regolazione esterna permette al bambino di
introiettare un modello di gestione delle emozioni che contribuirà a
sua volta allo sviluppo di una buona autoregolazione emotiva.

Una buona autoregolazione emotiva consente ai bambini, tra l’altro,


di mantenere per tempi sempre maggiori un comportamento
organizzato, attento e concentrato di fronte al nuovo, assicurandosi
così la possibilità di un apprendimento continuo.
La funzione dell’adulto, poi, diminuisce al crescere del bambino,
sebbene sia importante mantenere la “base sicura”.

IL RUOLO DELL’ADULTO NELLA REGOLAZIONE EMOTIVA

Quanto visto fin qui ci conduce, quindi, alla riflessione sul ruolo
dell’adulto nella gestione delle emozioni dei bambini in un'ottica di
sviluppo della competenza emotiva e in accordo col funzionamento
del cervello nei primi ani di vita, per ribadire e ampliare quanto già
esplicitato nel primo capitolo.

Prima di tutto, è importante sottolineare come sia fondamentale che


l’adulto sia consapevole delle proprie emozioni e di come tende a
“reagire” alle emozioni ed ai comportamenti del bambino. Infatti,
talvolta, i piccoli involontariamente sollecitano i nostri “tasti dolenti”
interiori, i nostri “nervi scoperti”, attivando in noi reazioni emotive
intense a fronte delle loro azioni.
Ci sentiamo “sfidati” o “presi in
giro” o “non ascoltati e rispettati” e
ciò può attivare nostri
comportamenti non sempre utili
allo sviluppo emotivo del bambino
ed al creare una relazione di fiducia
con lui. Rispetto a questo, è a nostro
avviso utile ricordare che “l’adulto
siamo noi” e che il bambino fa
semplicemente il bambino…
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Come abbiamo avuto modo di vedere parlando dello sviluppo
cerebrale, egli è molto immaturo e fa quello che può con i mezzi che
ha per comunicare e dire cosa gli passa dentro. Tipicamente, più il
bambino è piccolo e più comunica attraverso il comportamento, che
va letto e interpretato quindi come un vero e proprio linguaggio: cosa
succede nel mondo interno del bambino? Come si sente? In che
modo sta vivendo la tale esperienza? Di quali informazioni
necessita? Quali sono i suoi bisogni? Cosa sta cercando di dire con le
sue azioni?

Interrogarsi, riflettere, è fondamentale per evitare di essere reattivi e


impulsivi a nostra volta, facendoci anche noi guidare dal cervello
inferiore (limbico e rettiliano). Dobbiamo attivare la nostra corteccia,
sede della nostra adultità e razionalità, per pensare a cosa sta
accadendo e trovare risposte diverse dal semplice “lo fa apposta per
farmi arrabbiare”, “mi sfida” etc. Perché c’è altro, molto molto di più:
il mondo interiore dei bambini è complesso, articolato,
multisfaccettato. Sono “piccoli alieni” atterrati su un pianeta
sconosciuto e hanno tanto da imparare e capire. Non hanno ancora
uno sviluppo cerebrale e quindi linguistico, emotivo, cognitivo e
sociale sufficiente per comunicare ciò che passa loro dentro in modo
facilmente comprensibile (a volte non ce la facciamo nemmeno noi
grandi!!). E allora:

“L’adulto deve fare bene l’adulto se si vuole che il


bambino impari a fare bene il bambino”
G. Nicolodi

Fermarsi a pensare, respirare, prendersi tempo (se la situazione non è


“pericolosa” e urgente), è utile per poter mettere in campo le nostre
capacità superiori e gestire così le diverse situazioni in modo efficace
e utile alla crescita equilibrata dei bimbi.

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Abbiamo detto, quindi, che è importante supportare il bambino a
gestire le sue emozioni, aiutandolo a calmarsi ed a recuperare un
grado di attivazione fisiologica per lui sostenibile, soprattutto se
l’intensità emotiva è elevata. Ciò a partire da uno stato di calma
prima di tutto dell’adulto. Infatti, se il caregiver è emotivamente
molto attivato, difficilmente riuscirà a tranquillizzare il piccolo. È
esperienza comune di molti genitori, ad esempio, che quando si
interviene con aggressività ed ostilità, la situazione peggiora…Il
bambino si spaventa e va ancora più in crisi.

Se l’adulto fatica a gestire la situazione a causa del suo stato emotivo,


sarebbe utile che “passasse il testimone” ad un altro adulto presente
e si allontanasse per ritrovare la calma.

Nel caso di un genitore in casa da solo col proprio bambino, sarebbe


importante allontanarsi verbalizzando che si è “troppo arrabbiati” e
che si ha bisogno di calmarsi per aiutarlo. Il piccolo comunque
tenderà ad intimorirsi anche “inseguendo” il genitore. D’altronde in
queste situazioni la priorità è che l’adulto si calmi, solo così potrà
davvero aiutare il bambino. Di conseguenza il caregiver cercherà di
recuperare la calma il prima possibile per poter poi supportare il
bambino con le sue emozioni, mettendo anche parole sulla situazione
per aiutare il piccolo a comprendere e integrare l’esperienza: “Hai
visto? Ero tanto arrabbiata, ma ora mi sono calmata. Forse ti sei un
po’ spaventato che mi sono allontanata? Anche tu eri molto
arrabbiato…Ora però è passato tutto. Ci si può arrabbiare, è normale,
succede a tutti, ma poi si ritrova la calma!”.

Molto importante risulta essere la rassicurazione al bambino del


proprio immutato amore: si tratta cioè di trasmettergli il messaggio
(verbalmente o con i propri gesti affettuosi) che gli si vuole sempre
bene, anche se si è persa la pazienza. Per i piccoli, infatti, non è
scontato che l’adulto continui ad amarli anche quando ci si è
arrabbiati con loro!

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A partire quindi da una situazione di tranquillità del caregiver, è
cruciale che egli si interroghi rispetto a quali modalità (per ciascun
bambino) sono utili per aiutarlo a ritrovare la calma. L’intervento, di
conseguenza, dovrà essere individualizzato: quello che funziona con
Luca può non funzionare con Giorgia.

In questa sede non abbiamo modo di lavorare sul singolo caso, ma


possiamo generalizzare alcuni spunti.

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IL CONTENIMENTO

“Sono convinta che ogni bambino abbia bisogno di


essere contenuto da un adulto in grado di provvedere
affettivamente e fisicamente al suo benessere. Questo,
senza dubbio, rafforza le sue capacità naturali e lo aiuta
a evolversi gradualmente attraverso le varie fasi della
crescita per diventare una persona autonoma.”
Masal Pas Bagdadi

Una delle possibili strategie a disposizione degli adulti è l’holding,


ovvero fornire al bambino un contatto fisico rassicurante e che può
essere adottato al bisogno. Il contenimento può aiutare a calmare i
bambini 8 sia a fronte di una crisi di rabbia che in caso di ansia,
agitazione, tristezza, angoscia.

L’holding può aiutare il bambino a sentirsi contenuto nei suoi


sentimenti forti di qualsiasi natura essi siano. Nel caso della rabbia, il
contatto aiuta il bambino a vedere che il legame con l’adulto è più
forte, per esempio, della sua rabbia, di cui egli stesso ha paura.
Infatti, spesso, i bambini restano spaventati dalla perdita di controllo
e dalla “tempesta ormonale” che li travolge quando sono molto
arrabbiati e sapere che l’adulto è più “forte” delle loro emozioni può
essere molto rassicurante.

8Chiaramente, come anticipato prima, non è una bacchetta magica che risolve
tutto, né va adottato tout court con tutti, a prescindere. Osservare il bambino è
sempre essenziale per valutare in che modo è più opportuno intervenire.

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Il contenimento inteso qui come una forma di contatto fisico, può
aiutare il bambino in primis sul piano fisiologico: stimola nel cervello
la produzione di oppioidi ed ossitocina, ormoni che riducono lo stress,
regolano l’arousal 9 e facilitano le relazioni. Basta un abbraccio di
30’’!!

L’ossitocina, detta anche “ormone dell’amore”, agisce sullo stato


emotivo, diminuendo l’aggressività, la paura, abbassando la pressione
arteriosa e la frequenza cardiaca, aumentando la curiosità, il senso di
benessere e le capacità mnemoniche. È un ansiolitico naturale:
abbassa il cortisolo (l’ormone che il nostro corpo produce quando
siamo sottoposti allo stress ) e, tra l’altro, accresce le capacità
empatiche.

Inoltre, il contatto fisico lavora in accordo con il cervello dei bambini:


in particolare nei primi 3 anni di vita domina l’emisfero destro
(emotivo, non verbale, non logico, creativo, intuitivo, olistico), più
connesso al corpo, e solo a partire dal 18° mese di età inizia la
maturazione dell’emisfero sinistro (verbale, logico, analitico,
razionale, lineare).

La dominanza dell’emisfero destro nei primi 3 anni di vita ci aiuta a


comprendere perché i bambini richiedano così tanto il contatto fisico,
essendo la comunicazione non verbale quella predominante in
questo periodo.

9 il grado di attivazione neurofisiologica del bambino

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Inoltre, poiché la pelle è in comunicazione diretta con il sistema
nervoso (si formano dallo stesso foglietto embrionale – ectoderma),
si può anche dire che è come se fosse la parte visibile, esterna, del
sistema nervoso e della psiche: ecco perché il contatto fisico può
rivelarsi molto utile in queste situazioni.

Il contenimento, oltre all’abbraccio, può avere anche altre forme. Per


esempio, si potrebbe dire al bambino: “Andrea, mi sembri arrabbiato.
Adesso non possiamo giocare con gli altri bimbi, perché le mani e i
piedi sono troppo agitati…Ora ci sediamo qui insieme e ci calmiamo
un po’”. A quel punto si possono adottare diverse strategie per
aiutare il bambino a calmarsi, a seconda dell’intensità dell’emozione e
di come conosciamo il piccolo (vedi, per esempio, la “scatola della
calma” più avanti proposta). In questo modo il bambino non si sente
sminuito, né sbagliato, ma aiutato dall’adulto a ritrovare l’equilibrio
prima di tornare a giocare con i compagni (senza usare il time out).

Si tratta, quindi, di valutare volta per volta quale modalità è più utile
per quel bambino nell’aiutarlo a ritrovare la calma: ognuno ha le sue
esigenze. Per qualcuno sarà utile una qualche forma di contatto fisico
(dall’abbraccio al semplice tenergli una mano o un lieve contatto sulla
schiena), per qualcun altro sarà meglio una parola o uno sguardo a
distanza, per qualcun altro ancora sarà più utile dare il tempo e lo
spazio per calmarsi da solo, pur rassicurando sulla propria
disponibilità e presenza… Ogni caso è diverso e richiede pertanto,
come detto, un intervento personalizzato.

Tutto ciò significa che è fondamentale esserci quando il bambino è


preda di emozioni intense, come per esempio nel caso delle crisi di
rabbia (che non sono “capricci”), evitando di ignorarlo!! È proprio in
questo momento che egli ha più bisogno dell’aiuto del caregiver: non
possiamo lasciarlo a se stesso!!
E anche se fosse il bambino a richiedere di poter stare per conto
proprio per calmarsi, l’adulto è importante mantenga la propria
disponibilità a fornire supporto e aiuto.

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“Ignorare un bambino che si trova nel bel mezzo di una
crisi di collera è una delle cose peggiori che possiamo
fare, perché quando è così sconvolto, il bambino in realtà
soffre. Sta malissimo. Il cortisolo pervade il corpo e si
diffonde nel cervello, e il bambino non ha più alcun
controllo sulle sue emozioni e i suoi impulsi, è incapace di
calmarsi o di dire di cosa ha bisogno.”
D. Siegel/T. Payne Bryson

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ALLENARE LA COMPETENZA EMOTIVA

“Oggi è proprio la neuroscienza che sostiene la necessità di


prendere molto seriamente le emozioni. Le nuove scoperte
scientifiche sono incoraggianti. Ci assicurano che se
cercheremo di aumentare l’autoconsapevolezza, di
controllare più efficacemente i nostri sentimenti negativi, di
conservare il nostro ottimismo, di essere perseveranti
nonostante le frustrazioni, di aumentare la nostra capacità
di essere empatici e di curarci degli altri, di cooperare e di
stabilire legami sociali – in altre parole, se presteremo
attenzione in modo più sistematico all’intelligenza emotiva
– potremo sperare in un futuro più sereno”
D. Goleman

“Se accogliamo i sentimenti dei bambini con tenerezza e


rispetto, comprese le esplosioni di rabbia, essi vivranno
più felicemente di quelli cui sono negate le prime
emozioni intense. I primi anni di esplorazione e
coinvolgimento affettivo con il mondo sono fondamentali
per il successo emozionale del bambino. È dunque
importante che i bambini partano sia emozionalmente
che intellettualmente con il piede giusto”
Jaak Panksepp

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È molto importante “educare” i bambini alle emozioni e favorire lo
sviluppo della competenza emotiva, intesa come consapevolezza del
proprio sentire e capacità di riconoscere, nominare, comprendere,
esprimere e regolare le proprie ed altrui emozioni senza farsene
travolgere.

Lo sviluppo della competenza emotiva è centrale per il benessere


psicofisico degli individui e richiede che gli adulti lavorino col
bambino affinché essa possa venire acquisita.

Infatti, mentre tutti nasciamo dotati della capacità di emozionarci, la


competenza emotiva NON è innata ma si acquisisce grazie
all'esperienza ed alle relazioni, con una sorta di "allenamento"
favorito da rapporti connotati da un attaccamento sicuro.

In pratica, in che modo gli educatori possono lavorare coi bambini in


questa direzione? Oltre a quanto già detto nel primo capitolo,
riportiamo qui approfondimenti e nuovi spunti.

Vorrei, in particolare, illustrare il punto di vista di alcuni autori che


hanno dedicato una quota significativa del proprio lavoro nel
delineare valide strategie per aiutare i bambini a sviluppare una buona
competenza emotiva, compito precipuo dell’adulto educatore
soprattutto nella prima infanzia, periodo in cui si gettano le basi dello
sviluppo futuro ed in cui l’eteroregolazione è prevalente.

In particolare, D. Siegel e T. Bryson 10, in accordo con le linee di


sviluppo del cervello, ci indicano di:

1) Entrare in sintonia e reincanalare: quando il bambino è sopraffatto


da emozioni intense, l’adulto entra in sintonia con il suo stato
emotivo. Per esempio: “Sei veramente arrabbiato!” Poi, quando il
bambino è più calmo, anche grazie al rispecchiamento dell’adulto, gli
si possono esplicitare modalità alternative “adeguate” di
comportamento.

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“È importante cominciare il prima possibile a far conoscere le
emozioni al bambino. Fate da ‘specchio’ ai suoi stati d’animo e
impiegate segnali non verbali (come abbracci ed espressioni facciali
che esprimano comprensione) per dimostrargli che lo capite.“ 11

10
D. Siegel/T. Bryson “12 strategie rivoluzionarie per favorire lo sviluppo
mentale del bambino” ed. Cortina, Milano, 2012

11
D. Siegel/T. Bryson “12 strategie rivoluzionarie per favorire lo sviluppo
mentale del bambino” ed. Cortina, Milano, 2012

2) Nominare per dominare: quando il bambino vive emozioni


intense, aiutarlo a raccontare cosa gli succede lo stimola ad usare
l’emisfero sinistro (che soprassiede al linguaggio ed al controllo
emotivo). In questo modo egli può comprendere la propria
esperienza e imparare pian piano a padroneggiarla. Se il bambino non
parla ancora, l’adulto svolge questa funzione per lui, mettendo parole
sul suo vissuto. È importante insegnare ai bambini il nome delle
emozioni che provano, attraverso il rispecchiamento emotivo : “Vedo
che sei arrabbiato. Ti capisco, è difficile condividere i giochi con gli
altri”. I bambini hanno bisogno della guida degli adulti per imparare a
riconoscere e nominare le proprie emozioni, apprendendo così il
lessico emotivo. Con l’età, gradualmente, il bambino imparerà ad
usare le parole, invece del comportamento, per manifestare come si
sente. “Fin da questa età, prendete l’abitudine di dimostrare al
bambino di riconoscere le emozioni che prova, dando loro un nome:
sembri così triste. Ti ha fatto molto male, vero? Poi raccontate
l’accaduto. Con i bambini piccoli, dovrete essere voi il narratore
principale.

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Usate le parole, ma mimate anche l’accaduto, per esempio lo scontro,
se possibile con un pizzico di umorismo e osservate come vostro figlio
ne rimarrà affascinato. Può essere utile realizzare un libricino o un
album con disegni e fotografie per raccontare un’esperienza difficile,
oppure per preparare il bambino a una transizione, come un nuovo
‘rituale del sonno’ oppure l’ingresso alla scuola materna”. 12

3) Attivare senza infiammare: nelle situazioni di tensione è


importante che l’adulto non si faccia a sua volta trascinare dal
cervello inferiore, reagendo e infilandosi in bracci di ferro inutili. È
importante perciò che l’adulto mantenga la calma ed utilizzi il suo
cervello superiore che pianifica e sceglie, reindirizzando il bambino,
aiutandolo a considerare delle alternative e/o proponendogliele.

Per esempio: “Ti sei arrabbiato, lo capisco, è normale, può succedere


a tutti. Quando sei arrabbiato però non voglio che mordi/picchi/graffi
i bambini. Vedi che adesso Massimo piange…La prossima volta puoi
dirlo con le parole, oppure puoi……” .

È importante passare al bambino l’idea che TUTTE le emozioni sono


legittime (compresa la rabbia) ma NON TUTTI I COMPORTAMENTI lo
sono. L’adulto lavorerà quindi sull’aiutare il bambino a trovare
comportamenti alternativi accettabili per esprimere le sue emozioni,
ricordando sempre che ci vorrà TEMPO prima che lui sia in grado di
agire le nuove strategie (devono crearsi i percorsi neuronali nel
cervello!!).

12 ibidem

36
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Altre strategie

Siegel e Bryson ci suggeriscono ancora, per esempio:

1) Allenare la parte superiore del cervello fornendo al bambino


diverse opportunità per esercitarla, affinché si rafforzi e realizzi
un’integrazione con il cervello inferiore ed il corpo: “ogni volta
che è possibile, trovate dei modi per far usare al bambino la
parte superiore del cervello e consentirgli di prendere decisioni in
modo autonomo. Cosa vuoi metterti oggi? La maglietta blu o
quella rossa? A cena preferisci il latte o l’acqua? Quando leggete
insieme un libro, fate domande che favoriscano lo sviluppo delle
funzioni di questa parte del cervello: Secondo te come farà il
gattino per scendere dall’albero? Perché la bambina sembra
triste?” 13 . Per i bambini più grandi un utile gioco è quello del
Cosa faresti? “che gli presenta dei dilemmi ipotetici. Immagina di
essere al parco e di trovare un giocattolo che ti piace tanto, ma
che sai che è di qualcun altro: cosa faresti? Mentre leggete
insieme una storia chiedete al bambino di prevedere come andrà
a finire. 14

2) Muoversi per non perdersi: “un modo efficace per aiutare il


bambino a ritrovare l’equilibrio tra parte alta e bassa del cervello
è fargli fare del movimento” 15: dopo aver rispecchiato le sue
emozioni invitarlo a fare del movimento può aiutare molto. Il
movimento aiuta a cambiare l’umore. Va specificato però che, se
il bambino sta per avere una “crisi di rabbia”, le ricerche
dimostrano che la distrazione e il movimento possono essere
utili, mentre possono essere meno efficaci quando il bambino è
nel pieno della “tempesta emotiva”. Nel pieno della “crisi di
rabbia” potrebbe quindi essere più utile aiutare il bambino a
calmarsi o lasciargli il tempo di farlo da solo, ma con la nostra
presenza e vicinanza benevola (NO: ignorare il bambino). Rispetto
a questa strategia è molto importante comunque valutare se può
davvero essere di aiuto: infatti, alcuni bambini in realtà con il
movimento si caricano di più invece che scaricarsi...

37
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3) Lasciare scivolare via le nuvole delle emozioni: è importante
aiutare i bambini a comprendere che le emozioni vanno e
vengono, non durano per sempre. Anche se ora il bambino è
molto arrabbiato, presto gli passerà. “Fate attenzione, però, a non
dare al bambino l’impressione di non tenere nella giusta
considerazione i sentimenti che prova in quel momento.
Dimostrategli di riconoscere le sue emozioni attuali e consolatelo,
poi aiutatelo a comprendere che non si sentirà triste (o arrabbiato
nda) per sempre, che presto si sentirà meglio (…) Potreste persino
suggerire la risposta (nel caso dei bambini più grandi, nda)
domandandogli: Quando pensi che ti sentirai meglio?”16

4) Dal conflitto alla sintonia: è utile considerare il conflitto come


un’opportunità per i bambini. Possono imparare molte abilità
sociali dal litigio, soprattutto tra pari: “se si verifica un contrasto
(…) aiutatelo a esprimere le proprie emozioni e quelle che
potrebbe provare il compagno 17 e aiutate i bambini a trovare una
soluzione, se possibile.”18

13 D. Siegel/T. Bryson “12 strategie rivoluzionarie per favorire lo sviluppo


mentale del bambino” ed. Cortina, Milano, 2012
14 ibidem
15 ibidem
16 ibidem
17 Provare a mettersi nei panni dell’altro allena la parte superiore del cervello

ed aiuta a sviluppare l’empatia. Inoltre, secondo le ricerche di Martin


Hoffman, quella che egli definisce come “disciplina induttiva” è la più efficace
ad accompagnare lo sviluppo morale dei bambini. La disciplina induttiva è
una modalità educativa che porta il bambino a comprendere le emozioni che
una certa azione suscita negli altri e in se stessi e le conseguenze di tale
azione. L’adulto può anche favorire l'empatia: "tu come ti sentiresti al suo
posto?". Ci si focalizza sulle emozioni dell’altro per elevare l'empatia, si
spiega al bambino il suo ruolo nell’accaduto ed il fatto che la sua azione ha
suscitato lo stato d’animo dell’altro.
18 D. Siegel/T. Bryson “12 strategie rivoluzionarie per favorire lo sviluppo

mentale del bambino” ed. Cortina, Milano, 2012

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Secondo J. Gottmann 19, essere adulti emotivamente intelligenti
significa comprendere il bambino e le sue manifestazioni, accoglierlo
ed aiutarlo nella gestione dei suoi stati interni, attraverso 5 fasi di
“allenamento emotivo”:

19 “Intelligenza emotiva per un figlio”, ed. BUR

1) Diventare consapevoli dell’emozione del bambino: innanzitutto


per diventare consapevoli delle emozioni del bambino è
importante essere consapevoli delle proprie emozioni. Ciò
significa permettere a se stessi di esperire quello che accade al
nostro interno, darsi del tempo per leggersi dentro, autorizzarsi a
sentire ciò che si sente. L’adulto può esprimere i propri sentimenti
al bambino, anche quelli “negativi”, ovviamente con i dovuti
riguardi: l’importante è farlo nel rispetto di sé e della persona che
è il bambino. In questo modo l’adulto mostra al piccolo che anche
i sentimenti più intensi possono essere espressi e padroneggiati,
senza perdere il senso di sé e la propria integrità. Se, al contrario,
l’emozione che l’adulto sta provando è disorganizzante, allora è
meglio allontanarsi dal bambino e riprendere il contatto quando si
è più calmi, spiegando cosa è successo. Da notare che è sempre
possibile ed auspicabile scusarsi con il bambino se ci si rende
conto di aver sbagliato. Se l’adulto di riferimento si concede di
sentire le proprie emozioni, è più facile empatizzare con il
bambino e permettergli di sentire ed esprimere a sua volta le
emozioni. Se l’adulto invece ostacola l’ascolto delle proprie
emozioni, sarà portato a fare altrettanto con i bambini e anche
questi faranno più fatica ad imparare a gestire i propri stati
emotivi.

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2) Riconoscere in quell’emozione un’opportunità di intimità ed
insegnamento: tutte le situazioni critiche sono delle opportunità
enormi per insegnare ai bambini come gestire le loro emozioni.
Insegnare ai bambini come calmarsi e reggere i propri stati interni
in queste occasioni è fondamentale per la vita sana del bambino
e dell’adulto che sarà. Sebbene si speri che le emozioni si
dissolvano ignorandole, non è così che funziona.

Si possono sciogliere solo esprimendole attraverso la parola, il


corpo, condividendole, dando loro un nome e sentendosi
compresi.

È importante, inoltre, rivolgersi ai sentimenti appena sorgono,


piuttosto che aspettare che la tensione monti per poi esplodere.
Se si ascolta il bambino, egli impara che l’adulto è un alleato, non
un nemico e che si può collaborare e diventare più intimi,
avvicinarsi.

3) Ascoltare con empatia e convalidare i sentimenti del bambino:


questa è la fase più importante. Mentre le prime due fasi sono
atteggiamenti interni e disponibilità che l’adulto dovrebbe avere
verso il bambino, in questo momento è necessario usare il cuore,
per ascoltare ciò che il bambino vuole comunicare. L’adulto
dovrebbe portare la propria presenza nell’ascolto e usare
l’attenzione anche verso la comunicazione non verbale del
piccolo, oltre che verso la propria. Convalidare i sentimenti del
bambino vuol dire accettarli così come sono, senza pretendere di
modificarli, fare sentire al bambino la propria comprensione e
che ha ragione a sentirsi come si sente.
L’adulto ha il compito di accompagnare il bambino nel percorso di
una possibile gestione delle sue emozioni e soprattutto aiutarlo
nel riconoscere e dare un nome ai propri stati emotivi, senza
volerli risolvere a tutti i costi, pena il messaggio implicito di non
accettazione di una certa emozione.

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Può essere utile, per esempio, anche raccontare al bambino
proprie esperienze passate simili, come ci si è sentiti e come le si
è risolte a suo tempo.
4) Aiutare il bambino a trovare le parole per definire le emozioni che
sta provando: questa fase ha come obiettivo aiutare il bambino a
passare da una sensazione/emozione indefinita, amorfa, ad
un’emozione definita, conoscibile e conosciuta, dai contorni chiari
e limitati, come ogni oggetto della vita quotidiana. Paura, rabbia e
tristezza diventano così esperienze comuni a tutti e che tutti sono
in grado di gestire. Dare un nome a ciò che si sente aiuta a
rasserenarsi ed a recuperare più in fretta le situazioni di
turbamento. Regolare meglio le emozioni vuol dire avere una
migliore salute sia fisica che psicologica, nonché maggiori
capacità di concentrazione e di conseguimento dei propri
obiettivi. Dare un nome alle emozioni NON significa suggerire ai
bambini quali sono le emozioni che dovrebbero provare secondo
noi, ma solo fornire un vocabolario emotivo.

5) Porre dei limiti mentre si trovano alternative valide per risolvere il


problema in questione: l’adulto dovrebbe ascoltare il bambino
nella sua espressione delle emozioni, nello stesso tempo dandogli
anche un modello adeguato per cui le emozioni non siano
distruttive del senso di sé. Pertanto l’adulto dovrebbe ascoltare e
CONTENERE le manifestazioni emotive del bambino, attraverso
il contatto fisico, la parola, la propria presenza amorevole e
rassicurante, aiutando il piccolo a comunicare ciò che sente. Una
volta ascoltata l’emozione, si può suggerire al bambino un
comportamento alternativo accettabile o, a seconda dell’età,
aiutarlo a trovarlo da sé.

Nel caso della “crisi di rabbia”, per esempio (ma non solo), è molto
utile, quando essa è terminata, mettere parole su quanto accaduto, in
modo da aiutare il bambino a rielaborare l’esperienza (come già
anticipato):

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“ti sei arrabbiato tantissimo perché non ti ho fatto mangiare la
cioccolata prima di cena! Ora hai visto che ti è passato e ti sei
calmato! È normale arrabbiarsi quando non si può avere ciò che si
desidera, può succedere a tutti…Poi ci si può calmare!”.

Se poi, ad esempio, in preda alla rabbia il bambino ha rotto il gioco


del fratello, in questa fase successiva alla crisi (quando cioè il cervello
inferiore si è calmato e il cervello superiore è nuovamente
disponibile) si può mediare una forma di riparazione. Non è
necessario forzare le scuse, ma piuttosto aiutare il bambino a
riparare aggiustando il gioco o donandogliene uno suo o altro ancora
che si potrà anche concordare con lui (in base all’età del bambino).
Inoltre, riprendendo il punto 5 precedente, questo può anche essere
il momento in cui aiutarlo a riflettere su alternative per il futuro: “la
prossima volta che sei arrabbiato, cosa potresti fare invece di colpire il
tuo amico?”.

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CONCLUSIONI

Un bambino allenato emotivamente, abituato quindi a trovare


ascolto, disponibilità e vicinanza emotiva potrà sviluppare un
atteggiamento fiducioso verso se stesso e gli altri ed imparerà a
descrivere e dare un nome al proprio disagio ed ai propri bisogni
emotivi fondamentali, nonché a regolarli in modo adeguato, nel
tempo.

Spetta all’adulto il compito di promuovere il dialogo, quindi, ed


accompagnare i bambini nel fare esperienza delle emozioni senza
sentirsene spaventati e sommersi. In questo modo, sviluppando
fiducia nel caregiver ed essendo rassicurati nella gestione dei propri
stati emotivi, essi potranno imparare anche che le emozioni non sono
dei “mostri terrificanti” e potranno quindi guardarle, contattarle,
interrogarle, dialogarci insieme, padroneggiandole e potendole
utilizzare a proprio vantaggio nella vita.

Ciò richiede la capacità dell’adulto di pensare, sentire e descrivere le


emozioni secondo il punto di vista del bambino, comprendendone il
vissuto.

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IN SINTESI

Per prima cosa provvedi a calmare il cervello del


bambino

• Nei bambini molto piccoli il cervello inferiore non


processa in modo adeguato le parole rispetto al
contenuto , ma capisce bene il tono di voce, il
linguaggio del corpo, la tua presenza calma. Forse il
bambino desidera che tu gli stia vicino, che lo
abbracci, che appoggi la tua mano sul suo ginocchio.
Forse il bambino, invece, non ti vuole vicino e non
vuole essere toccato: va bene lo stesso.

• Conoscere il bambino e cosa lo aiuta a calmarsi è


importante. Forse ha bisogno di muoversi, o di
respirare profondamente ed esprimere i propri
sentimenti. In che modo potresti creare uno spazio
sicuro per questo?

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Aiuta il bambino a sentirsi visto e capito

• Le neuroscienze ci dicono che possiamo “nominare per


dominare” le emozioni dei bambini. Aiuta, quindi, il
bambino a nominare ciò che prova, supportandolo così a
calmare il suo cervello. Fornisci le parole per esprimersi,
rispecchiando le sue emozioni: “ti senti così deluso!”.
• Se vuoi andare ancora oltre, agisci come traduttore dei
suoi stati emotivi, ovvero riconosci il messaggio reale sotto
le sue parole od i suoi comportamenti. Per esempio, se il
bambino dice ”odio mia sorella!”, puoi dire: “non ti piace
quando lei prende i tuoi giochi”. In questo modo, il
bambino comprende meglio se stesso e imparerà, nel
tempo, a diventare più preciso nell'espressione dei propri
sentimenti.
• Fornisci empatia al bambino. Se in questo modo la sua crisi
aumenta, solitamente ciò significa che si è sentito
“sentito”, ovvero emotivamente compreso. Bene!

Proteggi il bambino fisicamente ed


emotivamente

• Proteggi il bambino dal rischio di


farsi male e di far male a te o ad
altri. Proteggilo dal danneggiare
gli oggetti. Potresti aver
necessità di porre dei limiti
affettuosamente fermi.
• Potresti aver bisogno di portare
il tuo bambino in uno spazio
sicuro dove possa esprimersi
liberamente, senza lasciarlo da
solo ma restando in sua
presenza.

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Aiuta il bambino a sentirsi sicuro

• Ci sono molti modi per creare un senso di sicurezza per i


bambini, in primis restando calmi : è importante porre
attenzione al proprio respiro ed alle proprie emozioni.
• Riesci ad essere consapevole delle tue emozioni senza farti
prendere la mano da esse? Potresti aver bisogno di lavorare
su ciò che provi prima di aiutare il bambino. Quando siamo a
bordo di un aeroplano, per esempio, ci spiegano che in caso
di necessità dobbiamo indossare noi per primi la maschera
di ossigeno e solo dopo fornire aiuto ad altri!!! ;-)

Liberamente adattato da: https://www.parentmap.com/article/the-


four-ss-of-parenting-dan-siegels-whole-brain-child e
www.happilyfamily.com

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Oltre alle modalità relazionali viste fino qui, per aiutare il bambino
nella regolazione delle sue emozioni, sul piano operativo sono molto
utili il gioco del “far finta” e le attività espressive (narrazione, teatro,
musica, attività grafico-pittorica, psicomotricità) in contesti liberi,
attraverso cui i piccoli possono esprimere se stessi ed i propri vissuti
in modo simbolico, mettendole in scena e rappresentandole quindi
attraverso differenti medium, in grado di consentirne una
rielaborazione più o meno consapevole ed una integrazione delle
stesse nella propria esperienza.
Riassumendo, abbiamo quindi visto insieme come le emozioni e la
regolazione delle stesse siano aspetti fondamentali per la propria vita
e come sia importante passare ai bambini l’idea che tutte le emozioni
sono ok ma non tutti i comportamenti.
Abbiamo anche potuto apprendere come il cervello dei bambini sia
estremamente immaturo e richieda tempi lunghi per completare il
proprio sviluppo. A causa di tale immaturità essi hanno bisogno che
gli adulti li supportino nella gestione dei propri stati emotivi,
soprattutto intensi. e che non vengano lasciati a se stessi in questi
delicati momenti.
Grazie al supporto dell’adulto, i bambini impareranno, nel tempo, a
diventare sempre più autonomi nella gestione delle proprie emozioni,
comportandosi in modo socialmente adeguato.

Per arrivare a ciò servono il tempo da un lato, e l’allenamento


emotivo dall’altro, in quanto il cervello matura non solo per tappe
predefinite geneticamente, ma anche e soprattutto grazie
all’esperienza, che consente o meno ai geni di esprimersi nel loro
potenziale. Essendo, quindi, lo sviluppo del cervello “esperienza-
dipendente” è fondamentale che gli adulti che si prendono cura dei
bambini, a tutti i livelli, pongano attenzione a questa area di sviluppo,
investendo il proprio tempo e le proprie energie affinché sia possibile
passare loro un buon modello di gestione delle emozioni, sia
attraverso il proprio esempio che attraverso il proprio modo di
intervenire sul piano educativo con essi.

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Guardando le cose da questa prospettiva, possiamo imparare a dare
valore ai momenti in cui abbiamo l’occasione di intervenire in aiuto
dei piccoli per la gestione dei loro stati emotivi, compreso il caso delle
“crisi di rabbia”: in queste situazioni il nostro ruolo è cruciale non solo
per il presente dei bambini ma anche per il loro futuro, nonché per la
salute della nostra relazione con loro.
Infatti, essere dei “buoni allenatori emotivi” risulta fondamentale
anche per costruire un rapporto saldo, di fiducia con essi, per cui poi
saranno portati ad assumerci come punto di riferimento stabile nella
propria vita ed a cui potranno rivolgersi nei momenti di fatica e
disorientamento, anche quando saranno più grandi (vedi per esempio
nel periodo adolescenziale).

Nell’augurare a tutti un buon lavoro educativo e sperando che questo


breve testo sia di aiuto, vi saluto con questa filastrocca di A. Pellai 20:

Lo sai che le emozioni sono come dei mattoni


costruiscono la casa delle nostre relazioni
trasformano in sentire tutto quello che ci accade
sono gioia se si vince, sofferenza se si cade.

Sono come un filo rosso che attraversa l'esistenza


non si può mai farne a meno, non si può restare
senza.
Se tu vivi un'emozione fanne dono a chi ti ama 20 ne
non voltare il viso quando un amico triste chiama. "L'educazione
emotiva. Come
Rassicura chi ha paura, dai conforto alla tristezza educare al
scaccia via chi ti disgusta, cerca chi dà tenerezza. meglio i nostri
Le emozioni son colori ed il quadro siamo noi bambini grazie
dentro al loro arcobaleno non c'è prima e non c'è alle
neuroscienze",
poi.
ed. Fabbri,
Milano, 2016
Sorpresa, rabbia, tristezza, disgusto, gioia e paura
grazie a voi la nostra vita è una magnifica
avventura.
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BIBLIOGRAFIA
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· Andrè C./F. Lelord «La forza delle emozioni» ed. Corbaccio
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· Bomber L.M. «Feriti dentro» ed. Franco Angeli
· Bonichini S. «Prima infanzia: emozioni e vita sociale» ed.
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· Brazelton TB/S. Greenspan «I bisogni irrinunciabili dei bambini»
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· Buccolo M. «L'educatore emozionale. Percorsi di
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· Cavallo R./A. Panarese «Smettila di fare i capricci» ed.
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· Ekman P./Dalai Lama «Felicità emotiva» ed. Sperling & Kupfer
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· Goleman D. «Intelligenza emotiva» ed. BUR
· Golemam D. «La natura dell’intelligenza emotiva» ed. BUR
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· Gottman J./Declaire «Intelligenza emotiva per un figlio» ed. BUR
· Greenspan S. «L’intelligenza del cuore» ed. Mondadori
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· Honegger Fresco G. «Accogliere un bambino. Da 0 a 3 anni
proposte per genitori ed educatori» ed. La Meridiana
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· Ianes D. «Educare all’affettività» ed. Erickson
· Ianes D./A. Pellai «Le emozioni» ed. Erickson
· Lo Presti C. «Sviluppa la tua intelligenza emotiva» ed.
Verdechiaro
· Mariani U./R. Schiralli «Le emozioni che fanno crescere» ed.
Mondadori
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· Mariani U./R. Schiralli «Intelligenza emotiva a scuola» ed.
Erickson
· Mariani U./R. Schiralli «Nostro figlio. Come aiutarlo a crescere
con il metodo dell'educazione emotiva» ed. Oscar Mondadori
· Marzocchi G.M./Valagussa S. «Le funzioni esecutive in età
evolutiva» ed. Franco Angeli
· Matarazzo O./V. L. Zammuner «La regolazione delle emozioni»
ed. Il Mulino
· Maurel O. «La sculacciata. Perché farne a meno. Domande e
riflessioni» ed. Il Leone Verde
· Medina J. «Naturalmente intelligenti» ed. Bollati Boringhieri
· Miller A. «Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero
Sé» ed. Bollati Boringhieri
· Montagu A. «Il linguaggio della pelle» ed. Vallardi
· Nanni F. «Pensami. Figli sereni, autonomi e felici con il buon
attaccamento e la mentalizzazione» ed. Sos Crescere
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Leone Verde
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· Novara D. «Punire non serve a nulla» ed. BUR
· Odent M. «La scientificazione dell’amore» ed. Urrà
· Odent M. «Abbracciamolo subito!» ed. Red
· Pellai A. «L’educazione emotiva. Come educare al meglio i nostri
bambini grazie alle neuroscienze» ed. Fabbri
· Perdighe C. «Il linguaggio del cuore» ed. Erickson

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· Scarzello D. «Lo sviluppo della competenza emotiva nella prima
infanzia. Il ruolo della comunicazione affettiva e delle pratiche
educative» ed. Unicopli
· Siegel D. «La mente relazionale» ed. Cortina
· Siegel D./M. Hartzell «Errori da non ripetere» ed. Cortina
· Siegel D./T.Payne Bryson «12 strategie rivoluzionarie per
favorire lo sviluppo mentale del bambino» ed. Cortina
· Siegel D./T.Payne Bryson «La sfida della disciplina» ed. Cortina
· Soldera G. «Le emozioni della vita prenatale» ed. Macro
· Solter A. «Il bambino consapevole» ed. La Meridiana
· Sunderland M. «Il tuo bambino. Come educarlo e capirlo» ed.
Tecniche Nuove
· Sunderland M. «Aiutare i bambini a esprimere le emozioni» ed.
Erickson
· Faber A./E. Mazlish «Come parlare perché i bambini ti ascoltino
& come ascoltare perché ti parlino» ed. Oscar Mondadori

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Approfondimenti

TIME OUT o TIME IN AL NIDO/SCUOLA


DELL’INFANZIA?
“Chiunque si occupi a qualsiasi titolo di bambini piccoli,
dovrebbe essere capace di svolgere per loro le funzioni
emotive indispensabili per la loro crescita. Contenere le
emozioni del bambino e modularle in modo tale che egli
possa integrarle nel processo di strutturazione della sua
personalità, senza dover ricorrere massicciamente a
meccanismi di difesa o di fuga dalla sofferenza è uno
dei compiti più importanti dell’educatore”1.
(M. Noziglia)

Il “Time out” è uno strumento disciplinare proposto da approcci


educativi di tipo cognitivo-comportamentale che si è affermato negli
ultimi anni come tecnica di controllo del comportamento dei bambini,
portato alla ribalta anche attraverso alcune trasmissioni televisive. Si
tratta sostanzialmente di quella che comunemente chiamiamo la
“sedia per pensare”.
Il time out consiste nell’allontanare il bambino che si è comportato in
modoRo consequiae
inadeguato lauda inum
dalla situazione dolum
in corso per un ha- rum
tempo pari ad un
minuto per ogninonectisque
nata anno di età. L’allontanamento
nem essi! prevede solitamente
che egli si sieda in un luogo a parte, senza pari o adulti vicino, né
attività o giochi a disposizione, in genere con l’indicazione di “pensare
a ciò che ha fatto”.

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Questa modalità disciplinare viene utilizzata tanto nelle strutture
educative che in famiglia da molti genitori.
Ma è veramente utile e rispettosa nei confronti del bambino,
soprattutto piccolo? E quali sono i possibili risvolti sul suo sviluppo
emotivo?

Il time out negli anni ha dimostrato di essere un efficace strumento, in


particolare per il trattamento di bambini in età scolare con
problematiche comportamentali di tipo oppositivo, provocatorio,
aggressivo. Ma se questa utilità risulta testata su bambini “grandi” con
specifiche difficoltà, differente è il discorso per quelli in età
prescolare: diversi autori 2 , infatti, evidenziano la scarsa utilità di
questo mezzo educativo, ancora di più con piccoli nella fascia 0-3 anni.

I bambini a cui ci riferiamo non hanno ancora sviluppato una


sufficiente capacità di regolazione delle proprie emozioni in modo
autonomo, soprattutto quelle intense. Necessitano dell’aiuto del
caregiver che fornisce contenimento, rassicurazione, rispecchiamento
emotivo: “Perché i bambini siano in grado di essere in contatto con il
loro corpo e calmarsi, hanno bisogno di un ‘altro significativo’ – un
genitore o un caregiver – che dia loro cure sensibili – li tenga, li
conforti, rifletta e commenti ciò che accade loro – nei loro primi anni
di vita.”3

Se vengono invece separati dall’adulto, essi restano privi


dell’eteroregolazione (regolazione dall’esterno) di cui hanno bisogno
sul momento sia per calmarsi sia per imparare, nel tempo,
l’autoregolazione. Ciò produce, quindi, minori capacità di regolazione
nel lungo periodo e maggiore insicurezza ed aumento del livello di
stress nell’immediato.

Secondo l’AAIMHI: “Le emozioni non regolate sono la causa dei


comportamenti incontrollati; rispondere a questo tipo di
comportamento vuol dire rispondere ai sottostanti bisogni emozionali
del bambino. Il modo più efficace a lungo termine di gestire tali
comportamenti da parte dei caregivers è quello di comprendere come
il bambino si sente e ciò che gli passa per la mente.
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A quel punto il genitore o colui che si prende cura del bambino può
anticipare i problemi prima che sorgano, pianificando come prevenirli.
Quando le emozioni intense si presentano, il caregiver può così
mostrare al piccolo che esse possono essere capite e gestite”4

Di seguito elenchiamo alcuni effetti relativi all’uso del time out 5:

• non insegna un modo costruttivo a gestire le difficoltà, ma insegna


l’allontanamento come modo per affrontare i problemi;

• non prende in considerazione le capacità regolative dei bambini


piccoli, ignorando la loro difficoltà nell’autoregolazione di
emozioni intense e la non volontarietà di molti dei loro
comportamenti, dettati dall’immaturità del loro cervello e del
sistema nervoso nel controllare gli impulsi e le emozioni;

• non tiene conto che i bambini di questa fascia di età non


possiedono ancora le competenze cognitive per riflettere sulle
proprie azioni, pertanto “pensare a ciò che hanno fatto” non è per
loro possibile: “Il problema di questa procedura sta proprio nella
tematica della ‘riflessione’: nessun bambino fino ai 6 anni ha la
capacità di riflettere sul suo comportamento e di trarne
conclusioni davvero efficaci per il futuro“6;

• disconnette il bambino dalla relazione con l’adulto,


disconnessione che egli vive come forma di punizione;

• non riconosce la necessità della regolazione esterna da parte di


adulti sensibili e responsivi per un corretto sviluppo emotivo. Il
bambino piccolo non può imparare da solo l’autoregolazione:
l’intervento empatico dell’adulto è fondamentale;

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• sfavorisce nell’adulto la comprensione delle motivazioni del
bambino, del suo bisogno celato dietro il comportamento e quindi
un intervento educativo contingente;
• trasmette al bambino il messaggio di essere “sbagliato” e di non
essere accettato “quando si comporta male”, incidendo sulla sua
autostima;
• non permette la canalizzazione dell’energia emozionale dei
bambini in forme adeguate, sfavorendo l’apprendimento di
modalità alternative di gestione delle proprie emozioni e dei
propri comportamenti: “Invece di isolarli, dovremmo dare loro
l’opportunità di risolvere problemi, di prendere buone decisioni e
di essere consolati quando vanno in crisi”7.

Anche la Goldschmied afferma: “chiunque abbia a che fare con il


bambino deve capire che la punizione e l’isolamento non gli
serviranno per raggiungere l’autocontrollo di cui ha bisogno”8.
Laddove utilizzato è importante quindi sostituire questo strumento
educativo nella gestione dei comportamenti inadeguati dei bambini.
Nella seconda parte, vedremo come sostituire il time out con il time
in.

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1 M. Noziglia, “Sviluppo, apprendimento, elaborazione delle
emozioni. I problemi e i disturbi dei bambini di oggi: una ricerca in
alcuni nidi e scuole materne milanesi“, ed. Junior, Bergamo, 2003

2 Per fare solo alcuni esempi, nel loro ultimo libro (“La sfida della
disciplina. Governare il caos per favorire lo sviluppo del bambino”,
ed. Cortina, Milano, 2015 ) D. Siegel e T. Payne Bryson (pag. 42-49)
sconsigliano l’uso di tale mezzo. Anche l’AAIHMI (Australian
Association for Infant Mental Health Inc.) è contraria al timeout per
i bambini 0-3 ed ha pubblicato sul proprio sito una dichiarazione in
merito. In Italia, D. Novara nel suo “Urlare non serve a nulla” (ed.
BUR, Milano, 2014) si schiera a sua volta a sfavore di tale strumento
per i bambini in età prescolare (pag. 77). Sul sito dell’organizzazione
Zero to Three viene riportato un articolo dove è evidenziata
l’importanza di non usare il time out in modo punitivo ma,
eventualmente, come risorsa quando l’adulto non riesce a
mantenere la calma e/o quando il bambino vive una emozione così
intensa per cui è importante lasciargli il tempo affinché possa
ridursi la forza dello stato emotivo.

3M.L. Bomber, “Feriti dentro. Strumenti a sostegno dei bambini con


difficoltà di attaccamento a scuola”, ed. Franco Angeli, Milano, 2012

4 Traduzione a mia cura da https://aaimhi.sslsvc.com/key-


issues/position-statements-and-guidelines/AAIMHI-Position-paper-
3-Time-out.pdf

5 Liberamente adattato da https://aaimhi.sslsvc.com/key-


Ro consequiae lauda inum dolum ha- rum
issues/position-statements-and-guidelines/AAIMHI-Position-paper-
nata nonectisque nem essi!
3-Time-out.pdf

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[6] D. Novara, “Urlare non serve a nulla” ed. BUR, Milano, 2014

[7] D. Siegel e T. Payne Bryson , “La sfida della disciplina. Governare il


caos per favorire lo sviluppo del bambino”, ed. Cortina, Milano, 2015

[8] In “Persone da 0 a 3 anni” ed. Junior, Bergamo, 1996

Abbiamo visto come il time out sia uno strumento utile in alcune
situazioni, ma non in altre.

Cosa fare dunque al posto del time out?

• Mantenersi calmi e presenti con il bambino come regolatori


emotivi, rispecchiando le sue emozioni e verbalizzando
l’accaduto, mettendo quindi parole sui vissuti (mentalizzazione):
“Ti sei arrabbiato perché Giovanni ti ha preso la macchinina e tu
non volevi. Non sapevi come dirglielo così l’hai morso…”;
• Evidenziare al bambino l’azione inadeguata, fornendo valide
alternative di comportamento: “Non voglio che mordi, mordere
fa male. Vedi che Giovanni piange? La prossima volta diglielo con
le parole: ‘ci sto giocando io’”;
• Dare speranza al bambino che, nel tempo, imparerà a gestire le
sue emozioni: “Vedrai che un po’ per volta imparerai a non
mordere più, nel frattempo ti aiuterò io”;

Ro consequiae lauda inum dolum ha- rum


nata nonectisque nem essi!

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• Se necessario e/o gradito al bambino, l’adulto può fornire
contatto fisico per aiutarlo a calmarsi e/o distanziarsi dalla
situazione insieme a lui: “Luca, non puoi continuare a giocare ora,
sei troppo agitato… Vieni, ci sediamo qui insieme e ci calmiamo,
dopo torniamo a giocare”;

Invece del time out, può essere utile il “time in” ovvero uno spazio
allestito ad hoc per favorire la ripresa del controllo del bambino. Al
nido/scuola può prendere la forma di un angolo (morbido o con un
tavolino) con peluches, libri, giochi cognitivi (puzzle, chiodini, incastri,
oggetti da classificare, seriare, ordinare, etc), calming jar, pasta da
manipolare, bolle di sapone, carta da ritagliare (a seconda dell’età del
bambino), laddove il piccolo può recarsi per ritrovare la
calma insieme all’adulto che funge da guida e da regolatore emotivo,
dopodiché potrà diventare, nel tempo, un apprendimento per cui il
bambino arriverà ad utilizzarlo in autonomia, su invito dell’educatore
o come propria iniziativa. Il time in NON ha alcuna sfumatura
punitiva: è uno strumento che serve al bambino per ritrovare la calma
con i suoi tempi, accompagnato da un caregiver in controllo emotivo;

In un paio di situazioni il timeout può, invece, risultare efficace: per


l’adulto qualora perde la calma. In questi casi è utile prendersi un
momento di pausa ed allontanarsi facendosi supportare da una
collega. L’altra situazione in cui può essere utile è quella in cui il
bambino è talmente scombussolato da non essere avvicinabile,
rifiutando contatto ed interazione. In questo secondo caso, l’adulto
può esplicitare al bambino che comprende le sue emozioni e che
Ro consequiae lauda inum dolum ha- rum
quando gli passerà potranno parlarne, restando comunque nei pressi
nata nonectisque nem essi!
e mantenendo la disponibilità ad intervenire più attivamente.

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Appena il bambino si calma, l’insegnante può prendere in braccio il
bambino (se ora lui accetta) e riprendere l’interazione verbalizzando
quanto accaduto, in modo da aiutarlo a rielaborare ed integrare
l’esperienza.

Riepilogando, di base è importante che


l’adulto svolga un efficace ruolo di
regolazione delle emozioni dei bambini,
considerata la loro ancora scarsa capacità
autoregolativa, intervenendo attivamente per
supportarli nel gestire le diverse situazioni,
evitando giudizi ed aiutandoli a calmarsi sia
attraverso il rispecchiamento emotivo che
il contatto fisico (potente calmante naturale
per via degli ormoni che, grazie ad esso,
vengono messi in circolo nel sistema nervoso)
o con il time in.

Qualora, invece, l’adulto perda la calma, è utile che si prenda un


timeout e chieda il sostegno di un’altra persona, anche perché in tale
stato emotivo difficilmente riuscirà a quietare il bambino (le emozioni
sono contagiose!). Ugualmente, il timeout può risultare utile, in
extremis, quando il bambino è preda di un’emozione di forte intensità
e diventa inavvicinabile. Lasciare che esprima ciò che prova
allontanandosi, ma confermandogli la propria disponibilità
emozionale può consentirgli di recuperare con i suoi tempi e
modi: “Lasciando che un bambino viva le difficoltà legate a queste
esperienze gli offriamo l’opportunità di imparare a tollerare il suo
disagio emozionale. Lasciando che provi ciò che prova supportandolo
e facendogli sapere che capiamo quanto sia duro, per esempio, non
ottenere
Ro ciò che vuole, si lauda
consequiae fa la cosa più positiva
inum dolum e utile
ha-per lui in quel
rum
momento”[1].
nata nonectisque nem essi!
Successivamente, in entrambi i casi, l’adulto metterà parole
sull’accaduto per favorire l’integrazione dell’evento.

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“Se i genitori (gli adulti nda) non aiutano i bambini a
tradurre in parole i loro sentimenti o, peggio ancora, li
ignorano, questi non saranno in grado di sviluppare
un’adeguata capacità di accettare i propri stati mentali
negativi, finendo per negarli o per cercare sempre più
conferme all’esterno”[2].

[1] D. Siegel, M. Hartzell, “Errori da non ripetere. Come la conoscenza della


propria storia aiuta a essere genitori“, ed. Cortina, Milano, 2005

[2] A. Bortolotti, “I cuccioli non dormono da soli“, ed. Mondadori, Milano,


2016

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BIBLIOGRAFIA

· Bomber M.L., “Feriti dentro. Strumenti a sostegno dei bambini


con difficoltà di attaccamento a scuola”, ed. FrancoAngeli,
Milano, 2012
· Goldschmied E., S. Jackson, “Persone da 0 a 3 anni. Crescere e
lavorare nell’ambiente del Nido” ed. Junior, Bergamo, 1996
· Iaccarino S. “Che rabbia! Bambini, rabbia,
aggressività” scaricabile gratuitamente su questo sito
· Novara D., “Urlare non serve a nulla” ed. BUR, Milano, 2014
· Noziglia M., “Sviluppo, apprendimento, elaborazione delle
emozioni. I problemi e i disturbi dei bambini di oggi: una ricerca in
alcuni nidi e scuole materne milanesi”, ed. Junior, Bergamo, 2003
· Siegel D., T. Payne Bryson , “La sfida della disciplina. Governare il
caos per favorire lo sviluppo del bambino”, ed. Cortina, Milano,
2015
· Siegel D., T. Payne Bryson , “12 strategie rivoluzionarie per
favorire lo sviluppo mentale del bambino”, ed. Cortina, Milano,
2012
· Siegel D., M. Hartzell, “Errori da non ripetere. Come la
conoscenza della propria storia aiuta a essere genitori“, ed.
Cortina, Milano, 2005

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Strumenti!
LA SCATOLA DELLA CALMA
(liberamente adattato
da L.M. Bomber “Feriti dentro. Strumenti a sostegno dei bambini
con difficoltà di attaccamento a scuola” ed. FrancoAngeli)

La scatola della calma rappresenta uno strumento utile per aiutare i


bambini a calmarsi e, nel tempo, imparare ad autoregolarsi. Si può
utilizzare a partire dallo stabilirsi di una relazione empatica col
bambino.
Si tratta di una piccola scatola che viene confezionata dall’adulto,
avendo in mente i bambini per cui la crea.
La scatola contiene un assortimento di “carte" le quali rappresentano
graficamente ciascuna una attività che può essere fatta per calmarsi.
Ogni attività può durare alcuni minuti ed è utile che vengano stimolati
più sensi possibili.
Di seguito alcune idee per le “carte” (ovviamente, ciascun educatore
può arricchire l’elenco con ciò che osserva essere utile per i bambini):

✓ stirati come un gatto


✓ muoviti come ti piace
✓ ascolta musica rilassante
✓ canta una canzone che ti piace
✓ respira profondo e lento per 5 volte
✓ manipola la pasta di pane (che potrebbe essere profumata con
essenze naturali non tossiche, come per esempio la lavanda).
✓ Fai qualcosa con la pasta e mettila via, odorandoti poi le mani (se
la pasta è profumata)
✓ schiaccia una pallina di gommapiuma
✓ gioca con le costruzioni ordinandole per colore
✓ faiRo
unaconsequiae lauda con
pizza: l’adulto disegna inum dolum
le dita ha- rum
un cerchio sulla schiena
nata enonectisque
del bambino nemperessi!
usa differenti tocchi rappresentare i condimenti
che il bambino sceglie di mettere sulla pizza
✓ bevi lentamente un po’ di acqua
✓ fai il più lungo serpente che puoi con il didò o la pasta di sale

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✓ stringi il tuo oggetto del cuore
✓ fai le coccole con la maestra
✓ fai un puzzle o un altro tipo di gioco cognitivo
✓ fai un disegno

Il sostegno alla regolazione del bambino va fatto in modo empatico


secondo alcuni step:

1. Nominare il comportamento, facendo possibili collegamenti:


“Mi sembra che tu sia un po’ agitato in questo momento perché vedo
che stai facendo fatica a giocare bene con Giovanni. Forse ti ha
infastidito il fatto che lui non vuole giocare con te…?”

2. Invitare il bambino a calmarsi CON l’aiuto dell’adulto: “Potremmo


prendere la scatola della calma per fare una pausa…Potremmo fare
una pizza, respirare insieme 5 volte giocare con la pasta di sale…quale
preferisci?” mentre si mostrano le “carte” al bambino.

3. Quando il bambino ha scelto l’attività, questa viene fatta dall’adulto


insieme a lui, o comunque il piccolo è affiancato dalla sua presenza. È
necessario ricordare che i bambini che non hanno sperimentato
sufficiente contenimento, co-regolazione e rispecchiamento emotivo
dall’adulto, NON sanno cosa significhi “calmati” o “rilassati” perché
non possiedono questa esperienza. Hanno quindi bisogno di
sperimentare questa possibilità, con un certo “allenamento” guidato
dal caregiver. A volte, il semplice offrire modelli di comportamento
adeguati e fare commenti a parole ed a gesti sarà sufficiente in
termini di co-regolazione.
Ro consequiae lauda inum dolum ha- rum
nata
4. Dopo un certononectisque nem
tempo che si usano essi!
queste strategie, il bambino può
cominciare a comprendere i segnali del suo corpo rispetto a quando
l’eccitazione aumenta e può far capire all’adulto quando ha bisogno
della scatola, oppure può accedervi in modo autonomo se è alla sua
portata.
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Focus su
ALBI ILLUSTRATI per l’età prescolare
Un mondo ricco e complesso, un laboratorio di emozioni
Di Silvia Blezza Picherle

Che cosa sono gli albi illustrati? Un universo affascinante e


complesso
I libri con parole e immagini o di sole immagini rivolti ai bambini di
età prescolare si possono suddividere in due tipologie: libri illustrati
(illustrated books) e albi illustrati (picturebooks).
Nei libri illustrati il testo scritto è già completo in sé, per cui non
avrebbe bisogno delle immagini per essere compreso, come ad
esempio le fiabe. In essi le figure (spesso numerose) interpretano il
testo, cioè raffigurano qualcosa che le parole non dicono o accennano
soltanto.
L’albo illustrato (picturebook) invece è un libro in cui le immagini e
le parole costituiscono un insieme indivisibile, nel senso che insieme
creano la storia. Alcuni elementi della narrazione si trovano solo nelle
immagini, per cui comprendere un albo richiede continui
collegamenti tra testo scritto e iconico. Attività complessa, per nulla
spontanea, che va educata e seguita.
Un tipo particolare di albi illustrati sono i “senza parole” (wordless
picturebooks), che raccontano solo attraverso le immagini, mentre il
titolo è l’unico testo scritto. Avvenimenti, azioni, emozioni, sentimenti
sono trasmessi esclusivamente attraverso il disegno, i colori,
l’impaginazione grafica. Molti di questi libri sono semplici solo
all’apparenza, in realtà si rivelano complessi perché la loro
comprensione richiede sofisticate competenze cognitive, logiche,
narrative. Non sempre ci si rende conto di ciò e le bibliografie che
vengono offerte dai siti e da associazioni spesso indicano per l’età
Ro consequiae
prescolare ciò che sarebbe lauda
adattoinum dolum
a un’età ha- rum
successiva. Ne sono un
esempio Wave nata(L’onda)
nonectisque nem
di Suzy Lee, essi! (Il pupazzo di neve)
The Snowman
di Raymond Briggs, molti albi della Collana “Senza parole” (ed. Lapis),
indicati come lettura per l’età prescolare.

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Certo, i bambini rimangono affascinati dalle immagini, però,
dialogando con loro si vede come non riescano a cogliere, e
giustamente data la struttura degli albi, il senso pieno della
narrazione. La scelta degli albi va fatta dopo accurate analisi
interpretative e dialogando con i bambini per conoscere il modo in
cui li recepiscono.

A che cosa servono gli albi illustrati? Oltre le idee abituali e un uso
improprio
Da molti decenni, anche in Italia, come è avvenuto molto prima
all’estero, la migliore letteratura “a colori” per l’età prescolare (ma
anche per le età successive), ha cambiato funzioni. Nel passato i libri
per bambini avevano una funzione istruttiva, cioè volevano
esplicitamente insegnare, ammonire, spiegare, suggerire
comportamenti corretti. Ormai le cose sono cambiate, per cui gli albi
di qualità si prefiggono soltanto di raccontare storie di vita, belle e
originali, e nulla più. Esse sollecitano il bambino a conoscere se
stesso e gli altri, ad esplorare il mondo in tutte le sue dimensioni, a
costruire la propria personale identità. In realtà gli albi migliori sono
“educativi” (e non istruttivi) poiché parlano in modo implicito di stati
d’animo, valori e ideali importanti per la nostra vita personale e
sociale.

Nonostante questo cambiamento, però, una parte consistente della


produzione editoriale propone tuttora narrazioni illustrate di tono
istruttivo.
Quando negli albi si trovano troppi vezzeggiativi e diminutivi (manine,
fiorellino, pigiamino), frasi di ammonimento (“mi raccomando”,
“ricordati che…”), insegnamenti espliciti, allora siamo di fronte,
nonostante la data recente di pubblicazione, ad una narrativa ormai
superata.
Perché la letteratura per l’infanzia ha fatto passi in avanti, si è evoluta
in meglio e, rispettando l’infanzia nella sua ricchezza e complessità, è
diventata nelle sue forme migliori “arte a misura di bambino”.

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Un aspetto, questo, che sembra essere sfuggito a educatori,
insegnanti, promotori, animatori, come pure a genitori e familiari
(anche giovani).

Che consigli operativi trarre da quanto detto sopra? Per gli adulti
(educatori, insegnanti, psicologi, genitori, promotori di lettura, ecc.) si
tratta di rivedere le idee abituali, di ripensare a ciò in cui credono, di
non lasciarsi irretire dalla pubblicità e dai consigli dispensati un po’
tutti, di non credere che i libri esposti sugli scaffali delle librerie siano i
migliori. Come acquisire questo nuovo sguardo verso gli albi di
qualità? Affidandosi a studiosi “seri”, quelli che conoscono a fondo la
storia della letteratura per l’infanzia italiana e straniera ma che,
soprattutto, lavorano costantemente con i bambini secondo criteri
“scientifici”, ascoltandoli nei loro bisogni e nelle reazioni alla letture
proposte.

Com’è oggi la migliore produzione illustrata?


Da parecchi anni una parte consistente degli albi illustrati ha
raggiunto anche in Italia buoni e ottimi livelli qualitativi sotto il
profilo iconico, grafico-strutturale e narrativo. Innanzitutto le
immagini, pur adatte all’età dei piccoli lettori, sono belle, perché gli
autori adottano stili anche molto raffinati che si rifanno alle più
diverse correnti artistiche. In questo modo si allontanano i bambini
dalle immagini trasmesse dai media, per lo più ripetitive e scontate,
stereotipate e omologate, a volte esteticamente brutte, favorendo lo
sviluppo della loro creatività e del gusto per il bello. Senza contare
che le illustrazioni originali e artistiche sono polisemiche, cioè
contengono tanti significati che spetta al lettore, in base alla sua
maturità, scoprire. Ecco perché le figure vanno esplorate a fondo,
adulto e bambino assieme, più e più volte, sempre alla ricerca del
nuovo, del sottinteso, dell’alluso.

La migliore narrativa contemporanea racconta “dalla parte del


bambino”, nel senso che, mettendosi dal suo punto di vista, anche se
i protagonisti sono animali, narra il suo mondo interiore, i suoi
problemi, la sua vita (l’incontro, la relazione con gli altri,

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le emozioni, i grandi sentimenti, le difficoltà e i problemi),
rispecchiando la complessità del pensiero infantile.

La letteratura illustrata di qualità riesce a trattare, anche per i


bambini di scuola dell’infanzia, tematiche complesse e difficili, che a
volte gli adulti non vogliono o non sanno affrontare, anche se i
bambini pongono loro delle domande esplicite. Si pensi, ad esempio,
a Il ranocchio e il merlo (M. Velthuijs) in cui i piccoli protagonisti si
interrogano sulla morte dell’amico merlo e si chiedono dove egli sia
andato. O ancora a Flon Flon e Musetta (Elzbieta), un piccolo gioiello
che trasmette in modo delicato il senso dell’assurdità della guerra. Si
racconta pure la diversità in tutte le sue forme, poiché gli autori
contemporanei difendono le differenze individuali, culturali e
religiose, valorizzando quei talenti nascosti dietro le molte fragilità di
ogni bambino. Si ricordi, come esempio, Papà di Philippe Corentin,
ma tantissimi altri se ne potrebbero citare.
Un altro aspetto interessante riguarda la cura e l’originalità della
scrittura, anche se i testi sono molto brevi e rivolti ai bambini di età
prescolare. I migliori scrittori e illustratori contemporanei rifiutano di
proporre, nonostante la giovane età dei destinatari, un testo semplice
e totalmente comprensibile, che, utilizzando soltanto termini usuali e
conosciuti, finisce con il diventare banale e poco interessante.
Gli autori migliori, consapevoli che i bambini sono “ricercatori
linguistici” e amano i termini originali e inconsueti, scelgono di
scrivere testi originali. Si tratta di scritture semplici ma ricercate sotto
il profilo letterario, come, ad esempio, Nerone e Budino (A. Nanetti)
un piccolo libro illustrato ricco di termini inusuali (“Era una notte buia,
anzi buissima, anzi arcibuia”) o di similitudini affascinanti (“Era il suo
pelo, che si alzava sulla schiena come se fosse fatto di mille spilli”).

Oppure Orecchie di farfalla (L. Aguilar, A. Neves) che affascina i


bambini con le sue originali similitudini (“I miei capelli sono come un
prato falciato”; “Hai le orecchie come farfalle”).

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Ogni albo illustrato è un laboratorio di emozioni

Gli albi illustrati di qualità, dopo il rivoluzionario rinnovamento


avvenuto in Italia dai primi anni ’80, propongono storie che
raccontano il mondo affettivo-emozionale del bambino di età
prescolare. Un mondo complesso, ricco ed articolato come quello
dell’adulto, sebbene diverso nelle sue manifestazioni. I piccoli non
sono unidimensionali ed incapaci di provare sentimenti profondi e
complicati, come sosteneva già Bruno Bettelheim. Essi, anzi, sentono
con grande intensità tutte le emozioni e le esprimono in modo
eclatante, a volte esagerato ed incontrollato. Provano i più diversi
stati emozionali ma hanno bisogno di diventarne consapevoli, di
gestirli, di dare loro un nome, ma anche di conoscerne altri che
gradualmente entreranno nella loro esperienza di vita.

I migliori albi illustrati per l’età prescolare soddisfano i bisogni dei


bambini, i quali desiderano trovare nei libri tutta la vasta gamma di
stati emotivo-affettivi che connotano la loro vita singola e relazionale:
gelosie, ansietà, collere, melanconia, tristezza, gioia, allegria,
contentezza, simpatia, antipatia, e molti altri ancora.

Ebbene, questi libri di qualità sono dei veri e propri “laboratori di


emozioni”, cioè luoghi narrativi in cui i bambini possono vivere e
rielaborare i loro stati d’animo. La vera peculiarità, che spesso sfugge
a chi non analizza a fondo la produzione secondo criteri scientifici, è
che ogni singolo albo illustrato non parla di una sola emozione, non
è mai “mono-emozionale”. Neanche in Che rabbia (D’Allancé) è
narrata solo questa emozione, se si legge attentamente. Infatti queste
narrazioni a colori, proprio come avviene nella letteratura,
raccontano storie verosimili e, come nella vita non si può provare una
sola emozione per volta, così non lo possono fare neanche i
personaggi, bambini o animali che siano.

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Questa pluriemozionalità presente in ogni albo è voluta dagli
illustratori e dagli scrittori che, rispettosi del bambino, desiderano
offrirgli storie autentiche e non false, storie che non sono costruite
per insegnare ma per aprire orizzonti e fare esperienze esistenziali
vicarie. Ad esempio in un albo-capolavoro come Un topolino per
amico (B. Becker, K. MacDonald Denton), dove un topolino furbo e
premeditato cerca di diventare amico di un orso scontroso, il piccolo
lettore viene a contatto con tutta una vasta gamma di emozioni:
diffidenza, collera, irritazione, esasperazione, stupore, collera,
delusione, dispiacere, tristezza, melanconia, allegria, felicità.

Ovviamente, come avviene in tutti gli albi illustrati, il linguaggio delle


emozioni è affidato alle immagini e non alle parole, immagini che in
questo caso sono molto espressive, merito di chi ha illustrato con
originalità e artisticità.

Andare a cercare o evidenziare una sola emozione negli albi è quindi


una scorrettezza e una forzatura, perché nella migliore produzione
tutto ciò non esiste. La narrativa a colori va letta nella sua autenticità
e complessità, evitando di snaturarla sia per rispetto degli autori che
del bambino lettore.

Non sono necessari “percorsi didattici” per educare alle emozioni

L’educazione e la promozione della lettura sono state influenzate in


questi ultimi anni da quella che il sociologo Frank Furedi definisce
“cultura terapeutica“. Si tratta della diffusa tendenza ad adottare nel
linguaggio quotidiano termini psicologici o psicoanalitici, oppure a
fare un “uso terapeutico” dei libri per bambini al fine di “alfabetizzarli
emotivamente”. Tanto che parecchi professionisti, tra cui docenti,
educatori e bibliotecari hanno assimilato in modo inconsapevole e
acritico quest’ “etica terapeutica“.

Negli ultimi anni tale cultura terapeutico-educativa si è estesa anche


agli albi illustrati, i quali vengono strumentalizzati, quindi letti in
maniera distorta, per educare la sfera emotiva dei bambini di età
prescolare e della scolarità primaria.
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Tutto ciò si concretizza nella “moda” dei “percorsi sulle emozioni”,
alimentati da un’editoria “didattica” che svia gli educatori e stravolge il
pensiero dei neuroscienziati. Tali percorsi sono poco rispettosi della
sensibilità e della psiche del bambino, perché lo costringono, per un
certo lasso di tempo (una settimana o più), ad ascoltare storie che
parlano di una sola emozione (ad esempio la rabbia, la paura), in
modo da spiegarla e farlo riflettere su di essa.
Questo modo di procedere nasconde alcuni errori ed equivoci: a) gli
albi illustrati di qualità (“belli”) non sono mono-emozione, quindi se
letti così vengono stravolti e snaturati, b) manca il rispetto del
bambino, che non può essere “costretto” a dover parlare delle
proprie emozioni se non ne ha voglia, altrimenti si rasenta la
“violenza psicologica”; c) l’educatore e l’insegnante dovrebbero
“educare” e non “psicologizzare” la scuola e la letteratura per
l’infanzia. Lasciamo agli psicologi e agli psicoterapeuti questo
compito, se ne vedono la necessità. E soprattutto lasciamo ai bambini
la libertà di parlare delle emozioni “se” e “quando” lo desiderano,
senza “fare a loro ciò che non vorremmo fosse fatto a noi adulti”.

Come “educare alle emozioni" allora? Leggere tanti albi illustrati


belli e di qualità e, poiché ognuno è un laboratorio di molteplici
emozioni, più se ne incontreranno più si maturerà emotivamente. Ed
infine non forzare la lettura ponendo domande mirate sulle
emozioni, ma seguire ciò che racconta la storia, rispettando le
modalità di lettura dei bambini, di solito ottimi interpreti del testo,
come la mia esperienza sul campo insegna.

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Silvia Blezza Picherle

Già ricercatrice, ora docente a contratto di “Educazione e Letteratura


per l’infanzia” presso il Dipartimento di Scienze Umane (Università
degli Studi di Verona). Esperta di Letteratura per bambini e ragazzi,
pedagogia della lettura, pedagogia dei media. Svolge da decenni
ricerche in ambito letterario e pedagogico, tiene corsi di formazione
per educatori, docenti e genitori, progetta e coordina percorsi
didattici anche con ricerca-azione. Tra i volumi pubblicati si ricordano
in particolare: Leggere nella scuola materna (1996); Libri, bambini,
ragazzi. Incontri tra educazione e letteratura (2004); Raccontare
ancora. La scrittura e l’editoria per ragazzi, 2007; Formare
lettori, promuovere la lettura. Riflessioni e itinerari narrativi tra
territorio e scuola (2013, 2015); Astrid Lindgren. Una scrittrice senza
tempo e confini (2016).
Sito personale: www.raccontareancora.org

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Bibliografia essenziale
Blezza Picherle S., Leggere nella scuola materna, La Scuola, Brescia
1996.
Blezza Picherle S., “Di fronte alla figure”, Il Pepeverde, 2002, 11-12,
pp. 34 – 42.
Blezza Picherle S., “Il fascino della narrativa a colori”, Il Pepeverde,
2004, 19, pp. 34 – 43.
Blezza Picherle S., Libri bambini ragazzi. Incontri tra educazione e
letteratura, Vita e Pensiero, Milano, 2004.
Blezza Picherle S., “La qualità tra le pieghe del testo, in L’Italia che
(non) legge. Lettori piccoli e grandi nell’era digitale”, Il Pepeverde, n.
46, 2010, pp. 27-32.
Blezza Picherle, S., Ganzerla, L., “Definizioni e classificazioni. Narrativa
illustrata proviamo a metterci ordine”, Il Pepeverde, n. 51, 2012, pp.
26 - 27.
Blezza Picherle S., “Albi illustrati. Il “potere magico della qualità”, Il
Pepeverde, n. 66, 2015, pp. 24 – 26.
Blezza Picherle S., Formare lettori, promuovere la lettura. Riflessioni e
itinerari narrativi tra territorio e scuola, Franco Angeli, Milano, 2013,
2015.

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Silvia Iaccarino

Libera professionista. Formatrice certificata dalla Regione Lombardia


ai sensi della Legge Regionale nr. 19/07, iscritta al Registro dei
formatori professionisti AIF (Associazione Italiana Formatori) nr. 544.
Psicomotricista, iscritta ad Anupi Educazione nr. 440. Supervisor
counselor, iscritta ad AssoCounseling nr. REG-A0031-2009. Titolare e
coordinatrice del progetto Percorsi formativi 06
Da diversi anni opera in ambito educativo, lavorando con educatrici e
insegnanti di Asilo Nido e Scuola dell'infanzia nella formazione e
supervisione. Conduce gruppi di psicomotricità educativa con i
bambini presso i servizi 06 anni e si occupa di supporto alla
genitorialità sia in incontri formativi di gruppo che con consulenze
educative individuali alle famiglie.
Sito personale: http://www.silviaiaccarino.it/chi-sono/

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Percorsi formativi 0-6, grazie al nutrito gruppo di professionisti di valore, si
propone l’obiettivo di fare cultura e di portare qualità nei Servizi educativi 0-6
anni, sia attraverso le varie attività sopra menzionate che tramite
il blog, la pagina Facebook stessa, eventi ed iniziative (anche gratuite) che via
via verranno organizzate, destinate tanto alle famiglie quanto agli operatori.
In questi tempi liquidi, frenetici e di fronte ad un mondo in rapido e profondo
mutamento, chi lavora con i bambini 0-6 anni e le loro famiglie è importante
che si fermi per osservare e osservarsi, per riflettere e progettare le proprie
azioni educative con consapevolezza, attenzione e rispetto tanto per i
piccoli quanto per i loro genitori, coscienti che “per crescere un bambino ci
vuole un intero villaggio”. In tal senso, Percorsi formativi 0-6 vuole essere un
punto di riferimento per costruire e condividere pensieri e pratiche di qualità,
per fare rete tra Servizi, operatori, territori e portare un contributo nella
creazione di comunità educanti, dove i diversi attori in gioco possano diventare
sempre più corresponsabili, collaborando attivamente gli uni con gli altri
nell’interesse dei bambini.
Pertanto, la tipologia di iniziative che saranno proposte nel tempo, gli
argomenti dei percorsi formativi, sia a calendario che a catalogo,
la supervisione e tutti gli altri servizi offerti, vogliono rappresentare senz’altro
una risposta alle esigenze di aggiornamento e crescita professionale di chi
lavora nei contesti educativi 0-6 anni. Ma non solo. Il desiderio è quello di
ampliare lo sguardo ed avere un più ampio respiro culturale e sociale
per contribuire, da un lato, alla valorizzazione del lavoro educativo di chi opera
nei contesti 0-6 anni, troppo spesso considerato di minore importanza rispetto
a quello dei professionisti della scuola dell’obbligo e, dall’altro, per favorire
la creazione di solide alleanze educative tra educatori/insegnanti e famiglie in
un’ottica di sostegno alla genitorialità ed empowerment reciproco.

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