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Le divinità etrusche e il folklore

Author(s): R. Pettazzoni
Source: Lares , Giugno 1930, Vol. 1, No. 1 (Giugno 1930), pp. 55-57
Published by: Casa Editrice Leo S. Olschki s.r.l.

Stable URL: http://www.jstor.com/stable/26238162

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NOTIZIE E COMMENTI

Le divinità etrusche e il folklore

Vultimo numero della rivista « Studi e materiali di storia delle religio


ni », porta la seguente nota critica del suo direttore, l'illustre professor R.
Pettazzoni: noi la riproduciamo poiché essa ribatte e distrugge alcuni riliev
tendenti a menomare V importanza scientifica del discorso inaugurale tenut
dal Pettazzoni quale presidente del nostro primo Congresso nazionale deUe
tradizioni popolari. Avremmo anche solidi argomenti per ribattere alcune cr
tiche rivolte al nostro primo Congresso; ma siccome furono dettate da spirito
tutt'altro che sereno, e da moventi tut?altro che scientifici, noi non le rac
cogliamo. Amiamo la discussione serena nel campo della scienza: e sull'inte
ressantissima questione suscitata dal volume del Leland pubblicheremo pr
sto uno studio che porterà nuova luce nell'intricato problema. Qualcuno d
noi ha anche la penna ben temprata alle polemiche: ma in questo moment
riteniamo che si debba compiere il massimo sforzo su noi stessi e su gli altr
per giungere a stabilire le linee di un lavoro vasto e concorde che faccia
onore alla nostra scienza e all'Italia. Differenza di idee, sì, ma concordia d
spiriti. Noi sentiamo questo come un dovere. Alle parole rispondiamo con
le opere, e col proposito di lavorare sempre meglio e sempre più. In questa
primavera abbiamo pubblicato gli Atti del primo congresso: ora ecco che
viene a porsi in linea anche la nostra rivista: nel prossimo anno terremo
Udine, auspice la gloriosa Società Filologica Friulana, il nostro 11 Con
gresso che, giovandosi dell' esperienza del primo e della più vasta organiz
zazione del nostro Comitato, non potrà non dare ottimi resultati.

R. Corso (Presunti miti etruschi nel folklore della Romagna Toscana,


Il Folklore Italiano 4. 1929, 1 sgg.) vorrebbe farmi passare per un « segua
ce » ( !) del folklorista Ch. G. Leland, in quanto io con la mia comunica
zione su La divinità suprema degli Etruschi al I Congresso Internazionale
di Etruscologia in Firenze (pubblicata in SMSR 4, 1929, 207 sgg.) e con la
presentazione del relativo ordine del giorno al Congresso stesso {Atti, Fi
renze, 1929, p. 300), e poi col mio Discorso inaugurale al I Congresso N
zionale delle Tradizioni Fopolari in Firenze (maggio 1929), avrei « dolor

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samente presa sul serio » l'opera dell'americano Leland, Etruscan Roman


Remains in po-pular Tradition, Londra, 1892 — opera che sarebbe fondata
su documenti falsi —, riesumandola « dall'oblio » in cui l'aveva seppellita
l'indifferenza dei dotti ».
Quali dotti? P. Kretschmer, che fra i glottologi non è l'ultimo venuto,
in Glotta 1924, p. in scrive che il Giove etrusco è designato su gli specchi
col nome Tinia, ((ein Name, der, wie wir durch Leland wissennoch
jetzt in toskanischen Volksliedern fortlebt » (la spazieggiatura è mia). E
l'archeologo Fr. Weege nel suo libro Etruskische Malerei, Halle 1921, p. 41,
ha un brano che in traduzione italiana suona così : « I nomi (degli dèi)
etruschi, talvolta leggermente alterati, si conservano insieme col carattere di
chi li portava, fino ad oggi (nella credenza del popolo toscano): così Tinia,
il. dio etrusco del cielo, così Aplun (Apollo); l'etrusco Turms (Mercurio) è
diventato Teramo, Nortia (Fortuna) è diventata Norcia, e Turan (Venere)
è diventata Tmanna. Nei canti popolari sopravvive come folletto, come spi
rito del tuono e del fulmine, Tinia, « che brucia il raccolto », Teramo (Mer
curio) è lo spirito del commercio e l'amico dei mercanti e dei ladri, Aplun
è uno spirito dotto e saggio, Turanna è una fata dell'amore.... La regione
tra Ravenna e Forlì, la cosidetta Romagna Toscana, è quella dove ancor
oggi sopravvive la credenza o la superstizione delle antiche divinità etnische.
È stato l'inglese (sic) Leland che trenta anni fa è riuscito abilmente a strap
pare dalle labbra di vecchi contadini e donnicciuole che si trovano insieme
nei giorni di mercato qualche professione di fede dalla vecchia religione, come
essi stessi la chiamano.... » (1).
Dunque niente riesumazione ; l'opera di Leland è tutt'altro che seppel
lita nell'oblio e nella indifferenza. Essa gode, anzi, come si vede, di una
autorità che si può ben dire attuale. Ed è proprio di questa autorità che io
mi sono preoccupato, e mi son detto che bisognava verificarne le basi, prima
di trarne delle conseguenze. Si tenga presente che il Weege (/. cit.) trova
nella sopravvivenza dei nomi delle divinità etrusche secondo i risultati del
Leland un argomento per fondare, su la continuità dell'antica civiltà etrusca
in genere a traverso l'età ellenistica e il medioevo, nientemeno che il concetto
di un Rinascimento romanico « più spontaneo, forse più vero, e certamente
più popolare » accanto al Rinascimento erudito e aristocratico dell'arte clas
sica greco-romana.
Di fronte a queste sopravalutazioni acritiche dell'opera del Leland da
parte di studiosi di cose etrusche ,proprio io ho sentito il bisogno di reagire.
Ed ho reagito per conto mio nel citato articolo su La divinità suprema degli

(1) il Weege cita l'articolo di A. Frova, La morte e l'oltretomba nell'arte etrusco, « Il


Rinnovamento n, II, 2, 1908, dove (a p. 361 sg.) sono accettate senz'altro le sopravvivenze
lelandiane.

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Etruschi, mettendo bene in chiaro che il carattere uranico di questa divinità,


cioè di Tinia, risulta provato « anche indipendentemente dai dati — che
andrebbero controllati — del folklore ». E nell'interesse generale de
gli studi etruschi stimai utile presentare l'ordine del giorno, che il Congresso
approvò, inteso a promuovere ricerche sistematiche sul folklore della To
scana per appurare l'eventuale sopravvivenza di elementi dell'antica reli
gione etrusca, ch'era ed è appunto il modo di reagire alle varie sopravaluta
zioni dell'opera del Leland secondo quel principio di sana critica che consiste
non nel negare a plori una tesi, ma nel saggiarla alla prova dei fatti. Chè
quanto alla possibilità generica di tale sopravvivenza, nessuno, credo, vorrà
metterla in dubbio (si veda in questo fascicolo degli SM SR l'articolo di H.
J. Rose su San Miniato ; e nel prossimo fascicolo l'articolo di Eb. Hommel,
Das Nachleben der Etrusker im heutigen italienischen Volksglauben). È
quanto, specificamente, alle sopravvivenze lelandiane dei nomi stessi delle
divinità etnische, quando il Corso ha scritto a persona di Dovadola per aver
notizie di un folletto del fulmine di nome Tigna, egli ha lavorato — e non
se ne è accorto — precisamente nel senso da me indicato. E di ciò sono
contento, anche se la risposta fu negativa. E sarò contento che altre investi
gazioni si facciano nello stesso senso, anche se tutte siano per risultare al
trettanto negative, sì da persuadere me e chiunque che effettivamente il
Leland fu vittima di mistificatori, ed ebbe sott'occhio documenti falsi : che
sarà il solo modo di togliere all'opera sua quell'autorità di cui essa gode
tuttora fra gli studiosi, e con ciò lo scopo del mio ordine del giorno sarà
raggiunto.
Ciò di cui non posso essere contento è che il Corso svisi slealmente quel
che fu il mio proposito impancandosi a salvatore della serietà degli studi (i).

R. Pettazzoni

Saluto a " Pallante

Con viva simpatia Lares saluta Fallante.


Fallante è il bel nome augurale italico con cui in quest'anno virgiliano
si presenta agli studiosi una collana di fascicoli che — sotto la direzione di
tre chiari nomi, Leicht, Neri, Suttina — escono a liberi intervalli; alcuni
miscellanei, altri dedicati a speciali monografie. Ne è previsto un primo

(1) Con tale atteggiamento mal si concilia la leggerezza di cui il Corso dà prova
stesso articolo sui miti etruschi, là dove parla di espressioni erotiche e allusioni las
filastrocche riportate dal Leland (in versione italiana « piena di errori di ogni gen
cie »), adducendo come esempio questo passo di una filastrocca a Pano : a per il pene
ti prego di farmi questa grazia », senza accorgersi che qui il pene è un errore di tr
per le pene. E dird che il Leland dà anche la sua brava traduzione inglese, naturalm
corretta : « by her sufferings I adjure theè to grant me this favour » ! '

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