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“Quando colui che ascolta non capisce


colui che parla e colui che parla non sa
cosa sta dicendo: questa è filosofia”

- François-Marie Arouet -

Nel salotto c'era un grande mobile con un impianto hi.fi,


ogni scomparto aveva il suo dispositivo; il giradischi, la radio,
l'amplificatore e il preamplificatore. Ai lati risuonavano due
grandi diffusori. Verso sera mio padre entrava, prendeva un
vinile dalle centinaia disposti sugli scaffali e cominciava a farlo
girare. Spesso lo seguivo, ero ragazzino, mi piaceva la musica,
ma ancor di più mi piaceva incantarmi a guardare quel disco
nero che girava senza sosta; oppure seguire gli aghini
dell'amplificatore che andavano su e giù seguendo i decibel
della canzone. Guardavo le copertine degli album che, di volta
in volta, ascoltava; c'erano dei cow-boys sullo scalone di quello
che forse era un vecchio saloon, ai loro piedi legati e stesi altri
cow-boys; c'erano due uomini che si stringevano la mano, uno
dei due, stranamente, stava andando a fuoco; su una copertina
sembrava esserci un grande salone con ampie finestre, non era
molto chiaro, appoggiata ad una colonna forse una figura di
donna.
Mi piaceva la musica, ascoltavo con piacere tutte le canzoni,
forse di sfuggita, preferivo fissarmi sugli aghini dei decibel che

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danzavano a ritmo. Molte erano in inglese, allora non capivo i
testi, ma anche quelle in italiano, non mi fissavo sulle parole,
mi piaceva la melodia e basta; provavo a fischiettarle.
Una sera seguì mio padre nel salotto, come al solito prese un
vinile da uno degli scaffali ricolmi di dischi, dopo aver messo il
disco sul piatto posò la copertina dell'album sul tavolino; mi
accovacciai ai piedi del divano e cominciai a fissarla. C'era un
disegno per me un po' strano: una donna bionda, abbastanza
appariscente, in abito da sera rosa; con l'espressione un po'
sorpresa, rovistava in un bidone della spazzatura. C'era
qualcosa che mi attraeva di quella copertina, certo, credo avessi
9 o 10 anni, poteva anche essere che fossi attratto
semplicemente da quella signorina bionda. Fissavo la copertina
ma ascoltavo le canzoni, preso dalla voce melodica e acuta del
cantante.
La sera dopo chiesi a mio padre di poter riascoltare quel
disco. Ero un ragazzino, può essere che la signorina bionda in
copertina mi piacesse, ma c'era qualcosa di più, mi piaceva
quella voce; mi era risuonata in testa tutto il giorno.
“Pa', chi è che canta?” - chiesi.
“Ivan Graziani”.
No, non era la signorina bionda in copertina che mi
affascinava; era altro! Chiesi di farmelo ascoltare altre volte;
mi sedevo sul divano e ascoltavo le canzoni, una dietro l'altra.
Poco alla volta, nella mia testa si fissavano i personaggi di
quelle canzoni; cominciavano ad avere una fisionomia ben
distinta, cominciavano ad animarsi; le loro storie prendevano
vita. Susy, dottor Jekyll e mr. Hyde, Agnese; chi era il prete di
Anghiari? E cosa stava succedendo su quella collina? Mi era
parso chiaramente di vederlo.

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Sono passati ormai più di quarant'anni da quelle sere; non c'è
più mio padre a farmi ascoltare quei dischi e di Ivan Graziani
credo di aver ascoltato ogni cosa; riascoltando i suoi brani
migliaia di volta. Rivedo quelle storie, così come tante altre.
Questo libro nasce da una voglia di raccontarle quelle storie.
Non voglio scrivere e raccontare le storie di quei brani, che
vengono fuori dai versi di quelle canzoni; mi piacerebbe
semplicemente raccontare di quello che immaginavo stesse
accadendo, quello che immaginavo fosse accaduto prima o
come fossero andate a finire quelle storie, cantate da una voce
unica. Ivan, alle volte, me le lasciava in sospeso, quasi l'amaro
in bocca; volevo sapere altro; ero curioso. Perché non ha mai
scritto una “Firenze 2”? Una “Lugano addio – Il ritorno”?
Forse la grandezza di Ivan era anche questa: farti entrare
nella storia, viverla, emozionarti, arrabbiarti con qualcuno,
provare pena o simpatia per altri; immaginarti anche il finale.

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