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Sara stava finendo di prepararsi, aveva appuntamento con Marco, il suo Marco; le piaceva

prepararsi con cura fin nei minimi dettagli e intonare i colori. Indossava un abito blu di pizzo e
scarpe con il tacco alto dello stesso colore, era elegante, adatta alla serata a teatro, con cena
a seguire. Si stava dando gli ultimi ritocchi di ombretto, color verde acqua, uno dei suoi colori
preferiti, anzi ormai era il colore prediletto. Tutto era cominciato proprio a causa di questo
colore, di un ombrellino da borsetta verde acqua. Galeotto fu l’ombrello, pensava tra sé
ricordando con un pizzico di ironia i celeberrimi versi danteschi, mentre le labbra colorate di
tenue rossetto si increspavano in un sorriso. Rifletteva sulle stranezze della vita e su quanto
casuali siano eventi e incontri che poi si rivelano determinanti, anche se, in fondo in fondo, a
pensarci bene, si diceva tra sé e sé, siamo sempre noi a decidere di agire o non agire e a
dare una mano a quello che chiamiamo destino. E se quella mattina non avesse avuto la
sfacciataggine di rivolgere la parola a Lucia? Non sarebbero diventate amiche e non avrebbe
mai conosciuto il fratello di lei, Marco, appunto.

Come al solito era pronta in anticipo e si dispose ad aspettare Marco, comodamente seduta
in poltrona ma in una postura adatta a non sciupare l’abito. Si lasciò andare alla piacevolezza
di quei ricordi, che tante volte aveva ripercorso anche con Marco, unendo la sua storia a
quella di lui e ne avevano riso e sorriso. Quanto tempo era passato? Pochi mesi, era luglio, il
diciotto di luglio …..

Appena ebbe messo piede nell’ampia sala dell’aeroporto, fu investita dal flusso dell’aria
condizionata e lo sbalzo di temperatura fu tale da farle persino venire la pelle d’oca sulle
braccia e sulle gambe, nonostante i pantaloni e la camicetta. Si infilò la giacca. Quando
viaggiava per lavoro era sempre rigorosa nell’abbigliamento e anche in questa occasione,
nonostante il torrido caldo estivo, indossava un fresco completo pantaloni blu con una
camicia azzurra di foggia maschile, come piaceva a lei. Era a Napoli con il solito gruppo di
colleghi e stavano rientrando a Milano dopo una due-giorni di riunioni e incontri nella filiale
locale.

Il suo presentimento si rivelò azzeccato non appena ebbe alzato lo sguardo verso lo schermo
dei voli in partenza: ritardo, il volo, e non solo il suo, era ritardato di cinquanta minuti, e forse
questo era solo l’inizio. Si sentiva molto contrariata e innervosita, dato che stava sfumando
ogni benché minima possibilità di rientrare a un’ora accettabile ed avere ancora del tempo per
sé. Trovava sciocco che la riunione fosse stata organizzata con termine il venerdì alle cinque
del pomeriggio, con volo di rientro alle sette. Che senso aveva? Tempo ne avevano avuto in
abbondanza ed avrebbero potuto concludere in un orario utile per un rientro anticipato, ma
no, sempre la solita storia. Alcuni suoi colleghi si sentivano investiti di un’aura di
managerialità e, il rientrare tardi per aver assolto al proprio dovere aziendale fino in fondo, li
faceva sentire ancora più motivati e soddisfatti di sé.

Per Sara non era esattamente la stessa cosa. Aveva quarantacinque anni ed era dirigente da
oltre dieci, con un curriculum di tutto rispetto. Non si era mai risparmiata per il lavoro e
l’affermazione professionale, ma aveva sempre mantenuto una sua capacità critica
personale, a volte un po’ cinica, che le consentiva di vedere le cose in modo distaccato e
disincantato. Per lei quelle erano ore preziose sottratte alla sua libertà, anche se non aveva
assolutamente alcun impegno o programma per quella sera.

Quello che più la indisponeva era l’assenza di qualunque certezza.

Un aeroporto non offre molto ai viaggiatori forzati ad ingannare l’attesa causata dai ritardi e
Napoli Capodichino, pur ristrutturato e reso accogliente, non faceva eccezione.

Il gruppo di cui faceva parte si sparpagliò e Sara rimase in compagnia delle sue colleghe
preferite, Gianna e Chiara; accettò di buon grado la loro proposta di curiosare per i negozi del
duty free. Le altre due donne avevano preso la situazione con rassegnata allegria. Dopotutto,
pensò, l’attesa sarebbe stata meno estenuante se affrontata con un briciolo di
spensieratezza.C’erano i soliti negozi che esibivano le solite note marche, con commesse
eleganti e servizievoli che cercavano di catturare clienti, soprattutto i turisti stranieri, che a
Napoli certo non mancavano.

Si soffermarono in un punto vendita di profumi artigianali a base di essenze provenienti da


Capri: approfittarono a piene mani dei tester a disposizione e, controllando i prezzi elevati,
decisero di proseguire oltre.

Un’occhiata al monitor dei voli confermò i timori di Sara: il ritardo era stato prolungato di
un’altra ora.

Continuarono a girare fra borsette, abbigliamento, articoli di bellezza, commentando qualità e


prezzi fino a che giunsero al negozio Desigual. A Sara piacevano le fantasiose combinazioni
di colori che caratterizzavano qualsiasi prodotto di quella marca, per cui si attardò fra Tshirt,
abiti e borse. In tutta quella fantasmagoria la colpì, infine, un ombrello. Era un ombrello da
borsetta verde acqua, per meglio dire verde Tiffany, con impressi disegni fantasiosi che
sfumavano dal bianco all’azzurro, dal blu al verde cupo, creando un contrasto piacevole e per
nulla pacchiano. Aveva già un ombrello da borsetta, si disse, ma quegli accostamenti le
piacevano proprio tanto e alla fine, dopo aver dato un’occhiata al prezzo, si decise per
acquistarlo, incoraggiata dalle amiche. Era un modo come un altro per compensare
l’inconveniente dell’attesa.

Tutte e tre concordemente decisero, infine, per uno strappo alle rispettive diete, sì perché da
perfette donne ultraquarantenni seguivano rigidi regimi alimentari (almeno in teoria): come
resistere a quelle golose sfogliatelle esibite sul banco della pasticceria? Ognuna di loro se ne
fece preparare un vassoio, per sé e per la famiglia. Sara era sola ma ne acquistò ben quattro.
Dopotutto aveva saltato la cena. Ripose con cautela il vassoio nel sacchetto del duty free,
dove giaceva il pacchetto ben confezionato con l’ombrellino verde Tiffany.

Poi si risolsero a sedersi, un po’ perché non c’era più nulla da vedere, un po’ perché
cominciavano ad avvertire la stanchezza e si sentivano le gambe e i piedi gonfi. Non fu facile
trovare posto, dato che i ritardi interessavano l’aeroporto in generale, non solo i voli diretti a
Milano, ma alla fine riuscirono a sistemarsi vicino al cancello di imbarco in paziente attesa.

Anche il giudice Marco Del Vecchio era in attesa del volo per rientrare a Milano. Era arrivato a
Napoli quella stessa mattina, per una riunione in procura al riguardo di una indagine
congiunta. Avrebbe potuto prendere un volo nel primo pomeriggio, ma, trovandosi a Napoli,
non si era lasciato sfuggire l’opportunità di salutare un vecchio amico, un poliziotto con cui
aveva collaborato a lungo, fino a che questi non aveva chiesto di rientrare nella terra di
origine.

Dedicava gran parte del proprio tempo al lavoro, che aveva scelto con convinzione e che,
nonostante tutto, continuava ad appassionarlo perché ancora credeva, a dispetto dell’età
matura e dell’esperienza, nei valori che lo avevo spinto ad intraprendere quella
carriera.Quelle poche ore trascorse con Settimelli erano state come una sorsata di acqua
fresca, dato condividevano gli stessi ideali e la stessa visione della giustizia e del proprio
dovere. Alla fine, chiacchiera dopo chiacchiera, ricordo dopo ricordo, aveva dovuto affrettare i
saluti per non rischiare di perdere l’aereo, non sapendo ancora del ritardo che lo attendeva.

Fece la fila alla cassa di un bar per prendere l’ennesimo caffè e decise di fare due passi e
guardarsi intorno. Non era interessato ai negozi ed agli articoli esposti, ma gli piaceva
aggirarsi osservando le persone attorno a lui e cercando di indovinare qualcosa di loro da
come erano abbigliate, da come si muovevano e da quello che dicevano. Era una specie di
gioco, forse una deformazione professionale.

Quando viaggiava per lavoro non si concedeva distrazioni e non gli capitava mai acquistare
prodotti locali o souvenir, ma quella volta fece un’eccezione, perché si ricordò che a casa non
aveva nulla da mangiare e poi si voleva gratificare un pochino, quasi a ricompensarsi per la
forzata attesa. Così acquistò delle invitanti sfogliatelle, non certo indicate per una cena
tardiva e dietetica, ma sicuramente adatte a prolungare quella sensazione di benessere e
buon umore che l’incontro con Settimelli gli aveva procurato. Ma quella sera aveva proprio
deciso di esagerare, dato che alla fine acquistò anche una bottiglia di vino. Lui amava i
bianchi e quello era un Greco di Tufo di ottima marca, con un sovrapprezzo turistico, ma
insomma, dopotutto, pensò, si vive una volta sola. Sfogliatelle e Greco di Tufo, la sua musica
preferita, Mark Knopfler, e la serata si sarebbe conclusa in modo perfetto e rilassante a
dispetto di Alitalia, Easy Jet, aeroporti e così via.

Trovò a fatica un posto libero vicino al gate di imbarco, piegò con cura la giacca grigia estiva
sulle ginocchia, con la ventiquattro ore e il sacchetto del duty free davanti a sé. Continuò nel
suo gioco di osservazione e l’attenzione cadde sulle tre donne sedute di fronte a lui. Non
giovani, probabilmente tra i quaranta e i cinquanta, una abbigliata in modo “alternativo”, con
pantaloni neri aderenti ed un’ampia casacca nera che nascondeva le forme, qualunque
essere fossero, ballerine nere e una improbabile collana, viola, a foggia di catena; una
seconda più normale, alta e leggermente formosa, vestita semplicemente con pantaloni di
lino chiaro, ormai decisamente spiegazzati, ed una camicia bianca senza maniche. Entrambe
sembravano stanche e provate, abbandonate, più che sedute, sugli scomodi sedili. Si
soffermò per un momento sulla terza, così diversa, con i pantaloni blu, la giacca in tinta
appoggiata sulle spalle sopra la camicia azzurra e le scarpe alte aperte in punta che
lasciavano intravedere lo smalto azzurro cupo. Anche il braccialetto che portava al braccio
destro era intonato con l’abbigliamento. Decisamente elegante, decisamente contrastante
con le altre due: provò ad indovinare se fossero lì per lavoro o per piacere, ma il contrasto fra
le prime due e la terza non dava indizi significativi.

Alla fine fu scosso dalla voce metallica che annunciava il tanto sospirato imbarco, ma rimase
seduto, ad attendere che la coda si smaltisse. Ci sarebbero voluti due bus per trasportare
tutte quelle persone fino all’aereo. Tutti i passeggeri si stavano ammassando e notò anche le
tre donne che si stavano riunendo ad altre persone: alla fine si risolse a ipotizzare,
osservando gli abbigliamenti degli uomini e le borse porta computer, che fossero un gruppo di
colleghi in viaggio di lavoro. Continuò a guardarsi intorno e notò che molti dei passeggeri
avevano una borsa del duty free dell’aeroporto: il ritardo aveva incrementato il commercio
locale!

Quando finalmente Marco Del Vecchio fu a bordo riuscì a fatica a sistemare in uno dei vani
bagaglio la sua ventiquattr’ore e il sacchetto con le vettovaglie acquistate. L’aereo era al
completo e molti portavano con sé bagagli oltre il limite consentito ma forse gli addetti
avevano deciso di chiudere un occhio per non irritare oltre le persone già esasperate per la
lunga attesa. Si sistemò con il suo libro nel posto assegnato in attesa del decollo e del breve
viaggio che lo avrebbe riportato a casa.

Anche Sara e le sue due colleghe sistemarono con fatica il bagaglio a mano e i sacchetti con
le sfogliatelle nei vani bagagli; avevano effettuato il check-in on-line riuscendo ad avere tre
posti vicini, così da proseguire le chiacchiere ed i gossip lavorativi per tutto il viaggio.

Non ci furono altri intoppi ed alla fine giunsero in quel di Linate. Come sempre accade, molti
si alzarono appena l’aeromobile si fermò nell’area di parcheggio, precipitandosi ad arraffare il
proprio bagaglio e a mettersi in fila per primi: fatica assolutamente inutile, dal momento che il
bus avrebbe dovuto caricare tutti.

Quando finalmente la coda scemò, Sara e le colleghe si alzarono e si apprestarono a


recuperare il proprio bagaglio, ma un uomo gentile le aiutò e porse loro sacchetti e trolley
prima di prendere le proprie cose. Sara lo ringraziò e lo osservò velocemente. Come tutti
appariva provato, ma era curato e ben vestito, alto e snello, capelli cortissimi e chiari, doveva
essere sui cinquanta.

Finalmente a casa, a Sara quasi non sembrava vero. Era stanca e accaldata, si sentiva le
ossa indolenzite e i piedi gonfi e, soprattutto, non vedeva l’ora di togliersi scarpe e vestiti per
infilarsi sotto una doccia corroborante. Rimase a lungo sotto il getto intenso, gustando la
sensazione dell’acqua non troppo calda che picchiettava sulla pelle. La stanchezza svanì
quasi per incanto e, una volta che fu avvolta nell’accappatoio, decise di svuotare la borsa da
viaggio senza attendere la mattina. Le sfogliatelle avrebbero costituito la giusta ricompensa a
tanta diligenza. Poi c’era l’ombrellino: non vedeva l’ora di aprirlo per ammirarlo meglio. Era
contenta dell’acquisto.

Le ci volle poco per sistemare il bagaglio, così Sara si poté finalmente dedicare al sacchetto
del duty free: lo aprì e infilò la mano destra con gesto meccanico e distratto, lei era sempre
distratta e le ci volle un momento per raccapezzarsi e rendersi conto che non aveva in mano
la confezione dell’ombrello ma una scatola lunga, stretta e più pesante. Si bloccò perplessa
tornando in sé ed aprì subito: una bottiglia di vino bianco, Greco di Tufo. Rimase così, con
quella bottiglia nelle mani senza capire; controllò il sacchetto, ma non vi era traccia
dell’ombrello. Almeno c’erano le sfogliatelle, la carta della confezione era quella e si accertò
subito del contenuto: quattro invitanti sfogliatelle. Ne addentò subito una, ma non riuscì ad
apprezzarne la fragranza, il ripieno di ricotta e canditi era preparato ad arte, ma Sara non se
ne accorse, frustrata come era per aver perso il suo amato ombrello verde Tiffany. Ci mise
pochi minuti a capire: si trattava di uno scambio di sacchetti, presumibilmente, ce ne erano
così tanti in aereo, tutti avevano effettuato acquisti al duty free per ingannare l’attesa e
probabilmente la colpa era di quel tipo che, per atteggiarsi a gentiluomo e far colpo su di loro,
le aveva aiutate con il bagaglio in aereo. Bel favore! Si sentì di nuovo stanca e frustrata, l’aver
perso quell’ombrellino così originale e insolito era un pensiero davvero insopportabile.
All’improvviso le balenò l’idea che il suo sacchetto potesse essere finito a Gianna o Chiara.
Guardò l’ora, mezzanotte passata, ma Sara era impaziente e non avrebbe potuto attendere
l’indomani per sapere. Chiamò entrambe per raccontare l’accaduto e chiedere dell’ombrello.
Sia Gianna che Chiara erano ancora alzate e risposero subito alla chiamata; conoscevano
bene l’amica-collega e non si stupirono troppo per quella telefonata notturna. Tutto inutile.
Entrambe avevano il proprio sacchetto con le sfogliatelle ma dell’ombrello nessuna traccia.

Sara era irritata ed arrabbiata con se stessa, perché non aveva pensato di controllare il
contenuto del sacchetto quando ancora era in aereo; avrebbe potuto anche tenere il
sacchetto con sé, ponendolo sotto il sedile davanti, perché non ci aveva pensato? Era stata
troppo distratta, come sempre, e aveva compiuto quei gesti senza pensare a quanto stava
facendo. Stappò il Greco di Tufo e se ne versò un bicchiere, quasi per dispetto a quel
belloccio sconosciuto che aveva scambiato i sacchetti, fantasticando che il vino poteva averlo
acquistato lui. Si lasciò andare su una poltrona e provò a rilassarsi e si scoprì ad apprezzare
il vino che stava assaggiando; quel tipo aveva almeno buon gusto in fatto di vino.

Qualche mese dopo, alle otto del mattino Sara era in attesa della metropolitana, alla fermata
della stazione Cadorna. Da qualche settimana, ogni lunedì, doveva recarsi in centro a Milano,
presso la sede centrale dell’azienda, per la riunione di coordinamento del progetto che le era
stato affidato. Il progetto era interessante e aveva risvegliato le sue assopite motivazioni
professionali, per cui riusciva a tollerare la trafila treno e metropolitana cui non era più
abituata da anni. I pendolari a quell’ora si accalcavano lungo la banchina in attesa del metrò
tendendo ad ammassarsi in prossimità delle scale, dove si fermavano i vagoni centrali. Sara
era quindi solita spostarsi e percorre tutta la banchina per salire sull’ultimo vagone, dove la
folla era un po’ diradata.

Si guardava intorno in attesa del treno, osservando i pendolari avvolti negli impermeabili o
piumini autunnali. Fuori era umido e piovigginava. Sara si era attrezzata con ombrello e
cappello ripara pioggia nella borsa, perché detestava bagnarsi i capelli e rovinare la
pettinatura che, per quanto semplice fosse, non le riusciva di sistemare senza l’intervento del
parrucchiere. Il monitor segnalava l’imminente arrivo del treno. Sara seguitava a girare
intorno lo sguardo distratto e ad un certo punto notò qualcosa di insolito e al tempo stesso
familiare che la colpì. La sua attenzione era stata catturata da una macchia di colore
intravista fra i passeggeri. Lì per lì non riuscì a dar forma compiuta alla sua osservazione, ma
ad un certo punto il ricordo si materializzò come d’incanto. Un ombrellino verde Tiffany, che
una donna portava reggendolo per il manico. Era ripiegato accuratamente, per cui Sara non
riusciva a capire se fosse identico a quello che mesi prima aveva acquistato a Napoli e poi
perso. Avrebbe d’istinto approcciato la donna sconosciuta per chiederle di mostrarle
l’ombrello e sapere dove lo aveva acquistato, così magari avrebbe potuto trovarne un altro
uguale per sé, ma era troppo riservata e timorosa per osare un comportamento che giudicava
sfacciato. Avrebbe rischiato una figuraccia clamorosa, si disse. L’ombrello sparì nella folla
con la sua proprietaria e Sara cercò di concentrarsi sulla riunione che l’attendeva.

Il lunedì successivo Sara era di nuovo in attesa della metropolitana, posizionata per salire
sull’ultimo vagone, quando di nuovo si materializzò la donna con l’ombrellino verde. Una
combinazione più unica che rara, pensò. Questa volta la donna salì sullo stesso vagone e
Sara la osservò dal punto in cui si trovava. Doveva avere sui quaranta anni, vestita
semplicemente con un paio di jeans e un giubbotto, capelli biondi diritti e sottili, occhiali e un
trucco leggero. Aveva sulle spalle uno zaino, nella mano sinistra l’ombrellino ripiegato e con
la destra si sosteneva ad una delle sbarre per i passeggeri.

Ora o mai più, di disse Sara, così si fece forza, si avvicinò alla sconosciuta e le rivolse la
parola, cercando di trovare uno tono adatto, dato che, dopotutto, stava per importunare una
sconosciuta con una domanda abbastanza singolare sul suo ombrello.“Signorina mi scusi se
la importuno, ma non ho potuto farne a meno, sa, ho notato il suo ombrello, si da il caso che
tempo fa ne ho quasi posseduto uno, sì, insomma, in realtà l’ho perso e siccome mi piaceva
davvero tanto, ora per combinazione vedo che lei ne ha uno che sembra molto simile, forse
uguale, mi chiedevo, è in tinta unita o in fantasia? Magari può dirmi dove l’ha acquistato?!”

Era cominciata proprio così e, fortunatamente, Lucia era una donna aperta e disponibile per
cui non si scompose più di tanto e le rivolse un largo sorriso e rispose. Le disse che in realtà
quell’ombrello era un regalo del fratello, glielo aveva portato rientrando da un viaggio, non
ricordava però da dove.
Il tempo era stringeva e Sara doveva scendere dal metrò dopo poche fermate, ma decise di
proseguire, avrebbe tardato di una mezz’ora l’arrivo al lavoro, tanto era sempre in anticipo!.
Erano entrambe ragazze sveglie e, mettendo insieme i particolari di ciascuna, non ci misero
molto a capire che quello era proprio l’ombrello acquistato da Sara a Napoli e finito nelle mani
di Lucia, solo per un banale scambio di sacchetti. Quando scesero dal vagone Lucia lo aprì
per mostrarlo a Sara, che ebbe così la definitiva conferma.

La spontaneità di Lucia levò definitivamente Sara dall’imbarazzo, così poterono ridere


insieme di quella insolita situazione. Lucia le offrì l’ombrello, ma Sara rifiutò, sarebbe stato
davvero troppo, rifletté, assolutamente fuori luogo e maleducato accettare. “Del resto – disse
a Lucia – io il vino di tuo fratello non lo posso restituire perché me lo sono bevuto”.

Alla fine si salutarono e si diedero appuntamento per il lunedì successivo, in tempo per fare
colazione insieme prima di prendere il metrò. Stavano bene insieme e chiacchierano a lungo,
rischiando ritardi clamorosi ai rispettivi doveri. Si scambiarono i numeri di telefono e indirizzi
mail, concordano che sarebbero presto uscite insieme per una pizza, loro due e Marco,
naturalmente, Sara doveva assolutamente conoscerlo, asserì Lucia.

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