L’espressione”disabilità” sottolinea il deficit, ciò che manca rispetto ad una “abilità”, ad una
“norma” che ci rende “normali”.
Ma cos’è la normalità? Ed esiste una normalità?
“Anche se possediamo l’intera gamma delle intelligenze, forse non esistono due persone
che abbiano esattamente le stesse intelligenze, nello stesso grado e nella stessa
combinazione: nemmeno i gemelli omozigoti sono così. Si aggiunga che la
configurazione delle intelligenze e i loro rapporti mutano nel tempo per effetto delle
esperienze che gli individui vivono e del senso che danno (o non danno) loro”. (Gardner,
1999, p. 73).
“Forse la sangria è stata inventata proprio perché la bottiglia era mezza piena ed è parso
naturale aggiungere frutta, acqua, ecc. inventando qualcosa di originale.” Claudio
Imprudente 1
Il concetto di diversabilità deve tener conto dei contesti sia interni alla persona
sia esterni, delle relazioni interpersonali e dei rapporti con vari tipi di ambiente. A
questo proposito è importante la distinzione che l’Organizzazione Mondiale della
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Direttore della rivista “HP – Accaparlante” , autore di vari libri che affrontano la disabilità ttraverso la sua situazione
esistenziale. Fondatore di “Maranà-tha”, comunità di famiglie per l’accoglienza e Presidente del Centro di
Documentazione Handicap di Bologna: Ha ideato di “Progetto Calamaio” che propone percorsi formativi sulla diversità
e sulla nuova cultura di handicap al mondo della scuola e del lavoro. E’ inoltre scrittore e giornalista.
Sanità ha operato, con il nuovo sistema di classificazione delle disabilità, della
salute e del funzionamento (ICF) del 2002.
Nel documento si distingue la “capacità”, intesa come ciò che si sa fare senza
alcun mediatore contestuale, da “performance” ovvero quello che si sa fare con
dei mediatori contestuali attuali a nostra disposizione.
La diversabilità si fonda quindi su un atteggiamento di fiducia, e la valutazione
dello stato di salute non potrà prescindere dai complessi rapporti esistenti tra
corpo, mente, ambiente, contesti e cultura. Presuppone inoltre un punto di vista
diverso, propositivo e cooperativo verso le abilità che le persone con ritardo
mentale possiedono.
Se si vuole lavorare nell’interesse della persona disabile, non si può partire dalle
“competenze burocratiche, bisogna partire da lui, crescere con lui, seguirlo in
tutto il continuum della sua esistenza individuando per lui e con lui il suo
“progetto di vita”.