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BRUTTE SCORIE

<<Siamo in attesa, non so cosa succeder dopo il referendum. Nel quesito referendario non si parla della gestione delle scorie radioattive che ancora ci sono nel nostro Paese, e che certo non spariscono se vince il s>>. A parlare, appena dopo la sentenza della Cassazione che ha confermato la presenza del quesito sul nucleare ai referendum dei prossimi 12 e 13 giugno, il professor Marco Ricotti, ordinario di impianti nucleari al Politecnico di Milano e membro dellAgenzia per la sicurezza nucleare, costituta dal Consiglio dei Ministri questanno e presieduta da Umberto Veronesi. Il fatto quindi che le scorie ci sono e <<non spariranno>>. Il problema dello smaltimento delle scorie nucleari molto pi cruciale rispetto al fatto se una centrale sia pi o meno sicura. Quanto meno il problema scorie deve essere affrontato a monte. I quesiti su cui ci si arrovella sono sempre gli stessi: con il nucleare, che fine faranno le scorie e chi le smaltir? Nel dicembre 2010 un giornalista ha lanciato la sua denuncia in merito alla centrale nucleare di Caorso, nel piacentino. La centrale, il cui reattore stato ribattezzato Arturo, stata progettata e realizzata dal gruppo ENEL - Ansaldo Meccanica Nucleare GETSCO ed fuori funzione (tecnicamente in condizioni di arresto a freddo) dal 1986. Nel 1990 si disposto la chiusura definitiva dellimpianto, mantenendo solo in esercizio i sistemi utili per le attivit di smantellamento completo del reattore nucleare (in inglese decommissioning). Nel 1999 la propriet passata di mano al gruppo SOGIN. Tra le varie attivit di decommissioning, che permettono un lento e sicuro blocco di una centrale nucleare, vi la gestione dei rifiuti tossici. Linchiesta denuncia come lo smaltimento dei rifiuti di Caorso sia in mano ad una ndrina calabrese, che gestisce un vero e proprio smaltimento illecito tramite la societ che ufficialmente ne responsabile: la Eco.Ge, che ha sede a Genova. Il giornalista racconta di container, da lui fotografati e seguiti, caricati su camion alla volta del porto di Genova e a La Spezia. Un sistema criminoso di smaltimento basato sulle cosiddette navi dei veleni, che compaiono in numerose inchieste degli ultimi anni rivelando uno scenario macabro. Dal 1974 le cosiddette navi a perdere sarebbero state fatte affondare numerose nel

Mediterraneo, con il loro interno riempito di fusti di rifiuti nucleari dalle cosche della ndrangheta, per un business economico da capogiro. La Eco.Ge una societ parecchio chiacchierata. Di propriet della famiglia calabrese dei Mamone, il loro nome compare in una relazione sulla criminalit della Polizia di Stato nel 2000, che scriveva riguardo agli interessi delle cosche della ndrangheta a Genova. Nel 2002 fu invece la Direzione Investigativa Antimafia a scrivere: presenze significative sono state individuate anche in Liguria, ove la criminalit calabrese, presente sin dagli anni 60, si manifestata tanto in ambito microcriminale, attraverso lesercizio dello spaccio di droga al minuto, quanto in importanti settori economici quali ledilizia, la ristorazione e, soprattutto, lo smaltimento dei rifiuti () La famiglia MAMONE, proveniente dalla Piana di Gioia Tauro (RC) e collegata ai MAMMOLITI di Oppido Mamertina (RC), si insediata a Genova, ove titolare della societ F.lli MAMONE & C. di MAMOME Luigi, aggiudicataria di un cospicuo numero di appalti pubblici. La societ SOGIN, proprietaria della centrale e gestore dello smaltimento di tutte le scorie atomiche italiane, ha dichiarato che i rapporti con la Eco.Ge si sarebbero conclusi nel febbraio 2009. La societ dei Mamone aveva vinto una gara per lappalto per lo smaltimento dei rifiuti di Caorso, ma il contratto era stato poi scisso per mancato rispetto delle condizioni da parte dei Mamone. Nata come interna al gruppo ENEL, dal 2000 le azioni della SOGIN S.p.A sono state trasferite in mano al Ministero dellEconomia e delle Finanze e al Ministero dello Sviluppo economico, che ha insediato un nuovo CdA ridefinendo compiti e funzioni della societ. Gli introiti per lo smaltimento dei rifiuti della SOGIN, che prevedono anche un accordo con la Russia datato 2003 per lo smaltimento di sottomarini nucleari, ammonta attorno ai 5 miliardi di euro. Francesco Fonti un collaboratore di giustizia. Appartenente alla ndrina di San Luca dei Romeo, stato pi volte protagonista di rivelazioni che raccontano il traffico illecito che ha portato la ndrangheta ad inquinare per anni il Mediterraneo con numerose navi dei veleni. In unintervista al giornalista Alessandro Farruggia de La Nazione, Fonti ribadisce lenorme business criminale snocciolando cifre e fornendo informazioni che certo non fanno stare tranquilli. Le navi affondate sarebbero <<circa trenta>> spiega, <<quasi tutte attorno alla Calabria: sia sul Tirreno sia sullo Ionio. Ma so di tre affondate in Liguria, una al largo di La Spezia due pi verso Genova. E di una, un carico di scorie di una industria farmaceutica, affondata al largo di Livorno, intorno all87>>. I rifiuti radioattivi che imbottivano le navi <<provenivano da industrie chimiche e farmaceutiche, sia italiane che tedesche, svizzere e persino russe>>. Il giro daffari della ndrangheta in questo velenoso business spaventoso. Sempre Francesco Fonti al giornalista Alessandro Farruggia spiega: <<il prezzo dipendeva dalla pericolosit del carico. Diciamo tra i 3-4 miliardi di lire fino a

un picco di 30 miliardi pagati per un carico di 5 mila bidoni, quasi tutta roba radioattiva>>. La scelta di affondare le navi col carico di rifiuti tossici, dopo aver preso la commessa e limpegno a smaltirli, tutta nella logica mafiosa, in linea col profitto e menefreghista delle leggi e del rispetto, in questo caso dellambiente quindi di tutti noi. Le navi venivano fatte colare a picco, oltre che per disfarsi senza pensieri dei rifiuti tossici, per truffare lassicurazione. <<Le navi erano di armatori, che le mettevano a disposizione a pagamento e poi intascavano lassicurazione. Come dicevo in Italia ne abbiamo affondate tra 28 e 30. Oltre alla sei che ho ricordato c la Rigel al largo di Capo Spartivento in Calabria, tre navi affondate nelle stretto di Messina, altre vicino Tropea, una nel crotonese>>, racconta Francesco Fonti. Al largo di Cetraro in provincia di Cosenza, nel 2009 stata ritrovata inabissata una nave, che potrebbe essere la Cunski, una delle navi dei veleni descritta da Fonti. Lunga 120 metri, la nave era a cinquecento metri di profondit. Quello che pi preoccup gli uomini della Procura di Paola, che si attivarono per il ritrovamento in accordo con la Regione Calabria, fu lo squarcio che il relitto presentava. Al suo interno ci sarebbero pi di un centinaio di fusti, secondo la testimonianza di Fonti. Non si sa ancora con certezza se quella una delle navi dei veleni, ma vista la profondit in cui si trova, <<la pressione tale che non si sa fino a che punto dei fusti possano reggere senza spargere il loro contenuto in mare>> ha commentato il Procuratore Capo della Repubblica di Paola Giordano Bruno. La storia si per tinta di giallo. Dopo le prime indagini si ipotizza (versione ufficiale del Ministero dellambiente e della Procura nazionale antimafia) che quella non sia la nave Cunski ma la Catania, inabissata da un sommergibile tedesco durante la prima guerra mondiale. In seguito varie documentazioni del Ministero dellambiente e della Commissione bicamerale dinchiesta sulle Ecomafie presieduta da Gaetano Pecorella, hanno chiuso il caso sostenendo che quella nave non ha alcun materiale radioattivo al suo interno. Dopo questa presa di posizione per la storia della Cunski/Catania non si chiude per niente lasciando semmai pi dubbi: il caso arriva alla Commissione Europea, la Procura di Livorno apre un fascicolo e nel 2010 altri due pentiti di ndrangheta confermano le parole di Francesco Fonti. LItalia ha sempre avuto a che fare con i rifiuti tossici. Il commercio della ndrangheta avveniva con la logica criminale documentata in unintercettazione della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria: <<basta essere furbi, aspettare delle giornate di mare giusto, e chi vuoi che se ne accorga? Ma sai quanto ce ne fottiamo del mare?>>. Cera poi negli anni novanta chi assicurava la sepoltura in mare di rifiuti radioattivi con una speciale tecnica, che consisteva nellutilizzo di siluri dacciaio che si andavano ad inabissare nel fondo marino ad una profondit fino a 50 metri. Era la Odm di Giorgio Comerio, figura nebbiosa che da anni al centro di inchieste sui rifiuti

nucleari tra cui anche la vicenda, ancora senza una fine, che riguarda la morte della giornalista Ilaria Alpi e Miran Hrovatin in Somalia. Molti dei rifiuti radioattivi o materiale altamente pericoloso che arrivano in Italia provengono da vecchi armamenti in disuso. Nel 1998 la Guardia di Finanzia sequestr a Roma una barra di uranio di 250 grammi, del valore di 22 miliardi di vecchie lire. La barra, un cilindro metallico lungo 90 centimetri rivestito di acciaio, proveniva da una centrale atomica costruita in Congo e non pi in funzione dal 1972. Si scopr che una vera e propria banda criminale legata a famiglie mafiose di ndrangheta e mafia siciliana stava cercando di piazzare nove barre di uranio di quel tipo. L'operazione, sgominata dalla Guardia di Finanza anche grazie alle rivelazioni di un pentito che nellambito di uninchiesta della procura di Catania cominci a parlare di traffico di materiale radioattivo, delinea <<scenari futuri pericolosissimi per la popolazione esposta al rischio radioattivit>>. Questo fu il commento del comandante Mario Iannelli delle S.C.I.C.O. (servizio centrale di investigazione sulla criminalit organizzata) che condusse lindagine. Il centro di ricerca Enea-Trisaia di Rotondella in Basilicata un impianto di trattamento e rifabbricazione del combustibile nucleare, un materiale radioattivo che viene posto in barre allinterno di ogni reattore. Nel 1997 unindagine voluta dalla Commissione parlamentare dinchiesta sul ciclo dei rifiuti affidata al Procuratore della Repubblica Nicola Maria Pace, verific che nel centro della Trisaia cerano materiali nucleari che non risultavano registrati come da prassi, quindi gestiti fuori norma. Coinvolti nellindagine, denominata Nucleare connection, finirono numerosi ex dirigenti della Enea-Trisaia e presunti affiliati alla ndrangheta. Ma non solo: <<un altro importante risultato investigativo >> rivel Nicola Maria Pace in unintervista rilasciata anni dopo <<fu che acquisimmo atti da cui risultavano attivit di smaltimento di rifiuti industriali e radioattivi in una zona desertica del Nordafrica. Una multinazionale con sede nelle Isole Vergini smaltiva rifiuti proponendo luoghi sicuri da occhi indiscreti>>. Passano gli anni e nel 2005 Carlo Jean, presidente della SOGIN, riferisce alla Commissione parlamentare dinchiesta sul ciclo dei rifiuti che nellimpianto di Rotondella <<ci sono ancora 3,2 metri cubi di rifiuti radioattivi liquidi, di cui si dovrebbe completare la cementificazione entro il 2009. I 3,2 metri cubi sono custoditi in serbatoi di cemento barico ben protetti e organizzati, ma piuttosto vecchi poich risalgono agli anni 60>>. Secondo dichiarazioni di pentiti ed ex dipendenti della Trisaia, sarebbero pi di 100 i fusti di materiale radioattivo fatti sparire nei terreni della Basilicata. Nel 2010 il gip del tribunale di Potenza Gerardina Romaniello ha archiviato il caso. Nonostante larchiviazione, nel 2011 il Ministero della salute e lIstituto superiore della sanit eseguiranno unindagine epidemiologica nei comuni interessati da attivit nucleare per

individuare possibili livelli di incidenza tumorale nella popolazione. A Rotondella lindagine dovrebbe partire in questo mese di giugno. Secondo il rapporto 2011 di Legambiente sulle ecomafie, lanno passato nel corso delle varie inchieste fatte dalle forze dellordine, sarebbero stati sequestrati alla criminalit organizzata 2 milioni di tonnellate di rifiuti e il giro di affari dei clan impegnati nel business sarebbe di 19 miliardi di euro. Sempre nel 2010 le inchieste legate alle ecomafie sono state 29 (nessun precedente cos alto) con il coinvolgimento di 76 aziende. Sono 6 mila gli illeciti legati al ciclo dei rifiuti, circa 1 ogni 90 minuti. Nei porti italiani sono stati sequestrati pi di 11 mila tonnellate di rifiuti speciali, il 54% in pi rispetto al 2009. Le rotte maggiori si rivolgono alla Cina, Corea del Sud, India e Malesia. Le scorie nucleari, cio gli scarti del combustibile nucleare posto allinterno di un reattore, derivano dalle attivit di smaltimento delle ex centrali nucleari italiane (tra cui Caorso) e dagli impianti del ciclo del combustibile (tra cui la Trisaia di Rotondella). Oltre ai rifiuti delle ex centrali nucleari si aggiungono quelli dellindustria e quelli derivanti dalle attivit medico ospedaliere. LItalia non ha un deposito centralizzato nazionale per le scorie e i rifiuti tossici (presente in paesi come la Norvegia che non hanno centrali nucleari). Nonostante questo, il nostro Paese ha aderito ad una convenzione dellAgenzia Internazionale per lenergia atomica sostenuta dalla Comunit Europea che obbliga i Paesi firmatari alla messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi. Con una Direttiva del ministro Scajola del 2006, alla SOGIN stato affidato il compito di trasferire allestero il combustibile nucleare esaurito del nostro Paese. Un cambio di governo dopo, il ministro Bersani ha formalizzato un accordo con la Francia per il rientro in Italia (in data 2020/2025) di 235 tonnellate di combustibile nucleare. Forse accortosi della mancanza di un deposito specifico, Bersani nel 2008 ha emanato un decreto proprio per la creazione di un sito apposito. Nel 2010 il decreto stabilisce che il titolare della centrale nucleare responsabile dello smaltimento del combustibile, e in attesa dello smaltimento nel deposito nazionale (che ancora non esiste) deve provvedere allo stoccaggio temporaneo allinterno dellimpianto stesso. In Sicilia c un paese di nome Pasquasia (provincia di Enna). Fino al 1992 accoglieva la pi importante miniera per lestrazioni di Sali alcalini misti per la produzione di solfato di potassio. Dopo quella data fu chiusa. Nel 1996 lonorevole e avvocato Giuseppe Scozzari, che fu consulente giuridico degli operai in una vertenza contro lazienda gestore della miniera (lItalki), di ritorno da una conferenza sul combustibile nucleare a Washington che citava la miniera di Pasquasia come possibile sito per lo smaltimento di rifiuti radioattivi, aveva chiesto in uninterrogazione parlamentare di poter verificare le condizioni della miniera. Lacceso gli fu negato. Nel 1997 secondo analisi effettuate dalla Usl, la concentrazione di Cesio 137 (un isotopo radioattivo che si forma specialmente in un reattore nucleare a fissione, componente

fondamentale di una centrale nucleare) risultava fuori controllo e di molto superiore alla norma. Poi ci furono i pentiti. Leonardo Messina, personaggio di spicco di Cosa Nostra, raccont che fin dal 1984 nella miniera di Pasquasia cerano traffici illeciti legati a materiale radioattivo. Il suo racconto fu dichiarato attendibile dallallora Procuratore nazionale antimafia Pierluigi Vigna. Successivamente lonorevole Ugo Maria Grimaldi (assessore al Territorio e Ambiente della Regione Sicilia) entr nella miniera e denunci situazioni strane, riferendosi a numerosi pozzi chiusi e sigillati con del materiale trasportato appositamente l per tappare limboccatura dei pozzi. Uno studio epidemiologico invece rivel un incremento di casi di leucemia nei territori attorno alla miniera, fin in tutta la provincia di Enna. Luce ad oggi se ne fatta poca, fatto che recentemente partir una bonifica da 20 milioni di euro del sito minerario di Pasquasia affidata alla ditta Geomar srl dalla Regione Sicilia. Korabi Durres era una nave che nel marzo 1994 giunse al porto di Crotone proveniente da Durazzo. I controlli della Capitaneria di Porto non rivelarono irregolarit nel carico: solo rottami di rame. Due giorni dopo la nave viene fermata a Palermo, e qui vengono rilevati allinterno del carico tracce di radioattivit molto alte. Viene cos negato alla Korabi Durres di accedere al porto di Palermo. Passano altri giorni e mentre la nave di ritorno verso il porto di Durazzo, le autorit marine di Reggio Calabria la bloccano e controllano il carico. Tutto a posto. Scattano le indagini per verificare se la nave abbia effettivamente mai portato a bordo materiale radioattivo e nel caso che fine abbai fatto. Numerose Procure italiane hanno avviato inchieste senza per mai mettere una parola definitiva alla faccenda. Solo unaltra ombra. Ombre che si tingono anche di sangue, come nellinfinito caso senza giustizia per Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, uccisi in Somalia allinterno di una vicenda intricatissima che cercava di portare alla luce un traffico di rifiuti radioattivi che dallItalia arrivavano nel paese africano. Fonti di Legambiente sulla vicenda hanno anche raccontato di operai italiani e manodopera locale che, convinti di fare semplicemente un lavoro pulito e onesto, interravano materiale che altro non era che tossico. Il traffico illecito negli anni sembra poi essersi spostato in molte altre zone dellAfrica, come il Mozambico. Uninchiesta della Procura Distrettuale antimafia di Milano nel 1996 aveva rivelato come in Mozambico ci fosse una societ specializzata nellistallazione di impianti per lo smaltimento di rifiuti di ogni genere, che pur avendo tutti i permessi e le carte burocratiche in regola, lavorava in discariche a cielo aperto. <<Come un virus, con diverse modalit di trasmissione e una micidiale capacit di contagio>>. Enrico Fontana, responsabile dellOsservatorio ambiente e legalit di Legambiente, ha definito cos il business che la mafia, in particolare la ndrangheta, produce con i rifiuti e con altri illeciti ambientali. Il monito pi accorato arriva dal Procuratore aggiunto del Tribunale di Reggio

Calabria Nicola Gratteri: <<la ndrangheta non ha alcuna morale e se ci sono i soldi in una attivit non avr problemi a farsi coinvolgere, anche con i rifiuti nucleari>>.

(parte 1) http://www.youtube.com/watch?v=wRJVF2Z5rNE&feature=related (parte 2) http://www.youtube.com/watch?v=T9bhUU2KLnQ&feature=related www.casadellalegalita.org www.italiaterranostra.it

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