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Saverio Torcasio

LA POLITICA  AGRICOLA COMUNE


TRA REVISIONI E RIFORME.
IL RUOLO DELL’ITALIA
(1975-2000)

Volume 2: 1983-1988

Roma, aprile 2022


Sommario

La politica agricola 1982-83 4


1. I mercati agricoli internazionali 4
- La flessione del commercio internazionale dei prodotti agricoli 4
- I crescenti squilibri tra domanda e offerta dei prodotti agricoli 8
- Gli adattamenti delle politiche agricole alla nuova realtà dei
mercati internazionali: 12
- Misure di politica commerciale 12
- Limitazione della produzione 16
- Alla ricerca di soluzioni negoziali ai problemi degli scambi
agricoli: la riunione ministeriale Gatt del novembre 1982 21
- Il confronto Ce-Usa sui problemi agricoli: dalla distensione
alla guerra commerciale 26
2. La politica agricola comune 32
- Il difficile equilibrio tra sostegno dei redditi agricoli, limitazione
delle eccedenze e controllo della spesa 32

La politica agricola 1983-84 36


La riforma della politica agricola comune 36
- I presupposti economici e politici 36
- Il mandato del Consiglio europeo di Stoccarda 40
- Le proposte di riforma della Commissione 44
- La preparazione del vertice di Atene 49
- La proposta relativa all’introduzione di quote di produzione
nel settore del latte 52
- Il fallimento del vertice di Atene 57
- Dalle ceneri di Atene all’apoteosi di Fontainebleau 61
- I contenuti della “riforma” 66

La politica agricola 1984-85 75


1. Quote latte: anno primo 75
1.1. Le pressioni per svuotare di contenuto il regime delle quote 75
1.2. Gli adattamenti apportati al regime di base 77
1.3. L’applicazione delle “quote latte” nel nostro paese 79
2. Il settore vitivinicolo 81
2.1. Il crescente squilibrio nel settore del vino 81
2.2. La necessità di una nuova riforma del mercato vitivinicolo 82
2.3. Le terapie proposte e le prime discussioni in seno al Consiglio 84
2.4. L’accordo di Dublino e il varo della nuova riforma 87
3. La riforma della politica delle strutture agrarie 89
3.1. Il deludente bilancio della politica strutturale 89
3.2. Gli obiettivi della nuova politica strutturale 93
3.3. I negoziati in seno al Consiglio e le decisioni assunte 94
3.4. Finanziamento della politica strutturale 96
4. I programmi integrati mediterranei (Pim) 98
4.1. I presupposti economici e politici 98
4.2. Le proposte iniziali della Commissione 101
4.3. I Pim nell’impasse decisionale 104
4.4. I Pim: una gestazione difficile 107

3
5. La fissazione dei prezzi agricoli per
la campagna 1985-86 110
5.1. La carenza decisionale del Consiglio 110
5.2. Le proposte della Commissione 113
5.3. Le discussioni in seno al Consiglio 117
5.4. Le decisioni del 16 maggio e le misure adottate dalla
Commissione nel settore dei cereali e della colza 121

La politica agricola 1985-86 125


1. Il libro verde della Commissione sul futuro
della politica agricola comune 125
1.1. La genesi del Libro verde 125
1.2. I contenuti della nuova proposta della Commissione 129
1.3. Le consultazioni sul Libro verde 138
1.4. La posizione delle organizzazioni agricole italiane
sul Libro verde 146
2. Gli orientamenti della Commissione sulla
riforma della Pac 148
2.1. I memorandum esplorativi 148
2.2. Orientamenti generali per l’adattamento della Pac 150
2.3. La riforma della politica cerealicola 153
2.4. La riforma dell’organizzazione di mercato delle carni bovine 154
3. Gli sviluppi della Pac dopo la presentazione
del Libro verde 156
3.1. Le proposte “prezzi” e “misure connesse” per la
campagna 1986/1987 156
3.2. Le discussioni in seno al Consiglio comunitario
e le decisioni assunte 162

La politica agricola 1986-87 172


1. Il contesto internazionale 172
1.1. La crisi dei mercati agricoli mondiali 172
- Dalla penuria all’eccedenza 172
- L’accumulazione degli stocks e il crollo dei
corsi mondiali 173
1.2. L’aggiustamento delle politiche agricole 175
- La necessità di un controllo dell’offerta agricola
- Gli strumenti messi in atto 177
1.3. Il contenzioso Ce-Usa 180
- Il contenzioso sull’ampliamento della Comunità 180
- Il contenzioso agrumi-paste alimentari 182

4
2. Lo scenario comunitario 184
2.1. La riforma della politica agricola comune e il Piano Delors 184
- I motivi ispiratori della riforma 184
- La riforma come condizione di successo dell’Atto unico 186
2.2. L’accordo del 16 dicembre 1986 sul latte e la carne bovina 189
- L’importanza politica dell’accordo
- Le restrizioni nel settore lattiero-caseario 190
- La riforma dell’organizzazione di mercato della carne bovina 194
2.3. I prezzi agricoli e le misure connesse per la campagna 1987-88 196
- Le proposte della Commissione 196
- Le reazioni e le discussioni a livello comunitario e nazionale 200
- L’accordo del 30 giugno 1987 203
3. La politica agricola italiana 207
3.1. La messa in atto del Piano agricolo nazionale 207
3.2. Il decollo del “Progetto aquila” per l’agroindustria 210

La politica agricola 1987-1988 214


1. Il contesto internazionale 214
1.1. La siccità nel continente nordamericano e le sue conseguenze 214
- L’inversione dei mercati agricoli mondiali 214
- Le conseguenze sulla politica agricola degli Stati Uniti 216
- L’incidenza della siccità americana sulla Pac 218
1.2. L’agricoltura nel contesto dell’”Uruguay Round” 221
- Crisi dei mercati e liberalizzazione degli scambi agricoli 221
- Le posizioni dei principali attori 223
2. Il contesto comunitario 229
2.1. La riforma della Pac e gli sviluppi del Piano Delors 229
2.2. Gli stabilizzatori finanziari 233
- Le misure in atto e le proposte supplementari di
”corresponsabilizzazione” dei produttori 233
- l negoziati in seno al Consiglio 235
- Le decisioni assunte e le reazioni in Italia 238
2.3. Il ritiro delle terre agricole dalla produzione 241
- Pagare gli agricoltori per non produrre? 241
- Le reticenze della Commissione 242
- Le pressioni politiche e la rapidità dell’accordo 243
2.4. La fissazione dei prezzi agricoli per la campagna 1988-89 245
- Le caratteristiche e il contesto politico del negoziato prezzi 245
- Le decisioni assunte 247
- ll nodo agromonetario 249

5
6
VIII

LA POLITICA AGRICOLA 1982-1983*

I mercati agricoli internazionali

La 'flessione del commercio internazionale di prodotti agrico-


li. - Niente forse esprime meglio la realtà dei mercati agricoli
mondiali in questo primo scordo degli anni ottanta della drastica
inversione di rendenza verificatasi nel 1981, e più ancora nel
1982, nel trend di sviluppo degli scambi internazionali di prodot-
ti agricoli.
Il valore (in dollari) delle esportazioni agricole a livello mon-
diale, che era aumentato mediamente del 17% all'anno nel corso
degli anni settanta, è diminuito infatti di oltre il 2% nel 1981
e di circa il 7% nel 1982 1 • :È vero che questa contrazione è do-
vuta in parte all'apprezzamento del dollaro nei confronti della
quasi totalità delle altre monete in questi ultimi anni. Resta tut-
tavia il fatto che anche l'evoluzione in volume degli scambi inter-
nazionali ha subito nel 1982 un brusco arresto dopo anni di con-
tinua e consistente espansione (v. tab. 1). Nell'insieme, infatti, le
esportazioni di prodotti agricoli sono rimaste stazionarie nel 1982,
mentte erano aumentate annualmente del 4% nel corso degli anni
settanta e del 7% nel periodo 1977-80.
E soprattutto nel settore cerealicolo, ed in particolare in quello
dei cereali destinati all'alimentazione animale, che la contrazione
degli scambi è stata più marcata. Le esportazioni totali di cereali
sono infatti diminuite nel 1982 del 5,5% in volume e di oltre il
18% in valore, essendo i valori unitari all'esportazione diminuiti
di quasi il 13 % .
Gli effetti negativi della contrazione degli scambi mondiali di
prodotti agricoli sono stati pesantemente avvertiti nei grandi pae-
si esportatori (Stati Uniti, Ce, Canada, ecc.) che avevano benefi-
ciato nel corso degli anni settanta di una vistosa espansione dei
mercati di sbocco. Negli Stati Uniti in particolare, dove le espor-
tazioni rappresentano circa un quinto delle esportazioni totali,

' Cfr. GAn, Le commerce international en 1982-83, Gi.J1evra 1983.

* In IAI, “L’Italia nella politica internazionale (1982-1983)”, Edizioni


di Comunità, Milano, 1985

7
Tabella 1. Esportazioni e produzione mondiale di prodotti agricoli (indice 1963 === 100)

1963 1973 1974 1975 1976 1977 1978 1979 1980 1981 1982
Esportazioni mondiali

8
Valore (miliardi di dollari) 45 121 148 150 166 188 213 262 299 292 272
Valore unitario 100 185 235 225 230 255 262 300 330 314 292
Volume 100 147 142 149 163 166 183 196 203 209 209

Produzione mondiale
Volume 100 128 130 134 137 139 145 146 146 152 154

Fonte: GATT, Le commerce international, cit.


nella campagna 1981-82, per la prima volta dall'inizio degli anni
settanta, le esportazioni di prodotti agricoli sono diminuite tanto
in valore (- 1O, 7 % rispetto alla campagna precedente) che in
volume (- 2,5%). Tale flessione si è peraltro ancor più accen-
tuata durante la successiva campagna, malgrado la messa a dispo-
sizione da parte del governo di ingenti risorse :finanziarie per la
concessione di crediti agevolati all'esportazione. Nella campagna
1982-83, in effetti, le esportazioni agricole degli Stati Uniti sono
diminuite dell'll % in valore e dell'8% in volume. Parallelamen-
te, il saldo positivo della bilancia commerciale agricola americana,
che aveva raggiunto i 27 miliardi di dollari di attivo nella cam-
pagna 1980-81, si è ridotto di un terzo in appena due anni, scen-
dendo sui 18 miliardi di dollari alla fìne della campagna 1982-83.
Anche se negli Stati Uniti si è manifestata per qualche tempo
la tendenza ad attribuire in gran parte ai paesi concorrenti - ed
in particolare alla Ce, che sovvenzionerebbe oltre misura le pro-
prie esportazioni agricole - la causa principale di tali difficoltà 2,
è un fatto che la contrazione degli scambi mondiali ha colpito
in diversa misura anche altri grandi paesi esportatori.
Nella Ce, in particolare, le esportazioni agricole, dopo essere
aumentate mediamente del 17% .all'anno, tra il 1973 e il 1981,
sono diminuite quasi del 2% in valore nel 1982, e non migliori
risultati si sarebbero registrati nel 1983.
Benché il Canada, secondo esportatore di frumento, grazie so-
prattutto ad una politica di contratti bilaterali a lungo termine
con alcuni dei principali paesi importatori (Urss, Cina, Repubbli-
ca democratica tedesca, Algeria, Brasile), sia riuscito in parte a
schivare l'effetto negativo della contrazione degli scambi mondia-
li sulle esportazioni di prodotti agricoli, tuttavia, nel 1982, an-
ch'esso ha dovuto accontentarsi di un modesto incremento delle
proprie esportazioni (intorno al 2% ), al confronto di un incre-
mento di circa il 24% nel 1980 e del 13% nel 1981.
Secondo fonti Fao, le esportazioni agricole nel 1982 sarebbero
peraltro diminuite fortemente anche nei paesi in via di sviluppo,
causando una contrazione delle entrate di valuta di circa 8,5
miliardi di dollari, pari al 70% dell'attuale apporto complessivo

2
Cfr. L'Italia nella politica internazionale 1980-1981 , p. 383 ss., nonché
paragrafi seguenti di questo stesso capitolo.

9
Tabella 2. Produzione e stocks di fine campagna per alcuni prodotti agricoli (milioni di to1111ellate)

1975-76 1976-77 1977-78 1978-79 1979-80 1980-81 1931-82 1982-oJ


- - - - - - - - - -- - ---------- - - ----------- -------------------
Cereali (riso compreso)
Produzione mondiale" 1.372 1.481 1.472 1.602 1.555 1.566 1.652 1.703
di cui:
Paesi sviluppati 690 783 773 854 805 796 841 875
Paesi in via di sviluppo 682 698 699 748 750 770 811 828
Stocks mondiali 191 249 242 277 258 237 279 322
di cui:
Paesi sviluppati 102 148 147 178 157 135 176 217
Paesi in via di sviluppo 89 101 95 99 101 102 103 105

10
Zucchero raffùzato
Produzione mondiale• 76,9 80.2 85,5 91,7 90,6 84,0 87,1 100,3
Stocks mondiali 20,5 25,2 29,9 31,1 25,2 24,5 32J 37,9

Latte
Prnduzione mondiale• 429,6 438,4 450,8 457,5 465,0 469,5 471,4 483,3
Stocks nei paesi dell'Ocse•
(migliaia di tonnellate):
Burro 360 410 500 620 730 630 460 420
Latte in polvere 1.140 2.080 1.600 1.340 l.090 700 770 l.010

fonti: FAO, Food Outlook 1983 Statistica! Suppli:ment, marzo 1984, e 0CDE , Examen de.r politiqucs agricoles dans lt:s
pays mernbres de l'Ocde: 1980-82, Parigi, 8 giugno 1983.
• Anni di calendario 1975, 1976, ecc.
• Al I O aprile degli anni di calendario 1975, 1976, ecc.
degli aiuti esterni allo sviluppo del settore agricolo 3 •
A frenare l'espansione della domanda mondiale di prodotti agri-
coli ha indubbiamente contribuito la recessione che ha interessato
l'economia mondiale negli ultimi anni. Da una parte infatti, come
si discute in altri capitoli di questo annuario, essa ha rallentato, o
addirittura invertito, l'espansione dei consumi privati nei paesi
sviluppati; dall'altra ha aggravato la posizione debitoria in cui si
trova la maggior parte dei paesi in via di sviluppo e ha quindi
drasticamente limitato le loro possibilità di accedere ai mercati
mondiali dei prodotti agricoli. A ciò si aggiunga anche il fatto che,
grazie ai buoni raccolti conseguiti da molti paesi importatori (ad
esempio Unione Sovietica, Estremo Oriente, ecc.), il loro fabbi-
sogno d'importazione è stato, in particolare nel 1982, più conte-
nuto del solito, soprattutto per quanto riguarda il settore dei
cereali.

I crescenti squilibri tra domanda e offerta dei prodotti agrico-


li. - La contrazione della domanda di prodotti agricoli e la paral-
lela flessione degli scambi mondiali hanno peraltro coinciso con
un sensibile incremento della produzione agricola soprattutto nei
grandi paesi produttori e in alcuni settori, come quelli cerealicolo,
dello zucchero e dei prodotti lattiero-caseari, già afflitti da proble-
mi di collocamento e di sbocco (v. tab. 2).
La produzione mondiale di cereali è infatti cresciuta del 5 ,5 %
nel 1981 e di oltre il 3% nel 1982; que11a di frumento, in par-
ticolare, è aumentata rispettivamente dell'l,7% e del 7%, men-
tre quella di cereali secondari è cresciuta del 9,3% nel 1981 e
dell'l % nel 1982. Ancora più consistente è stato l'incremento
della produzione mondiale di zucchero, che è passata da 84 a ol-
tre 100 milioni di tonnellate tra il 1980 e il 1982 (circa il 20%
in più in due anni), allorché il consumo aumentava nel frattem-
po di appena 3 ,2 milioni di tonnellate (pari al 3 ,5 % ), passando
da 89 ,4 a 92,6 milioni di tonnellate. Altro settore che ha regi-
strato in questi ultimi anni una consistente espansione, soprat-
tutto nella Comunità europea, che rappresenta da sola un quarto
della produzione mondiale, è quello del latte; un prodotto, que-

3
Cfr. FAo, La situation mondiale de l'alìmentation et de l'agriculture, 1983,
.=:.orna, ottobre 1983.

11
Tabella 3. Prezzi all'esportazione di taluni prodolti agricoli (1975-83; indice 1975 = 100)
1983
1975 1976 1977 1978 1979 1980 1981 1982
I quadrimestre II quadrimestre

12
Prodotti alimentari 100 104 120 122 137 156 139 123 118 122
di cui:
Frumento 110 85 64 76 95 106 107 96 95 99
Mais 100 102 113 145 176 210 194 182 172 179
Carne bovina 100 105 114 145 178 178 162 152 145 136
Burro 100 103 116 141 163 186 172 165 156 157
Semi oleosi 100 98 120 127 145 130 125 103 96 106
Caffè 100 200 350 228 242 239 192 187 185 183

Fonte: GATl', Le commerce international, cit.


sto che allo stato fresco non ha praticamente un mercato mon-
diale e che. sotto forma di burro o di latte in polvere non ha che
una ben modesta domanda commerciale al di fuori dei paesi di
produzione.
Vero è che circostanze climatiche particolari dell'annata 1983
hanno provocato una contrazione della produzione agricola mon-
diale di circa 1'1%, .allorché questa era aumentata del 3,5% nel
1981 e del 2,5% nel 1982. Al di là, tuttavia, delle fluttuazioni
annuali dovute alle vicende climatiche, la situazione generale dei
mercati internazionali per la maggior parte dei prodotti agricoli
nella prima metà del 1983 restava ancora caratterizzata, come ne-
gli ultimi anni, dalla sovrabbondanza dell'offerta sulla domanda
solvibile.
Questa situazione di crescente squilibrio tra una produzione
agricola mondiale in piena espansione e una domanda particolar-
mente debole quando non addirittura in regresso, tanto nei paesi
sviluppati che in quelli ip via di sviluppo, ha avuto due conse-
guenze dirette:
- Da una parte, l'accumularsi di stocks sempre più imponenti
nei principali paesi produttori. Nel settore dei cereali, in parti-
colare, gli stocks mondiali di fine campagna sono cresciuti da 237
a 322 milioni di tonnellate tra il 1981 e il 1983 (+35,5%),
passando dal 16% al 21 % del consumo mondiale, un livello, que-
st'ultimo, mai raggiunto in precedenza. Tuttavia la metà di que-
sti stocks, in gran parte rappresentati da cercali destìnati all'ali-
mentazione animale, restano concentrati nel Nord America ed un
altro quinto negli altri paesi sviluppati; una situazione, questa,
che induceva il direttore generale della Fao, Edouard Saouma, a
parlare di « una nuova forma di paradosso secolare: la persisten-
za della fame nel mezzo di un'apparente abbondanza » 4 •
- Dall'altra, la flessione dei corsi internazionali di molte der-
rate agricole espressi in dollari (v. tab. 3), risultante dall'eccessiva
espansione delI'o:fferta, da una parte, e dalla sensibile rivalutazio-
ne del dollaro, dall'altra. ·
Questa situazione globalmente eccedentaria anche se spesso re-
gionalmente defìcitaria, non è certo una novità degli anni ottanta.

4
FAO, la situation mondiale de l'alimentation et de l'agriculture, 1982, Roma
1983.

13
A giudizio, tuttavia, degli esperti dell'Ocse essa presenta quanto
meno due caratteristiche che la differenziano nettamente dalle si-
tuazioni analoghe riscontratesi nel passato 5 :
- Anzitutto si tratta di una situazione pressoché generale d'ec-
cedenza per la maggior parte dei prodotti agricoli, che si è estesa
a un più gran numero di paesi. Anche quelli che sono ancora de-
ficitari hanno, nel frattempo, aumentato il loro livello di produ-
zione, e questo riduce conseguentemente la possibilità di sbocco
dei paesi esportatori.
- In secondo luogo, le eccedenze sono diventate strutturali in
quanto, a parte le fluttuazioni annuali, la tendenza al continuo mi-
glioramento delle rese e della produttività, da una parte, e le mo-
dificazioni nelle abitudini di consumo e lo sviluppo di prodotti di
sostituzione, dall'altra, conducono ad una situazione di persisten-
te squilibrio tra la domanda e l'offerta dei principali prodotti
agricoli della zona temperata.
Certo, ci si può legittimamente chiedere che senso ha parlare
di eccedenze strutturali agricolo-alimentari in un mondo in cui al-
meno 4 50 milioni di individui soffrono la fame e un miliardo la
malnutrizione. È difficile, tuttavia, dar torto agli esperti dell'Ocse
allorché essi scrivono che « non è certo dal lato della domanda
che ci si può attendere una contrazione durevole di tali squili-
bri » 6 Da una parte, infatti, nei paesi sviluppati i consumi ali-
mentari ristagnano da molto tempo, sia per il grado di saturazio-
ne fisiologica a cui sono giunti, sia per il rallentamento della cre-
scita demografica osservato nell'ultimo decennio, e non è dunque
ipotizzabile una consistente ripresa, benché l'alimentazione anima-
le offra ancora un leggero margine di crescita dei consumi. Dal-
l'altra, nei paesi in via di sviluppo la domanda solvibile resta
oberata, come abbiamo detto, dalle difficoltà finanziarie che la
maggior parte di essi incontrano per far fronte agli oneri derivan-
ti dall'enorme debito esterno accumulato in questi anni. Anche in
questo caso, è difficile perciò prevedere che, almeno nel medio
periodo, essi potranno assorbire in maniera significativa le ecce-
denze agricole disponibili sul mercato.
Quanto ai paesi ad economia pianificata (in particolare Unione

' OcoE, Rapport du Comité de l'agriculture rnr !es perspectives des politi-
ques et des marchés agricoles, Parigi 1984.
• Ibidem.

14
Sovietica e Cina), che pure hanno rappresentato nell'ultimo decen-
nio l'elemento più rilevante nella dinamica della domanda mon-
diale di prodotti agricoli, da una parte, è nota l'aleatorietà dei lo-
ro fabbisogni d'importazione, che ha contribuito in questi anni
ad aggravare l'instabilità dei prezzi e dei mercati internazionali
dei prodotti agricoli; dall'altra, non bisogna dimenticare che an-
che per essi esistono vincoli finanziari che limitano le loro capa-
cità di acquisto in divise convertibili.
Per questo insieme di fattori non solo, come abbiamo visto, il
ritmo di crescita degli scambi agricoli ha subito negli ultimi anni
una drastica interruzione, ma pochi si azzardano a pronosticare
una loro consistente ripresa nei prossimi anni. Come accade pe-
raltro spesso in tempi di crisi, la concorrenza tra i principali paesi
esportatori sui mercati mondiali si è fatta in questi ultimi anni
sempre più aspra, accentuando così la flessione dei prezzi delle
derrate agricole sui mercati internazionali - scesi al loro livello
più basso, in termini reali, dall'inizio degli anni cinquanta - e
contribuendo ad aggravare i problemi di reddito dei produttori
agricoli, già sottoposti per altro verso agli effetti negativi dell'in-
flazione sui costi di produzione.

Gli adattamenti delle politiche agricole alla nuova realtà dei


mercati internazionali. - Di fronte alla scarsa tenuta della doman-
da mondiale e all'aggravarsi degli squilibri tra domanda e offerta
per molti prodotti agricoli, la maggior parte dei governi nei prin-
cipali paesi produttori è stata indotta in questi ultimi anni ad as-
sumere nuove iniziative di politica commerciale per stimolare le
proprie esportazioni (o limitare le importazioni di prodotti con-
correnti) e ad adattare le rispettive politiche agricole al fìne di
limitare l'espansione incontrollata dell'offerta agricola e assicu-
rare un migliore equilibrio dei mercati.

Misure di politica commerciale. - Nell'ambito delle misure di


politica commerciale un posto di rilievo hanno assunto negli ulti-
mi anni, soprattutto nel commercio mondiale cerealicolo, gli ac-
cordi bilaterali pluriennali tra paesi fornitori e paesi importa-
tori 7 • Un notevole impulso in tale direzione è certamente derivato
7
Cfr. F. GUARNIERI, Il crescente rilievo degli accordi bilaterali nel commercio
cerealicolo mondiale, « Materie prime», n. 3, settembre 1983.

15
dal fallimento dell'embargo americano sulle esportazioni cerealico-
le all'Unione Sovietica 8 e dalla sagace reazione di quest'ultima a
tale misura. Perseguendo una tattica di diversificazione delle pro-
prie fonti di approvvigionamento corrente i sovietici avevano in-
fatti provveduto a rinnovare e rinforzare via via gli accordi bila-
ter.ali già esistenti con gli abituali paesi fornitori e a concludere
altri accordi bilaterali con nuovi partners. Essi si erano invece
mostrati non troppo interessati a rinnovare rapidamente l'accordo
con gli Usa, che scadeva nel settembre 1981, e che è stato di fat-
to prorogato per altri due anni 9 • Gli Stati Uniti si sono così tro-
vati nella necessità di collocare su altri mercati di sbocco una par-
te delle esportazioni cerealicole che essi contavano di vendere al-
l'Unione Sovietica, anche se avrebbero preferito stringere nuovi
accordi con altri grandi paesi importatori. È così che nell'ottobre
1980 gli Stati Uniti hanno concluso un importante accordo qua-
driennale con la Cina, per la fornitura da 6 a 9 milioni di tonnel-
late di frumento e mais (quest'ultimo per il 15-20 % del totale).
Anche il Canada, come abbiamo già detto, ha concluso e rin-
novato numerosi accordi bilaterali con diversi paesi importatori.
A questo strumento di politica commerciale hanno peraltro sem-
pre più fatto ricorso negli ultimi anni altri paesi esportatori, come
l'Australia, l'Argentina, la Nuova Zelanda e perfino l'India, non-
ché vari paesi importatori, come ad esempio i paesi arabi e quelli
del bacino mediterraneo: i primi desiderosi <li poter programma-
re a medio e a lungo termine le proprie forniture cerealicole, i se-
condi di poter contare su fonti di approvvigionamento sicure e su
condizioni di pagamento in genere più vantaggiose di quelle del
mercato libero. Secondo un'indagine del Gatt 10 , nel 1982 erano
in vigore circa 50 accordi bilaterali a livello mondiale, di cui circa
la metà riguardavano prodotti agricoli 11 •

' Cfr. L'Italia nella politica internazionale 1981-1982, p . 345 ss .


• L'accordo è stato, in effetti, rinnovato dopo lunghi negoziati nel luglio
1983. Il nuovo accordo, cli durata quinquennale, prevede l'esportazione nell'U-
nione Sovietica di un quantitativo globale di almeno nove milioni di tonnellate
all'anno di frumento e di mais, contro i sci milioni di tonnellate dell'accordo
prcèedente.
10
GATT, « Faits nouveaux de politique commerciale », n . 17, Ginevra, gen-
naio-marzo 1983.
11
Nel complesso, si stima che nel corso del 1982 l'insieme degli scambi ef-
fettuati nel quadro di accordi bilaterali abbia superato i 30 milioni di tonnellate,
pari al 16% delle quantità totali di frumento e di cereali foraggeri oggetto di
transazioni commerciali. Cfr. « Foreign Agriculture », maggio 1983.

16
Quanto alla Comunità europea, vale la pena di ricordare che la
Commissione, consapevole dei vantaggi che questo strumento of-
fre ad entrambe le parti in causa e del rischio di perdita di taluni
mercati tradizionali di sbocco che la Comunità corre a vantaggio
dei propri concorrenti, ha presentato nel luglio 1981 una comuni-
cazione al Consiglio mirante a rinforzare la politica commerciale
comune mediante la conclusione di accordi-quadro a carattere
pluriennale per la fornitura di prodotti agricoli ai paesi terzi inte-
ressati l2_
A questo documento di orientamento ha, peraltro, fatto segui-
to, il 10 marzo 1982 u, una richiesta formale di mandato per la
negoziazione di accordi-quadro relativi alla fornitura di taluni pro-
dotti agricoli (in particolare cereali) all'Algeria, all'Egitto, al Ma-
rocco e alla Tunisia, che si erano dimostrati interessati a questo
tipo di accordo con la Comunità europea.
Va tuttavia osservato che, a parte l'appoggio incondizionato
della Francia, questa proposta ha avuto finora scarso successo in
seno al Consiglio: da una parte, per la preoccupazione espressa
da talune delegazioni del Nord Europa <li fornire, con questo
strumento, un incentivo alla produzione e quindi alla formazio-
ne di nuove eccedenze; dall'altra, per una sede di ragioni più tec-
niche attinenti soprattutto ai rischi di discriminazione tra stati
membri nella partecipazione a questi contratti e al fatto che, nelle
attuali condizioni, la Ce non sarebbe in grado di offrire ai paesi
:firmatari di tali accordi tutte le facilitazioni che essi richiedono
(in termini di condizioni di pagamento, facilità di credito, ccc.).
Senza voler entrare nel merito di queste argomentazioni, alcune
delle quali pongono problemi piuttosto seri che andrebbero in-
dubbiamente risolti in via pregiudiziale, è il caso comunque di ri-
levare che, mentre in seno al Consiglio i dibattiti a questo riguar-
do si protraevano stancamente, gli Stati Uniti dal canto loro, co-
me meglio vedremo in seguito, riuscivano ad aJlacciare con molti
paesi del bacino mediterraneo stretti rapporti commerciali, con-
cludendo con alcuni di essi accordi che, se appaiono soprattutto
vantaggiosi per i paesi beneficiari, hanno offerto tuttavia agli Sta-
ti Uniti la possibilità di inserirsi in un'area commerciale con cui
la Comunità ha sempre avuto un rapporto privilegiato.
" Com (81) 429 def. del 24 luglio 1981.
u Com (82) 73 def. del 10 marzo 1982.

17
Parlando, tuttavia, di politica commerciale della Comunità eu-
ropea nel settore degli scambi agricoli, non va dimenticato che il
principale strumento di cui essa si avvale, quello delle « restitu-
zioni all'esportazione », è autorizzato, o piuttosto « tollerato», in
sede Gatt, nella misura in cui non consente al paese che vi ricorre
di assicurarsi una parte « più che equa » del mercato mondiale;
in altri termini, di accrescere in maniera signifìcativa l'incidenza
delle proprie esportazioni sul totale mondiale. Questo spiega forse
perché la Comunità non dia in genere prova di particolare « ag-
gressività » nella sua politica commerciale, anche se le sue « per-
formances » sui mercati mondiali dei prodotti agricoli si sono man-
tenute in questi anni su livelli tutt'altro che insoddisfacenti. Ciò
spiega, in parte, anche perché essa abbia piuttosto cercato, in
questi ultimi anni, di promuovere l'utilizzazione interna dei cerea-
li comunitari, in particolare nell'alimentazione animale, piuttosto
che lanciarsi alla conquista di nuovi mercati esterni, operazione,
questa, divenuta sempre più difficile e costosa in un contesto in-
ternazionale qual è quello che siamo venuti delineando.
Più che con incentivi finanziari all'uso dei cereali comunitari,
questo obiettivo è stato perseguito mediante la riduzione progres-
siva (in termini reali e non nominali) dei prezzi dei cereali comu-
nitari onde renderli più competitivi rispetto a quelli dei princi-
pali prodotti concorrenti (manioca, crusca, glutine di mais, ecc.)
e nella contemporanea ricerca di accordi bilaterali con i principali
paesi fornitori che garantissero una stabilizzazione delle importa-
zioni di questi prodotti nella Comunità 14 • In quest'ottica, gli in-
crementi dei prezzi di sostegno accordati negli ultimi anni ai ce-
reali comunitari sono stati, in genere, inferiori alla media (ad
esempio, per l'orzo e la segale rispettivamente + 4,8% e + 2%
per la campagna 1983-84, rispetto ad un aumento medio del
6,9 ). La Comunità ha inoltre concluso negli ultimi anni una
serie di accordi di autolimitazione con i paesi terzi fornitori di
manioca, in particolare Thailandia, Indonesia, Brasile, e si è ac-
cinta a negoziare in seno al Gatt, in cambio di adeguate compen-
sazioni, la revisione delle concessioni tariffarie a suo tempo ac-
14
Occorre a questo proposito, ricordarsi che le importazioni comunitarie di
surrogati dei cereali sono rapidamente cresciute negli ultimi anni (da 6,2 a 17,6
milioni di tonnellate tra il 1974 e il 1982) grazie al basso livello di protezione
esterna della Ce, che dal punto di vista del prezzo li avvantaggia nell'alimentazio-
ne animale rispetto ai cereali comunitari.

18
cordate agli Stati Uniti per l'importazione di « corn-gluten-feed »
e di altri sottoprodotti dell'industria del mais, sempre più impie-
gati per l'alimentazione animale nella Comunità, con l'obiettivo
di pervenire alla loro stabilizzazione nel tempo.
È invece proprio mediante il rafforzamento delle misure di so-
stegno delle esportazioni, ed in particolare delle facilità creditizie
e di pagamento accordate agli acquirenti, che la politica commer-
ciale di molti paesi esportatori, Stati Uniti in primo luogo, ha cer-
cato di far fronte alla nuova situazione dei mercati internazionali.
L'Agriculture and Food Act, entrato in vigore alla fine del 1981,
contiene ad esempio numerose disposizioni intese a promuovere
le esportazioni agricole degli Stati Uniti 15 • Esso autorizza, in par-
ticolare, la creazione di un fondo destinato a permettere alla Com-
modity Credit Corporation (un fondo federale analogo al Feoga-
garanzia) di finanziare, mediante crediti all'esportazione, la vendi-
ta all'estero di prodotti agricoli americani e a creare facilità d'im-
portazione nei paesi terzi. Gli Stati Uniti hanno inoltre annun-
ciato, il 20 ottobre 1982, un programma triennale di crediti misti
( <~ blended credits »), consistenti in crediti all'esportazione conces-
si direttamente dallo stato e senza interessi, combinati con credi-
ti bancari garantiti dallo stato, che consentono di abbassare note-
volmente il tasso di interesse applicabile agli acquisti dei clienti
stranieri: a questo fìne, 1,5 miliardi di dollari sono stati inizial-
mente messi a disposizione dallo stato; 1'11 gennaio 1983 il pre-
sidente Reagan ha tuttavia annunciato che questo programma sa-
rebbe stato aumentato di 250 milioni di dollari. A partire dal 1"
gennaio 1983, d'altra parte, l'Eximbank ha dovuto estendere la
copertura delle sue garanzie, al fìne di garantire il finanziamento
delle vendite all'estero realizzate dalle cooperative agricole degli
Stati Uniti.
In questo contesto, anche altri paesi esportatori (Canada, Au-
stralia, Nuova Zelanda, ecc.) hanno assunto iniziative a sostegno
delle proprie esportazioni 16 •

Limitazione della produzione. - Tuttavia è soprattutto agendo


sull'offerta agricola, al fìne di limitare l'espansione della produ-

' Cfr. OcnE, Examen des politiques agricoles dans les pays membres de
1

l'Ocde: 1980-1982, Parigi, 24 febbraio 1983.


,. Ibidem.

19
zione o di ricondurla su livelli più contenuti, che la maggior par-
te dei governi ha cercato di ristabilire in questi ultimi anni un
migliore equilibrio dei mercati agricoli, ricorrendo ad una panoplia
di misure che si possono, comunque, inquadrare in tre categorie
distinte, ma suscettibili di essere combinate tra loro: riduzione,
in termini reali, dei prezzi garantiti ai produttori, introduzione
di contingenti di produzione, incentivi all'abbandono della pro-
duzione.
La manovra dei prezzi di sostegno dei prodotti agricoli per
orientare la produzione in senso espansivo o riduttivo costituisce
da sempre il più importante strumento di regolazione dell'offerta
agricola previsto nell'ambito della politica agricola comune, che
assicura prezzi garantiti al produttore per oltre i due terzi del
valore della produzione agricola finale della Comunità. Più che a
limitare l'espansione delle produzioni eccedentarie, esso è tutta-
via servito finora a differenziare, mediante una modulazione degli
incrementi di prezzo annualmente accordati ai produttori, il so-
stegno dei prezzi alle diverse produzioni in funzione delle rispet-
tive situazioni di mercato o degli obiettivi di politica agricola
perseguiti. Il ricorso indiscriminato a questo strumento per ri-
durre le eccedenze nella Comunità si scontrerebbe, peraltro, con
gli obiettivi di miglioramento del reddito agricolo che l'art. 39
del Trattato Ce fissa alla politica agricola comune. Ciò non toglie,
comunque, che nel corso degli ultimi vent'anni la manovra dei
prezzi garantiti abbia finito anche per disincentivare uno sviluppo
eccessivo di certe produzioni, se non a ridurne il livello produttivo.
Allorché, tuttavia, soprattutto a partire dalla fine degli anni set-
tanta, il grado di autoapprovvigionamento della Comunità ha sfon-
dato, per alcuni prodotti, i limiti di ogni ragionevole possibilità
di collocamento delle eccedenze sui mercati interni e internazio-
nali, e allorché i relativi oneri di bilancio per lo smaltimento di
tali eccedenze sono diventati del tutto insostenibili per le finanze
comunitarie, è apparso indispensabile, non solo alla Commissio-
ne Ce, ma anche ai recalcitranti ministri dell'agricoltura, mettere
un freno severo all'espansione incontrollata di certe produzioni
agricole, chiamando i produttori a confrontarsi più da vicino con
la realtà dei mercati agricoli e a partecipare direttamente agli one-
ri dello smaltimento delle eccedenze.
Fin dal 1977 è stato così introdotto un apposito « prelievo di

20
corresponsabilità >~ sulla produzione di latte nella Comunità, allo
scopo di scoraggiarne l'eccessiva espansione e di finanziare, col
ricavato, nuove misure per l'ampliamento dei mercati di sbocco
dei prodotti lattiero-caseari. Nel settore dello zucchero, d'altra
parte, la nuova organizzazione comune di mercato, entrata in vi-
gore a partire dal 1° luglio 1981, ha non solo confermato il regi-
me delle quote di produzione nazionali già in vigore, ma ha an-
che sancito la corresponsabilità integrale dei produttori, i quali
devono ormai sobbarcarsi la totalità delle spese occasionate dal-
l'esportazione dello zucchero prodotto in eccedenza (fatto salvo
un quantitativo di 1,3 milioni di tonnellate, corrispondenti allo
zucchero che la Comunità si è impegnata ad importare dai paesi
Acp, nel quadro della convenzione di Lomé).
Nel corso del 1981 la Commissione ha peraltro definito più
organici orientamenti in questa materia proponendo l'introduzio-
ne di limiti alla garanzia di prezzo e di collocamento prevista per
alcuni prodotti (in particolare nel settore dei cereali, del latte,
della colza e degli ortofrutticoli trasformati) e un più ampio ri-
corso alla corresponsab~lità finanziaria dei produttori, da realizza-
re prevalentemente mediante una riduzione dei prezzi di inter-
vento nel caso in cui tali limiti di garanzia fossero superati 17 •
Nel settore dei cereali peraltro, come abb1amo visto, veniva pre-
conizzata una politica dei prezzi basata sul ravvicinamento dei
prezzi della Comunità a quelli praticati dai principali paesi con-
correnti, in modo da assicurare la competitività della produzione
comunitaria, nonché una gerarchia dei prezzi tesa a raggiungere
un migliore equilibrio del mercato. Questi orientamenti sono sta-
ti progressivamente messi in atto nelle campagne successive, an-
che se, almeno nel setto.re del latte, essi non hanno dato finora i
risultati sperati. La Commissionè si è vista perciò costretta, nel
corso del 1983, a proporre per questo settore nuove, più drasti-
che misure di contingentamento della produzione per ogni sin-
golo produttore o per ciascuna latteria, come unica alternativa va-
lida ad una drastica riduzione dei prezzi di sostegno che, si cal-
cola, avrebbe dovuto essere di almeno il 12% per cominciare a
dare i suoi effetti. Un regime, quello proposto dalla Commissio-

17
Cfr. L'Italia nella politica internazionale 1980-1981, p. 400 ss., nonché L'I-
:.;!ia nella politica internazionale 1981-1982, p. 360 ss., e CoMMISSIONE CE, Orien-
:.;menti per l'agricoltura europea, Com (81) 608 def. del 23 ottobre 1981.

21
ne, che, se indubbiamente sul piano applicativo presenta non po-
che difficoltà di gestione, la dice tuttavia assai lunga sulla situa-
zione di emergenza che si è venuta a creare nel settore del latte
a causa dell'accumularsi delle eccedenze di produzione.
Anche negli Stati Uniti le manovre dei prezzi di sostegno rivol-
te a contenere le eccedenze, soprattutto nel settore lattiero-ca-
seario, hanno assunto in questi ultimi anni un rilievo particolare.
Anzitutto, l'Agriculture and Food Act ha fissato per il periodo
1982-85 prezzi d'obiettivo minimi per il latte inferiori a quelli
che sarebbero risultati applicando il metodo di indicizzazione se-
mestrale, in vigore in precedenza. La legge di bilancio del 1982
ha tuttavia « congelato » i prezzi del latte fino alla fine del 1984.
Essa ha dato inoltre al ministro dell'agricoltura il potere di appli-
care un « prelievo » di mezzo dollaro ogni 4 5 kg (analogo alla
tassa di corresponsabilità, già in vigore nella Comunità) a carico
dei produttori su tutto il latte commercializzato, nel caso in cui,
come di fatti è avvenuto, le consegne all'organismo di intervento
avessero superato un certo livello. Un « superprelievo » di pari
entità è stato autorizzato a partire dal 1° aprile 1983, nel caso in
cui l'incremento effettivo delle consegne superasse di oltre un
quarto tale livello. Per quanto riguarda il terzo tipo di misure di
controllo dell'offerta, quello degli incentivi all'abbandono della
produzione nei settori eccedentari, sono soprattutto gli Stati Uni-
ti che in questi ultimi anni vi hanno fatto ampio ricorso. A questo
riguardo, il già citato Agriculture and Food .A:ct prevede essen-
zialmente tre possibilità 18 : a) programmi di messa fuori produ-
zione, esclusivamente per il frumento e i cereali foraggeri; b) li-
mitazione delle superfici per le colture determinate, ivi compresi
i cereali 19 ; c) programma di messa in riserva con premio 20 • Tutti
questi programmi sono volontari, nel senso che l'agricoltore può

" Cfr. OcoE, Examen des politiques agricoles dans les pays membres de
l'Ocde, 1980-1982. Notes par pays, Parigi, 8 marzo 1983.
19
La « messa fuori produzione » si differenzia dalla « limitazione delle super-
fici » per il fatto che con la prima ci si limita a considerare la superficie totale del-
l'impresa che è possibile assegnare a determinate colture (lasciando quindi al pro-
duttore la possibilità di ripartire come meglio crede la superficie tra le varie col-
ture), mentre con la seconda si limita la superficie di ciascuna coltura.
'
0
Essi possono essere proposti agli agricoltori nel caso in cui si ritiene che
la concessione di questi incentivi possa facilitare il ridimensionamento della su-
perficie totale. Le superfici sottratte alla produzione debbono essere adibite a
fini di conservazione.

22
anche non tenerne conto; tuttavia, se egli vuo]e beneficiare dei
vantaggi offerti nei programmi (prestiti, garanzia dei prezzi, ecc.)
deve rispettate integralmente gli obblighi che ne derivano.
Nel quadro di questa normativa, nel settembre 1981 è
stata annunciata la messa in atto di un programma di riduzione
delle superfici seminate a grano del 15% e di quelle a cereali fo-
raggeri del 10%. Per effetto di questo programma - a cui han-
no partecipato dal 15 al 50 % dei produttori, a seconda del pro-
dotto - sono stati ritirati dalla produzione 2,7 milioni di ettari
di terra a frumento e 1,5 milioni di ettari a cereali foraggeri, il
che dovrebbe corrispondere ad una mancata produzione di cerea-
li di circa 10-14 milioni di tonnellate.
Nell'agosto 1982 un nuovo programma di riduzione delle su-
periìci del 20% è stato messo in atto, con incentivi ancora più
vantaggiosi onde limitare la produzione di cereali, cotone e riso
per il 1983. Preoccupato, tuttavia, per il successo limitato del
progranuna 1982 di riduzione delle superfici, per l'accumularsi
degli stocks cerealicoli e per l'esplosione drammatica dei costi che
queste misure avrebbero comportato (4 milioni di dollari nel 1982
e 21 milioni previsti per il 1983), il presidente Reagan ha an-
nunciato 1'11 gennaio 1983 un nuovo, ambizioso programma di
limitazione della produzione con l'obiettivo di fare ritirare dalla
produzione un altro 30% delle superfici a cereali (in aggiunta al
20% già programmato). Tale programma, denominato Pik (Pay-
ment in Kind, ovvero pagamento in natura), comporta appunto
il risarcimento in natura - sotto forma di cereali prelevati dagli
stocks pubblici - degli agricoltori che accettino di ridurre le
loro superfici a cereali di almeno il 10%. Nel quadro di questo
programma agli agricoltori è stato assicurato per ogni ettaro di
superficie ritirata un indennizzo pari al 95% del raccolto norma-
le per il grano e all'80% per gli altri prodotti interessati al pro-
gramma, che avrebbero potuto sia commercializzare liberamente,
sia conservare per il proprio uso.
Dall'applicazione congiunta di questo programma e di quelli
già annunciati il Dipartimento dell'agricoltura si attendeva una
riduzione complessiva della produzione di cereali di circa 50 mi-
lioni di tonnellate (pari, per intendersi, al 16% della produzione
americana e all'intera produzione cerealicola francese). In realtà,
la partecipazione dei produttori al programma ha superato ogni

23
ottimistica previsione, essendo la superficie a grano diminuita del
33% rispetto al 1982 e quella a cereali foraggeri del 24%: in
tutto, più di 3 7 milioni di ettari sono stati così sottratti a qua-
lunque tipo di coltivazione nel 1983. Tuttavia, in termini di pro-
duzione, i risultati sono stati largamente influenzati dalle vicende
climatiche, relativamente favorevoli al grano, la cui produzione è
diminuita solo del 14%, ma invece fortemente pregiudizievoli per
i cereali secondari, la cui produzione è diminuita di ben il 46 %
rispetto al 1982.
Va tuttavia aggiunto che, se questo programma ha sostanzial-
mente contribuito a ridurre in parte la pressione dell'offerta e
quindi a risollevare i prezzi alla produzione dei prodotti cereali-
coli, l'enorme esborso che esso ha comportato per le finanze pub-
bliche ha rilanciato negli Usa le polemiche sull'eccessivo costo
della politica agricola dell'amministrazione Reagan 21 • Partito con
l'intenzione di porre un drastico freno all'espansione della spesa
pubblica in questo settore, il governo americano ha finito invece
per raddoppiare in appena due anni la spesa agricola totale (da
26 miliardi di dollari nel 1981 a quasi 50 miliardi nel 1983,
di cui circa 20 miliardi per il solo sostegno dei prezzi, 1O miliardi
per le misure di incoraggiamento alla riduzione delle superfici, 6
miliardi per garanzie sui prestiti .all'esportazione e 4 miliardi per
prestiti alla produzione). Anche per queste ragioni l'amministra-
zione Reagan si è vista costretta a ridimensionare i programmi di
spesa nel settore agricolo per il 1984 e 1985.

Alla ricerca di soluzioni negoziali ai problemi degli scambi agri-


coli: la riunione ministeriale del Gatt del novembre 1982. - In
un contesto internazionale caratterizzato da una tra le crisi più
profonde e più prolungate dell'economia mondiale, dalla flessione
degli scambi e dall'accentuarsi delle tensioni fra i grandi attori del
commercio internazionale, la convocazione nell'estate 1981 di una
riunione a livello ministeriale tra le parti contraenti del Gatt -
la prima dal 1973 da tenere a Ginevra nell'autunno 1982, è
apparsa a molti, al di qua, ma soprattutto al di là dell'Atlantico,
come l'occasione risolutiva per mettere a punto nuove iniziative

21
Cfr., ad esempio, W. RoBBINS, Costly Farm Price Support Are Under
Sharper Scrutiny, « The New York Times », 5 dicembre 1983, e PIK Is No So-
lution, « The Journal of Commerce », 7 aprile 1983.

24
rivolte a ridurre le distorsioni negli scambi agricoli e gli ostacoli
al commercio di questi prodotti.
Convocata con l'obiettivo piuttosto vago, ma non per questo
meno ambizioso di far fronte all'intensificazione delle pressioni
protezionistiche, soprattutto sul fronte degli scambi dei prodotti
industriali, e in un momento in cui il contenzioso col Giappone
raggiungeva il suo apice, la conferenza, nella lunga fase di prepa-
razione, ha cambiato via via di orientamenti e di obiettivi, per
diventare essenzialmente l'occasione di un nuovo confronto Ce-
Usa sulla politica agricola comune e sugli scambi agricoli. A spin-
in questa direzione erano soprattutto le « lobbies » agricole
negli Stati Uniti e in altri grandi paesi esportatori, come l'Austra-
lia, il Canada e la Nuova Zelanda, ansiose di far condannare una
volta per tutte, in nome dei sacri principi del libero-scambismo,
il ricorso da parte della Comunità europea allo strumento delle
restituzioni alle esportazioni nel quadro della politica agricola co-
mune (Pac). Un obiettivo, questo, preso più volte di mira ma
sempre mancato nei vent'anni di esistenza della Pac e, per ulti-
mo, nel corso dei lunghi negoziati del Tokyo Round, che si erano
anzi conclusi, appena tre anni prima, con una sorta di legalizza-
zione ufficiale di questo strumento di politica commerciale 22 •
Malgrado fosse chiaro fin dall'inizio che sarebbe stato politica-
mente irrealistico voler rimettere in discussione, a così breve di-
stanza dalla loro conclusione, i risultati dell'ultimo « round » di
negoziati multilaterali, isolando, peraltro, un problema particola-
re quello delle restituzioni alle esportazioni agricole dagli
altri elementi dell'accordo, per lungo tempo le autorità americane
avevano coltiv,ato ed alimentato presso l'opinione pubblica
nazionale l'ambizione di poter pervenire ad un accordo che con-
sentisse di integrare pienamente l'agricoltura nella disciplina del
Gatt e di renderla più conforme alle regole generali esistenti per i
prodotti industriali (un obiettivo, questo, la cui realizzazione pas-
sa, tuttavia, per una modifica del testo stesso dell'accordo, che ri-
conosce, al contrario, la specificità dell'agricoltura e delle politiche
agricole rispetto agli ,altri settori). Tutto questo non impediva,
peraltro, a vari esponenti dell'amministrazione Reagan di minac-
ciare pesanti ritorsioni, ivi compreso il ricorso a massicce sovven-

" Cfr. L'Italia nella politica internazionale 1981-1982, p. 348.

25
zioni all'esportazione, nel caso in cui a Ginevra non si fosse per-
venuti ad un accordo in questa materia.
Si deve, tuttavia, osservare che prese di posizione di questa na-
tura erano non soltanto funzionali all'obiettivo tattico di perve-
nire alla riunione di novembre su una posizione negoziale di for-
za, ma erano anche e forse sopr.attutto dettate dalla preoccupazio-
ne di politica interna di calmare gli agricoltori americani, i cui red-
diti avevano subito pesanti crolli negli ultimi anni, accreditando
la tesi che le loro difficoltà trovassero soprattutto origine nel
« protezionismo » e nelle « sovvenzioni all'agricoltura europea »
e non nella sovrapproduzione a livello mondiale e nella eccessiva
rivalutazione del dollaro, che rendeva meno. competitive le espor-
tazioni americane 2.,. Prova ne è anche il fatto che, a Ginevra, nel
corso dei preparativi della conferenza, i delegati americani si mo-
stravano più prudenti di quanto non lo fossero i vari esponenti
politici nazionali nelle loro dichiarazioni sul piano interno. Questa
relativa prudenza si spiega peraltro anche col fatto che, contraria-
mente .alle apparenze, anche la politica agricola degli Stati Uniti,
come abbiamo visto, è tutt'altro che immune dal peccato mortale
del sostegno pubblico alle esportazioni, anche se questo viene con-
sumato secondo modalità e con strumenti forse meno appariscenti
delle restituzioni alle esportazioni ma certo non meno efficaci (PL
480 sull'aiuto alimentare, crediti all'esportazione, contratti bila-
terali a lungo termine, ecc.). In materia di protezionismo, poi,
non va dimenticato che gli Stati Uniti beneficiano, dal 1955, di
una clausola d~rogatoria nel quadro del Gatt (« waiver ») per
una serie di prodotti agricoli, ed in particolare i prodotti lattieri,
lo zucchero, il cotone e l'arachide.
Tale clausola che gli Stati Uniti riuscirono ad ottenere all'epoca,
malgrado le forti resistenze delle altre parti contraenti del Gatt,
consente alle autorità americane di introdurre tutte le restrizioni
quantitative alle importazioni che esse ritengono necessarie per
garantire l'efficacia delle misure di sostegno dei prezzi interni. Si
comprende, dunque, come paesi quali il Brasile, l'Argentina e
l'Australia auspicassero che nella riunione di novembre si discu-
tesse anche di questa clausola e che si pervenisse alla sua sop-
pressione.

" Cfr. L'Italia nella politica interna:i;ionale 1981-1982, p. 192 ss.

26
La Comunità europea, dal canto suo, aveva fatto chiaramente
capire fin dall'inizio della fase di preparazione della conferenza
che qualunque decisione che comportasse l'apertura di nuovi ne-
goziati sull'agricoltura sarebbe stata prematura. Per quanto ri-
guarda poi la proposta di istituire un inventario delle regole ap-
plicabili alle sovvenzioni alle esportazioni, che era emersa nel cor-
so delle discussioni preparatorie della riunione, la Comunità aveva
proposto che questo esame avesse luogo nel quadro di un appo-
sito « Comitato agricolo » da istituire in seno al Gatt, e che esso
non si limitasse alle sovvenzioni alle restituzioni in senso stretto,
ma fosse invece esteso a tutte le forme dirette o indirette di
protezione e di sostegno. L'obiettivo di questo esame, per la Com-
missione Ce, non avrebbe _peraltro dovuto essere « di migliorare
le regole esistenti [ il che non sarebbe stato accettabile a così poca
distanza dal Tokyo Round] ma di analizzare le differenti misure
che influenzano l'accesso ai mercati e la concorrenza negli scambi
agricoli, nonché l'adeguamento delle norme relative a queste mi-
sure » 24. Quanto, infine, alla proposta di allineare progressiva-
mente le regole del Gatt in vigore nel settore agricolo a quelle
applicabili agli altri prodotti, essa era lungi dall'avere l'unanimità
dei consensi .
A giudicare dalle difficoltà incontrate nei sei giorni di negoziato
per pervenire ad un accordo e dalla dichiarazione finale emessa
al termine della riunione che ha avuto luogo a Ginevra dal 24 al
29 novembre - due giorni in più del previsto per consentire ai
negoziatori tentativi di compromesso dell'ultima ora - si deve
riconoscere che le ambizioni di quanti volevano in questa circo-
stanza rifondare su nuove basi la disciplina vigente in materia di
scambi agricoli erano obiettivamente mal riposte e che l'approccio
più realistico ai problemi, portato avanti dalla Comunità europea,
ha :finito col prevalere.
La conferenza ha, in effetti, adottato un documento finale che
investe tutti gli attuali problemi commerciali e che comprende una
dichiarazione politica accompagnata da alcuni impegni di carattere
generale, nonché un programma operativo sul funzionamento del
Gatt negli anni ottanta, che comporta soprattutto una serie di

24
Cfr. COMMISSIONE CE, Riunione ministeriale del Gatt. Nota d'informazione
al Consiglio, Com (82) 678 def., Bruxelles, 20 ottobre 1982.

27
decisioni procedurali e la messa in cantiere di alcuni studi.
Per quanto riguarda, in particolare, il commercio dei prodotti
agricoli, è stata approvata la costituzione di un Comitato Gatt sul
commercio agricolo, essenzialmente col compito di esaminare « l'in-
sieme delle misure commerciali che incidono sull'accesso ai mer-
cati e sull'approvvigionamento agricolo » e di « formulare racco-
mandazioni per fare avanzare la liberalizzazione degli scambi di
prodotti agricoli ». Il Comitato è stato inoltre incaricato di proce-
dere ad un esame generale in materia di sovvenzioni che interes-
sano l'agricoltura, in particolare di sovvenzioni all'esportazione,
ma anche delle altre forme di aiuto all'esportazione, nonché delle
misure commerciali di eccezione e di deroga all'accordo, in modo
da verificare se esse « arrechino grave pregiudizio agli scambi o
agli interessi delle parti contraenti ». Nell'esecuzione di questo
mandato si sarebbe tenuto conto delle caratteristiche e degli speci-
fici problemi del settore agricolo, nonché delle specifiche esigenze
dei paesi in via di sviluppo.
In sostanza, dunque, almeno nel campo dell'agricoltura, la riu-
nione si è conclusa con risultati piuttosto deludenti e certamente
non all'altezza delle aspettative soprattutto di alcuni dei paesi
partecipanti che avevano mirato molto in alto. L'Australia, in par-
ticolare, si è dissociata dalla dichiarazione finale, pur dichiaran-
dosi fedele al Gatt, in quanto - a suo giudizio - non erano
stati raggiunti gli obiettivi prefissi, in particolare in materia di im-
pegni di lotta contro il protezionismo e nel settore della liberaliz-
zazione agricola e della limitazione delle sovvenzioni. Gli Stati
Uniti e il Canada, dal canto loro, pur non avendo emesso dichia-
razioni finali sul testo approvato, non hanno nascosto la propria
insoddisfazione per i modesti frutti raccolti a Ginevra e per il
fatto che la conferenza avesse preso una piega diversa da quella
che essi avevano auspicato. La Comunità europea, da parte sua,
è uscita non soltanto sostanzialmente indenne dal processo che ta-
luni volevano intentarle a Ginevra, ma ha .anche marcato alcuni
punti a proprio vantaggio, di cui si trova traccia nel documento
finale.
Nel campo dell'agricoltura, in effetti, a giudizio della Commis-
sione Ce, la Comunità aveva ottenuto « un accordo realistico che
difende vigorosamente i principi della politica agricola comune }>,
anche se il presidente Thorn dichiarava diplomaticamente, alla fì-

28
ne della riunione, che a Ginevra non vi erano stati « né vincitori
né perdenti » 25 •
Va peraltro rilevato che, pur accettando integralmente l'attua-
zione dell'ambizioso programma di lavoro nel settore dell'agricol-
tura approvato dalla conferenza, la Comunità è stata tuttavia in-
dotta a precisare che « ciò non significa che la Comunità si impe-
gna a partecipare a nuovi negoziati né ad assumere nuovi obblighi
in relazione con i prodotti agricoli » 26 •

Il confronto Usa-Ce sui problemi agricoli: dalla distensione al-


la guerra commerciale. - Conclusasi, come abbiamo visto, senza
risultati spettacolari la riunione ministeriale del Gatt di fine no-
vembre, e mentre la maggior parte degli osservatori si attendeva
una recrudescenza delle ostilità americane contro la politica agri-
cola comune e l'immediata messa in atto delle misure di ritorsione
annunciate dalle autorità di \Xlashington, l'atmosfera delle relazio-
ni commerciali Ce-Usa sul fronte agricolo si è invece momentanea-
mente rasserenata a seguito dell'incontro ministeriale Ce-Stati Uni-
ti, che ha avuto luogo a Bruxelles il 10 dicembre 1982, il terzo
del genere nel corso degli ultimi dodici mesi.
Come era accaduto già altre volte in passato in circostanze ana-
loghe, e malgrado la presenza nella delegazione americana di ben
cinque ministri, alcuni dei quali, come il ministro dell'agricoltura
John Block, noti per le loro dichiarazioni bellicose in patria, la
riunione è stata improntata ad uno spirito di conciliazione e di
realismo nella ricerca di soluzioni di problemi agricoli che avevano
avvelenato le relazioni euro-americane negli ultimi mesi.
Nessuna delle due parti, è vero, aveva fatto concrete conces-
sioni nel corso dell'incontro. Tuttavia il comunicato finale, emes-
so al termine del colloquio, sanciva la comune volontà di « evi-
tare una disorganizzazione dei mercati mondiali» e di avviare, a
partire da gennaio, « uno scambio di vedute approfondito ... per
definire le azioni da adottare nel quadro dei sistemi esistenti »,
con l'intento di effettuare, entro la :fine di marzo, « una valutazio-
ne dei progressi realizzati ». Certo non era ancora la firma di un
vero e proprio trattato di pace, ma solo la conclusione di un ar-
mistizio, che garantiva la sospensione delle ostilità quanto meno

" « Bollettino Ce>~, n. 11, 1982.


" Ivi, p. 99.

29
fìno alla fìne di marzo. Quanto bastava, comunque, per riprendere,
su basi più realistiche e con un approccio più pragmatico ai pro-
blemi, il dialogo tra sordi che la moltitudine di incontri bilaterali,
spesso al massimo livello, avvenuti negli ultimi mesi non erano
riusciti a far minimamente progredire. Un relativo ottimismo,
questo, alimentato anche dalle dichiarazioni del segretario di stato
George Shultz, che guidava la delegazione americana, secondo
il quale le controversie sul dossier agricolo erano ormai in via di
soluzione, e ancor più da quelle del ministro americano dell'agri-
coltura Block, che, contrariamente alle sue abitudini, questa volta
dichiarava solennemente: « Non vi sarà una guerra agricola tra
Ce e Usa», anche se poi più discretamente aggiungeva, a scanso
di equivoci: « Noi non abbiamo, però, detto che cesseremo di
prendere delle iniziative » (in altri termini, delle misure di rap-
presaglia contro la Ce), confermando tuttavia la tregua fino alla
fìne di marzo. Il presidente della Commissione Gaston Thorn, da
parte sua, aveva tenuto a precisare, in questa circostanza, che la
politica agricola comune non era minimamente negoziabile e che,
a questo stadio, non ci si era impegnati né ad aprire nuovi nego-
ziati sulle politiche agricole rispettive, né ad ottenere determinati
risultati: si trattava soltanto di esaminare - nel rispetto di que-
ste politiche - le difficoltà concrete già insorte o che potrebbero
insorgere in avvenire, ricercando delle soluzioni concertate 27 •
Contrariamente, tuttavia, a quanto sul fronte europeo sembra-
va legittimo attendersi, vista la profusione di dichiarazioni disten-
sive da parte americana, questa tregua è stata sostanzialmente rot-
ta dalle autorità di Washington molto prima della scadenza con-
venuta, gettando lo sconcerto fra i partners europei.
Le prime avvisaglie della nuova guerriglia commerciale che
gli Stati Uniti si apprestavano ad ingaggiare sui mercati mondiali,
ed in particolare sui mercati tradizionali della Comunità europea,
si erano avute ai primi di gennaio del nuovo anno, allorché l'Usda
(il Dipartimento americano dell'agricoltura) aveva chiesto al go-
verno di prendere nuove vigorose misure per aumentare le espor-
tazioni agricole americane. Il Dipartimento di stato, tuttavia, che
seguiva tradizionalmente una linea più moderata del Dipartimen-
to dell'agricoltura, non aveva dato seguito a queste richieste, ri-

27
Cfr. << Agence Europe », 13-14 dicembre 1982.

30
tenendo che fosse opportuno rispettare per il momento la tregua
convenuta con i vertici della Comunità europea a dicembre 28 •
Non erano, tuttavia, passati che pochi giorni da queste scherma-
glie - e mentre si aprivano a Washington i previsti contatti tra
i rappresentanti della Commissione europea e quelli dell' ammini-
strazione americana per avviare l'esame tecnico delle divergenze
sui problemi agricoli che il presidente Reagan annunciava, 1'11
gennaio 1983 di fronte alla principale organizzazione degli agricol-
tori americani, un programma energico di misure intese, in parti-
colare, « a controbilanciare le sovvenzioni alle esportazioni agrico-
le praticate dalla Ce e a far cessare tali pratiche nell'avvenire».
A tal fine, l'ammontare totale dei crediti privilegiati senza inte-
ressi messi a disposizione per la concessione di facilitazioni di
gamento agli acquirenti di prodotti agricoli americani veniva por-
tato da 100 a 350 milioni di dollari, mentre un altro miliardo di
dollari veniva accordato per le garanzie di credito.
Ma la sorpresa maggiore doveva venire di lì a qualche giorno,
allorché, il 18 gennaio, l'amministrazione americana annunciava la
concessione di nuove facilitazioni finanziarie all'Egitto per l' acqui-
sto di 1 milione di tonnellate di farina di frumento nel corso del
1983, e per di più ad un prezzo nettamente inferiore a quello vi-
gente sul mercato mondiale. Una maniera, questa, non solo per
.accaparrarsi il più importante mercato di sbocco dell'industria mo-
litoria comunitaria (ed in particolare francese), ma anche per te-
nere sotto pressione gli europei e far loro chiaramente compren-
dere che le minacce di guerra commerciale, che pure le recenti di-
chiarazioni del ministro dell'agricoltura Block sembravano aver
momentaneamente allontanato, non erano soltanto teoriche.
Lo stesso governo americano aveva infatti insistito sul caratte-
re esemplare di questa misura, che, peraltro, secondo indiscrezio-
ni degne di fede, rischiava di non restare un'iniziativa del tutto
isolata, ma l'inizio di un'offensiva generalizzata contro le sovven-
zioni alle esportazioni agricole comunitarie e non. È del resto co-
me tale che la misura è stata risentita tanto sul versante europeo
che in altri grandi paesi esportatori, preoccupati dover retro-
cedere anch'essi di fronte all'invadenza aggressiva degli americani
sui mercati agricoli mondiali.

" Cfr. « Agence Europe », 8 gennaio 1983.

31
Resistendo alle pressioni delle organizzazioni agricole comuni-
tarie e di molti membri dello stesso Parlamento europeo, che in-
vocavano a gran voce immediate misure di rappresaglia contro gli
Stati Uniti, ma che avrebbero probabilmente scatenato una peri-
colosa « escalation » nel conflitto commerciale con gli Usa, troppo
costoso per le esauste finanze comunitarie, la Commissione Ce ha
scelto invece la strada della prudenza e del realismo politico, pur
decidendo di adire contemporaneamente il Gatt, affinché questo
si pronunciasse sulla conformità delle misure americane con la di-
sciplina in vigore in materia di commercio internazionale.
La Commissione - sostenuta in questo sia dal Consiglio che
dal Parlamento europeo - ha inoltre espresso alle autori.t à ameri-
.cane la propria « profonda preoccupazione» per l'accordo con
l'Egitto e, pur avendo scelto di restare nella piena legalità dei mez-
zi utilizzati, anche per non pregiudicare l'esito del ricorso inol-
trato in sede Gatt, ha tuttavia manifestato l'intenzione di ricorre-
re a « contromisure difensive a tutela dei propri mercati » nel ca-
so in cui gli Stati Uniti avessero concluso nuovi accordi, analoghi
a quello con l'Egitto 29 • « In un periodo difficile in cui il mercato
mondiale [ del frumento] si restringe », dichiarava da parte sua
Claude Villain, direttore generale dell'agricoltura in seno alla
Commissione Cc, il 2 febbraio a Londra, « noi siamo pronti ad
accettare la nostra parte di autolimitazione» e aggiungeva: « Nel
•quadro della Pac abbiamo i mezzi per control1are le esportazioni.
Noi abbiamo deciso di non aumentare la nostra parte sul merca-
to, ma noi la difenderemo » 30 •
A queste dichiarazioni certamente ferme ma tutto sommato ab-
bastanza concilianti da parte europea gli americani hanno reagito
con uno stillicidio di dichiarazioni bellicose, peraltro spesso con-
traddittorie, e con l'annuncio di nuove misure a sostegno delle
proprie esportazioni agricole. A fine marzo, tuttavia, il ministro
americano dell'agricoltura, al fine - come egli stesso dichiarava
- di non intralciare le discussioni in corso. con la Comunità, e
per dare agli europei una nuova tregua in modo da verificare se
tali negoziati potessero avanzare, annunciava la sospensione tem-
poranea della firma di altri contratti di vendita a prezzo sovven-

..., Cfr. « Bollettino Ce», n. 2, 1983, p. 46.


'° « Agencc Europe », n. 1240, 4 febbraio 1983.

32
zionato, analoghi a quello concluso con l'Egitto. Intanto si appre-
stava ad effettuare una tournée promozionale in molti paesi africa-
ni e asiatici nell'intento di preparare il terreno alla conclusione di
nuovi accordi di cooperazione nel settore agricolo.
Proseguivano, intanto, « uno spirito costruttivo », secondo
fonti comunitarie, le riunioni bilaterali tra alti funzionari comu-
nitari e statunitensi sui problemi agricoli comuni. Per quel poco
che se ne è appreso all'esterno, esse sono state soprattutto con-
sacrate all'esame dei mercati di alcuni prodotti di base all'origine
del contenzioso Ce-Usa, in particolare cereali, pollame, farina,
prodotti sostitutivi dei cereali e prodotti lattiero-caseari, allo stu-
dio dei meccanismi di sostegno comunitario e americano e dei loro
effetti sulla produzione e sugli scambi.
Dall'inizio di maggio alla fine del terzo « round » di negoziati,
la minaccia di una guerra commerciale tra Stati Uniti e Ce sem-
brava essersi nuovamente e forse definitivamente allontanata. Lo
stesso sottosegretario all'agricoltura americano Lyng, infatti, di-
chiarava che le due parti « avevano realizzato un certo progresso
a proposito della ripartizione del commercio mondiale dei cereali,
-dei prodotti lattieri e del pollame » 31 ; un'ipotesi, questa, che in
precedenza era stata più volte respinta da parte americana.
Il 24 giugno si sono in effetti concluse le conversazioni bilate-
rali Ce-Usa sui problemi agricoli. Tuttavia, come era già accaduto
altre volte in passato, le dichiarazioni emesse da una parte e dal-
l'altra a conclusione dei lavori sono tutt'altro che concordanti. Per
la delegazione comunitaria i sei mesi di negoziati avevano permes-
so alle due parti di stabilire un clima di cooperazione costruttiva.
Per essa, in effetti, tali conversazioni rappresentavano di per se
stesse un progresso considerevole, avendo permesso di sostituire
al confronto diretto un approccio più ragionevole al problema del-
le sovvenzioni all'esportazione. Questa valutazione non era tutta-
via interamente condivisa dal ministro americano all'agricoltura J.
Block, che deplorava invece la modestia dei risultati conseguiti e
si dichiarava « preoccupato in quanto non vi è stato mai un vero
sforzo per pervenire ad una soluzione». Le parti erano comunque
d'accordo di proseguire il dialogo nell'ambito di un gruppo di
lavoro informale da creare nel quadro del Gatt, il quale avrebbe

31
« Agence Europe », n. 3602, 5 maggio 1983.

33
dovuto esaminare entro il 31 dicembre 1983 i mezzi per ridurre
le sovvenzioni all'esportazione e gli altri strumenti d'assistenza
commerciale, grazie ad una migliore chiarificazione e definizione
delle regole Gatt esistenti.
Una conferma ufficiale, dunque, della moratoria in atto nella
guerra delle sovvenzioni alle esportazioni agricole tra le due spon-
de dell'Atlantico? Nient'affatto. Perché nessuno si facesse illusio-
ni al riguardo, il capo della delegazione americana precisava infatti
che, malgrado la prosecuzione dei negoziati in seno al Gatt, il suo
governo non avrebbe potuto garantire che le vendite sovvenzio-
nate di prodotti agricoli non sarebbero riprese. Una minaccia, que-
sta, che ha preso effettivamente corpo nel mese successivo, allor-
ché si è appreso che gli Stati Uniti avevano concluso un nuovo
contratto con l'Egitto per la fornitura sovvenzionata di 18.000 t di
burro e 6.000 t di formaggio, e un contratto col Marocco per la
fornitura, anch'essa sovvenzionata, di 200.000 t di grano.
A fine ottobre toccava alla Comunità passare al contrattacco: e
questa volta con una vera e propria azione di guerra commerciale
e non con un semplice tiro a salve come era accaduto finora. Il 26
ottobre il portavoce della Commissione annunciava infatti che, di
fronte all'impossibilità di concludere contratti commerciali per la
vendita di farina di frumento alle condizioni normali, che si era
venuta a determinare sui mercati mondiali a seguito delle vendite
sottocosto degli Stati Uniti all'Egitto, e al fine di recuperare ai
fornitori comunitari una parte del mercato egiziano di farina, la
Commissione aveva deciso di accordare una restituzione speciale
di 7 Ecu per tonnellata, in aggiunta alla restituzione normale
di 72 Ecu, su 400.000 tonnellate di farina di origine comuni-
taria destinate all'Egitto.
Azione dimostrativa con chiari intenti politici o semplice con-
tromisura commerciale per tentare di frenare l'espansionismo ame-
ricano quanto meno sui mercati agricoli tradizionali della Comu-
nità? Poco importa. Quel che conta è che per l'agricoltura euro-
pea, come per quella americana, gli anni delle vacche grasse, du-
rante i quali lo sviluppo spettacolare delle esportazioni agricole
aveva costituito un inc~ntivo non secondario all'espansione della
produzione interna e aveva consentito una convivenza relativa-
mente pacifica sui mercati mondiali, sembrano ormai definitiva-
mente tramontati.

34
La politica agricola comune: il difficile equilibrio tra sostegno dei
redditi agricoli, limitazione delle eccedenze e controllo della
spesa

Negli ultimi anni la politica agricola comune (Pac) si è trovata


a confrontarsi essenzialmente con tre ordini di problemi, di origi-
ne prevalentemente interna, ma che il peggioramento della situa-
zione dei mercati agricoli internazionali ha contribuito indubbia-
mente ,ad aggravare.
a) Anzitutto la flessione in quasi tutti gli stati membri dei red-
diti agricoli in termini reali, per effetto essenzialmente del deterio-
ramento delle << ragioni di scambio » dell'agricoltura (incremento
dei prezzi alla produzione inferiore a quello dei prezzi per l'ac-
quisto dei mezzi di produzione). Tra il 1978 e il 1981 l'indice che
esprime le « ragioni di scambio » (base 197 5 = 100) per la Co-
munità nel suo insieme è infatti passato da 100,7 a 90,3. Nel frat-
tempo, i redditi agricoli per persona occupata in agricoltura dimi-
nuivano, in termini reali, di circa 1'8% in media nella Ce, ma di
oltre il 30% in Irlanda, del 16% in Germania e in Francia, e
del 3,6% in Italia. Vero è che l'anno 1982 ha segnato una netta
ripresa dei redditi agricoli in tutti i paesi della Comunità ( + 10,6
per cento, in media) a causa delle condizioni climatiche eccezio-
nalmente favorevoli. Tuttavia nel 1983 la situazione si è nuova-
mente degradata, essendo i redditi agricoli pro capite diminuiti in
media del 7% in termini reali ( 1,4% in Italia). Nel complesso,
nel periodo 1973-83 i redditi agricoli sono diminuiti in termini
reali di oltre il 4% in media nella Comunità, del 23% in Germa-
nia, del 17% in Francia, del 14% nel Regno Unito; essi sono in-
vece aumentati di quasi il 9% in Italia e nei Paesi Bassi, del 13%
in Danimarca e del 18% in Belgio.
b) Il secondo ordine di problemi è quello che deriva dai cre-
scenti squilibri tra domanda e offerta di molti prodotti agricoli
(cereali, latte, carne bovina, vino, ecc.) e dalle scarse prospettive
di risanamento della situazione non solo nel breve, ma anche nel
medio e lungo periodo. Nel settore del latte, in particolare, che
rappresenta da solo un quinto del valore della produzione finale
dell'agricoltura e che interessa oltre un terzo delle imprese agri-
cole della Ce, la produzione comunitaria è aumentata annualmente
del 2,7% nel periodo 1973-82, mentre nello stesso periodo il

35
consumo umano interno di prodotti lattiero-caseari è aumentato
di appena lo 0,5% all'anno (ma il consumo di burro è addirittura
diminuito annualmente del 2,8% nonostante i provvedimenti as-
sunti per sovvenzionarne le vendite). Estrapolando queste tenden-
ze, la Commissione Ce ha stimato che le eccedenze della produ-
zione sui consumi interni dovrebbero praticamente raddoppiare tra
il 1983 e il 1990 (da 17,7 a 34 milioni di tonnellate) 32 , nel caso
in cui non fossero presi drastici provvedimenti di limitazione del-
la produzione.
Né più rassicuranti sembrano essere le prospettive di sviluppo
della produzione e dei consumi nel settore cerealicolo. Da defici-
taria, la Comunità è diventata infatti, dopo il 1979, globalmente
eccedentaria in prodotti cerealicoli: e ciò, da una parte, a causa
della sensibile espansione della produzione (da 119 a oltre 130
milioni di tonnellate tr.a il 1978-79 e il 1982-83); dall'altra, a cau-
sa della contrazione dei consumi interni, in particolare per quan-
to riguarda l'alimentazione animale, che assorbe da sola i due terzi
del consumo complessivo dei cereali nella Comunità; contrazione
che, come si è già detto, è stata fondamentalmente causata dal ri-
corso crescente a prodotti sostitutivi dei cereali nell'alimentazione
animale (manioca, glutine di mais, ecc.) importati a prezzi concor-
renziali e senza sufficienti protezioni doganali dai paesi terzi. Mal-
grado, peraltro, l'assunzione di misure intese a stabilizzare l'im-
portazione di alcuni di questi succedanei e a rendere più concor-
renziale l'uso di cereali comunitari, la Commissione Ce stima che
il quantitativo di cereali comunitari eccedente la domanda interna
potrebbe essere ancora eccezionalmente elevato alla fine di questo
decennio (essendo stimato a circa 23 milioni di tonnellate) 33 •
Per le stesse ragioni, serie preoccupazioni destano anche la si-
tuazione e le prospettive di mercato relative ad altre produzioni
agricole ecedentarie (carne bovina, vino, semi oleosi, alcune varie-
tà di tabacco, alcuni ortofrutticoli trasformati). Sul piano della
gestione corrente dei mercati agricoli un aspetto che suscita parti-
colare apprensione a livello comunitario è la rapida espansione de-
gli stocks per la maggior parte di queste derrate, a partire dalla

32
Cfr. CoMM1ss10NE CE, Proposte relative alla fissazione dei prezzi per taluni
prodotti agricoli e ad alcune misure connesse, 1984-85, vol. I: Relazione, Com (84)
del 23 gennaio 1984.
33
Ibidem.

36
seconda metà del 1982, in connessione soprattutto con gli eccel-
lenti risultati produttivi conseguiti nel 1982 e con la stagnazione
della domanda, interna e internazionale. Per il grano tenero, in
particolare, gli stocks pubblici sono passati da 1,7 a 6 ,5 milioni
di tonnellate tra il luglio 1982 e il settembre 1983. Crescita al-
trettanto vertiginosa è quella che si è prodotta negli stocks di car-
ne bovina, passati da 80 a 360 milioni di tonnellate nei quattor-
dici mesi sopra indicati. Ma è soprattutto nel settore lattiero-ca-
seario che l'evoluzione degli stocks ha raggiunto vertici da capo-
giro. Dalle 200-250 .000 tonnellate in media di latte scremato in
polvere negli anni 1980 e 1981 si sono infatti superate le 400.000
tonnellate nel luglio 1982, le 800.000 tonnellate nel giugno 1983,
il milione di tonnellate nell'agosto dello stesso anno. Quanto agli
stocks di burro, dopo due anni di relativa stasi su livelli del tutto
irrisori (appena 53.000 tonnellate alla fine del settembre 1982),
essi hanno in poco tempo polverizzato tutti i record precedenti,
oltrepassando le 600.000 tonnellate nel settembre 1983, a cui van-
no peraltro aggiunte altre 26.000 tonnellate detenute da organi-
smi di stoccaggio privato .
È chiaro che questo rapido accumularsi degli stocks per molti
prodotti agricoli ha non solo appesantito la relativa situazione di
mercato ma ha anche avuto, come vedremo, effetti dirompenti sul-
l'espansione della spesa agricola.
c) Il terzo ordine di problemi che la politica agricola comune
si è trovata ad affrontare, soprattutto in questi ultimi anni, è ap-
punto quello finanziario. Questo ha, anzi, assunto nella seconda
metà del 1983 una tale dimensione ed una tale gravità che, per
la prima volta nella storia della Comunità, la Commissione Ce si
è trovata nell'impossibilità di far fronte alla totalità degli impegni
di spesa derivanti dalla gestione della Pac; e si è vista costretta
nell'ultimo trimestre dell'anno a rinviare all'esercizio 1984 una
parte dei pagamenti del Feoga-garanzia attinenti all'esercizio 1983
(pari a circa 675 milioni di Ecu). Questo problema non è certo
nuovo negli oltre vent'anni di vita della Pac. Tuttavia esso ha as-
sunto in questi ultimi anni un carattere particolarmente dramma-
tico per due ragioni essenziali: 1) da una parte, la spesa agricola,
se si eccettua la flessione che per circostanze particolari si è veri-
ficata nel 1980, ha avuto negli ultimi dieci anni la tendenza ad
accrescersi ad un tasso annuale sensibilmente superiore a quello

37
delle risorse proprie della Comunità (15% all'anno, nel periodo
1975-83, contro un aumento medio annuale delle risorse proprie
dell'll % ). È evidente che a mano a mano che il margine di ma-
novra consentito dall'attuale regime delle risorse proprie si è an-
dato esaurendo, i vincoli di carattere finanziario sono andati assu-
mendo un ruolo sempre più decisivo nella gestione della Pac. A
ciò si aggiunga il fatto che, nelle attuali condizioni <li molti
mercati agricoli, il controllo dell'evoluzione della spesa agri-
cola è diventato una pregiudiziale ormai unanimemente rico-
nosciuta per avviare a soluzione il problema di dotare la Comuni-
tà di nuove risorse proprie. 2) D'altra parte, va aggiunto che ie
esigenze finanziarie derivanti dalla politica agricola comune han-
no assunto nel corso del 1983 una dimensione largamente supe-
riore ad ogni pessimistica previsione in considerazione di fattori
attinenti sia all'evoluzione sfavorevole dei mercati, interni e in-
ternazionali, sia al vertiginoso aumento delle spese di stoccaggio
dei prodotti eccedentari. Dai 12,4 miliardi di Ecu del 1982 la
spesa del Feoga-garanzia è passata, infatti, ad oltre 16 miliardi di
Ecu nel 1983 (2 miliardi in più di quanto era stato previsto ini-
zialmente).
Trovate un giusto equilibrio tra l'obiettivo <li assicurare redditi
equi per la popolazione agricola, conformemente all'art. 39 del
trattato Ce, ma tenendo nel contempo conto della necessità impe-
rativa di evitare l'accrescersi delle eccedenze strutturali e dei vin-
coli di bilancio entro cui la Pac deve necessariamente muoversi,
ha costituito in questi anni il difficile compito delle autorità co-
munitarie. In questo contesto è proseguito inoltre, parallelamen-
te, lo sforzo di adattamento di alcune organizzazioni comuni di
mercato, in particolare per alcune produzioni mediterranee, cd è
stata portata a termine la fase di messa a punto delle proposte
relative ai programmi integrati mediterranei, già annunciate dalla
Commissione Ce, nell'ambito delle iniziative assunte in esecuzio-
ne del mandato del Consiglio del 30 maggio 1980.

38
VIII. LA PCT...ITICA AGRICOLA 1983-1984*

. La riforma dell.a politica agricola comune

I presupposti econanici e politici. - Forse mai cane nel


1983, la Comunità si è trovata nella necessità di assumere
un nunero così grande di decisioni fondamentali per il suo
futuro, di sciogliere tanti nodi politici e finanziari che
minacciavano di soffocarla, di ridare nuovo slancio alla
dinamica comuni tari a, facendo, nel contempo prova di tanta
e così prolungata inerzia decisionale. Costretta
dall I urgenza dei problemi a decidere, e a decidere rapida-
mente, se voleva sottrarsi alla minaccia di autodistruzio-
ne, la Comunità, quanto meno a livello dei suoi vertici de-
cisionali - Consiglio europeo e Consiglio dei ministri - ha
invece fatto prova, nel corso del 1983, più di riluttanza
che di detenni nazione sull'agire, più di diligenza nello
schivare o procastinare i problemi fondamentali che di coe-
sione e di buona volontà per giungere ad un accordo sulla
maniera di risolverli. Dall'inizio nel 1983 sono stati così
necessari quasi diciotto mesi di intensi e spesso drarmiati-
ci negoziati e ben cinque riunioni dei capi di stato e di
governo perchè si giunge~se ad un accordo di massima
sull'insieme dei problemi sul tappeto e perchè riapparisse
finalmente una schiarita sull'orizzonte politico
dell'Europa. La "globalità." di negoziati e la necessità di
sciogliere allo stesso tempo tutti i nodi dell'intricata
matassa costituiscono i fattori principali di questa lunga
paralisi decisionale, ma anche almeno in parte i punti di
forza che hanno reso possibile l'accordo finale.
Tre ordini di preoccupazioni dcminavano essenzialmente la
scena comunitari all 1 inizio del 1983:
a) in primo luogo, la necessità di reagire vigorosamente ed
efficacemente al declino industriale dell'Europa, alla
morsa della più lunga crisi economica del dopo-guerra e
alla inarrestabile ascesa della disoccupazione, in par-
ticolare giovanile. Il conseguimento di questi obiettivi
priori tari, passava necessariamente per il rinforzamento
del ruolo che la Canunità aveva finora giocato nella lot-
ta contro la disoccupazione, il rinnovamento industriale
e il rilancio economico. Si trattava, in effetti, non
solo di contribuire al miglioramento generale del conte-

* In IAI, “L’Italia nella politica internazionale (1983-1984),


Franco Angeli, Milano, 1986

39
sto econcmico sociale, assicurando, ad esempio, una mi-
gliore convergenza delle strategie econcmiche degli Stati
Uniti, o favorendo l'accesso al lavoro, in particolare
dei giovani, ma anche di rinforzare gli strumenti canuni-
tari a sostegno degli investimenti, di mettere in atto
una vera politica industriale ed energetica a livello
europeo di sviluppare nuove politiche comuni, per esempio
nel settore della ricerca, delle telecanunicazioni, della
biotecnologia, dell'innovazione, ecc.
b) in secondo luogo, l'ormai totale esaurimento, già nel
corso del 1983, delle possibilità aggiuntive di finanzia-
mento del bilancio canunitario, consentite dall'attuale
regime delle "risorse proprie" della Comunità, e l'in-
fluente bisogno di avviare e portare a termine il lungo e
difficoltoso processo di revisione di tale regime, onde
far affluire nuove risorse nelle ormai esauste casse co-
muni tari e. A tale fine, la Commissione aveva dapprima
esposto nel gennaio 1983, in un apposito "libro verde
( 1), le grandi linee della sua concezione a questo ri-
guardo ed aveva successivamente presentato, all'inizio di
maggio, dopo aver raccolto il parere del Parlamento e del
Consiglio, un progetto di decisione, destinato a sosti-
tuire la decisione del Consiglio del 21 aprile 1970 sulle
risorse proprie, che è alla base del regime attuale (2).
In esso, la Commissione proponeva da una parte di portare
all'1,4% l'attuale limite superiore dell'1%, che la deci-
sione del Consiglio del 1970 aveva introdotto per le ri-
sorse derivanti dall'Iva, e dall'altra di diversificare
in via transi tori a il sistema di finanziamento tramite
l'Iva, in maniera che esso rispecchiasse meglio per quan-
to concerne le entrate, l'attuale preponderanza della
agricoltura sotto l'aspetto delle spese;
c) infine, la prospettiva, che a molti era parsa imminente
già da molto tempo, soprattutto per le difficoltà insorte
nell'adattamento in via pregiudiziale delle organizzazio-
ni di mercato di talune produzioni mediterranee agricole
ma che ora, pareva dovesse essere retrocessa nel tempo
con conseguenze disastrose per la sua stessa credibilità
politica, del suo nuovo ampliamento della Comunità alla
Spagna e al Portogallo.
In questo contrasto, la pregiudiziale della revisione
della politica agricola canune ( pac) assieme alla necessità
di trovare una soluzione duratura all'annoso problema degli
squilibri finanziari nei confronti del bilancio canunita-
rio, in particolare per quanto riguarda la Gran Bretagna,
hanno assunto ancora una volta un ruolo determinante nel
corso degli infruttuosi negoziati che si sono svolti nel
1983. Non è, d'altra parte, sorprendente che, proprio nel

40
memento in cui si è prospettata la necessi t~ di mettere in
atto nuove poli ti che canuni e di affrontare le questioni
più scottanti dei negoziati per il secondo ampliamento a
sud della Canuni tà, si sia voluto, soprattutto da parte di
taluni Stati membri, instaurare pregiudizialmente una di-
sciplina rigorosa che consentisse di tenere sotto controllo
l'evoluzione delle spese comunitarie, ed in particolare
delle spese agricole.
La ne cessi t~ di assicurare un'oculata gestione finanzia-
ria delle risorse disponibili a livello canunitario nel mo-
mento in cui l'intervento pubblico in quasi tutti gli Stati
manbri è improntato alla massima prudenza e all'esigenza di
contenere il disavanzo pubblico entro limiti ragionevoli
l'urgenza di mettere un freno all I espansione incontrollata
della spesa agricola, che accentua, peraltro, gli squilibri
finanziari di taluni Stati menbri nei confronti del bilan-
cio comunitario, l'esaurimento ormai pressochè completo
delle possibili t~ di accesso a nuove risorse proprie, alme-
no fino a quando non sia stata ratificata dai parlamenti
nazionali la modifica dell'attuale regime, la prospettiva
infine di nuovi fabbisogni finanziari per far fronte alle
conseguenze sulle poli ti che in atto del nuovo ampliamento e
per consentire l'avvio di nuove politiche comuni: ecco una
serie di ragioni, praticamente tutte di ordine finanziario,
che costituiscono il substrato JX)litico ed econanico in cui
affonda le sue radici la nuova fase dì adattamento della
politica agricola comune che si è aperta nel corso del
1983.
Eppure, malgrado 1 1 indubbia consistenza delle considera-
zioni di bilancio che stanno alla base di questa ennesima
"riforma 11 della Pac, sbaglierebbe chi vedesse in essa e-
sclusivamente una operazione di puro e sE!Tlplice ridimensio-
namento finanziario di tale politica od un'occasione per i
n6llici della Pac per tentare di smantellare anche quanto di
positivo è stato costruì to in quest'ambito durante quasi
venticinque anni di proficua cooperazione tra Stati manbri.
Se la matrice "finanziaria" della riforma non può essere
misconosciuta, è anche vero che le ragioni più eminentemen-
te economiche, e che attengono tanto agli sviluppi
dell'agricoltura europea nel corso delgi anni, che ai cam-
biamenti intervenuti nel contesto internazionale in cui es-
sa è costretta ad operare, hanno assunto via via un ruolo
determinante fra i motivi ispiratori della riforma.
Quali sono, in sintesi, queste cosiderazioni di crdine
più prettamente econanico che avrebbero in ogni caso indo~
to prima o poi le istanze canunitarie, indipendentffilente
dai vincoli di bilancio di cui s'è detto, a porsi seriamen-
te il problema di un'agricoltura europea la cui capacità

41
produttiva è cresciuta - e continua a crescere - non sol-
tanto al di là della capacità di assorbimento del mercato
interno, ma anche delle reali possibilità di collocamento
sui mercati mondiali? Sono, in sostanza, le stesse conside-
razioni che hanno indotto negli ultimi anni anche altri
grandi paesi produttori, quali gli Stati Uni ti e il Canada,
ad assumere misure di controllo o di limitazione
dell'offerta di prodotti agricoli, e cioè principalmente
l'espansione sempre più sostenuta della produzione agrico-
la, determinata dal miglioramento delle rese e delle tecni-
che di produzione.
La produzione di latte nella Comunità è ad esempio cre-
sci uta ultimi dieci anni di circa il 30% pur essendo
rimasto pressochè invariato il numero complessivo di vacche
da latte. La produzione di cereali è aumentata di il
40%, nello stesso periodo, grazie essenzialmente.
all'espansione delle rese e all'introduzione di nuove va-
rietà sempre più produttive. La produzione di zucchero è
aumentata di un terzo nell'ultimo decennio, dopo aver toc-
cato una punta massima superiore di oltre il 60% all 1 inizio
degli anni Ottanta. E esEmPi potrebbero continuare;
un aumento relativamente modesto, o talvolta una stasi e
persino una contrazione della domanda interna di prodotti
agricoli e alimentari, da imputarsi sia alla crescita
dEmografica limitata, sia alla saturazione - anche fisio-
logica - del fabbisogno alimentare individuale per la
maggior della popolazione nei sviluppati. Il
consuno umano di cereali all'interno della Comunità è,
praticé'ronte stazionazio da dieci anni a questa parte,
quello dei prodotti lattiero-caseari è cresciuto di appe-
na lo O,5% all 1 anno mentre il consumo procapi te del vino
è addirittura sceso dell'1% all'anno tra il 1972 e n
1980/81;
una domanda mondiale solvibile che, a prescindere da varia-
zioni erratiche di più o meno breve durata, e talvolta di
grande ampiezza, evolve tendenzialmente ad un ritmo del
tutto insufficiente a consentire lo smercio della totali-
tà dell'offerta alimentare a prezzi rElTlunerativi.
Di fronte a una dinamica cast divergente tra produzione e
consuno, di fronte all'espandersi a dismisura degli stocks
invenduti, di fronte alla crescente difficoltà di trovare
sui mercati interni ed internazionali, malgrado le sovven-
zioni accordate, nuovi stocchi commerciali ad una produzio-
ne agricola in continua progressione, era inevitabile che
la Comunità, in tutte le sue istanze si ponesse seriamente
la questione se fosse ancora economicamente sano, prima an-
cora che finanziariamente possibile, assicurare ai produt-
tori, nell I ambito della pac, una garanzia piena di prezzo e

42
di mercato per delle quantità illimitate di produzione.
Erano state considerazioni di questa natura che 1 1 avevano
indotta ad introdurre delle limitazioni alla garanzia ac-
cordata ai produttori in diversi settori (cereali, latte,
colza prodotti trasformati a base di pomodori) ( 3). Sono
sostanzialmente le stesse considerazioni di ordine economi-
che che, insieme a quelle di carattere finanziario o dina-
tura politica che abbiamo già indicato, stanno alla base
della nuova fase di revisione e di adattamento della Pac
avviata nella seconda metà del 1983.

Il mandato del Consipio europeo di Stoccarda. - L' impul-


so a proseguire con piu decisione e con maggior vigore sul-
la strada già tracciata nel rapporto della Commissione sul
mandato del 30 maggio 1980 ( 4) e nel memorandum complemen-
tare sui nuovi orientamenti della ~olitica agricola comune,
dell'ottobre 1981 (5), è venuto dalla riunione dei capi di
Stato e di governo, che si è tenuta a Stoccarda, sotto la
presidenza del cancelliere tedesco Helmut Kohl, dal 17 al
19 giugno 1983. Avrebbe dovuto essere, questa, nelle
aspettative di molti, la riunione risolutiva per fare
uscire la Comunità dall 1 impasse decisionale e dalla crisi
di identità in cui essa si trascinava ormai da molti mesi
dopo l I esito del udente dei consi gl ìi europei che si erano
tenuti rispettivamente a Copenaghen alla fine del 1982 e a
Bruxelles nel marzo 1983. A parte, tuttavia, la dichiara-
zione solenne sull'unione europea, frutto della cooperazio-
ne i tale-tedesca, quella di Stoccarda è stata invece essen-
zialmente la riunione delle decisioni di procedura e della
dichiarazioni di intenzioni, in vista di accordi e di deci-
sioni di merito rinviate alla riunione successiva del Con-
si io europeo che si sarebbe tenuto ad Atene all'inizio di
dicembre.
Quanto meno un merito va tuttavia ascritto a questa enne-
sima .riunione al vertice e ai lavori preparatori che
l'hanno preceduta: quella di aver fatto apparire alla luce
del sole quella trama sottile e mai troppo esplicita di
condizionamenti reciproci, di pregiudiziali incrociate, di
correlazioni tra le soluzioni da dare ai diversi problemi
sul tappeto, che avevano di fatto bloccato per mesi il pro-
cesso decisionale comunitario.
E sul parallelismo delle soluzioni nonchè a spingere ver-
so la "globalizzazione" dei problemi è stata questa volta
soprattutto la presidenza tedesca disponibile' a mostrarsi
più aperta che in passato sull 1 aumento futuro della risorse
proprie e sullo sviluppo di nuove politiche comuni a condi-
zione, tuttavia che venissero contemporaneamente affrontati
il problema della riduzione i squilibri di bilancio de-

43
gli stati membri interessati, essendo la Germania, insieme
al Regno Unito, il più grande contributore netto al bilan-
cio comuni tari o soprattutto quello della limitazione del
tasso di crescita delle spese agricole, considerata anche
dal Regno Unito e dall'Olanda come la condi ti~sine-qua-non
per tutta l'azione di rilancio ed ampliamento della Ccmuni-
tà.
Mette conto peraltro rilevare, a riprova dell'importanza
assunta in questo contesto dai problemi inerenti alla 1 i-
quidazione delle spese agricole, che neanche la delegazione
italiana - in genere abbastanza riservata su questo terre-
no - era questa volta del tutto al iena da preoccupazioni di
questa natura. In un memorandum inviato a fine aprile ai
colleghi della Ce e al presidente della Commissione, Ga-
ston Thorn, in ministro degli esteri italiano, Emilio C~
lembo, sviluppava infatti una serie di "riflessioni pers~
nali ", in vista della riunione di Stoccarda, affermando,
tra l'altro: "La Comunità europea non può realizzare nuovi
progressi, in particolare nella prospettiva del suo amplia-
mento, senza un aumento delle risorse proprie di cui essa
dispone. Ma una decisione posi ti va sull'aumento delle ri-
sorse comuni tari e non ci esime dall'adottare delle disci-
pline più rigide di quelle esistenti attualmente al fine di
permettere un controllo più efficace delle spese". Una del-
le condizioni essenziali di accesso alle nuove risorse pr~
prie - proseguiva il memorandum - "è senza alcun dubbio il
controllo rigoroso delle spese agricole. Di fatto, questo
controllo non potrà esercitarsi che a prezzo di una revi-
sione dei meccanismi attualmente previsti per le differenti
produzioni, non allo scopo di modificare i principi sui
quali la Pac si fonda ma unicamente di correggerne taluni
effetti perversi (per esempio, nel caso di produzione che
non hanno praticamente più alcun rapporto con l'attività
agricola propriamente detta)" (6).
La Commissione, dal canto suo, in vista del Consiglio
europeo di Stoccarda, aveva discusso all'inizio di giungo
la posizione da adottare in tale occasione sul problema
della limitazione delle spese agricole e, più in generale,
sugli adattamenti da introdurre nella politica agricola
comune per frenare l'espansione delle spese e delle ecce-
denze agricole. L'idea, avanzata da taluni, di un contin-
gentamento della spesa agricola al livello già iscritto nel
bilancio preliminare per l'anno 1984 (16,5 miliardi di
Ecu), e quella di coprire l'eventuale fabbisogno aggiuntivo
mediante drastiche misure di penalizzazione dei produttori,
sono state collegialmente scartate. La Commissione ha
tuttavia sottoposto al Consiglio eruopeo una ccmunicazione
in cui essa definiva quelli che, a suo parere, avrebbero

44
dovuto essere i nuovi orientamenti per lo sviluppo ulterio-
re della politica agricola canune ( 7). Partendo dalla con-
statazione che le riserve di produttività dell'agricoltura
canuni taria lasciano presagire ancora per molto tempo un
aumento continuo della produzione, in particolare nei set-
tori eccedentari, e che le misure di limitazione della ga-
ranzia già introdotte in alcuni settori non avevano impedi-
to che la spesa agricola canune fosse destinata a crescere
nel 1983 di oltre il 30% rispetto all'anno precedente, la
Commissione suggeriva al Consiglio europeo di adottare i
seguenti orientamenti, pur salvaguardando i principi fonda-
mentali della Pac:
una politica prudente dei prezzi agricoli;
una "modulazione 11 delle garanzie offerte ai produttori, al-
lorchè la produzione eccede certi livelli, da applicare
con modalità tali da avere un effetto dissuasivo sulla
produzione e assicurare una reale limitazione delle spe-
se. Si trattava, in sostanza, non soltanto di rinforzare
e completare il regime delle limitazioni della garanzia
già in vigore, ma anche di recuperare alcune delle idee
già sviluppate dalla Commissicne negli ultimi anni, ma
che non avevano trovato sufficienti consensi in seno al
Consiglio (ad esempio nel settore del latte, un 11 super-
prelievo" a carico dei produttori che aumentavano la loro
produzione e un "prelievo specifico" sugli allevamenti
intensivi).
La Commissione, dal canto suo avrebbe proceduto ad un esame
sistanatico delle spese agricole per determinare se certe
econcmie supplementari di gestione fossero state possibi-
li, nonchè ad un esame del sistema di protezione esterna
dell' agri col tura europea per vedere in che misura fosse
stato possibile apportarvi i correttivi che si ritenevano
opportuni, pur nel rispetto delle obbligazioni interna-
zionali della Canunità.
La Commissì.one annunciava, infine, la presentazì.one di
misure intese ad organizzare 1 1 eliminazione progressiva
degli importi compensa ti vi monetari.
La messa in atto di tali orientamenti avrebbe dovuto per-
mettere, secondo la Commissione, il conseguimento del-
1' obiettivo di un tasso medio di evoluzione delle spese
agricole comuni. tari e inferiore al tasso di incranento
delle risorse proprie della Canunità.
Più che un'assise deliberante sui problemi in sospeso, la
riunione di Stoccarda è stata, tuttavia, cane s'è detto,
una occasione per mettere a punto un programma di lavoro in
vista di una decisione di merito nella succesiva riunione
che si sarebbe tenuta ad Atene a fine anno. In considera-
zione dell'importanza, della canplessi tà e dell' intercon-

45
nesione dei problemi, il Consiglio europeo aveva deciso che
sarebbero stati avviati negoziati, con "una particolare
procedura d'urgenza" sui seguenti temi: futuro finanziamen-
to della Canunità, sviluppo delle politiche canunitarie,
problemi connessi con 1' ampliamento, "problemi special i di
alcuni Stati membri nel settore del bilancio e in altri
settori 11 (leggi, rimborso al Regno Unito e alla Repubblica
federale Tedesca), e, last but not least, "necessità di una
più severa disciplina di bilancio".
"I negoziati - precisava la "dichiarazione 11 adottata dai
Dieci - avranno per obiettivo l'esame di tutte le politiche
esistenti con particolare riguardo alla politica agricola
comune" al fine, in particolare, di "assicurare 1' efficacia
delle poli ti che rispetto ai loro costi e la realizzazione
di economie ogni qualvolta ciò sia possibile. Alla politica
agricola canune era, peraltro, consacrato uno dei capitoli
più anodini della "dichiarazione 11 • La Commissione era in-
vi tata, in effetti, ad effettuare 1 • esame di una lunga se-
rie di questioni che praticamente coprivano quasi tutti gli
aspetti della Pac ( dalla politica dei prezzi alla politica
agricola esterna, dal problema degli importi compensativi
monetari al problema degli agricoltori o delle zone svan-
taggiate), ed a presentare 11 adeguate proposte 11 entro il 1°
agosto 1983. Nulla di più, ma nemmeno nulla di meno. Segno,
questo, da una parte, che per conseguire un accordo di mas-
sima, non si era voluto per ora entrare nel merito delle
possibili soluzioni alle questiord sollevate, e dall I al tra
che, benchè il controllo effettivo della spesa agricola re-
stasse l'obiettivo prioritario di questo esame, come chie-
devano molte delegazioni del Nord-Europa, esso avrebbe do-
vuto estendersi anche ad al tre questioni particolarmente a
cuore a talune delegazioni, canprese quella italiana (ad e-
sempio il rispetto della preferenza comunitaria, i problemi
delle regioni mediterranee, ecc.). Affinchè, tuttavia, fos-
se chiaro che non potevano esserci 11zone franche" e che
nessuno poteva essere in qualche modo esonerato dal parte-
cipare agli sforzi comuni, intesi ad assicurare il control-
lo della spesa agricola, la "dichiarazione" adottata alla
fine dei lavori insisteva sia sulla necessità di passare in
rassegna tutte le organizzazioni di mercato per i prodotti
agricoli "sfruttando appieno tutte le possibilità", sia
sulla necessità che tutti gli Sta ti membri dovessero
11
contri bui re a realizzare economie".
Un linguaggio, cane si vede, non del tutto cristallino ed
esso stesso componente essenziale del delicato equilibrio
che sorreggeva il canunicato finale. Ciò spiega perchè, a
conclusione dei lavori, come del resto succede regolarmen-
te, ciascuno dei partecipanti abbia rilasciato dichiarazio-

46
nì che davano interpretazioni spesso contrastanti sugli
orientamenti assunti in relazione alle questioni agricole.
Cosi, ad esempio, per il primo ministro olandese, Rund, do-
po la riunione di Stoccarda nessuno poteva più
"sacralizzare" la pac. Per il presidente del Consi io ita-
liano, Amintore Fanfani, al contrario, l'orientamento ini-
ziale sulla Pac era stato completamente ribaltato: non più
''tagli " alla cieca e orizzontali della spesa agricola, ma
un controllo efficace e il riconoscimento esplicito del
problema dei prodotti mediterranei e del rinforzamento del-
la preferenza comunitaria.

Le ro oste di riforma della Commissione. - Con la con-


clusione del Consiglio europeo di toccarda si è aperta una
delle fasi di più intensa e di più spasmodica attività nel-
la vita delle istituzioni ccmuni tari e, in particolare della
Commissione e del Consiglio dei ministri. Peccato che, tan-
to dinamismo nell'esecuzione del mandato di Stoccarda, a
livello dell'elaborazione delle proposte e della discussio-
ne delle stesse, secondo una ccmplessa procedura d'urgenza
messa in atto per assicurare la globalità dell'approccio e
il parallelismo delle decisioni, non sia stato tempestiva-
mente coronato dal successo che certamente meritava.
E' trascorso in effetti, un anno dalla riunione di Stoc-
c3rda, col ritorno alle procedure normali di decisione,
perchè maturasse la volontà politica di arrivare ad un ac-
cordo e perchè si chiudesse a Fontainebleau, nei pressi di
l-';;il"i , uno dei capitoli più drarrrnatici della vita della
Ccrnuni tà.
M8 procediamo per ordine, a cominciare, appunto, dalla
procedura. Per intraprendere la "vasta azione per rilancia-
re 1a Comunità europea" decisa a Stoccarda, i Dieci avevano
deciso, cane abbiamo detto, di ricorrere ad una "procedura
d 1 Lwgenza particolare". Questa prevedeva la convocazione di
ses.'ìionj_ speciali del Consi al livello dei ministri de-
i esteri e dei. ministri delle finanze, alle quali, se ne-
ces:,ario, avrebbero partecipato anche altri ministri, in
partkolare quelli dell I agri col tura. Una procedura, questa,
certamente atta ad assieurare quella "globali tè" dei nego-
z iati da molti ritenuta indispensabile al successo
dell'impresa ma che di fatto sanzionava, e in maniera piut-
tosto platea1e, la preminenza dell'approccio finanziario ai
problemi su più strettamente tecnico e settoriale.
Un'opzione, questa, che non deve aver certo rallegrato i
ministri dell 1 agricoltura dei Dieci, che si vedevano così
e~1autorati di fatto dalle decisioni fondamentali inerenti
al futuro della politica agricola ccmune. Ad essi veniva
tuttavia lasciata la consolazione di poter essere di volta

47
in volta investi ti della preparazione dei lavori del Consi-
glio speciale, su preciso e specifico mandato di
quest'ultimo.
La Commissione, dal canto suo, si è trovata, all'indomani
del Consiglio europeo di Stoccarda, nella necessit~ di ese-
guire in poco più di un mese, e cioè entro la fine di lu-
glio, un mandato politicamente difficile e particolarmente
impegnativo ed ambiguo: quello, appunto, di presentare,
"adeguate proposte" sulla riforma della pac. E questo in un
manento in cui la spesa agricola svettava ad un livello su-
periore del 40% a quello dell'anno precedente ed essa era
costretta a presentare, per la seconda volta nel corso del-
1' anno, un nuovo progetto di bilancio suppletivo per
l'esercizio 1983, per un importo pari a 2,38 miliardi di
Ecu (di cui 1 ,8 miliardi per il solo settore agricolo) ve-
nendo cosl ad esaurire completamente il margine di aumento
delle spese offerto dall'attuale sistema delle risorse pro-
prie. E' in questo conteso di pesante peggioramento della
situazione finanziaria della Canunit~, di esaurimento delle
risorse proprie e di estrena precariet~ della coesione co-
munitaria che la Canmissione ha presentato, a fine luglio,
dopo una frenetica attivit~ di preparazione ed una laborio-
sa fase decisionale, una proposta globale di adattamento
della politica agricola comune alle nuove condizioni in cui
essa è chiamata ad operare e che va bene al di 1~ del qua-
dro strettamente finanziario in cui il mandato di Stoccarda
senbrava circoscriverla (8).
Pur respingendo qualsiasi tentazione maltusiana di limi-
tazione del potenziale agricolo canunitario, la Canmissione
affermava nel suo documento che se l'agricoltura comuni ta-
ria deve riuscire -com'è logico - ad espandere le proprie
esportazioni ed a mantenere la propria parte sul mercato
mondiale, deve anche accettare in misura crescente le di-
scipline di mercato cui sono soggetti altri settori
dell' econania canuni tari a. L'accento deve perciò essere po-
sto sempre sulla produzione ad un prezzo competi ti vo, senza
ignorare tuttavia le conseguenze di natura econanica e so-
ciale delle misure di adattamento che si rendono necessa-
rie.
Partendo da queste premesse, la Commissione formulava una
serie di proposte di adeguamento della Pac sull'insieme
delle questioni menzionate nel mandato di Stoccarda nella
convinzione che un tale adeguamento potesse "essere effet-
tuato efficacemente soltanto se i relativi oneri verranno
equamente riparti ti tra i vari Stati menbri, tra le varie
organizzazioni di mercato ed - in genere - tra le varie
parti interessate".
Esse possono essere cosl sintetizzate:

48
il proseguimento dell'applicazione dei "limiti di garanzia"
già in vigore per il latte (salvo le modifiche fondamen-
tali nelle modalità di applicazione indicate qui di se-
guito), i cereali, i trasformati di panodoro e la colza.
L'estensione, a partire dalla successiva campagna, di
questa misura ad altri prodotti eccedentari o in procinto
di diventarlo o che avevano accusato una rapida scresci ta
delle spese di sostegno da parte del Feoga (grano duro,
uva secca e girasole), senza escludere la possibilità di
proporre in futuro una misura analoga nel settore delle
carni bovine "qualora la situazione econcmica lo esiga";
una politica restrittiva in materia di prezzi, che avrebbe
potuto eventualmente tradursi, soprattutto quando la si-
tuazione di mercato è particolrmente difficile, in un
congelamento o in una riduzione dei prezzi istituzionali
fissati dalla Canuni tà. Per quanto riguarda, in partico-
lare, il settore dei cereali, la Commissione continuava a
sostenere la necesi tà di una graduale riduzione del diva-
rio esistente tra i prezzi della Comunità e quello dei
suoi principali concorrenti. E questo non solo nell'inte-
resse di una produzione più competitiva dei cereali comu-
ni tari, ma anche in considerazione dell'importanza dei
costi dei cereali e dei foraggi nell' econooiia della pro-
duzione animale;
l'introduzione, nel settore lattiero-caseario, di un siste-
ma di quote di produzione, sulla base delle quantità pro-
dotte nel 1981, aunentate dell'1%, e l'applicazione di
una "supe!"-tassa" particolannent,e disincentivante a cari-
co dei produttori sulle quantità eccedenti le rispettive
"quote di produzione". Una soluzione, questa, certamente
probl6llatica, agli occhi della Corr,.missione giudicata as-
solutamente indispensabile per frenare la progressione
della produzione lattiero-casearia e comunque preferibile
ad un drastico taglio sui pr_ezzi garanti ti di cui benefi-
ciano i produttori.
Questa misura era accompagnata peraltro, dalla proposta di
introdurre uno speciale prelievo sul latte proveniente
dalle aziende a produzione intensiva, le cosiddette
"f abbriche di latte" installate sulle coste nordiche;
il progressivo ritorno alJ. 1 unidtl:! dei prezzi e dei mercati
agricoli nella Comunità mediante J.l-introduzione di dispo-
sizioni che consentissero un più rigoroso ed autanatico
smantellamento degli. importi compensativi monetari
(i.c.m.), ed in particolare di quelli positivi applicati
dagli Stati mffnbri a moneta rivalutata ( in due tappe agli
i.c.m. esistenti, in tre tappe i futuri i.c.m. che si sa-
rebbero creati dopo l' fotroduzione delle nuove disposi-
zioni);

49
l'introduzione di una tassa sulle materie grasse diverse
dal burro (olio d'oliva canpreso) importate o prodotte
nella Comunità. Il ricavato di tale tassa a carico del
consumatore ccinuni tario ( stimato a circa 600 milioni di
Ecu) avrebbe dovuto contribuire al finanziamento
dell'organizzazione ccrnune di mercato dell'olio d'oliva
nella prospettiva dell'adesione della Spagna;
la revisione o la sospensione di taluni aiuti e premi
concessi nel quadro della Pac che, per la Commissione,
non senbravano essere giustificabili dal punto di vista
econanico o della loro reale efficacia (soppressione del
premio alla nascita dei vitelli, applicabile in Grecia,
Italia e Irlanda e del prenio variabile applicato nel
settore bovino in Gran Bretagna, revisione del regime di
aiuti per alcuni ortofrutticoli trasformati e per l'olio
d'oliva, ecc.);
sul piano delle relazioni esterne: a) elaborazione di una
politica a livello canunitario intesa a pranuovere le
proprie esportazioni su una "base econa:nica sana" .<vale a
dire riavvicinando i prezzi ca:nunitari a quelli interna-
zionali>; b} riesame dei regimi applicabili all'importa-
zione per i diversi prodotti in maniera da garantire che
la preferenza comunitaria venga rispettata in maniera più
soddisfacente;
la possibilità di introdurre - se necessario - ulteriori
misure volte ad alleviare le eventuali conseguenze di ·
questo processo di razionalizzazione della Pac sui reddi-
ti di taluni piccoli produttori, o di produttori situata
in regioni meno favorite;
come parte integrante della suddette proposte di raziona-
lizzazione della pac, · la Ccmnissione suggeriva inoltre
una serie di "direttive finanziarie" onde tenere sotto
controllo l'evoluzione .delle spese canunitarie ed in
particolare della spese agricola. Per conto suo, la Com-
missione si dichiarava decisa ad adottare un orientamento
qualitativo che l'avrebbe guidata nella propria gestione,
in modo da garantire che il tasso di aumento delle spese
agricole (come media colcolata sull'arco di vari anni>
rimanesse inferiore a quello delle risorse proprie della
Comunità;
infine la Commissione sottolineava che l'insieme di queste
misure andava considerato nel contesto più generale della
azioni già intraprese o da proporre nel quadro della pac,
ed in particolare: l'adozione dei programmi integrati me-
di terranei, che la Commissione aveva proposto nel marzo
dello stesso anno; la revisione imminente delle dir-ettive
socio-strutturali per l'agricoltura, che scadevano alla
fine del 1983; il miglioramento dell'efficacia dei fondi

50
strutturali, su cui la Commissione presentava contempora-
neamente una canunicazione separata al Consiglio (9).
La Commissione forniva, alla fine del documento, una va-
lutazione delle conseguenze finanziarie delle misure
sull'evoluzione conseguenze finanziarie delle misure propo-
ste sull'evluzione della spesa agricola. Nel caso in cui le
misure proposte fossero state integralmente adottate in ma-
niera da essere applicate fin dalla ccmpagna 1984, essa
prevedeva un'econcmia di spesa, rispetto all'evoluzione
"normale", di 2,5 miliardi di Ecu per il 1984 85, di 2,9
mili ardi di Ecu per il 1 985 86 e di 3 ,2 miliardi di Ecu per
il 1986 87, senza contare le econanie per gli anni succes-
sivi. La Commissione insisteva, infine, sulla necessità di
prendere adesso le decisioni necessarie onde evi tare
"conseguenza negative non solo _per la politica agraria ma
anche per lo sviluppo della Comunità stessa" e
sull'opportunità che tutte le parti interessate fossero di-
sponi bili "a fare concessioni e sacrifici nell'interesse
della tutela del funzionamento della Pac.
Benchè i problemi di ordine finanziario costituiscano una
delle ragioni fondamentali di queste proposte. Si tratta,
cane si vede, nol te di più di una semplice esercì tazione
contabile intesa a garantir~ un impiego più accorto dei
fondi ccmuni tari, e, almeno nell'ambizione della Corrmissio-
ne, di una testimonianza della "volontà di apportare tutta
la sua capacità di lavoro e di immaginazione allo sforzo di
rilancio europeo" ( 10). Certo, a prima vista, non si tratta
di una riforma fondamentale e sconvolgente della pac, i-
seri vendosi es sa nel contesto del processo di rev ìsi one di
questa politica già in corso dall'inizio degli anni Ottan-
ta. Tuttavia il "memorandum" della Commissione contiene più
d'una novità di rilievo, e più d'una selta che non esite-
remmo a definì re "coraggiosa" in particolare per quanto ri-
guarda l'introduzione nel settore lattiero-caseario delle
quote di produzione e del prel ievo sulla produzione inten-
siva, la proposta rel ativa alla tassa sulle materie grasse
- idea più val te esaminata e sempre abbandonata in passa-
to - , nonchè le proposte relative all o smantellamento
"autanatico" degli importi compensativi monetari.
E' vero che alcune di esse altro non sono, in realtà, che
una riformulazione o una ripresentazione di misure già di-
scusse o proposte in precedenza, ma che non avevano finora
superato il muro di ostilità che si era formato intorno ad
esse in seno alla stessa Commissione o al Consiglio. Tutta-
via è già significativo che la Commissione le avesse recu-
perate e presentate nel nuovo contesto dì riforma e di ri-
lancio delle poli t i che comuni. Quello che, inoltre, questa
volta rendeva ciascuna di esse più "credibile" politicamen-

51
te e, in teoria, più facilmente 11 praticabile 11 rispetto al
passato, era anzitutto la situazione di emergenza finanzia-
ria che, come abbiamo detto, si era andata del inenado nel
corso dell'anno e che, cane vedremo, avrebbe assunto conno-
tati ancor più drammatici nel prosieguo dell'anno. In se-
condo luogo, l'equilibrio, particolarmente accurato, che si
era cercato di instaurare, non solo tra le diverse misure
proposte all I interno del pacchetto agricolo, ma anche tra
questo e l'insieme delle al tre grandi opzioni sottoposte ai
capi di Stato e di governo che si sarebbero riuniti ad Ate-
ne all'inizio di dicembre: aumento delle risorse proprie,
soluzione del problema britannico, rilancio delle al tre po-
litiche comuni, rispetto di una più rigorosa disciplina di
bilancio, ampliamento a Spagna e Portogallo.
Ciò non toglie che, di fatto, come abbiamo detto si sia
dovuto attendere praticamente un anno, alla fine di una se-
rie estenuante di negoziati, perchè la situazione di impas-
se politica e finanziaria in cui la Canunità si dibatteva
fosse, almeno manentaneamente, sbloccata. Senza voler smi-
nuire la portata delle difficoltà insorte nel quadro della
revisione della pac, resta tuttavia il fatto che è proprio
su questo terreno che si sono potuti più rapidamente rea-
lizzare incoraggianti progressi verso una soluzione di com-
pranesso. L'avere disinnescato la mina agricola, nel marzo
1984, con le decisioni sui prezzi agricoli per la campagna
1984 e le misure di razionalizzazione della pac, ha co-
stitui to, anzi, un potente incentivo che ha consentito ai
capi di Stato e di governo, riuniti in marzo a Bruxelles e
in giugno a Fontainebleau, di progredire nell'esame e nelle
deliberazioni sugli altri dossiers, connessi con quello
agricolo.

La preparazione del vertice di Atene. - E' difficile po-


ter dare canpiutamente conto,, in questa sede, degli svi-
luppi dei negoziati preparatori del vertice che ha avuto
luogo, ad Atene, dal 4 al 6 dicembre 1983, anche se voles-
simo limitarci ai soli aspetti agricoli. DalP8 luglio, da-
ta del primo "Consiglio speciale" istituito per preparare
il "dopo Stoccarda", alla vigilia del Consiglio europeo di
Atene, è stato infatti un susseguirsi, spesso convulso, di
riunioni di gruppi di lavoro ("ad hoc, ad 11 al to livello",
11 gruppo unico di preparazione", ecc.) e di Consigli
( 11 ordinari 11 e "speciali") a vocazione "settoriale" ·o
"generale , di cui sarebbe troppo lungo riferire in questo
11

contesto. Sul piano della procedura mette conto, tuttavia,


dì rilevare, che se la leadership dei negoziati preparatori
del vertice di Atene è restata, com'era stato deciso a
Stoccarda, nelle mani dei responsabili delle diplanazie na-

52
zionali (vale a dire i ministri degli esteri), i ministri
delltagricoltura, nonchè delle finanze, sono stati tuttavia
strettamente associati alla preparazione delle deliberazio-
ni, partecipando essi regolannente alle riunioni dei
"Consì gli special i 11 •
Il Consiglio dei ministri dell'Agricoltura della Ce non è
stato invece fonnalmente investito, almeno fino all'inizio
de 1 1984 nè del progetto di riforma della Pac presentato in
luglio dalla Corrmissione, nè delle successive proposte con-
crete di re gol amento che ad esso hanno fatto seguito nel
corso dell'autunno.
E' stato il 30 agosto, con un certo anticipo rispetto al
calendario tradizionale dei lavori canunitari, dopo la pau-
sa estiva, eh e ha avuto 1 uogo, in seno al "Consiglio spe-
ci al e 11, il primo giro di tavolo sulle proposte di rifonna
della politica agricola comune presentate dalla Commissi~
ne. Tuttavia, già dal 16 agosto, con la prima riunione del
"gruppo ad hoc", gli esperti nazionali avevano avviato le
discussioni sul documento della Conmissione. Il 23 dello
stesso mese erano stati gli esponenti delle diplanazie na-
zionali a dibatterne nel "gruppo unico di preparazione".
Da tutte queste riunioni, che hanno consentito a ciascuna
delegazione di esprimere la propria posizione di partenza
all'avvio dei negoziati, un dato è enerso chiaramente: se
praticanente tutti gli Stati membri riconoscevano la neces-
si tè di razionalizzare la politica agricola comune, nessuno
di essi si dichiarava tuttavia incondizionatanente in favo-
re delle proposte della Commissione nel loro ·insieme e so-
prattutto di quelle che più li penalizzavano. In altri ter-
mini, tutti erano d'accordo sulla necessità di fare sacri-
fici, a condizione tuttavia che fossero sol tanto gli altri
a sopportarli. Al di là, comunque, di questa scontata posi-
zione di partenza, caninciavano ad emergere nettamente
quelle che sarebbero diventate le opzioni di fondo di cia-
scuna delegazione nei negoziati successivi.
Cosl, ad esempio, l'Italia, per bocca del suo nuovo mini-
stro degli esteri, Giulio Andreotti, affenr1av a la ne cessi tè
che il Consiglio speciale non si limi tasse ad affrontare i
problemi della riforma della pac, cane stava accadendo di
fatto nella riunione del 30 agosto. ma che esso discutesse
parallelamente anche degli altri dossiers ancora aperti, ed
in particolare degli sviluppi delle altre politiche ccmuni.
Per l'Italia, infatti, i sacrH:!.ci richiesti da tale opera-
zione sarebbero potuti diventare accettabili sol tanto se
avessero rispettato i principi d'equità e se il "mandato di
Stoccarda" fosse stato esercitato nello spirito di un ri-
lancio della Ccrnunità. Una rivendicazione, questa, che tut-
tavia pare abbia trovato scarso sostegno tra i suoi

53
partners più preoccupati di concentrare il tiro sugli a-
spetti specifici della riforma della pac. A questo riguardo
la maggior parte degli Stati membri si è dichiarata
d 1 accordo su una tica prudente dei prezzi agricoli; al-
cuni di essi, tuttavia, come il Regno Unito, hanno auspica-
to una politica dei prezzi più restrittiva, ccmbinata con
l'applicazione di limitazioni delle garanzie offerte ai
produttori e di una stretta disciplina di bilancio; altri,
come la Germani a, si sono dichiarati nettamente contrari a
qualunque riduzione ncminale dei prezzi istituzionali; al-
tri, infine, come l'Italia, hanno auspicato che tale poli-
tica prudente dei prezzi fosse acccmpagnata da misure spe-
cial i a beneficio dei paesi ad alto tasso di inflazione.
In favore di limitazioni generalizzate delle garanzie si
sono dichiarate, oltre a quelle britanniche, la delegazione
tedesca e belga, mentre quella italiana si è detta disposta
ad accettarla unicamente per le produzioni eccedentarie.
Divergenze notevoli sono apparse per quanto riguarda le
proposte della Commissione relative alla politica commer-
ciale della Ce in materia agricola: alcuni Stati membri (in
particolare la Francia) ritenevano, in effetti, che i
sacrifici richiesti ai produttori europei dovessero essere
accompagnati da una politica agraria di esportazione più
dinamica e da una politica di importazione più restrittiva
nei confronti di tal uni prodotti dei paesi terzi ( prodotti
sostitutivi dei cereali, soja, ecc.); altri (come l'Olanda,
princi e importatrice di tali prodotti) si attestavano
invece su una linea di maggiore prudenza in materia di po-
litica commerciale, sostenendo che fosse necessario evitare
conseguenze negative sulle relazioni con i princi
partners commerciali della Comunità.
Com'era da attendersi, le proposte della commissione sul-
lo smantellamento automatico per tappe prestabilite degli
importi ccmpensativi monetari, in particolare di quelli po-
si ti vi - applicati a 1' epoca dalla Germania,
dall'Olanda, dal Regno Unito e in misura minore dalla Dani-
marca - sono state giudicate totalmente inaccettabili dalla
delegazione della Repubblica federale tedesca, il paese
ormente penalizzato dalle modifiche proposte. Secondo
i calcoli forniti dalla delegazione tedesca, infatti, lo
wantellarnento di cinque punti di i. c.m. positivi che sca-
turiva dalle proposte della Commissione e la conseguente
riduzione dei prezzi di sostegno in Germania avrebbe provo-
cato una perdita di reddito per gli agricoltori tedeschi
valutata sul miliardo di Ecu, che sarebbe stato impensabi-
le, per Bonn, mettere a carico del bjlancio nazionale. Una
ore apertura a questo riguardo era stata espressa dal-
la delegazione olandese, mentre del Unito

54
- più che dello smantellamento dei propri i. c. m. positi-
vi - si preoccupava del fatto che eliminando automaticamen-
te anche quelli negativi applicati nei paesi a moneta sva-
lutata, aumentassero i prezzi agricoli in moneta nazionale
nei paesi interessati, e quindi l'onere per il bilancio co-
munitario.
Per quanto riguarda, infine, la tassa sulle materie gras-
se, essa ha suscitato una energica levata di scudi da parte
di quasi tutti i paesi nordici, ad eccezione del Belgio e
dell'Irlanda,. Ma essa non ha trovato convinti assertori
nemmeno fra i paesi mediterranei, probabilmente delusi che
essa colpisse non sol tanto la margarina, come avevano spes-
so auspicato in passato, ma anche l'olio d'oliva, con la
sola eccezione del burro.
E' praticamente su queste posizioni e con ben modesti
progressi verso una soluzione di compromesso nelle riunioni
successive che ci si è avviati all'appuntamento, dall'esito
sempre più incerto, fissato ad Atene per il 4 dicembre.
Lo scenario dei preparativi del vertice di Atene e della
riforma della politica agricola canune, che abbiamo· cercato
di delineare fin qui, sarebbe tuttavia notevolmente incom-
pleto se non ci si soffermasse più in dettaglio su quello,
che ha costituito lo scoglio principale di questo negozia-
to: l'introduzione di quote di produzione nel settore del
latte.

La proposta relativa all'introduzione di quote di produ-


zione nel settore del latte. - Il ricorso alle quote di
produzione nel settore del latte, benchè in contrasto con
la filosofia prevalentemente liberistica a cui si ispira la
politica agricola comune, e con la preoccupazione costante
della Commissione di evi tare una eccessiva burocr-atizzazio-
ne della sua gestione, costituisce di fatto l'estrema
ratio, sul piano politico ed economico, per spezzare la
spirale infernale dell'aumento delle eccedenze
lattiero-casearie e per evi tare, in definitiva, la banca-
rotta delle finanze comuni tari e. Almeno questa deve essere
stata la convinzione predominante nelle istanze comuni ta-
ri e, dal momento che la proposta della Commissione, malgra-
do le molte reticenze che essa ha suscitato nella fase ne-
goziale, ha finito per essere accettata, sia pure con qual-
che modifica, non solo dal Consiglio dei ministri della Ce,
ma anche in seno al Parlamento europeo.
Perchè, pur non entusiasmando nessuno, e men ché meno la
Commissione che pure l'ha proposto, il sistema delle quote
ha {j nito per imporsi, almeno come rimedio temporaneo e ra-
di r:éil.e all'espansione delle eccedenze nel settore lattie-
r,- :-:è',~eario? Perchè nessuna delle terapie messe in a~to ir.

55
passato per limitare l'espansione patologica delle ecceden-
ze in questo settore (dalla tassa di corresponsabilità alla
limitazione della garanzia e alla conseguente riduzione dei
prezzi allorchè i limi ti di garanzia sono stati superati),
vuoi perchè applicata in dosi troppo deboli, vuoi perchè
può aver talvolta prodotto effetti perversi - cioè contrari
all'obiettivo ricercato - si è rivelata pienamente adeguata
al male da curare. Il consumo umano di tutti i prodotti
lattiero-caseari nella Ce è, in effetti, aumentato annual-
mente dello 0,5% circa nel periodo 1974-1982 e ha raggiunto
gli 85, 3 milioni di tonnellate nel 1982. Nello stesso pe-
riodo la produzione di latte è aumentata ad un tasso medio
annuo del 2, 7%, raggiungendo un volume di oltre 100 milioni
di tonnellate nel 1982, con un'eccedenza quindi di oltre il
17% sui consumi. Malgrado le misure disincentivanti giì::1
adottate e in assenza di nuove radicali misure, la Canmis-
sione stimava che le eccedenze nel settore lattiero-
caseario all'orizzonte 1990 avrebbe raggiunto il livello
astroncmico di oltre 33 miliOni di tonnellate, e cioè poco
meno del 40% dei consumi canuni tari senza poter peraltro
contare su una significativa espansione della domanda mon-
diale, pressochè trascurabile in questo settore.
Senza proiettarsi e troppo in là nel tempo, era comunque
gi~ prevedibile che nel 1983 le consegne di latte alle lat-
terie sarebbero aumentate di quasi il 4% rispetto al 1982,
superando cosl di almeno il 6% il limite di garanzia fissa-
to dal Consigli o, per la campagna 1983/84, a 97 ,2 milioni
di tonnellate.
Di fronte ad una evoluzione di questa natura e avendo
presente il drammatico deterioramento della situazione fi-
nanziaria della Comunitì::1 nel corso del 1983, alla Commis-
sione si offrivano essenzialmente due soluzioni alternative
per arrestare l'emorragia finanziaria a cui l'avrebbe pre-
sto inevitabilmente condotta la marea di latte sotto cui
stava soccombendo la Comunitì::I:
al una drastica riduzione del prezzo di intervento del lat-
te, nella logica del regime dei limiti di garanzia giì::1 in
vigore, in maniera da scoraggiare la formazione di nuove
eccedenze. Secondo i calcoli della Commissione tale ridu-
zione avrebbe dovuto essere, tuttavia, di almeno il 12%
per la campagna 1984/85 per essere efficace e per poter
canpensare appieno la spesa supplementare derivante dal
superamento del limite di garanzia nel 1983. Una misura
di questo genere, secondo la Canmissione, avrebbe avuto
"ripercussioni gravi ed immediate sui redditi dei pro-
duttori ", mentre un effetto adeguato a 1 iv ello di pro-
duz ione avrebbe potuto essere raggiunto solo in tempi più
lunghi, il che sarebbe stato inconciliabile con gli impe-

56
rativi finanziari cui doveva far fronte la Comunità;
b) il contingentamento delle quantità prodotte, associato
con l'applicazione di prelievo particolarmente penaliz-
zante sulle quantità eccedenti il quantitativo di riferi-
mento attribuito ad ogni produttore.
Un meccanismo di questo genere secondo la Canmissione,
avrebbe consentito di stabilizzare la produzione di l atte,
senza aggravare il problema dei redditi dei piccoli produt-
tori. Al contrario, inoltr·e, della precedente soluzione,
esso sarebbe stato di rapido effetto, scoraggiando la pro-
duzione eccedente e, in caso di aumento della produzione,
la tassa introdotta avrebbe procurato introiti sufficienti
per coprire il costo dello 3llaltimento del latte eccedente
le quote di produzione.
Tra le due alternative, considerati i vantaggi e gli in-
convenienti di ciascuna, la Ccrnmisione si è orientata verso
questa seconda soluzione, ritenendo del tutto impraticabi-
le, tanto dal punto di vista econani co che poli ti co, una
riduzione dei prezzi di intervento nel settore del latte
dell'ordine del 12%, quale era postulata dalla prima alter-
nativa.
La Commissione aveva, per la verità, esaminato anche una
terza alternativa, e cioè la possibilità di maggiorare il
prelievo di corresponsabilità già in vigore nel settore
latti ero (all'epoca, pari al 2% del prezzo indicato del
latte}, differenziandolo perb in base al volume prodotto,
in modo da attutire gli effetti sui redditi dei piccoli
produttori. Tuttavia tale misura, per essere veramente ef-
ficace, avrebbe dovuto essere, secondo la Canmissione,
"talmente differenziata da provocare
- eventualemente - disparità fra gli Stati manbri, o forse
compromettere addirittura l' unità del meccanismo dei prez-
zi 11 • Ragione per la quale essa era stata totalmente scarta-
ta.
Certo, anche il regime delle quote non era immune da in-
convenienti: ad esanpio molti hanno rimproverato a questo
regime di introdurre un elanento di rigidità nell'attività
produttiva e nell'evoluzione strutturale del settore lat-
tiero. Tuttavia, non va dimenticato che, da una parte, un
obiet ,;ivo di questo genere è in parte espressamente perse-
gui to dal regime in questione. Dall'altra, onde limitare la
portata di tali inconvenienti aveva espressamente previsto
la posibilità di stabilire modalità di applicazioni appro-
priate (ad esanpio possibilità di trasferimento delle quote
tra produttori o latterie, ecc.).
E' soprattutto su queste propcste della Canmissione che,
com'era da prevedersi, i contrasti, fin ·dalle prime riunio-
ni preparatorie del vertice di Atene, sono stati più aspri

57
e le divergenze più ampie. Tre schieramenti sono sostan-
zialmente emersi fin dall'inizio dei negoziati:
a) quello dei paesi favorevoli al regime delle quote
seppure a malincuore e con qualche riserva sulle modalità
di applicazione (Germania, Danimarca, Paesi Bassi);
b) quello dei paesi favorevoli ad una drastica riduzione
dei prezzi di intervento (Regno Unito e Italia);
c) quello infine dei paesi favorevoli ad un aumento
modulato della tassa di corresponsabilità (Belgio, Lus-
semburgo e Irlanda).
Una posizione meno nettamente definì ta ha assunto invece
la Francia aperta a tutte le soluzioni, ma istituendo uno
stretto legame tra queste proposte e quelle relative
all'apertura di negoziati con gli Stati Uni ti per la stabi-
lizzazione delle importazioni dei prodotti sostitutivi dei
cereali.
La posizione di Parigi - aveva spiegato, a questo riguar-
do, il ministro francese dell'agricoltura, Michel
Rocard - sar~ differente a seconda che si tenga o meno con-
to del fatto che il problema delle ec·cedenze
lattiero-casearie è strettamente collegato alle importazio-
ni dei prodotti sostitutivi dei cereali.
Intanto, a met~ settembre la Ccrnuni tà aveva meglio defi-
nito gli elementi essenziali del regime delle quote, tradu-
cendoli in apposi te proposte di regolamento. ( 11) Esse pre-
vedevano fondamentalmente:
a) di applicare il regime delle quote a livello delle lat-
terie, e non del singolo produttore;
b) di colpire con una tassa comunitaria pari al 75% del
prezzo indicativo del latte le quantit~ di latte acqui-
state dalle latterie, in eccesso rispetto alla propria
quota;
c) di fissare le quote per latteria al livello degli acqui-
sti effettuati daqeste ultime nell'anno civile 1981, au-
mentate dell' 1% vale a dire - per la Comunit~ nel suo in-
sieme - in corrispondenza del limite di garanzia già
fissato dal Consiglio per l'anno 1983, che sarebbe stato
cosl congelato per gli anni a venire;
d) di consentire alle latterie di ripercuotere l'onere del-
la tassa sui produttori in funzione delle quantità di
latte che questi avevano conferito.
Inoltre la Ccmmissione aveva formalizzato la proposta di
colpire con un prelievo speciale del 4% del prezzo il latte
proveniente dagli allevamenti intensivi. Una misura, que-
sta, destinata all'origine a colpire - come in passato av~:-
vano chiesto diverse delegazioni, canpresa quella italia-
na - le cosiddette 11 industrie dal latte 11 situate in·
colare sulle coste nordiche (e che fanno massicciamente ri ,

58
corso ad alimenti concentrati d 1 importazione dai paesi ter-
zi) ma che ora anche l'Italia giudicava inaccettabile
( soprattutto per i suoi produttori di latte della Pianura
Padana), schierandosi cosl a fianco dell'Olanda e della Da-
nimarca.
Sul problema delle quote, nel prosieguo dei negoziati la
Francia e il Belgio erano passa ti decisamente sul versante
dei sosteni tori di questo regime, a fianco della Germania,
della Danimarca e dell I Olanda. La Grecia - assumendo la
presidenza di turno del Consiglio e non avendo forti inte-
ressi in questo settore - pur rivendicando una certa com-
prensione i:;er la propria situazione, si sforzava tuttavia
di giocare un ruolo di intermediazione per pervenire ad una
decisione al vertice dì Atene. E' chiaro che, il Regno Uni-
to, pur arroccandosi sulla sua richiesta di riduzione so-
stanziale del prezzo di intervento del latte, non avrebbe
tuttavia opposto resistenza nella fase finale dei negozia-
ti, per accettare il regime delle quote. Soli opposi tori di
questo regime - a fine ottobre - restavano dunque
l'Irlanda, il Lussemburgo e l'Italia: i primi due in consi-
derazione dell'importanza capi tale che assune il :iettore
lattiero nell' econQnia di questi paesi (81, del Pil, in Ir-
landa) il terzo perchè ampiamente deficitario in latte e
desideroso di poter continuare ad espandere la propria pro-
duzione in questo settore. In quest'ottica, la delegazione
italiana aveva cercato, ma senza successo, dì far valere
una sorta di principio di "autosufficienza nazionale" per
tentare di sottrarsi al capestro delle quote di produzione.
Dopo essere, peraltro, passata dall'opposizione frontale
alle "quote", alla richiesta di esonero ed al negoziato sul
livello delle quote e sulle modalità di applicazione delle
stesse, la delegazione italiana avrebbe presentato, più
tardi, e eia~ soltanto a fine febbraio 1984, un docLl!lento
di lavoro in seno al Consiglio in cui essa cercava di ri-
lanciare due proposte alternative alle quote: quella di una
riduzione del prezzo d'intervento o quella del contingenta-
mento dei prodotti amnissibili all'intervento. Solo in via
sussidiaria 1 1 Italia si dichiarava disposta ad accettare il
regime delle quote purchè queste fossero applicate, per
l'Italia, unicamente a livello nazionale e sulla base delle
consegne effettuate nel 1983, aumentate annualmente per te-
ner conto della progressione dei consuni.
L'Irlanda, dal canto suo, era arrivata ad invocare un
"interesse vitale II in questo settore - vale a dire un di-
ritto di veto - nel caso in cui non fossero state prese di-
sposizioni speciali per i produttori irlandesi. Al dì là,
tuttavia, di questi residui focol~i di resistenza contro
l'introduzione delle quote di produzione nel settore del

59
latte, era ormai chiaro per la maggior parte degli osserva-
tori - già a fine ottobre - che la battaglia negoziale fi-
nale su questo dossier avrebbe avuto come oggetto non tanto
la scelta "quote si II oppure "quote no" quanto invece quella
delle modalità di applicazione del regime e della base tem-
porale da assunere per la fissazione delle quote (anno ci-
vile 1981,1982 o 1983, media di più anni, ecc.).
Ciò malgrado, in Italia sono stati in molti a sperare o a
credere fermamente in un miracolo dell'ultima ora che
avrebbe "salvato" allevatori nostrani dalla camicia di
forza delle quote. questo non sol tanto prima della riu-
nione di Atene, il che può anche essere comprensibile, ma
addirittura fino al memento in cui, il 31 marzo 1984, i l
Consiglio dei ministri dell'Agricoltura non le ha formal-
mente adottate. Ciò contribuisce certamente a spiegare per-
chè, allorchè esse sono state introdotte, a partire dal 1°
aprile 1984, come la Commissione aveva proposto, esse sono
state risenti te a livello nazionale cane una inattesa doc-
cia fredda e come una inammissibile soperchieria ai danni
degli allevatori italiani.
Questo spiega, in parte, anche perchè 1' Italia sia arri-
vata del tutto impreparata alla data della messa in appli-
cazione del regime e perchè contro di essa la Commissione
sia stata costretta ad aprire una procedura di infrazione
per inapplicazione del regime entro i termini stabiliti.

Il fallimento del vertice di Atene. - Malgrado l'intensa


preparazione nei sei mesi successivi al Consiglio europeo
du Stoccarda, e malgrado le successive e ripetute proposte
di compranesso presentate dalla presidenza greca, che hanno
costituito un vero e proprio battesimo del fuoco per la di-
plomazia greca, i dieci capi di Stato e di governo, riuni-
tisi ad Atene il 4 dicembre si sono lasciati i l 6 senza
aver raggiunto un risultato su nessuno dei problemi vitali
della Comunità all'ordine del giorno della riunione.
Lasciamo ad altri il compito di commentare, in questo
stesso volume (12) le cause più eminentemente politiche di
questo fallimento e le reazioni che esso ha suscitato in
tutte le istanze comuni tari e. Poichè, tuttavia, la riforma
della politica agraria comune costituisce, insieme al pro-
blema del finanziamento futuro della Canuni tà e alla solu-
zione del problema britannico, uno degli ostacoli principa-
li per un accordo globale sull'insieme dei dossiers, vale
la pena di fare i l punto in questa sede sullo stato di
avanzamento del dossier agricolo alla conclusione della
riunione di Atene.
Si è detto, e si è anche seri tto, che, non essendo riu-
sci ti ad avvicinare le loro posizioni sulla riforma della

60
politica agraria comune, i capi di Stato e di governo non
sono riusci ti ad Atene a mettersi d 1 accordo nanmeno sugli
altri problemi vitali per la Canunità, facendo, così, in
qualche sorta, delle divergenze su questo terreno, un capro
espiatorio per il fallimento del vertice.
Ora, è perfettamente vero che le questioni agricole hanno
occupato ampio spazio nei tre giorni della riunione. Sareb-
be tuttavia erroneo isolare 1 1 uno o 1 1 altro scoglio nego-
ziale ed attribuirgli un ruolo decisivo nel fallimento del
vertice rispetto ad altri fattori di maggiore portata, qua-
le ad esempio l'insufficiente volontà politica di progredi-
re verso soluzioni ccmuni e verso l'obiettivo di un raffor-
zamento della Comunità.
11
Se non abbiamo potuto raggiungere un accordo - ha di-
chiarato in seguito il primo ministro greco Andreas Papan-
dreu, che presiedeva il Consiglio europeo - ciò mi sembra
dovuto, più che ad una mancanza di preparazione tecnica,
all'assenza di volontà politica e di immaginazione 11 • Nello
stesso senso si è espresso i l presidente del Consiglio ita-
liano, Bettino Craxi, secondo il quale una certa rigidità
pregiudiziale ha finito per penalizzare accordi che, a ri-
gore di logica, avrebbero potuto essere conclusi.
Altra grande imputata nella ricerca delle responsabilità
per il fallimento del vertice di Atene - e questo vale an-
che per le questioni agricole - è stata la procedura di
preparazione di questa riunione, quella stessa procedura
uspeciale" che i capi di Stato e di governo avevano deciso
a Stoccarda.
11
Scegliendo questa procedura -ha dichiarato a sua volta
il presidente della Commissione Gaston Thorn- ci si è
purtroppo esposti al rischio di globalizzare tutti i
problemi in so- speso, di deresponsabilizzare i Consigli
specializzati, di gonfiare l'ordine del giorno del
Consiglio europeo, di provocare una confusione fra aspetti
tecnici e aspetti politi- ci, fra la gestione quotidiana e
le decisioni che impegnano il futuro 11 •
Di questa "ipertrofia" del ruolo assegnato al Consiglio
europeo e della inadeguatezza della procedura "troppo spe-
ciale" - sono ancora le parole del presidente Thorn - messa
in atto a Stoccarda, si è avuta una prova proprio con le
discussioni sulle questioni agricole, ed in particolare
sulle quote per il latte.
In quello che i l presidente del Consiglio italiano, Bet-
tino Craxi, ha definito "lo steccato lattiero-caseario" i
dieci capi di Stato e di governo sono rimasti, in effetti,
rinchiusi per ben ventiquattro ore. Non, tuttavia, come si
potrebbe pensare, per discutere se fosse opportuno o meno
introdurre un sistema di quote di produzione in questo set-

61
tare - un'opzione, questa, che, come si è detto, era ormai
accettata dall a maggior parte delle delegazioni - ma Per
questioni più puntuali e di dettaglio (probabilità concrete
di applicazione del regime, la formula matematica più con-
veniente per ciascuno Stato membro per fissare il livello
delle quote, la questione se queste possano essere applica-
te a livello delle latterie, come proponeva la Commissione,
o al livello dei singoli produttori, cane suggerivano varie
delegazioni, la maniera in cui potevano essere superate le
resistenze degli Stati membri recalcitranti, in particolare
Italia e Irlanda, ecc.).
Sul problema del livello delle quote, in particolare, il
"balletto" delle cifre e delle formule è stato, fin
dall'inizio dei negoziati, davvero impressionante. Si ri-
corderà, a questo proposito, che la Canmissione aveva pro-
posto di fissare la quanti tià garantita per il latte, nel-
1' ambito del regime delle quote, al livello delle consegne
alle latterie per il 1981 aumentate dell' 1% (al livello,
cioè, già fissato dal Consiglio quale limite di garanzia
per l'anno 1983). Per l'insieme della Comunit~ questo equi-
valeva ad un quantitativo di 97 ,2 milioni di tonnellate
( rispetto ad una produzione di oltre 103 milioni di t. pre--
viste nel 1983). Per garantire l'equilibrio finanziario
dell'insieme delle sue proposte la Commissione si era per-
altro sempre dichiarata contraria a qualunque aunento, ar>--
che modesto, di questo livello, che si situava gi~ quasi il
15% al di sopra del consumo effettivo interno per il 1983.
Nel corso dei negoziati che avevano preceduto la riunione
di Atene rnol te formule erano state esaminate per la fissa-
z ione delle quote a livello dei singoli Stati membri, sia
nel rispetto del vincolo globale sopra indicato, sia in de-
roga a tale vincolo (produzione nel 1983, aumentata o dimi-
nuì ta di un certo tasso percentuale, media di tre campagne,
ecc.).
Per avviare il negoziato, la presidenza greca aveva dap-
prima proposto, n~lla riunione di Atene, di fissare la quo-
ta comunitaria ad un livello compreso tra 98 e 100 milioni
di t. Successivanente aveva lan~iato la cifra di 99 ,2 mi-
lioni di t., con delle quantità garanti te, a livello dei
singoli Stati membri, corrispondenti alla produzione (o
piuttosto alle "consegne alle latterie") per il 1981 aumen-
tata del 2% oppure alla produzione per il 1983 diminuì ta
del 5%, a scelta degli Stati membri. Per l'Irlanda essa
aveva proposto, dapprima, di assunere cane quota la produ-
zione per il 1982 aumentata del 2%, e aveva successivamente
migliorato ulteriormente l'offerta. Per quanto riguarda
l' I talia, in un ultimo sforzo alla ricerca di una soluzione
di canpranesso, la presidenza greca aveva proposto una quo-

62
ta al livello della produzione per l'anno 1983. E 1 in que-
sto ginepraio di fonnule e di cifre che i capi di Stato e
di governo si sono a lungo dibattuti nei tre giorni di riu-
nione ad Atene, senza peraltro riuscire a trovare una via
d'uscita accettabile da parte di tutti.
Sempre per quanto riguarda la rifonna della pac, un altro
dossier teoricamente complesso con cui 1 Dieci si sono tro-
vati alle prese ad Atene è quello dello smantellamento de-
gli importi compensativi monetari.
In questo caso, al contrario di quanto si era constatato
per le quote nel settore del latte, era apparso chiaramente
nei negoziati che avevano preceduto la riunione di Atene,
che le proposte della Commissione non avrebbero avuto alcu-
na probabili t~ di successo in Consiglio soprattutto per la
insormontabile - e del resto scontata - opposizione della
delegazione tedesca. Che, tuttavia, si dovessero realizzare
dei progressi sostanziali verso 1' eliminazione di questi
fattori di distorsione negli scambi agricoli e verso il ri-
stabilimento dell'unicità del mercato agricolo, era non so-
lo una convinzione ampiamente condivisa dalla maggior parte
delle delegazioni - ivi compresa quella tedesca - ma, per
alcune di esse, in particolare quella francese, anche una
pregiudiziale per l'accettazione dell'insieme del pacchetto
agricolo. A canplicare ul terionnente questo dossier contri-
bui vano, peraltro, tutta una serie di modifiche tecniche
del metodo di calcolo degli icm che la Commissione aveva
proposto parallelamente alle misure relative
all'eliminazione progressiva di i.c.m. esistenti e di quel-
li futuri· (13). Per uscire dall'isolamento e tentare di
trovare una via d'uscita ad una situazione che sembrava
senza sbocchi, la delegazione tedesca aveva proposto,
all'inizio di ottobre, una soluzione alternativa a a
della Commissione fondata essenzialmente su due concetti:
al l'eliminazione degli i.c.m. positivi esistenti, sarebbe
avvenuta, in futuro, sulla base del Gentlemen's Agreement
del 1969 (eliminazione in due tappe, evitando tuttavia
che essa avesse come effetto di ridurre i prezzi in
moneta nazionale nei paesi in cui erano applicati);
bl adozione di un meccanismo di calcolo def[)i i.c.m. tale
che, nell'avvenire, le rivalutazioni eventuali di una
moneta in seno allo Sme non aves::;ero dato luogo alla
creazione di nuovi i. c. m. posi tiv1. nei paesi a moneta
rivalutata, ma alla creazione ài i. c. m. negativi di
uguale importo nei paesi a moneta svE;lutata. Quest'ultima
soluzione era stata, tnl, presa in considerazione
dalla Commissione al manento i.n cui questa aveva formu-
lato le sue proposte, senza essere prescelta essendo
prevalsa la preoccupazione cìt non generare con

63
sistema la creazione di i.c.m. negativi troppo elevati
che avrebbero potuto essere eliminati solo in cambio di
un aumento dei prezzi agricoli in moneta nazionale (e
quindi delle spese a carico del bilancio canunitario).
Benchè questo secondo volet della proposta tedesca non
dispiacesse, in definitiva, ad alcune delegazioni, la pro-
posta tedesca nel suo insieme aveva ricevuto una tiepida
accoglienza, per non dire una netta ostilità, nelle riunio-
ni preparatorie della riunione di Atene. Ciò anche per ra-
gioni tattiche, in quanto molte di esse ritenevano che era
soprattutto nell'eliminazione degli i.c.m. positivi esi-
stenti (pari, per la Germania, a circa 10 punti percentua-
li) che la delegazione tedesca avrebbe dovuto fare conces-
sioni più sostanziali. Facendosi interprete di questi
orientamenti, all'inizio di novembre, la presidenza greca
aveva proposto tra 1 1 altro di smantellare in tre tappe
(invece delle due proposte dalla Commissione) gli i.c.m.
positivi esistenti, di cui un terzo all'inizio della campa-
gna 1984 85 e il restante al più tardi all'inizio della
campagna 1987 88.
Una serie di adattamenti sostanziali a questa proposta
erano stati peraltro apportati dalla presidenza greca nelle
riunioni successive e nel corso della stessa riunione di
Atene: smantellamento in quattro tappe degli i.c.m. positi-
vi esistenti, di cui un terzo nella prima tappa, ricorso,
per la prima tappa, ad una tecnica di conversione degli
i.c.m. positivi in negativi, senza impatto negativo sui
prezzi agricoli in Germania e Paesi Bassi, possibilità di
ricorrere, per le tappe successive, ad aiuti nazionali per
canpensare la riduzione dei prezzi che ne sarebbe derivata
per gli agri col tori tedeschi e olandesi, ecc. Malgrado,
tuttavia, questi ulteriori passi in avanti verso quella che
sarebbe stata, tre mesi dopo Atene, la via d'uscita da que-
sto impasse agro-monetario, i tempi non erano forse ancora
maturi, al manento della riunione di Atene e la volontà di
chiudere l'insieme dei negoziati in corso non sufficiente-
mente ferma perchè i capi di Stato e di governo dei dieci
riuscissero a sganberare il terreno da questo scottante
dossier.

Dalle ceneri di Atene all' i otesi di Fontainebleau. - Che


ne a numone 1 ene, pur senza raggiungere un accordo,
il Consiglio europeo non si fosse fondamentalmente allonta-
nato da quelle che sarebbero state le decisioni finali in
merito alla riforma della politica agricola comune, lo si è
potuto constatare meglio quando, alla fine di marzo
dell'anno successivo, i ministri dell'agricoltura dei Dieci
- recuperate pienamente le loro prerogative decisionali -

64
hanno adottato, insieme ai prezzi agricoli per la campagna
1984 85, le disposizioni che traducevano in atti legislati-
vi - sia pure con qualche variante - le proposte di riforma
della politica agricola cc:mu!le, presentata esattamente otto
mesi prima dalla Commissione.
Cib che ha reso possibile questo "miracolo" che Atene non
era riuscita a provocare attiene tanto allo choc psicologi-
co, particolarmente violento e salutare, suscitato dal fal-
limento del vertice di Atene che alla migliore disposizione
dei governi nazionali di far uscire la Comunità dalla sec-
che politiche e finanziarie in cui si dibatteva. Un ruolo
decisivo ha giocato, comunque, anche i l -ripristino delle
procedure normali di decisione previste dal trattato, dopo
mesi di procedure più o meno "speciali", durante i quali,
cane abbiamo visto, Si era finito sempre più per delegare
al Consiglio europeo anche ogni m1mmo dettaglio dei
dossiers più spinosi. La presidenza francese, dal canto
suo, subentrata a quella ellenica, per i l primo semestre
del 1984, è stata ovviamente orgogliosa di poter giocare i
suoi buoni uffici per un accordo globale sull'insieme dei
problemi in sospeso, raccogliendo peraltro, laddove è stato
possibile, come nel caso della riforma della pac, anche i
frutti dei sei mesi di negoziato che avevano preceduto la
sua investitura.
La prestigiosa personalità del ministro dell'agricoltura
francese, Michel Rocard, nuovo presidente di turno del Con-
siglio "Agri col tura" nonchè le sue qualità di negoziatore
non sono, d'altra parte, fattori del tutto estranei al suc-
cesso dell'impresa.
Un altro elemento che probabilmete ha favorito ugualmente
il conseguimento di un accordo sulle proposte di riforma
della Pac sta nel drammatico deterioramento della si tuazio-
ne finanziaria delle casse canuni tari-e, e più particolar-
mente del Feoga-garanzia, soprattutto nell'ultimo trimestre
del 1983.
Parecchi fattori hanno concorso a determinarla ed in par-
ticolare: l'incremento produttivo registratosi i n taluni
settori; la flession e , superiore al previsto, dei corsi
mondiali di talune derrate, che ha reso necessario adeguare
più volte verso l'alto le restituzioni all'esportazione; la
contrazione della dananda mondiale che ha ridotto le possi-
bilità di sbocco per molte produzioni comunitari e e ha
quindi aumentato gli stocks e le spese relative.
Tutti questi fattori avevano provocato già nel corso del
primo semestre del 1983, una vistosa accelerazione del rit-
mo dei pagamenti del Feoga-garanzia; alla fine del mese di
giugno i pagamenti avevano infatti già utilizzato il 56%
dei crediti disponibili, con un aumento del 40% rispetto

65
allo stesso periodo dell'anno precedente. Ma il do-
veva ancora arrivare, tenuto conto dell'ulteriore deterio-
ramento della congiuntura nel secondo semestre dell'anno e
oneri aggiuntivi derivanti dalle decisioni sui prezzi
agricoli per la campagna 1983/84. Un bilancio suppletivo si
è reso dunque necessario per coprire le prevedibili esigen-
ze finanziarie del Feoga-garanzia nel prosieguo dell'anno.
Esso aveva apportato 1.761 milioni di Ecu supplementari
al bilancio del Feoga-garanzia, le cui disponibilità totali
per l'esercizio 1983 hanno cosl raggiunto la cifra di 15,8
miliardi di Ecu (20,5% in più rispetto al 1982).
Alla luce, tuttavia, degli ulteriori sviluppi dei paga-
menti e della continua revisione verso l'alto del fabbiso-
gno complessivo di spesa per l'esercizio finanziario 1983,
valutato a metl3 ottobre di circa 300 milioni di Ecu supe-
riore alle effettive disponibilità, e onde evitare il de-
terminarsi di una situazione nella quale la Comunità non
sarebbe stata in grado di far fronte alle proprie obbliga-
zioni nel quadro della pac, la Commissione si era vista co·-
stretta, nel corso del mese di ottobre, ad assumere una se-
rie di misure conservative al fine di matenere le spese ef-
fettive entro i limiti delle disponibilitl3 di bilancio. Più
precisamente, essa aveva deciso di sospendere, fino al 31
dicembre 1983, il pagamento, ai beneficiari previsti dalla
regolamentazione comunitaria, degli ,mticipi facoltativi
suJ.l.e restituzioni all'esportazione s:: Sll" vari premi conces-
si nel quadro della pac. L'insieme di\' queste misure, senza
precedenti nella storia della Canuni tà ~ · che hanno suscita-
to grande scalpore nel mondo agricolo, ha effettivamente
permesso di evi tare la bancarotta delle finanze canuni ta-
rie. Esse hanno avuto tuttavia come effetto di riportare
all I esercizio 1984 spese per un ammontare complessivo di
circa 675 miliardi di Ecu che avrebbero dovuto essere nor-
malmente effettuate nel 1983, ma che, per le ragioni indi-
cate, avrebbero invece gravato sul bilancio per 1' esrcizio
successivo. E ciò, nonostante la contemporanea adozione,
nel corso dell I ultimo trimestre, di una serie misure di
econcmia di spesa, che avevano consentito di ridurre ul te-
riormente di alcune centinaia di milioni di Ecu le spese
per il 1983.
Ci si rende dunque conto come, in una situazione di que-
sto genere, il vincolo di bilancio, spesso invocato dalla
Commissione in passato senza però trovare troppo credito,
abbta preso nuova e più concreta consistenza non sol tanto
presso i mini stri dell I agri col tura, ma anche presso le
stesse organizzazioni professionali agricole, di solito
sorde a questo tipe di argomentazioni.
L'adozione integrale delle misure di razionalizzazione

66
della Pac presentate dal mese di luglio in poi dalla Com-
missione, che avrebbero consentito un'economia di spesa di
700 milioni di Ecu per l'esercizio 1984, costituiva così
una condizione essenziale dell'equilibrio finanziario del
bilancio comunitario per il 1984, senza correre il rischio
di dover effettuare travasi spuri dai capitoli di spesa non
aventi carattere obbligatorio ( ivi compreso il fondo regio-
nale e sociale) verso il finanziamento della spesa agricola
(che, come è noto, ha invece carattere obbligatorio).
E' del resto, anche a preoccupazioni di questo genere che
la Commissione si è ispirata nel presentare, nel gennaio
1984, le proposte prezzi per la campagna 1984 85 ( 14): au-
menti estremamente limitati dei prezzi comuni e, in qualche
caso, addirittura una loro riduzione, accompagnata da una
serie di misure collaterali di ristrutturazione delle orga-
nizzazioni comuni di mercato, in aggiunta a quelle già pro-
poste dal luglio 1983 in poi. In mancanza di una decisione
del Consiglio sull 1 insieme del 11 pacchetto 11 agricolo entro
il 31 marzo 1984 -avvertiva la Commissione"il semplice man-
tenimento dei prezzi comuni in vigore - vale a dire'un con-
gelamento generale - non basterebbe, nella congiuntura
odierna, a garantire un regolare funzionamento della poli-
tica agraria comune entro i limiti finanziari attuali e si
renderebbe viceversa necessaria una misura di crisi: la
drastica ed immediata riduzione del livello di sostegno dei
prezzi 11 • (15)
Nel riappropriarsi del dossier relativo alla riforma del-
la Pac ed integrandolo con quello sui prezzi agricoli e le
misure connesse per la campagna 1984 85, i ministri
dell I agri col tura, con il concorso o con il beneplacito del-
la Commissione, sono tuttavia riusciti a realizzare due
delle performances: da una parte, quella di aver sciolto
quasi tutti i nodi tecnici e politici che avevano bloccato
per mesi il negoziato sulla riforma della pac; dall I al tra
quella di essere pervenuti ad un accordo globale
sull I insieme del 11 pacchetto 11 agricolo che, invece
dell I economia di spesa di 700 milioni di Ecu, inizialmente
prevista, dalla Commissione, comportava a consuntivo un au-
mento delle spese agricole di 187 milioni di Ecu, oltrepas-
sando, cosi, per la prima volta nella storia della Comuni-
tà, il limite delle risorse proprie disponibili. Come con-
seguenza di questa decisione - sanzionata, a Fontainebleau,
dai capi di Stato e di governo e recepì ta più tardi dai mi-
nistri delle finanze - e tenuto anche conto del deteriora-
mento ulteriore della congiuntura agricola nel corso del
1984, nonchè del riporto di una parte delle spese agricole
àall I esercizio 1983 all I esercizio 1984, un bilancio supple-
tivo si è reso necessario nel prosieguo dell I anno, per un

67
volU11e complessivo di spesa di 1.867 milioni di Ecu, quasi
esclusiv éEllente destina te al Feoga-garanzia ( 16).
Questo 11miracolo 11 di natura politica e finanziaria, che
alla fine del 1983 sarebbe stato del tutto irrealistico
prevedere, è stato reso possibile da due fattori principa-
li: da una parte, l'inelutabilità, divenuta sempre più ma-
nifesta, di un aunento della spesa agricola nel 1984, per
il peggiorare della congiuntura sui mercati; dall'altra
1 1 opzione presa dai mini stri dell' agri col tura di concentra-
re i loro sforzi sul conseguimento di un accordo soddisfa-
cente sul piano politico, lasciando ai colleghi delle Fi-
nanze ed ai capi di stato e di governo il canpito di trova-
re la necessaria copertura di spesa al di là dei limiti
delle risorse proprie di cui la CanunÙà disponeva per il
1984.
Una scelta, questa, politicamente alquanto rischiosa, in
quanto rinviava di alcuni mesi l'inspendabile quadratura
finanziaria dell'accordo, ma che si è rivelata invece pa-
gante da ll a qualche mese. Va, peraltro, aggiunto che,
malgrado non si fosse conseguito in tale sede alcun accordo
fonnale, un avallo pol:i. tic amen te importante ai progetti dì
revisione della Pac maturati nelle riunioni dei ministri
dell'agricoltura era venuta dalla riunione del Consiglio
europeo che si era svolta a Bruxelles il 19 e 20 marzo
1984. Dieci giorni più tardi, all'alba del 31 marzo, dopo
una maratona finale durata diciotto ore consecutive, ma che
poteva dirsi iniziata almeno nove mesi prima, i ministri
dell'agricoltura dei Dieci pervenivano ad un accordo gene-
rale SJ.Jll' insieme delJe proposte della Canmissìone relative
ai prezzi agricoli per la campagna 1984/85 e al progr.:mma
di misure, proposto nel luglio 1983, concernente la razio-
nalizzazione della ç;olitica agricola comune.
E' stato, tuttavia, a Fontainebleau, nei pressi di Pari-
gi, dove i capi di Stato e di governo si sono nuovamente
riuniti il 25 e 26 giugno, che la presidenza francese è
riuscita a concludere il proprio mandato con un successo
diplcmatico senza prcedenti: un successo che ha consentito
al presidente della repubblica francese, François Mit-
terand, di poter finalmente dichiarare, dopo anni di rinvii
e di soluzioni a metà per i probl 6Tli dell'Europa: 11 Non re-
sta più un solo problema da risolvere". Una frase ad effet-
to, certo, come sì è potuto constatare meglio in seguito,
ma anche una necessaria sferzata di ottimismo, per
"ripartire per nuovi orizzonti 11 , dopo le bufere e le buie
prospettive degli ultimi mesi.
A sbloccare 1' insiane della trattativa è stato soprattut-
to il conseguimento di un accordo sulla canpensazione da
accordare al Regno Unito non solo per il 1984, ma anche per

68
§::_i armi successivi e per la durata del nuovo regime delle
.'.":i.sorse proprie (17).
A questo riguardo, è stato convenuto che il tasso massimo
::i mobilitazione dell'Iva sia portato all'1,4% non appena
.saranno espletate le necessarie procedure di ratifica, da
;:arte dei parlamenti nazionali, ed al più tardi il 1 ° gen-
c:ario 1986 ( 18). Il io europeo riaffermava, inoltre,
:he i negoziati di adesione della Spagna e del Portogallo
:::avessero essere ultimati al più tarsi il 30 settembre
· 984, onde consentire i' adesione di Spagna e Portogallo a
~artire dal 1° gennaio 1986. _
Per tenere sotto controllo 1 1 evoluzione del livello di
spesa della Canunità, da stabilire d'ora in po1 1n funzione
:::elle entrate disponibili, sono stati fissati i principi
della disciplina di bilancio e finanziaria, che i ministri
delle Finanze sono stati chiamati a tradurre in concrete
disposizioni da applicare in futuro. Nel contempo sono sta-
te annunciate una serie di iniziative per rilanciare nuove
poli ti che canuni e quella che è stata chiamata 11 1' Europa
dei cittadini 11 • Infine il Consiglio europeo ha deciso la
creazione di un canitato "ad hoc" col compito di formulare
"suggerimenti volti a migliorare il funzionamento della co-
operazione europea nel settore comunitario, in quello della
cooperazione politica e in altri settori 11 • A Fontainebleau,
insomma, cane ha dichiarato al termine dei lavori il presi-
dente del Consiglio italiano, Bettino Craxi, i Dieci hanno
potuto non sol tanto "estrarre una spina par al izzante 11
( della contribuzione britannica al bilancio comuni-
tario), ma anche "mettere molto lavoro in cantiere 11 per i
mesi e i anni a venire.

I contenuti della "riforma", - L'accordo globale raggiun-


to con una dec1 s1one all'unanimità dai mini stri
dell'agricoltura il 31 marzo 1984 sull'insieme delle misure
di razionalizzazione della Pac e sui prezzi agricoli per la
campagna 1984 85 può riassumersi in sei punti (19):
conferma del principio dei limiti di garanzia e loro esten-
sione ad altri prodotti;
controllo della produzione lattiera mediante un sistema di
quote;
ritorno all'unicità del mercato attraverso la soppressione
degli importi canpensativi monetari;
politica dei prezzi realistica;
razionalizzazione degli aiuti e dei premi per vari prodot-
ti;
rispetto della preferenza comunitaria.
Non tutte le proposte iniziali della Commissione sono
state accolte, al tre sono state da essa modifica te in sede

69
di comprc:messo finale. Fra le proposte più importanti non
adottate dal ConsigJio dei ministri dell'agricoltura la
tassa sulle materie grasse e il prelievo suJ.la produzione
intensiva di latte.
Vediamo, in breve, qui di seguito quali sono i punti sa-
lienti delle decisioni assunte sui diversi capitoli.
Limi ti di garanzia. La filosofia della Commissione consi-
stente nel limitare nei settori più problematici, la garan-
zia di prezzo accordata ai produttori a dei quantitativi
prestabiliti ha trovato piena corrispondenza in seno al
Consiglio dei ministri dell' Agri col tura. Essa ha, infatti,
non sol tanto esteso il regime dei limi ti di garanzia - già
in vigore per il latte, i cereali, la colza e i pomodori
trasformati - ad altri settori ( girasole, grano duro e uve
secche), come proposto dalla Commissione, ma ha anche as-
sunto una decisione di portata più generale, insistendo
sulla necessità di applicare tale regime nei settori ecce-
dentari o che rischiano di diventarlo e nei settori che
possono determinare un rapido aumento delle spese.
A seguito di questa decisione si può dire che circa il
40% del valore della produzione finale dei prodotti regola-
mentati a livello cc:munitario e i due terzi delle spese del
Feoga-garanzia sono soggetti a una forma di limitazione
della garanzia. Vale la pena, peraltro, di rilevare in que-
sto contesto -anche perchè questa costituiva una precisa
rivendicazione della delegazione i talianache il 1 imite di
garanzia nel settore dei pomodori pelati e del concentrato
di panodoro, in precedenza applicabile separatamente a que-
sti due prodotti, è stato "globalizzato" ed incrementato,
includendovi anche altri prodotti trasformati a base di po-
modoro.
Quote di produzione per il latte. E' stato, come si è vi-
sto, l'osso più duro di tutti i negoziati agricoli. Com'era
prevedi bile, quasi tutti gli ostacoli sul percorso di que-
sta misura frapposti dai diversi Stati membri sono stati
superati lasciando una certa flessibilità al regime, nel
quadro, tuttavia, di una disciplina il più possibile cc:mu-
ne. Così, ad esempio, è stata sostanzialmente accolta la
rivendicazione tedesca di poter applicare il sistema delle
quote a livello di ogni singolo produttore e non a livello
di ogni singola latteria, come proponeva inizialmente la
Commissione. E' stata tuttavia lasciata ai singoli stati
membri la possibilità di optare per l'uno o l'altro siste-
ma. L'opposizione della delegazione italiana e di quella
irlandese è stata vinta concedendo a questi due paesi una
quota di produzione relativamente più favorevole rispetto
agli altri paesi (le consegne del 1983 invece di quelle per
l'anno 1981 aumentate dell'1%l. Per l'Italia questo vantag-

70
gio relativo si traduce in un aumento di circa 430 mila
tonnellate rispetto alla quota che le sarebbe spettata nor-
malmente. L'Irlanda, il Lussemburgo e il Regno Unito
<limitatamente all'Irlanda del Nord) hanno inoltre benefi-
ciato di un limitato incremento della propria quota-base
partecipando alla ripartizione di una modesta riserva ccmu-
nitaria, Tutti gli Stati membri, inoltre, si sono attribui-
ti un supplemento di quota, in aggiunta a quello cosi defi-
nì to, ma unicamente per la prima campagna di applicazione
del nuovo regime. E ciò, cane aveva chiesto con insistenza
la delegazione francese, per facilitare una transizione più
"morbi da" verso un regime cosi ferreo di limitazione della
garanzia. Ne risulta che, per la campagna 1984 85, il quan-
titativo globale garantito a livello ccmunitario è stato
fissato a 99 ,4 milioni di tonnellate, contro i 97 ,2 propo-
sti dalla Commissione.: 1 1 onere supplementare è stato tutta-
via meno a carico dei produttori, ai quali è stata aumenta-
ta dal 2% al 3% la tassa di corresponsabili U in vigore dal
1977, in questo settore. Per i restanti quattro anni di du-
rata del regime, il quantitativo globale garantito è di
98,2 milioni di tonnellate per la Comunità nel suo insieme.
Il quantitativo globale attribuito a ciascuno Stato mem-
bro per le consegne alle latterie si ripartisce, a sua vol-
ta in quote a livello di ogni singolo produttore (formula
A) o di ogni singola latteria (formula B): per le quantità
prodotte oltre la propria quota è dovuto un prelievo desti-
nato ad essere trasferì to sul bilancio comuni tari o. Tale
prelievo è pari, rispettivamente, al 75% o al 100% del
prezzo indicativo del latte, a seconda che lo Stato membro
abbia scelto la formula A oppure la formula B. Diverse di-
sposizioni sono state inoltre previste per garantire una
adeguata flessibilità del sistema. Rispetto al regime di
limitazione della garanzia già in vigore nel settore del
latte dal 1982 - e che aveva già dato luogo ad una riduzio-
ne del 3% dei prezzi di sostegno nel settore
lattiero-caseario per la campagna 1983 84 - , il regime
delle quote si differenzia essenzialmente per due ragioni:
a) anzitutto le quote restano fisse per i cinque anni di
applicazione del regime (fatte salvo, come si è visto, le
deroghe per il primo anno);
b) in secondo luogo, mentre nel caso di superamento del li-
mite di garanzia tutti i produttori erano penalizzati in
maniera lineare, mediante la riduzione del prezzo di in-
tervento, nel regime delle quote, solo i produttori che
superano le proprie quote di produzione sono tenuti al
pagamento del prelievo.
Non òccorre, infine, dimenticare che, malgraqo, 1 1 imposi-
zione di quella che può apparire cane una stretta camicia

71
di forza alla produzione lattiero-casearia comuni tari a, il
livello delle quote resta canunque superiore di circa il
20% al consumo di latte nella Comunità.

Eliminazione progressina 1 1. c. m. Le decisioni assun-


te in questo settore dai ministri dell' agri col tura possono
essere senza dubbio considerate storiche, nei quindici anni
di vita del sistema agro-monetario. Esse sono essenzialmen-
te il risultato di un accordo franco-tedesco, ottenuto gra-
zie alla partecipazione, non soltanto figurativa, della
c o mmi s s i o n e .
Due sono essenzialmente gli aspetti politicamente rile-
vanti di questo accordo. Da una parte, per la prima volta,
i Dieci erano riusciti ad intendersi sulla necessità di
prevedere un sistena di smantellamento autcmatico e pro-
gressi vo degli importi compensativi monetari esistenti, in
particolare di quelli positivi, questi ultimi oggetto da
sempre di controversie a non finire tra chi ne voleva la
soppressione ( soprattutto Francia e Italia) e chi ne pre-
tendeva il mantenimento (soprattutto Germania e Olanda)
(20). Dall'altra, si era raggiunto un accordo in virtù del
quale le future modifiche di parità tra le varie monete fa-
centi parti dello ~e non avrebbero più dato luogo alla
creazione ,di i.c.m. positivi, ma unicamente a i.c.m. nega-
tivi, più facilmente eliminabili nel tempo, mediante la
svalutazione delle monete "verdi 11 (21). Dal punto di vista
politico, questo accordo significava che, almeno per qual-
che anno, il "pacchetto prezzi II presentato annualmente dal-
la Commissione, sarebbe stato alleggerito di uno dei
dossiers più spinosi: quello, appunto, della riduzione de-
gli i. c. m. positivi. Dal punto di vista economico, ciò si-
gnificava peraltro aver messo gli agricoltori degli Stati
membri che avrebbero rivalutato la loro moneta al riparo
dagli effetti negativi sui prezzi derivanti
dall'eliminazione successiva degli i.c.m. positivi.
Gli agricoltori degli Stati me:nbri a moneta svalutata,
dal canto loro, avrebbero beneficiato di i. c.m. negativi
proporzionalmente più elevati che nel precedente regime, e
quindi in moneta nazionale relativamente più importanti che
in passato. Ciò spiega la difficoltà di superare le resi-
stenze di alcune delegazioni, in particolare di quella bri-
tannica, preoccupata che si creasse, col nuovo sistema i
presupposti per svalutazioni delle monete "verdi n troppo
facili e quindi per aumenti eccessivi dei prezzi e delle
spese a beneficio dei paesi a moneta debole. Quest'ostacolo
è stato, tuttavia, sormontato con l'impegno del Consiglio e
della Commissione a mantenere le svalutazioni delle monete
11
verdi 11 entro limiti tali che esse non avessero un impatto
11
inflazionistico" sui prezzi agricoli di sostegno.

72
Prezzi agricoli. Contrariamente al passato, quest'anno i
negoziati sul livello dei prezzi agricoli per la campagna
1984 85 hanno assunto un ruolo del tutto secondario rispet-
to alle opzioni fondamentali che il Consiglio è stato chia-
mato a prendere in materia di riforma della pac. Nessuna
sostanziale obiezione hanno in effetti incontrato fra i mi-
nistri dell'agricoltura le proposte di prezzo per i vari
prodotti avanzate dalla COlllnissione, benchè canportassero
mediante un incremento dei prezzi in Ecu inferiore all' 1% e
in molti casi un gelo sui livelli della campagna preceden-
ti. I ministri dell' agri col tura, anzi, contrariamente alle
loro abitudini, dall'avvio della Pac hanno addirittura di-
minuì to mediamente di mezzo punto percentuale i prezzi co-
muni in Ecu. Questa situazione, tuttavia, è stata più che
compensata dagli aumenti derivanti dalle manovre
agro-monetarie descritti in precedenza. Ne è risultato, co-
sì, un aumento medio dei prezzi in moneta nazionale del
3,3% per la Canunità e di 6,4% per l'Italia.
Aiuti e prezzi. In quest'ambito sono stati adattati o
soppressi diversi aiuti accordati nell'ambito della pac. Di
particolare interesse, per l'Italia, la decisione di mante-
nere, ancora per una campagna, il premio per la nascita dei
vitellini riducendo tuttavia del 60% la contribuzione comu-
nitaria e quella relativa all'adattamento dell'aiuto ai po-
modori trasformati.
Preferenza comuni tari a. Su insistenza di diverse delega-
zioni, in particolare quella francese e quella italiana, il
Consiglio ha dato mandato alla Commissione di aprire delle
trattative in sede Gatt per rinegoziare con taluni paesi
terzi, in particolare con gli Usa, le concessioni tariffa-
rie accordate in passato dalla Ce sulle importazioni di
prodotti sostitutivi di cereali, una delle fonti principali
di squilibrio dei mercati in questo settore .. La Commissione
ha inoltre confermato la sua intenzione di mantenere sul
tavolo del Consiglio la propria proposta per la conclusione
di contratti a lungo termine di fornitura di prodotti agri-
coli a paesi terzi.
Le reazioni in Italia. "Nè in altri mçmenti, nè in altra
sede, l'Italia avrebbe potuto conseguire un migliore risul-
tato" ha dichiarato al termine dei lavori il ministro del-
1' agricoltura, Filippo Maria Pandolfi (22).
Il ministro italiano dell'agricoltura era arrivato a
Bruxelles per l'ultimo round dei negoziati con un mandato
vincolante del Consiglio dei ministri: un mandato impronta-
to a realismo e a relativa moderazione rispetto, ad esem-
pio, a quanto qualche giorno prima aveva chiesto la Commis-
sione Agricoltura della Camera dei Deputati. "Per quanto
riguarda il latte - si leggeva in un comunicato diffuso al-

73
l'inizio dei lavori dal ministro dell'agricoltura i l mante-
nimento della produzione 1983 come quantitativo di riferi-
mento per l'Italia per i prossimi· cinque anni rappresenta
il massimo realisticamente ottenibile nel quadro di un ne-
goziato che comporta una drastica riduzione della produzio-
ne comuni tari a". Per quanto riguarda le carni bovine,
1 1 Italia riteneva indispensabile il mantenimento del premio
ai vitelli anche se "attraverso una formula degressiva e
l'autorizzazione all'Italia ad integrare con la finanza na-
zionale la minore spesa nazionale 11 • Per ortofrutticoli
trasformati, in particolare per il pomodoro, l'obiettivo
restava quello di ottenere un livello del limite di garan-
zia, in vigore in questo settore, che tenesse conto 11 senza
ingiustificate costrizioni, dell'effettivo andamento del
mercato". Infine, era considerato "essenziale" che venisse
11
confermato l' orientarr.ento in base al quale 1' Italia dovrà
immediatamente fruire, attraverso lo smantellamento degli
i.c.m. di un aumento dei prezzi dei prodotti. agricoli in-
torno al 6,5%".
Alla luce di questo mandato e delle decisioni assunte dai
ministri dell' Agrtcol tura si potrebbe dunque concludere,
che il ministro dell'agricoltura italiano abbia, come si
suol dire 11 vinto su tutta la linea". 11 Mi sembra un buon ac-
cordo" ha dichiarato in proposito il presidente del Consi-
glio italiano, Bettino Craxi, che aveva seguito personal-
mente, da Roma, gli sviluppi della trattativa, aggiungendo
:
11
il mini tro Pandolfi ha ben difeso gli interessi i tali a-
ni, in un contesto senza dubbio difficile, secondo le di-
rettive del Consiglio dei ministri 11 (23).
Di parere diverso si è tuttavia dichiarato il suo compa-
gno di partita, Giuseppe Avoli o, responsabile della Conf-
col tivatori. "Leggeri miglioramenti" ha detto Avolio,
"strappati a proposte fortanente lesive degli interessi
agricoli italiani, anche se in un quadro negoziale durissi-
mo, non possono certamente soddisfare. In particolare pre-
occupa il rifiuto di una gestione nazionale della quota
sulla produzione di latte, che non trova certo compensazier-
ne nel mantenimento in misura cosl ridotta del premio alla
nascita dei vitelli. Anche il contentino degli ortofrutti-
coli trasformati è insignificante, rispetto all'attuale si-
tuazione di mercato e alle aspettative dei produttori"·
Arcangelo Lobianco, presidente della Coldiretti, ha rile-
vato come in un quadro generale già compromesso, il risul-
tato ottenuto da Pandolfi abbia evitato un ulteriore
gioramento, resistendo alle posizioni egoistiche degli
tri paesi Cee.
"Il giudizio però", ha tenuto a precisare, "non può esse-
re imbrigliato nella valutazione dei minori danni a cui

74
siamo stati costretti, ma necessita di una valutazione po-
litica sulle condizioni in cui versa attualmente la Cee
(24).
Decisamente negativo è stato il parere espresso dalla
Confagricoltori, il cui presidente, Stefano Wallner, non ha
mancato di rilevare come mancassero le prospettive per un
vero rilancio della costruzione canunitaria, fondato su
programmi chiari e risorse finanziarie adeguate.
Anche per la Federcol tivatori Cisl l'accordo ha mostrato
l'urgente necessi t~ di una radicale riforma della politica
agricola della Cee.
L'ottimismo del ministro Pandolfi è stato infine conte-
stato dall'Associazione nazionale delle cooperative agrico-
le aderenti alla Lega. L'Anca ha sostenuto infatti che
l'accordo di Bruxelles "è pesantanente fallimentare per
l'Italia".
E' anche per reagire alle cri ti che mosse da più parti al-
1' accordo agricolo del 31 marzo che la presidenza del Con-
siglio é nuovamente intervenuta, il 2 aprile, sottolinena-
do, il particolare: "Taluni giudizi valutativi espr'essi non
tengono conto della globalit~ del negoziato e quindi dei
suoi effetti canplessivi e, inoltre, sottostimano, quando
addirittura non ignorano, gli obiettivi di contenimento
produttivo imposti alla trattativa agricola, nonchè le con-
clusioni difficili in cui essa è stata condotta" (25).
Un richiamo, questo, che, cane abbiamo visto, appare an-
cora più opportuno se considerato alla luce dei progressi
compiuti nei mesi successi vi sugli altri volets di questo
negoziato globale per il risanamento e il rilancio della
costruzione europea.

75
Note

1. Corr.missione Ce, Il finanziamento futuro della Comunità, COM (83 l 10


def., 4 febbraio 1983.
2. Commissione Ce, Il finanziamento futuro della Comunità. Progetto di
decisione sulle risorse proprie, COM {83) 270 def., 6 maggio 1983.
3. Questi meccanismi di limitazione della garanzia si fondano sul prin-
cipio che, se la produzione per i settori in causa supera certi li-
velli prefissati, i produttori debbano assll'l!ere, in tutto o in parte,
gli oneri supplementari derivanti dal collocamento di queste quantità
eccedenti. Questo risultato è stato perseguito in generale non tanto
limitando le quantità amnesse all'intervento o agli aiuti comunitari,
bensì mediante altri disposi ti vi: ad esempio, riduzione lineare del
prezzo d'intervento o sugli aiuti nella successiva campagna per l' in-
sieme del settore, quote di produzione, ecc. Per più ampi dettagli,
vedi Commissione Ce, Le limitazioni di garanzia e la Pac, L'Europa
Verde, n. 207, n. 1, 1985.
4. Cornmissione Ce, Rapporto della Commissione sul mandato del 30 maggio
1980, COM (81) 300 def., giugno 1981.
5. Commissione Ce, Orientamenti per l'agricoltura europea. Memorandum
complementare al rapporto della Commissione sul mandato del 30 maggio
1980, COM (81) 6cB def., 10 novembre 1981
6. Agence Europe, Docll'l!enti, n. 1253, 25 aprile 1983.
7. Canrnissione Ce, Nuovi orientamenti per lo sviluppo della pclitica
agricola comune, COM (83) 380 def., 20 giugno 1983.
8. Commissione delle Comunità europee, Politica agraria comune: propo-
ste della Commissione, COM (83) 500 def., 28 luglio 1983.
9. CQ!Tl.missione Ce, Rapporto e proposta sui mezzi per accrescere l'effi-
cienza dei fondi strutturali della Comunità, COM (83) 501 def., 28
luglio 1983.
10. Razionalizzazione della politica agraria comune: proposte della
Commissione, Bollettino delle Comunità europee, n. 7 8, 1983,
11. COM (83) 54 def., 14 settembre 1984.
12. Cfr. il capitolo sulla politica europea.
13. COM (83) 586 def., 6 ottobre 1983.
14. COM (84) 20 def., 17 gennaio 1984.
15. COM (84) 20 def., cit.
16. La copertura inanziaria di quest'onere aggiuntivo per il bilancio
1984 è stata trovata in parte nel restante margine di disponibilità
delle risorse proprie e per la parte eccedente ( 1 miliardo di Ecu)
con il ricorso al finanziamento straordinario, mediante prestiti
rimborsabili degli Stati membri e sulla base di un accordo intergo-
vernamentale. Una procedura, quest'ultima, diversa da quella che la
Commissione aveva proposto e che sanziona in maniera clamorosa il
fatto - politicamente grave - che ìl bilancio della Comunità non
fosse più finanziato nel quadro del regime delle risorse proprie.
17. L'accordo prevede: per il 1984, una compensazione forfettaria di 1
miliardo di Ecu; per gli anni successivi: lo "sbilancio", definito
come la differenza fra quanto versa il Regno Unito a titolo di Iva e
quanto riceve dal bilancio europeo, sarà solo in parte (per i 2 3
della sua quota normale) all'onere di questa compensazione.
18. Il tasso massimo può essere portato all'1 ,6% alla data del 1° gerr
naio 1988 con decisione del Consiglio presa all'unanimità e previo
accordo dato secondo le procedure nazionali.
19. Cfr. Comnissione Ce, Note Rapide sull'Europa Verde, n. 27, aprile
1984.
20. Senza entrare nei dettagli tecnici, l'accordo su questo punto pre-
vede uno smantellamento pressochè totale degli i. c. m. negativi esi-
stenti e uno smantellamento in tre tappe di quelli posi ti vi, di cui

76
la prima tappa - di applicazione immediata - mediante la conversione
di 3 punti di 1.c.m. positivi in negativi. e la successiva soppres-
sione di questi ultimi.
21. Per i dettagli, cfr., Commissione Ce, Note Rapide sull'Europa Ver-
de, .cit.
22. La Repubblica, 1 aprile 1984.
23. La Repubblica, 1 2 aprile 1984.
24. La Repubblica, cit.
25. La Repubblica, 3 aprile 1984.

77
78
8. LA POLITICA AGRICOLA 1984-1985*
di Saverio Torcasio

1. Quote latte: anno primo

1 .1. Le pressioni per svuotare dì contenuto il regime delle quote

Il lungo e tormentato iter decisionale che ha portato all'intro-


duzione, a partire dal 1 aprile 1984, di un regime di quote di pro-
duzione nel settore del latte, quale rimedio estremo al continuo ac-
crescersi delle eccedenze in questo settore, è stato ampiamente de-
scritto un anno fa in questa sede 1 . Si tratta, è il caso di ricordarlo,
non solo di una delle più drastiche misure che siano mai state as-
sunte nel quadro della politica agricola comune, ma anche di uno
dei principali focolai di tensione nelle relazioni tra i Dieci degli ul-
timi anni. È comprensibile, dunque, che, pur senza entusiasmare
nessuno, e tantomeno la Commissione che pure si era vista costret-
ta a proporla, l'adozione di questa misura da parte dei ministri del-
l'Agricoltura abbia facilitato lo scioglimento di tutti i nodi degli al-
tri dossier agricoli e non agricoli sul tappeto e abbia di riflesso con-
tributo a quel rasserenamento del clima politico comunitario, so-
lennemente sanzionato in giugno dal Consiglio europeo di Fontai-
nebleau.
Al di là, infatti, degli aspetti tecnici della misura, che per certi
versi potrebbe configurarsi più come un rinforzamento del regime
di limitazione della garanzia già in vigore che come una effettiva ri-
' voluzione del sistema2 , l'accordo sul regime delle quote di produ-

1. Cfr. L'Italia nella politica internazionale, 1983-84, Milano, Angeli, pp. 329
ss.
2.) Come è noto, nel settore lattiero-caseario, è stato introdotto, a partire dal
1982/83 un regime di limitazione della garanzia, che comportava la riduzione linea-
re e generalizzata del prezzo dì intervento allorché la produzione (o piuttosto le

* In IAI, “L’Italia nella politica internazionale (1984-1985)”,


Franco Angeli, Milano, 1986

79
zionc nel settore del latte costituiva un reale progresso nella volon-
tà politica dei Dieci di mettere un freno all'espansione delle ecce-
denze agricole, a cominciare dal settore più costoso per il bilancio
comunitario. Una esigenza, questa, diventata ormai una delle con-
ditio sine qua non per far uscire la Comunità dalla lunga impasse
decisionale degli ultimi anni e per sottrarla alle secche finanziarie
in cui essa era finita, con l'esaurimento di ogni margine di autofi-
nanziamento consentito dal regime di risorse proprie in vigore dal-
l'inizio degli anni '70. Detto questo, occorre però anche aggiunge-
re che dal momento in cui il regime delle quote è entrato in vigore,
e cioè praticamente dall'indomani della decisione del 31 marzo
1984 che le istituiva, i ministri dell'Agricoltura dei Dieci si sono at-
tivamente adoperati vuoi per rendere il regime più flessibile, vuoi
per dilazionare nel tempo il pagamento del prelievo obbligatorio
previsto in caso di superamento della quota individuale attribuita
a ciascun allevatore, vuoi infine per denaturare completamente il
sistema e vuotarlo di ogni contenuto coercitivo. Insomma , dopo
aver ingoiato di malavoglia il rospo, i Dieci hanno cercato in tutti
i modi di renderlo più digeribile per i propri agricoltori e, se pos-
sibile, del tutto innocuo visto che sarebbe stato politicamente im-
pensabile rimettere in discussione l'accordo faticosamente rag-
giunto dopo mesi di intense e spesso drammatiche trattative. Di
fronte a questo fuoco concentrato di pressioni e dì rivendicazioni,
non sempre facilmente conciliabili tra loro, la Commissione, istitu-
zionalmente garante dell'applicazione della normativa comunita-
ria, ha assunto un duplice atteggiamento. Da una parte, ampia di-
sponibilità ad esaminare con spirito costruttivo le misure necessa-
rie per ovviare a talune difficoltà di applicazione del regime insorte
in molti stati membri o per riportare le scadenze per l'applicazione

consegne alle lattiere) ecceda un certo livello, pari alla produzione del 1981 aumen-
tata dello 0.5% all'anno. Il regime delle quote di produzione introdotto a partire
dal 1984/85 ha« gelato » anzitutto la quantità globale garantita al livello del limite
di garanzia applicabile per il 1983/84. Essa è stata inoltre ripartita per azienda sulla
base dello stesso criterio e di altri criteri analoghi. In caso <.li superamento della quo-
ta nel corso di un anno è prevista l'applicazione di un prelievo obbligatorio a favore
del bilancio comunitario pari al 75% o al 100% del prezzo indicativo del latte, men-
tre si procedeva alla riduzione del prezzo di intervento nel regime precedente di li-
mitazione della garanzia. È chiaro che il regime delle quote è molto più dissuasivo
del precedente regime di limitazione della garanzia . Esso è inoltre più selettivo in
quanto il prelievo è pagato unicamente da coloro che superano la propria quota di
produzione, A questo schema generale sono stati tuttavia apportati numerosi adat-
tamenti , descritti nel testo .

80
delle sanzioni previste. Dall'altra ferma opposizione a qualunque
modifica del regime delle quote che avesse come effetto di aumen-
tare, in una maniera o nell'altra, il livello complessivo delle quote
convenute o di condurre in maniera più o meno formale, alla tra-
sformazione del regime di quote individuali adottato in un regime
di quote a livello nazionale, all'interno del quale i produttori sa-
rebbero rimasti individualmente liberi di produrre ma collettiva-
mente solidali di un eventuale superamento della quota nazionale.
Un'aspirazione quest'ultima ripetutamente espressa, dalla delega-
zione italiana, alle prese, sul piano interno, con una vera e propria
rivolta dei nostri allevatori, soprattutto nella Pianura padana, che
si ritenevano da essa ingiustamente immolati sull'altare dell'Euro-
pa verde al momento della conclusione degli accordi per porre ri-
medio al problema delle eccedenze lattiero-casearie della Comuni-
tà, un problema di cui non si ritenevano responsabili.

1.2. Gli adattamenti apportati al regime di base

Una prima rivendicazione pressoché generale a cui è stato, in-


vece, dato seguito positivo sia pure non senza esitazioni è quella
relativa al rinvio del pagamento delle sanzioni previste in caso di
superamento delle quote. Da una parte, infatti, fin dall'emanazio-
ne del regolamento di applicazione delle quote, in deroga alle di-
sposizioni di base che prevedevano una riscossione trimestrale, a
causa delle particolari difficoltà di applicazione di questo regime in
Italia e Grecia, la riscossione del prelievo previsto in caso di supe-
ramento delle quote è stata rinviata di un anno in questi due stati
membri. Dall'altra, anche in considerazione del ritardo con cui la
normativa di applicazione è stata emanata, la riscossione del primo
prelievo è stata dapprima rinviata di tre mesi per gli altri stati
membri e successivamente riportata, di rinvio in rinvio, al 15 mag-
gio 1985, e cioè alla stessa data prevista per l'Italia e la Grecia. Nel
frattempo, tuttavia nel clima di incertezza che ha regnato per lun-
go tempo a questo proposito, i primi prelievi parziali erano già sta-
ti effettuati almeno in due stati membri: l'Irlanda sulla base tutta-
via di una quota nazionale indebitamente aumentata) che ha in se-
guito rimborsato le somme prelevate dai propri allevatori, e la
Germania, che ha trattenuto presso di sé le somme prelevate e che
ha finalmente richiesto di poterle utilizzare per il finanziamento di
misure nazionali per la cessazione dalla produzione lattiera: richie-

81
sta che è stata accolta nel maggio 1985, nel quadro dell'accordo sui
prezzi agricoli e sulle misure connesse per il 1985-86. La relativa
disponibilità della Commissione ad accogliere molte delle rivendi-
cazioni degli stati membri a questo riguardo durante il primo anno
di applicazione della misura non deve tuttavia far perdere di vista
la pressione permanente che essa ha esercitato sulle amministra-
zioni nazionali affinché assicurassero la corretta applicazione del
regime delle quote e il rispetto dei principi di base di questa misu-
ra. Oltre che da considerazioni di opportunità politica, tale accon-
discendenza sulla dilazione dei termini di pagamento è stata pro-
babilmente dettata anche dalla consapevolezza che la sanzione
prevista in caso di superamento delle quote fosse finanziariamente
talmente dissuasiva da indurre la maggior parte dei produttori a
non superare la propria quota. Una convinzione, questa, che è sta-
ta sempre più suffragata dalle cifre di produzione che giungevano
a mano a mano alla Commissione, e che fin dai primi mesi di ap-
plicazione delle quote denotavano una netta inversione di tenden-
za rispetto alla precedente campagna. E questo, per la Commissio-
ne, contava molto più che la raccolta di qualche milione di ecu in
più, anche se solo la certezza di un'applicazione rigorosa del regi-
me costituiva la condizione del suo successo.
Un secondo passo in avanti politicamente importante verso
una maggiore flessibilità del regime è stata l'introduzione, nel feb-
braio 1985, di una serie di disposizioni che autorizzano tempora-
neamente il trasferimento, a certe condizioni, di quote di produ-
zione non utilizzate da un produttore all'altro, tanto all'interno di
una stessa regione che tra regioni di uno stesso stato membro, nei
limiti beninteso della quota nazionale prestabilita. Ciò fa sì che an-
che nel caso in cui una parte dei produttori superino le quote loro
attribuite, essi non sono tenuti al pagamento del prelievo se tale
eccesso è compensato dalla riduzione registrata da altri produttori.
Queste disposizioni sono state peraltro completate, come ab-
biamo già visto, daHa possibilità accordata agli stati membri che
non superano la quota nazionale e che abbiano effettuato i prelievi
- in pratica solo la Germania - di destinare tali somme al finan-
ziamento di misure nazionali per la cessazione dalla produzione
lattiero-casearia, autorizzate dal regolamento di base. Ulteriori
adattamenti al regime delle quote, nel senso di una maggiore tles-
sibilità, sono stati peraltro decisi nel quadro delle discussioni sui
prezzi agricoli e misure connesse per la campagna 1985-86. In que-
sto contesto, accogliendo una vecchia rivendicazione italiana, il

82
Consiglio ha, tra l'altro, accettato una disposi:L:ione che consente
ad uno stato membro (e nel caso specifico all'Italia) di applicare il
regime delle quote non a livello di singola impresa o di singola lat-
teria, come prevede la normativa generale, ma a livello di associa-
zione di produttori e di relative unioni: un passo in avanti decisivo,
questo, verso l'assimilazione della miriade di produttori di latte del
nostro paese a quel« bacino unico di produzione », tanto insisten-
temente richiesto in passato, ma senza successo, dal ministro Pan-
dolfi. Il prelievo eventualmente dovuto dall'associazione o dall'u-
nione in caso di superamento della quota di produzione è stato tut-
tavia fissato al 100% del prezzo indicativo del latte e non al 75%,
come è invece previsto nel caso di un singolo produttore. Ciò in
quanto tale regime consente di effettuare compensazioni tra pro-
duttori e associazioni di produttori nell'ambito delle relative
« unioni », in maniera che il superamento della quota degli uni
possa essere eventualmente controbilanciato dalla riduzione della
produzione degli altri.

1.3. L'applicazione delle « quote-latte » nel nostro paese

Quest'ultima decisione ha consentito finalmente di porre fine


al Lungo periodo di confusione e di incertezza che si è aperto nel
nostro paese a proposito dell'applicazione del regime delle quote,
deciso più di un anno prima, e che ci era valso anche un ricorso in
Corte di giustizia da parte della Commissione per non applicazione
della normativa comunitaria in questo settore. La difficoltà risie-
deva non soltanto nella eccessiva polverizzazione della produzione
lattiero-casearia nel nostro paese (oltre 450.000 produttori di latte,
di cui circa 400.000 con meno di 10 vacche), ma anche nell'assenza
di associazioni di produttori rappresentative della categoria, senza
contare le divergenze di vedute sulla formula da adottare che ha
regnato per lungo tempo nel mondo agricolo e fra le organizzazio-
ni professionali. Una volta individuato nella costituzione di asso-
ciazioni di produttori e nel loro raggruppamento in unioni nazio-
nali lo strumento di gestione delle quote-latte nel nostro paese, si
trattava peraltro di creare ex-novo questa struttura organizzativa e
di farla funzionare, non soltanto come centri di gestione delle quo-
te-latte, ma anche con responsabilità più ampie all'interno del
mercato del latte. Si comprende, dunque, perché è soltanto a metà
luglio 1985, ad oltre quindici mesi di distanza dalla loro introduzio-

83
ne, che l'Italia ha potuto informare la Commissione della sua de-
cisione di applicare il regime delle quote di produzione nel settore
del latte secondo la formula « A », ossia secondo il sistema che
prevede la fissazione di quote per ciascun produttore 3 essendo in-
teso tuttavia che l'Italia avrebbe fatto ricorso alla disposizione che
prevede la possibilità di applicare questa formula a livello di asso-
ciazioni dei produttori e di relative unioni.
Quanto al livello di produzione ottenuto nella campagna
1984-85 da fonti di stampa si è appreso che il quantitativo di fife-
rimento di 8.323 milioni di tonnellate di latte concesso all'Italia nel
quadro del regime delle quote sarebbe stato superato dello 0,4%.
I produttori italiani non sarebbero tuttavia tenuti al pagamento del
prelievo previsto in caso di superamento della quota, grazie alla
possibilità, anch'essa introdotta di recente, di compensazione esi-
stente fra le quote attribuite alla vendita diretta di latte e quelle
previste per le consegne alle latterie.
Nel frattempo, peraltro, il governo italiano, al pari di quasi
tutti i partners della Comunità europea, allo scopo dì ridurre il pa-
trimonio lattifero nazionale e in virtù del regolamento istitutivo
del regime delle quote, aveva stanziato circa 60 miliardi di lire per
il finanziamento di un regime di aiuto ai produttori che avessero
deciso di abbandonare la produzione di latte e di un regime di aiu-
to supplementare per la sostituzione dei capi eliminati con vacche
da carne o con altre specie di animali.
L'insieme di queste misure, una maggiore disciplina dei pro-
duttori, le modifiche nei regimi nutritivi delle vacche hanno certa-
mente contribuito al contenimento degli incrementi produttivi re-
gistrati nel settore lattiero nel nostro paese nel 1984-85. Grazie pe-
raltro agli adattamenti apportati alla regolamentazione di base,
come s'è visto, i nostri allevatori sono stati praticamente esonerati
dal pagamento del prelievo per la campagna 1984-85. Dopo essere
stato al centro di aspre polemiche e di severe contestazioni, dopo
aver dovuto fronteggiare i movimenti di rivolta che serpeggiavano
nelle province lattiero-casearie della pianura padana, dopo essere
stato costretto per calmare i bollori di rivolta a promettere agli al-
levatori che il governo italiano avrebbe assunto a suo carico il pa-
gamento eventuale del prelievo dovuto in caso di superamento
delle quote, il che avrebbe inevitabilmente condotto nuovamente

3. La formula « B » prevede invece l'applicazione delle quote a livello delle


latterie.

84
in Corte di giustizia il nostro paese, il ministro dell'Agricoltura,
Pandolfi, ha potuto così chiudere con una serie di successi, sul pia-
no interno e sul piano comunitario, un anno indubbiamente deci-
sivo per riconquistare la fiducia del mondo agricolo ed in partico-
lare degli allevatori. Come vedremo, non si è trattato di un succes-
so sporadico e limitato al settore del latte, ma riguarda anche la
maggior parte degli altri dossier di cui ha dovuto occuparsi nel pri-
mo semestre del 1985, in qualità di presidente di turno del Consi-
glio agricoltura, a cominciare dalla riforma del mercato vitivinico-
lo.

2. Il settore vitivinicolo

2.1. Il crescente squilibrio di mercato nel settore del vino

I problemi del settore vitivinicolo e le discussioni sulle misure


da prendere a livello comunitario per prevenire le ricorrenti crisi di
mercato ed arginare i crescenti flussi finanziari assorbiti da questo
settore sono rimasti d'attualità per tutto il 1984 e per alcuni mesi
del 1985. Le difficoltà a pervenire ad un accordo e l'urgenza di una
decisione, tenuto anche conto del grave deterioramento della si-
tuazione di mercato a seguito di un raccolto eccezionale nel 1983,
e della prospettiva di un ulteriore peggioramento per effetto del-
l'imminente adesione della Spagna e del Portogallo, hanno anzi as-
sunto una tale rilevanza politica che è stato necessario investire del
dossier i capi di stato e di governo dei Dieci, riunitisi a Dublino il
4 e il 5 dicembre 1984. Malgrado l'accordo politico raggiunto in
tale sede, ci sono tuttavia voluti altri tre mesi di negoziati a livello
dei ministri dell'Agricoltura per varare la nuova riforma dell'orga-
nizzazione comune di mercato per il settore vitivinicolo.
L'ultima volta che questo aveva subito una profonda modifi-
cazione era stato nel maggio 1982, allorché erano state introdotte
alcune sostanziali innovazioni nella panoplia dì misure applicabili
in questo settore per sostenere il mercato e assorbire le eccedenze.
In particolare, erano stati rinforzati i dispositivi di distillazione fa-
coltativa del vino in eccedenza per trasformarlo in alcol ed era sta-
ta introdotta una disposizione che autorizzava la Commissione ad
intervenire nelle annate in cui la disponibilità di vino da tavola su-
pera di 5 o 6 mesi il fabbisogno annuo, decidendo la distillazione
obbligatoria di una quota della produzione comunitaria.

85
Per agire, inoltre, alla radice del problema, e cioè per limitare
il potenziale produttivo, fin dal 1976 era stato disposto il blocco
temporaneo, per due anni, degli impianti di vigneti per vino data-
vola, ed era stato varato un regime comunitario di aiuti all'abban-
dono temporaneo della viticultura. Nel 1980, queste misure tem-
poranee erano state sostituite da un più organico piano di control-
lo del potenziale viticolo comunitario, comprendente la proroga
del divieto di nuovi impianti, un programma pluriennale per il mi-
glioramento delle strutture viticole e un regime di aiuti all'abban-
dono definitivo deila viticultura.
L'insieme di queste misure strutturali, unitamente ad altri fat-
tori socio-economici, hanno effettivamente contribuito a ridurre
significativamente le superfici viticole nella Comunità. Tuttavia, la
diminuzione delle superfici è stata largamente compensata dall'au-
mento delle rese, dovuto sia al reimpianto di varietà più produttive
sia al ricorso a nuove tecniche di produzione. Nel complesso, in ef-
fetti, la produzione vinicola comunitaria, invece di diminuire, ha
continuato ad aumentare: nelle ultime cinque campagne essa si è
infatti situata in media sui 165 milioni di ettolitri all'anno, contro
i 154 milioni di ettolitri in media negli anni '70. A fronte di questa
progressione tendenziale della produzione, si riscontra una flessio-
ne sempre più marcata dei consumi, in particolare nei due grandi
paesi produttori e consumatori (Italia e Francia), non sufficiente
mente compensata dagli incrementi registrati negli altri stati membri
L'effetto congiunto di queste tendenze divergenti è stato quel-
lo di accentuare sempre più la natura strutturale della situazione di
eccedenza che si riscontra da tempo, in questo settore. Essa si ri-
flette tanto sui quantitativi, sempre più imponenti, dì vino datavo-
la che la Comunità si è vista costretta in questi ultimi anni a tra-
sformare in alcole, peraltro con effetti perversi sul mercato di que-
sto prodotto (20,5 milioni di ettolitri nel 1980-81, più di 32 milioni
di ettolitri nel 1983-84, pari a circa un terzo della produzione totale
di vino da tavola), che nella crescita vertiginosa delle relative spese
a carico del Feoga-garanzia ( da 300 milioni di ecu nel 1980 a 660
milioni di ecu nel 1983, superando nel 1984 i 1200 milioni di ecu).

2.2. La necessità dì una nuova riforma del mercato vitivinicolo


Che la situazione del settore vitivinicolo richiedesse un rinfor-
zamento dei dispositivi già in vigore, anche per renderli più effica-
ci, lo si era capito da tempo. Gli sviluppi del mercato nel corso del

86
1984 e la situazione di impasse in cui si sono venuti a trovare per
molti mesi i negoziati di adesione con la Spagna e il Portogallo in
mancanza di un accordo sulle misure da prendere per ristabilire un
durevole equilibrio nel settore vitivinicolo, non hanno fatto che
rendere più urgente una decisione a questo riguardo.
A fine marzo, intanto i ministri dell'Agricoltura avevano de-
ciso di prorogare fino al 1990 il divieto di nuovi impianti viticoli, e
questo non solo per il vino da tavola, ma anche per i vini di qualità
e l'uva da tavola, nonché di proseguire ed estendere le diverse
azioni di miglioramento e di riduzione del potenziale viticolo co-
munitario. A fine maggio, tuttavia, le prospettive per la campagna
in corso erano diventate talmente preoccupanti e il « buco » finan-
ziario per il 1984 nel settore del vino talmente ampio (600 milioni
di ecu circa) da indurre il Consiglio dei ministri, su richiesta della
Commissione, ad affidare ad un gruppo ad alto livello (composto
dai direttori generali dei mercati agricoli nelle amministrazioni na-
zionali e comunitarie), il compito di esaminare gli eventuali adat-
tamenti da apportare alla regolamentazione in vigore in questo
settore per renderla più efficace e per assicurarne una migliore ap-
plicazione. Una procedura, questa, alquanto ìnabituale, ma che
presentava indubbiamente il vantaggio di accelerare l'iter decisio-
nale. A dare un nuovo impulso ai lavori, ma anche ad imprimere
una svolta decisiva alla riflessione ha contribuito in maniera deter-
minante il vincolo di subordinazione istituito dalla presidenza fran-
cese, in occasione del Consiglio europeo di Fontainebleau, tra i
progressi futuri nei negoziati di adesione con la Spagna e il Porto-
gallo, da una parte, e la riforma dell'organizzazione comune del
mercato vitivinicolo ( « idonea - affermava il comunicato finale -
ad assicurare un controllo dei quantitativi di vino prodotti nella
Comunità»), dall'altra. Questa riforma, assieme alla soluzione del
contenzioso sulla pesca, costituiva, anzi per la presidenza francese
la condizione essenziale per « garantire le condizioni del successo
dell'allargamento » e per poter concludere i negoziati di adesione
entro il 30 settembre 1984, come auspicava il Consiglio europeo.
Il 25 luglio, sulla base degli orientamenti emersi nelle due riu-
nioni del « gruppo ad alto livello », la Commissione ha presentato
un rapporto conclusivo sulle azioni da intraprendere per migliora-
re il funzionamento dell'organizzazione comune del mercato vitivi-
nicolo. Alcune di esse rivestivano il carattere di urgenza e si inqua-
dravano nel contesto della riforma del mercato del vino del 1982.
Altre, meno immediate , ma giudicate ugualmente necessarie per

87
evitare nuove crisi, si prefissavano invece l'obiettivo più ambizioso
di ristabilire a medio termine un migliore equilibrio della domanda
e dell'offerta in questo settore. Le misure immediate sono state
adottate il 20 agosto e mirano essenzialmente ad evitare alcuni
abusi nel ricorso alle varie forme di distillazione (mediante la limi-
tazione quantitativa della distillazione preventiva più favorevole al
produttore di quella obbligatoria) e penalizzare gli operatori che
forniscono dati inesatti o incompleti sulla produzione e sulle gia-
cenze di vino, rendendo così poco attendibili i bilanci previsionali
annuali necessari per la gestione del mercato. Una misura, que-
st'ultima, rivolta particolarmente contro gli operatori italiani, ac-
cusati da tempo di aver fornito alle autorità nazionali e a quelle co-
munitarie cifre sulla produzione e sugli stocks per la campagna
1983-84 ampiamente inferiori alla realtà, in modo da impedire che
« scattassero » le condizioni richieste perché fosse aperta la distil-
lazione obbligatoria. Se sulle misure d'urgenza applicabili fin dalla
campagna 1984-85 non è stato difficile trovare un rapido accordo,
tenuto anche conto che esse non mettevano sostanzialmente in
causa la riforma del mercato vitivinicolo del 1982, più contrastata
è stata invece la decisione sulle misure a medio termine ( applica-
bili a partire dalla campagna 1985-86) proposte dalla Commissio-
ne. Esse sono state dapprima delineate nella già citata comunica-
zione della Commissione del 25 luglio e sono state in seguito tra-
dotte in una serie di proposte formali, che sono state presentate al
Consiglio il 12 settembre.
È interessante notare a questo riguardo come, mentre fino al
mese di giugno pochi osavano apertamente prospettare la necessi-
tà (o anche la stessa praticabilità politica) di una nuova riforma
dell'organizzazione comune di mercato del settore vitivinicolo a
distanza di appena due anni dalla riforma faticosamente varata nel
1982, dopo il Consiglio europeo di Fontainebleau di fine giugno
non soltanto tale esigenza viene sempre più insistentemente affer-
mata a livello comunitario, in particolare dalla delegazione france-
se, ma si assiste anche a una sorta di escalation nelle terapie pro-
poste per curare le disfunzioni di questo settore.

2.3. Le terapie proposte e le prime discussioni in seno al Consiglio

A fine luglio, la Commissione aveva comunicato, tra l'altro,


l'intenzione di proporre un « gelo » dei prezzi di orientamento del

88
vino da tavola almeno fino a che il volume totale di vino distillato
durante una campagna avesse ecceduto il livello di 12 milioni di et-
tolitri (pari a circa il 10% della produzione). Una misura questa ,
che avrebbe comportato la diminuzione in valore assoluto del li-
vello di sostegno assicurato mediante gli interventi di mercato. Il
12 settembre la Commissione ha, in effetti, presentato una propo-
sta formale in questo senso, insieme ad alcune misure strutturali
aventi come obiettivo di ridurre in maniera permanente il poten-
ziale viticolo comunitario e varie altre misure intese, in particola-
re, a contenere anche la produzione di vini di qualità e a penaliz-
zare la pratica dello zuccheraggio nelle regioni del Nord-Europa
dove esso è ancora autorizzato . Nel frattempo , la Francia, per boc-
ca del suo ministro degli Affari europei, Roland Dumas, non solo
aveva ribadito la ferma opposizione del suo governo a concludere
i negoziati di adesione con la Spagna e il Portogallo entro il 30 set-
tembre se i Dieci non fossero prima pervenuti a mettersi d'accordo
sulla riforma del mercato del vino, ma aveva anche precisato i con-
tenuti che questa avrebbe dovuto assumere : in particolare, l'ele-
mento-chiave avrebbe dovuto essere , per la Francia , un sistema di
limitazione della garanzia che comportasse la distillazione obbliga-
toria a basso prezzo delle quantità eccedenti un livello di produzio-
ne « normale » , calcolato per ciascun produttore in funzione di
una resa media per ettaro, in maniera da penalizzare e scoraggiare
le rese elevate. Una soluzione questa, che rassomiglia molto da vi-
cino a un sistema di quote di produzione forfettarie per produtto-
re. La Francia considerava invece del tutto insufficienti le misure
di spiantamento dei vigneti proposte dalla Commissione, anche
perché i loro effetti si sarebbero fatti sentire a lungo termine men-
tre la prospettiva imminente dell' adesione della Spagna imponeva
invece la necessità di dotarsi di uno strumento permanente di ade-
guamento dell'offerta alla domanda . Più che l'attuale eccedenza
produttiva vinicola di questo paese (6 milioni di ettolitri circa)
quello che più preoccupava le autorità francesi era il rischio che la
produzione vinicola spagnola (sui 40 milioni di ettolitri) potesse
addirittura raddoppiare a seguito dell'adesione tenuto conto delle
rese attuali relativamente basse e del consistente aumento dei
prezzi di sostegno di cui avrebbero beneficiato i viticoltori spagnoli
per effetto del progressivo allineamento dei prezzi spagnoli su
quelli comunitari. A metà settembre si è avuto un primo giro di ta-
volo sulle proposte della Commissione in seno al Consiglio dei mi-
nistri dell'Agricoltura della Ce. Esso ha fatto apparire una netta

89
contrapposizione tra la delegazione francese, che ha presentato in
questa sede, una nuova proposta di limitazione della garanzia (il
cui livello avrebbe dovuto situarsi intorno all'85% di una produ-
zione annuale media) e la delegazione italiana, sostanzialmente
isolata e sulla difensiva nel rigetto del gelo dei prezzi e di ogni so-
luzione che rassomigliasse anche da lontano a una limitazione del-
la garanzia o a un sistema di quote di produzione, ma disposta in-
vece ad accettare il volet strutturale delle proposte della Commis-
sione. Com'era da attendersi, la maggior parte delle delegazioni
(salvo quella greca) si è schierata accanto a quella francese, conve-
nendo in effetti con essa sulla necessità di adottare una regolamen-
tazione più drastica del mercato del vino prima che si definissero
le condizioni di accesso della Spagna alla Comunità per quanto ri-
guarda il settore vitivinicolo. A seguito di questo giro di tavolo, la
Commissione ha ritenuto di dover modificare e completare, in sen-
so ancora più restrittivo, le proposte presentate a metà settembre
per la gestione del mercato vitivinicolo. In particolare, essa ha pro-
posto: a) l'introduzione di un limite di garanzia, per un quantita-
tivo di vino da tavola pari a 100 milioni di ettolitri all'anno, al di là
del quale sarebbe scattata automaticamente la distillazione obbli-
gatoria; b) una riduzione dei prezzi pagati al produttore per tale
distillazione ( dal 60% già in applicazione al 50% del prezzo di
orientamento); e) una riduzione supplementare dei prezzi (fino al
33% del prezzo di orientamento) per una parte dei quantitativi di
vino distillati, provenienti da vitigni ad alto rendimento. Questa
proposta ha suscitato la più ferma opposizione del ministro dell' A-
gricoltura italiano, Filippo Maria Pandolfi, il quale si è anche ram-
maricato che la Commissione avesse di fatto sposato le proposte
francesi, da lui definite « una sfida al buon senso » ed « una umi-
liazione per i viticoltori italiani ». La delegazione italiana ricono-
sceva, è vero, che la riforma del mercato del vino del 1982 non
aveva funzionato per certi aspetti in maniera corretta: si trattava
perciò unicamente di farla funzionare meglio e non di introdurre
una nuova disciplina di mercato che avrebbe profondamente mo-
dificato l'attuale situazione.
Malgrado, tuttavia, il forcing dei ministri dell'Agricoltura e
quello dei ministri degli Esteri (questi ultimi chiamati parallela-
mente a definire la posizione comune di negoziato con la Spagna
e il Portogallo in questo settore) e malgrado una proposta di com-
promesso presentata nel frattempo dalla Commissione, e giudicata
tuttavia dall'Italia peggiore delle proposte iniziali e quindi del tut-

90
to inadeguata a costituire la base di una discussione fruttuosa, nes-
sun progresso è stato possibile realizzare nelle numerose riunioni
che si sono svolte durante il mese di ottobre. Nel frattempo, peral-
tro, uno dei pochi elementi del pacchetto di misure presentate dal-
la Commissione favorevole ai produttori italiani (la penalizzazione
della pratica dello zuccheraggio in maniera da obbligare i produt-
tori delle regioni settentrionali dell'Europa a impiegare del mosto
al posto dello zucchero per accrescere la gradazione alcolica dei
loro vini) rischiava di cadere, soprattutto per l'opposizione della
delegazione tedesca. Il che avrebbe evidentemente reso ancor più
oneroso per l'Italia il costo della riforma. La posizione italiana era
tuttavia resa ancora più difficile dal fatto che bloccando le decisio-
ni sul vino, essa rischiava di apparire agli occhi di tutti come il sa-
botatore dell'adesione spagnola alla Comunità (visto che la Fran-
cia aveva subordinato quest'ultima alla riforma del mercato vitivi-
nicolo). È anche su questo fronte che ha dovuto combattere la di-
plomazia italiana.

2.4. L'accordo di Dublino e il varo della nuova riforma


A metà novembre, la situazione a livello dei ministri dell' A-
gricoltura non aveva registrato alcun progresso, malgrado il ritar-
do politicamente sempre più imbarazzante per la Comunità, nei
negoziati di adesione , anch'essi nell'impasse più totale. Né miglior
esito ha avuto la riunione di fine novembre dei ministri degli Affari
esteri, a cui la presidenza irlandese aveva nel frattempo trasmesso
questo spinoso dossier. È così che, ancora una volta, come era già
successo un anno prima alla stessa epoca ad Atene per le quote sul
latte, è toccato ai capi di stato e di governo riuniti a Dublino il 3
e 4 dicembre, sbucciare questa patata sempre più bollente. Questa
volta, però, essi sono riusciti a pervenire quanto meno ad un ac-
cordo di principio sui contenuti della riforma del mercato vitivini-
colo e a sbloccare almeno in parte e non senza lasciare strascichi
per i mesi a venire, l'insieme dei negoziati paralleli (ampliamento,
disciplina di bilancio, ecc.). Ciascuno dei due principali attori del
negoziato « vino » ha, evidentemente, dovuto fare delle conces-
sioni per arrivare a un compromesso soddisfacente per entrambi.
Così, ad esempio, l'Italia ha dovuto fare delle concessioni sulle
condizioni previste per far« scattare » la distillazione obbligatoria4

4. L'accordo prevede in effetti che la Commissione deciderà la distillazione

91
anche se nel testo del compromesso non si fa più menzione né di
limitazione della garanzia a 100 milioni di ettolitri, né di quote di
produzione nazionali, come implicitamente chiedeva la Francia.
Questa ha tuttavia dovuto cedere sui criteri da seguire per fissare
il volume da distillare obbligatoriamente (volume da stabilire per
regione e, all'interno di questa, per produttore, e non, come chie-
deva la Francia, su una base forfettaria a livello nazionale), anche
se ha ottenuto una « responsabilizzazione » degli stati membri nel-
l'applicazione della distillazione obbligatoria, comportante delle
sanzioni finanziarie in caso di mancata osservanza delle disposizio-
ni previste a questo riguardo. Il Consiglio si è inoltre dichiarato
d'accordo sul principio di misure intese ad incoraggiare l'estirpa-
zione dei vigneti e a limitare i diritti di reimpianto nonché ad ap-
plicare una politica di prezzi restrittiva nel settore del vino « finché
le distillazioni obbligatorie dimostreranno l'esistenza di eccedenze
non commercializzabili alle condizioni normali ». Quanto al livello
dei prezzi da corrispondere al produttore per le quantità sottopo-
ste alla distillazione obbligatoria, essi sono stati fissati al 50% del
prezzo di orientamento per i primi 10 milioni di ettolitri e al 40%
per i quantitativi superiori. Sul problema dello zuccheraggio, inve-
ce, non è stato possibile vincere l'opposizione tedesca: il Consiglio
ha dovuto così limitarsi a chiedere alla Commissione di svolgere
uno « studio approfondito sulla possibilità di utilizzazione del mo-
sto concentrato e dello zucchero e di presentargli una relazione nel
1990 ». Su questo accordo, definito« molto buono » dal presiden-
te francese, François Mitterrand, e « un ragionevole compromes-
so ... soddisfacente per tutti » dal presidente del Consiglio italiano,
Bettino Craxi, si è profilata tuttavia, all'ultimo momento, la mi-
naccia del primo ministro greco, Andreas Papandreou, il quale ha
formalmente posto un veto all'ampliamento a Spagna e Portogallo
e all'accordo sul vino se la Comunità non avesse adottato « una
posizione soddisfacente » sui programmi integrati mediterranei
(pim). Indipendentemente dall'ipoteca greca peraltro rimossa al
successivo Consiglio europeo di fine marzo con l'accordo di prin-
cipio sui pim, sono stati necessari ancora altri tre mesi di negoziati
per sciogliere i nodi interpretativi dell'accordo di Dublino sul vino

obbligatoria quando: a) le scorte di vino siano superiori a 4 mesi di utilizzazione


normale; b) i prezzi di mercato restino inferiori a11'82% del prezzo di orientamento
« durante un periodo rappresentativo », c) dai dati del bilanco preventivo risulti
per una campagna vitivinicola che la produzione supera di oltre il 9% le «utilizza-
zioni normali».

92
e un altro mese per l'adozione fomale della nuova regolamentazio-
ne del settore vitivinicolo, tenuto conto della necessità di conclu-
dere le procedure di consultazione del Parlamento europeo. È in-
fatti a fine febbraio che i ministri dell'Agricoltura, sotto la presi-
denza del ministro italiano ali' Agricoltura, Filippo Maria Pandolfi,
sono pervenuti ad un accordo sull'adeguamento del regime appli-
cabile al settore vitivinicolo, ivi comprese le questioni di dettaglio
non precisate nell'intesa di Dublino. Per quanto riguarda le misure
di mercato nessuna novità di rilievo è da registrare rispetto all'ac-
cordo di inizio dicembre. Più difficile è stata invece la decisione
sulle misure strutturali da applicare in questo settore per favorire
il risanamento a lungo termine del settore del vino, soprattutto per
l'opposizione della Francia a qualsiasi limitazione indiscriminata al
diritto di reimpianto dei vigneti. Il Consiglio ha innanzitutto adot-
tato un nuovo regime di premi all'abbandono definitivo dei vigneti
(applicabile fino al 1990), consistente nella concessione di premi
varianti da 1000 a 9000 ecu per ettaro in funzione della produttività
del vigneto, che si tratti di uva da vino, da tavola o per altri usi.
Nel contempo è stato deciso di limitare il diritto di reimpianto da
parte dei beneficiari di tali premi sulla superficie viticola rimanen-
te nella misura del 20% per i vigneti di collina e del 40% per i vi-
gneti di pianura. Gli stati membri sono autorizzati a versare ai pro-
duttori, al momento del reimpianto, un'indennità di 900 ecu per
ettaro di vigneto estirpato, imputabile per il 90% al Feoga. I Dieci
si sono inoltre impegnati a pronunciarsi in merito al regime gene-
rale di limitazione del diritto di reimpianto entro il 1° gennaio
1986.
Come hanno riconosciuto molti osservatori, non soltanto nel
nostro paese, questo accordo sull'insieme del pacchetto vitivinico-
lo è soprattutto il risultato dell'ostinazione del ministro italiano al-
1'Agricoltura e presidente di turno del Consiglio Agricoltura, Fi-
lippo Maria Pandolfi e della « strategia dei piccoli paesi >> di cui si
è fatto interprete durante i sei mesi di presidenza.

3. La riforma della politica delle strutture agrarie

3 .1. Il deludente bilancio della politica strutturale

Mentre la politica dei prezzi e dei mercati agricoli ha subito


soprattutto negli ultimi anni una serie di adattamenti più o meno

93
radicali onde tener conto dei mutamenti intervenuti tanto nel con-
testo economico generale che nella situazione dei mercati agricoli,
la politica delle strutture agrarie, malgrado il moltiplicarsi delle
misure particolari, dirette a colmare gravi lacune strutturali o in-
frastrutturali in diverse regioni della Comunità, è sempre rimasta
negli ultimi dicci anni strettamente ancorata alle tre direttive so-
cio-strutturali emanate nel 19725 , alla direttiva del 1975 sull'agri-
coltura di montagna e di talune zone svantaggiate, nonché al rego-
lamento (Ce) n. 355/77 , che finanzia progetti per il miglioramento
delle condizioni di trasformazione e commercializzazione di pro-
dotti agricoli. È vero che alcune disposizioni di queste direttive
sono state via via modificate o aggiornate nel corso degli anni. Co-
munque si è quasi sempre trattato di ritocchi relativamente secon-
dari che non hanno sostanzialmente intaccato né gli orientamenti
di fondo, né gli strumenti predisposti da queste direttive. Nell'ot-
tobre 1983, tuttavia, in vista dell'imminente scadenza delle diretti-
ve socio-strutturali del 1972, la Commissione ha avvertito l'esigen-
za di formulare, alla luce dell'esperienza maturata e dei risultati
conseguiti, una proposta globale di riforma di tali direttive e di de-
lineare i nuovi orientamenti da imprimere alla politica delle strut-
ture agrarie negli anni a venire. Le proposte presentate a tal fine
dalla Commissione6 prendono le mosse da un bilancio, alquanto
deludente, dei dieci anni di applicazione delle direttive socio-strut-
turali e si inseriscono in quel processo di revisione globale delle
politiche comuni messo in moto dalla riunione del Consiglio euro-
peo di Stoccarda del giugno 1983.
L'esigenza di procedere a una revisione radicale della politica
strutturale praticata negli ultimi dieci anni nasce da una serie di
considerazioni, alcune di ordine più generale, altre a carattere più
specifico.
Anzitutto, occorre ricordare che le misure adottate nel 1972,
come risultato concreto del famoso « piano Mansholt », erano im-
prontate ad una concezione politica che risentiva del clima di pro-
sperità economica imperante negli anni '60 e agli inizi degli anni

5. Si tratta, come è noto, della direttiva 72/159/Cee , sull'ammodernamento


delle aziende agricole , della direttiva 721160/Cee concernente l'incoraggiamento
alla cessazione dall'attività agricola ed alla destinazione della superficie agricola li-
berata a scopi di miglioramento delle strutture, e della direttiva 72/161/Cee, concer-
nente l'informazione socio-economica e la qualificazione professionale delle perso-
ne che lavorano nell'agricoltura.
6. Com (83) 559 def. del 10 ottobre 1983.

94
'70. In quel periodo, infatti, l'agricoltura offriva ancora buone pos-
sibilità d'investimento, mentre coloro che desideravano cessare
l'attività agricola trovavano facilmente impiego in altri settori. La
situazione è mutata radicalmente negli ultimi dieci anni, con il ral-
lentamento e talora il completo arresto della crescita economica,
accompagnato dal dilagare della disoccupazione. E' dunque diven-
tato del tutto irrealistico e per certi versi anche controproducente
l'obiettivo perseguito da alcune di queste direttive di favorire l'e-
sodo agricolo in vista delJ'utilizzazione delle terre così liberate per
fini di miglioramento strutturale.
In secondo luogo, non va dimenticato che gli anni '70 hanno
segnato per la Comunità un capovolgimento della situazione di
mercato e del grado di autoapprovvigionamcnto per molti prodotti
agricoli a cominciare dal latte per finire alla carne bovina, senza di-
menticare i cereali: settori questi in cui la Comunità da deficitaria
o autosufficiente è diventata in questi anni sempre più eccedenta-
ria. Ciò ha reso necessaria l'adozione negli ultimi anni di una po-
litica restrittiva dei prezzi e dei mercati, ma rendeva anche neces-
sario un ripensamento delle finalità perseguite da alcune delle di-
rettive strutturali. Lo sviluppo strutturale dell'agricoltura, che in
passato era considerato pressoché sinonimo di intensificazione del-
la produzione, non poteva infatti più assumere gli stessi contenuti
in questo nuovo contesto dell'agricoltura comunitaria senza intral-
ciare o addirittura vanificare il perseguimento degli obiettivi di
contenimento delle eccedenze mediante la politica dei prezzi e dei
mercati.
Infine, un ulteriore elemento che giustificava una riforma ra-
dicale dei regimi di aiuto e degli strumenti previsti dalle direttive
è costituito, come abbiamo già detto, dal bilancio piuttosto delu-
dente dei dieci anni di applicazione delle direttive socio-strutturali.
Un bilancio che già nel corso degli anni era apparso alquanto in-
soddisfacente, ma che, a consuntivo, si rivela ancora più negativo,
come riconosce la stessa Commissione. A questo proposito, la
Commissione fa rilevare che « in taluni casi lo scarso successo del-
la politica delle strutture può essere attribuita alle difficoltà incon-
trate dagli stati membri nel recepire tale politica nella legislazione
nazionale o nel curarne la corretta amministrazione ovvero ancora
nel finanziare la parte a loro carico » 7 • Per quanto riguarda, anzi-
tutto, la direttiva 721159/Cee, sull'ammodernamento delle aziende

7. Com (83) 559, cit.

95
agricole, si è dovuto constatare che l'impatto sulle strutture di pro-
duzione, in particolare nelle regioni più svantaggiate e quindi più
bisognose di rinforzare le proprie strutture produttive, è stato nel
complesso relativamente limitato se non del tutto nullo. Inoltre, la
tendenza alla contrazione del reddito agricolo, manifestatosi a par-
tire dalla seconda metà degli anni '70 ha impedito alla maggioran-
za degli agricoltori di raggiungere gli obiettivi di miglioramento dei
redditi, - condizione necessaria per ottenere il finanziamento del
piano di ammodernamento. L'incidenza decrescente di questa di-
rettiva è attestata anche dal numero di agricoltori che hanno intra-
preso la realizzazione di piani di sviluppo aziendale: dopo aver
raggiunto la punta massima di 30.000 nel 1978, tale cifra è diminui-
ta progressivamente, fino ad un minimo di 15.000 piani di sviluppo
approvati nel 1982. Di essi solo il 20% circa riguarda le regioni
svantaggiate. A profittare della direttiva sono stati soprattutto i
paesi e le regioni con buona agricoltura, anche perché essa è stata
meglio e più tempestivamente applicata laddove si dispone di più
efficienti strutture amministrative. Fatto sta che, contrariamente
agli obiettivi politici perseguiti, è soprattutto in queste regioni che
si sono raggiunti miglioramenti sostanziali della produttività azien-
dale, grazie all'intensificazione e alla specializzazione produttiva,
in particolare nel settore dell'allevamento bovino.
Ancora più limitati sono stati i risultati della direttiva 72/160/
Ce, avente come obiettivo l'incoraggiamento della cessazione dal-
l'attività agricola e la destinazione della superficie liberata a scopi
di miglioramento delle strutture. Alla fine del 1982, infatti, soltan-
to 1,2 milioni di ettari, pari a poco più dell'l % della superficie
agricola comunitaria, si sono resi disponibili in seguito alla cessa-
zione dell'attività da parte di imprenditori agricoli. Peraltro, come
riconosce la stessa Commissione, « i potenziali vantaggi di questa
mobilità della terra in termini di trasformazione strutturale non si
sono concretati, in quanto per ogni agricoltore ritiratosi dall'attivi-
tà ne sono subentrati, in media, altri due. Appena il 15% delle su-
perfici rese disponibili è stato acquistato da agricoltori che aveva-
no intrapreso l'ammodernamento della propria azienda, confor-
memente alla direttiva 72/159/Cee » 8 •
Quanto alla direttiva 72/160/Cee concernente l'informazione
socio-economica e la qualificazione professionale delle persone

8. Commissione Cee, La nuova politica delle strutture agrarie, « Europa ver-


de». n. 211. mag. 1985.

96
che lavorano in agricoltura, la sua più efficace attuazione interessa
essenzialmente solo due stati membri: la Germania e la Francia.
I risultati della direttiva 268/75, relativa all'agricoltura di
montagna e di talune zone svantaggiate, sono al contrario abba-
stanza soddisfacenti, in quanto essa ha permesso di frenare l'esodo
rurale e ha impedito la desertificazione delle zone di montagna.
Uguale giudizio positivo è possibile esprimere sul regolamento
(Cee) n. 355/77, il quale ha avuto un sostanziale impatto sullo svi-
luppo dell'industria agro-alimentare in tutta la Comunità.

3.2. Gli obiettivi della nuova politica strutturale

È essenzialmente a partire da queste considerazioni e dalla


necessità di conciliare l'obiettivo di una più grande flessibilità di
accesso alle misure previste, in maniera da ammettere un più gran
numero di beneficiari, con quello di una maggiore selettività in
modo da evitare una concentrazione delle risorse in settori produt-
tivi confrontati a problemi di eccedenze, che è partita la riflessione
della Commissione sulla revisione della politica delle strutture
agricole. Le proposte presentate nell'ottobre 1983 riflettono, in
particolare, gli orientamenti e le priorità seguenti:
- fornire un aiuto a un più gran numero di piccoli produttori, che
potrebbero essere i più colpiti dalle attuali difficoltà economi-
che e da una politica restrittiva dei prezzi agricoli, che la Com-
missione ha l'intenzione di proseguire anche in avvenire so-
prattutto nei settori eccedentari. A tal fine, le condizioni poste
dalla precedente direttiva 72/159/Cee per avere accesso agli
aiuti alla modernizzazione (in particolare, la presentazione di
un piano di sviluppo che consentisse di ottenere un livello di
reddito predeterminato, comparabile a quello delle categorie
non agricole) erano rese più flessibili. L'accento è stato inoltre
posto sull'incentivazione degli investimenti destinati a ridurre i
costi di produzione, a migliorare la qualità dei prodotti e a di-
versificare la produzione;
- assicurare che i programmi di aiuto al miglioramento delle
strutture e dei redditi agricoli e i relativi finanziamenti non in-
coraggino la produzione nei settori eccedentari. A tal fine la
Commissione ha proposto di interdire tutti gli aiuti agli investi-
menti, tanto a livello comunitario che nazionale, se essi hanno
per effetto di accrescere la produzione nei settori eccedentari,

97
ed in particolare nel settore del latte, salvo qualche rara ecce-
zione in alcune regioni svantaggiate;
- migliorare le strutture e i redditi agricoli nelle regione di mon-
tagna e nelle regioni svantaggiate, mediante la concessione di
aiuti più consistenti e a condizioni meno restrittive di quelle
previste nella precedente direttiva « montagna »;
tenere conto delle esigenze di salvaguardia dell'ambiente e del-
lo sviluppo di attività non agricole nelle regioni rurali;
- favorire, mediante appositi incentivi finanziari, l'insediamento
dei giovani in agricoltura, l'istituzione di servizi di mutua assi-
stenza, di gestione delle aziende, nonché di servizi di contabi-
lità agricola, e la costituzione di centri di formazione;
- rinforzare gli strumenti previsti dal reg. Cee n. 355/77 per il mi-
glioramento delle condizioni di commercializzazione e trasfor-
mazione dei prodotti agricoli e meglio orientarli verso le esi-
genze del mercato, dando la priorità a nuovi prodotti e a nuove
tecnologie e alle misure specifiche per aiutare talune regioni
della Comunità.

3.3. I negoziati in seno al Consiglio e le decisioni assunte

Mentre la versione riveduta del regolamento (Cee) n. 355/77


è stata adottata dal Consiglio il 19 giugno 1984, per l'adozione de-
finitiva del nuovo regolamento sostitutivo delle direttive strutturali
si sono dovuti attendere altri nove mesi, fino al 13 marzo 19859 •
Ciò non tanto perché in seno al Consiglio fossero emerse op-
posizione veramente fondamentali o di principio sulle linee essen-
ziali della proposta della Commissione, ma unicamente per sor-
montare le diversità di vedute su aspetti particolari delle misure
proposte o per la necessità di prendere contemporaneamente una
decisione sul finanziamento futuro della sezione « Orientamento »
del Feoga che finanzia la politica strutturale della Comunità e la
cui precedente dotazione quinquennale si esauriva alla fine del
1984. Ecco una panoramica delle principali difficoltà che hanno
ostacolato i negoziati in seno al Consiglio e le soluzioni di compro-
messo adottate.

9. Nel frattempo, le direttive strutturali del 1972, che scadevano alla fine del
1983, sono state a più riprese prorogate onde evitare soluzioni di continuità tra la
precedente e la nuova regolamentazione.

98
Obiettivi del regime di aiuto agli investimenti: come abbiamo
già detto, la proposta della Commissione prevedeva che, per poter
beneficiare degli aiuti previsti, i beneficiari dovessero presentare
un « piano di miglioramento materiale dell'azienda » (sostitutivo
del « piano di sviluppo » previsto dalla direttiva 159/72/Cee), il
quale dimostrasse che gli investimenti progettati fossero « redditi-
zi » e che la loro realizzazione comportasse « un miglioramento
duraturo del risultato economico dell'azienda». Questo obiettivo,
già molto meno rigido di quello previsto nella precedente direttiva
159/72/Cee (in base della quale occorreva invece dimostrare che il
« piano di sviluppo » avesse per effetto di raggiungere il cosiddetto
« reddito comparabile », ciò un livello di reddito analogo a quello
dei salariati non agricoli della regione) è stato ulteriormente com-
pletato, su insistenza di alcune delegazioni ( ed in particolare di
quella tedesca, che ne ha praticamente fatto una questione di prin-
cipio), da una deroga accordata agli stati membri in virtù della
quale essi possono approvare dei piani di miglioramento anche se
l'obiettivo fosse quello di « mantenere » l'attuale livello di reddi-
to. In questo caso, tuttavia, la partecipazione finanziaria del Feoga
è più bassa.
Coerenza tra la politica strutturale e la politica dei prezzi e dei
mercati: per assicurare tale coerenza, la Commissione proponeva
di escludere dai suddetti aiuti gli investimenti che hanno come con-
seguenza « un aumento della produzione dell'azienda di prodotti
che non trovano sbocchi normali sui mercati ». Tuttavia, la propo-
sta della Commissione prevedeva la possibilità di derogare a que-
sto principio nelle regioni di montagna o svantaggiate nonché neHe
regioni alla quale si applicano i programmi integrati mediterranei
o eventualmente in altre regioni su decisione del Consiglio. È pro-
prio sulla portata di queste deroghe nonché sulla definizione dei
settori « eccedentari » che hanno « inciampato » i negoziati in
seno al Consiglio, essendosi molte delegazioni del nord Europa di-
chiarate contrarie a qualunque deroga, salvo a quelle nel settore
suinicolo, rivendicate soprattutto dalla Danimarca. L'accordo è
stato trovato su una soluzione che non prevede alcuna deroga
« territoriale » e definisce al tempo stesso i settori a cui si applica-
no delle restrizioni particolari: il settore lattiero-caseario , la suini-
cultura e il settore avicolo. Il Consiglio (e non la Commissione,
come questa aveva proposto) può tuttavia interdire o limitare gli
aiuti agli investimenti anche in altri settori.
Aiuti ai giovani agricoltori. La Commissione proponeva due

99
misure del tutto inedite a favore di questa categoria di agricoltori:
un premio per il primo insediamento in un'azienda agricola e un
aiuto supplementare agli investimenti (pari al 20% dell'aiuto nor-
male) nel quadro della presentazione di un piano di miglioramen-
to. Malgrado le lunghe discussioni a cui ha dato luogo soprattutto
la prima delle due misure, il Consiglio ha finalmente accettato sen-
za sostanziali variazioni la proposta della Commissione.
Misure forestali: la proposta iniziale della Commissione pre-
vedeva una serie di misure forestali avente come obiettivo non
solo la conservazione e il miglioramento del suolo, ma anche una
valorizzazione della produzione forestale nelle aziende agricole,
quale strumento per agire sulla riduzione della produzione agrico-
la e quale fonte integrativa del reddito agricolo. Di fronte alle forti
resistenze incontrate in seno al Consiglio, la Commissione s'è vista
costretta a ridurre sensibilmente la portata del regime di aiuto pre-
visto nonché il volume di risorse da consacrare a queste misure.

3.4. Finanziamento della politica strutturale

Com'era da prevedere, il problema del finanziamento futuro


della sezione « Orientamento » del Feoga che rappresenta lo stru-
mento di erogazione delle risorse consacrate alle misure struttura-
li, ha costituito, soprattutto a partire dalla seconda metà del 1984,
l'ostacolo maggiore ad una decisione sulla riforma della politica
strutturale. Molti stati membri hanno peraltro insistito affinché,
tenuto conto della sua importanza politica, fossero i ministri delle
Finanze e non soltanto quelli dell'Agricoltura ad essere investiti da
questo dossier, tanto più che questi ultimi erano nel frattempo alle
prese con l'adozione di una rigida« disciplina di bilancio », cioè di
limitazione della evoluzione della spesa da applicare all'insieme
del bilancio comunitario e più particolarmente alle spese della se-
zione « Garanzia» del Feoga. Vale la pena di rilevare, a questo
proposito che la sezione « Orientamento » del Feoga non ha mai
goduto, fin dalla sua istituzione, di una libertà d'azione nemmeno
lontanamente paragonabile a quella della sua più fortunata conso-
rella, la sezione,< Garanzia », che finanzia, com'è noto, la politica
dei prezzi e dei mercati. Basti dire, del resto, che le risorse annuali
disponibili per la sezione « Orientamento » non hanno in generale
mai superato il 5% di quelle della sezione « Garanzia».
A partire dal 1980, peraltro, le risorse della sezione« Orien-

100
tamento » del Feoga sono state sottoposte a un regime di dotazio-
ne quinquennale, che ha impedito l'esplosione della spesa che si è
invece verificata nella sezione « Garanzia ». Per il periodo 1980-
1984 essa era stata fissata a 3,6 miliardi di ecu complessivi, succes-
sivamente portati a 3,755 miliardi, per tener conto dell'adesione
della Grecia. La Commissione aveva proposto a fine novembre di
abrogare le disposizioni relative alla dotazione quinquennale e di
sostituire a questo regime un sistema di « programmazione plu-
riennale indicativa », meno rigido del precedente e più conforme
alla procedura di bilancio. Quest'ultimo avrebbe, in effetti, lascia-
to all'autorità di bilancio la decisione relativa all'ammontare delle
risorse necessarie per finanziare la politica strutturale. In quest'ot-
tica, la Commissione faceva una previsione di spesa, del tutto in-
dicativa, dell'ordine di 6 miliardi di ccu per il periodo 1985-1989.
Tenuto conto dell'erosione monetaria, si trattava, peraltro, più di
una rivalutazione della precedente dotazione quinquennale che di
un reale incremento delle risorse se si escludono quelle necessarie
per l'attuazione delle misure previste per la riduzione del potenzia-
le vitivinicolo (740 milioni di ecu). Le difficoltà sono insorte tanto
sulla natura dell'inquadramento delle spese ( « dotazione » o
« programmazione pluriennale indicativa») che sul volume delle
risorse. La maggior parte delle delegazioni del Nord Europa si
sono in effetti pronunciate non soltanto per il mantenimento del
regime di« dotazione », ma anche per una riduzione di quest'ulti-
ma rispetto alle previsioni di spese della Commissione (fino a 5 mi-
liardi di ecu) e per l'inclusione dei programmi integrati mediterra-
nei (pim) nelle misure da imputare a questa dotazione. Italia, Gre-
cia e Irlanda appoggiavano invece la proposta della Commissione
e chiedevano risorse aggiuntive per i pim. L'accordo è stato rag-
giunto 1'11 marzo 1985, sulla base di una proposta di compromesso
presentata dal ministro del Tesoro italiano, Goria, presidente di
turno del Consiglio« Economia e finanze ». Esso prevede il man-
tenimento del regime della dotazione quinquennale e la fissazione
di quest'ultima a 5.250 miliardi di ccu per il periodo 1985-1989.
Nessuna decisione è stata, invece, assunta in tale sede sull'inclusio-
ne dei pim nella dotazione citata anche se per gli uni (in particolare
la Grecia) restava inteso che essi avrebbero dovuto beneficiare di
risorse aggiuntive, per gli altri (soprattutto Gran Bretagna e Ger-
mania) si trattava invece di una dotazione globale non superabile e
comprensiva dei pim. Il colmo del ridicolo è stato tuttavia raggiun-
to quando, essendo i ministri dell'Agricoltura pervenuti pressoché

101
a mettersi d'accordo dopo mesi di negoziato sull'ammontare delle
risorse da destinare alle diverse misure strutturali, ed essendo ri-
sultata una leggera eccedenza (di appena 6 milioni di ecu rispetto
alla cifra convenuta a livello dei ministri delle Finanze), la delega-
zione britannica e quella tedesca hanno preteso ed ottenuto che si
procedesse ad un'ulteriore« limatura » di questa spesa in maniera
da far « quadrare » i conti fino all'ultimo centesimo.
Per mostrare il suo malumore contro un comportamento di
questo tipo, il ministro francese dell'Agricoltura, Michel Rocard,
ha polemicamente espresso un voto contrario sul regolamento fi-
nanziario e si è inoltre astenuto sui regolamenti dì applicazione.

4. I programmi integrati mediterranei (Pim)

4.1. I presupposti economici e politici

Con l'adozione del regolamento (Cee) n. 2088/85 del Consi-


glio, del 23 luglio 1985, sono ufficialmente venute alla luce le di-
sposizioni che disciplinano la realizzazione di programmi integrati
nelle regioni mediterranee della Comunità. Se si considera che l'e-
poca del loro concepimento in seno alla Commissione risale alla
metà del 1981, e che la loro messa a punto e la loro adozione da
parte del Consiglio ha richiesto praticamente quattro anni di di-
scussioni ad ogni livello e la minaccia di almeno uno stato mem-
bro, la Grecia, dì bloccare l'ampliamento della Comunità a Spagna
e Portogallo, se ne può concludere che mai gestazione fu più labo-
riosa e che mai l'incertezza sul suo esito finale fu più grande. Dati
più volte per spacciati, ancora prima di nascere sono stati recupe-
rati dalla Commissione, abbondantemente ridimensionati e tra-
sformati a più riprese per poter passare sotto le forche caudine dei
veti e dei « si, ma ... » frapposti dalla maggior parte degli stati
membri. Nessuna sorpresa, dunque, se il frutto di tanto lavoro di
cesoie e dì scalpello e di tanti esercizi d'arte diplomatica non ras-
somigli del tutto alla creatura che la Commissione si era immagi-
nata allorché essa aveva presentato le sue prime proposte al ri-
guardo, e la nascita dei programmi integrati mediterranei non ab-
bia suscitato, almeno nel nostro paese, quell'entusiasmo col quale
erano state invece accolte le proposte iniziali della Commissione.
Il fatto è che quando un negoziato copre un arco di tempo tan-
to ampio è inevitabile che esso risenta, nel bene o nel male, degli

102
sviluppi e delle modifiche che si verificano nel contesto politico in
cui esso si colloca. Così è stato nel caso dei programmi integrati
mediterranei.
Già affrontata nella seconda metà degli anni '70 mediante un
apposito pacchetto di misure (il famoso « pacchetto mediterra-
neo » ) nel momento in cui la Comunità si impegnava sulla strada
di una cooperazione più ampia e più profonda con i paesi del ba-
cino mediterraneo, la problematica agricola delle regioni mediter-
ranee non aveva perso di attualità all'inizio degli anni '80. Ciò non
soltanto perché come riconosceva la Commissione in un documen-
to ufficiale nel dicembre 198010 , « sinora ... la Pac è stata più van-
taggiosa per le regioni ricche che per le regioni sfavorite della Co-
munità», ma anche per almeno altre due ragioni: a) anzitutto per-
ché i nuovi orientamenti della politica agricola comune prospettati
dalla Commissione nel suo « Rapporto sul mandato del 30 maggio
1980 » 11 avrebbero avuto conseguenze severe sull'agricoltura euro-
pea ed in particolare su quella delle regioni più svantaggiate; b) in
secondo luogo, la prospettiva del nuovo ampliamento a sud della
Comunità avrebbe probabilmente aggravato i problemi di queste
regioni, che si sarebbero venute a trovare ancora più esposte so-
prattutto in certi settori poco protetti e vitali per la loro economia
alla concorrenza dei nuovi venuti.
Ecco perché la Commissione, nel suo« Rapporto sul manda-
to del 30 maggio 1980 », e cioè nel momento in cui la Comunità si
apprestava a raccogliere la sfida del nuovo ampliamento e in cui
essa tracciava la strada per una riforma fondamentale della politica
agricola comune (con l'abbandono, in certi settori, della garanzia
illimitata dei prezzi e dei mercati), riteneva opportuno mettere in
evidenza i problemi delle regioni mediterranee, annunciando al
tempo stesso la sua intenzione di proporre l'istituzione di program-
mi comunitari aventi come obiettivo il miglioramento della situa-
zione in queste regioni ed integranti << un'azione sul reddito, sul
mercato, sulle produzioni e sulle strutture ». Le linee d'azione di
tali programmi sono state ulteriormente precisate in un'apposita
comunicazione al Consiglio dell'ottobre 1981 12 • parallelamente

10. Commissione Cee , Riflessioni sulla politica agricola comune, Com (80) 800
dcf., dell'll dicembre 1980.
11. Rapporto della Commissione sul mandato del 30 maggio 1980, Com (81)
300 def. del 24 giugno 1981;
12 . Commissione cee, Mandato del 30 maggio 1980, Programmi mediterranei,
Linee d'azione , Com (81) 637 def. del 26 ottobre 1981.

103
alla definizione nel contesto di un memorandum integrativo del
rapporto sul mandato del 30 maggio, dei nuovi orientamenti per
l'agricoltura europea 13 • In tale comunicazione, la Commissione ri-
badiva il suo intento di elaborare tali programmi in stretta collabo-
razione con le autorità nazionali e regionali degli stati membri in-
teressati e di presentarli prima della fine del 1982. Essi sarebbero
stati preparati « tenendo presenti le specificità e le potenzialità
delle regioni mediterranee, avendo peraltro cura di tutelarne l'am-
biente naturale e concentrando armoniosamente tutti gli strumen-
ti ».
Le azioni che la Commissione si proponeva di sostenere erano
di due tipi:
- misure settoriali intese a stimolare il potenziale di queste regio-
ni. In questo contesto il ruolo preponderante dell'agricoltura in
tali regioni induceva ad agire anzitutto in questo settore ope-
rando contemporaneamente nell'ambito delle organizzazioni
di mercato e in quello delle strutture. È soprattutto in questo
secondo campo d'azione che gli obiettivi della Commissione
apparivano più promettenti: migliorare l'organizzazione della
professione agricola e le strutture di commercializzazione, svi-
luppare attività alternative e integrative dell'agricoltura, in
particolare nel settore agroalimentare, della pesca, del turismo
e dell'artigianato, favorire lo sviluppo di energie alternative,
ecc.;
misure orizzontali idonee a promuovere la capacità di adatta-
mento di queste regioni, segnatamente attirandovi gli investi-
menti e rendendoli più remunerativi. A questo fine, la Com-
missione sottolineava la necessità di migliorare i costi e le con-
dizioni di concessioni dei crediti, di eliminare alcune strozzatu-
re nella rete di infrastrutture di cui soffrono queste regioni, di
sostenere un programma di formazione della manodopera e
perfino di « migliorare la capacità amministrativa degli enti lo-
cali, il cui funzionamento - osservava la commissione spes-
so frena in modo rilevante le possibilità di utilizzare gli stru-
menti comunitari e di porre in atto gli aiuti », senza dimentica-
re la necessità di far uscire queste regioni dall' « isolamento del-
l'informazione ». Per la realizzazione dei programmi integrati
mediterranei (Pim) la Comunità avrebbe dovuto mobilitare

13. Commissione cee, Mandato del 30 maggio 1980. Orientamenti per l'agri-
coltura europea, Com (81) 608 def. del 23 ottobre 1981.

104
tutti gli strumenti e tutti i fondi di cui dispone, ed in particola-
re: il Feoga e soprattutto la sezione « Orientamento », il Fon-
do regionale, il Fondo sociale e la Banca europea degli investi-
menti.
« Questo complesso di azioni, da condursi rapidamente e con
risolutezza - concludeva la Commissione - dovrebbe permettere
all'area mediterranea della Comunità di avviare il processo di re-
cupero)>.
Non era la prima volta che la Commissione preconizzava un
approccio integrato ai problemi di sviluppo regionale. Iniziative
più o meno analoghe erano state infatti già assunte negli ultimi
anni dalla Comunità. Si era però trattato di iniziative molto più
modeste e territorialmente localizzate. È solo con i programmi in-
tegrati mediterranei che questo aproccio si traspone dal livello
« microeconomico » a quello « macroeconomico ». In particolare
è la prima volta che si propone l'elaborazione di piani che compor-
tano oltre al coordinamento dei fondi strutturali, anche un'azione
coordinata delle varie politiche comunitarie, ivi compresa la poli-
tica agricola dei prezzi e dei mercati, di cui si auspicavano gli adat-
tamenti necessari ad assicurare una coerenza dell'insieme. Anche
sul piano delle procedure interne seguite per l'elaborazione delle
proposte, la Commissione sì è preoccupata di creare le premesse
che garantissero la maggiore coerenza possibile tra i mezzi messi in
opera con talì programmi e gli obiettivi perseguiti. L'intersettoria-
lità dell'approccio è stata, ad esempio, suscitata dalla costituzione,
in seno alla Commissione, di un apposito gruppo formato dai com-
missari più direttamente coinvolti nell'azione, gruppo coordinato
dal vicepresidente, Lorenzo Natali, il vero artefice delle proposte,
e dalla costituzione di un analogo gruppo di lavoro a livello dei ser-
vizi.

4.2. Le proposte iniziali della Commissione

Sulla base di questa complessa procedura ad hoc, la Commis-


sione ha ulteriormente sviluppato e precisato le linee di azione
enunciate nel documento dell'ottobre 1981 ed ha adottato nel
mese di giugno 1982 un documento interinale sulla base del quale
il vicepresidente Lorenzo Natali ha proceduto nel secondo seme-
stre dell'anno ai necessari contatti con le autorità nazionali e regio-
nali interessate nei tre stati membri beneficiari: Grecia, Italia e

105
Francia14 • Questi contatti sono stati considerati indispensabili non
solo per assicurare la coerenza dei programmi con i piani di svilup-
po regionali e con le attività promosse a livello locale, ma anche
per evitare il rischio di proposte del tutto sfasate rispetto alle pos-
sibilità reali, che sarebbero rimaste probabilmente irrealizzabili.
Il frutto di questi lavori preparatori e di messa a punto dei
programmi è stato dapprima esposto dalla Commissione in una vo-
luminosa comunicazione al Consiglio, del marzo 1983, contenente
le linee generali ed una descrizione particolareggiata delle propo-
ste15, ed ha fatto successivamente oggetto, nell'agosto 1983, cli
un'apposita proposta formale di regolamento 16 che traduceva in di-
sposizioni legislative le azioni prospettate nel precedente docu-
mento.
Per le ragioni già viste , le azioni agricole occupano una posi-
zione centrale nei programmi integrati per le regioni mediterra-
nee, proposti dalla Commissione. Tali azioni erano essenzialmente
di tre tipi:
azioni intese a migliorare le condizioni generali dell'attività
agricola (infrastrutture fisiche ed economiche);
interventi a livello dell'azienda agricola, mediante misure di ca-
rattere tecnico e socio-strutturale;
- azioni integrative (forestazione, ricerca applicata, formazione
professionale) .
Queste azioni non avrebbero dovuto necessariamente appli-
carsi a tutte le regioni interessate ai programmi integrati mediter-
ranei, né con identica intensità per quanto riguarda gli aiuti agli in-
vestimenti.
Per quanto riguarda più particolarmente l'agricoltura del

14. All'interno del territorio nazionale di questi tre stati membri il campo di
applicazione dei Pim è stato ulteriormente definito in base a due criteri: a) grado
di dipendenza dalle produzioni mediterranee ; b) situazione economica generale
nettamente meno favorevole rispetto alla media comunitaria.
Sulla base di questi criteri, la Commissione aveva prescelto le seguenti regioni
(con l'esclusione dei grandi agglomerati urbani) :
- in Francia : Linguadoca-Rossiglione, Corsica, Provenza-Costa Azzurra, Aquita-
nia e Midi-Pirenees ;
- in Grecia: l'insieme del territorio nazionale ;
- in Italia: il Mezzogiorno, il Lazio, la Toscana, l'Umbria, le Marche e la Liguria.
15. Commissione Cce, Per le regioni mediterranee della Comunità: i program-
mi integrati mediterranei,« Europa verde» , n. 197 (riproduzione del doc. Com (83)
24 def. del 30 marzo 1983);
16. Com (83) 495, def., del 16 agosto 1983.

106
:\Iezzogiorno d'Italia, la Commissione definiva due grandi assi d'a-
zione, distinguendo tra zone interne e di montagna, da una parte,
e zone costiere e di pianura, d'altra parte. Per le prime si prevede-
\·a una più intensiva applicazione delle misure per tener conto dei
più bassi livelli di reddito e per garantire il mantenimento di un'at-
tività agricola. A tal fine si prevedeva un adeguamento degli aiuti
diretti al reddito concessi nel quadro della direttiva sull'agricoltura
di montagna, la realizzazione di infrastrutture per il miglioramento
delle condizioni di vita e di lavoro e la messa in atto di misure
strutturali che consentissero l'intensificazione di produzioni speci-
fiche non eccedentarie (allevamento ovino e caprino, arboricoltu-
ra tradizionale, ecc.). Per le produzioni agricole nelle zone irrigue
di pianura veniva invece posto l'accento sulla razionalizzazione e
la riconversione delle colture per meglio disciplinare le produzioni
aventi problemi di mercato e per ottenere un miglioramento qua-
Iitati vo delle stesse.
Le misure destinate ai settori non agricoli, secondo le propo-
ste della Commissione, avrebbero dovuto creare alternative di la-
\·oro per coloro che cessano l'attività agricola, oppure fornire fonti
di reddito complementari a quelli che rimangono nel settore; in al-
tre parole, avrebbero dovuto migliorare il tessuto socio-economico
delle regioni mediterranee, mediante un maggior dinamismo. Per
conseguire questo obiettivo, le misure extra-agricole dei Pim, pro-
poste dalla Commissione miravano, in via prioritaria, ad incorag-
giare lo sviluppo delle piccole e medie imprese e delle aziende ar-
tigianali, che costituiscono il nucleo del tessuto economico delle
regioni mediterranee. Esse andavano tuttavia integrate e comple-
tate da altre misure specifiche tese anch'esse a valorizzare il poten-
ziale di sviluppo di queste regioni, in particolare nel settore delle
industrie agro-alimentari, del turismo e delle energie rinnovabili.
Un accento particolare era messo ugualmente sulle azioni prospet-
tate nel settore della pesca (infrastrutture, impianti portuali, ac-
quacoltura, ecc.).
L'insieme di queste misure, da realizzare su un periodo di seì
anni, avrebbe comportato un onere complessivo stimato a circa 11
miliardi di ecu, ( ai prezzi del 1982), di cui il 60%, pari a 6,6 miliar-
di di ecu a carico del bilancio comunitario e il restante 40% a ca-
rico dei bilanci nazionali dei 3 stati membri interessati' 7 • La Com-
17. I tassi di partecipazione del bilancio comunitario al finanziamento dei pro-
grammi proposti dalla Commissione variavano tuttavia dal 50% per la Francia al
fi5% per l'Italia e al. 75% per la Grecia.

107
missione non precisava se e in quale misura queste risorse avreb-
bero dovuto considerarsi « aggiuntive » rispetto a quelle prove-
nienti dai fondi strutturali già esistenti. Essa proponeva tuttavia
che i fondi necessari fossero iscritti annualmente in un apposito ca-
pitolo del bilancio comunitario, (in qualche sorta un fondo ad hoc
per le regioni mediterranee), una maniera questa di sottolineare il
carattere prevalentemente aggiuntivo che tali risorse avrebbero
dovuto avere per la Commissione. Il finanziamento comunitario
complessivo era destinato per il 40% ad azioni nel settore dell'agri-
coltura (ma per la Grecia si arrivava quasi al 50% ), per un quinto
allo sviluppo dei settori extra-agricoli (in Italia queste azioni rap-
presentavano tuttavia un quarto della spesa totale), per un quinto
alle infrastrutture e misure integrative e per il quinto restante alle
azioni nel settore delle foreste, della pesca e per la valorizzazione
delle produzioni. Per quanto riguarda la ripartizione per stato
membro delle spese comunitarie, la Commissione proponeva la se-
guente ripartizione: Grecia: 2,5 miliardi di ecu (pari al 38,4% del
totale); Italia: 3 miliardi di ecu (pari al 44,5% del totale); Francia:
1 ,1 miliardi di ecu (pari al 17, 1% del totale). La Commissione te-
neva tuttavia a precisare che si trattava di cifre del tutto indicative
che sarebbero state riviste nella fase di realizzazione delle misure.
Essa sottolineava inoltre l'importanza, quale condizione di succes-
so dell'azione, di una rapida decisione a livello comunitario e di
una tempestiva applicazione a livello nazionale.

4.3. I Pim nell'impasse decisionale

Se è ancora troppo presto per giudicare in che misura questa


seconda condizione è stata rispettata, in particolare nel nostro pae-
se, è invece possibile esprimere fin da ora un giudizio alquanto se-
vero sui tempi che sono stati necessari per pervenire ad un accor-
do, in seno al Consiglio, peraltro su una proposta di compromesso
abbastanza riduttiva rispetto al progetto iniziale della Commissio-
ne. Come si è detto è stato infatti solo nel giugno 1985, ciòè due
anni dopo la presentazione di una proposta formale da parte della
Commissione che il Consiglio ha assunto una decisione sui pro-
grammi integrati mediterranei. Dopo aver fatto oggetto, nell'au-
tunno 1983, di un esame approfondito da parte di un apposito
gruppo ad hoc istituito in seno al Comitato dei rappresentanti per-
manenti, e di un primo giro di tavolo in seno al Consiglio il dossier

108
« Pim » è rimasto praticamente in ibernazione durante tutto l'an-
no 1984. Ciò si spiega, anzitutto con la necessità, invocata da alcu-
ne delegazioni, di coordinare la discussione delle misure proposte
nel quadro dei Pim con quella della nuova politica delle strutture
agricole e della riforma dei fondi strutturali. L'elemento principale
di « bloccaggio » è stata tuttavia la reticenza di molte delegazioni,
ed in particolare di quella tedesca e di quella britannica, ad accet-
tare nuovi impegni di spesa, nel momento in cui peraltro, la Co-
munità era alle prese con i problemi dell'esaurimento delle risorse
proprie, del controllo delle spese, in particolare di quella agricola,
e degli squilibri di bilancio, problema quest'ultimo che aveva in-
quinato per molti anni le relazioni tra i partner.
È vero che il Consiglio europeo di Fontainebleau, aveva riaf-
fermato in giugno la volontà di promuovere dei programmi inte-
grati per le regioni mediterrane, (che avrebbero dovuto essere
operativi nel 1985), nonché di aumentare « notevolmente » in ter-
mini reali i mezzi finanziari assegnati agli interventi dei fondi strut-
turali, « tenuto conto dei Pim » e « nel quadro delle possibilità di
finanziamento ». A dicembre, tuttavia, il dossier« Pim » non era
ancora uscito dal letargo.
A rompere clamorosamente questa inerzia che durava ormai
da più di un anno, è stato il primo ministro greco, Andreas Papan-
dreou, che, in occasione del Consiglio europeo di Dublino di inizio
dicembre, ha praticamente messo un veto formale all'adesione di
Spagna e Portogallo (senza che però ciò significasse un blocco dei
negoziati in corso) se la Comunità non avesse adottato << una po-
sizione soddisfacente sui programmi integrati mediterranei ». La
stessa posizione come abbiamo visto, è stata adottata sulla riforma
del regime vitivinicolo. A condurre il primo ministro greco ad in-
gaggiare un vero e proprio braccio di ferro soprattutto con alcune
delegazioni del nord Europa è stata la prospettiva che si andava
delineando in chiusura del Consiglio europeo di non andare al di
là per quanto rigarda il finanziamento dei Pim, dell'importo com-
plessivo che i fondi strutturali avrebbero potuto annualmente ap-
portare per il primo anno (90 milioni di ecu) e di una dichiarazione
assai generica sulla necessità di prevedere « risorse più importan-
ti» nei bilanci annuali successivi, allorché la messa in atto dei pro-
grammi fosse stata in corso (durante le discussioni si era parlato, a
questo proposito, di cifre complessive, su un periodo di cinque
anni, comprese tra 800.000 e 1 milione di ecu, che però la delega-
zione greca aveva categoricamente rifiutato). Un altro elemento

109
che contribuisce a spiegare la fermezza della posizione assunta dal
primo ministro greco è probabilmente anche il fatto che, fin dal-
l'arrivo al governo del paese, la nuova maggioranza socialista ave-
va aperto con la Comunità un ampio contenzioso, che verteva pra-
ticamente su tutti i settori e su tutte le politiche comuni (una sorta
di rinegoziazione delle condizioni di adesione), ma il cui esito sul
piano negoziale si stava però rilevando praticamente un insuccesso
su tutta la linea. È comprensibile, perciò che il premier greco ab-
bia cercato di recuperare quanto meno sul fronte dei Pim il terreno
perduto sugli altri fronti, brandendo una minaccia ad effetto quale
è quella del veto all'adesione della Spagna e del Portogallo alla
Comunità. Fatto sta che la sortita di Papandreou ha incoraggiato
anche gli altri due paesi interessati, Francia e Italia, ormai presso-
ché inclini a piegarsi alla volontà della maggioranza delle delega-
zioni e alla dura realtà dei problemi finanziari della Comunità, a
far prova di maggiore determinazione ed attivismo nel sostegno
della proposta della Commissione.
Quest'ultima, dal canto suo, presieduta a partire dal gennaio
1985 dal francese Jacques Delors, che ha assunto la responsabilità
di questo dossier, si è trovata, all'inizio del suo mandato, in una si-
tuazione non proprio confortevole e di fronte ad un bivio: mante-
nere ad oltranza sul tavolo del Consiglio la proposta dell'agosto
1983, pur sapendo che almeno cinque delegazioni l'avevano consi-
derata del tutto inaccettabile e completamente irrealistica, col ri-
schio quindi di non pervenire mai ad un accordo sui Pim; modifi-
carla in maniera sostanziale, riducendone la portata od eventual-
mente l'ambito territoriale di applicazione (ad un certo punto era
stata, ad esempio, ventilata la possibilità di limitare l'applicazione
dei Pim alla Grecia), avrebbe ugualmente incontrato serie opposi-
zioni tanto in seno al Consiglio che nel Parlamento europeo, que-
st'ultimo assai vigilante su ogni modificazione eventuale che aves-
se significato una denaturazione della proposta iniziale della Com-
missione. È proprio di fronte all'Assemblea di Strasburgo che De-
lors ha esposto, il 13 febbraio 1985, le conclusioni a cui egli era
pervenuto in materia di Pim anche alla luce del dibattito che aveva
avuto luogo in sessione plenaria su questo tema. « In occasione del
dibattito del Parlamento europeo ha dichiarato Delors in tale
circostanza il mio interesse si è accentrato su un emendamento,
che mi è parso particolarmente importante, in quanto conteneva la
richiesta di non incentrare i programmi integrati mediterranei sul-
1' agricolura che pure rappresenta la principale attività di queste re-

110
gioni, ma di fare in modo che potessero essere presi in considera-
zione tutti gli elementi che contribuiscono allo sviluppo dell'appa-
rato produttivo e delle attività delle regioni ». Oltre all'estensione
del campo di applicazione dei Pim, un'altra novità dell'approccio
proposto dal nuovo presidente della Commissione consiste nel non
definire a priori né l'importo complessivo della spesa destinata ai
Pim, né il grado di addizionalità di questa rispetto ai fondi struttu-
rali esistenti (essendo comunque inteso che si sarebbe fatto appel-
lo ad altre fonti, in particolare allo strumento dei prestiti, nella mi-
sura in cui tali « aggiunte » sarebbero risultate necessarie), né in-
fine la chiave di ripartizione delle risorse tra i tre stati membri in-
teressati (in quanto ciò avrebbe costituito il perverso sopravvivere
dell'idea del giusto ritorno, ma essendo inteso che ciascuno di essi
avrebbe avuto « un trattamento equo » e che si sarebbe tenuto
conto << della necessità di adattare l'economia greca » ).

4.4. I Pim: una gestazione difficile

È essenzialmente lungo queste direttrici che si muove la nuo-


va eomunicazione che la Commissione ha presentato il 20 febbraio
con l'obiettivo di rilanciare la discussione sui Pim in seno al Con-
siglio. La Commissione riteneva peraltro, che non fosse necessario
creare un nuovo strumento finanziario per l'esecuzione di questa
azione ma che questa potesse essere assicurata mediante: a) lari-
distribuzione delle disponibilità di bilancio nel quadro dei fondi
esistenti; b) un impegno di bilancio supplementare che avrebbe
potuto essere pari ad almeno 2 miliardi di ecu in sette anni; e) il ri-
corso allo strumento dei prestiti a favore delle regioni mediterra-
nee per un importo complessivo di 2,5 miliardi di ecu in sette anni.
La Commissione si rifiutava però di precisare il tasso di partecipa-
zione della Comunità alle diverse azioni, affermando tuttavia che
esso sarebbe stato determinato in funzione della « qualità » dei
programmi e dalla loro« pertinenza » con le finalità degli stessi. A
tal fine e per assicurare una gestione efficace dei programmi, la
Commissione annunciava la sua intenzione di chiedere un'ampia
delega di poteri al Consiglio, sulla base di regolamenti-quadro del-
la massima semplicità, che avrebbero definito l'area geografica di
applicazione dei Pim, le modalità di valutazione dei programmi e
i criteri in base ai quali sarebbe stata determinata l'entità del con-
tributo comunitario. Il primo giro di tavolo sul nuovo documento

111
del1a Commissione, avvenuto all'inizio di marzo, ha tuttavia fatto
apparire non poche riserve e reticenze tra i Dieci. La delegazione
greca, in particolare, non ha nascosto il suo malumore su una pro-
posta giudicata troppo riduttiva rispetto alla proposta iniziale della
Commissione e troppo ambigua sul problema della « addizionali-
tà » effettiva dei fondi rispetto a quelli di cui già attualmente le re-
gioni mediterranee beneficiano nel quadro dei fondi strutturali esi-
stenti. La delegazione britannica, al contrario, ha giudicato in con-
trasto con le precedenti deliberazioni il grado e il livello di addizio-
nalità che emergeva dalle proposte della Commissione. Riserve
sono state anche espresse dalla delegazione tedesca (in merito so-
prattutto alla delega richiesta dalla Commissione) e da quella ir-
landese e danese preoccupate, queste ultime, che il ricorso massic-
cio ai fondi strutturali esistenti potesse significare un travaso di
fondi supplementare dalle altre regioni che ne avrebbero diritto
alle regioni mediterranee. In definitiva, solo la Francia (sia pure
con qualche riserva) e il Belgio (praticamente senza riserve) hanno
espresso un giudizio favorevole.
Anche il Parlamento europeo è ritornato in marzo sull'argo-
mento adottando una risoluzione d'urgenza in cui, pur riconoscen-
do il valore positivo dell'impegno assunto dal1a Commissione per
l'attuazione di una politica comunitaria organica in favore delle re-
gioni mediterranee, giudica nel contempo la proposta di consacra-
re una dotazione aggiuntiva di 2 miliardi di ecu su sette anni ai Pim
(pari a circa 285 milioni di ecu all'anno) « una misura contraddit-
toria e assolutamente inadeguata rispetto all'importo annuo di ol-
tre 1 miliardo di ecu previsto dalla proposta originaria per un pe-
riodo di sei anni. Il Parlamento europeo si dichiarava inoltre scet-
tico sulle reali possibilità di convogliare, a favore dei Pim un'ali-
quota sostanziale delle risorse a disposizione dei fondi esistenti e
domandava alla Commissione di presentare al più presto una nuo-
va proposta di regolamento più conforme alle precedenti risoluzio-
ni dell'Assemblea.
Le grandi linee dell'impostazione raccomandata nell'ultima
comunicazione della Commissione sono state invece sostanzial-
mente approvate dal Consiglio europeo di Bruxelles di fine marzo,
il quale ha inoltre definito i seguenti indirizzi di ordine finanziario:
partecipazione dei fondi strutturali al finanziamento dei Pim
per un importo di 2,5 miliardi di ecu;
- fondi addizionali per l'esecuzione dei programmi approvati per
un importo complessivo pari a 1,6 miliardi di ecu;

112
- prestiti per 2,5 miliardi di ecu contratti dalle regioni interessate
presso la Banca europea degli investimenti nonché nel quadro
degli altri strumenti comunitari di prestito;
- attribuzione alla Grecia di una quota parte pari a 2 miliardi di
ecu delle prime due categorie di risorse;
- utilizzazione per il finanziamento dei Pim degli aumenti in ter-
mini reali che interverranno nei prossimi sette anni nelle dota-
zioni del Fondo regionale, del Fondo sociale e del Feoga-
Orientamento « senza però incidere negativamente sul trasferi-
mento di questi fondi ad altre regioni prioritarie e meno pro-
spere >).
Sulla base di questo accordo la Grecia ha potuto ritirare lari-
serva espressa a Dublino in materia di conclusione dei negozia-
ti di adesione con la Spagna e il Portogallo. È stato tuttavia sol-
tanto a fine giugno che il Consiglio dei ministri degli Affari
esteri della Ce è pervenuto ad un accordo definitivo sui pro-
grammi integrati mediterranei, sulla base di una nuova propo-
sta di regolamento presentata in aprile (e modificata in mag-
gio) dalla Commissione per tener conto delle conclusioni del
Consiglio europeo. Malgrado, infatti, l'accordo sui punti essen-
ziali raggiunto a fine marzo, molte questioni di un certo rilievo
restavano ancora da chiarire: ad esempio, il tasso di partecipa-
zione finanziaria della Comunità, il ruolo delJa Commissione
nella gestione dei programmi, la ripartizione dei crediti restan-
ti, dopo l'attribuzione alla Grecia di 2 miliardi di ecu, tra Fran-
cia e Italia (2,1 miliardi di ecu, in totale, su un periodo di sette
anni, escludendo i prestiti, non soggetti a nessuna ripartizione
preventiva). Oltre agli elementi già esaminati decisione finale
apporta le precisazioni seguenti:
- una estensione, rispetto alla prima proposta della Commissio-
ne dell'agosto 1983, del campo territoriale di applicazione dei
Pim, per quanto riguarda la Francia e l'Italia 18 ;
- l'accentuazione del carattere intersettoriale dei piani, essendo
venuta meno la caratterizzazione prevalentemente agricola ri-
sultante dalla prima proposta della Commissione;
- il contributo comunitario ai Pim non potrà essere superiore al

18. In particolare, per l'Italia, l'area di applicazione dei Pim comprende, oltre
all'insieme del Me:zzugorno, all'Umbria, Marche, Toscana e Liguria, anche l'ap-
pennino dell'Emilia-Romagna, determinate zone delle lagune del nord adriantico,
ad eccezione dei grandi agglomerati urbani e di certe zone costiere.

113
70% del costo complessivo del programma, quale che sia la for-
ma che riveste il contributo, salvo per quanto riguarda la Gre-
cia;
- per quanto riguarda più particolarmente la Francia e l'Italia, il
regolamento precisa che il tasso di finanziamento a carico del
bilancio comunitario non può superare di oltre 10 punti i mas-
simali applicabili a norma delle regole che disciplinano i fon-
di19;
- i Pim sono istruiti dai servizi della Commissione. L'entità del
contributo comunitario è stabilito tenendo conto in primo luo-
go delle effettive esigenze delle singole regioni e delle loro con-
dizioni di sviluppo economico e sociale, fermo restando che be-
neficiano di un trattamento prioritario le regioni più sfavorite e
quelle maggiormente colpite dagli effetti dell'ampliamento;
- per quanto riguarda la questione della ripartizione dei fondi
non attribuiti alla Grecia il Consiglio ha convenuto di affidare
alla Commissione il compito di assicurare una « attribuzione
equilibrata delle risorse tra l'Italia e la Francia »etra i progetti
che ciascuno di questi stati membri presenterà. La Francia, dal
canto suo, si attenderebbe un rientro di almeno 1 miliardo di
ecu su sette anni da questa decisione: ciò significherebbe che
all'Italia potrebbe andare il residuo 1,1 miliardi di ecu, con es-
clusione dei prestiti.

5. La fissazione dei prezzi agricoli per la campagna 1985-86

5.1. La carenza decisionale del Consiglio

Quello che sembrava destinato a diventare uno fra i più ordi-


nari, se non fra i più banali, degli annuali appuntamenti dei mini-
stri dell'Agricoltura per la fissazione dei prezzi agricoli e delle mi-
sure connesse per la nuova campagna è stata invece l'occasione per
alcuni di essi, di scrivere una delle pagine meno gloriose nella sto-
ria della Comunità. Per la prima volta òa quando la politica agri-
cola comune esiste, i ministri dell'Agricoltura non sono infatti riu-

19. Le operazioni non contemplate dai regolamenti relativi ai fondi strutturali


possono ricevere sovvenzioni, a titolo dei Pim, fino a concorrenza del massimale in
vigore per il fondo regionale (55% ). Il supero del massimale in vigore per i fondi
già esistenti va finanziato sulle risorse di bilancio addizionali (1,6 miliardi di ecu).

114
sciti a pervenire ad un accordo globale sull'insieme dei prezzi agri-
coli per la campagna 1985/86, malgrado gli innumerevoli sforzi per
raggiungere una soluzione di compromesso effettuati tanto dalla
presidenza di turno del Consiglio, ed in particolare dalla presiden-
za italiana durante il primo semestre del 1985, che dalla stessa
Commissione. È vero che la carenza decisionale del Consiglio, che
avrebbe messo in pericolo il funzionamento della pac, minaccian-
do anche le prospettive del processo di integrazione comunitario,
è stata in gran parte politicamente riscattata dalle decisioni sul fu-
turo della Comunità assunte a Milano, a fine giugno, dai capi di
stato e di governo. È vero anche che tale carenza è stata colmata
sul piano amministrativo e della gestione della pac dalla decisione
della Commissione di assumere essa stessa una serie di « misure
conservative » nei settori per i quali il Consiglio non era pervenuto
ad un accordo (e cioè nel settore dei cereali e dei semi di colza),
sulla base, peraltro, della proposta di compromesso da essa pre-
sentata. Sarebbe tuttavia erroneo pensare che quanto è avvenuto
nel corso dei negoziati sui prezzi agricoli per il 1985/86 appartenga
ormai ad un passato tutto da dimenticare e che la ferita che si è
aperta in tale contesto nei centri nevralgici del processo decisiona-
le comunitario si sia del tutto rimarginata. È facile invece prevede-
re che l'incapacità del Consiglio a decidere una sia pure modesta
riduzione dei prezzi di sostegno nel settore dei cereali e della colza
per la campagna 1985/86, peraltro in applicazione di una regola-
mentazione che esso stesso aveva adottato non più di tre anni pri-
ma, costituisca una sorta di spada di Damocle che penderà proba-
bilmente sulle proposte e sulle decisioni di politica agricola negli
anni a venire e questo nori solo nei settori in questione.
All'origine della crisi sta l'irriducibile rifiuto della delegazione
tedesca, nella persona del suo ministro dell'Agricoltura, il bavare-
se lgnaz Kieckle, di accettare qualunque riduzione, sia pur mini-
ma, dei prezzi di sostegno applicabili nel settore dei cereali, anche
se la regolamentazione in vigore autorizzava la Commissione a
proporre una riduzione dei prezzi fino ad un massimo del 5%, nel
caso in cui, come era avvenuto nel 1984, la produzione dei cereali
avesse superato il« limite di garanzia fissato in questo settore 20 .
)>

20. Come è noto, nel settore dei cereali, come in altri settori, è stato introdot-
to, a partire dalla campagna 1982-83 un regime dì limitazione della garanzia a !iYcl-
lo comunitario. Per la campagna 1984-85, il limite di garanzia è stato fissato a
121.32 milioni di t. di cercali (ad eccezione del grano duro, per il quale è stato in-

115
La delegazione tedesca non era, in realtà la sola ad opporsi alla ri-
duzione del 3,6% proposta inizialmente dalla Commissione. Quasi
tutte, però, si sono dichiarate disposte ad accettare una riduzione
dell'l,8% che la Commissione ha presentato più tardi, quale solu-
zione di compromesso. Quando sembrava però, che un accordo
potesse reaJizzarsi su questa base, il ministro tedesco dell'agricol-
tura non ha esitato ad invocare formalmente, in nome della salva-
guardia di interessi vitali per il proprio paese, il famoso compro-
messo di Lussemburgo, onde evitare una decisione che riteneva
politicamente inaccettabìle. Ritorneremo più da vicino sulle ragio-
ni economiche e politiche che possono aver motivato una simile
iniziativa, sempre traumatica per la salute delle istituzioni comuni-
tarie. Vogliamo tuttavia sottolineare fin d'ora che il fatto nuovo, e
per certi versi quello istituzionalmente più preoccupante, risiede
non tanto nel ricorso al protocollo di Lussemburgo da parte di una
delegazione onde evitare una procedura di voto maggioritario che
l'avrebbe potuta mettere in minoranza, ma nella « comprensio-
ne » (leggi« solidarietà dì fatto » ), che questa iniziativa ha trova-
to per la prima volta presso numerose altre delegazioni. In realtà,
infatti, come si ricorderà 21 , già nel maggio del 1982 il ministro bri-
tannico dell'Agricoltura, Peter Walker, aveva fatto ricorso, ma
senza successo, a quella sorta di diritto di veto sancita dal cosiddet-
to compromesso di Lussemburgo del 29 gennaio 1966, onde impe-
dire in toto l'adozione del pacchetto prezzi e misure connesse per
la campagna 1982-83 prima che fosse stata trovata una soluzione
soddisfacente al problema del contributo britannico al bilancio co-
munitario. « L'Europa del compromesso è morta » aveva titolato

trodotto un limite specifico). Tale regime prevede che, se nel corso delle ultime tre
campagne la produzione inedia effettiva dei cereali oltrepassa il limite di garanzia,
il prezzo di intervento dei cereali per la campagna seguente è ridotto dell'l % per
ogni milione di tonnellate eccedenti , fino ad un massimo del 5%. Onde tener con-
to, tuttavia, dcUe importazioni dai paesi terzi <li prodotti sostitutivi di cercali, che
entrano nella Comunità senza una sufficiente protezione doganale, è stato previsto
nel contempo che il limite di !!,aranzia fo~se aumentalo in proporzione agli incre-
menti di tali importazioni al di là dei 15 milioni di tonnellate che sono importati in
media annualmente. La produzione effettiva di cereali per la campagna 84/85 ha su-
perato di oltre 8 milioni di tonnellate il hmite d1 garanzia fissato. La Commissone
ha, in conseguenza, proposto di applicare l'abbattimento massimo previsto (5%)
aU'incremento di prezzo proposto per il settore dei cereali ( + 1,5% ). La Commis-
sione ha, cioè, proposto di ridurre, in pratica del 3,6% i prezzi di sostegno appli-
cabili nel settore dei cereali.
21. Cfr. L'Italia nella politica internazionale 1981-1982. Comunità pp . 373 ss.

116
lrepoca l'« Agence Europe », e anche noi ci eravamo fatti eco
èlla storica decisione del Consiglio dei ministri dell'Agricoltura di
:tornare alle procedure di decisione previste dal Trattato in mate-
ia di fissazione dei prezzi agricoli. Purtroppo a tre anni esatti di
istanza i fantasmi del passato prendevano di nuovo corpo. Quel
he è più grave è che questa volta non sono bastati né il coraggio
olitico né l'impegno europeistico dimostrati dalla presidenza di
1rno italiana per esorcizzarli e per sottrarre la Comunità ad un
oto decisionale in uno dei settori-chiave della politica agricola co-
mne. Allorché, infatti, malgrado il « veto » tedesco, il ministro
alìano dell'Agricoltura, Filippo Maria Pandolfi, presidente di
uno del Consiglio Agricoltura, ha deciso di procedere al voto sul-
: proposte di compromesso presentate dalla Commissione, con-
1rmemente peraltro all'orientamento della maggior parte delle
elegazioni, ben sei di queste hanno ritenuto di non poter parteci-
3.re alla procedura di voto, rendendo così impossibile ogni deci-
one al riguardo. Per la prima volta dal compromesso di Lussem-
urgo, la maggioranza del Consiglio riconosceva così implicita-
1ente il diritto di veto da parte di uno stato membro, ritenendo
eraltro che appartenesse esclusivamente a quest'ultimo decidere
: e quando un suo interesse vitale fosse realmente in gioco. E
uesto accadeva negli stessi giorni in cui venivano firmati a Lisbo-
a e a Madrid i trattati di adesione e ad appena dieci giorni dal
onsiglio europeo di Milano che avrebbe dovuto rilanciare la di-
a.mica comunitaria e rinforzare la coesione comunitaria. Si com-
rende dunque l'apprensione con cui guardavano a questo immi-
ente appuntamento, la maggior parte dei responsabili europei e
~gli osservatori delle vicende comunitarie .

.2. Le proposte della Commissione

Se l'intransigenza della delegazione tedesca nell'opporsi a


ualunque riduzione dei prezzi garantiti nel settore dei cereali co-
ìtuisce senza dubbio uno degli elementi dominanti delle discus-
oni sui prezzi agricoli per la campagna 1985/86, non minor rile-
mza politica assume l'atteggiamento di fermezza mantenuto tan-
l dalla Commissione che dalla maggior parte delle delegazioni nel
)rso dei negoziati. Tale atteggiamento è stato dettato non solo
alla preoccupazione di salvaguardare la coerenza e la credibilità
ell'insieme delle decisioni da assumere, ma anche dallo scarso

117
margine di manovra negoziale disponibile quest'anno nel settore
dei cereali come nell'insieme degli altri settori. Quello che all'ini-
zio sembrava essere uno dei punti di forza del « pacchetto prezzi »
1985/86, che avrebbe dovuto facilitare il raggiungimento di un ac-
cordo in seno al Consiglio non troppo distante dalle proposte ini-
ziali della Commissione si è così rivelato, invece, ma per ragioni
non esclusivamente agricole, uno scoglio insormontabile per un
accordo globale. È tuttavia significativo che, a parte qualche ritoc-
co all'insù in taluni settori, nel complesso,come vedremo le deci-
sioni assunte dal Consiglio non si distanziano sostanzialmente,
quanto a livello dei prezzi, dalle proposte iniziali della Commissio-
ne. Anche nel settore dei cereali, peraltro,malgrado l'opposizione
tedesca, i prezzi applicati dalla Commissione per la campagna
1985/86 sono dell'l,8% inferiori a quelli della campagna preceden-
te. Che le proposte della Commissione costituissero una sorta di
strada obbligata tenuto conto dalla situazione sempre più ecceden-
taria per la maggior parte dei prodotti agricoli e dei vincoli di bi-
lancio che lo stesso Consiglio aveva ufficialmente sanzionato alla
fine del 1984, lo si era del resto visto chiaramente anche dalla re-
lativa rapidità con cui la nuova Commissione presieduta dal fran-
cese Jacques Delors, aveva adottato tali proposte su iniziativa del
nuovo commissario all'agricoltura, l'olandese Franz Andriessen.
A fine gennaio, infatti, dopo appena due sedute e a meno di un
mese dal suo insediamento, la Commissione era in grado di pre-
sentare al Consiglio un pacchetto di proposte piuttosto restrittive
per quanto riguarda il livello dei prezzi e relativamente « leggere »
per quanto riguarda le cosiddette « misure connesse », che costi-
tuiscono di solito lo scoglio principale per un accordo in seno al
Consiglio.
Nel settore dei cereali, ad eccezione del grano duro, tenuto
conto del superamento del limite di garanzia in vigore in questo
settore per un importo pari oltre 8 milioni di tonnellate, la Com-
missione proponeva un aumento iniziale dei prezzi dell'l ,5%, a cui
tuttavia andava applicata una riduzione del 5%, a causa appunto
del superamento del limite di garanzia: ne risultava, di fatto unari-
duzione dei prezzi del 3,6%, che può sembrare notevole, ma che
in realtà è sempre inferiore alla diminuzione massima del 5% pre-
vista dalla regolamentazione in vigore. Analoga situazione si è
prodotta per i semi di colza, la cui produzione è sensibilmente cre-
sciuta nel 1984, con un parallelo incremento consistente della spe-
sa del Feoga. Anche in questo settore, a causa del superamento del

118
limite di garanzia, la Commissione proponeva una riduzione dei
prezzi del 3,6%. Per quanto riguarda il settore del latte, invece, in
considerazione della deteriorazione dei redditi agricoli, da una
parte, e della riduzione della produzione a seguito dell'introduzio-
ne di un regime di quote di produzione a partire dalla campagna
precedente, dall'altra, la Commissione proponeva un modesto in-
cremento dei prezzi di sostegno del latte ( + 1,5%) accompagnato
però da una riduzione del 4 % del prezzo d'intervento del burro e
di un aumento del 6,7% del prezzo di intervento del latte scremato
in polvere. La riduzione delle quote di produzione per circa 1 mi-
lione di tonnellate complessive (da 99 a 98 milioni di tonnellate per
l'insieme della Comunità veniva peraltro confermato con la ridu-
zione di un punto (dal 3 al 2%) della tassa di corresponsabilità a
carico dei produttori. Particolarmente severe erano peraltro le
proposte della Commissione nel settore degli ortofrutticoli, tanto
freschi che trasformati. In considerazione dell'aumento anormale
nel corso delle ultime campagne dei ritiri dal mercato a carico del
Feoga da parte delle organizzazioni dei produttori (60% della pro-
duzione nel settore dei mandarini) la Commissione proponeva in-
fatti una riduzione dei prezzi del 3% per le albicocche e le pesche
e del 6% per le arance, i mandarini, i limoni e i pomodori. Ancora
più drastiche le misure proposte nel settore dei prodotti trasforma-
ti a base di pomodoro, la cui produzione complessiva era passata
da 4,5 a 7 ,4 milioni di tonnellate tra la campagna 1981/82 e la cam-
pagna 1984/85, malgrado la riduzione spesso consistente dell'aiuto
comunitaro.alla produzione a seguito del superamento del limite di
garanzia fissato in questo settore. Per la campagna 1985/86 la
Commissione proponeva, in effetti, da una parte di ridurre l'aiuto
in proporzione al superamento del limite di garanzia , e cioè del
23,6% e dall'altra di limitare la concessione dell'aiuto ai quantita-
tivi fissati attualmente come limiti di garanzia (vale a dire a 4,7 mi-
lioni di tonnellate complessive) , da ripartire a livello nazionale tra
le imprese produttrici. Questo regime « a doppia mandata » si sa-
rebbe dovuto applicare anche alle campagne successive e avrebbe
dovuto costituire, agli occhi della Commissione, un disincentivo
più efficace all'aumento della produzione che il regime precedente
di limitazione della garanzia. Esso avrebbe dovuto inoltre porre ri-
paro al problema delle dichiarazioni fraudolenti da parte dei pro-
duttori e trasformatori intese ad ottenere un aiuto, benché ridotto
ma su quantitativi artificialmente gonfiati e difficilmente controlla-
bili . Nella maggior parte degli altri settori la Commissione propo-

119
neva sia il« gelo » dei prezzi (grano duro, barbabietola da zucche-
ro, olio di oliva, carni bovine, bovine e suine, vino da tavola, alcu-
ne varietà di tabacco), sia un leggero aumento (soja, piselli, cavol-
fiori, ecc.), sia una riduzione (girasole, alcune varietà di tabacco,
ecc.). Nel complesso, le proposte della Commissione comportava-
no una riduzione media dei prezzi in ecu dello 0,3% ( + 0,1 % in
moneta nazionale) contro un aumento dal 4 al 5% richiesto dal
Cop,a (la Confederazione europea delle organizzazioni professio-
nali agricole). Si tratta, come si vede, della proposta prezzi senza
dubbio più restrittiva da quando la politica agricola comune esiste.
È anche per questo che la nuova Commissione Delors subentrata
alla Commissione Thom nel gennaio 1985 ha sentito il bisogno di
accompagnare questa proposta (che si inseriva peraltro nel conte-
sto delle misure di razionalizzazione della pac, di riequilibrio dei
mercati e di controllo della spesa agricola assunte negli ultimi
anni), da una dichiarazione di intenzioni intesa a coinvolgere le ca-
tegorie agricole e le altre istanze comunitarie in una riflessione
congiunta sul futuro dell'agricoltura europea e della pacche essa si
proponeva di suscitare nel corso del 1986, tenendo presenti in par-
ticolare le seguenti prospettive22 :
- creare un'agricoltura moderna e redditizia, che continui a
sfruttare il proprio potenziale, ma allo stesso tempo che rispetti
l'ambiente e conservi l'inestimabile patrimonio rappresentato
dal paesaggio e dalla specie;
- far fronte alla doppia sfida rappresentata dagli sbocchi della
produzione agraria tanto sui mercati europei, ormai saturi per
quanto riguarda l'alimentazione umana e animale, ma con la
prospettiva di nuovi sbocchi nel campo della biotecnologia e
dell'energia, che sui mercati internazionali;
- integrare sempre più l'agricoltura nell'economia globale, aiu-
tando in particolare la popolazione rurale a migliorare la pro-
pria situazione economica e sociale, non solo attraverso gli
strumenti di politica agraria esistenti ma anche mediante la
loro diversificazione e il loro rinforzamento.
Si tratta, come si vede, di un ambizioso programma politico,
il cui obiettivo non era soltanto quello di delineare le direttrici del-
la politica agricola di domani ma anche di gettare un ponte tra la
Commissione e le altre istituzioni comunitarie, da una parte, e il
mondo agricolo, dall'altra.

22. Com (85) def. del 30 gennaio 1985.

120
5.3. Le discussioni in seno al Consiglio

Com'era naturale attendersi, le proposte della Commissione


hanno suscitato un coro di reazioni negative in tutta la Comunità,
ad eccezione delle organizzazioni dei consumatori, sostanzialmen-
te soddisfatte, queste ultime, del « gelo » dei prezzi istituzionali
proposto dalla Commissione. Aspre critiche sono state invece
espresse tanto dalle organizzazioni agricole a livello europeo
(Copa e Cogeca) che dalla quasi totalità delle organizzazioni na-
zionali, ivi comprese quelle italiane, sia pure con accenti diversi.
Fra i ministri dell'Agricoltura i primi a reagire, anch'essi in manie-
ra negativa, in sede nazionale sono stati il ministro tedesco ali' A-
gricoltura, Ignaz Kiechle, dichiaratosi particolarmente contrario
alla riduzione del prezzo dei cereali, e il ministro greco, Costas Si-
mitis, che rigettava globalmente le proposte della Commissione, in
quanto esse non prendevano sufficientemente in conto, a suo dire,
i problemi dì reddito degli agricoltori.
Al di là tuttavia delle dichiarazioni di guerra contro le propo-
ste della Commissione, peraltro moderate talvolta dalla disponibi-
lità delle organizzazioni professionali a partecipare attivamente e
in maniera costruttiva alla riflessione sull'avvenire della pac preco-
nizzata dalla stessa Commissione, non può dirsi che lo scenario
fosse sostanzialmente diverso da quello abituale all'indomani della
presentazione delle proposte sui prezzi agricoli. Anzi, come abbia-
mo già avuto modo di dire, quest'anno il compito dei ministri del-
l'Agricoltura appariva a priori meno complicato del solito, per il
fatto che la Commissione non proponeva modifiche sostanziali
delle organizzazioni comuni di mercato e che la riduzione dei prez-
zi proposte erano nella maggior parte dei casi il risultato dell'appli-
cazione della regolamentazione in vigore sui limiti di garanzia. Ne
è prova anche il fatto che pur non essendo stato ancora avviato al-
l'inizio di marzo il dibattito sui prezzi agricoli, il presidente di tur-
no del Consiglio, il ministro italiano all'Agricoltura, Filippo Maria
Pandolfi, non escludeva la possibilità di chiudere il negoziato entro
il mese di marzo, dopo il successo ottenuto sul dossier« vino », sul
dossier« latte » e sul dossier« strutture agrarie ». In realtà fin dal
primo giro di tavola in seno al Consiglio avvenuto 1'11 e il 12 mar-
zo, è apparso chiaro che un accordo sui prezzi agricoli per la cam-
pagna 1985/86, che iniziava il 1° aprile per il latte e la carne bovina,
era tutt'altro che a portata di mano. E ciò, non tanto perché fos-
sero emerse troppe e veramente insormontabili divergenze di ve-

121
dute rispetto alle proposte della Commissione, ma soprattutto per-
ché si andava confermando la linea di fermezza assunta dalla dele-
gazione tedesca nel rifiutare qualunque riduzione dei prezzi dei ce-
reali per l'impatto negativo che una tale misura avrebbe avuto sui
redditi degli agricoltori tedeschi. In linea generale, infatti, le pro-
poste della Commissione sono state relativamente ben accolte da
Francia, Gran Bretagna, Danimarca e Olanda. L'Italia e la Grecia
giudicavano tuttavia insufficienti i livelli di prezzo proposti ed
_inaccettabili le riduzioni previste nel settore degli ortofrutticoli,
mentre i ministri dell'Agricoltura del Belgio, Irlanda e Lussembur-
go, pur non risparmiando le critiche alle proposte della Commis-
sione non avevano tuttavia assunto posizioni di chiusura che pre-
cludessero la possibilità di un accordo. Sul problema della riduzio-
ne del 3,6% dei prezzi dei cercali, in particolare, la Francia, la Da-
nimarca e i Paesi Bassi erano sostanzialmente d'accordo con la
proposta della Commissione, mentre il Regno Unito preconizzava
addirittura una riduzione del 5%.
La « strategia » della presidenza italiana per il negoziato sui
prezzi agricoli era stata illustrata dal nostro ministro all' Agricoltu-
ra intervenendo, alla vigilia della riunione del Consiglio Agricoltu-
ra dell'll marzo, all'inaugurazione della Fiera di Verona. Pur
avendo criticato in precedenza l'incoerenza del governo tedesco,
da sempre assertore di una linea di rigore finanziario per il bilancio
comunitario ma pronto a smentirsi clamorosamente quando si trat-
tava di difendere i propri interessi agricoli, il ministro Pandolfi ve-
deva proprio nell'attuale atteggiamento del ministro tedesco del-
1' Agricoltura una via d'uscita anche per trovare una soluzione sod-
disfacente alle rivendicazioni italiane, in particolare per quanto ri-
guarda l'aumento del livello generale dei prezzi, le misure per le
produzioni mediterranee e la flessibilità del regime delle quote nel
settore del latte. ll disegno politico, più o meno esplicito, di Pan-
dolfi era in sostanza quello di assecondare il ministro tedesco al-
1' Agricoltura o quanto meno di lasciarlo fungere da « testa di pon-
te », nell'attacco alla proposta di riduzione dei prezzi dei cereali,
nel presupposto che una vittoria tedesca su questo fronte avrebbe
comportato inevitabilmente il crollo su tutta la linea delle altre mi-
sure più restrittive proposte dalla Commissione. Sarebbe stato in-
fatti, politicamente impensabile rinunciare a ridurre i prezzi dei ce-
reali senza , ad esempio, ritoccare all'insù i prezzi degli altri pro-
dotti, ed in particolare quelli degli ortofrutticoli, come richiedeva-
no la delegazione italiana e greca.

122
È in sostanza questo che Pandolfi intendeva, dichiarando a
Verona che il fatto che la Germania avesse rotto« il fronte dell'au-
sterità » apriva « qualche positivo spiraglio negoziale per il nostro
paese » 23 . Anche se, per le stesse ragioni su cui Pandolfi faceva
leva, un pieno successo della delegazione tedesca sui cereali era
politicamente oltre che finanziariamente impossibile, tanto per la
Commissione che per la maggior parte delle altre delegazioni, non
c'è dubbio che la strategia di Pandolfi ha dato come vedremo qual-
che frutto nel conseguimento degli obiettivi perseguiti dalla dele-
gazione italiana.
Prima di esaminare l'esito del negoziato, occorre tuttavia cer-
care di comprendere per quale ragione il ministro tedesco all' Agri-
coltura, Ignaz Kieckle, col pieno appoggio del suo governo e dello
stesso cancelliere Kohl, sia giunto fino al punto di invocare il com-
promesso di Lussemburgo pur di non applicare una sia pur minima
riduzione del prezzo dei cereali, peraltro in applicazione di una re-
golamentazione che lo stesso governo tedesco aveva accettato
qualche anno prima. Le ragioni ufficialmente invocate sono d'or-
dine eminentemente economico: sensibile riduzione dei redditi
agricoli in Germania negli ultimi anni, rischio di aggravare ulte-
riormente con una riduzione dei prezzi la situazione finanziaria già
difficile di molti cerealicoltori tedeschi, in genere di piccole e me-
die dimensioni, inadeguatezza della regolamentazione in vigore
sui limiti di garanzia agli obiettivi di limitazione della produzione
perseguiti mediante la riduzione dei prezzi, ecc. In realtà senza vo-
ler minimizzare l'importanza di questi fattori, sono soprattutto
considerazioni di carattere politico che consentono di spiegare l'at-
teggiamento oltranzista del governo tedesco sul problema del
prezzo dei cereali. Anzitutto va ricordato che il 13 maggio si sareb-
bero svolte le elezioni nel land della Renania-Westfalia (1/3 circa
dell'elettorato tedesco) e che la maggioranza di governo affronta-
va con una certa preoccupazione questo importante test elettorale
tenuto anche conto della« disaffezione » dell'elettorato agricolo a
seguito delle drastiche misure assunte nel settore del latte l'anno
prima. È anche per rassicurare questo elettorato che Kieckle ave-
va ripetutamente promesso nei mesi pecedenti che né lui, né il suo
governo avrebbero mai accettato a Bruxelles una riduzione dei
prezzi dei prodotti agricoli in marchi, com'era accaduto dal 1° gen-
naio 1985 a seguito della riduzione di 5 punti degli importi com-

23. « La Repubblica », 10-11 mar. 1985.

123
pensativi monetari tedeschi (riduzione che comunque era stata
lautamente compensata con la concessione di sgravi fiscali a favore
degli agricoltori). Vale la pena di aggiungere che l'atteggiamento
di fermezza assunto da Kieckle nel corso del negoziato sui prezzi
agricoli non ha tuttavia impedito che la Cdu, il partito del cancel-
liere Kohl, perdesse quasi il 7% dei voti alle elezioni regionali nel-
la Renania-Westfalia, risultato questo che è stato giudicato come
« una severa disfatta » e un « serio avvertimento » dallo stesso
cancelliere Koh1. In secondo luogo non va dimenticato che Kieckle
appartiene all'ala più oltranzista della maggioranza di governo, la
potente Csu di Strauss, e che quest'ultimo aveva assunto negli ul-
timi mesi posizioni particolarmente severe sulla passata gestione
degli interessi agricoli nazionali in sede comunitaria. È comprensi-
bile dunque che Kieckle facesse di tutto pur di evitare di diventare,
al pari di altri alti responsabili dell'amministrazione dell'agricoltu-
ra del suo paese il capro espiatorio delle difficoltà in cui si trova-
vano attualmente molti agricoltori tedeschi. A tutto questo va
inoltre aggiunto un certo << scollamento ► nella coalizione di gover-
no, ondeggiante tra la politica di rigore finanziario sostenuta dal
ministro de1le Finanze, il liberale Stoltcmberg, e il lassismo di
Kieckle, tra le dichiarazioni di fede europeistica del cancelliere
Kohl e la difesa ad oltranza degli interessi nazionali da parte della
delegazione tedesca e questo non solo sui dossier agricoli. Oltre-
passata, con i risultati catastrofici per la Csu che abbiamo ricorda-
to, la barriera delle elezioni regionali del 12 maggio, la posizione
della delegazione tedesca sui prezzi agricoli non ha comunque per-
duto di virulenza nel rifiutare qualunque soluzione di compromes-
so che comportasse direttamente o indirettamente- una sia pur mi-
nima riduzione del prezzo dei cercali. L'ultimo tentativo al riguar-
do era stato fatto dalla presidenza italiana il 4 maggio, proponendo
di ridurre i prezzi dei cereali dell'l ,8% (giudicato da Pandolfi il
massimo sforzo possibile a favore della delegazione tedesca) e di
ritirare la proposta delta Commissione sull'eliminazione parziale
degli importi competitivi monetari positivi tedeschi nel settore dei
cereali e del latte. Si è così giunti al Consiglio Agricoltura del 16
e 17 maggio con la netta sensazione che i margini di manovra per
un accordo all'unanimità sull'insieme del pacchetto prezzi fossero
stati onnai completamente consumati.
Ed in effetti, a nulla sono valse le doti di mediazioni di Pan-
dolfi e gli ulteriori passi in avanti fatti dalla Commissione con la
presentazione di una propria proposta di compromesso. Per far

124
uscire tuttavia le discussioni dalle secche negoziali in cui esse si
erano arenate fin dal loro avvio si è deciso, col consenso in questo
caso della delegazione tedesca, di dissociare i cereali e la colza dal
resto del pacchetto « prezzi » e di limitarsi ad un accordo parziale
su tutti gli altri settori.

5. 4. Le decisioni del 16 maggio e le misure adottate dalla Commis-


sione nel settore dei cereali e della colza
Le decisioni del Consiglio del 16 maggio sull'insieme del pac-
chetto « prezzi » e misure connesse, ad eccezione dei cereali e del-
la colza, riflettono da vicino le proposte fatte in gennaio dalla
Commissione, anche se, come abbiamo già detto, Pandolfi è riu-
scito in qualche settore ad attenuare in parte il loro rigore iniziale,
grazie anche all'ostinazione tedesca sul prezzo dei cereali.
È il caso, ad esempio, degli ortofrutticoli freschi, per i quali
sono state adottate riduzioni di prezzo pari alla metà di quelle pro-
poste inizialmente dalla Commissione e cioè: 1,5% per le pesche e
le albicocche e -3% per le arance, i mandarini, i pomodori e i limo-
ni. Per quanto riguarda i prodotti trasformati a base di pomodori,
il Consiglio, come aveva proposto la Commissione, ha limitato i
quantitativi suscettibili di beneficiare dell'aiuto alla produzione
per le campagne 1985/86-1987-88 (4,7 milioni di tonnellate in to-
tale, di cui 3,3 milioni circa in Italia, ripartiti fra le imprese di tra-
sformazione in base ai quantitativi prodotti da ciascuna di esse nel-
la campagna 1982-83). Venendo incontro, tuttavia, ad una richie-
sta italiana, l'applicazione di questo regime è stata resa più flessi-
bile nel caso in cui gli stati membri adottino misure di autolimita-
zione, per esempio sotto forma di accordi interprofessionali tra
produttori e industriali trasformatori. In tal caso le quantità per
impresa ammesse all'aiuto possono essere superate fino ad un limi-
te massimo del 20%: l'aiuto concesso a ciascuna impresa è tuttavia
ridotto proporzionalmente al superamento globale nello stato
membro interessato.
Per quanto riguarda il settore del latte, il Consiglio ha sostan-
zialmente confermato l'aumento del prezzo indicativo del latte
proposto dalla Commissione ( + 1,5 % ) , la riduzione del 2 % del
prezzo di intervento per il burro e il parallelo aumento del 4,9%
del prezzo di intervento del latte scremato in polvere. Come pro-
posto dalla Commissione, il Consiglio ha inoltre deciso di ridurre
di 1 milione di tonnellate il quantitativo globale di latte garantito

125
a livello comunitario (da 99 a 98 milioni di tonnellate circa), e una
corrispondente riduzione del prelievo di corresponsabilità a carico
dei produttori (dal 3 al 2%). Esso ha inoltre adottato una serie di
decisioni intese a rendere ancora più flessibile il regime delle quote
di cui abbiamo già parlato in precedenza.
Nel settore della carne bovina il Consiglio ha accettato il con-
gelamento dei prezzi proposto dalla Commissione ma ha proroga-
to di un anno il premio per la nascita dei vitelli a favore della Gre-
cia, dell'Italia e dell'Irlanda. Per quanto riguarda, infine, gli aspet-
ti agri-monetari, l'Italia (insieme alla Grecia e alla Francia) ottene-
va un incremento supplementare dei prezzi del 3,5% in conse-
guenza della svalutazione della « lira verde » a seguito della fles-
sione del tasso di cambio della lira sui mercati monetari nel corso
della prima metà del 1985.
Per la prima volta nella storia della pac, tuttavia, il Consiglio
non era riuscito a pervenire ad un accordo sulla fissazione dei prez-
zi nel settore dei cereali e, di converso, in quello della colza. Il mi-
nistro dell'Agricoltura tedesco Kieckle aveva ancora una volta ri-
fiutato l'ultima proposta di compromesso di una riduzione dei
prezzi dell'l,8% in questi settori ed aveva fatto appello alla com-
prensione dei colleghi e della Commissione per tentare di uscire
dall'isolamento e per convincerli ad accettare, anche in parte, le
sue richieste. Di fronte, peraltro, alla prospettiva sempre più im-
minente di un voto a maggioranza qualificata che l'avrebbe certa-
mente messa in minoranza, la delegazione tedesca aveva fatto ap-
pello al paragrafo 1 del compromesso di Lussemburgo dichiarando
che nel settore dei cereali erano in gioco interessi vitali per il suo
paese. Non era ancora l'esercizio di un vero e proprio diritto di
veto su una decisione a maggioranza qualificata nel settore dei ce-
reali, ma certamente esso costituiva un primo passo concreto in
tale direzione. In virtù infatti del testo invocato dalla delegazione
tedesca, il Consiglio si sarebbe adoperato « per giungere entro ter-
mini accettabili a soluzioni che (avrebbero potuto) essere adottate
da tutti i membri del Consiglio nel rispetto degli interessi reciproci
e dei quelli della Comunità ».
Con questo espediente la delegazione tedesca cercava, insom-
ma, di guadagnar tempo e di ricostituirsi un qualche margine di
manovra negoziale anche se, a nome della Commissione, il vice-
presidente Andriessen, non aveva lasciato alcun dubbio al riguar-
do: « In questi negoziati - aveva infatti dichiarato al termine del
Consiglio - si arriva a un punto in cui qualsiasi ulteriore modifica

126
delle proposte della Commissione va oltre i limiti di ciò che si può
considerare ragionevole ed auspicabile nell'interesse della Comu-
nità nel suo insieme. La Commissione non può accettare - aveva
concluso il vicepresidente Andriessen - snaturando a tal punto le
proprie proposte, di minare le importanti riforme che lo stesso
Consiglio ha deciso di avviare in materia di politica agraria >> 24 •
È toccato ancora una volta al nostro ministro dell' Agricoltu-
ra, in qualità di presidente di turno del Consiglio, ad un mese di di-
stanza dalla riunione di maggio, dichiarare conclusa senza esito
positivo la fase di ricerca di un'intesa negoziale accettabile per tutti
gli stati membri. Nel frattempo anzi le rispettive posizioni si erano
ulteriormente irrigidite, anche se la delegazione irlandese e quella
greca avevano mostrato qualche segno di cedimento. Non veden-
do più alcuna possibilità di conciliare le diversè posizioni, il mini-
stro Pandolfi ha così deciso, il 12 giugno, di procedere al voto sui
regolamenti relativi ai cereali e alla colza quali risultavano dalla
proposta di compromesso presentata in maggio dalla Commissio-
ne, e questo malgrado il fatto che la delegazione tedesca si fosse
nuovamente pronunciata contro una procedura di voto. È a questo
momento che la delegazione tedesca ha messo da parte ogni resi-
dua cautela diplomatica ed ha formalmente invocato il paragrafo 2
del già citato compromesso di Lussemburgo, il quale recita:
« quando sono in gioco interessi molto importanti ( di uno stato
membro), la discussione deve proseguire fino a quando si sia rag-
giunto un accordo unanime ». Al momento del voto sui regola-
menti in questione, tuttavia, oltre alla Germania, cinque delega-
zioni (Regno Unito, Francia, Danimarca, Grecia e Irlanda) hanno
rifiutato di parteciparvi pur essendosi in precedenza pronunciate
quasi tutte a favore di un voto: solo l'Italia, insieme ai paesi del
Benelux, hanno così votato a favore, ma ciò non è stato sufficiente
per pervenire alla maggioranza qualificata necessaria per l'adozio-
ne dei regolamenti in questione. A quindici giorni dal Consiglio
europeo di Milano, il failimcnto del negoziato agricolo assumeva
così il carattere di un vero e proprio fallimento istituzionale.
Come dichiarava, il giorno dopo, il presidente della Commis-
sione, Jacques Delors, di fronte al Parlamento europeo, denun-
ciando « il divario tra discorsi e prassi » tale fallimento andava ben
al di là dell'ambito della politica agricola comune e non investiva
un solo paese come molti avrebbero potuto pensare, ma la mag-

24. « Bollettino delle Comunità europee », n. 5 1985, p. 10.

127
gioranza degli stati membri: è vero infatti che la Germania aveva
invocato il compromesso di Lussemburgo, ma è vero anche che al-
tri cinque stati membri non avevano partecipato al voto. Al con-
trario, la presidenza italiana, meritava, secondo Jacques Delors, il
plauso degli europeisti per il ruolo che essa aveva svolto nella vi-
cenda:« Se essa ha chiesto di procedere alla votazione- aveva af-
fermato il presidente della Commissione - è per denunciare qual-
cosa che io denuncio con essa: tutte queste riunioni bilaterali fra
capi di governo di cui non sappiamo niente e l'assenza di un vero
dibattito democratico su ciò che avverrà a Milano »25 • << È una
giornata nera per la Comunità - aveva dichiarato dal canto suo il
ministro belga dell'Agricoltura - Sono le delegazioni che più au-
spicano una decisione sulle questioni di fondo che, richiamandosi
al protocollo di Lussemburgo, hanno reso impossibile la decisio-
ne ». Avendo constatato formalmente l'inadempienza del Consi-
glio, ed in attesa che questo assumesse le sue responsabilità, la
Commissione ha adottato il 19 giugno misure conservative per la
colza, il ravizzone e il grano duro, la cui campagna inizia il 1° lu-
glio, oltre che per gli altri cereali, la cui campagna inizia il 1° ago-
sto. Esse consistono essenzialmente nella riduzione dell'l,8% dei
prezzi nel settore dei cereali e della colza a partire dall'inizio delle
rispettive campagne e nel « congelamento » della regolamentazio-
ne in vigore in questi settori. Nell'annunciare agli stati membri le
sue intenzioni la Commissione aveva tenuto qualche giorno prima
a giustificare questa sua iniziativa - suscettibile di suscitare non
poche controversie politiche e giuridiche- con l'obbligo che le in-
combeva di « vigilare sulla continuità del funzionamento della pac
e sulla salvaguardia delle finanze comunitarie». La Commissione
sottolineava inoltre la necessità di evitare movimenti speculativi
che avrebbero potuto comportare distosioni nel commercio dei
prodotti in causa e soprattutto il rischio di apporti massivi all'inter-
vento che avrebbero dovuto avvenire al prezzo valido per la cam-
pagna precedente in assenza di una decisione del Consiglio sulla ri-
duzione dei prezzi dei cereali per la campagna 1985/86. Con le mi-
sure « conservative » adottate dalla Commissione - che in realtà
non sono state contestate né dagli operatori né dagli stati membri
- gli apporti di cereali agli organismi di intervento hanno potuto
invece effettuarsi ad un prezzo inferiore di 1,8% a quello della
campagna 1984/85.

25. « Bollettino Ce », n. 6, 1985 , p. 105.

128
9. LA POLITICA AGRICOLA 1985-1986*

I. Il Libro verde della Commissione sul futuro delJa politica agricola


comune

1.1. La genesi del Libro verde

Il bisogno di una riflessione d'insieme sui problemi della politica


agricola comune (Pac) e sulla maniera più appropriata per sormon-
tarli, che andasse al di là deUa terapia d'emergenza e dell'approccio
settoriale, è piuttosto frequente negli oltre venti anni di vita di
questa politica. Basti citare, in proposito, il famoso memorandum
«Agricoltura ottanta», più noto come «piano Mansholt», presentato
dalla Commissione nel dicembre 1968 1, o il meno noto, ma
ugualmente fondamentale, memorandum sull'adattamento della
politica agraria comune, dell'ottobre l 973 2• Negli ultimi anni, a
mano a mano che le disfunzioni della Pac assumevano proporzioni
sempre più allarmanti e che le misure da adottare imponevano
scelte sempre più coraggiose, tale bisogno si è fatto ancora più vivo.
Ciò spiega il più frequente ricorso, da parte della Commissione CE,
all'elaborazione di documenti di orientamento generale che prepa-
rassero il terreno e inquadrassero le successive proposte in un
disegno d'insieme coerente, tanto a livello delle analisi che delle
terapie. Il 1980 è, ad esempio, l'anno delle «riflessioni sulla politica

l. Segretariato generale della Commissione CE, Memorandum sulla riforma


dell'agricoltura nella Comunità europea, presentato dalla Commissione al Consiglio il
21 dicembre 1968.
2. Commissione CE, Adattamento della politica agraria comune, memorandum
della Commissione al Consiglio, presentato il 5 novembre 1973, Bollettino delle
Comunità europee, Supplemento n. 1/73.
* In IAI, “L’Italia nella politica internazionale (1985-1986)”,
Franco Angeli, Milano, 1987

129
agraria comune» (noto anche come «testamento Gundelach») 3 , in
cui si enuncia, forse per la prima volta in maniera così netta, la
necessità di abbandonare la garanzia illimitata di prezzo e di
mercato accordata fino ad allora alla maggior parte dei prodotti
agricoli. È invece dell'autunno I 981 il memorandum integrativo del
rapporto della Commissione sul mandato del 30 maggio 1980 4, da
essa presentato qualche mese prima, e contenente analisi più
particolareggiate e indicazioni più precise sugli orientamenti da
seguire in materia di politica agricola comune negli anni a venire.
Tali orientamenti si sono tradotti, tra l'altro, in una politica dei
prezzi più orientata verso la realtà dei mercati agricoli, interni e
internazionali, e nell'introduzione, a partire dal 1982/83, di <<limiti
di garanzia» in diversi settori di produzione, per lo più eccedentari.
Questi orientamenti hanno peraltro trovato ulteriore conferma e
sviluppi ancora più conseguenti nel memorandum presentato nel
luglio 1983 5 in cui, in particolare, si preconizza il ricorso, nel
settore lattiero-caseario, al più radicale strumento di controllo
dell'offerta agricola, quello delle quote di produzione, ed una
generale restrizione dei diversi regimi di aiuto messi in atto nel
quadro della Pac.
Tutti questi documenti segnavano, come si vede, altrettante
tappe nell'escalation delle terapie proposte per curare un male che
rischiava di minare dalle fondamenta non soltanto l'edificio della
Pac ma anche la stessa coesione comunitaria: l'accrescersi a
dismisura delle eccedenze agricole in molti settori di produzione e
con esso quello delle spese necessarie per smaltirle o per sostenere i
mercati, senza peraltro che ciò producesse effetti particolarmente
vistosi sui ·redditi agricoli. Erano stati, tuttavia, necessari ben otto
mesi di intensi e spesso aspri negoziati dalla presentazione dell'ulti-
mo memorandum della Commissione (quello del luglio 1985),
perché i ministri dell'agricoltura trovassero un accordo sui contenu-
ti della riforma della politica agricola comune e pressoché altrettanti
perché i ministri del bilancio giungessero ad una decisione sul modo
di assicurare la copertura finanziaria per i fabbisogni aggiuntivi

3. Commissione CE, Riflessioni sulla politica agraria comune, Com (80) 800
def.
4. Commissione CE. Orientamenti per l'agricollura europea, Com (81) 608
def.
5. Commissione CE, Politica agraria comune: proposte della Commissione, Com
(83) 500 def.

130
della Pac per il 1984. Nel frattempo, anche per la difficoltà di un
accordo sul contenzioso relativo al contributo britannico e sull'au-
mento delle risorse proprie, la Comunità aveva attraversato uno dei
periodi più oscuri e di maggiore tensione della sua storia, di cui il
lacerante fallimento del vertice di Atene, alla fine del 1983,
costituisce un momento emblematico.
L'accordo globale raggiunto a Fontainebleau il 26 giugno 1984
aveva certo dissolto molte delle nubi e delle tensioni che si erano
addensate sulla costruzione europea lungo tutto l'arco del 1983 e per
buona parte del 1984. È anche vero che esso aveva inoltre
praticamente levato l'ultima ipoteca che restava per la piena
applicabilità dell'accordo sui prezzi agricoli e sulla razionalizzazio-
ne della Pac al quale i ministri dell'agricoltura dei Dieci erano
pervenuti il 31 marzo dello stesso anno, e cioè il problema della
copertura finanziaria del deficit del bilancio comunitario per il 1984
e il varo di un nuovo regime delle risorse proprie della Comunità.
Resta tuttavia il fatto che il pacchetto di misure varato in tale
occasione dai ministri dell'agricoltura era senza dubbio uno fra i più
drastici nella storia della Pac: e ciò, non solo per il modesto
incremento dei prezzi di sostegno che ne è scaturito, notevolmente
inferiore peraltro al tasso di inflazione, ma anche per l'adozione dì
un regime dì quote dì produzione nel settore del latte, destinato ad
imbrigliare entro argini relativamente ristretti rispetto alle potenzia-
lità produttive gli sviluppi della produzione in questo settore. A ciò
si aggiunga il fatto che lo stesso Consiglio europeo di Fontainebleau,
nel momento in cui aveva finalmente raggiunto un accordo su un
modesto incremento delle risorse proprie, aveva formalmente
riaffermato l'impegno a mettere in atto le misure necessarie per
garantire che le spese comunitarie fossero sottoposte, in avvenire,
ad una effettiva disciplina di bilancio e finanziaria. Per quanto
riguarda in particolare le spese per il sostegno dei prezzi e dei
mercati agricoli che rappresentano in media all'incirca i due terzi
del bilancio generale comunitario, il Consiglio europeo prima, e i
ministri finanziari in seguito, avevano sanzionato il principio che il
loro ritmo di crescita non dovesse superare, in avvenire, il tasso di
crescita della base delle risorse proprie comunitarie.
Se si considera che negli ultimi anni le spese agricole avevano
progredito ad un ritmo spesso doppio rispetto a quello delle risorse
proprie, e che per la prima volta dalle origini della Pac, un settore di
produzione in piena espansione e dell'importanza economica e

131
futuro dell'agricoltura europea. Se la politica agricola comune,
affermava la Commissione, non consentisse agli agricoltori di
sperare in un futuro migliore per la prossima generazione, nel
rispetto dell'articolo 39 del trattato, si assisterebbe fatalmente alla
rinazionalizzazìone della politica agraria con tutte le conseguenze
che ciò comporterebbe per la costruzione europea 6• Traspare da ciò
la preoccupazione della Commissione, nel momento in cui essa era
indotta a chiedere nuovi sacrifici agli agricoltori, dì offrire loro
qualche sprazzo di luce sia pure in un orizzonte piuttosto fosco,
coinvolgendoli al tempo stesso nella ricerca delle soluzioni più
appropriate ai problemi della Pac e dell'agricoltura europea. A tale
scopo, pur ritenendo necessario esaminare a fondo tutte le vie
possibili, la Commissione enunciava le tre direttrici lungo le quali
avrebbe dovuto svilupparsi, a suo giudizio, la futura riflessione e
cioè: creare un'agricoltura moderna e redditizia, che continuasse a
sfruttare il proprio potenziale per migliorare la produttività, ma che
allo stesso tempo rispettasse l'ambiente e conservasse «l'inestimabi-
le patrimonio rappresentato dal paesaggio e dalle specie»; far fronte
alla doppia sfida rappresentata dagli sbocchi della produzione
agricola: da una parte quelli sui mercati europei, con la prospettiva
di nuove pratiche nel campo della biotecnologia e dell'energia;
dall'altra quelli sui mercati esterni, «con la sfida della concorrenza
negli scambi mondiali e con l'imperativo morale dell'aiuto alimen-
tare»; integrare sempre più l'agricoltura nell'economia globale, e
quindi
aiutare la popolazione rurale a migliorare la propria situazione economica e
sodale, non soltanto attraverso una politica a favore delle strutture agrarie,
ma anche tramite altre politiche e strumenti, quali ad esempio i programmi
integrati mediterranei.
Una volta definiti i grandi obiettivi di questa riflessione
d'insieme, si trattava dì decidere le modalità pratiche del dialogo
con le organizzazioni professionali da una parte, e con le altre
istituzioni comunitarie dall'altra.
A questo proposito come si è detto, il nostro ministro dell'Agri-
coltura Pandolfi avrebbe sperato che si potesse procedere alla
convocazione, durante il semestre dì presidenza italiana, di una
conferenza aperta ai governi, alle istituzioni comunitarie e alle
organizzazioni professionali sul tipo di quella che a Stresa gettò le

6. Com (85) 50 def., Bruxelles, 30 gen. 1985.

132
basi dell'Europa verde. Questa ipotesi è tuttavia presto tramontata,
anche perché i tempi per la conclusione dei lavori di analisi in seno
alla Commissione (più lunghi del previsto) non lo avrebbero
consentito. U gualmcnte è stata scartata l'ipotesi di avviare le
consultazioni con le organizzazioni professionali fin dall'inizio dei
lavori, come auspicava, ad esempio, il Copa. È stata invece scelta la
soluzione del Libro verde, vale a dire dell'elaborazione da parte
della Commissione di un documento consultivo contenente una
serie di opzioni su cui le organizzazioni professionali (agricole e non
agricole) e 1e altre istituzioni comunitarie sono state chiamate a
pronunciarsi. Alla luce di queste consultazioni, avvenute nella
seconda metà dell'anno, la Commissione ha enunciato, alla fine del
1985, una serie di orientamenti più precisi intesi ad assicurare,
come dice il titolo del documento, «un futuro per l'agricoltura euro-
pea» 7 •

1.2. I contenuti della nuova proposta della Commissione

Il documento della Commissione «Prospettive per la politica


agricola comune» 8, noto anche come Libro verde, per il suo
carattere di documento consultivo, è stato adottato dalla Commis-
sione nel luglio 1985 ed in seguito trasmesso al Consiglio e al
parlamento europeo, nonché alle diverse organizzazioni professio-
nali europee, agricole e non agricole, inleressate a questo problema.
Per comprendere la portata ma anche i limiti di questo documento
vale la pena di ricordare che esso è il frutto della riflessione di sei
gruppi di lavoro, istituiti in seno ai servizi della Commissione
all'inizio di marzo, ciascuno dei quali è stato incaricato di
presentare un apposito rapporto su uno dei sei grandi capitoli in cui
è stata articolata la riflessione, vale a dire, rispettivamente: 1.
l'agricoltura nella società; 2. nuove utilizzazioni dei prodotti
agricoli; 3. produzioni agricole alternative; 4. agricoltura e ambien-
te; 5. commercio estero dei prodotti agricoli; 6. riforma dell'organiz-
zazione comune di mercato dei cereali.
Benché l'organizzazione dei lavori prevedesse un coordinamento
pressoché costante tra i diversi gruppi e malgrado gli sforzi evidenti

7. Com (85) 750 def. , del 19 dic. 1985.


8. Com (85) 333 def., dal 9 ago. 1985.

133
dei redattori del Libro verde intesi ad amalgamare i risultati delle
riflessioni dei sei gruppi di lavoro, ad armonizzare la presentazione
della materia e ad assicurare una concatenazione logica tra i diversi
capitoli, il documento finale risente inevitabilmente della differen-
ziazione dei compiti affidati ai diversi gruppi di lavoro e degli
obiettivi specifici perseguiti da ciascuno di essi, della diversa
profondità di analisi a cui essi si sono spinti, etc. La stessa scelta dei
temi oggetto della riflessione ha contribuito, peraltro, a creare una
certa discontinuità nell'approccio ai diversi problemi e nelle solu-
zioni proposte. Così, ad esempio, mentre sui temi «agricoltura e
società», «nuove utilizzazioni dei prodotti agricoli», «produzioni
alternative» e in parte «agricoltura e ambiente» le riflessioni in seno
ai rispettivi gruppi di lavoro sfociano in proposte o in opzioni
abbastanza coerenti con l'obiettivo politico originario di questo
esercizio, cioè quello dì offrire delle prospettive di sviluppo
all'agricoltura europea, ciò è meno evidente per quanto riguarda le
conclusioni e le opzioni che scaturiscono dai lavori relativi al tema
«commercio estero agricolo» e soprattutto al tema «riforma dell'or-
ganizzazione dei mercati dei cereali». Va del resto aggiunto che la
presenza, piuttosto anomala, di questo unico problema settoriale nel
quadro di una riflessione d'insieme sulle prospettive della Pac e
dell'agricoltura europea, trova origine nella necessità di affrontare
con urgenza il problema del contenimento delle eccedenze e delle
relative spese nel settore cerealicolo, dopo aver avviato nel 1984 il
processo di ridimensionamento produttivo nell'altro grande settore
eccedentario, quello lattiero-caseario. Era chiaro da queste premesse
che le varie soluzioni alternative proposte per porre un freno alla
crescita della produzione cerealicola dovessero essere necessaria-
mente contraddittorie con l'obiettivo di ridare fiducia al mondo
agricolo e di spazzare qualche nube dall'orizzonte dell'agricoltura
europea che sembrava inizialmente si volesse soprattutto perseguire
con questo esercizio. Ciò vale in parte anche per le riflessioni sugli
sviluppi possibili della politica commerciale nel settore agricolo,
laddove l'accento è messo più sul ridimensionamento degli strumen-
ti esistenti e su una più grande corresponsabilizzazione finanziaria
dei produttori che sullo sviluppo di nuovi strumenti di sostegno
delle esportazioni comunitarie. Con ciò non si intende, ben inteso,
entrare fin da ora nel merito delle soluzioni proposte o criticare
l'incoerenza dell'approccio, ma soltanto indicare una delle cause
principali che possono aver contribuito a determinare delle reazioni

134
non sempre favorevoli da parte del mondo agricolo a seguito della
pubblicazione del Libro verde. D'altra parte non va perduto di vista
che uno dei vincoli, anche se non esplicitati, posti fin dall'inizio a
questa riflessione d'insieme era che le conseguenze finanziarie delle
diverse opzioni fossero compatibili con le attuali disponibilità di
bilancio e che non si proponessero, ad esempio, nuove misure
onerose per il bilancio comunitario, senza creare all'interno della
Pac le economie necessarie per finanziarle.
Ma vediamo più da vicino come si articola questo documento,
qual'è la filosofia che lo sorregge e quali opzioni ne scaturiscono. Va
anzitutto premesso che benché esso contenga una serie di clementi
di riflessione e di opzioni politiche alquanto innovative rispetto al
passato, il Libro verde si situa fondamentalmente nella proiezione
delle scelte già operate e delle riforme già avviate nel contesto della
Pac negli ultimi anni: limitazione della garanzia incondizionata
accordata a molti prodotti agricoli; politica dei prezzi agricoli più
aderente alla realtà dei mercati interni e internazionali e quindi più
restrittiva; maggiore corresponsabilizzazione dei produttori alle
conseguenze economiche e finanziarie delle scelte operate in
materia di produzione; riorientamento della politica socio-struttura-
le i·n modo da far correggere i suoi obiettivi con quelli della politica
dei prezzi e dei mercati.
Sono anni ormai - viene ricordato a questo proposito nell'introduzione
al Libro verde - che la Commissione tenta di modificare gli strumenti della
Pac per far si che gli agricoltori europei non siano più incoraggiati a
produrre per l'intervento pubblico, vale a dire per mercati che non
esistono ... Quello che rimane ora da fare - conclude la Commissione - è
completare le decisioni già prese, in modo da creare le condizioni
economiche, sociali e politiche per far arrivare in porto con successo le
riforme già avviate.
L'interrogativo che la Commissione si pone a questo punto è
il seguente: in una prospettiva come quella sopra delineata è
possibile ed opportuno mantenere un numero consistente di agricol-
tori com'è il caso attualmente in Europa, oppure questo processo di
razionalizzazione dell'agricoltura europea comporta necessariamen-
te la fuoriuscita dal settore di buona parte delle imprese e delle
attuali forze di lavoro agricole?
La risposta che la Commissione dà a questo quesito è forse il
messaggio politico più rassicurante per il mondo agricolo che
emerge dal Libro verde:

135
Un'agricoltura sul modello americano, con vaste superfici e pochi
agricoltori, non è né possibile nè desiderabile in Europa, dove l'unità di
base rimane l'azienda a conduzione familiare.
In effetti, a parere della Commissione,
la necessità di preservare il tessuto sociale delle regioni rurali, di conservare
l'ambiente naturale e di tutelare il paesaggio creato da millenni di attività
agricola giustifica la scelta di fondo a favore di una «Europa Verde», che
salvaguardi la possibilità di occupazione degli agricoltori e, al tempo stesso,
serva gli interessi a lungo termine di tutti i cittadini europei.

Chiarito che non è nelle intenzioni della Commissione di


incoraggiare un'accelerazione dell'esodo agricolo, che sarebbe peral-
tro impensabile nell'attuale contesto economico caratterizzato da
una modesta crescita economica e da livelli record di disoccupazio-
ne, resta tuttavia il problema di fondo che la politica agricola
comune si pone ormai da diversi anni a questa parte: cioè quello di
trovare il modo di garantire il mantenimento di un numero
consistente di lavoratori agricoli senza tuttavia che ciò comporti
inaccettabili sprechi di risorse economiche e finanziarie.
L'agricoltura, come ogni altro settore economico - si legge sempre
nell'introduzione al Libro verde - è soggetta alle leggi dell'offerta e della
domanda. Il continuo accumulo di eccedenze dovuto agli squilibri dei
prezzi e dei mercati, non è un'opzione soddisfacente per la Pac. Non si
servono gli interessi della Comunità - continua la Commissione -
assimilando le sue esportazioni agricole a uno strumento per lo smercio
delle eccedenze e i problemi del Terzo Mondo, dove molti milioni di
persone continuano a soffrire la fame; non possono alla lunga venire risolti
dall'agricoltura dei paesi avanzati.
Per la Commissione la soluzione al problema sopra enunciato
risiede nella diversificazione degli strumenti della Pac, mediante
misure complementari concernenti sia le organizzazioni di mercato,
sia gli obiettivi strutturali e sociali della Pac.
In effetti la politica dei prezzi, su cui si è essenzialmente fondata
la Pac finora, se ha raggiunto pienamente i suoi obiettivi economici
(modernizzazione dell'agricoltura, sviluppo della produzione, etc.)
ha invece incontrato negli ultimi quindici anni sempre maggiori
difficoltà nel realizzare gli obiettivi sociali della Pac, ed in
particolare quello di garantire un equo livello di vita alla popolazio-
ne agricola. È dubbio, anzi, afferma la Commissione a questo pro-
posito,

136
se questa politica relativamente poco selettiva sia lo strumento più
adeguato al riguardo, date le considerevoli disparità che caratterizzano la
situazione del settore agricolo nella Comunità.
Traspare da queste considerazioni una sorta di autocritica della
Commissione per l'enfasi eccessiva posta in passato sul sostegno dei
prezzi e dei mercati nel contesto della Pac, enfasi che si riflette nella
predominanza pressocché assoluta della sezione «Garanzia» nel-
l'ambito del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia
(95% circa alla politica dei prezzi e dei mercati e solo il 5% alla
politica socio-strutturale). Questo squilibrio, non voluto dagli
ideatori del1a Pac, nasce anche dal fatto, afferma la Commissione,
che si sono voluti affidare alla politica dei prezzi troppi e svariati
obiettivi, alcuni dei quali si rivelano oggi contraddittori. In effetti,
l'accrescersi delle eccedenze e l'aggravarsi degli squilibri di mercato
esige oggi una politica dei prezzi maggiormente orientata verso il
mercato, il che significa per taluni prodotti una politica dei prezzi
restrittiva. Ciò comporta, tuttavia, delle conseguenze negative sui
redditi agricoli che vanno necessariamente affrontate con strumenti
più specifici e più appropriati della politica dei prezzi, soprattutto
se si vuole evitare che il tessuto sociale delle regioni rurali venga
distrutto da un esodo accelerato della forza di lavoro agricolo.
A questo fine la Commissione espone nel Libro verde una serie
di opzioni intese appunto ad assicurare che le misure restrittive che
si rendono necessarie per il riequilibrio dei mercati non compromet-
tano irrimediabilmente le condizioni sociali ed economiche di
coloro che lavorano in agricoltura, ed in particolare quelle delle
aziende agricole a condizione familiare, che costituiscono la struttu-
ra portante dell'agricoltura europea. Queste opzioni possono così
schematizzarsi: a) una più completa integrazione dell'agricoltura
nello sviluppo regionale: dato che non tutti i problemi delJ'agricoltu-
ra possono essere risolti dalla sola politica agraria, è indispensabile
studiare, afferma la Commissione, quale contributo le a1tre politiche
possano offrire; la politica agraria deve dunque essere inquadrata
nella più ampia prospettiva della politica rurale in genere. Ne
consegue la necessità di creare nuovi posti di lavoro nelle regioni
agricole in difficoltà, per mantenere e rafforzare il tessuto sociale di
queste regioni. In particolare andrebbero incoraggiate sia le attività
a tempo parziale, che consentano alla famiglia dell'agricoltore di
restare nell'azienda, sia l'utilizzazione a fini non produttivi delle
terre agricole, sia infine la creazione di posti di lavoro a tempo

137
pieno al di fuori dell'agricoltura; b) la necessità che la politica
agricola si faccia carico dei problemi dell'ambiente e che l'agricoltu-
ra sia remunerata per questo suo ruolo nella società, in particolare
promuovendo le pratiche culturali che contribuiscono a conservare
l'ambiente rurale in genere e a tutelare zone specifiche dal punto di
vista ambientale; c) la possibilità di introdurre, nel contesto di una
politica dei prezzi restrittiva, nuove forme di sostegno diretto dei
redditi agricoli, che consentirebbero ai meccanismi dei prezzi e dei
mercati di svolgere più pienamente la loro funzione regolatrice
dell'offerta e della domanda, senza creare problemi sociali insolubili
per la popolazione rurale. In quest'ottica, il Libro verde espone
quattro tipi fondamentali di regimi di aiuto: un regime di prepen-
sionamento per gli agricoltori più anziani (al di sopra dei 55 anni);
un regime di aiuti, transitori e degressivi, rivolto in particolare alle
aziende che potrebbero rivelarsi vitali sul piano economico, ma che
potrebbero essere messe seriamente in difficoltà dalla sistematica
applicazione di una rigorosa politica dei prezzi prolungata per
diversi anni. Il principale obiettivo di questa misura sarebbe
dunque di fornire a questa fascia di aziende un aiuto finanziario per
un periodo di tempo limitato (5 anni) in modo da consentire ai
conduttori che ne hanno la possibilità di realizzare gli adattamenti
strutturali che si rendono necessari. Secondo una prima stima, tale
regime avrebbe potuto interessare quasi 2 milioni di agricoltori e
avrebbe potuto comportare nuove spese di 4-6 miliardi di ecu in
cinque anni; un regime di aiuti ad orientamento più sociale, limitato
cioè a coloro che sono realmente indigenti, ed inteso ad evitare che i
necessari mutamenti strutturali nell'agricoltura provochino pressio-
ni sociali insostenibili (spesa prevista: circa 1 miliardo di ecu
all'anno); d) un regime di aiuto al reddito concesso soltanto se, a
titolo di compensazione, il conduttore si impegna a rinunciare al
suo «diritto a produrre» sulle proprie terre e quindi a contribuire
alla diminuzione della produzione agricola globale, oppure a
riconvertirsi verso produzioni alternative, per le quali esistono degli
sbocchi, ma che offrono a breve termine possibilità di reddito meno
favorevoli.
Al momento in cui la riflessione nel Libro verde era stata avviata
quella degli aiuti diretti al reddito era parsa a molti come la strada
preferenziale, se non addirittura l'unica, che avrebbe potuto rendere
praticabile una politica dei prezzi restrittiva. Tuttavia, com'era già
accaduto in passato ogni qualvolta questa opzione era stata presa in

138
considerazione, anche questa volta l'entusiasmo iniziale era andato
scemando a mano a mano che si approfondivano le implicazioni sul
piano amministrativo e del controllo di un regime di questa natura e
soprattutto le sue conseguenze finanziarie, particolarmente rilevanti
p~r ~erte for1:3c di aiuto. Questo spiega forse perché il capitolo sugli
amtt al reddito è relegato in fondo al Libro verde, quasi a volerne
sottolineare anche simbolicamente la marginalità o quanto meno la
difficile praticabilità. Ma soprattutto spiega perché, pur presentando
le diverse forme di aiuto al reddito che potrebbero essere messe in
atto per ridurre le conseguenze negative sul reddito degli agricoltori
di una politica restrittiva dei prezzi, la Commissione prende le
distanze da queste misure, sottolineando che le opzioni descritte
non vanno considerate come vere e proprie proposte ma soltanto
come base per una discussione affrontata con maggior cognizione di
causa.
Benché alcune misure di aiuto diretto ai redditi già esistono nell'ambito
della Pac {ad esempio, le indennità compensative nelle zone di montagna e
svantaggiate) - precisa a questo punto la Commissione - la loro estensione
su più vasta scala porrebbe seri problemi di natura politica, amministrativa
e finanziaria, soprattutto in considerazione della selettività, necessaria in
un siffatto sistema. La complessità del problema - conclude la Commissio-
ne - inclusa la resistenza della popolazione agricola a misure di carattere
assistenziale, richiede una profonda riflessione.
Ma il Libro verde esamina anche altri sistemi, alternativi o
complementari alla politica restrittiva dei prezzi, per ridurre le
eccedenze agricole e per adeguare l'offerta alla domanda.
In particolare vengono esaminati i pregi e difetti di un regime di
quote di produzione, come quello che era stato introdotto l'anno
prima nel settore del latte e che tanto scalpore aveva suscitato ne1
mondo agricolo. Di un regime di questa natura, si mettono in luce i
vantaggi (effetti quasi immediati sulla diminuzione della produzio-
ne e quindi sulla riduzione della spesa) ma anche i numerosi
inconvenienti (difficoltà politiche per farlo adottare, problemi di
gestione e di controllo, gelo delle strutture di produzione, rischio di
rinazionalizzazione della Pac etc.). Nel caso del latte le quote sono
state tuttavia accettate, precisa la Commissione, come il «male
minore» rispetto alla soluzione alternativa che consisteva nel
ridurre i prezzi ai produttori almeno del 12%. Alla luce di
quest'analisi la Commissione arriva alla conclusione che una
generalizzazione delle quote ad altri settori di produzione non
sarebbe auspicabile e che

139
l'unica impostazione sana a medio e a lungo termine è di assegnare ai prezzi
di mercato un maggior ruolo di orientamento dell'offerta e della doman-
da.
Il Libro verde esamina poi due serie di misure che potrebbero
contribuire anch'esse alla riduzione delle eccedenze agricole: le
prime, agendo sulla produzione e più particolarmente sulla diversi-
ficazione delle culture già esistenti e sull'introduzione di culture
alternative, non eccedentarie; le seconde, incoraggiando nuovi
impieghi dei prodotti agricoli, in particolare a fini industriali ed
energetici. Le analisi effettuate a questo proposito nella fase
preparatoria del Libro verde mostrano tuttavia che il contributo
eventuale che queste misure potrebbero dare alla soluzione del
problema delle eccedenze è relativamente modesto.
L'onere di bilancio per la messa in atto di alcune di queste
misure potrebbe essere invece assai rilevante. Questo vale anche per
la produzione di bioetanolo a partire dai cereali comunitari prodotti
in eccedenza. Questo alcole di origine agricola, afferma la Commis-
sione, potrebbe essere utilizzato non tanto come carburante al posto
della benzina, come avviene già attualmente in Brasile, dato che ciò
presuppone notevoli modifiche della struttura dei motori, ma
piuttosto come additivo oppure come cosolvente, al fine di aumen-
tare il numero di ottani della benzina europea. Esso costituirebbe,
così, una valida alternativa al piombo nella benzina, destinato a
scomparire dal 1989 in virtù di una direttiva comunitaria adottata
nel 1984. In realtà, mette però in guardia la Commissione, il costo
del bioetanolo di origine agricola prodotto nella Comunità è un
elemento determinante di qualunque decisione a questo riguardo,
tanto più se si tiene presente che i costi dei prodotti concorrenti del
bioetanolo (anch'essi sostitutivi del piombo nella benzina) oscillano
dal al 75% al di sotto di quelli del bioetanolo. Ciò dà un'idea
dell'importo delle sovvenzioni necessarie affinché sia economica-
mente redditizia la fermentazione dei prodotti agricoli di base
destinati alla produzione di bioetanolo.
Un posto di rilievo nel contesto del Libro verde occupano anche
le riflessioni relative alla possibilità di ristabilire un migliore
equilibrio tra produzione e consumi agendo sul regime commerciale
esterno in vigore per i prodotti agricoli, tanto all'esportazione che
all'importazione. Le opzioni che scaturiscono da queste riflessioni
non vanno però, tutte, nella direzione di un rafforzamento degli
strumenti esistenti ma spesso, come si è già detto, nella direzione
opposta. Una delle idee centrali avanzate in questo contesto è infatti

140
quella relativa ad una maggiore corresponsabilità dei produttori per
le spese inerenti al sostegno delle esportazioni nei paesi terzi,
attualmente integralmente a carico del bilancio comunitario, attra-
verso il meccanismo delle restituzioni all'esportazione. Un'altra
idea, anch'essa particolarmente dirompente, enunciata in questo
contesto è quella di una protezione esterna più equilibrata e
finanziariamente meno costosa di quella attualmente in vigore nel
contesto della Pac. La messa in atto di questa opzione implichereb-
be, però, delle scelte particolarmente sconvolgenti per l'attuale
assetto della Pac e dell'agricoltura europea, da negoziare peraltro
con i partners della Comunità (tassazione all'importazione delle
materie grasse e dei mangimi per bestiame, importati attualmente in
esenzione doganale, riduzione della protezione esterna nei settori in
cui questa è più elevata, etc.) che sembrano alquanto sottovalutate
nel Libro verde, anche se, a conclusione di queste riflessioni la
Commissione osserva che «ogni modifica intesa a riequilibrare la
protezione esterna, per quanto auspicabile e opportuna, non potrà
che essere graduale». Piuttosto marginali, in questo contesto,
appaiono gli accenni alla necessità di una diversificazione degli
strumenti d'esportazione (essenzialmente l'introduzione di un regi-
me di crediti all'esportazione), che dovrebbe avere come scopo di
mettere la CE in grado di adeguarsi più facilmente alle diverse situazioni
finanziarie delle zone in cui la domanda dei prodotti agricoli ha buone
probabilità di sviluppare nei prossimi anni.
Un altro capitolo importante del Libro verde è quello in cui la
Commissione esamina le diverse opzioni per la limitazione delle
eccedenze nel settore cerealicolo: una esigenza, questa, divenuta
ormai improcrastinabile tenuto conto della divaricazione crescente
tra offerta e domanda cerealicola e della limitata efficacia del
regime di limitazione della garanzia introdotto a partire dalla
campagna 1982/83. Pur indicando la sua preferenza per un'azione
attraverso il meccanismo dei prezzi, la Commissione ha ritenuto
tuttavia opportuno esaminare vantaggi e inconvenienti di tutti gli
altri possibili provvedimenti, alternativi o complementari alla
politica dei prezzi: dalle quote di produzione al prelievo di
corresponsabilità, da un più efficace regime di limitazione della
garanzia ad una riduzione del ruolo dell'intervento, dalla creazione
di un «marketing board» nel settore cereali, che eserciti un ruolo di
promozione nel campo delle esportazioni ed una funzione di
coordinamento nella gestione dell'offerta all'interno della Comuni-

141
tà, alla messa fuori coltura di una parte della superficie cerealicola,
opportunamente remunerata.

1.3. Le consultazioni sul Libro verde

A seguito dell'adozione del Libro verde, nel luglio I 985, la


Commissione, più particolarmente il responsabile degli affari agri-
coli in seno all'esecutivo comunitario Franz Andriessen ha avviato
una serie di intense consultazioni con le altre istituzioni comunita-
rie da una parte, e con le diverse organizzazioni, agricole e non
agricole, fra le più rappresentative a livello nazionale o a livello
europeo, dall'altra. Le consultazioni si sono svolte sia nelle sedi
istituzionali che abitualmente concorrono al processo decisionale
comunitario (Consiglio, Parlamento, Comitato economico sociale,
Comitati consultivi, ecc.), sia in incontri bilaterali con i responsabili
della politica agricola a livello nazionale e con i vertici delle
organizzazioni professionali nei diversi stati membri o con i loro
organismi rappresentativi a livello europeo, sia, infine, per iscritto,
invitando tutte le parti interessate all'avvenire dell'agricoltura
europea a prendere posizione sull'analisi dei problemi fatta dalla
Commissione e sulle diverse possibilità ventilate nel Libro verde.
Benché le consultazioni siano abbastanza frequenti nella prassi
comunitaria ed alcune di esse costituiscano anzi un passaggio
obbligato sanzionato perfino dal trattato, vale la pena di rilevare che
raramente nella vita della Comunità esse sono state così ampie ed
intense quali quelle sul Libro verde della Commissione relativo al
futuro dell'agricoltura europea.
Questa, del resto, come abbiamo già visto, costituiva una delle
ragioni d'essere dell'iniziativa della Commissione: consentire a tutti
gli interessati di esprimere il proprio punto di vista, di pronunciarsi
sulle diverse opzioni formulate nel Libro verde, di contribuire, così,
all'elaborazione degli orientamenti futuri della Pac prima che questi
venissero definiti dalla Commissione. Sotto questo profilo e indi-
pendentemente dai frutti concreti che il Libro verde ha potuto dare
finora, riteniamo di poter affermare che il Libro verde e le
consultazioni che ne sono seguite costituiscono, senza dubbio, un
esercizio salutare per tutti coloro che vi hanno preso parte, ivi
compresa e forse in primo luogo la stessa Commissione. È vero che
a posteriori ci si può chiedere fino a che punto sia stato possibile

142
raggiungere l'obiettivo originale di questa iniziativa, cioè quello di
ridare fiducia ad un mondo agricolo perplesso sul proprio avvenire,
visto che, come vedremo meglio nel proseguo di questo capitolo,
ben poche delle prospettive positive, che sembrava potessero aprirsi
per l'agricoltura europea al momento in cui il Libro verde era stato
varato, si sono finora tradotte in decisioni politiche.
Tuttavia, il fatto stesso di aver esaminato e discusso apertamente
assieme ai più diretti interessati la praticabilità delle diverse
opzioni, aver potuto constatare un'ampia convergenza di veduta
nell'analisi della Commissione, aver preso atto da più parti della
gravità della situazione e delJa necessità di un'azione decisa, capace
di rimettere su basi economiche più sane l'agricoltura europea, aver,
infine, constatato che il mondo agricolo rifiuta in generale l'emargi-
nazione ed aspira invece ad un'integrazione sempre maggiore col
resto dell'economia, costituiscono dei risultati indubbiamente posi-
tivi di questa iniziativa. Basterebbe, del resto, considerare la
funzione pedagogica per la stessa Commissione esercitata dalla
riflessione sul Libro verde, prima, e sull'elaborazione degli orienta-
menti politici che ne sono scaturiti, dopo, per considerare, tutto
sommato, abbastanza positivo il bilancio dell'intera operazione.
Detto questo, ciò non significa che il Libro verde abbia suscitato
un coro di consensi fra coloro a cui esso era destinato, primi fra tutti
gli stessi agricoltori. Tra le reazioni più favorevoli mette conto
segnalare quella delle organizzazioni dei consumatori, abitualmente
assai critiche nei confronti della Pac. In un parere adottato il 18
settembre 1985 il Comitato consultivo dei consumatori europei non
soltanto accoglie favorevolmente il Libro verde, ma lo definisce
anche come il documento più positivo che la Commissione abbia
adottato finora, salutando peraltro la novità costituita dal fatto che
la Commissione si facesse finalmente eco delle critiche e dei
suggerimenti del movimento dei consumatori, in particolare una
politica dei prezzi restrittiva accompagnata da aiuti diretti al
reddito, temporanei e selettivi.
Ampi consensi alle proposte avanzate dalia Commissione sono
anche venuti dalla Confederazione delle industrie agro-alimentari
della CE, benché essa rimproveri al Libro verde di non affrontare
con sufficiente attenzione il problema della qualità dei prodotti
agricoli, cioè dei requisiti che i prodotti agricoli debbono avere per
poter essere utilizzati dall'industria di trasformazione. Anche il
Comitato europeo di collegamento del commercio agro-alimentare

143
ha salutato con favore l'orientamento della Commissione di ridare
al mercato un ruolo più grande che nel passato nel contesto della
Pac. Una posizione abbastanza equilibrata e molto vicina a quella
della Commissione ha assunto il Comitato economico e sociale in
un parere adottato a larga maggioranza il 31 ottobre.
Il cuore del problema al quale la Pac è attualmente confrontata - si legge
in tale parere - sta nel fallimento del tentativo di utilizzare i prezzi come
strumento per equilibrare l'offerta e la domanda e, allo stesso tempo, per
assicurare, sul piano sociale, un equo tenore di vita all'insieme della
comunità agricola... Bisogna ora fare una scelta. afferma il Comitato
economico e sociale - Se ci si serve dei prezzi come strumento sociale,
bisogna allora trovare altri mezzi per equilibrare l'offerta e la domanda. Se
invece ci si serve dei prezzi come strumento economico, bisogna trovare
altri mezzi per assicurare alle persone che lavorano nell'agricoltura un
reddito che la società accetta in quanto reddito equo.
Fra questi mezzi, i più efficaci sarebbero il pagamento diretto di
integrazioni di reddito ai coltivatori più bisognosi e il lavoro «part
time» al di fuori dell'agricoltura.
I trasferimenti diretti dì reddito precisa però ìl Comitato economico e
sociale - non sostituiscono una politica dei prezzi e dei mercati che procuri
ad una impresa media dei redditi sufficienti.
Tuttavia, come misura complementare, essi possono compensare
l'insufficienza dei redditi agricoli e retribuire le prestazioni effettua-
te dall'agricoltura, in particolare nelle regioni meno favorite, per la
salvaguardia del paesaggio e per la conservazione dello spazio
rurale. Il Comitato esprime peraltro seri dubbi sui regimi di aiuto
diretto al reddito proposti, a titolo indicativo, dalla Commissione,
in quanto essi non sarebbero sufficientemente selettivi a favore dei
più bisognosi, sarebbero economicamente onerosi e del tutto
staccati dalle misure di sostegno messe in atto in favore degli altri
settori della società.
Sempre nel contesto delle consultazioni sul Libro verde della
Commissione, una vicenda abbastanza singolare, ma non del tutto
isolata, è quella che ha visto come protagonista il parlamento
europeo. Chiamato infatti ad esprimere il proprio parere sul futuro
dell'agricoltura europea e della politica agricola comune, sulla base
di una relazione del presidente della Commissione agricoltura,
l'olandese Teuss Tolman (del Partito popolare europeo), il parla-
mento non soltanto ha perso la possibilità di pronunciarsi prima che
la Commissione tirasse nel dicembre 1985 le conclusioni delle

144
consultazioni sul Libro verde, ma ha anche fatto prova di volubilità
e incoerenza adottando, nena sessione plenaria del gennaio l 986,
dapprima una marea di emendamenti alla proposta di risoluzione
adottata dalla Commissione agricoltura e respingendola poi nel suo
insieme ad ampia maggioranza. Le difficoltà erano iniziate fin da
quando, nel mese di settembre, la Commissione agricoltura era stata
incaricata di esaminare questo dossier. In questa occasione, infatti,
non soltanto erano già cominciate ad apparire le abituali divergenze
di vedute tra i diversi gruppi politici sulla riforma della Pac, ma si
era potuto constatare che il Libro verde della Commissione e la
necessità di pronunciarsi chiaramente su delle opzioni politiche ben
precise aveva ulteriormente accentuato le fratture. Non pochi
membri della Commissione si erano peraltro mostrati assai reticenti
a farsi coinvolgere in questo esercizio, ritenendo che appartenesse
alla Commissione esecutiva il ruolo di presentare delle proposte e al
parlamento quello di giudicarle e eventualmente rigettarle. Ciò
spiega perché il relatore abbia dovuto sensibilmente modificare, a
ben due riprese, il suo progetto di relazione prima di giungere, a fine
novembre, al voto in seno alla Commissione dell'agricoltura. Ma
spiega anche perché è soltanto con uno scarto di appena due voti
( 18 a favore , 16 contrari) che la risoluzione Tolman è stata adottata
in tale occasione malgrado i 350 emendamenti presentati e malgra-
do il fatto che la risoluzione sia passata dai 35 paragrafi iniziali agli
88 alla fine della votazione, permettendo così di raccogliere molte
delle idee e delle rivendicazioni, peraltro non sempre del tutto
coerenti, espresse dai diversi membri.
Benché alquanto «conservatrice» su molte delle opzioni fonda-
mentali (ad esempio, per la Commissione agricoltura, la politica dei
prezzi deve restare lo strumento principale per assicurare un reddito
equo alla popolazione agricola), la risoluzione adottata contiene
qualche novità di rilievo rispetto alle posizioni tradizionali della
Commissione agricoltura, quali, ad esempio: la necessità di una
politica più realistica (ma non eccessivamente drastica) dei prezzi
agricoli, l'impossibilità di mantenere una politica di intervento e di
stoccaggio illimitati, la necessità di far partecipare i produttori di
cercali ai costi di questo. settore mediante una tassa di corresponsa-
bilità, ecc. Per la Commissione agricoltura, tuttavia, le conseguenze
negative di queste misure per i piccoli produttori devono essere
compensate mediante aiuti diretti al reddito. La risoluzione adotta-
ta afferma inoltre l'esigenza per la Comunità di dotarsi di una

145
politica commerciale agricola e alimentare «all'altezza delle sue
legittime ambizioni», la necessità di mettere in atto nuovi strumenti
di sostegno delle esportazioni, l'inderogabilità di una migliore
preferenza comunitaria.
Spero - aveva detto il relatore al termine della votazione - che il gran
numero di emendamenti presentati su questa relazione sia soltanto un
sintomo dell'interesse per la riforma della Pac e non costituisca invece il
segno premonitore di un'impasse nel condurre in porto questa riforma.
Il dibattito che ha avuto luogo nella sessione plenaria di gennaio
doveva però riservargli altre amare sorprese. Non soltanto, infatti,
una nuova valanga di emendamenti si era riversata sulla risoluzione
adottata dalla Commissione agricoltura, ma molti di essi, non tutti
in linea con gli indirizzi che questa aveva espresso in novembre,
erano stati anche adottati. Per di più, gran parte degli emendamenti
accolti dall'assemblea, presentati soprattutto dal socialista olandese
Eisso Woltjer e dal comunista italiano Natalino Gatti, nonché dai
conservatori britannici e dalla Commissione per i bilanci, avevano
di fatto considerevolmente modificato il contenuto della relazione,
tanto che lo stesso relatore e tutto il suo gruppo politico avevano
alla fine votato contro, seguiti, in questo, dai gollisti, del gruppo
liberale, dai socialisti francesi, greci e belgi e dai comunisti francesi.
A favore avevano invece votato i socialisti tedeschi, olandesi,
spagnoli, portoghesi, i comunisti italiani e alcuni membri dissidenti
del gruppo liberale. Si sono invece astenuti quasi tutti i parlamenta-
ri britannici, tanto conservatori che laburisti. La relazione Tolman,
ampiamente emendata, è stata così respinta nel suo insieme con 168
voti contrari, 114 favorevoli e 56 astensioni.
Gli emendamenti approvati singolarmente nel corso della vota-
zione chiedevano, in particolare, l'allineamento dei prezzi comuni-
tari sui prezzi mondiali, sensibilmente più bassi in molti settori, un
rapporto 75%-2 5% tra le spese del f'eoga-garanzia e quelle del
Fcoga- orientamento, un accordo tra i principali paesi produttori
volto a limitare le sovvenzioni alle esportazioni, la sottrazione
all'agricoltura, ed in particolare alla cerealicoltura, di una parte dei
suoli coltivati. Ne è risultata, insomma, a detta del comunista
francese Benjamin Pranchèrc, una risoluzione che proponeva una
politica dei prezzi inaccettabile, metteva in causa le restituzioni
all'esportazione e sacrificava gli agricoltori.
Benché inconcludente in termini di procedura di consultazione
del Parlamento europeo sugli orientamenti da dare alla Pac negli

146
anni a venire, e benché sintomatica delle difficoltà ad esprimere una
posizione maggioritaria su un tema così nevralgico, questa vicenda
costituisce tuttavia un primo segnale della progressiva perdita di
influenza in seno all'assemblea dei gruppi più arrocati nella difesa
dello «statu quo» in materia di politica agricola comune che, come
vedremo, sarebbe stata ulteriormente sanzionata, appena due mesi
dopo, anche nel dibattito sui prezzi agricoli e misure connesse per la
campagna 1986/87.
Il Consiglio dei ministri della CE ha tenuto, in settembre, una
riunione informale dei ministri dell'agricoltura dei Dieci consacrata
ad un primo giro di tavolo sulle opzioni enunciate dalla Commissio-
ne nel Libro verde, allo scopo di dare a quest'ultima un orientamen-
to utile per le conclusioni da tirare da questa fase di consultazione.
Mentre l'apalisi formulata dalla Commissione sulla crisi della Pac è
stata accolta favorevolmente , pareri abbastanza divergenti sono
stati espressi in merito alle possibili soluzioni. Così, ad esempio,
mentre per la delegazione britannica la sola soluzione ai problemi
della Pac è quella di riequilibrare l'offerta e la domanda mediante
una pressione sui prezzi, cioè con un ritorno alle leggi del mercato,
per la delegazione tedesca delle riduzioni generalizzate dei prezzi,
anche se compensate con aiuti diretti al reddito, sarebbero inaccet-
tabili. Essa si è dichiarata tuttavia favorevole ad aiuti specifici in
favore dell'abbandono delle attività agricole o della messa fuori
coltura di una parte delle superfici agricole. L'importanza della
politica dei prezzi per il mantenimento dei redditi agricoli e la
salvaguardia delle imprese familiari , oltre che dalla delegazione
tedesca, è stata affermata anche dalla delegazione belga e da quella
lussemburghese .
Per il ministro italiano all'Agricoltura Filippo Maria Pandolfi , la
priorità va invece data alla qualità della produzione alla domanda
industriale dei prodotti agricoli e alla diversificazione della produ-
zione, in particolare incoraggiando lo sviluppo della produzione di
semi oleosi e di prodotti proteici (quali ad esempio la soja). Lo
strumento dei prezzi per il riequilibrio dei mercati può essere
utilizzato, ma senza che ciò significhi l'abbandono totale delle
garanzie accordate finora e consentendo tuttavia delle compensazio-
ni, mediante aiuti diretti al reddito a carico del bilancio comunita-
rio.
Tre delegazioni (quella francese, quella olandese e quella danese)
hanno assunto una posizione non troppo dissimile da quella della

147
Commissione, anche se con accenti diversi. In particolare, il
ministro francese all'Agricoltura Henri Nallet, ha affermato la
necessità di proseguire la riforma della Pac, senza tuttavia mettere
in causa il ruolo specifico dell'agricoltura nell'economia. Si è
dichiarato, perciò, favorevole ad una politica prudente dei prezzi
agricoli ma contrario all'ipotesi di aiuti generalizzati al reddito che
farebbero degli agricoltori degli assistiti sociali. La delegazione
francese ha, inoltre, sostenuto le idee della Commissione sulla
diversificazione della produzione, sulle produzioni alternative e
sulla ricerca di nuovi sbocchi per le eccedenze agricole, da
finanziare eventualmente anche mediante la percezione di tasse di
corresponsabilità sui prodotti agricoli, in particolare nel settore dei
cereali. Ha, inoltre, insistito sulla salvaguardia della «vocazione
esportatrice» della CE e sulla necessità che questa conservi la sua
quota tradizionale dei mercati agricoli mondiali.
Questa panoramica sulle reazioni al Libro verde sarebbe,
tuttavia, assai incompleta se si trascurasse la presa di posizione,
peraltro piuttosto severa, delle due organizzazioni più rappresentati-
ve degli interessi degli agricoltori a livello europeo, il Comitato delle
organizzazioni professionali agricole (Copa) e il Comitato generale
della cooperazione agricola (Cogeca). In un documento congiunto
adottato il 3 ottobre, queste organizzazioni, pur riconoscendo la
necessità di definire una nuova strategia per la Pac e pur trovando
interessante l'analisi e certe idee avanzate dalla Commissione,
rigettano tuttavia l'approccio generale del Libro verde, che esse
riassumono in «una pressione continua e rinforzata sui prezzi,
collegata ad aiuti diretti al reddito». Per queste organizzazioni, in
effetti, un tale approccio
non offre alcuna soluzione realista ai problemi ai quali si trova confrontata
attualmente l'agricoltura della Comunità ampliata, non presenta alcuna
prospettiva d'avvenire per gli agricoltori, in particolare per i giovani
agricoltori ed avrebbe perciò delle conseguenze molto gravi per la socie-
tà.
Se questo approccio fosse messo in atto, affermano ancora il
Copa e il Cogeca, esso condurrebbe, praticamente in tutti i settori di
produzione, a una spirale al ribasso dei prezzi o delle quote di
produzione esistenti, prima che i mercati ritrovino un loro equili-
brio. Ne risulterebbe, perciò, una drastica riduzione dei già modesti
livelli di reddito agricolo che minaccerebbe a lungo termine la
sopravvivenza di un gran numero di aziende agricole. Un numero

148
crescente di agricoltori sarebbe perciò costretto a richiedere degli
aiuti diretti al reddito, il cui costo per la collettività, oltre che
insopportabile per il bilancio comunitario, sarebbe largamente
superiore alle economie che potrebbero essere realizzate nel quadro
della politica dei prezzi e dei mercati. Il Copa ed il Cogeca
denunciano infine le ripercussioni negative che, ai loro occhi,
avrebbe l'approccio della Commissione sulla disoccupazione, l'eso-
do rurale e gli equilibri sociali e regionali. Il documento non si
limita, però, a criticare l'approccio generale della Commissione ma
presenta anche delle proposte alternative capaci, secondo queste
organizzazioni agricole e cooperative, di realizzare tanto gli obietti-
vi economici e sociali della Pac che quello di un migliore equilibrio
dei mercati agricoli. Esse si possono così riassumere: a) sviluppare la
costruzione europea e le politiche comuni; b) promuovere lo
sviluppo regionale e un migliore equilibrio tra i diversi produttori e
regioni della Comunità; c) mantenere la politica dei prezzi e dei
mercati, associata alla politica strutturale, come elemento essenziale
per la formazione del reddito in agricoltura; d) mettere in atto
misure specifiche a favore di alcune categorie di agricoltori (ad
esempio aiuti permanenti agli agricoltori delle regioni in difficoltà,
aiuti all'inserimento dei giovani in agricoltura e a certe categorie
meno favorite d'agricoltori); e) valorizzare il potenziale agricolo
della Comunità, tanto all'interno, con la promozione di produzioni
alternative e lo sviluppo di nuove utilizzazioni dei prodotti agricoli,
che sui mercati mondiali, istaurando una vera politica commerciale
comunitaria all'importazione e all'esportazone; f) proteggere e
conservare l'ambiente; g) ristabilire un migliore equilibrio dei
mercati, oltre che con le misure precedenti, eventualmente, per
quanto riguarda il settore dei cereali, anche mediante l'applicazione
di un prelievo di corresponsabilità a carico dei produttori: una
opzione quest'ultima adottata tuttavia con le riserve esplicite della
delegazione italiana e di quella greca.
La delegazione italiana, in particolare ha così motivato la sua
opposizione all'ipotesi di un prelievo di corresponsabilità da
applicare nel settore cerealicolo: esso non risolverebbe il problema
delle eccedenze; al contrario lo aggraverebbe creando nuovi conflitti
commerciali sui mercati mondiali; un prelievo di questo genere
comporterebbe, di fatto, un trasferimento di risorse dalle regioni più
sfavorite e deficitarie verso le regioni più avvantaggiate e eccedenta-
rie della Comunità; non risolverebbe i problemi del settore cereali-

149
colo, che sono legati all'assenza di una politica di qualità e a un
livello di prezzo relativamente più favorevole che in altri settori di
produzione; si tratta di un sistema iniquo per un settore dove
l'offerta è determinata essenzialmente dai grandi produttori.

1.4. La posizione delle organizzazioni agricole italiane sul Libro ver-


de

L'opposizione alla tassa di corresponsabilità delle tre principali


organizzazioni professionali agricole italiane (la Coldiretti, la Con-
fagricoltura e la Confcoltivatori), che per l'occasione avevano
definito una posizione comune sul Libro verde, è stata ribadita
anche in occasione di un incontro col responsabile delle questioni
agricole in seno alla Commissione, Franz Andriessen, che ha avuto
luogo a Roma il 14 ottobre 1985 nel quadro delle consultazioni delle
organizzazioni agricole nazionali. Su un piano più generale esse
hanno comunque condiviso l'analisi della situazione effettuata dalla
Commissione nel Libro verde ed hanno giudicato molto utile tale
iniziativa, in quanto essa ha contribuito a fare prendere coscienza
della gravità di taluni problemi e ha suscitato un ampio dibattito
sulla definizione di una strategia globale per gli anni a venire. I
rappresentanti delle tre organizzazioni hanno peraltro sottolineato
la necessità di tener conto dell'eterogeneità dell'agricoltura europea
e di differenziare le soluzioni in funzione delle situazioni regionali e
della diversità delle strutture di produzione. In particolare hanno
rivendicato la necessità di determinare le soluzioni ai problemi della
Pac (sia che si tratti della riduzione dei prezzi, della corresponsabili-
tà dei produttori oppure delle quote di produzione) tenuto conto
della debolezza strutturale di gran parte dell'agricoltura italiana e
della specificità delle produzioni mediterranee. Esse hanno, perciò,
criticato l'allineamento dei prezzi comunitari su quelli mondiali, sia
perché questi non costituiscono un punto di riferimento accettabile,
sia perché tale allineamento provocherebbe la bancarotta di un gran
numero di aziende e soprattutto di quelle che si sono più indebitate
negli ultimi anni per adattarsi. Analogamente, le tre organizzazioni
professionali presenti all'incontro si sono dichiarate contrarie tanto
all'introduzione delle quote di produzione, che favorirebbero i
produttori eccedentari, che ad aiuti generalizzati al reddito di tipo
assistenziale, ma favorevoli invece ad aiuti selettivi a finalità

150
specifiche (per esempio, allorché essi hanno come scopo di remune-
rare la funzione di salvaguardia dell'ambiente esercitata dall'agricol-
tura). Infine le organizzazioni degli agricoltori italiani hanno
rivendicato: una severa politica di qualità dei prodotti agricoli ,
l'eliminazione di taluni regimi d'importazione, contrari al principio
della preferenza comunitaria e una politica strutturale rinforzata
che tenga conto delle specificità e delle autonomie regionali.
Vale la pena, peraltro, di rilevare che la pubblicaziorte del Libro
verde e l'adozione, il 21 marzo 1985, di una direttiva comunitaria
che impone agli stati membri l'impiego della benzina senza piombo
a decorrere dall'ottobre 1989, ha suscitato in Italia, ma anche in
aJtri stati membri della Comunità, una vivace polemica sull'oppor-
tunità di utilizzare i cereali comunitari in eccedenza per la
produzione di bioetanolo, quale sostituto del piombo nella benzina.
La polemica trae soprattutto origine dal fatto che, agli attuali prezzi
dei cereali comunitari, l'industria di trasformazione avrebbe biso-
gno di vistosi sussidi a carico del bilancio pubblico e in particolare
del Feoga, per rendere la produzione di bioetanolo concorrenziale
con quella del metanolo (altro possibile additivo suscettibile an-
ch'esso di rimpiazzare il piombo nella benzina), il quale è, invece, di
origine petrolifera e sarebbe disponibile in grandi quantità e ad un
prezzo relativamente modesto. Si è così assistito (e si assiste
ancora), in Italia, ad un aspro confronto tra i fautori del bioetanolo
da una parte, come ad esempio il gruppo Ferruzzi, uno dei pochi in
Europa a disporre del «know how» necessario per imbarcarsi in
questa impresa e i suoi più strenui oppositori dall'altra, come il
gruppo Eni, preoccupati di difendere i vantaggi che l'industria
petrolifera trarrebbe dalla produzione di metanolo su larga scala.
Questa contesa tra colossi dell'industria agro-alimentare e petrolife-
ra ha suscitato peraltro la formazione di schieramenti contrapposti
fra le forze politiche e anche all'interno dello stesso governo: il
ministro dell'Agricoltura Pandolfi ha infatti fin dall'inizio caldeggia-
to l'opzione bioetanolo, mentre il suo collega dell'Industria Altissi-
mo privilegiava la soluzione metanolo. Di fronte a questa radicaliz-
zazione del dibattito intorno ai due poli bioetanolo-metanolo, le
organizzazioni professionali agricole hanno assunto posizioni non
sempre altrettanto nette e in parte divergenti. Così, ad esempio, la
Confagricoltura, pur esprimendo in un primo tempo perplessità
sull' opportunità di destinare una parte cospicua della spesa agricola
della CE a costruire costosissimi impianti industriali, si è però in un

151
secondo tempo dichiarata, per bocca del suo presidente Stefano
Wallner, favorevole alla produzione di bioetanolo a condizione,
però, che si mobilitino, come materia prima, non soltanto i cereali
ma anche tutte le altre produzioni agricole utilizzabili allo stesso
scopo, ad esempio la barbabietola da zucchero. Benché una
decisione ufficiale della sua organizzazione al riguardo non sia stata
ancora presa, in attesa che siano portati a termine gli approfondi-
menti necessari, il presidente della Coldiretti Arcangelo Lobianco, si
è invece espresso a più riprese, sia pure a titolo personale, contro il
progetto bioetanolo, giudicato troppo costoso per il bilancio pubbli-
co e fondato sul presupposto di un sussidio permanente.
Non vorrei - ha dichiarato a questo proposito Lobianco in un'intervista
a La Repubblica del 26 novembre 1985 - che dopo tutte le accuse di
parassitismo rivolte negli anni scorsi all'agricoltura adesso si contrabban-
dasse un'operazione a favore dell'industria per un'operazione studiata per
assistere l'agricoltura.
All'Italia e ai paesi mediterranei - ha affermato nel dicembre 1985
Lobianco in una audizione alle Commissioni agricoltura e industria della
Camera - interessa una politica di valorizzazione della produzione
cerealicola di qualità che sia più efficace di quanto è stata finora. C'è invece
il rischio che una frettolosa impostazione dell'impiego dei cereali per fare
l'etanolo sia un ulteriore sostegno, durevole, ad una produzione non
necessaria, costosa per le casse comunitarie, inutile o dannosa sul mercato
mondiale e a beneficio delle aziende agricole più ricche d'Europa.
Bastano queste considerazioni per rendersi conto che dietro la
facciata, apparentemente lineare, del problema «bioetanolo si -
bioetanolo no» si celano non soltanto potenti interessi economici e
finanziari, ma anche questioni fondamentali di politica agricola e di
politica industriale, che attendono però ancora una risposta non
solo a livello nazionale ma anche a livello europeo.

2. Gli orientamenti della Commissione sulla riforma della Pac

2.1. I memorandum esplorativi

A seguito delle consultazioni sul Libro verde che si sono


susseguite a ritmo serrato durante tutto l'autunno 1985, e sulla base
tanto dei pareri espressi nelle diverse sedi che dei lavori di
approfondimento effettuati contemporaneamente all'interno dei
suoi servizi, la Commissione ha presentato al Consiglio e al

152
parlamento europeo tre memorandum, intesi a definire gli orienta-
menti su cui la riforma della politica agricola comune deve fondarsi
per assicurare, come dice il titolo di uno di questi, «un futuro per
l'agricoltura europea>>.
Due dei memorandum hanno una portata più specifica e settoria-
le, in quanto riguardano, rispettivamente, il primo, la riforma
dell'organizzazione comune dei mercati dei cereali 9, il secondo, la
riforma dell'organizzazione comune di mercato nel settore deJla
carne bovina 10 • Il terzo memorandum 11 adottato a metà dicembre,
ha, invece, una portata più generale in quanto si propone di
precisare il quadro globale e gli obiettivi da raggiungere, per
garantire la necessaria coercnz.a tra le varie azioni e per consentire
ai destinatari di percepirne il nesso e la portata. È dunque
essenzialmente in questo documento che la Commissione tira le fila
delle consultazioni sul Libro verde (che era come si ricorderà non
un documento propositivo ma un documento aperto a diverse
opzioni) e definisce un approccio globale alla riforma della Pac,
anche se già nel memorandum sulla riforma del settore dei cereali,
presentato un mese prima, essa aveva enunciato le linee direttrici da
perseguire in uno dei settori-chiave dell'agricoltura europea. Va
peraltro aggiunto che, parallelamente all'adozione di questo docu-
mento, la Commissione ha adottato anche un memorandum sugli
orientamenti dell'azione comunitaria nel settore forestale, le cui
proposte ben s'inquadrano nella problematica suscitata dalla pubbli-
cazione del Libro verde, anche se esse hanno una loro autonomia
rispetto a quest'ultimo.
11 ricorso in questo contesto allo strumento del <<memorandum»,
piuttosto che a quello delle proposte formali, da parte della
Commissione era funzìonale vuoi alJ'obiettivo di fornire un quadro
di riferimento globale alle singole proposte che la Commissione
avrebbe in seguito presentato, vuoi a quello di suscitare un dibattito
preliminare nelle diverse sedi istituzionali in modo da poter meglio
calibrare le successive proposte. In realtà, se si esclude il memoran-
dum sui cereali e in parte quello sulla carne bovina, sui quali si è

9. Com (85) 700 def., del 21 aov. 1985.


I O. Com (8 5) 834 def., <lel 18 dic. 1985.
I I. Un futuro per tagricolmra europea. Orientamenti della Commùsione in base
alle consuhazioni efjètt11ate nel quadro dd Libro verde, com (85) no def., del 18 dic.
1985.

153
registrato un primo aecenno di dibattito in seno al Consiglio, la
Commissione si è vista costretta a presentare, nei più brevi termini,
la maggior parte delle proposte concrete delineate in tali memoran-
dum. Questo è essenzialmente avvenuto nel quadro delle proposte
«prezzi e misure connesse» per la campagna 1986/87, adottate dalla
Commissione a fine gennaio 1986.
Tuttavia, anche per ragioni tecniche, la presentazione delle
misure socio-strutturali che scaturiscono dal Libro verde non è
potuta avvenire che a fine aprile l 986 12 •

2.2. Orientamenti generali per l'adattamento della Pac

Come abbiamo già detto, la Commissione ha definito in un


memorandum a carattere generale 13, la strategia a breve e a medio
termine per assicurare un avvenire all'agricoltura europea; una
strategia capace di risanare la situazione dei mercati agricoli, ma
evitando al tempo stesso di creare problemi di reddito socialmente e
politicamente inaccettabili per gli agricoltori strutturalmente più de-
boli.
A questo scopo, la Commissione ritiene anzitutto necessario
fissare con estrema chiarezza gli obiettivi da perseguire. Alla luce
delle analisi effettuate e dei pareri espressi durante le consultazioni
sul Libro verde, la Commissione indica le seguenti priorità: ridurre
gradualmente la produzione nei settori che registrano eccedenze e
contenere l'onere che ne deriva per il contribuente; promuovere la
diversificazione e il miglioramento qualitativo della produzione, in
funzione dei mercati interni ed esterni e delle esigenze degli
utilizzatori; prendere in considerazione in modo più efficace e
sistematico il problema di reddito delle piccole aziende a gestione
familiare; sostenere l'attività agricola nelle zone in cui essa è
indispensabile per il riassetto territoriale, il mantenimento degli
equilibri sociali e la salvaguardia dell'ambiente e del paesaggio;
sensibilizzare maggiormente gli agricoltori ai problemi dell'ambien-
te; contribuire allo sviluppo, sul territorio comunitario, delle
industrie di trasformazione dei prodotti agricoli e far così partecipa-
re l'agricoltura ai grandi mutamenti tecnologici del nostro tempo.

12. Com (86) 750 def., cit.


13. Doc. Com (86) 199 def., del 21 apr. 1986.

154
Per raggiungere questi obiettivi la Commissione ritiene indispen-
sabile che i vari strumenti di cui dispone la Pac, ed in particolare la
politica dei prezzi e dei mercati e la politica delle strutture agrarie,
vengano usati in modo coerente e convergente e non, come talvolta
è accaduto in passato, in maniera che essi si neutralizzino a vicen-
da.
Nella misura in cui lo squilibrio tra l'offerta e la domanda è alla
base degli attuali problemi della Pac, è soprattutto alla politica dei
prezzi e dei mercati che incombe il ruolo di risanare la situazione. A
questo scopo, tenuto conto della situazione attuale dei mercati e
delle prospettive poco incoraggianti per i prossimi anni, la Commis-
sione ritiene che una politica dei prezzi restrittiva sia indispensabile
negli anni a venire. Essa non dovrebbe, tuttavia, tradursi in una
drastica riduzione dei prezzi istituzionali. Da una parte, infatti, ciò
non eserciterebbe i suoi effetti sul livello di produzione che
gradualmente; dall'altra essa avrebbe ripercussioni molto diseguali
sui redditi, data la grande eterogeneità delle strutture all'interno
della Comunità. È vero che il Libro verde aveva prospettato la
possibilità della concessione dì aiuti diretti, come ad esempio aiuti
intesi ad integrare i redditi delle famiglie agricole oppure aiuti a
carattere più strutturale.
Un ricorso generalizzato ad aiuti di questo tipo afferma la Commissio-
ne sarebbe però più difficile, tenuto conto delle svariatissime realtà
economiche e strutturali che caratterizzano attualmente la Comunità, per
motivi tanto amministrativi quanto finanziari aiuti diretti più specifici
potranno invece essere utili, conclude la Commissione, come strumento
complementare nella gestione dei mercati o per attenuare alcuni problemi
strutturali.
L'efficacia di una politica restrittiva dei prezzi agricoli può
peraltro essere rinforzata mediante la corresponsabilità dei produt-
tori, intesa a mettere a carico di questi ultimi, parzialmente o
totalmente, i costi di smaltimento delle eccedenze produttive. A
differenza, peraltro, della politica dei prezzi, che non può che essere
necessariamente uniforme per tutti i produttori, la corresponsabili-
tà, soprattuto quanto si traduce nell'applicazione di un prelievo
(come nel caso dei cereali), permette di modulare il contributo
richiesto ai produttori, per esempio in funzione della dimensione
delle aziende, della localizzazione, ecc. Il terzo strumento su cui la
Commissione si propone dì far leva per il conseguimento di un
miglior equilibrio dei mercati agricoli è il ridimensionamento del

155
ruolo dell'intervento, come si vedrà, per le proposte nel settore dei
cereali e della carne bovina. Più in generale, la Commissione ritiene
che sia opportuno ridare a questo strumento la sua funzione iniziale
di «rete di sicurezza» in caso di crollo dei mercati, facendole
perdere l'attuale funzione di sbocco artificiale e apparente per
quantitativi crescenti della produzione agricola.
Infine, la commissione afferma la ncessità di una politica
agricola che privilegi la qualità rispetto alla quantità, che prenda in
conto in maniera più sistematica le preoccupazioni dei consumatori,
che comporti delle misure restrittive intese a limitare gli effetti
negativi per l'ambiente di un'agricoltura eccessivamente intensiva.
La Commissione ritiene peraltro essenziale completare la strategia
d'insieme intesa a ridurre gli squilibri dei mercati agricoli mediante
misure specifiche socio-strutturali articolate lungo quattro direttrici
principali: a) sostenere lo sforzo di adeguamento degli imprenditori
agricoli alle nuove realtà del mercato, soprattutto intensificando il
suo impegno per quanto riguarda la promozione e il coordinamento
della ricerca e della sperimentazione in agricoltura; b) favorire lo
smaltimento della produzione, sostenendo le strutture che consento-
no una migliore organizzazione della commercializzazione e uno
sviluppo della trasformazione; c) contribuire alla diminuzione del
potenziale di produzione e favorire l'insediamento dei giovani
agricoltori, incoraggiando la riconversione di una parte delle terre
ad utilizzazioni non agricole, alla forestazione o a forme di
agricoltura poco intensive. A questo scopo la Commissione annun-
cia la sua intenzione di presentare, quanto prima, una misura che
consiste nell'offrire agli agricoltori di età compresa tra 55 e 65 anni
un'indennità annua di prepensionamento completata da un premio
«una tantum» per ettaro a condizione che cessino l'attività e che i
terreni delle loro aziende vengano lasciati incolti o a riposo per un
certo numero di anni o siano utilizzati a fini non agricoli (ad
esempio per imboscamento, attività sportive, tempo libero, ecc.).
L'indennità sarebbe concessa anche nel caso in cui gli agricoltori
anziani cedano la responsabilità dell'azienda a un giovane agricolto-
re, purché il successore si impegni a procedere alla riconversione
dell'azienda; d) contribuire al mantenimento dell'attività agricola,
rinforzando le misure volte a salvaguardare il ruolo insostituibile
dell'attività agricola in talune zone della Comunità, nonché di
assicurare un'equa remunerazione dei servizi resi alla collettività da
tale attività per quanto riguarda la sistemazione del territorio e la
salvaguardia dell'equilibrio sociale e ambientale.

156
2.3. La riforma della politica cerealicola

L'urgenza di una riforma dell'organizzazione di mercato dei


cereali era già stata affermata nel Libro verde e, ancor prima, nelle
proposte relative ai prezzi agricoli per la campagna 1985/86. I dati
del problema non lasciavano in proposito alcun margine, né
all'inattività né a ritardi nell'applicazione di una vigorosa· terapia
atta a limitare l'evoluzione della produzione cerealicola e a ridurre il
costo per il bilancio del Feoga. Malgrado l'introduzione, a partire
dal 1982/8 3, di un «limite di garanzia» nel settore cerealicolo, la
produzione ha continuato infatti ad aumentare ad un ritmo di gran
lunga superiore a quello dei consumi umani, industriali e animali
nel loro insieme. Anche per effetto di un raccolto record nel 1984, si
valutava che alla fine della campagna 1985/86 le giacenze di cereali
avrebbero raggiunto un livello di 25 milioni di tonnellate, pari al
doppio di quello medio delle campagne precedenti. Ancora più
inquietanti le prospettive a medio termine: l'evoluzione tendenziale
dell'offerta e della domanda lasciava infatti presagire che in cinque
anni le giacenze cumulate senza sbocchi commerciali avrebberc
superato gli 80 milioni di tonnellate, corrispondenti quasi alla metà
della produzione comunitaria e pari a più del triplo del quantitativo
che la Comunità è stata in grado di esportare sul mercato mondiale
nelle condizioni più favorevoli.
Sul piano del bilancio, l'accumularsi delle scorte, unitamente al
crollo dei prezzi mondiali, ha generato una lievitazione delle spese,
che ha superato i 2,3 miliardi di ecu nel 1985. In queste condizioni,
la Commissione ha ritenuto indispensabile agire, ed agire rapida-
mente, onde evitare uno sperpero di risorse comunitarie ed
impedire al tempo stesso che l'aggravarsi della situazione rendesse
ancora più difficile il risanamento del settore. Nella ricerca delle
possibili soluzioni, la Commissione ha scartato sia una drastica
riduzione dei prezzi dei cereali (che, per essere efficace, avrebbe
dovuto aggirarsi sul 20%) poiché ciò avrebbe potuto determinare
una forte contrazione dei redditi, soprattutto quelli delle aziende
strutturalmente più deboli, sia l'introduzione di quote di produzio-
ne, non solo per gli inconvenienti propri a questo strumento, ma
anche perché sarebbe stato difficile limitarle al solo settore dei cere-
ali.
La Commissione ha, invece, proposto un insieme coerente di
misure che, prese singolarmente, possono apparire inadeguate

157
all'obiettivo da perseguire, ma che, agendo cumulativamente, sono
state invece ritenute dalla Commissione capaci di influenzare
progressivamente l'andamento della produzione e di ridurre gli
oneri di bilancio. Questo insieme di misure si articola sui seguenti
quattro «volets»: 1) una politica restrittiva dei prezzi, ossia una
politica che eviti di incoraggiare la produzione con aumenti dei
prezzi di sostegno; 2) l'introduzione di un prelievo di corresponsabi-
lità a carico dei produttori di cereali, da fissare in funzione delle
spese derivanti dallo smaltimento della produzione eccedentaria.
Tale prelievo sarebbe percepito sui quantitativi di cereali commer-
cializzati, ad esclusione, dunque, dei cereali utilizzati nell'azienda
per l'alimentazione del bestiame. Per semplificare il sistema e per
non penalizzare i piccoli produttori, la Commissione proponeva,
inoltre, una franchigia sulle prime 25 tonnellate dì cereali commer-
cializzati (equivalenti in media, per la Comunità nel suo insieme,
alla produzione cerealicola di un'azienda di circa cinque ettari, che
diventavano dieci ettari in media, in Italia). Il ricavato di questo
prelievo sarebbe servito per coprire, sia pure parzialmente, le spese
del settore cerealicolo. Per quanto riguarda l'eventuale impiego dei
fondi del prelievo per finanziare nuovi sbocchi, soprattutto per la
trasformazione dei cereali in bioetanolo, dato il divario di prezzo
tra i cereali comunitari e le materie prime concorrenti, la Commis-
sione considerava la possibilità di corrispondere un aiuto alla
commercializzazione del bioetanolo, per un importo pari a quello
della restituzione all'esportazione dei cereali; 3) una politica della
qualità che orienti la produzione cerealicola comunitaria verso le
esigenze qualitative espresse dal mercato e scoraggi la produzione di
cereali di pessima qualità, che sono spesso anche quelli che
raggiungono le rese più elevate e sono quasi integralmente destinati
all'ammasso; 4) un adeguamento dei meccanisll}i di intervento, che
limiti il ruolo di questo strumento alla sua funzione originaria di
stabilizzazione dei prezzi alla produzione e di intervento congiuntu-
rale sui mercati agricoli.

2.4. La riforma dell'organizzazione di mercato delle carni bovine

Un altro importante settore dell'agricoltura europea passato, a


partire dagli inizi degli anni '80, da una situazione deficitaria ad
una situazione sempre più eccedentaria è quello della carne bovina.

158
Alla fine del 1985, malgrado una flessione della produzione rispetto
all'anno prima e malgrado l'aumento delle esportazioni sui mercati
mondiali, gli stocks invenduti presso gli organismi di intervento
raggiungevano le 750.000 tonnellate, cioè un volume superiore al
10% della produzione comunitaria. Le spese a carico del Feoga-
garanzia, sono peraltro, vertiginosamente aumentate negli ultimi
anni, passando da poco più di I miliardo di ecu nel 1982 a 2,7
miliardi di ecu nel 1985, una cifra, quest'ultima, pari a quasi il 14%
della spesa totale del Feoga-garanzia e superiore anche a quella del
settore cerealicolo. Malgrado questo volume di spesa, ripartito in
proporzioni pressoché uguali fra spese per restituzioni all'esporta-
zione e spese per l'ammasso delle carni che non trovano sbocchi sui
mercati, i prezzi alla produzione, salvo eccezioni, restano molto al
di sotto del prezzo di intervento fissato dalla Comunità, che
dovrebbe invece costituire una sorta di prezzo garantito al produtto-
re.
Considerata dagli uni una crisi passeggera, destinata cioè a
risanarsi spontaneamente con il miglioramento del ciclo della
produzione di carne bovina e dagli altri, invece, come una crisi a
carattere più strutturale, il settore della carne bovina era passato
finora indenne sotto le cesoie e la mannaia della Commissione in
occasione dei suoi diversi tentativi di ristabilire un migliore
controllo dell'evoluzione della produzione e delle spese agricole. Il
momento era perciò venuto che anche questo settore pagasse lo
scotto imposto a quasi tutti gli altri settori della produzione
agricola, dalla necessità di adeguare l'offerta alla domanda e di
limitare così anche le spese per il sostegno dei mercati. Questa
esigenza era ora tanto più avvertita, in seno alla Commissione, in
quanto anche in questo settore l'ammasso pubblico presso gli
organismi di intervento era diventato per molti produttori non più
il rimedio estremo a cui ricorrere in casi del tutto eccezionali, ma
una sorta di sbocco permanente per la loro produzione. Non va,
inoltre, perso di vista che malgrado le celle frigorifere, la carne
bovina conferita all'intervento resta una merce fortemente deperibi-
le: anche se essa trova successivamente un mercato di sbocco, il suo
valore economico si riduce drasticamente rispetto al prezzo di
acquisto, con conseguenze facilmente prevedibili sul bilancio del
Feoga, chiamato a compensare, tra l'altro, anche questa perdita di
valore della merce apportata all'intervento.
Per le ragioni suddette la Commissione ha proposto, nel già

159
citato memorandum sulla carne bovina, due tipi di misure: a) la
diminuzione graduale della possibilità di ricorrere all'intervento e
delle quantità ammissibili per un periodo transitorio di due anni, a
seguito del quale l'intervento pubblico non sarebbe più rientrato fra
le misure di gestione dei mercati. Tuttavia la Commissione avrebbe
potuto farvi ricorso, per un periodo limitato, nel caso in cui delle
situazioni eccezionali perturbassero gravemente il mercato; b) per
compensare l'impatto di una misura di questa natura sui redditi
degli allevatori, la Commissione proponeva di introdurre la conces-
sione di un aiuto diretto ai produttori di 20 ecu per capo, sui primi
50 capi, a cui si sarebbero aggiunti altri 20 ecu per capo, senza
limitazione di numero, nel caso delle vacche nutrici. Questa misura
sarebbe però limitata ai soli produttori «specializzati» di carne bo-
vina.
Vale la pena di rilevare, per quanto riguarda in particolare la
prima delle due misure proposte, che mai la Commissione si era
spinta così avanti in materia di limitazione del ruolo del regime di
intervento, avendone praticamente proposto la soppressione nel
giro di due anni. Questo spiega, forse, perché è soltanto ad un anno
di distanza dalla presentazione del memorandum e delle successive
proposte legislative che il Consiglio, dopo molteplici esitazioni e
energici dibattiti, ha avviato una riforma fondamentale dell'organiz-
zazione comune di mercato in questo settore, che pur senza arrivare
fino al punto in cui si era spinta la Commissione, costituisce
tuttavia un primo passo decisivo in tale direzione.

3. Gli sviluppi della Pac dopo la presentazione del Libro verde

3.1. Le proposte «prezzi» e «misure connesse» per la campagna


1986/1987

Avendo preliminarmente definito nei tre memorandum succitati


gli elementi di una strategia d'insieme atta a ristabilire, nel quadro
delle disponibilità di bilancio, l'equilibrio dei mercati nei settori di
produzione eccedentaria, la Commissione ha potuto adottare, in
tempi relativamente brevi, le proposte sulla fissazione dei prezzi
agricoli e le misure connesse per la campagna I 986/8 7, nonché le
proposte concrete dì revisione delle organizzazioni comuni dei

160
mercati cerealicoli e delle carne bovine 14. A causa, tuttavia, del
fatto che la preparazione delle proposte socio-strutturali annunciate
nel memorandum generale presentato a seguito del Libro verde ha
richiesto dei tempi tecnici relativamente più lunghi 15 , la Commis-
sione non ha potuto presentare, contestualmente alle proposte
«prezzi» e al programma di riforma dei mercati cerealicoli e delle
carni bovine, l'annunciato pacchetto dì proposte socio-strutturali
complementari. Questo slittamento è stato tanto più intempestivo
in quanto tali misure avrebbero dovuto in qualche modo rendere
più digeribile o almeno meno amara la medicina, tutt'altro che
gradevole, che la Commissione proponeva di somministrare, me-
diante la politica dei prezzi e dei mercati, all'agricoltura europea per
ricondurla su basi economiche più sane.
Nel presentare comunque a fine gennaio 1986, il pacchetto
«prezzi e misure connesse», la Commissione confermava la sua
intenzione dì
proseguire il programma annunciato nel Libro verde, presentando quanto
prima proposte socio strutturali intese ad aiutare gli agricoltori ad adeguarsi
alle nuove realtà del mercato, a diversificare gli strumenti della politica
agraria comune, in modo da tener in maggior conto gli interessi connessi
con l'ambiente e l'assetto territoriale, e a valorizzare in tutta l'Europa la
funzione dell'agricoltura nella società.
Ciò non è valso, comunque, ad evitarle aspre critiche da diverse
parti, e in particolare quelle delle organizzazioni professionali
agricole, dei ministri dell'Agricoltura e del parlamento europeo, per
non aver soddisfatto le attese degli agricoltori offrendo loro delle
prospettive per il medio termine.
In sintonia con gli orientamenti enunciati nei memorandum
presentati a seguito del Libro verde, di fronte all'inquientante
aggravarsi degli squilibri strutturali dei mercati e di fronte ai sempre
più ingenti oneri finanziari che essi determinano, la Commissione,
piuttosto che proporre specifiche e troppo drastiche misure, difficil-

14. Tali proposte fanno oggetto, rispettivamente, dei documenti seguenti: Com
186) 20 def., del 20 feb. 1986, Com (86) 21 e Com (86) 30.
15. Tali proposte sono state infatti presentate la prima volta, oralmente al
Consiglio agricoltura del 22 apr. 1986. La presentazione di tali proposte ha
.::ontribuito al conseguimento di un accordo in seno al Consiglio sulle proposte prezzi
e sulle proposte di riforma dell'organizzazione comune di mercato dei cereali e della
c:arne bovina.

161
mente tollerabili dalla maggior parte dei produttori, ha preferito,
invece, presentare un pacchetto di provvedimenti, la cui efficacia,
essa afferma, «è assicurata dalla convergenza, dalla selettività e
dalla continuità». «Convergenza» nella misura in cui essa propone
di agire non su un solo strumento, ma sull'insieme degli strumenti
disponibili, orientandoli verso lo stesso obiettivo: ripristinare un
migliore equilibrio tra l'offerta e la domanda di prodotti agricoli nei
settori eccedentari; «Selettività» nella misura in cui la Commissione
nelle sue proposte, cerca di tener conto (''ove ciò sia possibile ed
indispensabile") dei problemi cui devono far fronte determinate
categorie di agricoltori, in particolare quelle strutturalmente più
deboli; «Continuità», infine, in quanto, come si è detto, le nuove
proposte si collocano nella direttrice delle riforme già avviate negli
ultimi anni ed in quanto la Commissione giudica necessario
perseverare con coerenza in tale direzione perché esse possano dare
i risultati positivi attesi.
Malgrado questa «continuità» negli orientamenti di fondo e
nelle preoccupazioni che le ispirano, le proposte «prezzi e misure
connesse» per la campagna 1986/87 segnano, comunque, una tappa
importante se non addirittura una svolta nell'evoluzione della
politica comune dei prezzi e dei mercati.
Anzitutto, la panoplia degli strumenti di regolazione dell'offerta
agricola e di gestione dei mercati si arricchisce di uno strumento
che, se non è del tutto nuovo, denota tuttavia un salto qualitativo
nella funzione che le era stata in passato assegnata: la tassa di
corresponsabilità dei produttori, già in vigore dal 1977 nel settore
lattiero- caseario con una funzione meramente finanziaria, viene,
infatti, estesa al settore cerealicolo con modalità tali che ne
dovrebbero potenzialmente garantire nel medio periodo l'efficacia
non solo come strumento di reperimento di risorse aggiuntive da
destinare al settore, ma anche come misura dissuasiva della
produzione (commisurazione dell'aliquota al fabbisogno annuale di
spesa derivante dallo smaltimento delle eccedenze, "non compensa-
zione" della tassa di corresponsabilità con aumenti dei prezzi
garantiti, come è spesso successo nel settore lattiero caseario, ecc).
In secondo luogo, la politica di qualità è diventata una componente
essenziale della politica dei prezzi e dei mercati: non che in passato
non si fosse ricorso a misure intese a migliorare la qualità dei
prodotti agricoli o a differenziare le misure esistenti in funzione
della qualità della produzione agricola. Tµttavia, questa azione non

162
;n-eva ancora assunto, finora, un carattere sistematico e non aveva
arnto che un impatto relativamente marginale sulla politica dei
prezzi e dei mercati. Con le proposte «prezzi» per il 1986/87,
tuttavia, essa assume una rilevanza mai avuta prima e vengono
severamente penalizzate in termini di riduzione dei prezzi garantiti,
le qualità meno richieste dal mercato, che sono spesso quelle più
eccedentarie. Così, ad esempio, nel settore cerealicolo, la Commis-
sione propone una sensibile riduzione dei prezzi garantiti per il
frumento tenero non adatto alla panificazione (e utilizzato quindi
nell'alimentazione animale) e per gli altri cereali foraggeri, nonché
la fissazione di criteri più restrittivi per l'ammissibilità dei ~ereali
all'intervento 16 • Analogamente, nel settore del tabacco, la Commis-
sione propone di congelare i prezzi delle varietà ricercate dal
mercato e di ridurre quelli delle varietà meno ricercate in misura
crescente fino ad una riduzione massima del 6%.
Ma le proposte «prezzi» per il 1986/87 sono particolarmente
innovative anche per un'altra ragione: la prospettiva che esse
aprono di una limitazione del ruolo dell'intervento e il previsto
passaggio da un regime permanente di ammasso pubblico ad un
regime di intervento limitato nel tempo (cereali) o addirittura alla
eliminazione completa, nel giro di due anni , dell' intervento (carni
bovine), senza contare il rafforzamento dei criteri qualitativi per gli
apporti all'intervento, di cui s'è detto. Per valutare la portata di
queste proposte, basta ricordare che la garanzia illimitata e incondi-
zionata di sbocco, assicurata finora dal regime di intervento,
costituiva uno dei cardini della Pac da oltre venti anni. Ciò spiega
perché i ministri dell'agricoltura abbiano esitato a lungo, nel caso
della carne bovina, o ne abbiano alquanto attenuato la portata, nel
caso dei cereali , prima di prendere una decisione al riguardo.
Infine, nelle proposte prezzi per la campagna 1986/87, malgrado
il rigore che le caratterizza, tanto per quanto riguarda il livello dei
prezzi (congelato al livello della precedente campagna per la
maggior parte dei prodotti), che per quanto riguarda le misure
connesse, un 'attenzione particolare viene riservata «ogni qualvolta è

16. Secondo talune fonti, peraltro non smentite dalla Commissione, le misure
;iroposte dalla commissione nel settore cerealicolo avrebbero determinato una
~1duzione media del prezzo di sostegno dei cereali di quasi il 13%, con una punta di
~uasi il 16% per l'orzo ed una riduzione più modesta per il grano duro e il mais. Vedi
l1?ra Europ e, I 391 , del 7 mar. 1986.

163
stato possibile e indispensabile» (come precisa la Commissione) ai
problemi dei piccoli produttori e di quelli che operano in condizioni
naturali o strutturali difficili. Così, ad esempio, nel settore cerealico-
lo, l'introduzione di una franchigia di 25 tonnellate per azienda per
l'applicazione della tassa di corresponsabilità del 3% proposta in
questo settore equivale, di fatto, ad esonerare dalla tassa i piccoli
produttori (chi commercializza meno di 25 tonnellate di cereali,
cioè le aziende che dispongono in media di 5-1 O ettari di cereali) e
ad applicare una tassa ad aliquota progressiva sul volume totale
della produzione per le imprese di dimensioni più grandi: una
novità di rilievo, dunque, nel contesto della Pac, considerato che la
differenziazione dei prezzi è stata sempre ritenuta fondamentalmen-
te contraria ad uno dei suoi principi basilari: quello, appunto,
dell'unicità dei prezzi per l'insieme dei produttori della Comunità.
Un altro esempio è offerto dalle proposte di riforma del regime di
mercato per le carni bovine: in questo settore, infatti, la prospettata
riduzione progressiva del ruolo dell'intervento viene compensata
con la concessione di un premio «una tantum» per capo bovino, che
è di fatto più elevato 17 per i primi 50 capi di ciascuna azienda, cioè
per i produttori piccoli e medi.
Per completare il quadro delle proposte «prezzi e misure
connesse 1986/87» non resta che ricordare, oltre ad un nuovo
regime più restrittivo introdotto nel settore dei semi oleosi 18 , una
serie di misure particolarmente penalizzanti per talune produzioni
mediterranee, dettate da preoccupazioni inerenti allo sviluppo
eccessivo della produzione oppure dalla volontà di scoraggiare un
apporto eccessivo della produzione all'ammasso pubblico. È il caso
del grano duro, di cui è stata proposta la riduzione del 4,4% del
prezzo di intervento, riduzione compensata, tuttavia, in parte, da
un aumento dell'aiuto alla produzione 19 • È il caso dell'olio d'oliva,

17. In realtà il premio è costituito da un importo di base uniforme di 20 ecu per


capo, limitatamente ai primi 50 bovini, e di un importo supplementare dì 20 ecu per
capo, per tutte le vacche nutrici.
18. Esso sì fonda sulla fissazione di quantitativi massimi che hanno diritto al
prezzo garantito pieno e su un meccanismo di riduzione proporzionale dei prezzi
garantiti e degli aiuti in caso di superamento di tali quantitativi.
19. Tale misura è stata giustificata col fatto che, grazie al più elevato prezzo
garantito di cui usufruisce il grano duro rispetto agli altri cereali, si è constatato in
certe regioni nordiche (tradizionalmente non produttrici di grano duro) uno sviluppo
preoccupante di questa produzione a scapito del grano tenero, onde beneficiare dello
scarto di prezzo.

164
per il quale la Commissione ha proposto di ridurre del 5% il prezzo
di intervento onde scoraggiare l'accrescersi delle scorte invendute
presso gli organismi di intervento. È il caso, infine, di molti prodotti
ortofrutticoli (in particolare, albicocche, pesche e pomodori), per i
quali i ritiri dal mercato avevano assunto proporzioni allarmanti
negli ultimi anni. Anche se, a prima vista, questo pacchetto «prezzi
e misure connesse» può sembrare fortemente squilibrato a danno
delle regioni mediterranee (ed in effetti questa critica è stata
realmente espressa da più parti), per avere una visione più obiettiva
della situazione, non va dimenticato che gli effetti delle misure
proposte per la carne bovina e per il settore cerealicolo, tenuto
conto dell'importanza di queste produzioni nell'agricoltura delle
regioni centro-settentrionali dell'Europa e delle modalità di applica-
zione della tassa di corresponsabilità cerealicola, sono particolar-
mente risentite soprattutto in queste ultime regioni e in misura di
gran lunga inferiore nelle regioni mediterranee. Del resto, come
vedremo, le decisioni del Consiglio non hanno fondamentalmente
modificato l'equilibrio del pacchetto presentato dalla Commissione.
Vale la pena, peraltro, di segnalare, sempre nel contesto del
pacchetto «prezzi» proposto dalla Commissione, l'annuncio di
un'importante programma di smaltimento delle scorte esistenti
presso gli organismi di intervento, ed in particolare delle vecchie
scorte di burro e di carne bovina, il cui peso si risente fortemente
sui mercati e grava sensibilmente sulle risorse del bilancio comuni-
tario. È necessario, infine, ricordare, visto che le discussioni al
riguardo hanno finito per essere globalizzate con quelle sui prezzi
agricoli, che la Commissione aveva presentato in ottobre, una
proposta di regolamento che prevedeva la corresponsione di un'in-
dennità di 6 ecu per quintale di latte, pagabile per sette anni, ai
produttori che si impegnavano ad abbandonare definitivamente
qualsiasi tipo di produzione lattiero-caseario 20 .
L'obiettivo perseguito dalla misura era il «riacquisto>> delle
quote latte da parte della Comunità per complessivi 3 milioni di
tonnellate di latte, pari a circa il 3% delle quote latte accordate.
~algrado i vantaggi finanziari che questa proposta offriva ai
produttori, essa aveva, tuttavia, incontrato notevoli resistenze in
seno al Consiglio, soprattutto per il carattere facoltativo della
misura che avrebbe potuto determinare effetti differenziati, in

20. Com (85) 583 def., 5 nov. 1985.

165
termini di riduzione delle quote e della produzione, da uno Stato
membro all'altro. Ciò spiega perché per molti mesi le discussioni in
seno al Consiglio non avevano fatto registrare alcun progresso
sostanziale su questa proposta.

3.2. Le discussioni in seno al Consiglio comunitario e le decisioni as-


sunte

Nel presentare alla stampa le proposte della Commissione, il 5


febbraio 1986, il commissario responsabile dell'agricoltura Franz
Andriessen, aveva ammesso che occorreva ai ministri dell'Agricoltu-
ra dei Dodici 21 «molto coraggio e la visione necessaria per andare al
di là dei problemi a breve termine» ma che non restava loro altra
scelta che accettare il pacchetto di misure proposto, a meno che non
trovassero compensazioni adeguate ad eventuali modifiche, ma
restando pur sempre all'interno delle risorse di bilancio disponibili.
Quella del vincolo finanziario costituisce, in effetti, la principale
ipoteca sui negoziati per l'adozione delle proposte prezzi e misure
connesse per il 1986/87. Da una parte, infatti, conformemente alla
cosiddetta «disciplina di bilancio», in vigore per la prima volta per
il bilancio 1986, le spese agricole non avrebbero potuto aumentare
ad un ritmo superiore a quello delle risorse proprie. Dall'altra,
andava tenuto conto del fatto che, malgrado il recente aumento
ali' 1,4% del tasso massimo dell'J va trasferibile al bilancio comunita-
rio, com'era prevedibile, il nuovo regime finanziario comunitario
aveva già il fiato corto al momento della sua entrata in funzione.
Per quanto riguarda, in particolare, le spese agricole, la Commis-
sione prevedeva che i prezzi proposti e le misure connesse (ivi
comprese le entrate provenienti dalla tassa di corresponsabilità
cerealicola) avrebbero dovuto permettere di realizzare economie di
bilancio pari a circa 400 milioni di ecu nel 1986 e a 700 milioni di
ecu nel 1987. Tuttavia, tenuto conto, da un lato, dell'aumento delle
spese, determinato dall'inasprirsi della congiuntura e, segnatamente,

21. Si ricorda che, dal I O gennaio 1986, la Spagna e il Portogallo parlecipano


pienamente alla vita delle istituzioni comunitarie. La Pac si applica fin dalla data di
adesione ai due nuovi venuti: tuttavia, in molti settori di produzione sono stati
previsti dei periodi transitori più o meno lunghi in modo da consentire che
l'integrazione dei mercati avvenga progressivamente e senza contraccolpi.

166
dal deprezzamento del dollaro, e, dall'altro, delle risorse finanziarie
necessarie per dare attuazione al programma di smaltimento delle
vecchie giacenze di prodotti agricoli, la Commissione stimava che
occorressero ulteriori stanziamenti per 790 milioni di ecu per il
I 986. Sulla base di queste previsioni di spesa e del fabbisogno
aggiuntivo di risorse già impegnate, proveniente dai fondi struttura-
li comunitari, la Commissione prevedeva all'inizio di febbraio, non
soltanto il totale esaurimento, nel corso del 1986, delle risorse
proprie disponibili, ma anche un «buco» finanziario piuttosto
rilevante, a meno che non si riuscissero a realizzare delle economie
di spesa in qualche settore.
Questo spiega perché il margine di manovra di cui disponevano
quest'anno i ministri dell'agricoltura nelle discussioni sui prezzi
agricoli fosse particolarmente ristretto. Ma spiega anche perché
alcuni di essi, ed in particolare il ministro dell'agricoltura della
Germania federale Ignaz Kiechle, minacciasse ancora una volta il
ricorso ad aiuti nazionali a favore degli agricoltori tedeschi nel caso
in cui le proposte di Bruxelles fossero state adottate. È, comunque,
significativo il fatto che, malgrado le reazioni delle organizzazioni
professionali agricole e di molti ministri dell'agricoltura ivi compre-
so quella del ministro italiano dell'agricoltura Filippo Maria Pan-
dolfi, fossero state particolarmente vivaci, l'accordo a cui si è
pervenuti, a fine aprile, dopo praticamente appena un mese di
discussioni, non si differenzi sostanzialmente dalle proposte iniziali
della Commissione. I principali fronti di attacco a tali proposte e gli
ostacoli maggiori nel corso dei dibattiti sono stati essenzialmente i
seguenti: a) l'assenza di misure socio-strutturali di accompagnamen-
to. Come s'è detto, esse sono state presentate nella seconda metà del
mese di aprile, cioè alla vigilia dell'adozione dei prezzi; b) lo
squilibrio del pacchetto, secondo alcuni (Pandolfi) a danno delle
regioni mediterranee, secondo altri (Jopling, Regno unito) a danno
delle produzioni continentali (cereali e carni bovine); c) le modalità
di applicazione della tassa di corresponsabilità nel settore cerealico-
lo, ed in particolare l'applicazione di una franchigia per le prime 25
tonnellate di cereali commercializzati. Questa misura è stata, infatti,
giudicata discriminatoria dalla delegazione britannica, ma anche da
quella francese, olandese e danese, in quanto essa avrebbe avvantag-
giato oltre misura i paesi mediterranei (in particolare Italia e
Grecia), dove le piccole imprese cerealicole sono numerose, e
penalizzato fortemente le imprese cerealicole di più grandi dimen-

167
sioni, prevalenti nel Nord-Europa; d) la divergenza di vedute sulla
natura congiunturale o strutturale della crisi del settore della carne
bovina e sulla maniera più appropriata di farvi fronte, e la
conseguente reticenza della maggior parte dei ministri dell'agricoltu-
ra ad imbarcarsi sulla strada di uno smantellamento dell'intervento
in questo settore, sia pure accompagnato dall'introduzione di un
regime di premi ai produttori; e) l'opposizione di talune delegazioni,
ed in particolare di quella tedesca, alle proposte relative al
rafforzamento dei criteri di qualità e alla riduzione dei prezzi di
sostegno nel settore dei cereali; f) il carattere facoltativo e non
obbligatorio delle misure proposte in ottobre dalla Commissione per
la riduzione delle quote-latte e l'opposizione di alcune delegazione
(e in particolare della delegazione italiana, spagnola, greca e
irlandese) ad accettare una riduzione delle quote-latte nei loro paesi;
g) la difficoltà, infine, di trovare una soluzione equa ed accettabile
per tutte le delegazioni al problema dell'eliminazione degli importi
compensativi monetari, tanto positivi che negativi, tenuto conto che
smantellare gli importi compensativi monetari positivi esistenti (per
la Germania e l'Olanda) significava ridurre i prezzi di sostegno in
moneta nazionale, mentre smantellare quelli negativi significava
aumentare i prezzi di sostegno in moneta nazionale, in particolare,
in Francia, in Italia e in Grecia.
Una certa preoccupazione sulle prospettive dei negoziati e sulla
possibilità di pervenire entro tempi brevi ad un accordo tra i
ministri dell'agricoltura ha suscitato peraltro, negli ambienti comu-
nitari, la nomina a ministro dell'Agricoltura, nel nuovo governo
francese, uscito dalle elezioni del 16 marzo, di Franlois Guillaume,
già presidente della Fnsea (la potentissima Fédération francaise des
syndicats d'exploitants agricoles), da anni l'uomo di punta nella
resistenza alle riforme della Pac proposte da Bruxelles e nell'orga-
nizzazione delle più accese manifestazioni degli agricoltori europei.
In realtà, come abbiamo già detto, i negoziati veri e propri non
hanno richiesto più di due sessioni del Consiglio «agricoltura»,
anche se quella risolutiva, tenutasi a Lussemburgo dal 21 al 25
aprile, ha comportato una «maratona» di oltre 60 ore dei ministri
dell'agricoltura e l'abbandono temporaneo di ogni decisione sulla
riforma dell'organizzazione di mercato nel settore della carne bovi-
na.
Un apporto politicamente importante alle proposte della Com-
missione e al conseguimento di un accordo è venuto, quest'anno,

168
dal parlamento europeo in una votazione che può qualificarsi
storica. In passato questa istituzione aveva infatti sempre chiesto,
nell'intento di difendere il reddito degli agricoltori, aumenti di
prezzo superiori a quelli proposti dalla Commissione. Quest'anno,
invece, il parlamento europeo ha effettuato una spettacolare inver-
sione di marcia adottando, a larga maggioranza, la relazione
presetata da James Provan (un conservatore britannico) a nome
della Commissione agricoltura, ed apportandovi importanti emen-
damenti per renderla più conforme all'impostazione restrittiva della
Commissione CE. Contro il parere della propria commissione per
l'agricoltura, che è insorta contro il congelamento dei prezzi
agricoli, il parlamento ha infatti appoggiato le proposte della
Commissione esecutiva, pur biasimandola per non aver presentato
al tempo stesso le proposte sociostrutturali e il programma di
smaltimento delle scorte che essa aveva annunciato. Sull'esito del
voto hanno influito sia la variabile nazionale che quella relativa al
gruppo politico. Grosso modo sì può comunque dire che la grande
maggioranza dei socialisti, dei comunisti, dei liberali e la totalità dei
conservatori britannici hanno votato a favore della risoluzione
emendata (cioè a favore delle proposte della Commissione), mentre
la maggioranza dei parlamentari del Partito popolare europeo
(democristiani), una minoranza dei socialisti e dei comunisti, dei
liberali nonché i gollisti nel loro insieme hanno votato contro.
Un altro evento che ha contribuito alla ricerca di una soluzione
di compromesso sull'insieme del pacchetto «prezzi e misure connes-
se», ma che al tempo stesso ha acuito la necessità di trovare, anche
al di fuori di questo pacchetto, elementi che consentissero di
ottenere un risultato relativamente equilibrato, in particolare per
quanto riguarda le rivendicazioni francesi e quelle tedesche, è
rappresentato dal riallineamento dei tassi centrali in seno al sistema
monetario europeo, deciso a Ootmarsum (Paesi Bassi) il 6 aprile
1986 dai ministri delle finanze dei Dodici. Esso ha comportato, in
particolare, una rivalutazione del 3% del marco tedesco e del fiorino
olandese e una svalutazione del 3% del franco francese 22 • In
conformità col nuovo metodo di calcolo degli importi compensativi

22. L'accordo prevede anche una rivalutazione dell' I% del franco belga e
lussemburghese e della corona danese, nonché una svalutazione del 13,31 % del tasso
centrale teorico della lira sterlina e del 26,95% del tasso centrale teorico della dracma
greca. La lira italiana e la sterlina irlandese sono invece rimaste invariate.

169
monetari introdotto nel marzo 1984 23 , questo evento, che in base al
precedente sistema agromonetario avrebbe comportato la creazione
di importi compensativi monetari positivi di circa 3 punti percen-
tuali per la Germania e l'Olanda, si è invece tradotto nel congela-
mento degli importi compensativi monetari positivi esistenti per
questi due paesi e nell'aumento proporzionale di quelli negativi per
gli altri paesi. Ciò significa che, mentre per la Germania e i Paesi
Bassi si è mantenuto lo «statu quo», per gli altri paesi si è creato un
margine di manovra supplementare, variabile da paese a paese, per
la successiva svalutazione delle monete verdi e per il conseguente
aumento dei prezzi garantiti in moneta nazionale. Per la Francia, ad
esempio, prima del riallineamento del 6 aprile, il margine di
manovra di aumento potenziale dei prezzi agricoli era nullo per il
latte e la carne suina e di appena 1,5% per gli altri prodotti; dopo
tale decisione il margine di manovra è aumentato al 6,2% per il latte
e la carne suina, al 7,8% per gli altri prodotti animali e vegetali.
Analogamente, per quanto riguarda l'Italia il margine di mano-
vra è aumentato dal 5,3% all'8% per l'insieme dei prodotti. Si
comprende facilmente che, a seguito di questo allineamento mone-
tario, in gran parte originato proprio dalle preoccupazioni di
carattere politico del nuovo governo presieduto da,)acques Chirac,
in Francia, gli appetiti dei ministri dell'agricoltura per ottenere la
svalutazione delle monete «verdi» dei paesi a importi compensativi
monetari negativi si siano fortemente accresciuti. Per evitare
tuttavia soluzioni parziali e di ripiego al negoziato agricolo,
l'accordo del 6 aprile tra i ministri delle Finanze comportava
l'impegno degli stati membri a importi compensativi monetari
negativi e a non domandare la svalutazione delle rispettive monete
«verdi» «prima della chiusura della procedura in corso per la
fissazione dei prezzi agricoli». La presenza di questa clausola ha
indubbiamente contribuito a mantenere sotto pressione i ministri
dell'agricoltura, desiderosi di «incassare», al più presto, i benefici
finanziari di una valutazione delle monete «verdi», e a sbloccare i
negoziati sull'insieme delle proposte «prezzi e misure connesse»
nella «maratona» del 21-25 aprile.

23. Il nuovo sistema agro monetario, deciso il 31 marzo 1984, evita la creazione
di importi compensativi monetari positivi per le monete che rivalutano, ma aumenta
proporzionalmente quelli negativi che si applicano ai paesi che non rivalutano.

170
Tuttavia, per ragioni di bilancio, ma anche per mantenere una
pressione sui prezzi di sostegno in moneta nazionale, soprattutto nel
comparto delle produzioni vegetali, le monete «verdi» sono state
svalutate soltanto parzialmente rispetto al margine massimo dispo-
nibile nei paesi aventi importi compensativi monetari negativi (cioè
praticamente tutti, meno la Germania e l'Olanda, dove gli importi
compensativi monetari positivi sono rimasti invariati). Questa
«concessione» ai paesi a moneta debole è stata, tuttavia, in qualche
modo, barattata con la decisione di principio del Consiglio «agricol-
tura» di decidere, entro il 31 maggio 1986, Ùna estensione della lista
delle zone agricole «sfavorite» per la Germania. La decisione è
stata, in effetti, presa il 27 maggio e comporta praticamente il
raddoppio delle superfici ammesse a beneficiare, in Germania, delle
misure strutturali comunitarie previste per queste aree (in particola-
re un aiuto diretto al reddito, per unità di bestiame posseduta). Ciò
malgrado, l'accordo finale è stato conseguito senza l'adesione della
delegazione tedesca che, contrariamente all'anno prima, allorché
essa aveva invocato il compromesso di Lussemburgo, ha preferito
quest'anno lasciarsi «mettere in minoranza» 24.
L'accordo del 25 aprile comprende, comunque, altri elementi di
grande rilevanza politica. Anzitutto è stata varata una riforma
fondamentale dell'organizzazione di mercato del settore cerealicolo,
articolata sui seguenti assi principali: l'introduzione di un prelievo
di corresponsabilità del 3% del prezzo di intervento che sarà
riscosso, non allo stadio della prima commercializzazione, come
proponeva la Commissione, ma allo stadio della prima trasforma-
zione dei cereali in farina, alimenti per animali, ecc. Per quanto
riguarda i piccoli produttori di cereali, il Consiglio non ha accolto la
proposta della Commissione relativa alla franchigia di 25 tonnellate
di cereali commercializzati. Tuttavia viene istituito, in sostituzione
della franchigia, un regime di aiuti diretti ai piccoli produttori, il cui
importo complessivo, come recita il testo dell'accordo, «non può
superare una somma pari all'equivalente della tassa di corresponsa-
bilità riscossa sulla fornitura di cereali, fino ad un massimo di 25
tonnellate». Una deroga è tuttavia prevista, per la prima campagna,
per gli stati membri che dovessero incontrare difficoltà di ordine

24. Anche il Lussemburgo e la Spagna non hanno aderito all'accordo a causa


delle decisioni prese nel settore lattiero-caseario. Tuttavia l'accordo è stato raggiunto
senza che si procedesse ad una procedura di voto.

171
amministrativo e tecnico nell'applicare le norme previste per i
piccoli produttori (in pratica solo per l'Italia): essa prevede la non
riscossione del prelievo per i piccoli produttori e la non correspon-
sione dell'aiuto previsto a loro favore. Per la campagna l 986/87,
l'importo complessivo di questo aiuto è valutato a 120 milioni di
ecu, al lordo tuttavia dell'incidenza della deroga menzionata; la
riduzione del 5% del prezzo di intervento per i cereali foraggeri (ad
eccezione del mais) e per il grano tenero non adatto alla panificazio-
ne; il rinforzamento dei criteri qualitativi per l'ammissione dei
cereali all'intervento, con conseguente riduzione del prezzo garanti-
to per le qualità inferiori e un premio (richiesto in particolare dalla
delegazione tedesca e italiana) per le migliori qualità di frumento e
segala; la limitazione del tempo durante il quale gli apporti
all'intervento sono ammessi (dal l O ottobre al 30 aprile, mentre la
Commissione aveva proposto di limitarlo al periodo dal 1° dicem-
bre al 30 aprile); la riduzione del 4% del prezzo dì intervento del
grano duro (contro il 4,4% proposto dalla Commissione) e un
aumento parallelo (ma ancora insufficiente per compensare total-
mente tale riduzione) dell'aiuto al grano duro del 12,3% (contro un
aumento del 6,8% proposto dalla Commissione).
In secondo luogo, si è raggiunto un accordo su un regime
comunitario obbligatorio di riduzione delle quote-latte del 3% in
due anni: 2% con effetto l aprile 1987 e l % supplementare il 1°
aprile 1988. Per facilitare il conseguimento di tale obiettivo è stato
introdotto, a partire dal l maggio 1986, un regime comunitario di
indennizzo per chi cessa definitivamente la produzione lattiera (in
pratica, una sorta di "riacquisto" del diritto a produrre, e quindi
delle "quote latte", da parte della Comunità): 4 ecu per anno e per
quintale per un periodo di sette anni, con possibilità di aumentare
questo importo con un finanziamento complementare a carico dei
bilanci nazionali.
In terzo luogo, come proposto dalla Commissione, è stato
adottato un regime più restrittivo di corresponsabilità dei produtto-
ri nel settore dei semi oleosi (colza e girasole), che mette a carico dei
produttori le conseguenze finanziarie del superamento di certi
quantitativi globali garantiti a prezzo pieno.
Vale la pena, infine, di rilevare che il Consiglio ha anche preso
una decisione abbastanza rilevante sul piano dei principi ma che
attende ancora di essere tradotta in pratica: la possibilità, cioè, di
accordare un aiuto pari alla restituzione all'esportazione per i

172
cereali destinati a nuove utilizzazioni industriali ed, in parti,x<..:.~.
per la loro trasformazione in bioetanolo. La messa in atto di ques,;l
decisione è stata tuttavia rinviata (non si sa ancora se temporanea-
mente oppure definitivamente) in attesa dei risultati di uno studio
che la Commissione ha affidato ad un gruppo di esperti indipenden-
ti sulla validità economica e finanziaria dell'opzione bioetanolo.
Come s'è già detto, il Consiglio non è riuscito invece a trovare
un accordo sulla riforma dell'organizzazione comune di mercato
della carne bovina: piuttosto che bloccare l'intero negoziato, la
Commissione ha preferito sganciare momentaneamente questo
dossier dal resto del pacchetto, impegnando il Consiglio a decidere
prima della fine dell'anno. A questo fine, i diversi regimi di prezzi
in questo settore sono stati prorogati solo fino al 31 dicembre 1986,
in maniera da mantenere una pressione sui ministri dell'agricoltura.
Il Consiglio si è anche impegnato a decidere sulle misure socio-
stru1.turali presentate di recente dalla Commissione nella linea del
Libro verde, entro il 31 luglio 1986 25 • Per quanto riguarda il livello
dei prezzi garantiti, il Consiglio ha sostanzialmente confermato le
proposte della Commissione.
Tuttavia, in alcuni casi, ed in particolare per talune produzioni
mediterranee, le riduzioni proposte dalla Commissione sono state
leggermente attenuate. Ciò vale per il grano duro, di cui si è già
parlato, per alcuni ortofrutticoli (pesche e albicocche) e per alcune
varietà di tabacco.
Tuttavia, per i pomodori la riduzione del prezzo di acquisto da
parte degli organismi preposti ai ritiri dal mercato è stata aumentata
dal 5% proposto inizialmente dalla Commissione al 7,5% deciso dal
Consiglio. Va però aggiunto che, tenuto conto della svalutazione
delle monete «verdi» decisa contemporaneamente, il livello generale
dei prezzi di sostegno in moneta nazionale che risulta dalle decisioni
del Consiglio è di oltre un punto superiore a quello che risultava
dalle proposte iniziali della Commissione (2,2% in media per la
Comunità a Dieci, rispetto ad un aumento medio dello 0,9%
proposto dalla Commissione). L'Italia, in particolare, ha ottenuto
un aumento medio dei prezzi di sostegno in moneta nazionale del
4,2%, la Francia del 2%, mentre in Germania i prezzi di sostegno
sono rimasti sostanzialmente stabili.

25. Questa scadenza è stata tuttavia successivamente riportata al 28 febbraio


1987. .

173
Se si tiene, però, conlo dei tassi di inflazione, ci si rende conto
che gli aumenti dei prezzi agricoli oltenuti sono di circa 2,5 punti
inferiori al tasso di inflazione in Francia e in Germania e di quasi
cinque punti in Italia. Ciò non ha impedito che la delegazione
tedesca considerasse inaccettabile l'intero pacchetto di misure
decise malgrado il fatto che essa avesse ottenuto, come s'è detto,
vistose compensazioni sul piano delle misure socio-strutturali. Non
ancora completamente soddisfatto, il ministro dell'Agricoltura
Tgnaz Kiechle ha anzi annunciato, al momento dell'accordo, ehe il
governo tedesco si apprestava ad accordare sostanziosi aiuti nazio-
nali ai propri agricoltori, sotto forma di sgravi sugli oneri sociali,
per «compensarli» dell'accordo di Lussemburgo: una soluzione,
questa, che è sembrata al governo di Bonn più fruttuosa per gli
agricoltori tedeschi che lo scontro frontale e il veto dell'anno prima
sui cereali 26 • Pressioni in questa direzione sono state registrate
anche in Francia, il nuovo ministro dell'Agricoltura François
Guillaume, non essendo riuscito a far smantellare completamente
gli importi compensativi monetari negativi esistenti per la Francia,
in modo da ottenere aumenti dei prezzi più consistenti.
Negative anche le reazioni del Capa e del Cogeca: secondo
quesle organizzazioni, le decisioni prese sarebbero «ispirate da
considerazioni essenzialmente di natura finanziaria», sarebbero
«squilibrate» e non offrirebbero «alcuna prospettiva d'avvenire», in
quanto niente è previsto per quel che riguarda
lo smaltimento degli stocks che pesano sui prezzi, la riconversione verso i
settori di produzione deficitari, le nuove utilizzazioni dei prodotti agricoli e
le azioni socio-strutturali.
In conclusione, secondo queste due organizzazioni
il Consiglio ha preso il rischio e la responsabilità di veder ancora rinforzarsi
le tendenze alla rinazionalizzazione della Pac.
Piuttosto contrastantl sono state le reazioni in Italia. Per il
ministro dell'Agricoltura Pandolfi, le decisioni assunte consentono
di contemperare, al tempo stesso, l'esigenza di difendere i redditi
agricoli e gli interessi dei consumatori, in quanto i prezzi dei
prodotti agricoli aumentano in misura inferiore al tasso di inflazio-
ne. Inoltre Pandolfi ha messo in evidenza che le modalità della tassa

26. L'Italia nella politica internazionale 1984-1985, Angeli, Milano, 1986, p.


445.

174
di corresponsabilità nel settore cerealicolo sono convenienti per
l'Italia ed in particolare per i piccoli produttori. Abbastanza critica è
stata, invece, la Confagricoltura che ha giudicato la svalutazione di
cinque punti della lira «verde» insufficiete «a far uscire l'agricoltura
itaiana dalle sue gravi difficoltà». La Coldiretti, pur criticando
anch'essa l'accordo di Lussemburgo, ha tenuto comunque a far
quadrato interno al ministro dell'agricoltura Pandolfi, al quale lo
stesso presidente di questa organizzazione, Lobianco, ha tenuto
all'indomani dell'accordo, a riconoscere «di essere riuscito a ottene-
re molto, rispetto a quello che avevamo domandato in una mozione
presentata recentemente». Anche per la Coldiretti, tuttavia, l'accor-
do sui prezzi agricoli ha confermato l'immagine di un'Europa «alla
deriva», lamentando che la logica dominante sia ormai quella del
«compromesso sugli affari» piuttosto che quella di una strategia
comune per una vera riforma della Pac. Quanto alla Confcoltivato-
ri, probabilmente «non si poteva fare meglio», ma «nessuno può
cantare vittoria».
Per questa organizzazione, si tratta ancora di tradurre in misure
concrete i principi del Libro verde:
riequlibrio della Pac, nuove misure strutturali intese a sostenere il reddito
dei piccoli agricoltori e a minare il meccanismo perverso che crea eccedenze
invendibili.

175
176
9. LA POLITICA AGRICOLA 1986-1987*

1. Il contesto internazionale

1.1. La crisi dei mercati agricoli mondiali

Dalla penuria all'eccedenza - Per i mercati mondiali delle derrate


agricole gli ultimi quindici anni si compongono di due fasi non solo
nettamente distinte, ma addirittura contrapposte: la preoccupazione di
una penuria alimentare su scala planetaria, generata dall'apparire sulla
scena mondiale di nuovi acquirenti del peso dell'Unione sovietica e
dall'impennata dei corsi che ha interessato la maggior parte delle materie
prime, costituisce il tratto saliente degli anni settanta. Gli anni ottanta, al
contrario, stanno per concludersi sotto l'incubo di una nuova situazione,
certo più rassicurante per la sicurezza alimentare mondiale, ma non per
questo meno preoccupante: la sovrabbondanza produttiva e l'asfissia dei
mercati agricoli sotto il peso di astronomiche eccedenze produttive.
All'euforia degli anni settanta fra i produttori di molti paesi esporta-
tori, incoraggiati ad investire dalle prospettive che si aprivano allo loro
espansione produttiva e dalla brusca fiammata delle quotazioni dopo
anni di letargo, è subentrato il tracollo dei mercati agricoli e con esso la
sequela di rovesci commerciali e finanziari che si è abbattuta un po'
dovunque sugli agricoltori, primi fra tutti quelli dei paesi dove sono più
esposti alle vicissitudini dei mercati mondiali. È tramontata al contrario,
fra i responsabili politici e fra le masse dei consumatori nei paesi importa-
tori, quanto meno quelli solvibili, la grande paura da penuria alimentare
che si era diffusa intorno alla metà degli anni settanta. Alcuni di essi,
anzi, come ad esempio l'India e la Cina (quasi due miliardi di abitanti), da
deficitari quali erano sono addirittura diventati esportatori di prodotti
alimentari. Certo, non dappertutto è stato possibile raggiungere l'auto-
sufficienza alimentare e colmare mediante le eccedenze dei paesi produt-
tori i gigantesci deficit che ancora attanagliano intere popolazioni. Que-
* In IAI, “L’Italia nella politica internazionale (1986-1987),
Franco Angeli, Milano, 1989

177
sto è anzi il paradosso dell'attuale crisi dell'agricoltura a livello mondiale
ed uno dei fattori stessi della crisi: malgrado l'esuberanza dell'offerta nei
paesi produttori e la caduta dei corsi sui mercati mondiali la carenza di
risorse finanziarie nei paesi più poveri o più indebitati impedisce che tutta
la domanda potenziale in derrate alimentari si traduca in domanda
commerciale, cioè solvibile. Resta il fatto che se per gran parte dell'uma-
nità lo spettro della fame è tutt'altro che allontanato, cioè non è certo
dovuto ad una carenza delle disponibilità alimentari a livello mondiale,
come si temeva durante gli anni settanta. Basti ricordare, a questo propo-
sito, che gli stocks mondiali di cereali hanno raggiunto nel 1987 i 450
milioni di tonnellate pari a due volte e mezzo gli scambi annuali e a circa il
26% dei consumi mondiali, una cifra questa superiore di quasi dieci punti
al livello minimo considerato necessario dalla Fao per assicurare la
sicurezza alimentare mondiale.
Di fronte ad una situazione di questo genere sembra oggi relegata al
museo delle armi fuori uso la storica decisione del presidente Carter del 4
gennaio 1980 di decretare contro l'Unione sovietica un embargo cereali-
colo, destinato nelle intenzioni dei suoi promotori, a compromettere la
capacità di approvvigionamento alimentare di questo paese, a sanzione
del suo intervento in Afghanistan. Se ricordiamo questa decisione non è
solo per mostrare come sia diventata obsoleta, in questo nuovo contesto,
quella che a molti era sembrata durante gli anni settanta, come l'arma del
futuro o addirittura come l'arma assoluta, vale a dire l'arma alimentare.
Il fatto è che nessun altro evento simboleggia in maniera altrettanto
efficace ed emblematica la rottura, non solo temporale, fra due epoche:
gli anni settanta, ovvero la psicosi da penuria alimentare e gli anni
ottanta, ovvero l'assillo delle eccedenze invendibili.
L'embargo contro l'Unione sovietica rappresenta, in effetti, il mo-
mento culminante del predominio dei produttori sui mercati agricoli che
ha caratterizzato gli anni settanta e, col suo clamoroso insuccesso, la
prima e più vistosa affermazione del consumatore sul produttore e della
domanda sull'offerta, quale caratteristica predominante degli anni ot-
tanta.

L'accumulazione degli stocks e il crollo dei corsi mondiali - Dopo


aver toccato l'apice proprio intorno al 1980, le quotazioni della maggior
parte delle derrate agricole sono progressivamente precipitate su livelli
pressoché altrettanto depressi di quelli degli anni cinquanta e sessanta. In
termini reali, anzi, l'indice dei prezzi delle derrate alimentari, come del
resto quello dell'insieme delle materie prime, ha raggiunto nel 1987 il suo
livello più basso dall'inizio degli anni trenta, vale a dire dalla fine della
grande crisi. Tra il 1980 e il 1987 i prezzi all'esportazione del frumento e

178
delle materie grasse (in dollari Usa) sono diminuiti, in moneta corrente,
del 40%; quelli del mais c del riso quasi del 50%; quelli dello zucchero
addirittura dell'80%, dopo aver toccato nel 1985 un livello ancora più
basso. Basti dire, a questo proposito, che dal 1981 il prezzo mondiale
dello wcchero è inferiore al costo di produzione dei produttori più
competitivi. A parte le componenti speculative o le fluttuazioni congiun-
turali, la caduta dei costi riflette in generale assai da vicino la progressio-
ne spettacolare delle eccedenze produttive e dell'accumulazione degli
stocks invenduti . Per i cereali, ad esempio, l'incremento tra il 1980 e il
1987 è stato globalmente del 70%, ma di circa il lOOIIJo se ci si limita agli
stoeks detenuti dai principali paesi esportatori. Per le materie grasse nel
loro insieme l'incremento è stato del 67%. Per i prodotti proteici il
volume degli stocks è stato addirittura più che raddoppiato, e gli esempi
potrebbero continuare.
È questo il risultato essenzialmente di due grandi tendenze. Da una
parte uno sviluppo assai sostenuto della produzione agricola a livello
mondiale, non solo nei tradizionali paesi esportatori, ma anche in molti
dei paesi da sempre strutturalmente deficitari, stimolati a produrre anche
dalla preoccupazione che si era diffusa negli anni settanta di garantire la
propria sicurezza alimentare. Abbiamo già citato il caso dell'India e della
Cina, che sono diventati autosufficienti e saltuariamente esportatori di
prodotti agricoli. Si potrebbe continuare con il Bangladesh o con l'Indo-
nesia, che hanno fortemente ridotto la loro dipendenza alimentare dall' e-
sterno e con altri paesi in via di sviluppo che hanno giocato la carta
agroesportatrice su prodotti agricoli differenti dai prodotti tropicali tra-
dizionali (il riso e la manioca per la Thailandia, la soja e il pollame per il
Brasile, l'olio di palma per la Malesia, ecc.). Per venire ad esempi più
vicini a noi, si potrebbe ricordare che mentre ali 'inizio degli anni settanta
l'attuale Comunità a Dodici era deficitaria per cìrca 20 milioni di tonnel-
late dì cereali, essa è diventata autosufficiente al!7inizio degli anni ottanta
e si avvia alla fine di questo decennio con un'eccedenza annuale dell'ordi-
ne di 15-20 milioni di tonnellate (a cui fa tuttavia da contrappunto uno
sviluppo spettacolare delle importazioni, a tariffa nulla o preferenziale,
dei prodotti sostitutivi dei cereali nell'alimentazione animale). Non meno
impressionante è stato nella Ce lo sviluppo della produzione di latte, un
prodotto per il quale essa è stata autosufficiente se non addirittura
eccedentaria fin dall'inizio della politica agricola comune (Pac). Negli
Stati uniti, infine, la produzione cerealicola è aumentata del 50%, pari a
I 00 milioni di tonnellate, in dieci annì.
A fronte di questa vistosa progressione della produzione si è assistito
un po' dovunque a un rallentamento dei tassi di crescita della domanda e
degli scambi mondiali di prodotti agricoli, se non addirittura ad una

179
contrazione degli stessi, come è accaduto ad esempio nel 1982. Questo
fenomeno ha interessato tanto i paesi sviluppati, dove i consumi alimen-
tari hanno raggiunto limiti di saturazione fisiologica ormai difficilmente
superabili, quanto i paesi in via di sviluppo, alle prese con l'indebitamen-
to e i contraccolpi finanziari della caduta dei corsi delle materie prime
esportabili. Se si tiene inoltre conto della riduzione della domanda d'im-
portazione, che è stata già ricordata per alcuni di essi, a seguito del
miglioramento del loro tasso di autoapprovvigionamento, e della contra-
zione dei mercati d'esportazione costituiti dai paesi petroliferi, per effet-
to della caduta dei prezzi del petrolio, si ha un quadro sufficientemente
indicativo della crisi dei mercati mondiali agricoli nella seconda metà
degli anni ottanta. Il principale fattore di dinamismo, in una situazione
del genere resta il fabbisogno d'importazione tuttora gigantesco dell'U-
nione sovietica (quasi 30 milioni di tonnellate di cereali importati nella
campagna 1986-87). Tale fabbisogno potrebbe tuttavia contrarsi in caso
di successo dei piani agricoli nazionali o nel caso di un decorso meteorolo-
gicamente più favorevole nelle principali regioni agricole del paese. Para-
dossalmente, dunque, è proprio l'Unione sovietica, principale e per certi
prodotti pressocché unico cliente dei grandi traders internazionali, a
detenere oggi quell'arma alimentare che poco più di cinque anni fa era
ancora rivolta contro di lei.

1.2. L'aggiustamento delle politiche agricole

La necessità di un controllo dell'offerta agricola -Alla luce di questi


sviluppi si capisce perché l'agricoltura ha costituito nel corso degli ultimi
anni una fonte di crescenti preoccupazioni per i pubblici poteri in quasi
tutti i paesi industrializzati. Tali preoccupazioni nascono essenzialmente
da tre ordini di fattori, tutti connessi con l'aggravarsi della crisi dei
mercati agricoli:
a. la flessione pressoché generalizzata dei redditi degli agricoltori che
unitamente all'acuirsi dell'indebitamento ha assunto in tali paesi dimen-
sioni da vera e propria catastrofe sociale. È il caso, ad esempio, degli Stati
uniti, dove intere regioni rurali si sono spopolate in questi ultimi anni,
mettendo in crisi l'intero tessuto sociale ed economico dei centri urbani
circostanti, per l'abbandono forzato dell'attività agricola da parte di
moltifarmers, incapaci di far fronte all'onere degli interessi per i prestiti
contratti negli anni di espansione. Anche gli agricoltori europei, benché
meglio protetti dei colleghi americani dalla caduta dei prezzi sui mercati
mondiali grazie agli strumenti della Pac, hanno dovuto sperimentare a
partire dalla fine degli anni settanta una flessione dei redditi agricoli che
ha accentuato le disparità con gli altri settori economici e messo a nudo la
fragilità dei successi ottenuti negli anni precedenti;

180
b . la crescita vertiginosa della spesa pubblica, mobilizzata in molti
paesi per sostenere i mercati agricoli e per tamponare - come sì è visto
senza però troppo successo - il deterioramento dei redditi agricoli. Tra il
1980 e il 1985 la spesa agricola è aumentata del 60% in Canadà, di oltre il
75% nella Comunità europea (Feoga-garanzia) e di circa il 120% negli
Stati uniti. Come si vede, nemmeno l'Amministrazione Reagan, che pure
aveva fatto della riduzione delle sovvenzioni ali' agricoltura uno dei cardi-
ni del suo programma di politica economica al momento del suo insedia-
mento, è riuscita ad arginare la valanga della spesa pubblica destinata a
sostenere l'agricoltura;
c. l'acuirsi delle tensioni sui mercati internazionali delle derrate agri-
cole, spesso sfociate in guerra aperta tra i paesi esportatori alla disperata
ricerca di mercati solvibili su cui collocare le proprie eccedenze produtti-
ve. È un capitolo, questo, che ha visto soprattutto protagonisti gli Stati
uniti e la Comunità europea, ciascuno con le sue armi e le sue strategie,
ma che è stato animato anche dai conflitti commerciali con altri paesi
esportatori, quali il Canadà, l'Australia, la Nuova zelanda senza rispar-
miare molti paesi in via di sviluppo. A ciò si aggiunga anche il fatto che
tutti i tentativi d'organizzazione, di stabilizzazione e di regolarizzazione
dei mercati a livello mondiale sono finora falliti, come sono falliti i
tentativi di concertazione tra i grandi paesi esportatori.
Queste difficoltà, che sono peraltro sopraggiunte in un periodo in cui
più acuto si è fatto il bisogno di controllare l'utilizzo e l'efficacia della
spesa pubblica, hanno indotto i governi di molti paesi a cercare i mezzi
per adattare le loro politiche agricole al nuovo contesto interno ed inter-
nazionale. Anche se con strumenti diversi e con risultati disparati gli
obiettivi perseguiti sono praticamente gli stessi: assicurare un livello
adeguato di reddito ai produttori agricoli, frenare l'evoluzione della
spesa agricola, contribuire al risanamento dei mercati mondiali e al
miglioramento delle relazioni economiche intenazionali.
Il controllo, diretto o indiretto, dell'offerta agricola è apparso a molti
governi come la soluzione a breve termine più efficace e politicamente più
accettabile al problema delle eccedenze agricole , in alternativa alla solu-
zione politicamente più difficile da praticare, che avrebbe consistito in
una drastica riduzione dei prezzi di sostegno dei prodotti agricoli per
ristabilire un equilibrio della domanda e dell'offerta. [n molti casi,
tuttavia, questo risultato è stato perseguito diluendo su più misure con-
vergenti e concomitanti l'impatto di una politica restrittiva dei prezzi
agricoli. Benché non siano mancate le misure di sostegno della domanda e
la ricerca di nuovi sbocchi alla produzione, è tuttavia apparso chiaro che
non è certo dal lato della domanda che è possibile ristabilire un equilibrio
duraturo dei mercati agricoli. Mentre nel corso degli anni settanta - un

181
periodo, come si è visto, di forte espansione della produzione e degli
scambi il ricorso a misure di controllo dell'offerta era piuttosto raro e
limitato nel tempo nella panoplia degli strumenti delle politiche agricole,
durante gli anni ottanta si è assistito alla moltiplicazione e alla generaliz-
zazione di tali misure, i cui effetti cominciano a farsi sentire sui livelli
della produzione e della formazione delle eccedenze.

Gli strumenti messi in atto - Fra gli strumenti di controllo dell'offer-


ta agricola il più drastico è certamente quello delle quote dì produzione.
Nella Ce questo meccanismo è applicato fin dall'inizio degli anni settanta
nel settore dello zucchero, ma è stato rafforzato a più riprese nella prima
metà degli anni ottanta. A partire dall'aprile 1984, un sistema di quote di
produzione è stato introdotto anche nel settore lattiero-caseario allo
scopo di interrompere l'allucinante progressione della produzione di latte
e delle relative spese. Nei successivi due anni è stata stabilita una riduzio-
ne complessiva delle quote dell'ordine del 100/o, al fine di stabilizzare la
produzione di latte su livelli più consoni con i livelli dei consumi. Grazie
all'insieme di queste misure, rese peraltro più efficaci dall'applicazione di
severe sanzioni pecuniarie in caso di superamento delle quote, si stima che
nel periodo di applicazione di questo regime (1984-89), la riduzione
cumulata delle consegne di latte alle latterie, rispetto all'evoluzione ten-
denziale constatata nel periodo anteriore al 1984, si aggiri sui 100 milioni
di tonnellate, vale a dire praticamente l'intera produzione di un anno.
Al regime delle quote di produzione hanno fatto peraltro ricorso
anche altri paesi al fine di regolare l'offerta in taluni settori eccedentari o
che rischiavano di diventarlo (ad esempio, il Canadà per il latte, I' Austra-
lia per lo zucchero, il Giappone per il riso).
Alquanto diverso è stato invece l'approccio al problema del controllo
dell'offerta agricola negli Stati uniti, dove le misure assunte a questo fine
interessano pressocché esclusivamente le produzioni vegetali. Più che
agire direttamente sul volume della produzione, in questo caso si è infatti
preferito agire sul principale fattore di produzione in un'agricoltura
estensiva come quella americana, la superficie agricola, incoraggiandone
e sostenendone la messa fuori coltura almeno parziale. Non si è trattato
inoltre di un regime obbligatorio, come quello delle quote - latte nella
Ce, ma di un regime che in teoria implica una partecipazione volontaria
dei produttori, ma in pratica esercita un considerevole incentivo a "con-
gelare" le terre, dal momento che solo coloro che partecipano al pro-
gramma possono beneficiare di prestiti d'esercizio a tasso agevolato e
hanno diritto di conferire il prodotto all'intervento. Anche se, a consunti-
vo, il successo di questi programmi di messa fuori coltura in termini di
riduzione della produzione non è stato sempre all'altezza delle aspettati-

182
ve, è comunque significativo che in alcuni anni la superficie sottratta alla
agricoltura negli Usa sia superiore all'intera superficie a cereali della
Comunità a Dieci (circa 30 milioni di ettari).
Sistemi meno diretti di controllo dell'offerta sono quelli che si basano
su una politica restrittiva dei prezzi, come quella che è stata seguita nella
Ce negli ultimi anni (dal 1984 i prezzi di sostegno per la Comunità nel suo
insieme sono infatti diminuiti globalmente del 10% in termini reali).
Strumenti complementari di questa politica sono stati negli ultimi anni
una maggiore corresponsabilità finanziaria dei produttori, perseguita
attraverso una molteplicità di strumenti (tasse di corresponsabilità, ridu-
zione dei prezzi e degli aiuti in caso di superamento di certi livelli di
produzione, ccc.), e il progressivo ridimensionamento dello strumento
dell'intervento pubblico, in particolare nei settori dove esso aveva mag-
giormente incentivato la creazione di eccedenze (latte, carne bovina e
cereali).
Anche negli Stati uniti la politica dei prezzi ha assunto in questi ultimi
anni un ruolo più importante nella ricerca di una soluzione al problema
delle eccedenze agricole, soprattutto a seguito dell'adozione, alla fine del
1985, della nuova legge pluriennale agricola (Food Security Act) per il
periodo 1986-90. In questo contesto i target prices, vale a dire i prezzi
istituzionali che assicurano il sostegno dei redditi degli agricoltori, sono
stati congelati per il 1986 c il 1987 al livello del 1985 e potranno essere
ulteriormente ridotti negli anni successivi. Sono stati inoltre rafforzati e
resi più incentivanti i programmi per la messa fuori coltura delle superfici
agricole. Queste misure, che secondo le prime stime dovrebbero provoca-
re una riduzione della produzione del 20Jo l'anno, sono state tuttavia
accompagnate da un'altra misura che, paradossalmente ma anche inten-
zionalmente, ha avuto come effetto di destabilizzare ulteriormente i
mercati internazionali, accrescendo peraltro vistosamente la spesa pub-
blica per 1' agricoltura. Si tratta delle conseguenze della drastica riduzione
del cosiddetto /oan rate che rappresenta di fatto il livello intorno a cui si
forma il prezzo sul mercato interno ma che, per la posizione dominante
che occupano gli Stati uniti sui mercati mondiali, determina anche il
livello dei prezzi internazionali di molte derrate alimentari. Per i cereali,
ad esempio, la riduzione del loan rate è stata di circa il 25% per la
campagna 1986-87: una caduta, questa, pressocché della stessa ampiezza
di quella che si riscontra per i prezzi all'esportazione sui mercati mondia-
li. Gli effetti negativi sui redditi dei produttori sono stati però neutralizza-
ti con un incremento proporzionale dei pagamenti diretti (deficiency
payments) ai produttori, destinati a compensare la differenza tra il loan
rate (o il prezzo di mercato) e il target price. L'obiettivo, tutt'altro che
dissimulato, di questa misura è quello di accrescere a spese dei propri

183
concorrenti diretti (e in primo luogo della Ce) la competitività della
produzione americana sul mercato mondiale, piuttosto compromessa
negli ultimi anni da alcuni fattori negativi e in primo luogo dalla forte
rivalutazione del dollaro. A tal fine è stato ugualmente rafforzato tutto
l'armamentario degli strumenti di sostegno delle esportazioni che gli Stati
uniti sono in grado di schierare. I risultati non si sono lasciati attendere:
incremento delle esportazioni americane, da una parte, e accresciute
difficoltà di collocamento e di bilancio per gli altri paesi esportatori, in
particolare per la Ce, dall'altra.
Anche se non si vedono ancora all'orizzonte delle relazioni commer-
ciali internazionali e dei mercati mondiali schiarite o mutamenti che
lascino prevedere a breve termine una modifica sostanziale della situazio-
ne, è tuttavia possibile che l'anno 1986-87 costituisca un punto di svolta
per la crisi mondiale dell 'agricoltura e per il progressivo aggiustamento
delle politiche agricole alla nuova realtà dei mercati interanzionali. Mai,
infatti, come in questo periodo l'agricoltura e la necessità di porre rime-
dio alle disfunzioni delle politiche agricole hanno fatto oggetto di tante
discussioni nelle sedi internazionali e sono state così al centro delle
preoccupazioni dei responsabili politici nella maggior parte dei paesi
industrializzati. Dei problemi degli scambi agricoli si è parlato al Vertice
di Tokio nel maggio 1986. Di agricoltura si è discusso nel giugno 1987 nel
Vertice di Venezia. L'agricoltura e le politiche agricole hanno fatto
oggetto di approfondite analisi da parte degli organismi internazionali
(Banca mondiale, Ocse, Fao, ccc.) ed è cresciuta la pressione dei paesi più
esposti alla crisi dei mercati mondiali , ivi compresi molti paesi in via di
sviluppo, per riannodare le fila di una concertazione internazionale ne-
cessaria per risanare una situazione divenuta impossibile, oltreché parti-
colarmente onerosa per tutti. II momento culminante di questo intenso
fiorire di iniziative e di proposte e, si spera, anche la prima tappa di una
nuova fase nelle relazioni commerciali internazionali, è rappresentato
dalla decisione, assunta il 20 settembre 1986 dalle 92 nazioni che hanno
partecipato alla conferenza di Punta del Este, di avviare un nuovo ciclo di
negoziati commerciali multilaterali in sede Gatt, l'Uruguay Round, un
ciclo di negoziati su cui tutti i partecipanti sembrano contare molto per
regolare i problemi che li assillano, ma che rischia di protrarsi per molti
anni, dal momento che i problemi degli scambi agricoli a livello mondiale
e le difficoltà di trovare delle soluzioni equilibrate per tutti i partecipanti
sono destinati ad assumere un ruolo centrale.

184
1.3. Il contenzioso Ce-Usa

In attesa che il nuovo round di negoziati multilaterali entri nel vivo


delle questioni, la credibilità del programma varato a Punta del Este e il
buon andamento delle relazioni commerciali bilaterali sono stati messi a
dura prova dalla virulenza con cui è riesploso su molti fronti, ed in
particolare sul fronte agricolo, il mai sopito contenzioso commerciale
Usa-Ce. L'aggravarsi del disavanzo della bilancia commerciale america-
na, la perdita di competitività delle esportazioni Usa sui mercati interna-
zionali dovuta in gran parte alla forte rivalutazione del dollaro, le pressio-
ni crescenti sul Congresso e sull'Amministrazione delle varie lobbies
agricole e industriali per l'adozione di misure protezionistiche hanno
riacceso le tensioni tra le due sponde dell'Atlantico e hanno rilanciato
l'offensiva delle autorità di Washington contro la Pac.
Certo, anche negli anni precedenti le relazioni commerciali euro-
americane erano state animate dai frequenti episodi della guerriglia com-
merciale condotta dall'Amministrazione Reagan e da intensi contatti
diplomatici per regolare il nutrito contenzioso bilaterale ed evitare un' e-
scalation delle misure protezionistiche e delle ritorsioni. Il 1985 si era
comunque chiuso con un promettente rasserenamento delle relazioni
Ce-Usa, sanzionato da un incontro ad alto livello tra la Commissione Ce e
il Governo americano. "Bisogna situare le divergenze nella prospettiva
delle nostre relazioni globali'' aveva affermato in tale occasione con tono
rassicurante il segretario di Stato George Shultz, il quale si era peraltro
dichiarato favorevole all'imminente ampliamento della Comunità a Spa-
gna e Portogallo anche se esso poneva agli americani "qualche problema
reale nel settore agricolo''. ''Un'Europa forte'' - aveva però ammesso a
questo proposito Shultz - "è vantaggiosa anche per gli Stati uniti".

Il contenzioso sull'ampliamento della Comunità - È proprio sul


fronte dell'ampliamento che Washington ha aperto di lì a poco le ostilità
contro la Pac, invocando dapprima la sospensione ed in seguito appro-
priate compensazioni per l'introduzione, a partire dal 1° marzo 1986, di
prelievi all'importazione di prodotti agricoli in Spagna e Portogallo in
seguito l'entrata in vigore della tariffa doganale della Ce e della Pac in
questi due paesi. Secondo le autorità americane, l'estensione ai due nuovi
paesi membri del regime all'importazione già in vigore nella Comunità a
Dieci avrebbe comportato in molti settori (ed in particolare in quello del
mais e del sorgo) un incremento della protezione alla frontiera rispetto
alla situazione precedente l'adesione, con grave pregiudizio per i produt-
tori americani che rischiavano di perdere un mercato valutato a diverse
centinaia di milioni di dollari.
Fin dall'indomani della comunicazione degli addebiti la Commissio-

185
ne Ce si è dichiarata disponibile ad un approfondito esame della questio-
ne tanto in sede Gatt quanto sul piano bilaterale. Per essa, tuttavia, i
supposti pregiudizi lamentati dagli americani andavano apprezzati alla
luce dei vantaggi globali, commerciali e politici, che gli Stati uniti traeva-
no dallo smantellamento tariffario generalizzato che i due nuovi paesi
membri avrebbero situato a seguito della loro adesione alla Comunità.
Seguendo una tattica ormai sperimentata anche in altre occasioni, gli
Stati uniti hanno tuttavia preferito ignorare per quanto possibile l'idea di
un negoziato del genere in sede Gatt sulle conseguenze dell'ampliamento
preferendo la strada, considerata più vantaggiosa sul piano negoziale del
confronto diretto con la Comunità sui problemi agricoli specifici da essi
sollevati. Per arrivare al negoziato da una posizione di forza le autorità
americane hanno peraltro messo in atto nel maggio 1986 una serie di
misure restrittive all'importazione (di effetto comunque piuttosto limita-
to) di taluni prodotti agricoli e alimentari (cioccolato, birra, vino bianco,
ecc.), minacciando tuttavia di passare a misure ancora più incisive su
prodotti più ''sensibili'' (come il prosciutto, i formaggi, il cognac, ecc.) se
entro il 1° luglio non si fosse giunti ad un accordo soddisfacente. La
Comunità, dal canto suo, deplorando l'iniziativa americana e preferendo
il dialogo alla guerra campale, ha assunto un atteggiamento fermo nei
propositi ma assai moderato nelle contromisure messe in atto o annuncia-
te.
Una tregua di sei mesi, in attesa di un regolamento definitivo del
contenzioso, è stata firmata il 2 luglio, con grande soddisfazione da
entrambe le parti. Essa dà soddisfazione agli americani in quanto la
Comunità ha assicurato l'importazione dagli Stati uniti di un quantitati-
vo prefissato di mais e altri prodotti per l'alimentazione animale (se
necessario riducendo il prelievo all'importazione per il quantitativo man-
cante). La Comunità tuttavia, ha ottenuto anch'essa una vittoria di non
poco conto, anzitutto sul piano di principio, in quanto la soluzione
adottata non mette in causa né i principi della Pac né l'atto di adesione di
Spagna e Portogallo, e in secondo luogo sul piano commerciale, in
quanto è stata riconosciuta 1a legittimità della tesi comunitaria di tener
conto non solo dei prodotti (mais e sorgo) il cui regime all'importazione è
stato modificato dal 1° marzo 1986 a svantaggio degli esportatori ameri-
cani, ma anche di quelli (come ad esempio il glutine di mais), per i quali
l'esportazione è diventata più vantaggiosa per gli americani. Sono stati
tuttavia necessari altri sette mesi di aspri negoziati, spesso sull'orlo della
rottura, e un ulteriore inasprimento delle relazioni commerciali bilaterali
per trovare una soluzione "pragmatica e politica", secondo l'espressione
usata dal capo della delegazione comunitaria, al contenzioso Usa-Ce
sull'ampliamento della Comunità. Le due parti sono invece restate in

186
completo disaccordo sull'interpretazione da dare alle disposizioni del
Gatt in questa materia. La clausola principale dell'accordo prevede che la
Comunità garantisca un livello minimo annuo di importazione dagli Stati
uniti a prelievo ridotto, pari a 2 milioni di tonnellate di granturco e a 300
mila tonnellate di sorgo, a destinazione della Spagna, e questo fino al 31
dicembre 1990. Una posta in gioco, questa, che può forse apparire
irrisoria alla luce dell'interscambio commerciale tra le due aree ma che
assume un rilievo particolare se si tiene conto della situazione eccedenta-
ria della Comunità in cereali e della necessità per gli Stati uniti di conser-
vare con ogni mezzo i propri mercati d'esportazione. Ciò spiega perché,
come afferma Malcolm Baldridge, segretario di Stato americano al Com-
mercio, "i conflitti che sorgono tra nazioni su questioni commerciali
sono oggi ancora più seri dei problemi di difesa militare o di quelli relativi
ad altre relazioni internazionali" 1 •

Il contenzioso agrumi-paste alimentari Un'altra fonte di tensione


tra le due sponde dell'Atlantico, che è al tempo stesso una controprova
del precario equilibrio su cui si reggono attualmente le relazioni commer-
ciali internazionali, è costitutio dall'annosa questione della preferenza
comunitaria ai prodotti mediterranei. All'origine di questo contenzioso
erano state le proteste degli Stati uniti contro le preferenze commerciali
che la Comunità accorda, nel quadro della propria politica di aiuto allo
sviluppo, ai paesi mediterranei, in particolare nel settore degli agrumi. In
seguito a tale controversia, gli Stati uniti avevano preso, a decorrere dal
1° novembre 1985, misure di rappresaglia nei confronti delle importazio-
ni di paste alimentari provenienti dalla Comunità (e soprattutto dall'Ita-
lia), consistenti in un considerevole aumento del dazio doganale america-
no, che dall' 1O/o è passato al 400/o per le paste e al 250/o per le paste
all'uovo. In risposta a tale decisione unilaterale, la Comunità era stata
obbligata ad adottare misure di ritorsione sulle proprie importazioni di
noci e di limoni provenienti dagli Stati uniti. I negoziati su questo spinoso
dossier si sono protratti per diversi mesi e si sono conclusi il 10 agosto
1986, allorché è stato raggiunto un accordo ''con riserva'' tra le due parti.
Con questo accordo gli Stati uniti hanno anzitutto tolto l'ipoteca politica
e commerciale che essi avevano messo sugli accordi conclusi tra la Comu-
nità e i paesi mediterranei. Per la prima volta, infatti, gli Stati uniti
riconoscevano che tali accordi "offrono delle possibilità importanti di
sviluppo economico e di stabilità politica" nella regione mediterranea e
accettavano di non contestarne più la compatibilità con le disposizioni del
Gatt. L'accordo prevede inoltre una serie di concessioni commerciali

1. The Times, 19 mag. 1987.

187
reciproche; sugli agrumi, le mandorle, le arachidi e i succhi d'arancio, a
favore degli Stati uniti; sui formaggi, e in particolare su quelli italiani,
sull'olio d'oliva, sulle olive da tavola e su qualche altro prodotto minore,
a favore della Comunità. Queste misure sarebbero entrate in vigore il l 0
luglio 1987, a condizione, tuttavia, che il Congresso e il Consiglio Ce le
avessero convalidate. Nel frattempo, i negoziati sarebbero continuati in
vista di trovare una soluzione soddisfacente sulle paste alimentari. Per
rasserenare ulteriormente le relazioni reciproche, il 21 agosto gli Stati
uniti e la Comunità hanno rispettivamente abrogato, in base a tale
accordo, l'aumento dei dazi percepiti dagli Stati uniti sulle importazioni
di paste alimentari provenienti dalla Comunità, e l'aumento dei dazi
percepiti dalla Comunità sui limoni e sulle noci provenienti dagli Stati
uniti.
Come si vede, mentre la vertenza sugli agrumi veniva definitivamente
risolta, per la questione delle paste alimentari veniva soltanto firmata una
tregua. Sul fronte europeo, questo progetto di accordo veniva peraltro
violentemente denunciato dalle organizzazioni professionali agricole,
rappresentate nel Comitato delle organizzazioni professionali agricole
della Ce (Copa) e nel Comitato generale della cooperazione agricola della
Ce (Cogeca). Da una parte infatti, sì lamentava che l'accordo aprisse una
nuova breccia al principio della preferenza comunitaria (dopo quella sui
cereali a destinazione della Spagna), proprio in un settore come quello
degli agrumi, già oggetto di concessioni tariffarie a scapito delle regioni
mediterranee della Comunità. Dall'altra si mettevano in guardia i respon-
sabili europei dal negoziare una qualsiasi riduzione delle restituzioni
all'esportazione sulle paste alimentari, in quanto ciò avrebbe comportato
non solo delle conseguenze commerciali dannose per gli esportatori co-
munitari ma anche un precedente pericoloso sul piano dei principi per un
altro dei pilastri della Pac.
Riserve sui termini dell'accordo hanno anche espresso le delegazioni
italiana, spagnola e greca, in sede di Consiglio dei ministri Ce, avendo
però di mira non tanto una messa in causa dell'accordo stesso quanto
invece la possibilità di ottenere adeguate compensazioni sul piano comu-
nitario per le conseguenze negative che ne sarebbero derivate per i loro
produttori.
Malgrado qualche limitata concessione in questo senso, il compro-
messo Ce-Usa è stato tuttavia adottato con il voto contrario della Spagna
e l'astensione della Grecia. La delegazione italiana, pur dichiarandosi
insoddisfatta, ha dato il suo consenso all'accordo, insistendo tuttavia
sulla necessità dì mettere rapidamente in esecuzione le misure per sostene-
re gli agrumi comunitari sui mercati dei paesi terzi, annunciate dalla
Commissione, e condizionando l'entrata in vigore dell'accordo alla solu-
zione definitiva del contenzioso sulle paste alimentari.

188
Si è tuttavia dovuto attendere ancora un anno perché si riuscisse a
chiudere anche questa controversia. L'accordo è stato infatti raggiunto il
7 agosto 1987 e comporta l'impegno della Comunità ad esportare il 50%
delle sue paste negli Stati uniti in regime di ''perfezionamento attivo'' (un
sistema, questo, che consente dì importare senza prelievo il frumento
duro e di esportare senza restituzione le paste alimentari che ne derivano)
e il restante 50% con una riduzione iniziale del 27,5% delle restituzioni
all'esportazione. Le parti hanno inoltre deciso di riesaminare il problema
della restituzione all'esportazione di paste alimentari nell'ambito dei
negoziati commerciali multilaterali dell'Uruguay Round.

2. Lo scenario comunitario

2.1. La riforma della politica agricola comune e il Piano Delors

I motivi ispiratori della riforma Parallelamente alla presa di co-


scienza a livello internazionale della necessità di una riforma delle politi-
che agricole è proseguito il processo di adattamento interno della_Fac e la
riflessione sugli obiettivi da perseguire e sugli strumenti più appropriati
cui fare ricorso. Il 1985 era stato, a questo riguardo, un anno particolar-
mente fruttuoso, tanto sul piano dell'analisi che su quello dell'elabora-
zione degli orientamenti a cui improntare la riforma della Pac. Questi
problemi avevano fatto oggetto, ad iniziativa della Commissione Ce, e
più particolarmente del responsabile del dossier agricolo in seno all'ese-
cutivo comunitario l'olandese Franz Andriessen, di una riflessione ad
ampio raggio che aveva coinvolto non solo le altre istituzioni comunitarie
ma anche le organizzazioni professionali, agricole e non agricole, e tutti
gli altri possibili interlocutori a livello nazionale e comunitario. Punto di
partenza era stato il famoso "Libro verde" della Commissione sulle
prospettive della Pac2 • Punto dì arrivo di questa riflessione, che aveva
occupato praticamente tutto l'arco dell'anno, era stato un nuovo docu-
mento, presentato in dicembre dalla Commissione3 , in cui essa enunciava
i grandi orientamenti sugli sviluppi futuri della Pace definiva la strategia
a breve e a medio termine per risanare la situazione dei mercati agricoli,
evitando al tempo stesso di creare problemi di reddito socialmente e
politicamente inaccettabili per gli agricoltori strutturalmente più deboli.

2. Com(85)333 def.; cfr. L'Italia nella politica internazionale: 1985-1986, Franco


Angeli, Milano, 1988, pp. 511 e ss.
3. Com(85)750 def.; del 18 dic. 1985; cfr. L'Italia nella politica internazionale: 1985-
1986, cit., pp. 538 e ss.

189
Questi orientamenti avevano già trovato una prima, concreta tradu-
zione operativa, per quanto riguarda la politica dei prezzi e dei mercati,
nelle decisioni assunte a fine aprile 1986 dai ministri deU 'Agricoltura nel
quadro del negoziato annuale sui prezzi agricoli 4 • Sul fronte della politica
socio-strutturale, la Commissione aveva peraltro proposto, nello stesso
mese di aprile e conformemente agli orientamenti annunciati a seguito
delle consultazioni sul "Libro verde", un insieme di misure concrete
intese a coadiuvare gli imprenditori agricoli nel processo di adeguamento
alle nuove realtà dei mercati, contribuire ad un migliore equilibrio tra
l'offerta e la domanda, incoraggiare la cessazione anticipata dall'attività
agricola degli agricoltori più anziani, ma salvaguardare al tempo stesso la
protezione dell'ambiente e il mantenimento dello spazio rurale.
Questi progressi sul piano della revisione della Pac hanno peraltro
coinciso, e certamente non a caso, con gli sforzi effettuati nelle varie sedi
istituzionali per rilanciare la dinamica comunitaria e rafforzare la coesio-
ne economica e sociale all'interno della Comunità. Due avvenimenti
hanno principalmente contribuito nel corso del 1986 ad affermare questa
esigenza: l'ampliamento della Comunità a Spagna e Portogallo e la firma
del cosidetto Atto unico europeo. Con l'adesione della Spagna e del
Portogallo la Comunità ha non solo accresciuto il suo potenziale produt-
tivo e il suo peso demografico, ma ha anche affermato la volontà di
proseguire sulla via verso l'Unione europea e ha rafforzato il suo ruolo
sulla scena mondiale. Questo ulteriore ampliamento della Comunità ha
tuttavia accentuato le disparità territoriali e settoriali, già marcate nella
Comunità a Dieci, ed ha portato alla luce del sole l'insufficienza e le
carenze delle politiche comuni messe finora in atto e la necessità di
rinnovare le prassi istituzionali della Comunità.
A questo riguardo, la firma dell'Atto unico europeo e la successiva
ratifica negli Stati membri nel corso del 1986 segna una tappa importante
nel processo di integrazione europea. Essa ha, in effetti, sanzionato la
volontà dei Dodici di realizzare un 'Europa senza frontiere interne entro il
1992 e di rafforzare la coesione all'interno della Comunità, grazie ad una
maggiore convergenza fra le diverse economie, ad un migliore funziona-
mento dei fondi strutturali, allo sviluppo della politica sociale e al varo di
una politica comune di ricerca e di sviluppo tecnologico.
Al di là tuttavia di questi significativi progressi, le potenzialità di
sviluppo della Comunità sono state di fatto frustrate dall'acuirsi della
crisi finanziaria della Comunità, solo in apparenza temperata dall'innal-
zamento del massimale delle risorse proprie dal!' 1 all' 1,4% dell'imponi-
bile Iva a partire dal 1986. In realtà, com'era prevedibile, in considerazio-

4. Cfr. L'Italia nella politica internazionale: 1985-1986, cit ., pp. 550 e ss.

190
ne soprattutto dell'ampliamento della Comunità, della messa in atto dei
meccanismi di compensazione degli "squilibri di bilancio" di taluni Stati
membri nei confronti della Comunità, decisi a Fontainebleau nel giugno
1984, e della progressione delle spese agricole, è apparso chiaro fin
dall'inizio che le risorse supplementari per la Comunità erano già ampia-
mente esaurite al momento in cui esse erano state messe a sua disposizio-
ne. La situazione finanziaria della Comunità si è peraltro aggravata nel
corso del 1986 anche a causa della sensibile contrazione delle entrate
rispetto alle previsioni, dovuta essenzialmente alla caduta del tasso di
cambio del dollaro, sicché è stato necessario far ricorso a svariati espe-
dienti (ed in particolare al riporto all'esercizio successivo di un volume
non trascurabile di spese) per far quadrare il bilancio 1986.
Questo insieme di considerazioni e di preoccupazioni hanno alimenta-
to nella seconda metà del 1986 e nei primi mesi del 1987 un'ampia e
approfondita riflessione della Commissione, non solo per quanto riguar-
da la ricerca di soluzioni durevoli alla crisi finanziaria della Comunità,
ma anche e soprattutto per definire la strategia d'insieme capace di
"portare l'Atto unico al successo", come si intitola il documento conclu-
sivo di questa riflessione5 •
In questo contesto, il proseguimento e il completamento della riforma
della Pac assumono un ruolo centrale, non solo per il eontributo che essa
può dare al risanamento delle finanze comunitarie, ma anche in vista
dell'obiettivo del rafforzamento della coesione comunitaria e del perse-
guimento delle altre ambizioni che l'Atto unico ha assegnato alla Comu-
nità.
Le motivazioni della riforma della Pac assumono così una dimensione
che non è solo economica e finanziaria ma che è anche politica e istituzio-
nale; ancora una volta il progresso dell'integrazione europea passa per il
crocevia della Pac e ne condiziona il suo sviluppo, se non si vuole che
questa ne intralci ed ostacoli il cammino o, quanto meno, se si vuole
evitare che la mancata riforma della Pac costituisca l'alibi per quanti
esitassero ad impegnarsi sulla strada tracciata dall'Atto unico.
La riforma come condizione del successo dell'Atto unico - "Più
coesione , più disciplina, più dinamismo": è a questi tre criteri molto
semplici che si è ispirata la Commissione nell'elaborazione delle sue
proposte d'insieme sulle condizioni necessarie per il successo dell'Atto
unito e sulle riforme da attuare pregiudizialmente in vista di questo
obiettivo6 •

5. Commissione Ce, "Portare l'Atto unico al successo; una nuova frontiera per l'Euro-
pa", Bollettino delle Comunità europee, suppi., I, 1987.
6. Commissione Ce, "Portare l'Atto unico al successo ... ", cit.

191
''Che si tratti della Pac, delle politiche strutturali, del regime finanzia-
rio - ha affermato il presidente della Commissione Jacques Delors, nel
presentare al Parlamento europeo nel febbraio 1987 le idee della Com-
missione a questo proposito - occorre scegliere tra una vaga zona di
libero scambio comportante alcuni trasferimenti finanziari ed un reale
spazio economico, condizione della forza dell'Europa, condizione del-
l'Unione europea, ricordata solennemente nel preambolo dell'Atto uni-
co".
Al primo posto, fra le riforme da attuare, quale condizione essenziale
per il successo dell'Atto unico, la Commissione pone proprio la Pac, vale
a dire la politica comune finanziariamente più onerosa e quella in cui più
spinto è stato il processo d'integrazione a livello comunitario. In questo
campo, la Commissione afferma, in primo luogo, la necessità di prose-
guire la riforma in atto dal 1985 mediante una politica restrittiva dei
prezzi, una maggiore flessibilità delle garanzie e dei meccanismi d'inter-
vento, un rafforzamento della corresponsabilità dei produttori e una
politica di qualità. "In generale - conclude la Commissione si tratta
di indurre gradualmente gli agricoltori ad assumere una maggiore respon-
sabilità nelle loro scelte dì produzione e nella ricerca dì sbocchi non
sovvenzionati".
La parte più qualificante del capitolo agricolo è tuttavia quella relati-
va alle misure di accompagnamento che si rendono necessarie per soste-
nere il processo di adattamento dell'agricoltura, in particolare per quanto
riguarda le aziende strutturalmente più deboli, in aggiunta a quelle già
messe in atto negli ultimi anni (aiuti ai piccoli produttori, diversificazione
delle misure di mercato, azioni socio-strutturali, ecc.). È in questo conte-
sto che la Commissione enuncia l'intenzione di completare gli strumenti
della Pac con il ricorso ad un sistema comunitario di sostegno diretto dei
redditi degli agricoltori più colpiti dalla riforma della Pac. Tale regime
avrebbe tuttavia dovuto essere accompagnato da un rafforzamento della
disciplina per quanto riguarda gli aiuti nazionali all'agricoltura, per
impedire una progressiva rinazionalizzazione della politica agricola in
una fase particolarmente difficile per gli agricoltori in tutti gli stati
membri.
''La combinazione delle misure previste sostiene la Commissione
- si concretizza in un'azione comunitaria più equilibrata e meglio artico-
lata fra sostegno dei mercati e sostegno dei redditi. Questa migliore
articolazione dovrà consentire di ottenere effetti più equi per le varie
categorie di agricoltori. In tal senso, essa rappresenta un contributo
considerevole alla coesione sociale ed economica della Comunità".
Alla realizzazione di questi obiettivi dovrebbe peraltro contribuire
anche la riforma dei fondi strutturali e in particolare quello del Feoga-

192
orientamento, ispirata a due criteri essenziali: concentrazione dei mezzi e
delle azioni su cinque obiettivi-chiave (tra cui quello di "promuovere un
più rapido adattamento delle strutture di produzione agricola e incorag-
giare uno sviluppo rurale conforme al modello europeo di società, in vista
della riforma della Pac") e un rafforzamento dei mezzj finanziari dispo-
nibili: a questo fine la Commissione propone che gli stanziamenti di
bilancio destinati ai fondi strutturali siano raddoppiati in termini reali
fino al 1992.
La terza condizione essenziale che la Commissione enuncia per tra-
durre in realtà l'Atto unico è la riforma del sistema di finanziamento
comunitario, necessario per dotare la Comunità di un sistema di risorse
proprie "sufficienti, stabili e garantite".
Nel momento, però, in cui la Commissione chiedeva nuovi mezzi
finanziari agli Stati membri, affermava ugualmente la necessità di rende-
re più efficace mediante appropriate modifiche tecniche e istituzionali la
disciplina di bilancio preconizzata dai Consigli europei di Bruxelles e di
Pontainebieau al fine di limitare l'evoluzione della spesa, e più particolar-
mente della spesa agricola. Applicata per la prima volta al bilancio 1986,
tale disciplina era stata finora di fatto inoperante e ciò per vari motivi,
alcuni congiunturali e connessi principalmente con l'aumento della spesa
agricola derivante dal calo del dollaro e dal crollo dei prezzi sui mercati
agricoli mondiali, altri di carattere più strutturale e istituzionale (con-
tradditorietà tra le decisioni dei ministri dell'Agricoltura e quelli delle
Finanze, insufficiente coinvolgimento del Parlamento fin dall'inizio del-
la procedura, ecc.).
Per guanto riguarda, appunto, la spesa agricola, principale responsa-
bile del fallimento della disciplina di bilancio, la Commissione ribadiva
anzitutto il principio che le spese annuali destinate alla gestione dei
mercati agricoli non dovessero aumentare più rapidamente della base
delle risorse proprie. Per rendere operante questo principio, la Commis-
sione affermava la necessità che i regolamenti intesi a garantire durevol-
mente il contenimento della produzione fossero completati dall'introdu-
zione di dispositivi di stabilizzazione della spesa, in aggiunta a quelli
esistenti o già proposti, che dovrebbero funzionare in modo vincolante e
addirittura automatico per evitare ogni superamento degli stanziamenti
di bilancio previsti. Ove tale rischio si fosse presentato la Commissione
avrebbe proposto al Consiglio i dispositivi di stabilizzazione necessari e il
Consiglio sarebbe stato tenuto a deliberare in merito a tali proposte entro
scadenze vincolanti e assai ravvicinate.
È intorno a questo complesso di misure e di riforme, immediatamente
o successivamente tradotte in una serie di proposte concrete, che è ruota-
to nel 1987 il dibattito politico e istituzionale a livello comunitario senza

193
però arrivare sulla maggior parte delle proposte della Commissione ad
alcuna decisione. Ciononostante è proseguito nel periodo in esame il
processo dì riforma della Pac sulle direttrici enunciate nel documento
della Commissione, ed è proprio su questo fronte che sono stati realizzati
progressi sostanziali, anche se considerati ancora insufficienti per risana-
re la situazione dei mercati agricoli, stabilizzare la spesa agricola e toglie-
re l'ipoteca agricola dal dibattito sui grandi temi che condizionano l'av-
venire della Comunità.

2.2. L 'acccordo del 16 dicembre 1986 sul latte e la carne bovina


L'importanza politica dell'accordo Il 16 dicembre 1986, dopo
alcuni mesi di intense discussioni e una "maratona" negoziale durata
quasi una settimana, i ministri dell'Agricoltura dei Dodici sono pervenuti
ad un accordo su un insieme di riforme fondamentali delle organizzazioni
comuni di mercato nel settore lattiero-caseario e in quello della carne
bovina. Questo accordo politico, che ha comunque avuto bisogno di
quasi altri tre mesi di discussioni tecniche e politiche per essere tradotto in
termini normativi, costituisce senza dubbio uno dei più importanti svi-
luppi dall'inizio della Pac. Molti osservatori, in effetti, non hanno esitato
a definirlo addirittura "storico'' per la portata fortemente innovativa e di
rottura con quasi venti anni di Pac. Esso sancisce, in effetti, la fine o
quanto meno un drastico ridimensionamento dell'intervento illimitato e
permanente in due settori-chiave dell'agricoltura europea, il latte e la
carne bovina, che aveva costituito per tanti anni uno dei pilastri fonda-
mentali della Pac ed uno dei principali incentivi all'aumento della produ-
zione. Anche se la possibilità di ricorrere agli organismi di intervento non
è del tutto eliminata, questo accordo ha aperto comunque una breccia di
vaste dimensioni e di grande importanza politica in quello che per lungo
tempo è stato considerato da molti produttori come l'ombrello della
garanzia incondizionata dì acquisto, ad un prezzo remunerativo, delle
eccedenze produttive che non trovavano collocamento sul mercato da
parte degli organismi pubblici preposti a questo fine.
Ma la portata di questo accordo, che corona gli sforzi della Commis-
sione e quelli della presidenza di turno del Consiglio agricolo, assicurata
dall'inglese Michael Jopling, per frenare l'evoluzione della produzione e
delle spese agricole, non si limita al solo ridimensionamento del ruolo
dell'intervento nella gestione dei mercati agricoli. L'accordo, prevede
anche una sostanziale riduzione delle quote di produzione applicate nel
settore del latte che unitamente alle decisioni già assunte a questo riguar-
do nell'aprile 19867, comporteranno una riduzione entro due anni di

7. Cfr. L'Italia nella politica internazionale: 1985-1986, cit., pp. 556 e ss.

194
quasi il 10% della produzione di latte nella Ce e quindi il ravvicinamento,
a termine, verso un migliore equilibrio del mercato in questo settore. Si
aggiunga a tutto questo che il Consiglio agricolo è pervenuto di lì a poco
ad un accordo sul varo di un importante programma di smaltimento dei
vecchi stocks di burro e quindi ad una sensibile contrazione, con grande
sollievo dei mercati e a termine anche del bilancio comunitario, di quello
che è abitualmente chiamato il "peso del passato". Nel settore della carne
bovina, peraltro, le restrizioni del regime d'intervento sono state accom-
pagnate dall'introduzione di un aiuto a favore dei produttori in propor-
zione al numero dei capi di bestiame posseduto (ma entro il limite
massimo di 50 capi), che dovrebbe limitare gli effetti negativi sul redddito
derivanti dalla limitazione dell'intervento. Vale la pena, perciò, esamina-
re più in dettaglio come si è giunti a queste decisioni e quali conseguenze
esse hanno per l'agricoltura europea e italiana in particolare.

Le restrizioni nel settore lattiero-caseario Da quando, nell'aprile


1984, il settore lattiero-caseario era stato sottoposto ad un severo contin-
gentamento della produzione, con penalità suscettibili di raggiungere
anche il 100% del prezzo indicativo in caso di superamento delle quote, la
produzione comunitaria aveva subito, in questo settore, un calo sensibile.
Dai 103,8 milioni di tonnellate di latte consegnato alle latterie nel 1983
l'anno precedente l'introduzione delle quote di produzione, si è scesi
infatti a 101,4 milioni di tonnellate nel 1984 e a 99,8 milioni di tonnellate
nel 1985. Anche se nel 1986 si è registrato di nuovo un leggero incremento
sulle consegne, con un volume pari a 101,3 milioni, resta il fatto che
questo livello è pur sempre inferiore di circa 12 milioni di tonnellate a
quello che si sarebbe avuto se la tendenza osservata prima del 1984 si fosse
protratta negli anni successivi. Conformemente agli obiettivi perseguiti,
si può dunque constatare che il regime delle quote di produzione è riuscito
ad arrestare e addirittura a invertire la tendenza alla crescita continua
della produzione lattiero- casearia, che era stata fonte di gravi preoccupa-
zioni politiche e finanziarie negli ultimi dieci anni.
Al di là, tuttavia di questa rassicurante costatazione, la situazione del
settore lattiero-caseario ha continuato a destare nel 1986 le più vive
apprensioni degli organismi comunitari, e in particolare quelle della
Commissione Ce, e ciò essenzialmente per tre ordini di ragioni: a. anzitut-
to perché i progressi realizzati sul piano del controllo della produzione
non potevano far perdere di vista che il settore lattiero-caseario restava
un settore ancora di gran lunga strutturalmente eccedentario. Nel 1985 il
surplus produttivo aveva superato i 12 milioni di tonnellate, malgrado il
fatto che quasi un terzo del burro e il 950"/o del latte scremato in polvere
consumati all'interno della Comunità avessero beneficiato di sovvenzioni

195
pubbliche; b. in secondo luogo perché dopo due anni di flessione produt-
tiva, le prime tendenze per la nuova campagna lasciavano apparire una
ripresa della produzione, incoraggiata tanto da un miglioramento della
redditività del settore che dalla perdita di efficacia del regime delle quote,
a seguito dei numerosi adattamenti apportati al regime iniziale; c. infine,
perché, dopo un promettente calo delle quantità conferite all'intervento,
il livello degli stocks aveva di nuovo ripreso a salire superando a fine
agosto 1986, il milione di tonnellate per il latte scremato in polvere e il
milione e mezzo di tonnellate per il burro. E questo malgrado il fatto che
la Commissione avesse messo in atto una serie eccezionale di misure per lo
smaltimento delle vecchie scorte di burro e di polvere di latte, il cui costo
per il bilancio comunitario era grosso modo equivalente a quello della
distruzione del prodotto.
È alla luce di queste considerazioni e mossa da queste preoccupazioni
che la Commissione ha presentato, all'inizio di settembre del 1986, una
serie di "misure urgenti" nel settore lattiero-caseario, finalizzate a due
obiettivi considerati essenziali per la sopravvivenza stessa della Pac: 1.
rafforzare l'efficacia del regime delle quote di produzione; 2. scoraggiare
il ricorso eccessivo all'intervento. Per quanto riguarda il primo obiettivo,
la Commissione si asteneva per il momento dal proporre una ulteriore
riduzione delle quote di produzione, dopo quelle, già decise in maggio
pari al 2% a partire dal 1° aprile 1987 e all' 1% supplementare a partire
dal 1° aprile 1988. Essa proponeva, invece, di ritornare ad una concezio-
ne più rigorosa del regime delle quote, abrogando le disposizioni che
erano state introdotte negli ultimi due anni dai ministri dell'Agricoltura
per attenuare l'impatto delle quote (ed in particolare la disposizione che
prevedeva la possibilità di compensazioni interregionali tra produttori
che superano la rispettiva quota e quelli che invece non la raggiungono).
Per quanto riguarda, d'altra parte, il regime d'intervento, la Commis-
sione chiedeva di poter sospendere temporaneamente e "in circostanze
eccezionali" gli acquisti di burro da parte degli organismi di intervento.
Per il latte in polvere, inoltre, la Commissione proponeva di sospendere
d'ufficio l'intervento nel periodo estivo (dal 1° aprile al 30 settembre) e
chiedeva di poterlo sospendere eccezionalmente anche nel periodo inver-
nale. Sistemi alternativi di sostegno del mercato erano previsti nel caso di
sospensione dell'intervento.
Anche se la maggior parte di queste misure erano già affiorate durante
l'estate nel corso dei lavori preparatori, si comprende facilmente come le
proposte della Commissione abbiano avuto l'effetto di un tuono alla fine
della stagione estiva. Per la prima volta la Commissione osava infatti
infrangere il ''sacro'' principio dell'intervento illimitato e incondizionato
e per di più in un settore sottoposto al più severo regime di controllo della

196
produzione, quello delle quote. In un comunicato emesso all'indomani
della presentazione delle proposte della Commissione, il Capa ha vigoro-
samente protestato contro di esse, ed in particolare contro le misure di
limitazione dell'intervento, suscettibili di avere "conseguenze catastrofi-
che suJla tenuta e la gestione del mercato, le attività commerciali e il
reddito dei produttori".
I ministri dell'Agricoltura, riuniti di lì a poco, hanno invece ricono-
sciuto la fondatezza dell'analisi della situazione fatta dalla Commissione
e hanno convenuto con essa sulla necessità di prendere misure urgenti nel
settore lattiero-caseario. Molti di essi hanno tuttavia espresso riserve
fondamentali sulle due principali misure proposte: la sospensione dell'in-
tervento e la soppressione delle compensazioni interregionali. Favorevole
alle proposte della Commissione si è invece dichiarata la delegazione
italiana (insieme a quelle greca, portoghese, britannica e olandese): ciò
soprattutto perché le misure proposte non avrebbero avuto alcun effetto
concreto nella realtà italiana, dove il ricorso all'intervento per il burro e la
polvere di latte è praticamente inesistente. 11 ministro Pandolfi ha tutta-
via espresso delle riserve sull'ipotesi di una riduzione supplementare
anche per l'Italia delle quote di produzione, annunciata dalla Commis-
sione nel corso delle discussioni, dichiarandosi invece favorevole ad un
approccio volontarista, basato su dei premi alla riconversione. Quello
che il ministro italiano dell'Agricoltura voleva soprattutto evitare, con
questa proposta, era essenzialmente l'impopolarità di dover annunciare
un 'ulteriore riduzione obbligatoria delle quote di produzione in un paese
come l'Italia che non solo non contribuisce direttamente alla creazione
delle eccedenze lattiero-casearie ma è addirittura deficitario in questo
settore e che, ciò malgrado, aveva dovuto sottoporsi al regime delle quote
introdotto nel 1984 in questo settore. A metà novembre la Commissione
ha peraltro ulteriormente approfondito la manovra rivolta a rafforzare
l'efficacia del regime delle quote proponendo una serie complementare di
misure (riduzione delle quote, rafforzamento del carattere dissuasivo del
regime, ecc.), con l'obiettivo di pervenire entro due anni - tenuto conto
anche delle misure già adottate in precedenza - ad una riduzione della
produzione di latte nella Ce del 9,50/o (equivalente, grosso modo, all'ecce-
denza di produzione, al netto delle esportazioni). È proprio questo spo-
stamento dell'asse del pacchetto di misure proposte dalla Commissione,
dalla limitazione dell'intervento verso la riduzione delle quote di produ-
zione, che ha suscitato le riserve della delegazione italiana e delle princi-
pali organizzazioni agricole nel nostro paese.
''Siamo davanti a un paradosso - ha osservato a questo proposito il
ministro Pandolfi - la Commissione Ce aveva fatto proposte che tende-
vano a colpire le eccedenze alla radice, con una riforma di meccanismi

197
d'intervento; proprio in questo momento, invece, abbiamo un ritorno a
meccanismi arcaici, scarsamente efficaci e difficilmente amministrabili,
quali le quote individuali di produzione. La posizione italiana - ha
continuato Pandolfi - è stata espressa in maniera secca, senza sfumatu-
re, attraverso tre richieste: 1. che si ritorni alle proposte originali della
Commissione, le soli capaci di ridurre le eccedenze dove si formano; 2.
che, se si vuole una riduzione lineare, si escluda l'Italia, che contribuisce
allo smaltimento delle eccedenze da una parte aumentando le importazio-
ni dagli altri paesi, dall'altra riducendo il suo tasso di autosufficienza; 3.
che si passi da una finanza di sussidio ad una finanza di riconversione,
come è accaduto nell'ultimo anno in Italia con l'abbattimento di 91 mila
vacche da latte, con un costo di 120 miliardi di lire' ' 8 •
A rafforzare la posizione negoziale della nostra delegazione ha peral-
tro contribuito anche il fatto che, dopo l'adesione della Spagna e del
Portogallo, essa si è trovata spesso a capeggiare una ''minoranza di
bloccaggio", formata dai paesi mediterranei della Comunità, capace di
condizionare ogni decisione in seno al Consiglio. Sta di fatto che la
Commissione - ed il Consiglio dei ministri nel suo insieme - non ha
voluto o non ha potuto limitarsi a manovrare unicamente il volume
dell'intervento né ha potuto escludere l'Italia dalla sforzo congiunto per
una riduzione consistente della produzione. Il ministro Pandolfi è co-
munque riuscito ad imporre, almeno per quanto riguarda l'Italia, la
soluzione della "finanza di riconversione" invece di quella che egli ha
chiamato "finanza di sussidio". Per comprendere cosa significhi questo
risultato, che in Italia è stato esaltato da molti come un importante
successo della delegazione italiana, occorre ricordare brevemente le deci-
sioni del Consiglio su questo dossier. Per quanto riguarda la limitazione
dell'intervento, sono state sostanzialmente accolte (con qualche modifica
minore) le proposte della Commisione sulla sospensione dell'intervento
per il latte in polvere e per il burro. Per quanto riguarda, invece, il
rafforzamento del regime delle quote e la riduzione delle quote stesse, il
Consiglio ha accolto solo in parte le proposte iniziali della Commissione,
introducendo tuttavia, in alternativa alle misure rigettate ed in particola-
re alla riduzione definitiva delle quote, una misura di effetto equivalente
definita "sospensione temporanea delle quote di produzione", che di
fatto consiste nella perdita temporanea del diritto a produrre (di fatto, a
consegnare il latte alle latterie) per un importo pari al 5,5% delle quote in
vigore su due anni. Questo risultato si ottiene, in generale, con la soppres-
sione delle vacche da latte. In compenso il Feoga accorderà per due anni
un compenso pari a 100 Ecu per ogni quintale di latte prodotto in meno,

8. La Stampa, 19 nov. 1986.

198
con la possibilità di beneficiare per una parte della riduzione, in alternati-
va a questo aiuto, di una riduzione equivalente del prelievo di correspon-
sabilità in vigore in questo settore. È questo quello che il ministro Pandol-
fi ha chiamato la' 'finanza di sussidio". Che cosa ha ottenuto, invece, per
l'Italia? Il primo risultato, e forse quello che è stato più vistosamente, se
non unicamente ripreso nei commenti alla decisione, è che l'Italia è stata
in qualche modo esonerata dalle riduzioni (o ''sospensioni'') obbligatorie
delle quote latte imposte agli altri paesi. Ciò ha indotto qualche commen-
tatore a sostenere che "la tenace azione di Pandolfi ha fatto conseguire
all'Italia il riconoscimento del suo 'status' di paese deficitario di latte" 9 •
Non va tuttavia perso di vista che l'accordo raggiunto prevede comunque
che anche l'Italia si adegui agli obiettivi quantitativi fissati per gli altri
paesi attraverso il meccanismo della "sospensione" delle quote (vale a
dire una riduzione, in due anni, del 5,5% della produzione). Al contrario,
tuttavia, degli altri paesi, dove tale riduzione è obbligatoria (e finanziata
dal Feoga) l'Italia ha ottenuto di poter raggiungere questo obiettivo
mediante il regime di cessazione volontaria della produzione messo in
atto nel nostro come in altri paesi negli anni precedenti, e quindi con le
risorse del bilancio nazionale.

La riforma dell'organizzazione di mercato della carne bovina - Era


stato nel dicembre del 1985, in concomitanza con la presentazione degli
orientamenti generali che scaturivano dalle consultazioni sul "Libro
verde", che la Commissione aveva trasmesso al Consiglio un memoran-
dum sulla riforma dell'organizzazione di mercato delle carni bovine 10 •
Nel febbraio 1986, nel contesto delle proposte-prezzi per la campagna
1987-88 la Commissione aveva presentato due proposte di regolamento
che davano corpo agli orientamenti enunciati nel memorandum citato 11 •
Col primo, la Commissione proponeva una riduzione progressiva, du-
rante un periodo transitorio di due anni, della possibilità di ricorrere
all'intervento nel settore della carne bovina. A partire dal 30 novembre
1987 l'intervento pubblico non sarebbe stato utilizzato che per far fronte
a delle situazioni eccezionali e non sarebbe stato più una misura di
gestione corrente del mercato . Col secondo regolamento, la Commissio-
ne, per compensare l'effetto sul reddito dell'adattamento del regime di
intervento, proponeva di instaurare un regime di premio unico per i
produttori specializzati di carne bovina per i primi 50 capi e la soppressio-
ne contemporanea del cosiddetto ''premio alla vacca nutrice'' in vigore in

9. li Tempo, 18 dic. 1986.


10. L'Italia nella politica internazionale: 1985-1986, cit., pp. 542 e ss .
11. Com (86) 31 def.

199
alcuni paesi. Il carattere fortemente innovativo di queste proposte (sop-
pressione a termine dell'intervento e aiuto relativamente più vantaggioso
per i piccoli produttori), da una parte, e l'esitazione di molte delegazioni
di fronte alle proposte della Commissione originata in parte anche da una
divergenza di vedute sull'evoluzione prevedibile del mercato, dall'altra,
avevano impedito che si arrivasse ad un accordo su queste proposte in
occasione delle decisioni dell'aprile 1986 sui prezzi agricoli e sulle misure
connesse per la campagna 1987-88. In tale circostanza, il Consiglio si era
tuttavia impegnato a decidere prima della fine dell'anno. Per mantenere
una pressione sui ministri dell'Agricoltura, la Commissione si era peral-
tro battuta per prorogare solo fino al 31 dicembre 1986 i diversi regimi di
premio in vigore in questo settore.
Le discussioni in seno al Consiglio riprese dopo l'estate, non avevano
però fatto registrare sensibili progressi, in particolare per quanto riguar-
da la soppressione dell'intervento. La maggior parte delle delegazioni
avevano tuttavia espresso un giudizio in linea di massima favorevole ad
una proposta presentata dalla delegazione francese che mirava a mante-
nere l'intervento ma accettando che il prezzo d'intervento (quello pagato
a chi conferiva la carne bovina all'intervento) fosse fissato intorno al
prezzo di mercato, cioè ad un livello che era stato negli ultimi tempi
inferiore di quasi il 150Jo al prezzo d'intervento. Questa soluzione avrebbe
consentito di realizzare notevoli economie di bilancio, senza che fosse
necessario smantellare totalmente il regime dell'intervento, considerato
indispensabile sostegno del mercato da molte delegazioni. Inoltre, ciò
garantiva un innalzamento progressivo del prezzo garantito al produttore
ove il mercato si fosse ristabilito.
È in questa direzione che si è mossa la Commissione, a metà novem-
bre, onde consentire di accelerare una decisione del Consiglio nell'ultimo
scorcio del 1986. Da una parte, essa ha infatti proposto di "aprire"
l'intervento quando il prezzo di mercato scendeva al di sotto di certe
soglie. Dall'altra, ha proposto di procedere a una drastica riduzione del
prezzo garantito al produttore che ricorreva all'intervento. Questa pro-
posta non ha comunque suscitato molto entusiasmo fra le varie delega-
zioni. Ivi compresa quella francese che pure l'aveva ispirata. L'Italia, dal
canto suo, si è dichiarata favorevole ad un regime di limitazione delle
quantità ammesse all'intervento, in alternativa alla proposta della Com-
missione.
È su questa nuova proposta della Commissione leggermente emenda-
ta in alcuni punti, che è stato raggiunto un accordo di principio il 16
dicembre 1986, contemporaneamente alle decisioni relative al settore
lattiero-caseario. La conseguenza principale di questo accordo, è che nel
settore della carne bovina non vi sarà più regime d'intervento permanente

200
e illimitato. Esso sarà tuttavia aperto dalla Commissione quando il
prezzo di mercato scende al di sotto di un certo livello (87% del prezzo
d'intervento per il paese in cui l'intervento è aperto) e sarà limitato a certe
qualità e a certe categorie di carni bovine. Inoltre il prezzo d'acquisto
all'intervento sarà leggermente superiore al prezzo medio di mercato (e
cioè di circa il 13-14% in meno rispetto al prezzo garantito per la campa-
gna 1985-86).
Contemporaneamente alla soppressione dell'intervento incondizio-
nato, è stato introdotto un regime di aiuto al produttore, pari a 25 Ecu per
capo bovino, nei limiti di 50 capi per impresa. L'insieme di queste
disposizioni hanno carattere transitorio, e sono applicabili dal 6 aprile
1987 al 31 dicembre 1988. Durante questo lasso di tempo la Commissione
ha annunciato la sua intenzione di proseguire gli sforzi per arrivare ad
una riforma durevole del settore della carne bovina, che implichi even-
tualmente un'ulteriore restrizione del regime dell'intervento. Un'esigen-
za, questa, che ha trovato conferma dagli sviluppi della situazione nel
corso del 1987. In effetti, non solo le condizioni per mantenere costante-
mente aperto l'intervento per le carni bovine si sono verificate fin dall'ini-
zio della campagna 1987-88, ma i conferimenti all'ammasso sono di
nuovo vistosamente cresciuti con pesanti effetti sul mercato e sul bilancio
comunitario.

2.3. I prezzi agricoli e le misure connesse per la campagna 1987- 88

Le proposte della Commissione - Chiuso con un notevole successo


politico l'anno 1986, grazie all'accordo di principio sulle restrizioni nel
settore del latte e sulla carne bovina, la Commissione ha presentato il 15
febbraio 1987, in concomitanza con le proposte relative alle riforme da
attuare per realizzare pienamente l'Atto unico europeo, le proposte
relative ai prezzi agricoli e alle misure connesse per la campagna 1987-88.
La coincidenza tra queste proposte è tutt'altro che casuale. Da una parte,
infatti, la Commissione ha ritenuto opportuno di dover attendere la
messa a punto del documento sulle condizioni volte ad assicurare il
successo dell'Atto unico per presentare le proposte specifiche, relative ad
uno dei settori- chiave dell'azione comunitaria. Come abbiamo già visto,
in effetti, l'adeguamento del settore agricolo e della Pac, avviato negli
ultimi anni, soprattutto nell'intento di ridurre le eccedenze di produzione
e arginare l'incremento dell'onere finanziario che ne risulta, rappresenta
uno dei presupposti essenziali per la realizzazione dei nuovi ed ambiziosi
obiettivi, che l'Atto unico assegna alla Comunità. D'altra parte, una
politica agraria comune adeguata alle nuove circostanze deve necessaria-

201
mente poggiare su un quadro istituzionale più efficiente, su strumenti
idonei al consolidamento della coesione economica nell'ambito della
Comunità e su un sistema di finanziamento atto a fornire alla Comunità
risorse proprie sufficienti, stabilì e garantite per i prossimi anni.
Le proposte della Commissione relative alla fissazione dei prezzi
agricoli per la campagna 1987-88 vanno inquadrate in questo contesto più
vasto. Esse rappresentano, per altro verso, il proseguimento della tenden-
za rinnovatrice iniziata nel corso delle campagne precedenti e sfociata,
nell'aprile 1986, nelle decisioni sui prezzi agricoli e le misure connesse per
il 1986- 87 12 , seguite, nel dicembre dello stesso anno, dalle decisioni sul
latte e la carne bovina. Inoltre, si ricollegano agli orientamenti enunciati
dalla Commissione al termine delle consultazioni effettuate a seguito del
"Libro verde" sul futuro della Pac. La continuità metodologica e la
perseveranza negli orientamenti assunti costituiscono per la Commissio-
ne una condizione essenziale per il buon esito dell'opera di riforma
intrapresa. L'obiettivo perseguito dalle nuove proposte è, infatti, identi-
co a quello che la Comunità ha dichiarato a più riprese di voler perseguire
e cioè: rendere gli agricoltori più sensibili alla realtà del mercato e fare in
modo che il loro comportamento tenga conto soprattutto delle possibilità
di smercio della produzione non sovvenzionata. Questo processo - nelle
intenzioni della Commissione dovrebbe condurre gradualmente ad un
maggior equilibrio del mercato, oppure all'assunzione in proprio, da
parte dell'agricoltore, dell'onere derivante dal riassorbimento delle ecce-
denze.
Anche i mezzi di azione restano gli stessi: politica dei prezzi restrittiva,
attenuazione dell'intervento, applicazione di meccanismi di corresponsa-
bilità dei produttori e perseguimento di una politica di qualità.
La politica restrittiva dei prezzi si concreta, a seconda dei prodotti, nel
congelamento o in una riduzione dei prezzi comuni praticati durante la
campagna 1986-87. Soltanto in pochissimi casi si propone un leggero
aumento dei prezzi in Ecu, onde favorire l'orientamento della produzio-
ne verso prodotti o qualità che godono di una maggiore domanda e che
non comportano oneri eccessivi a carico del bilancio comunitario. La
politica restrittiva dei prezzi si traduce inoltre in un complesso di proposte
agromonetarie tali da non determinare, attraverso la svalutazione delle
monete "verdi", un eccessivo aumento dei prezzi di sostegno in moneta
nazionale. In effetti, l'incidenza delle proposte sulla media dei prezzi di
sostegno dei prodotti agricoli corrisponde ad una riduzione dello 0,5%
dei prezzi in Ecu e ad un aumento di appena lo 0,2 % dei prezzi in moneta
nazionale.

12. L'Italia nella politica internazionale: 1985-1986, cit., pp. 544 e ss.

202
L'attenuazione dell'intervento, g1a messa in atto, come abbiamo
visto, per i prodotti lattiero-caseari e la carne bovina, ma in parte anche
nel settore cerealicolo, è intesa a conferire a questo strumento il ruolo di
"ancora di salvataggio" per i produttori che non trovano sbocchi sui
mercati e non quello di sbocco alternativo e permanente al mercato
stesso, come di fatto è accaduto in molti settori. In quest'ottica, la
Commissione proponeva di limitare l'intervento per i cereali al periodo
febbraio-maggio (4 mesi, invece dei 7 in vigore per la campagna 1986-87 e
dei 12 mesi in vigore negli anni precedenti). Per l'olio d'oliva e i semi
oleaginosi la Commissione proponeva inoltre di limitare la durata dell'in-
tervento agli ultimi quattro mesi della campagna. Per incitare ancor più i
produttori a ricercare uno sbocco commerciale sul mercato prima di
ricorrere all'intervento, la Commissione proponeva di eliminare o ridurre
le cosiddette "maggiorazioni mensili", vale a dire il supplemento di
prezzo che viene riconosciuto a chi ricorre all'intervento nel corso della
campagna, supplemento che copre in linea di massima le spese di stoccag-
gio sostenute dall'inizio della campagna fino al momento del ricorso
all'intervento. Per i pomodori, i cui ritiri dal mercato con conseguente
distruzione avevano superato le 900 mila tonnellate nel 1985-86, la Com-
missione proponeva, in aggiunta ai meccanismi messi in atto negli anni
precedenti, l'introduzione di un limite d'intervento pari a circa 390 mila
tonnellate, il cui superamento avrebbe provocato una riduzione del prez-
zo di acquisto da parte degli organismi d'intervento proporzionale al
tasso di superamento.
Il rafforzamento delle misure di corresponsabilità dei produttori è,
come s'è detto, l'altro grande asse delle proposte della Commissione. Per
la campagna 1987-88, la Commissione ha propo:;to, in particolare, l'in-
troduzione di un regime di "quantitativi massimi garantiti" per l'olio
d'oliva e per la soja, analogo a quello già in vigore per altri semi oleagino-
si. In virtù di tale regime, in caso di superamento del quantitativo prefis-
sato, i prezzi e gli aiuti alla produzione sono ridotti in conseguenza.
Infine per quanto riguarda la politica di qualità, la Commissione ha
proposto in taluni settori una certa differenziazione dei prezzi in funzione
della qualità della produzione o secondo l'intensità della domanda di
determinate varietà (tabacco, riso, ecc.) o ha proposto misure più specifi-
che (olio d'oliva, vino, ecc.).
Ma le proposte sui prezzi e le misure connesse per la campagna
1987-88 comportavano anche altre due serie di provvedimenti di riforma,
il cui carattere particolarmente innovativo e sotto certi aspetti dirompen-
te lasciava presagire fin dall'inizio un percorso difficoltoso e un esito
piuttosto incerto.
Anzitutto, la Commissione proponeva, in aggiunta alle misure già

203
esposte per l'olio d'oliva e i semi oleaginosi, e come parte integrante del
nuovo ordinamento comunitario nel settore delle materie grasse, l'intro-
duzione di un meccanismo di stabilizzazione dei prezzi al consumo in
questo settore, che in pratica si sarebbe tradotto nella percezione - allo
stadio della raffinazione industriale di una tassa di 330 Ecu la tonnella-
ta sulla totalità degli olii e grassi vegetali o marini consumati, direttamen-
te o indirettamente, nella Comunità. Tale prelievo avrebbe dovuto colpi-
re, tra l'altro, l'olio d'oliva e la margarina, ma avrebbe invece risparmia-
to il burro e sarebbe servito a finanziare le spese del settore delle materie
grasse che rischiano di diventare il settore più costoso per il bilancio
comunitario.
L'altra importante riforma presentata dalla Commissione nel conte-
sto delle proposte sui prezzi agricoli e le misure connesse per la campagna
1987-88 riguarda il futuro del sistema agromonetario, vale a dire quel
complesso di disposizioni e di misure assunte dall'inizio degli anni settan-
ta nel quadro della Pac per mettere il settore agricolo al riparo dalle
fluttuazioni monetarie che hanno interessato i mercati dei cambi da
quanto è stato abbandonato il regime dei cambi fissi.
In questo campo, la Commissione proponeva in buona sostanza di
fare piazza pulita di tutto questo armamentario (ivi compresi i famigerati
importi compensativi monetari, 1cm), che aveva isolato l'agricoltura dal
resto dell'economia, e questo a partire dal 1992, vale a dire dal momento
in cui sarebbe stato realizzato il grande mercato unico all'interno della
Comunità. Nel frattempo, per contribuire al conseguimento di questo
obiettivo, la Commissione proponeva una modifica delle disposizioni in
vigore - introdotte nel 1984 in maniera da ridurre o eliminare il
rischio che tale regime incentivasse l'aumento artificiale dei prezzi agrico-
li in moneta nazionale, con effetti negativi tanto sulla politica restrittiva
dei prezzi che sul bilancio comunitario 13 • Questa proposta, come del resto
quella relativa allo smantellamento del sistema agromonetario, implicava
tuttavia una riduzione dei prezzi agricoli in Germania e in Olanda ad ogni

13. Come è noto, in base al nuovo sistema agromonetario introdotto nel 1984, detto
dello switch-over, in caso di rivalutazione di una moneta, invece di creare degli km positivi
per il paese che rivaluta, si creano 1cm negativi di pari importo per tutti gli altri. Questo
artificio fu introdotto per consentire lo smantellamento degli Icm positivi all'esportazione
per la Germania e l'Olanda, senza provocare una riduzione equivalente dei prezzi di
sostegno in questi due paesi, come sarebbe accaduto nel precedente regime. I nuovi 1cm
negativi così creati, chiamati 1cm "artificiali", sono politicamente più facili da smantellare,
perché ciò provoca un aumento dei prezzi agricoli in moneta nazionale nei paesi a moneta
debole. Per evitare questo effetto "inflazionistico" del nuovo regime, la Commissione ha
proposto di neutralizzare l'impatto verso l'alto sui prezzi in moneta nazionale con una
riduzione equivalente dei prezzi in Ecu, articolata in due tappe.

204
rivalutazione delle rispettive monete, ciò che ne rendeva assai impervio il
cammino per la scontata opposizione frontale della delegazione tedesca.
Tanto più che la Commissione rincarava la dose, proponendo di smantel-
lare anche i residui Icm positivi applicabili in questi due paesi, con la
conseguente riduzione dei prezzi del 2,9% per il latte, del 2,4% per i
cereali e dell'l,9% per gli altri prodotti.

Le reazioni e le discussioni a livello comunitario e nazionale Che


l"'ipoteca tedesca" avrebbe costituito anche quest'anno il principale
ostacolo ad un accordo in seno al Consiglio sui prezzi agricoli e le misure
connesse per la campagna 1987-88, lo si è potuto constatare fin dall'indo-
mani della presentazione delle proposte della Commissione. Reagendo
violentemente soprattutto alle proposte per i cereali e gli Icm (che avreb-
bero provocato una diminuzione dei prezzi in marchi per gli agricoltori
tedeschi), il ministro tedesco dell'Agricoltura, Ignaz Kiechle, ha infatti
annunciato a caldo la più dura resistenza del suo paese alla "decisione
altamente spiacevole" assunta dalla Commissione, con la presentazione
di proposte che non avrebbero "risolto nessuno dei problemi pressanti
della Pac". Contemporaneamente a questa dichiarazione del ministro
tedesco dell'Agricoltura, il 17 febbraio è stato lo stesso cancelliere Kohl a
scrivere al presidente della Commissione, Jacques Delors, per esprimere
la' 'grande perplessità" del Governo federale di fronte alle proposte della
Commissione che penalizzavano' 'in maniera inammissibile'' l'agricoltu-
ra tedesca, e chiedendo al presidente della Commissione di ''voler esporre
al Governo federale quello che la Commissione contava di fare per evitare
che l'agricoltura tedesca non (fosse) unilateralmente penalizzata". Anco-
ra più bellicose le prese di posizione della federazione degli agricoltori
tedeschi (Dbv), per la quale le proposte della Commissione costituivano
una "cinica provocazione e una dichiarazione di guerra". La Dbv non
esitava a far scendere in piazza i propri associati per mostrare il proprio
malumore contro il Governo di Bonn e le scelte agricole di Bruxelles.
Anche il Copa aveva reagito duramente alle proposte della Commis-
sione ancor prima che queste fossero definitivamente adottate. In un
comunicato emesso il 6 febbraio, il Copa aveva lamentato che la Com-
missione fosse ormai decisa a smantellare uno dei pilastri della Pace cioè i
meccanismi di sostegno dei mercati agricoli. Contrariamente tuttavia,
alla tradizionale richiesta di un consistente aumento dei prezzi istituzio-
nali, questa volta il Copa si dichiarava disposto ad accettare il congela-
mento dei prezzi, purché si riunciasse a mettere in atto le misure volte a
ridurre il sostegno del mercato. Anche in Italia le proposte della Commis-
sione hanno suscitato molte reazioni negative fra le organizzazioni pro-
fessionali. Per Arcangelo Lobianco, presidente della Confederazione

205
nazionale coltivatori diretti (Coldiretti), le proposte della Commissione
erano "un attacco manifesto all'Italia da parte della Ce". Per Stefano
Wallner, presidente della Confagricoltura, si trattava di "proposte in-
soddisfacenti". Il congelamento dei prezzi proposto dalla Commissione
in un contesto di bilancio difficile era comprensibile, faceva notare la
Confagricoltura. Tuttavia tali proposte non contenevano azioni concrete
per il miglioramento delle strutture agricole e per il miglioramento quali-
tativo della produzione agricola. Inoltre le proposte relative alla svaluta-
zione della lira "verde" erano giudicate insufficienti. Anche le altre
organizzazioni professionali e di categoria insistevano sul carattere di-
scriminatorio delle proposte della Commissione a danno dei paesi del Sud
e delle produzioni mediterranee. Una critica, questa, fatta propria anche
dal ministro italiano dell'Agricoltura, Pandolfi.
Prendendo lo spunto da queste reazioni negative, il ministro degli
Esteri, Andreotti, nell'aula di Montecitorio ha tuttavia messo in guardia
quanti lamentavano che le proposte della Commissione sfavorivano l'a-
gricoltura mediterranea rispetto a quella dei paesi nordici. '' Gli agricolto-
ri italiani, greci, spagnoli e del sud della Francia ha dichiarato An-
dreotti - devono fare attenzione a non associarsi all'opposizione alla
revisione generale della costosissima politica agricola della Ce. La situa-
zione è diventata intollerabile e i 'poveri' non debbono fare di inconsape-
vole copertura ai 'ricchi'" 14 •
Il dibattito in seno al Consiglio agricolo, avviato all'inizio di marzo
ma entrato nel vivo solo alla fine dello stesso mese, era stato peraltro
preceduto da una nuova escalation nella guerra di trincea contro le
proposte della Commissione capeggiata dal ministro tedesco dell' Agri-
coltura, Kiechle. Questi non aveva esitato a mettere personalmente in
causa alcuni membri della Commissione Ce, ed in particolare i membri
tedeschi, che non si erano battuti sufficientemente - a suo dire - per
impedire l'adozione delle proposte presentate dal commissario all' Agri-
coltura, l'olandese Franz Andriessen. Un'accusa, questa, che ha obbliga-
to la Commissione a ricordare che i governi si sono impegnati a non
cercare di influenzare i membri della Commissione nell'espletamento del
loro mandato. Imperterrito, il ministro tedesco ha invece rincarato la
dose, reclamando una riunione straordinaria dei capi di Stato per forzare
la Commissione a ritirare le proposte sui prezzi e minacciando di far
interrompere il finanziamento della Comunità da parte del suo paese se
non avesse ottenuto soddisfazione. Raramente un negoziato sui prezzi
agricoli si era aperto in un'atmosfera così infuocata. Vale la pena,
peraltro, di rilevare che mentre Kiechle rilasciava dichiarazioni di guerra

14. Ansa, 19 feb. 1987.

206
contro le proposte di riforma della Pac presentate dalla Commissione, il
suo collega Stoltenberg, ministro liberale delle Finanze, si era invece
distinto in passato per la difesa ad oltranza di una politica di bilancio
rigorosa sul piano comunitario, in particolare per quanto riguarda la
spesa agricola. Questa situazione paradossale riflette, da una parte, la
dicotomia d'approccio sulle questioni europee che esiste da molti anni in
seno al Governo di Bonn, e dall'altra la difficoltà di trovare una sintesi
coerente tra i diversi punti di vista e i differenti interessi che si esprimono
a livello nazionale o regionale.
Una certa comprensione per le rivendicazioni di Kiechle è stata espres-
sa, sia pure in termini piuttosto ambigui, dal ministro italiano all' Agri-
coltura, Pandolfi, probabilmente convinto che un'alleanza tattica con il
suo collega tedesco gli avrebbe potuto fruttare, come era già accaduto
altre volte in passato, qualche risultato favorevole per la nostra agricoltu-
ra. Sarebbe stato infatti improbabile che una concessione in favore della
Germania sugli 1cm positivi avvenisse senza che i paesi a moneta debole
come l'Italia, bisognosi di svalutare le monete "verdi" per ottenere
incrementi più consistenti dei prezzi in moneta nazionale, non ottenesse-
ro delle contropartite. Allo stesso tempo, tuttavia, Pandolfi cercava di
precostituirsi un ''credito'' in sede negoziale (di cui aveva bisogno soprat-
tutto per ottenere qualche compensazione sulla soja e sull'olio di oliva)
preconizzando una politica di qualità ancora più esigente di quella propo-
sta dalla Commissione, in particolare nel settore dei cereali, per la quale,
invece la delegazione tedesca era molto più riservata, ma ammettendo
invece la possibilità di aiuti nazionali quando ciò fosse necessario, come
ad esempio in Germania. Questo difficile dosaggio tra concessioni e
vantaggi reciproci sarebbe stato tuttavia possibile solo mantenendo l'uni-
tà del pacchetto "prezzi e misure connesse". Da qui la ferma opposizione
di Pandolfi ad ogni ipotesi intesa a spostare su altri tavoli (ad esempio
quello dei ministri degli Esteri o delle Finanze) il negoziato su alcuni
dossier-chiave del pacchetto prezzi, quali ad esempio quello relativo al
meccanismo di stabilizzazione nel settore delle materie grasse difeso ad
oltranza da Pandolfi, ma anche dalla Francia, dall'Irlanda e dal Belgio -
o quello agromonetario.
Vale la pena, peraltro, di rilevare in questo contesto l'ampio appoggio
all'impostazione e alla sostanza delle proposte della Commissione che
anche quest'anno, rompendo con una tradizione di difesa dello status
quo, è venuto dal Parlamento europeo. In una risoluzione adottata il 14
maggio, esso appoggia le riduzioni dei prezzi proposte dalla Commissio-
ne, tranne tuttavia quelle per il grano duro, lo zucchero e gli ortofruttico-
li, prodotti per i quali ha comunque auspicato il congelamento dei prezzi.
D'accordo con la Commissione, il Parlamento ha inoltre riconosciuto

207
l'opportunità di riconferire all'intervento il suo ruolo originario di "rete
di sicurezza", raggiungendo peraltro ciò che ha suscitato una certa
sorpresa fra gli osservatori e non poco disappunto tra le file degli av-
versari della misura - una posizione maggioritaria a favore del meccani-
smo di stabilizzazione nel settore delle materie grasse. Il che non è, a ben
guardare, e tenuto conto delle pressioni delle varie lobbies continentali e
intercontinentali contro la misura, un contributo da poco alla crescita del
prestigio e dell'indipendenza di questa istituzione nel panorama comuni-
tario.

L'accordo del 30 giugno 1987-È solo il 30 giugno, a poche ore dalla


conclusione del Consiglio europeo di Bruxelles e alla vigilia dell'inizio
della nuova campagna per il settore dei cereali, che è stato raggiunto un
accordo sui prezzi agricoli e le misure connesse per la campagna 1987-88.
A sbloccare l'impasse in cui si trovava il dibattito in seno al Consiglio
agricolo è stato l'accordo conseguito tra i capi di Stato e di Governo,
grazie in particolare ad un'intesa franco-tedesca sulle questioni agromo-
netarie. Vale la pena, a questo riguardo, di precisare che, se per la
delegazione tedesca le proposte della Commissione apparivano totalmen-
te inaccettabili, al punto che non avrebbe esitato a porre il veto, al
contrario, per la delegazione francese costituivano una componente in-
toccabile del pacchetto- prezzi. Sul piano bilaterale, tuttavia, la delega-
zione francese non poteva dimenticare il prezioso "regalo" che Bonn
aveva fatto nel gennaio 1987 al Governo Chirac accettando di rivalutare
del 3% il marco, né poteva trascurare la minaccia, fatta trapelare dalle
autorità tedesche, che in avvenire un accordo di questo genere sarebbe
stato molto più difficile, visto che a farne le spese, se fosse stata accolta la
proposta della Commissione, sarebbero stati essenzialmente gli agricol-
tori tedeschi, oltreché, beninteso, l'economia tedesca nel suo insieme.
Come si ricorderà, infatti, la Commissione proponeva che lo smantella-
mento degli Icm negativi, creati al posto di quelli positivi in occasione
della rivalutazione di una moneta (i cosiddetti Icm "artificiali"), dovesse
essere compensato con una parallela riduzione dei prezzi in Ecu. Un'ope-
razione, quest'ultima, che era del tutto "neutra" per i paesi a moneta
debole, come la Francia e l'Italia, ma che avrebbe avuto invece come
effetto una parallela riduzione dei prezzi in moneta nazionale nei paesi
che rivalutavano la loro moneta (essenzialmente Germania e Olanda).
L'accordo raggiunto tra le autorità francesi e quelle tedesche, che gli
altri paesi e la stessa Commissione hanno finito per avallare, anche
perché da esso dipendeva l'accordo sull'intero pacchetto dei prezzi agri-
coli, ha comunque consentito di progredire verso l'obiettivo che la Com-
missione si era prefissato, grazie all'adozione di un dispositivo di sman-

208
tellamento automatico della maggior parte degli 1cm nell'arco di tre
campagne. Per quanto riguarda, in particolare, gli 1cm positivi esistenti
in Germania e Olanda, che giocano il ruolo di sussidi alle esportazioni
agricole, la cui eliminazione era stata considerata irrinunciabile dalla
delegazione francese, l'accordo consente di contemperare allo stesso
tempo questa esigenza con quella delle autorità di Bonn di salvaguardare
il reddito degli agricoltori tedeschi 15 • Per quanto riguarda il regime agro-
monetario per gli anni a venire, è stato prorogato senza delimitazioni di
tempo il regime in vigore dal 1984 (detto dello switch-over). Ciò impedirà
la creazione di nuovi Icm positivi, da sempre uno dei nodi più difficili da
sciogliere nelle annuali "maratone" sui prezzi agricoli. L'accordo preve-
de, peraltro, lo smantellamento automatico in tre tappe dei nuovi Icm
negativi che saranno creati in occasione dei futuri aggiustamenti moneta-
ri, ed in particolare di quelli cosiddetti "artificiali" (vale a dire, quelli che
nel regime classico in vigore prima del 1984, sarebbero stati positivi).
Contrariamente alla proposta iniziale, che prevedeva la neutralizzazione
totale dell'incremento dei prezzi in moneta nazionale risultante dallo
smantellamento di questi ultimi mediante una riduzione equivalente dei
prezzi in Ecu, l'accordo prevede che solo lo smantellamento del 25% dei
nuovi 1cm negativi "artificiali" sia neutralizzato da una parallela ridu-
zione dei prezzi in Ecu, con la possibilità tuttavia per i paesi a moneta
forte (che dovrebbero, pertanto, subire una riduzione dei prezzi agricoli)
di versare agli agricoltori un'indennità compensativa sociale a carico del
bilancio nazionale.
Malgrado la complessità tecnica delle soluzioni a questo difficile nodo
negoziale, appare evidente da quanto si è fin qui detto che si tratta di un
compromesso relativamente favorevole tanto alla delegazione tedesca
che a quella francese, nonché all'insieme delle altre delegazioni. Tanto
più che parallelamente a queste disposizioni sono state assunte decisioni
relativamente molto "generose" sul fronte della riduzione o dell'elimina-
zione degli Icm negativi esistenti. Per effetto di queste decisioni gli 1cm
negativi sono stati sostanzialmente ridotti nella maggior parte dei paesi a
moneta debole, con un parallelo incremento dei prezzi in moneta nazio-
nale. L'Italia, in particolare, ha ottenuto una svalutazione consistente

15. L'accordo prevede, infatti, che gli Icm tedeschi esistenti (pari a 2,9% per il latte, a
2,40Jo per i cercali e a 1,80Jo per gli altri settori) siano ridotti, con effetto dalla campagna
1987-88, di 1 punto mediante swìtch-over (ossia mediante conversione in Icm negativi) e di
0,5 punti, mediante un aumento della franchigia (che in precedenza era di 1 punto). Inoltre,
a decorrere dalla campagna 1988-89, gli Icm positivi restanti saranno smantellati di 1 punto
supplementare mediante rivalutazione delle monete "verdi". Il ribasso dei prezzi che ne
risulterà per la Germania sarà tuttavia compensato da un aiuto nazionale, a carico del
bilancio federale, fino alla fine del 1988.

209
della lira "verde", soprattutto nel settore degli ortofrutticoli e del tabac-
co, che nella maggior parte dei casi ha più che compensato la parellela
riduzione dei prezzi in Ecu.
Tuttavia la relativa "generosità" delle decisioni agromonetarie è
temperata dalle decisioni, spesso assai restrittive, assunte sui prezzi agri-
coli e sulle misure connesse. Anzitutto la quasi totalità dei prezzi istituzio-
nali in Ecu sono stati mantenuti sui livelli della campagna precedente,
quando non sono stati drasticamente ridotti. In secondo luogo, molte
delle misure connesse adottate si traducono, di fatto, in una sensibile
riduzione del prezzo di sostegno garantito ai diversi settori di produzione.
Nel settore dei cereali, ad esempio, a parte la riduzione del 2, 7% del
prezzo d'intervento per il grano duro, il prezzo d'acquisto all'intervento
per l'insieme dei cereali è stato fissato al 90% del prezzo d'intervento,
vale a dire a un livello inferiore del 6% a quello della campagna preceden-
te. Se peraltro si tiene conto anche della riduzione del numero e dell'im-
porto delle "maggiorazioni mensili" applicabili al prezzo d'intervento, si
può stimare intorno al 10% la riduzione del prezzo di sostegno per i
cereali per la campagna 1987-88. Inoltre, il Consiglio ha deciso che
l'intervento non sarà più automatico, come in passato ma "scatterà"
unicamente se il prezzo del mercato scende al di sotto del prezzo d'inter-
vento.
Onde evitare effetti di sostituzione tra colture concorrenti dei cereali,
e al fine di stabilizzare allo stesso tempo la produzione e gli oneri di
bilancio, il prezzo minimo dei prodotti proteici (piselli, fave e lupini) è
stato anch'esso ridotto del 14%. D'altra parte, nel settore dei semi
oleaginosi, l'effetto congiunto della riduzione dei prezzi istituzionali,
dell'applicazione del regime dei quantitativi massimi garantiti e delle altre
misure connesse (riduzione del periodo d'intervento e riduzioni delle
maggiorazioni mensili) è equivalente a una riduzione del prezzo di soste-
gno superiore al 10% per il girasole e di circa il 14% per la colza.
Riduzioni sostanziali dei prezzi sono state anche decise per le albicoc-
che, le pesche e i mandarini (-5%), per i limoni e le arance (-2,5%) e per
certe varietà di tabacco (fino al 6% per le varietà meno richieste). In
compenso, per favorire la riconversione verso le varietà più richieste, è
stato deciso un leggero incremento del loro prezzo. Di particolare interes-
se per l'Italia sono anche le decisioni assunte per la soja e l'olio d'oliva.
Conformemente alle proposte della Comunità, e analogamente a quanto
avviene per i semi oleosi, il Consiglio ha deciso di estendere la correspon-
sabilità dei produttori anche a questi due settori e ha modificato il regime
d'intervento per l'olio d'oliva sull'esempio dei cereali. Concretamente è
stato istituito un quantitativo massimo garantito di 1, 1 milioni di tonnel-
late per la Comunità a Dodici per la soja e di 1,35 milioni di tonnellate per

210
l'olio d'oliva. In caso di superamento di questi quantitatlVl , prezzi
d'intervento saranno ridotti in conseguenza, entro il limite massimo del
lOOTo. Un regime ancora più restrittivo è stato introdotto per i pomodori
trasformati: nel caso in cui i ritiri al mercato dovessero superare le 390
mila tonnellate, i prezzi di acquisto per la campagna seguente saranno
ridotti dell' 1OJo per ogni 10.000 tonnellate in più, nei limiti di una riduzio-
ne massima del 200Jo.
Nè i capi di Stato e di Governo, né i ministri dell'Agricoltura sono
invece venuti a capo della controversia sull'introduzione di un meccani-
smo di stabilizzazione dei premi (a torto considerata da molti come una
tassa al consumo) nel settore delle materie grasse. A ostacolare il cammi-
no di questa proposta - certo impopolare ma divenuta agli occhi della
Commissione e dello stesso Parlamento europeo una necessità inderoga-
bile per salvaguardare la politica comunitaria nel settore delle materie
grasse - sono state soprattutto le delegazioni tedesca e britannica, oltre
quella olandese, a cui si è aggiunta poi anche la delegazione portoghese. Il
Consiglio europeo di Bruxelles non ha tuttavia rigettato la proposta della
Commissione ma ha deciso di rinviare ogni decisione al riguardo ad uno
stadio ulteriore, dopo che fossero state studiate a fondo le conseguenze di
tale meccanismo sui prezzi al consumo e dopo che fossero state effettuate
ulteriori consultazioni coi principali interlocutori commerciali della Co-
munità
"Non è tempo di entusiasmi né di euforia, ma sono soddisfatto'', ha
dichiarato al termine della faticosissima "maratona" il ministro italiano
dell'Agricoltura, Pandolfi. In effetti, grazie alla svalutazione della lira
''verde'', gli agricoltori italiani sono stati messi al riparo dalle riduzioni
dei prezzi in Ecu contestualmente stabiliti. È vero, infatti, che questi
ultimi sono diminuiti, in media, dello 0,640Jo. Questo calo è stato però più
che compensato dall'incremento del 4,20Jo derivante dalla svalutazione
della lira "verde", sicché ne è risultato un incremento netto medio del
3,5%. Un risultato, quest'ultimo, giudicato tutto sommato positivo dal
ministro anche perché l'incremento dei prezzi agricoli è assai prossimo al
tasso di inflazione previsto in Italia nel 1987, allorché, invece, due anni
prima si era registrato uno scarto negativo di quasi cinque punti. Pandolfi
si è anche dichiarato soddisfatto dei risultati ottenuti nel settore degli
ortofrutticoli, con penalizzazioni meno drastiche di quelle proposte ini-
zialmente dalla Commissione e con una svalutazione ancora più forte
della lìra "verde" che compensa la riduzione dei prezzi in Ecu. Infine, ha
espresso piena adesione all'accordo sulla riforma del sistema agromone-
tario in quanto da una parte si introduce un automatismo nella elimina-
zione degli 1cm negativi (considerato da Pandolfi una vera e propria
"polizza" di assicurazione per l'Italia negli anni a venire) e in secondo

211
luogo perché la eliminazione degli 1cm negativi "artificiali" si compirà
solo per un quarto con una "sterilizzazione" dei prezzi in moneta nazio-
nale.
Anche Arcangelo Lobianco, presidente della Coldiretti, dando atto
dell'impegno del ministro Pandolfi, ha espresso un giudizio sostanzial-
mente positivo lamentando tuttavia "l'impatto negativo della diminuzio-
ne della garanzia di ritiro per i semi oleosi e l'olio d'oliva, e soprattutto
della non approvazione della tassa sulle materie grasse, che - ha affer-
mato Lobianco (alludendo alle pressioni del Governo americano contro
tale meccanismo) - costituisce un autentico, notevole successo del Go-
verno statunitense".
"L'intesa sui prezzi ci soddisfa - ha affermato a sua volta Stefano
W allner, presidente della Confagricoltura - ma il futuro agricolo è
oscuro'' 16 • Pur esprimendo al ministro Pandolfi ''tutto il compiacimento
per il suo abile tatticismo", Wallner si è invece mostrato preoccupato
"per il modo come procede, a piccolissimi passi, una revisione della Pac
che tutti ormai consideriamo inevitabile". "Adesso si perde tempo con
iniezioni tranquillanti - ha affermato il responsabile della Confagricol-
tura - e poi, ad un tratto, dovremo affrontare il rischio di sacrifici
ancora più gravi senza essere preparati". Piuttosto critico sull'intesa
raggiunta a Bruxelles è stato infine il presidente della Confcoltivatori,
Avolio, il quale ha ritenuto che il Sud risulta il più danneggiato, per le
decisioni relative all'olio d'oliva, al grano duro, agli ortofrutticoli e al
tabacco.

3. La politica agricola italiana

3.1. La messa in atto del Piano agricolo nazionale

Con l'adozione, dopo otto mesi di discussione in Parlamento, della


legge n. 752 dell'8 novembre 1986 sono stati realizzati i presupposti per la
messa in atto del Piano agricolo nazionale (Pan), approvato nell'agosto
del 1985 dal Comitato interministeriale per la politica agricola e alimenta-
re (Cipaa). La legge ha non soltanto assicurato al settore agricolo e
forestale la certezza di congrui finanziamenti, almeno fino al 1990, ma ha
anche definito gli strumenti, le procedure e i criteri per la realizzazione del
Pan. Al contrario della cosiddetta "legge Quadrifoglio" (legge n.
984/77), la nuova legge pluriennale di spesa rifiuta il concetto di piano
omnicomprensivo a finanziamenti rigidamente predeterminati per setto-

16. La Repubblica, 4 lug. 1987.

212
re operativo di intervento e postula invece un approccio più flessibile e
pragmatico alla programmazione agricola. Molto più realisticamente,
invece di definire nei minimi dettagli ogni singolo intervento, lasciando
pochissimo margine di manovra per la sua messa in atto, si indicano
soltanto i grandi orientamenti, ai quali, tra l'altro debbono conformarsi i
programmi di sviluppo delle Regioni nel settore agricolo. Anche per
quanto riguarda l'attribuzione dei finanziamenti, la nuova legge rifugge
da qualsiasi predeterminazione, dividendo i fondi solo per grandi tipolo-
gie e lasciando le concrete decisioni di riparto al Comitato interministe-
riale per la programmazione economica (Cipe), che assorbe la competen-
za del soppresso Cipaa. Per la sua immediata operatività, la legge ha
potuto peraltro avvalersi di un "programma quadro" approvato nel 1985
che, anticipando la legge, aveva già definito le grandi linee di intervento.
Al tempo stesso si tratta di un provvedimento legislativo che assicura
una certa organicità dell'intervento pubblico in agricoltura e permette
perciò di superare la prassi degli interventi tampone e la frammentarietà
delle iniziative assunte dopo l'esaurimento delle risorse della "Quadrifo-
glio". Esso lascia però al ministero del!' Agricoltura e alle Regioni l'auto-
nomia operativa necessaria per affrontare con la dovuta flessibilità pro-
blemi che si evolvono rapidamente nel tempo e che sono quanto mai
diversi da zona a zona. A questo fine è stato previsto che il programma
quadro, che costituisce lo strumento basilare del Pan, sia aggiornato
annualmente, in relazione al mutare delle caratteristiche nazionali e
internazionali di un'agricoltura in evoluzione.
L'autorizzazione complessiva di spesa per il quinquennio 1986-90
ammonta a 16,5 mila miliardi di lire, con stanziamenti annuali che vanno
da 2. 765 miliardi dì lire per l'anno 1986 a 3.900 miliardi di lire per l'anno
1990, ma che possono essere ulteriormente aumentati, con la legge finan-
ziaria, "in relazione al sopravvenire dì occorrenze eccezionali". Sono
assunti come obiettivi unificanti delle iniziative finanziate dalla legge
pluriennale di spesa: a. il sostegno e lo sviluppo dei redditi agricoli, in
particolare di quelli dell'impresa familiare coltivatrice; b. la difesa del-
l'occupazione in agricoltura; c. il riequilibrio territoriale con particolare
riguardo al Mezzogiorno,; d. la difesa dell'ambiente; e. il contenimento e
la riduzione del disavanzo agroalimentare.
La legge finanzia interventi demandati al ministero del!' Agricoltura
alle Regioni e alle provincie autonome dì Trento e Bolzano, prevedendo
che il riparto dei fondi venga effettuato annualmente dal Cipe su propo-
sta del ministro dell'Agricoltura. Più della metà dei fondi stanziati (8,5
mila miliardi di lire per il quinquennio) sono destinati al finanziamento
degli interventi regionali e delle province autonome. Altri 5 mila miliardi
sono da suddividere fra interventi di competenza del ministero dell' Agri-

213
coltura ed azioni "orizzontali" coordinate dal ministero e realizzate a
livello regionale. Dei restanti 3 mila, 2,5 mila sono destinati al finanzia-
mento degli interventi strutturali previsti dalla regolamentazione comu-
nitaria a 500 al finanziamento delle azioni nel campo della forestazione
che saranno previste dal piano forestale nazionale. Per quanto riguarda i
finanziamenti alle Regioni, la legge si dimostra estremamente elastica, in
quanto, nel rispetto dell'autonomia regionale, indica genericamente che
essi sono destinati ad interventi nel settore agricolo- forestale'', lasciando
quindi ampia libertà di manovra agli enti locali.
La legge è invece relativamente meno generica, ma tuttavia assai
flessibile, per quanto riguarda le cosiddette azioni "orizzontali", che
costituiscono uno degli aspetti più innovativi del provvedimento. La lista
di tali azioni è relativamente estesa: dalla ricerca e sperimentazione allo
sviluppo e potenziamento del sistema informativo agricolo nazionale,
dall'innovazione e sviluppo della meccanizzazione agricola al riconosci-
mento e valorizzazione delle caratteristiche di qualità dei prodotti agrico-
li; dalla promozione commerciale sul mercato interno e su quelli esteri al
sostegno e sviluppo delle associazioni dei produttori; dalla promozione
della proprietà coltivatrice al sostegno e allo sviluppo della cooperazione
agricola.
Al di là, tuttavia, degli aspetti finanziari e dell'articolazione settoriale
degli interventi, un altro punto qualificante del provvedimento risiede
nella semplificazione, rispetto al passato, delle procedure di attuazione
della legge e dello sforzo di coinvolgimento ai vari livelli sia delle istanze
regionali che delle organizzazioni agricole maggiormente rappresentati-
ve. A questo fine, nell'ambito della Conferenza permanente per i rappor-
ti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome, è stata istituita una
commissione di settore con la partecipazione, oltre che del ministro
dell'Agricoltura, degli assessori regionali all'agricoltura, con compiti di
informazione e consultazione su tutte le materie previste dalla legge e ciò
al fine di assicurare ''il concorso delle Regioni e province autonome alla
elaborazione degli indirizzi della politica agricola nazionale e comunita-
ria". D'altra parte, è stato istituito un comitato nazionale, con la parteci-
pazione delle organizzazioni agricole e delle imprese di trasformazione
dei prodotti agricoli, competente a pronunciarsi in materia di program-
mazione e regolazione dell'offerta dei prodotti agricoli.
Benché non siano mancati giudizi aspramente critici nei confronti
della nuova legge pluriennale di spesa17 e apprezzamenti non sempre
positivi su tutti gli aspetti del provvedimento 18 , resta il fatto che esso è

17. Si veda, ad esempio, il caustico articolo di E. Calcaterra «La politica agraria


italiana: una denuncia», Rivista di politica agraria, I dìc. 1987.
18. Si veda il ventaglio di opinioni sulla legge pluriennale di spese pubblicato dalla

214
stato in generale accolto con grande sollievo dal mondo agricolo e negli
ambienti più direttamente interessati alla messa in atto del Pan. E ciò non
fosse altro che per il fatto che l'ultimo provvedimento pluriennale di
spesa si era ormai esaurito da quasi cinque anni e per il consistente volume
di risorse finanziarie che veniva nuovamente mobilizzato. La Coldiretti,
in particolare, che si considerava a giusto titolo una delle principali
artefici del provvedimento, ha espresso in un suo comunicato "la sostan-
ziale soddisfazione ed un riconoscimento al proficuo lavoro del ministro
Pandolfi. Si tratta di un provvedimento dovuto - ha rilevato il presiden-
te Arcangelo Lobianco - per assicurare continuità e coerenza program-
matica alla spesa pubblica nel settore primario, che negli ultimi anni
aveva raggiunto un modestissimo livello se si pensa che gli investimenti
sono calati dal 7,7% del 1980 al 4,5% del 1985" 19 • Lobianco ha anche
rilevato con soddisfazione ''la soluzione finalmente data ai rapporti tra le
istituzioni pubbliche preposte all'attuazione degli interventi, definendo le
competenze in materia. Questo - ha concluso il presidente della Coldi-
retti dovrebbe pertanto evitare le penalizzanti conflittualità che, pur-
troppo, hanno caratterizzato le ultime leggi di spesa in agricoltura" 20 • Un
giudizio sostanzialmente positivo ha anche espresso Stefano Wallner,
presidente della Confagricoltura, per il quale "l'approvazione della legge
pluriennale di finanziamento del Piano agricolo nazionale è il primo
passo concreto per l'attuazione di una programmazione agricola, resa più
elastica dopo l'esperienza, non del tutto soddisfacente, del cosiddetto
Quadrifoglio. Se ora il parlamento riprenderà l'esame della legge di
riforma del ministero dell'Agricoltura per concluderlo sollecitamente,
potremo contare su un intervento pubblico selettivo di sostegno per le
aziende che operano per il mercato, e che ora debbono poter affrontare
con successo la prova di un mercato comune reso sempre più competiti-
vo"21.

3.2. Il decollo del "Progetto aquila" per l'agroindustria

Un altro fra i principali eventi di politica agraria a livello nazionale nel


periodo in esame è senza dubbio costituito dal varo, da parte della
principale organizzazione agricola del paese, la Coldiretti, del cosiddetto
"Progetto aquila". Si tratta di un ambizioso progetto economico, politi-

Rivista di politica agraria, I, mar. 1987, nonché l'articolo di G. Amadei «Gli sprechi della
poliennale}), Terra e Vita, 48, nov. 1987.
19. Il Coltivatore, 40, 9 nov. 1986.
20. Ibidem.
21. Mondo agricolo, 45, 9 nov. 1986.

215
co e sindacale che si propone di ridefinire il ruolo imprenditoriale e
sociale delle forze agricole e associazionistiche in un mondo che cambia e
dar loro lo slancio necessario per competere efficacemente sia sul merca-
to, in particolare sottraendosi all'egemonia dell'industria di trasforma-
zione dei prodotti agricoli, sia sul piano politico e sodale. L'iniziativa è
stata accusata da alcuni di corporativismo e interpretata come un tentati-
vo puramente commerciale per la creazione e la gestione diretta da parte
delle organizzazioni dei produttori agricoli di matrice cattolica e delle
loro strutture associative di un'estesa rete di punti di vendita e di grandi
supermercati per la commercializzazione diretta dei prodotti agricoli.
Era da tempo che la Coldiretti si era impegnata in un processo di
ridefinizione del ruolo del sindacalismo agricolo nella società attuale e di
quello della stessa Coldiretti all'interno dell'agricoltura· nazionale. Essa
aveva peraltro dedicato gran parte delle sue riflessioni strategiche degli
ultimi anni al fenomeno rappresentato dalla progressiva perdita di potere
contrattuale del mondo agricolo di fronte alla crescente egemonia dei
grandi gruppi agroindustriali, agrocommerciali e finanziari. E questo in
un periodo in cui, a livello mondiale, comunitario e italiano è sempre più
messo in causa il sostegno pubblico all'agricoltura e in cui il mondo
agricolo è sempre più spesso costretto a confrontarsi con la dura realtà dei
mercati agricoli. Fintantoché gli incrementi annui della domanda alimen-
tare hanno sopravanzato l'offerta, il principale obiettivo del produttore
agricolo è stato quello di aumentare la produzione e la produttività. II
perseguimento di tale obiettivo -oggi ampiamente raggiunto - "ha
posto per decenni l'agricoltura nelle mani dell'industria fornitrice di
mezzi tecnici, con le conseguenze che abbiamo dovuto subire - afferma
Arcangelo Lobianco, presidente della Coldirctti nella sua relazione alla
Conferenza nazionale sull'associazionismo agricolo, che ha avuto luogo
a Roma I' 1-2 dìcembre 198622 - un'offerta di fattori di produzione non
effettivamente collegata alle esigenze dei diversi territori e tipi di impre-
se''. È questo i1 momento - afferma Lo bianco - della prima colonizza-
zione dell'agricoltura. Oggi - continua Lobianco- siamo entrati in una
nuova fase di organizzazione del potere economico, che dal produttore si
sposta sempre più verso la commercializzazione. Assistiamo così alla
• 'crescita dei grandi gruppi ed alla caduta della capacità di intervento del
settore pubblico". Parallelamente "il potere finanziario, da un lato,
sostiene la concentrazione dell' agri business e la governa; dall'altro, avvia
un processo di penetrazione capil1are e totalizzante nella vita e nell'opera-
re non solo economico, ma anche sociale". Entriamo così in quella che il

22. li Coltiw1tore, 7- 14 di<.:. 1986, inserto n. 11.

216
::residente della Coldiretti non esita a definire "una seconda colonizza-
_;::one del produttore agricolo".
È essenzialmente partendo da queste premesse che la più grande
Jrganizzazione agricola dell'Italia ha cercato di delineare un nuovo rap-
;iorto tra agricoltura, industria e distribuzione mediante un progetto
,igricolo che, per le ambizioni che lo sorreggono in vista di permettere al
mondo agricolo dì riappropriarsi di quel potere che oggi gli è sottratto, è
stato battezzato "Progetto aquila". Questo progetto comporta tre gran-
di opzioni: ''cercare una linea di riaggregazione delle forze e dei potenzia-
li produttori nazionali, redistribuire i compiti fra imprese agricole e
sistema agroindustriale; redistribuire e ricercare un nuovo rapporto fra
mondo agricolo e sindacato' ' 23 • Punto di partenza è la necessità di una
presa di coscienza quanto più ampia possibile del fatto che "esistono
poche opportunità per il mondo agricolo di reagire positivamente alle
turbolenze ambientali alle quali è sottoposto se lo stesso non si affida
all'associazionismo e, in questo, alla cooperazione". Questo ricorso
all'associazionismo deve essere tuttavia "funzionale ad una strategia di
determinazione di un efficiente collegamento con il resto del sistema
agroalimentare" 24 • In realtà, la cooperazione agricola occupa già una
posizione consistente del gettito produttivo dell'industria alimentare del
nostro paese (63% del burro, 47% dei formaggi, 43% delle conserve di
frutta, 370/o dei surgelati, 38% del vino, ecc.). Pur tuttavia rileva la
Coldiretti - "a questa gigantesca forza potenziale, che in teoria potreb-
be garantire il completo controllo della produzione, non corrisponde
un'uguale forza in termini di potere di mercato inteso in senso strategi-
co". Nel contempo, si assiste ad un aumento del potere di mercato della
grande distribuzione organizzata, che è ormai in grado di decidere che
cosa vendere e di chi, chi emarginare e chi valorizzare. Da qui la necessità
di un'aggregazione tra cooperativa, organismi associativi e Federazione
nazionale di consorzi agrari e, soprattutto, di un diverso modo di affron-
tare il mercato. Per la Coldiretti si tratta anzitutto di razionalizzare, sul
piano tecnico, commerciale e finanziario, le strutture cooperative ed in
particolare quelle facenti parte dell' '' arcipelago bianco'' al fine di ridurre
i costi di trasformazione e commercìalizzazione, per avere prodotti più
omogenei e rafforzare il potere contrattuale nei confronti degli acquiren-
ti. Occorre inoltre dotarsi dì una struttura commerciale efficiente, che
riesce a competere per gamma e volume dei prodotti commercializzati
con la grande distribuzione (in particolare mediante l'estensione sulla rete

23. Relazione di Arcangelo Lo bianco al Consiglio nazionale della Col diretti, del 16 gen.
1987. Il Coltivatore, 7-14 dic. 1986, inserto n. 25 gen.-1 feb. 1987, inserto n. I.
24. Il Coltivatore, 7-14 dic. 1986.

217
di vendita Cappa, in via di realizzazione). Ma occorre altresì realizzare
accordi con l'industria e il commercio privati "nel quadro della reciproca
convenienza e soprattutto in un piano di completa parità". La possibilità
di successo nel gioco concorrenziale tra le organizzazioni agricole ed i
gruppi finanziari agroalimentari sono tuttavia sempre più legati alla
capacità di confrontarsi sul terreno della disponibilità finaziaria in condi-
zioni di sufficiente autonomia. La soluzione del problema della dotazio-
ne dei mezzi finanziari rappresenta quindi - per la Coldiretti - una delle
questioni centrali per il perseguimento delle nuove strategie. Si tratta,
infine, di essere presenti con apposite strutture nell'area dei servizi di cui
nell'era del terziario i produttori agricoli e le loro organizzazioni econo-
miche avranno sempre più bisogno in avvenire. Per vincere questa sfida,
come afferma il suo presidente, la Coldiretti da "dispensatrice di assi-
stenza" si propone di divenire "organizzatrice di partecipazione" ed i
suoi dirigenti, da funzionari di una struttura di rappresentanza sindacale,
saranno chiamati sempre più a riconvertirsi ad un ruolo di managers.
Riuscirà questa sfida, la cui posta in gioco va ben al di là dell'ambito
circoscritto in cui essa è rimasta finora? Lo vedremo nei prossimi anni.
Arcangelo Lobianco non ha tuttavia dubbi al riguardo: "Il programma
per l'agroalimentare e per la commercializzazione - ha affermato varan-
do il "Progetto aquila" - rappresenta una scommessa che non si può
perdere, pena la perdita della credibilità di chi ha la responsabilità, cioè
anche la nostra" 25 •

25. Relazione alla Conferen·l a nazionale sull'associazionismo agricolo, 1-2 dic. 1986, Il
Coltivatore, 7-14 dic. 1986, inserto n. 11.

218
9. LA POUTICA AGRICOLA 1987-1988*

l. Il contesto internazionale

1. 1. La siccità nel continente nordamericano e le sue conseguenze

L'inversione dei mercati agricoli mondiali


Malgrado i continui progressi tecnologici e la sempre più spinta
integrazione nel resto dell'economia, l'agricoltura resta, alle soglie
degli anni duemila, un'attività ancora fortemente dipendente dalle
condizioni climatiche e dall'evoluzione della situazione metereologi-
ca.
La vulnerabilità della produzione agricola al clima è ritornata
nel corso del 1988 di bruciante attualità soprattutto a causa della
grave e prolungata siccità che ha colpito il continente nordamerica-
no , ed in particolare quelle regioni degli Stati Uniti che sono note
sotto il nome di «Com Belt», tra il mese di aprile e la fine dell'esta-
te. li 1988 è stato peraltro l'anno più caldo, a livello mondiale, da
quando hanno avuto inizio le prime rilevazioni climatologiche rego-
lari. vale a dire dalla metà del secolo diciannovesimo. La forte con-
trazione della produzione e delle scorte che ne è derivata ha suscita-
to l'a llarme di alcuni organismi internazionali e di alcuni studiosi
sulla precarietà della situazione alimentare mondiale e sulle pro-
spettive poco rassicuranti per l'agricoltura mondiale che le sempre
più frequenti anomalie climatiche lascerebbero intravvedere per i
prossimi anni . Per la prima volta dalla metà degli anni settanta ab-
biamo così assistito al risorgere di una corrente di pessimismo sulla
capacità del mondo a sfamarsi e sugli effetti disastrosi a medio e
lungo termine che potrebbero derivare dal costante peggioramento
delle condizioni climatiche e ambientali e dal progressivo aumento
delle temperature che si osserverebbe a livello mondiale .
Tuttavia, quest'ondata di catastrofismo alimentare interviene al
* In IAI, “L’Italia nella politica internazionale (1987-1988)”, Franco
Angeli, Milano, 1990

219
culmine di una delle più gravi crisi dei mercati agricoli mondiali. gè-
nerata non dalla scarsità della produzione agricola, come quella del-
la metà degli anni settanta. ma dalla loro asfissia sotto ii peso di
enormi eccedenze invendibili. Termini come «penuria» o «insicurez-
za alimentare mondiale», che erano ormai diventati obsoleti nella
situazione strutturalmente eccedentaria dei mercati agricoli che ha
caratterizzato la prima metà degli anni ottanta, sono così ritornati
di attualità nel corso del 1988, evocando scenari che si riteneva defi-
nitivamente allontanati.
Al di là dell'attendibilità di questi scenari pessimistici a medio
e a lungo termine, resta il fatto che nel corso del 1988 i mercati
agricoli, come del resto quelli di molte derrate non alimentari, han-
no conosciuto una totale inversione di rotta rispetto alla fase sem-
pre più depressiva che li aveva caratterizzati fino alla metà del 1987.
Ad esempio, all'inizio dd 1989 i prezzi all'esportazione del frumen-
to americano erano superiori del 35% a quelli di un anno prima, il
prezzo del mais era cresciuto nello stesso periodo del 40%, quello
della soja del .31 % . A ciò si aggiunga il fatto che a causa della forte
contrazione delle scorte cerealicole ( da 398 milioni di tonnellate
nella campagna 1987-88 a 287 nella campagna 1988-89). queste sono
cadute, per la prima volta dalla crisi alimentare del 1973 e 1974. al
di sotto del limite di guardia che la Fao giudica indispensabile per
garantire una certa sicurezza alimentare mondiale . Tale peggiora-
mento ha anzi indotto quest'organizzazione, abitualmente assai sen-
sibile alle conseguenze di una riduzione della produzione e delle
scorte - soprattutto cerealicole - sulla possibilità di approvvigio-
namento alimentare dei Pvs. a invocare apertamente un incremento
delle superfici messe a coltura nei grandi paesi produttori al fine di
accrescere in maniera consistente la produzione cerealicola nella
campagna 1989-90 e ricostituire così al più presto un livello di scorte
più rassicurante per la sicurezza alimentare mondiale. Questo atteg-
giamento si spiega anche alla luce delle difficoltà dei paesi importa-
tori più poveri a soddisfare il loro fabbisogno d'importazione a cau-
sa del rincaro prodotto dalla fiammata dei corsi sui mercati mondia-
li. E' comunque sintomatico e abbastanza paradossale che, a distan-
za di pochi mesi dal Vertice di Toronto e dalla sessione annuale
dell'Ocse che avevano riconfermato l'impegno dei grandi paesi pro-
duttori, e in particolare degli Stati Uniti e della Comunità. a ridurre
in maniera drastica le eccedenze produttive, la situazione dei mer-
cati agricoli mondiali si sia a tal punto modificata da indurre la Fao
ad auspicare un rilancio produttivo e la messa a coltura anche dei
terreni ritirati dalla produzione.
A destare preoccupazione non era soltanto la situazione relati-

220
va alla campagna 1988-89. che, malgrado la forte contrazione della
produzione, poteva usufruire di scorte all'inizio della campagna an-
cora su livelli particolarmente elevati, benché in regressione. ma an-
che e soprattutto la prospettiva ancora più inquietante per la cam-
pagna 1989-90.
Per mantenere, infatti, invariato il consumo cerealicolo mon-
diale e per riportare gli stocks al livello minimo di sicurezza, la Fao
stimava necessaria una progressione della produzione cerealicola dì
220 milioni di tonnellate (pari al 13%) rispetto alla campagna pre-
cedente: un risultato, questo, che essa riteneva possibile solo grazie
ad un aumentò considerevole delle superfici e un ritorno a condizio-
ni metereologiche normali, dopo le avversità del 1988.

Le conseguenze sulla politica agricola degli Stati Uniti


Al di là di queste allarmate prese di posizione e delle conse-
guenze sui mercati e sugli scambi derivanti dalla riduzione della
produzione e delle scorte è indubbio che la siccità del 1988 ha in-
fluenzato e continuerà a influenzare il dibattito in corso nella mag-
gior parte dei grandi paesi produttori sull'avvenire delle politiche
agricole a livello internazionale.
Come s'è detto, la siccità e la forte decompressione delle scorte
mondiali intervengono infatti.in un momento in cui, da una parte, sì
moltiplicano le iniziative per l'aggiustamento delle politiche agricole
e si avvia una concertazione internazionale per ridurre il sostegno
all'agricoltura, liberalizzare gli scambi e ridurre le eccedenze e, d'al-
tra parte. i mercati agricoli cominciavano già a raddrizzarsi anche
per effetto delle misure restrittive della produzione adottate negli
ultimi :1nni da vari paesi. Tale dibattito è ruotato essenzialmente in-
torno :11la seguente domanda: è il caso di limitare mediante ·misure
di controllo della produzione le possibilità di espansione dell'agri-
coltura. scegliere cioè un'opzione malthusiana di politica agricola,
allorché i mercati mondiali conoscono una nuova fiammata sotto
l'effetto di una prolungata siccità nella più grande regione di produ-
zione a li\ello mondiale e allorché la sicurezza alimentare mondi.aie
è almeno in prospettiva nuovamente compromessa?
:\"egli Stati Uniti questo genere di dibattito ha raggiunto presto
toni particolarmente accesi a mano a mano che la siccità si prolun-
gava e c:ie la gravità degli effetti sui raccolti assumeva le dimensioni.
della catastrofe naturale. anzi della più grave calamità naturale
dall'inizio degli anni trenta. Mentre, infatti, il presidente Reagan
continuava a difendere la sua proposta per il nuovo round di nego-
ziati multilaterali, intesa a pervenire all'eliminazione totale del so-
stegno all'agricoltura da qui all'anno duemila, ·alcuni uomini politi-

221
ci, a cominciare dal suo vicepresidente e candidato repubblicano
alle future elezioni presidenziali, George Bush, si domandavano,
alla luce di questa calamità, se era veramente saggio lottare contro
le eccedenze agricole. In un discorso dell'll luglio, Bush era andato
ancora più lontano preconizzando polemicamente una politica agri-
cola rivolta ad «aiutare gli agricoltori ad esportare di più e non ad
obbligarli a produrre di meno». La riflessione su tale questione ave-
va del resto superato lo stadio del dibattito teorico. Prima ancora
che la siccità si manifestasse in tutta la sua gravità l' Amministrazio-
ne americana aveva infatti deciso di ridurre dal 27 ,5 al 10% la per-
centuale minima delle superfici a frumento che gli agricoltori ameri-
cani debbono ritirare dalla coltura per poter beneficiare delle misu-
re di sostegno dei mercati e in particolare delle indennità integrati-
ve (deficiency payments) concesse agli agricoltori su vari prodotti.
Questa decisione, che ha suscitato vive reazioni presso le istituzioni
comunitarie, in quanto ritenuta contraria al principio di stand still
sancito a Punta del Este, al momento dell'avvio dei negoziati
dell'«Uruguay Round», è stata giustificata a posteriori dalle autorità
americane col pretesto della siccità, ed indubbiamente si tratta di
un alibi almeno apparentemente assai solido. Un'analoga misura è
stata decisa per il mais, la cui produzione è diminuita del 34% nella
campagna 1988-89: in questo settore la superficie minima da ritirare
dalla produzione è stata infatti ridotta dal 20% nel 1988 al 10% nel
1989. Per dare un ordine di grandezza dell'incidenza di queste misu-
re sul livello della produzione, basta ricordare che le superfici agra-
no e a mais ritirate dalla produzione nel 1988 avrebbero potuto for-
nire circa il 30% del fabbisogno cerealicolo (consumo interno ed
esportazioni) degli Stati Uniti.
Un altro aspetto sintomatico di questo processo di rimessa in
causa delle grandi opzioni di politica agricola assunte negli anni pre-
cedenti è rappresentato dalle misure «antisiccità» («Disaster Assi-
stance Act») che il presidente Reagan ha firmato 1'11 agosto e dai
dibattiti in seno al Congresso che esso aveva suscitato. Anche se il
clima preelettorale può in parte spiegare certi eccessi di generosità
nelle proposte di alcuni senatori e di alcuni deputati, è comunque
significativo che, oltre alle abituali misure di sostegno diretto a fa-
vore degli agricoltori più colpiti dalla siccità, tanto il progetto pre-
sentato dalla Camera che quello del Senato contenessero anche del-
le misure che costituivano in parte un'inversione di rotta della poli-
tica del Governo (aumento del prezzo del latte del 4,5% e soppres-
sione dell'annunciata riduzione di pari importo, aiuto ai produttori
di bioetanolo, aiuta all'alimentazione animale, ecc.). Malgrado l'ef-
fervescenza degli uomini politici e delle lobbies agricole rivolte a

222
mettere in causa le opzioni di politica agricola del Governo, I' Am-
ministrazione si è comunqUe sforzata di restare fedele al suo obietti-
vo a lungo termine in materia di riforma delle politiche agricole cer-
cando di opporsi alle richieste più estremistiche. E' significativo a
questo proposito, citare quanto l'Interagency Drought Policy Com-
mittee affermava a metà luglio, nelle conclusioni del secondo rap-
porto sulla siccità:

La necessità di una riforma globale a lungo termine delle politiche agri-


cole non è sminuita dagli aumenti dei prezzi e dalla diminuzione degli stocks
derivanti dalla siccità. In effetti, le ripercussioni sui mercati internazionali di
una riduzione della produzione sono amplificate dalle politiche che isolano i
produttori e i consumatori dalle forze del mercato. Gli effetti a medio termi-
ne della siccità, rappresentati da un aumento dei prezzi, comportano, è
vero , una minor pressione sui bilanci nazionali, ma la continuazione di un
sostegno elevato della produzione nei diversi paesi e il ritorno alle condizio-
ni climatiche normali aumenterà nuovamente il costo delle sovvenzioni pub-
bliche. Le condizioni climatiche non possono costituire un sostituto di una
riforma della politica. Gli Stati uniti proseguiranno quindi - conclude il
rapporto - i loro sforzi per l'eliminazione dei sussidi che generano una di-
storsione degli scambi.

L'incidenza della siccità americana sulla Pac


Quali effetti ha prodotto invece la siccità del 1988 sugli sviluppi
della Pac? Prima di rispondere a questa domanda, vale la pena di
ricordare che, contrariamente a quanto è accaduto nel continente
nordamericano, le condizioni climatiche sono state nel 1988 relati-
vamente favorevoli all'agricoltura della Comunità . I raccolti sono
stati perciò relativamente abbondanti e sovente in forte aumento ri-
spetto a quelli, piuttosto mediocri, degli anni precedenti. E' il caso,
in particolare, dei cereali la cui produzione ha superato, nel 1988,
di 10 milioni di tonnellate quella del 1987. D'altra parte, le scorte
presso gli organismi di intervento. benché generalmente inferiori a
quelle dell'anno precedente, superavano a fine giugno 1988 le 12
milioni di tonnellate, con una tendenza all'aumento nella prima
metà dell'anno. La Comunità si è trovata perciò, all'inizio della
campagna 1988-89, con µna disponibilità cerealicola superiore di
circa 10 milioni di tonnellate a quella di un anno prima, e quindi
con una eccedenza da esportare ancora più elevata che in passato,
tenuto conto della riduzione pressocché regolare del consumo di ce-
reali nell'alimentazione animale. Il ravvivarsi dei mercati agricoli
mondiali e la contrazione delle possibilità di esportazione degli Stati
Uniti e del Canada ha tuttavia consentito alla Comunità di realizza-
re performance particolarmente lusinghiere sui mercati cerealicoli

223
inte'rnazionali. Peraltro, per effetto soprattutto del sensibile miglio-
ramento dei prezzi mondiali e della conseguente riduzione dell'im-
porto delle restituzioni alle esportazioni, il bilancio comunitario ha
potuto realizzare vistose economie (circa 1,4 miliardi di Ecu previ-
ste per il 1989), rispetto alle previsioni iniziali di spesa, malgrado il
livello record delle quantità esportate. Il rovescio della medaglia è
stato tuttavia il pesante rincaro di molti prodotti destinati all'ali-
mentazione animale, e in particolare della soja, di cui la Comunità
è la principale importatrice mondiale, rincaro che ha determinato
un incremento notevole dei costi di produzione nel settore zootecni-
co.
Al di là, tuttavia, di questi effetti economici, la siccità negli
Stati Uniti ha prodotto, direttamente o indirettamente, qualche ef-
fetto politico «perverso» anche nella Comunità. Occorre, anzitutto,
ricordare che, nel momento in cui gli Stati Uniti decidevano di ri-
durre le superfici ritirate dalla coltura, nella Comunità entrava inve-
ce in applicazione un regime di ritiro dei seminativi dalla produzio-
ne analogo per certi versi a quello già applicato da tempo negli Stati
Uniti, ma facoltativo invece che obbligatorio per gli agricoltori.
Come vedremo più in là, questo regime che comporta comunque
una compensazione per gli agricoltori che vi partecipano per la per-
dita di reddito che subiscono - era stato adottato nonostante l'osti-
lità o le riserve di alcuni Stati membri, ed aveva suscitato controver-
sie fra le stesse organizzazioni agricole. Era quindi naturale che la
siccità nel continente nordamericano e il conseguente miglioramen-
to dei mercati mondiali, senza contare le messe in guardia della Fao
sulla precarietà della sicurezza alimentare mondiale, avrebbero de-
terminato anche nella Comunità il riaccendersi di polemiche sulle
scelte di politica agraria operate e sulla necessità di interrompere il
processo di ridimensionamento progressivo delle misure di sostegno
della produzione e dei mercati, tanto più che la favorevole evolu-
zione dei mercati agricoli lasciava per la prima volta da diversi anni
ampi margini per accrescere la spesa agricola comunitaria. Per
quanto riguarda, in particolare, il ritiro dei seminativi dalla produ-
zione, le perplessità di taluni Stati membri al riguardo traspaiono
sia dalla scarsa volontà di rendere questo regime sufficientemente
attraente per gli agricoltori, sia dalla modesta partecipazione di
questi ultimi, anche quando il livello degli aiuti fissato dagli Stati
membri era sufficientemente incitativo. Lo scarso entusiasmo verso
questo strumento è particolarmente evidente in Francia, vale a dire
nel principale paese agricolo della Comunità e nel secondo esporta-
tore mondiale di prodotti agricoli.
Su un piano più generale, è certo che la siccità nel continente

224
americano ha indirettamente contribuito a rallentare, sia pure in
misura limitata, il processo di riforma della Pac. Questo rischio era
stato chiaramente evidenziato dalla stessa Commissione Ce, al mo-
mento in cui questa aveva presentato, nel gennaio 1989, le sue pro-
poste prezzi per la campagna 1989-90. In tale circostanza essa aveva
messo in guardia contro il rischio dell'eccessivo ottimismo da parte
delle organizzazioni professionali agricole e delle autorità nazionali
che il miglioramento della congiuntura dei mercati agricoli e in ma-
teria di bilancio poteva generare:

In effetti - osservava la Commissione - il miglioramento relativo del-


la situazione dei mercati agricoli osservato nel 1988, in particolare come
conseguenza della siccità prolungata nel continente nordamericano, e la for-
te riduzione delle scorte mondiali che ne è risultata potrebbero far credere
che i mercati mondiali sono sul punto di riacquistare un equilibrio durevole
fra offerta e domanda e che quindi da una situazione caratterizzata da ecce-
denze strutturali crescenti, cpme quella che abbiamo conosciuto nella prima
metà di questo decennio, si stia passando ad una situazione di penuria pro-
lungata per i prossimi anni.
In realtà - continuava la Commissione - per valutare correttamente
la fragilità dei miglioramenti congiunturali che si registrano attualmente sui
mercati agricoli si deve prendere in considerazione un periodo di più anni
tenendo conto di tutte le tendenze di fondo a livello della produzione e della
domanda. Sarebbe peraltro illusorio - aggiungeva - credere che i vari
meccanismi di gestione dell'offerta adottati nel corso degli ultimi anni possa-
no mantenere inalterata la loro efficacia se cesseranno i tentativi di riforma
in atto e qualora se ne dovesse mitigare il rigore applicando misure contrarie
agli obiettivi perseguiti.

Malgrado questa messa in guardia, non molto dissimile da


quella, già citata, che le autorità americane avevano effettuato nel
loro rapporto sulla siccità e che è stata peraltro corroborata anche
dai rapporti dell'Ocse sulle prospettive a medio termine dei mercati
agricoli, é indubbio che il rilassamento della pressione di bilancio e
il relativo miglioramento della congiuntura mondiale hanno aperto
una breccia. in seno alle altre istituzioni comunitarie, ed in partico-
lare in seno al Consiglio e al Parlamento europeo, nella volontà di
proseguire la politica di rigore dei prezzi e dei mercati preconizzata
dalla Commissione. Ne è una prova la pressocché generale opposi-
zione dei ministri deirAgricoltura alle proposte della Commissione
e l'ampia maggioranza che si è conseguita in seno al Parlamento eu-
ropeo intorno alla richiesta di sopprimere la quasi totalità delle mi-
sure restrittive proposte dalla Commissione per la campagna 1989-
90. Certo, in nessuno degli esempi citati la siccità negli Stati Uniti è
stata invocata come motivo preminente per interrompere o rallenta-

225
re il processo di riforma della Pac. Eppure un sottile filo logico uni-
sce la lunga assenza di piogge nel Midwest durante la primavera e
l'estate del 1988 e talune delle decisioni di politica agraria assunte
da allora al di qua dell'Atlantico. Una ulteriore dimostrazione, que-
sta, dell'internazionalizzazione dei fenomeni economici e della vul-
nerabilità, non solo dell'agricoltura, ma anche delle politiche agri-
cole, alle anomalie climatiche.

1.2. L'agricoltura nel contesto dell' «Uruguay Round»

Crisi dei mercati e liberalizzazione degli scambi agricoli


Fin dall'inizio della lunga fase preparatoria e fin dal suo varo
ufficiale, avvenuto a Punta del Este, in Uruguay, il 20 settembre
1986, era apparso chiaro che l'agricoltura e la liberalizzazione degli
scambi agricoli a livello mondiale avrebbe costituito il piatto forte
del nuovo round ai negoziati multilaterali in sede Gatt ed uno dei
nodi principali da sciogliere per pervenire con successo, entro la
fine del 1990, alla conclusione del negoziato. Del resto una delle
motivazioni principali della insistente richiesta americana di aprire
questo nuovo ciclo di negoziati internazionali a breve distanza dalla
conclusione del «Tokio Round», ed in piena crisi dei mercati agri-
coli mondiali, affonda le radici proprio nelle difficoltà, interne e in-
ternazionali, cui gli Stati uniti si sono confrontati nel settore agrico-
lo durante la prima metà degli anni ottanta. Più che in altri paesi
esportatori, l'agricoltura americana ha difatti subito in questi anni le
conseguenze negative del rallentamento del commercio mondiale
agricolo e della perdita di competitività delle esportazioni agricole,
che la forte rivalutazione del dollaro ha contribuito peraltro ad ac-
centuare. Per anni le autorità americane hanno difatti dovuto assi-
stere, impotenti, alla contrazione delle loro esportazioni agricole
globali e alla perdita di numerosi mercati d'esportazione, e ciò pro-
prio in un periodo in cui più acuta si faceva l'esigenza di disporre di
risorse supplementari provenienti dalle esportazioni agricole per la
riduzione del disavanzo della bilancia commerciale americana. Allo
stesso tempo, e malgrado i numerosi programmi messi in atto per
frenare la progressione della produzione, questa è continuata a cre-
scere ad un ritmo notevolmente superiore a quello della domanda,
o quanto meno della domanda solvibile. Ne è conseguita una vera e
propria esplosione degli stocks cerealicoli, che sono praticamente
triplicati tra il 1984 e il 1987 (da 79 a 204 milioni di tonnellate). Sul
piano interno, peraltro, questo periodo era coinciso con una delle
crisi finanziarie piu acute a cui l'agricoltura americana si è trovata

226
di fronte dalla fine della guerra. Essa trae ongme essenzialmente
dall'eccessivo indebitamento in cui si sono venuti a trovare numero-
si agricoltori, incoraggiati ad investire e ad indebitarsi spesso ad alti
tassi di interesse nella fase di espansione dei mercati e di incremen-
to dei prezzi alla produzione. Il peso crescente dell'indebitamento e
il crollo dei prezzi alla produzione, che si è coniugato peraltro con
un parallelo incremento dei costi di produzione, ha messo molti far-
mer in una situazione finanziaria insostenibile costringendoli spesso
all'abbandono forzato dell'attività agricola. Intere regioni rurali de-
gli Stati Uniti si sono così spopolate, mettendo in crisi l'intero tessu-
to economico e sociale dei centri urbani circostanti.
In questo contesto particolarmente difficile tanto sul piano in-
terno che sul piano internazionale, la Ce e la Pac hanno spesso co-
stituito per gli ambienti agricoli americani e per la stessa Ammini-
strazione Reagan un comodo capro espiatorio per giustificare le dif-
ficoltà in cui si trovava l'agricoltura americana. Anche il riaccender-
si del contenzioso bilaterale Usa-Ce risponde in gran parte alla stes-
sa logica e allo stesso genere di preoccupazione. Al di là, tuttavia,
della guerra di trincea che hanno ingaggiato con la Comunità euro-
pea su questo fronte, gli Stati Uniti si sono lanciati, senza dispendio
di mezzi, anche in una guerra aperta per la riconquista dei mercati
agricoli mondiali. Nel maggio 1985 essi avevano lanciato il program-
ma Bicep (Bonus Incentive Comrnodity Esport Program), per una
spesa di 2 miliardi di dollari in tre anni, destinato a rilanciare le
esportazioni agricole degli Stati Uniti. Nel dicembre dello stesso
anno era stato peraltro emanato il «Food Security Act» che, accan-
to a misure limitative della produzione, ne comportava altre il cui
obiettivo, diretto o indiretto, era quello di accrescere a spese dei
propri concorrenti diretti (e in primo luogo della Ce), la competiti-
vità della produzione americana sul mercato mondiale.
L'offensiva americana contro la Pac si era anche riaccesa nel
quadro del Gatt, inizialmente con l'obiettivo di ottenere una con-
danna del sistema di sostegno che la Comunità garantisce alla sua
agricoltura, in particolare mediante la protezione esterna e il siste-
ma delle restituzioni all'esportazione. In un secondo momento, e al-
lorché gli Stati Uniti, delusi dalla mancanza di risultati concreti,
sembrava volessero disimpegnarsi sempre più da questa organizza-
zione, essi hanno invece contribuito al suo rilancio diventando i più
strenui difensori di un nuovo ciclo di negoziati internazionali, con
l'obiettivo di pervenire ad una totale liberalizzazione degli scambi
agricoli a livello mondiale ed in questo contesto alla soppressione
delle misure distorsive degli scambi come quelle adottate dalla Ce.
L'idea di un nuovo round di negoziati multilaterali nel quadro

227
del Gatt che allentasse le tensioni commerciali internazionali in par-
ticolare per quanto riguarda gli scambi dei prodotti agricoli, rispon-
deva, in realtà, ad un'esigenza sempre più avvertita a livello mon-
diale, soprattutto da parte dei principali paesi produttori (Stati Uni-
ti, Ce, Canada, Australia, Argentina, Brasile, ecc.). Il punto di par-
tenza su cui tutti erano più o meno d'accordo era rappresentato dal-
la consapevolezza che il rallentamento degli scambi agricoli e l'ag-
gravarsi del protezionismo non erano che le due facce di una stessa
medaglia e che ciò costituiva una seria minaccia allo stesso sviluppo
economico, non solo nei paesi industrializzati ma anche nei Pvs. Le
politiche di sostegno dell'agricoltura in molti dei grandi paesi pro-
duttori costituivano, agli occhi di molti, la causa principale degli
squilibri tra l'offerta e la domanda, nonché dell'aumento vertigino-
so delle spese per il sostegno dei mercati agricoli in molti paesi pro-
duttori, che finiva per isolare sempre più i produttori dai segnali
provenienti dal mercato. Certo delle divergenze profonde esisteva-.
no sulla responsabilità di ciascuno negli squilibri agricoli internazio-
nali. Cosi, ad esempio, la Ce non si-limitava a difendersi, come me-
glio poteva, dalle incursioni degli Stati Uniti sui suoi mercati tradi-
zionali o a respingere le accuse di protezionismo lanciatele da più
parti, ma passava al contrattacco denunciando gli effetti destabiliz-
zanti sui mercati agricoli mondiali delle misure adottate dagli Stati
Uniti e mettendo sotto accusa questi ultimi, nel quadro del Gatt,
per talune delle misure protettive .adottate o per talune deroghe alle
regole del Gatt di cui essi usufruivano in taluni settori. La Comuni-
tà aveva peraltro avviato, nel 1984, per ragioni in parte indipenden-
ti dalla deteriorazione del contesto internazionale, la riforma della
Pac con l'obiettivo di pervenire ad un migliore equilibrio dei merca-
ti agricoli e promuovere una più grande sensibilità degli agricoltori
ai segnali provenienti dal mercato.
Al di là, comunque, delle divergenze di vedute sulle responsa-
bilità della crisi dei mercati agricoli e della diversità degli interessi
in gioco è possibile affermare che il nuovo round di negoziati multi-
laterali si apriva, almeno per quanto riguarda l'agricoltura, su un
ampio consenso internazionale tanto sulla diagnosi che sugli obietti-
vi generali da perseguire. Gli sviluppi del negoziato, avviato «in
un'atmosfera di soddisfazione generale», come notavano i cronisti,
hanno tuttavia evidenziato divergenze più profonde, non solo sul
dosaggio della terapia ma anche sugli stessi rimedi che si dovrebbe-
ro somministrare.

Le posizioni dei principali attori


Anche se convinta della necessità di una maggiore liberalizza•

228
zione degli scambi agricoli, la Comunità è stata tuttavia fin dall'ini-
zio assai reticente all'idea di fare dell'agricoltura il punto centrale
del nuovo round di negoziati. Ciò sia perchè in tal caso essa rischia-
va di partire inevitabilmente perdente in un confronto a livello in-
ternazionale che vedeva la Pac come principale imputata, sia perchè
essa aveva anche interessi non agricoli da difendere e da far valere
in sede internazionale, per i quali si presentava invece potenzial-
mente come uno dei principali beneficiari. In particolare la Comu-
nità rivendicava l'applicazione delle regole del Gatt a nuovi settori,
come quello dei servizi e degli investimenti, che erano finora sem-
pre rimasti piuttosto a margine dei precedenti negoziati internazio-
nali. Ciò spie!):a perchè la Comunità si è sforzata fin dall'inizio di
dare un carattere globale e equilibrato agli obiettivi fissati per il
nuovo round di negoziati multilaterali, rifiutando un approccio
troppo selettivo che avesse come risultato di concentrare le discus-
sioni su un settore partic·olare. Questa preoccupazione di globalizza-
re il più possibile il negoziato e di affrontare l'insieme dei problemi
sul tappeto, e quindi non solo quelli che interessavano più da vicino
gli altri paesi, è stata anche la linea di condotta seguita dalla Comu-
nità per quanto riguarda il dossier agricolo. Respingendo infatti il
tentativo degli Stati Uniti di focalizzare l'attenzione ancora una vol-
ta sulle restituzioni all'esportazione di prodotti agricoli concesse nel
quadro della Pac, il Consiglio dei ministri della Ce, in una prima di-
chiarazione adottata il 19 marzo 1985, aveva affermato la disponibi-
lità della Comunità ad adoperarsi «per miglioramenti delle regole e
discipline del Gatt che comprendano tutti gli aspetti del commercio
dei prodotti agricoli, sia per quanto riguarda le importazioni che
per quanto riguarda le esportazioni, tenendo pienamente conto del-
le caratteristiche e difficoltà specifiche dell'agricoltura». Il Con•siglio
si era però dichiarato «determinato a fare in modo che gli obiettivi
e i meccanismi fondamentali tanto interni che esterni della Pac non
(fossero) messi in causa».
L'insieme di queste preoccupazioni, a carattere generale e set-
toriale, trova ampio riscontro nella dichiarazione ministeriale adot-
tata a Punta del Este, dopo una settimana di serrate discussioni. Per
quanto riguarda, in particolare, l'agricoltura, la Comunità è riuscita
ad ottenere che, nel corso del negoziato, vengano esaminate tutte le
misure inerenti a questo settore, ivi comprese le misure restrittive
all'importazione adottate da altri paesi e non soltanto le sovvenzioni
all'esportazione. D'altra parte, la Comunità si è felicitata del fatto
che la dichiarazione prevedesse la riduzione progressiva «degli ef-
fetti negativi» delle «sovvenzioni dirette e indirette» nonché degli
«altri provvedimenti che interessano direttamente o indirettamente

229
il commercio dei prodotti agricoli», piuttosto che la soppressione
delle misure stesse. Infine, come la Comunità aveva auspicato, i ne-
goziati avrebbero assunto un carattere globale «che si tratti della
loro apertura, dello svolgimento o dell'attuazione dei risultati».
Al di là, tuttavia, di queste dichiarazioni di principio su cui tut-
ti i partecipanti avevano potuto trovarsi d'accordo, si trattava ora di
precisare meglio gli obiettivi e le modalità del futuro negoziato mul-
tilaterale, in particolare per _quanto riguarda gli aspetti agricoli.
Com'era naturale attendersi, è in questa fase che le divergenze di
vedute tra i principali attori in presenza sono apparse più marcate.
Il primo passo concreto verso l'avvio dei negoziati veri e pro-
prio è stato fatto dalla Comunità, che ha presentato, alla fine del
maggio 1987, una proposta in materia di prodotti tropicali partico-
larmente allettante per i Pvs. La Comunità proponeva, infatti, una
liberalizzazione quanto più spinta possibile del regime commerciale
(tariffario e non tariffario) applicabile ai prodotti tropicali, tanto in- .
dustriali che agricoli. Tale liberalizzazione poteva andare dalla ridu-
zione significativa dei dazi doganali .fino alla loro completa soppres-
sione, e avrebbe dovuto anche avere come obiettivo l'eliminazione
progressiva delle restrizioni quantitative. «Spero che questo segnale
politico - aveva dichiarato in tale circostanza il commissario Ce
alle relazioni esterne, Willy De Clercq - inciterà i nostri partner
sviluppati a essere altrettanto concreti come noi lo siamo e a rispet-
tare gli impegni presi a Punta del Este per quanto riguarda i Pvs».
Per quanto riguarda più da vicino le questioni agricole, i primi
a scoprire le carte e ad imprimere una netta accelerazione ai lavori
preparatori dei negoziati sono stati, invece, gli Stati Uniti. In una
dichiarazione, abbastanza clamorosa, rilasciata il 6 luglio 1987, il
presidente Reagan annunciava, infatti, l'intenzione degli Stati Uniti
di presentare «la più ambiziosa proposta mai fatta in materia di ri-
forma del commercio agricolo». Il cuore di tale proposta era costi-
tuita dall'eliminazione, su un periodo di 10 anni, di tutti i sussidi
all'esportazione, di tutte le barriere negli scambi, compresi i dazi
doganali e le quote, e di tutte le sovvenzioni interne all'agricoltura
che influenzano gli scambi. Il presidente Reagan teneva, tuttavia,
ad aggiungere che la sua proposta non significava l'eliminazione to-
tale del sostegno all'agricoltura. L'Amministrazione americana non
si sarebbe infatti opposta alle concessioni di sovvenzioni dirette
all'agricoltura (ad esempio, per il sostegno dei redditi agricoli), a
condizione che queste fossero totalmente neutre rispetto al prezzo e
al volume della produzione, a condizione cioè che esse fossero di-
sancorate (decoupled) da questi parametri. E' toccato al rappresen-
tante speciale degli Stati uniti per il commercio, Clayton Yuetter,

230
presentare lo stesso giorno a Ginevra, in una riunione del gruppo
negoziale sull'agricoltura costituito in seno al Gatt, le proposte del
presidente Reagan e di spiegarne meglio la portata e le implicazio-
ni. «Questa proposta - aveva affermato Yuetter in tale occasione
- non avvantaggerà maggiormente alcun paese rispetto agli. altri.
Tutti dovremo fare dei sacrifici, ma tutti trarranno benefici dalla re-
staurazione di un certo ordine sui mercati mondiali agricoli>,. E con
un occhio ammiccante rivolto ai Pvs aveva continuato: «I paesi in
via di sviluppo, in particolare, avranno la possibilità di competere in
un mercato libero, e di acquisire, mediante le loro esportazioni, le
risorse finanziarie necessarie per finanziare 11 loro sviluppo, ivi
compreso il loro sviluppo agricolo,,.
In effetti, la proposta americana aveva ·ricevuto un'accoglienza
piuttosto favorevole da parte dei Pvs, anche se questi avevano
espresso qualche preoccupazione sulla possibilità di beneficiare an-
cora di un trattamento speciale e più favorevole allorché l'obiettivo
finale della proposta americana fosse stato raggiunto. Essa aveva
peraltro raccolto ampi consensi, sia pure con qualche riserva, tra i
13 paesi membri del cosiddetto gruppo di Cairns, costituito dai pae-
si, come l'Australia, l'Argentina, il Brasile, il Canada, la Nuova Ze-
landa ecc., che, sostenendo proporzionalmente meno la propria
agricoltura ed avendo un potenziale agricolo da sviluppare, propo-
nevano non solo l'eliminazione a termine degli ostacoli agli scambi
ma anche delle misure a breve termine per il miglioramento della
situazione sui mercati agricoli mondiali.
La Comunità, dal canto suo, in attesa di definire meglio la sua
proposta di negoziato, e non volendo apparire agli occhi dell'opi-
nione pubblica mondiale come l'eterno nemico di ogni evoluzione
verso una maggiore liberalizzazione degli scambi, ha dato atto del
coraggio, della chiarezza e dell'ambizione della proposta americana,
ma ha anche espresso immediatamente le sue riserve non tanto sul-
la direzione da prendere quanto invece sulla meta da fissarsi e sulle
modalità per arrivarvi. Proporsi infatti, come obiettivo, la soppres-
sione di tutte le barriere all'importazione e delle sovvensioni alle
esportazioni significava, come faceva notare il direttore generale
all'agricoltura della Commissione Ce, Guy Legras, che il settore
agricolo diventava il settore pilota in materia di liberalizzazione de-
gli scambi, il settore, cioè, in cui si andava di gran lunga più lonta-
no che in qualunque altro settore dell'economia, allorché invece
proprio il settore agricolo, per le sue particolarità, aveva sempre
giustificato un trattamento particolare in sede Gatt. Per il portavoce
della Comunità era inoltre importante non perdere di vista che
l'agricoltura mondiale non è qualcosa di omogeneo ma, al contra-

231
rio, un settore estremamente differenziato, come lo provano le cifre
relative alla distribuzione della superficie agricola: per 1.000 ettari
di superficie agricola, vi sono infatti 69 aziende agricole nella Co-
munità, 4 negli Stati Uniti e in Canada, 1,5 in Australia e 440 in
Giappone.
Anticipando quella che sarebbe stata la linea di condotta della
Comunità, Legras riconosceva la necessità di organizzare e negozia-
re una «riduzione progressiva e concertata» del sostegno all'agricol-
tura per il lungo periodo ma sottolineava al tempo stesso la necessi-
tà di metter fine, con urgenza, a quelle pratiche di destabilizzazione
dei mercati mondiali agricoli a cui erano ricorsi anche quei paesi,
come gli Stati Uniti, che preconizzavano la soppressione a termine
del sostegno all'agricoltura.
Le proposte della Commissione sul volet agricolo dell'«Uru-
guay Round» sono state rese note, di lì a qualche mese, il 7 ottobre
1987. Premesso che nessun aggiustamento della Pac potrà avvenire
«con un atto unilaterale», la Commissione insiste sulla necessità di
riforme concertate, parallele e equivalenti nelle concessioni, negli
impegni e nei sacrifici. Anche nell'approccio della Commissione,
l'idea di fondo è quella di restituire l'agricoltura alle leggi del mer-
cato. Al contrario, tuttavia, delle proposte americane, considerate
massimalistiche e quindi politicamente ed economicamente irrealiz-
zabili, le proposte della Commissione si caratterizzano per il gra-
dualismo e il pragmatismo delle· soluzioni avanzate, il che non toglie
comunque incisività alle riforme da attuare. Al piano di Reagan,
considerato da molti osservatori un ballon d'essai e un'iniziativa
piuttosto teatrale dell'Amministrazione americana, la Commissione
ha contrapposto invece un piano estremamente articolato che pre-
vede la riduzione graduale - da effettuare in due tappe - degli ef-
fetti perversi delle politiche di sostegno alla produzione agricola,
pur salvaguardando i principi della Pac.
La prima tappa, da attuare nel breve termine, dovrebbe coniu-
gare provvedimenti d'urgenza mirantj ad allentare le tensioni sui
mercati più critici con misure destinate a promuovere in maniera
concertata un miglior equilibrio tra domanda e offerta: Tra i prov-
vedimenti urgenti la Commissione indicava, la necessità di un impe-
gno internazionale per disciplinare i prezzi dei cereali e per perveni-
re ad un accordo sui prodotti sostitutivi dei cereali, che entravano
nella Comunità senza alcuna protezione alla frontiera, facendo così
concorrenza ai cereali nell'alimentazione animale; l'introduzione di
una disciplina per ridurre le quantità di zucchero offerte sul merca-
to mondiale; il rispetto dell'accordo internazionale sui lattiero-ca-
seari. D'altra parte, la Commissione proponeva di procedere ad una

232
stima del sostegno globale all'agricoltura, secondo una metodologia
appropriata, che tenesse conto degli sforzi fatti dalla Comunità dal
1984 in poi nel quadro della riforma della Pac, e di impegnarsi fin
da ora a non aumentare il livello del sostegno, in particolare per
quanto riguarda i' cereali, il riso, lo zucchero, i semi oleosi, i pro-
dotti lattiero-caseari e la carne bovina.
La seconda tappa dovrebbe contemplare una riduzione «signifi-
cativa e concertata» del sostegno all'agricoltura, parallelamente ad
una revisione dei sistemi di protezione esterna, con l'obiettivo di
una correzione progressiva delle attuali distorsioni produttive e il
graduale ripristino dell'equilibrio tra domanda e offerta dei prodotti
agricoli. Questa fase potrebbe peraltro comportare la concessione
di aiuti agli agricoltori per la perdita di reddito derivante dalla ridu-
zione del sostegno, a condizione tuttavia che essi siano sganciati dal
livello della produzione. Per rispondere alle esigenze e alle preoccu-
pazioni dei Pvs, per i quali il sostegno all'agricoltura è una condizio-
ne indispensabile per il proprio approvvigionamento alimentare, la
Commissione proponeva peraltro di prevedere «le condizioni di un
trattamento. speciale e differenziato» adattato alla situazione parti-
colare di tali paesi.
La proposta di mandato di negoziato della Commissione è stata
approvata, senza difficoltà di rilievo, dal Consiglio dei ministri della
Ce nella riunione del 19 e 20 ottobre 1987.
La Francia, in particolare, è stata rassicurata sul carattere glo-
bale del negoziato.
L'Italia, dal canto suo, aveva espresso qualche preoccupazione
sul trattamento che sarà riservato ai prodotti mediterranei nel qua-
dro del nuovo round di negoziati ed aveva fatto osservare che essa
aveva già fatto il massimo delle concessioni possibili in questo cam-
po. Anche questo tipo di preoccupazioni hanno tuttavia potuto es-
sere in parte appianate. Pochi giorni dopo l'adozione del mandato
di negoziato presentato dalla Commissione Ce, anche il gruppo di
Cairns, per bocca del primo ministro australiano, Robert Hawke,
ha reso note le proposte per l'apertura dei mercati e la liberalizza-
zione degli scambi, presentando un piano in tre tappe. La prima
prevede un congelamento immediato, a partire dal 1988, delle sov-
venzioni all'agricoltura e delle barriere doganali e sanitarie ingiusti-
ficate. La seconda prevede la riduzione progressiva in dieci anni
delle sovvenzioni agricole esistenti.
Infine, in una terza tappa, le sovvenzioni e le misure restrittive
verrebbero completamente eliminate e un accordo internazionale a
lungo termine sul commercio agricolo permetterebbe ai produttori
più efficaci d'avere un libero accesso sui mercati mondiali.

233
Gli Stati Uniti hanno reagito pos1t1vamente alla proposta del
gruppo di Cairns, allorché avevano invece ritenuto «deludenti» le
proposte della Comunità. Contrariamente a quest'ultima e ai 13
paesi del gruppo di Caims gli Stati Uniti si sono tuttavia dichiarati
contrari a fare degli sforzi immediati per facilitare gli scambi, se
non venivano prima fatti progressi sostanziali per il conseguimento
dell'obiettivo finale. Il 5 gennaio 1988 è toccato al Giappone, prin-
cipale importatore mondiale di prodotti agricoli, a far conoscere la
sua piattaforma negoziale per il settore agricolo. Contrariamente a
tutte le proposte precedenti, il Giappone non propone né l'elimina-
zione immediata (come gli Stati Uniti), né l'eliminazione progressi-
va (come il gruppo di Caims e la Ce) delle sovvenzioni all'agricoltu-
ra, rigettando peraltro anche l'idea avanzata dalla Comunità di una
limitazione della produzione. Per il Giappone, l'obiettivo essenziale
del negoziato dovrebbe essere la soppressione totale delle sovven-
zioni all'esportazione, secondo un calendario ben preciso, senza
mettere in causa gli aiuti interni all'agricoltura, che costituiscono
una parte integrante delle politiche agricole. In vista di questo
obiettivo, uno status d'urgenza deve essere messo in atto, congelan-
do immediatamente le sovvenzioni all'esportazione al loro livello at-
tuale, contribuendo così a creare «un'atmosfera sana e costruttiva»
per il proseguimento del negoziato. Difendendo la sua politica di
restrizione all'importazione, il Giappone ha peraltro affermato la
necessità di <<tener pienamente conto della difficoltà che rappresen-
ta per i paesi importatori la dipendenza per una parte importante
dei loro fabbisogni alimentari da fonti esterne» e ha messo in guar-
dia contro la tentazione di preoccuparsi unicamente della riduzione
delle eccedenze, dimenticando gli attuali problemi di penuria ali-
mentare.
E' essenzialmente sulla base di queste proposte e di questi
orientamenti generali che i negoziati dell'«Uruguay Round»
sull'agricoltura hanno proceduto, in sede politica e in sede tecnica,
segnando tuttavia pochi progressi concreti verso un accordo, quanto
meno durante il periodo in esame.

2. D contesto comunitario

2.1 . La riforma della Pac e gli sviluppi del Piano Delors

La stretta connessione tra il grande progetto politico che va


sotto il nome di Piano Delors e la riforma della Pac sono state am-

234
piamente messe in luce nel precedente volume 1 • Si tratta, in sostan-
za di assicurare un uso più razionale delle risorse disponibili in un
settore come quello della Pac che assorbe di gran lunga la parte
prevalente del bilancio comunitario. Un'esigenza questa ancora più
avvertita nel momento in cui si chiedevano per la Comunità nuove
risorse che la sottraessero alla minaccia di sempre ricorrenti crisi fi-
nanziarie e le dessero un sufficiente respiro per poter adempiere ai
nuovi impegnativi compiti che essa si era assunta con l'adozione
dell'Atto unico. Si tratta, più concretamente, di «indurre gli agricol-
tori - come si legge nel Piano Delors - ad assumere una maggiore
responsabilità nelle loro scelte di produzione e nella ricerca di sboc-
chi non sovvenzionati», in maniera da contribuire al perseguimento
di un migliore equilibrio dei mercati agricoli, comunitari e mondiali.
Si tratta, in altre parole, di ridimensionare il ruolo della Pac nel so-
stegno e netrorientamento dell'agricoltura comunitaria, senza tutta-
via trascurare la necessità di accompagnare e favorire il processo di
adattamento e razionalizzazione del settore mediante appropriate
misure socio-strutturali e di mercato o mediante aiuti diretti al red-
dito degli agricoltori, sganciati però dal volume della produzione,
come affermato anche in sede internazionale. Si tratta, infine, di
mettere definitivamente sotto controllo l'evoluzione della spesa
agricola che, malgrado i precedenti impegni, era nuovamente esplo-
sa per effetto della caduta dei prezzi mondiali e della rivalutazione
del dollaro, portando la Comunità sull'orlo della bancarotta finan-
ziaria. Al di là, comunque, delle ragioni eminentemente di bilancio,
la riforma della Pac assumeva soprattutto per la Commissione e per
taluni Stati membri, un'importanza politica particolarmente rilevan-
te ed anzi una delle condizioni principali per il successo dell'Atto
unico. Era naturale, perciò, che i progressi del «pacchetto Delors»
fossero condizionati dai progressi e dai risultati ottenuti sul piano
della riforma della Pac e del controllo dei mercati agricoli, ma an-
che dalle difficoltà di pervenire ad un accordo sugli ulteriori passi in
avanti da effettuare su questo terreno. E' significativo, a questo
proposito, che il dossier agricolo, e più particolannente le misure
complementari presentate dalla Commissione per assicurare un rea-
le controllo della spesa agricola, sia stato al centro dei lavori e delle
discussioni dei tre Consigli europei che si sono svolti tra il giugno
1987 e il febbraio 1988, allorché è stato raggiunto, in extremis un
accordo sull'insieme dei grandi progetti politici contenuti nel «pac-
chetto Delors» (spazio economico comune, risorse proprie, riforma

l. lai, lnpi 1986-1987, Franco Angeli, Milano , 1989, pp. 347 e ss.

235
dei fondi strutturali, riforma della Pac e disciplina di bilancio).
Si è trattato, per quanto riguarda gli sviluppi della Pac, di uno
dei periodi più intensi ma anche più dinamici e più ricco di decisioni
innovative da molti anni a questa parte. La relativa rapidità con cui
si è giunti ad una decisione sul piano Delors e sugli ulteriori sviluppi
della Pac malgrado le enormi difficoltà che ne hanno ostacolato il
cammino costituisce, del resto, la controprova evidente della di-
mensione politica che la riforma della Pac assumeva nel contesto
della realizzazione dell'Atto unico e del rilancio della dinamica co-
munitaria. E' toccato comunque, ancora una volta ai capi di Stato e
di Governo dipanare la matassa dei problemi agricoli dopo essersi
impantanati, senza successo, nella ricerca delle formule più appro-
priate ma spesso anche più complesse, che permettessero di progre-
dire verso un accordo sull'insieme del pacchetto agricolo e quindi
anche del pacchetto globale. Il punto di partenza di questa nuova
fase della riforma della Pac è rappresentato dalla riunione del Con- .
siglio europeo che si era tenuta a Bruxelles il 29 e 30 giugno 1987.
Essa aveva permesso di risolvere, con un accordo all'unanimità, dif-
ficili problemi congiunturali e a breve termine, che avevano tenuto
per mesi nell'impasse la vita comunitaria (dalla tassa sulle materie
grasse al oroblema dello smantellamento degli Icm, dai prezzi agri-
coli al bilancio suppletivo per il 1987). Sul medio termine, invece,
vale a dire sugli orientamenti generali relativi all'attuazione del
«pacchetto Delors», la signora Thatcher non si era associata alle con-
clusioni della presidenza. largamente favorevoli alle proposte della
Commissione e accettate invece dagli altri undici Stati membri, es-
senzialmente perché riteneva che le garanzie offerte circa l'applica-
zione di un'autentica disciplina di bilancio non erano convincenti.
Aveva, peraltro, ancora una volta sottolineato la necessità di ridur-
re la spesa agricola ed aveva dichiarato di non essere disposta ad
approvare livelli «costantemente sopravvalutati» di spesa proprio
nel momento in cui la Comunità era «al limite della bancarotta».
Eppure, sia per quanto riguarda la disciplina di bilancio, sia
per quanto attiene all'agricoltura, le conclusioni della presidenza
belga tenevano già conto delle preoccupazioni del primo ministro
britannico, che erano del resto largamente condivise dagli altri Stati
membri e dalla stessa Commissione. A proposito, infatti, della di-
sciplina di bilancio per le spese agricole, il Consiglio europeo, dopo
aver ribadito il principio che le spese del Feoga-garanzia non avreb-
bero dovuto progredire ad un ritmo superiore a quello della base
delle risorse proprie, chiedeva al Consiglio «di adottare, su propo-
sta della Commissione, le disposizioni regolamentari supplementari
che porranno quest'ultimo in grado, nell'ambito della gestione dei

236
mercati. di mantenere il livello delle spese all'interno dei limiti di
bilancio».
Per quanto riguarda l'agricoltura, il Consiglio europeo confer-
mava i<la necessità di un maggiore adeguamento dell'offerta alla do-
manda grazie a misure che consentano al mercato di svolgere un
ruolo più incisivo. Questo orientamento - aggiungeva il Consiglio
europeo - sarà completato da altre misure quali, ad esempio, l'in-
coraggiamento ad un congelamento temporaneo delle terre (set asi-
de) o un'agricoltura piu estensiva». I capi di Stato e di Governo ap-
portavano peraltro un notevole sostegno politico alla recente propo-
sta della Commissione di introdurre nella Pac un regime di aiuti di-
retti e selettivi al reddito agricolo, avente un carattere sussidiario ri-
spetto alla politica dei prezzi e senza incidenza sul livello produtti-
vo. Ma la frase-chiave delle conclusioni della presidenza relative al
capitolo agricolo era quella in cui essa chiedeva alla Commissione e
al Consiglio di effettuare al più presto «un bilancio dell'insieme de-
gli adattamenti apportati alla politica agricola comune)>. <<Su questa
base - concludeva la presidenza - il Consiglio adotterà le necessa-
rie misure dirette ad assicurare il pieno rispetto della disciplina di
bilancio». A distanza di poche settimane dalla conclusione del Con-
siglio europeo di Bruxelles la Commissione ha in effetti presentato
due comunicazioni al Consiglio: la prima2 contiene un bilancio delle
misure di controllo dei mercati agricoli gia in vigore e prospetta la
possibilità di nuove misure di stabilizzazione della spesa agricola o il
rafforzamento di quelle esistenti; la seconda 3 si propone di precisare
meglio gli elementi costitutivi e il funzionamento della disciplina di
bìlancio, in particolare per quanto riguarda la spesa agricola.
E' evidente, da quanto precede, che le preoccupazioni di carat-
tere finanziario, ed in particolare la necessità di mettere realmente
sotto controllo la spesa agricola o di una sua relativa «stabilizzazio-
ne», costituiscono il movente essenziale di questa nuova tappa nella
riforma della Pac. Com'era già accaduto altre volte, è chiaro che
mediante le restrizioni di bilancio si perseguiva anche l'obiettivo di
scoraggiare un aumento eccessivo bella produzione nei settori ecce-
dentari, tanto più che le misure di stabilizzazione della spesa si tra-
ducevano in una riduzione dei prezzi e degli aiuti e che il vincolo
finanziario avrebbe condizionato sempre più il sostegno accordato
all'agricoltura. Parallelamente, tuttavia, a questo ulteriore giro di
vite che si prospettava per l'agricoltura europea, si cercava di atte-

2. Doc. Com (87) 410, def., 3 ago. 1987.


3. Doc. Com (87) 430, def., 6 ago. 1987.

237
nuarne l'impatto sugli agricoltori più esposti mediante misure di ac-
compagnamento a vocazione soci,ale o di miglioramento delle strut-
ture agricole. Queste ultime assumevano, anzi, un ruolo decisivo
per rendere praticabile un ulteriore rafforzamento della politica re-
strittiva dei prezzi e dei mercati agricoli, e quindi per rimuovere le
riserve di natura politica avanzate dagli agricoltori e da taluni Stati
membri. «L'intento di evitare gravi rotture economiche e sociali, in
seguito alla riforma della Pac - precisava a questo proposito la
Commissione - il desiderio di conservare un modello di sy,iluppo
rurale europeo basato sull'azienda familiare e su un asseJto equili-
brato dello spazio caratterizzano dunque l'impostazione· comunita-
ria». In questo senso le proposte della Commissione si ricollegano
ad una delle preoccupazioni espresse nell'Atto unico: la necessità di
coesione economica e sociale.

2.2. Gli stabilizzatori finanziari

Le misure in atto e le proposte supplementari di «corresponsabiliz-


zazione» dei produttori
Benché, nel settore agricolo, la nozione di «corresponsabilità»
esista da più di dieci anni, da quando cioè è stata introdotta, nel
1977, la tassa di corresponsabilità lattiero-casearia, il concetto di
«stabilizzatore finanziario» è stato introdotto dalla Commissione
soltanto nel 1981, con la proposta di limiti di garanzia per la produ-
zione, anzitutto nel settore lattiero e in seguito in quello delle pro-
duzioni vegetali. L'idea è stata accettata dal Consiglio soltanto gra-
dualmente ma la sua applicazione non ha dato sempre i risultati
sperati.
A partire dal 1984 è stata progressivamente instaurata una serie
di dispositivi di stabilizzazione potenziati, intesi a controllare sia la
produzione agricola sia la spesa di bilancio. In alcuni settori, ed in
particolare nel settore lattiero-caseario (nel quale sono state intro-
dotte, nel 1984, delle quote di produzione) gli stabilizzatori hanno
avuto un effetto vincolante e un'indubbia efficacia ai fini del con-
trollo della produzione e della spesa. A questo proposito, la Com-
missione aveva stimato a circa 6 miliardi di Ecu le economie realiz-
zate nel 1987 per effetto delle misure prese dal 1984 in poi nel con-
testo della Pac.
~er altri settori, tuttavia, l'effetto, benché non trascurabile, è
stato soltanto parziale e non ha garantito perciò sufficientemente la
stabilizzazione della spesa, anche a causa degli impegni assunti
all'importazione, che rappresentano altrettanti vincoli che impedì-

238
scono un controllo totale della produzione e delle spese. Un'altra
ragione che spiega questa situazione è la fluttuazione dei prezzi
agricoli sui mercati mondiali, che influenzano tanto le restituzioni
all'esportazione che gli aiuti ai produttori comunitari, nonché l'evo-
luzione contrastante del tasso di cambio del dollaro. A questo pro-
posito, la Commissione aveva stimato che, a dollaro costante, le
spese agricole sarebbero state di 1,2 miliardi di Ecu più elevate nel
1984 e di 1,6 miliardi di Ecu meno elevate nel 1987. Infine, un altro
fattore di debolezza della maggior parte dei meccanismi di stabiliz-
zazione in vigore era il fatto che la loro applicazione richiedeva,
anno per anno, una decisione del Consiglio, il che ritardava spesso
la sua messa in atto effettiva e rendeva difficile un controllo efficace
delle spese nel corso della campagna, senza contare la possibilità
che il Consiglio decidesse di ridurne il rigore per gli agricoltori.
Questo spiega perché, al momento in cui essa proponeva l'applica-
zione di nuovi stabilizzatori o l'accentuazione di quelli esistenti, la
Commissione sottolineasse la necessità di modificare, in alcuni casi,
i rispettivi poteri del Consiglio e della Commissione, e un certo tra-
sferimento del potere decisionale a quest'ultima, per lasciar posto a
una sufficiente flessibilità nella gestione e per accrescere l'efficacia
delle misure di stabilizzazione adottate. Ciò vale anche per le pro-
poste della Commissione in materia di disciplina di bilancio, che
prevedevano una maggiore responsabilizzazione della Commissione
nell'assicurare il rispetto di tale disciplina.
Dopo avere esposto, a fine luglio 1987, i grandi orientamenti
da seguire per migliorare i dispositivi esistenti ed estendere ad altri
settori l'utilizzazione degli stabilizzatori, la Commissione ha presen-
tato a fine settembre le sue proposte concrete al riguardo. La Com-
missione ha infatti voluto stringere i tempi per la presentazione del-
le sue proposte ritenendo opportuno che il Consiglio dei ministri
dell'Agricoltura, nella prospettiva della preparazione del Consiglio
europeo che doveva tenersi all'inizio di dicembre a Copenaghen, di-
sponesse in tempo utile degli elementi necessari per valutare i mec-
canismi complementari da istituire per un'efficace stabilizzazione
delle spese agricole.
In concreto, la Commissione proponeva di introdurre delle mi-
sure di stabilizzazione delle spese anzitutto nel settore dei cereali, la
cui spesa aveva registrato un forte incremento negli ultimi anni,
malgrado le misure restrittive già adottate. Esse comportavano un
ulteriore adattamento dei meccanismi d'intervento e l'istituzione di
un quantitativo massimo garantito pari a 155 milioni di tonnellate di
cereali ( cioè un livello grosso modo equivalente alla produzione nel
1986 e nel 1987). Il superamento di questo limite avrebbe provocato

239
una diminuzione dei prezzi di acquisto all'intervento, l'introduzione
di un prelievo di corresponsabilità supplementare a quello in vigore
e una riduzione del periodo d'intervento. Misure di deroga erano
previste per i piccoli produttori. Per i semi oleosi la Commissione
chiedeva al Consiglio di pronunciarsi definitivamente sulla propo-
sta, già presentata in precedenza, di abolire progressivamente il
massimale alla riduzione dei prezzi e degli aiuti applicabile in caso
di superamento della quantità massima garantita. Un meccanismo
analogo veniva proposto per il settore dei prodotti proteici, i cui co-
sti di bilancio erano sensibilmente cresciuti negli ultimi anni. Nuovi
stabilizzatori erano anche proposti per taluni ortofrutticoli, tanto
freschi che trasformati. Per quanto riguarda il tabacco, la Commis-
sione proponeva di instaurare, in aggiunta al dispositivo di stabiliz-
zazione in vigore che non aveva mai funzionato, quantitativi massi-
mi garantiti per varietà di tabacco, nell'ambito tuttavia di un volu-
me globale massimo di 350.000 tonnellate. TI superamento di tali
quantitativi avrebbe comportato automaticamente una riduzione
proporzionale dei prezzi e dei premi. Analoghe misure erano pro-
poste per le carni ovine e caprine. Per il vino da tavola, la Commis-
sione proponeva di rafforzare il carattere dissuasivo della distillazio-
ne obbligatoria, mediante una riduzione progressiva del prezzo pa-
gato al produttore tanto più accentuata quanto maggiore è il volu-
me da distillare. Per lo zucchero e il latte, la Commissione propone-
va di mantenere il dispositivo esistente, potenziando però i mecca-
nismi di stabilizzazione e prorogando il sistema delle quote. La
Commissione non proponeva invece, a questo stadio, alcuna misura
di stabilizzazione per le carni bovine, dopo la riforma dell'organiz-
zazione comune di mercato decisa nel dicembre 1986 e in attesa del
regime definitivo da applicare a partire dal 1989.
Nel presentare queste proposte, la Commissione sottolineava
che esse costituivano «un tutto indissociabile~ e che non si poteva
ammettere alcuna scelta «in particolare tra i prodotti da prendere in
considerazione». Essa attirava inoltre l'attenzione del Consiglio sul
problema generale dei poteri di cui essa chiedeva di essere investita
per realizzare gli obiettivi di stabilizzazione. «Essa non chiede un
assegno in bianco - precisava al riguardo la Commissione - ma
che gli siano riconosciute, nell'ambito di norme prestabilite dal
Consiglio, possibilità di intervento più ampie di quelle conferitele
attualmente».

Il negoziato in seno al Consiglio


Com'era da attendersi, le proposte della Commissione sono
state accolte senza molto entusiasmo e talvolta con ostilità dai mini-

240
stri dell'Agricoltura dei Dodici , costretti a un tour de force per per-
venire ad un accordo prima del Consiglio europeo di Copenaghen,
pena il rischio di fallimento di quest'ultimo. La maggior parte degli
Stati membri non ha negato la necessità di prevedere dei mezzi per
limitare la spesa. Solo il Regno Unito e i Paesi bassi si sono pro-
nunciati per la messa in atto accelerata degli strumenti proposti dal-
la Commissione. La Rft, al contrario , è stata la più reticente, espri-
mendo le sue riserve abituali sulle riduzioni dei prezzi agricoli, che
avrebbero provocato danni ulteriori ai redditi agricoli già provati
dalle riforme anteriori.
La delegazione tedesca ha suggerito di ridurre la capacità di
produzione dei seminativi mediante mezzi alternativi adeguati
(estensificazione della produzione, ritiro dei seminativi dalla produ-
zione, ecc.) . In caso di superamento di un limite di produzione pre-
fissato gli Stati membri avrebbero dovuto assumersi la responsabili-
tà finanziaria del superamento (un regime, questo, che si avvicina a
quello delle quote nazionali) .
La volontà della Commissione d'accrescere i suoi poteri di ge-
stione mediante l'applicazione degli stabilizzatori non ha, peraltro,
mancato di sollevare vive inquietudini. Anche l'idea di far scattare
le misure di stabilizzazione nel corso della campagna per frenare la
spesa agricola ha suscitato forti opposizioni. Un altro aspetto della
proposta della Commissione che ha ostacolato il raggiungimento di
un accordo è stato il dispositivo che prevede una gestione della spe-
sa agricola capitolo per capitolo . Questo dispositivo impedisce di
fatto quegli storni di spesa da un capitolo all'altro resisi necessari in
passato per compensare la crescita della spesa in taluni settori con
le economie realizzate in altri. L'Italia, da parte sua, per bocca del
ministro del! ' Agricoltura, Pandolfi, aveva precisato che non era
contro l'introduzione degli stabilizzatori e la concessione di nuovi
poteri alla Commissione se questi fossero stati esercitati in tutti i
settori in maniera che si evitasse il perpetuarsi delle ingiustizie com-
messe contro le produzioni agricole del Sud. Per quanto riguarda in
particolare i cereali, l'Italia ha sostenuto la necessità di agire sui
prezzi piuttosto che sulla tassa di corresponsabilità, nel presupposto
che il prelievo di corresponsabilità avrebbe colpito la generalità dei
produttori, mentre la riduzione del prezzo avrebbe interessato di-
rettamente soltanto chi apporta all'intervento, e quindi in misura
minore i produttori cerealicoli italiani. [noltre, per esigenze di equi-
tà e di efficacia , l'applicazione degli stabilizzatori doveva comporta-
re - secondo la delegazione italiana - una modulazione in funzio-
ne delle rese per ettaro realizzate nelle singole regioni di produzio-
ne. Pandolfi si è inoltre opposto all'introduzione degli stabilizzatori

241
nel settore del tabacco e degli ortofrutticoli, mentre, per quanto ri-
guarda il vino, pur accettando misure di contenimento della produ-
zione, si è dichiarato contrario ad una riduzione eccessiva del prez-
zo pagato al produttore per la distillazione obbligatoria. Era chiaro,
tuttavia, per tutti i ministri dell'Agricoltura che il negoziato agrico-
lo, benché affrontato in sede di Consiglio «Agricoltura», rappresen-
tava un tassello fondamentale di quel negoziato d'insieme sull'avve-
nire della Comunità di cui da alcuni mesi si attendeva con impazien-
za la conclusione.
Questa consapevolezza si è ancor più acuita dopo il fallimento
del Consiglio europeo di Copenaghen, dovuto in gran parte proprio
alle difficolta di trovare un accordo sugli stabilizzatori agricoli, so-
prattutto nel settore dei cereali e dei semi oleosi. Un ruolo determi-
nante nella ricerca di una soluzione a questo problema hanno gioca-
to gli aggiustamenti tecnici apportati alla proposta iniziale della
Commissione, in particolare per venir incontro alle rivendicazioni
della delegazione francese e dì quella tedesca (il cui ministro
dell'Agricoltura, lgnaz Kiechle, ha assunto dal 1° gennaio 1988, la
funzione di presidente di turno del Consiglio «Agricoltura»). Anche
l'inclusione, nel pacchetto di misure da adottare in occasione della
riunione straordinaria del Consiglio europeo che doveva tenersi a
Bruxelles l'l l e il 12 febbraio, di una proposta della Commissione
relativa ad un regime comunitario di ritiro delle terre dalla produ-
zione (set aside), di cui la delegazione tedesca aveva fatto una con-
dizione imprescindibile per il suo accordo sull'insieme del pacchet-
to, ha giocato un ruolo decisivo. La delegazione tedesca, al pari di
altre delegazioni, ha giudicato inoltre positivo che il Consiglio abbia
parallelamente progredito su altre due misure di accompagnamento
presentate dalla commissione, il prepensionamento e gli aiuti al red-
dito, intese rispettivamente ad aiutare gli agricoltori più anziani ad
uscire anticipatamente dal settore e quelli più indeboliti dalle misu-
re di mercato a superare con successo questo periodo difficile.
Fatto sta che, anche per non rischiare di far nuovamente nau-
fragare la riunione del Consiglio europeo, i ministri dell'Agricoltura
sono pervenuti, il 25 gennaio 1988, ad un accordo assai largo (con
la sola opposizione del Regno Unito e dei Paesi Bassi) su una pro-·
posta di compromesso della presidenza tedesca che è stata poi so-
stanzialmente sancita con leggeri adattamenti dai capi di Stato e di
Governo, riuniti a Bruxelles l'l l e il 12 febbraio, nel quadro della
decisione d'insieme sul «pacchetto Delors». Sulla base degli orienta-
menti definiti dal Consiglio europeo, i Consigli «specializzati» han-
no adottato, nella prima metà del 1988, i regolamenti e le disposi-
zioni necessarie per la messa in atto di tale decisione. In particolare

242
sono state definite, con precisione, le modalità di applicazione della
disciplina di btlancio e degli stabilizzatori agricoli.

Le decisioni assunte e le reazioni in ltalia


Per quanto riguarda, anzitutto, la disciplina di bilancio, in base
alle nuove disposizioni adottate. il ritmo annuo di incremento delle
spese del Feoga-garanzia non potrà superare il 74% del tasso di cre-
scita del Pii della Comunità («linea direttrice»). Ciò significa, prati-
camente, che, in base alle attuali previsioni di evoluzione del Pii co-
munitario, le spese del Feoga-garanzia non potranno aumentare, in
termini reali, nel corso dei prossimi cinque anni, a un tasso superio-
re al 2% all'anno circa, allorché esse sono aumentate ad un tasso
superiore a circa il 7,5% all'anno dal 1975 in poi. L'efficacia della
disciplina di bilancio è assicurata da una serie di disposizioni decise
contemporaneamente ed intese ad evitare che la «linea direttrice»
sia oltrepassata dalle decisioni del Consiglio o da eventi esterni,
come ad esempio, la caduta del dollaro.
Per quanto riguarda le misure di stabilizzazione delle spese in-
trodotte nelle organizzazioni comuni dei mercati, esse riflettono
fondamentalmente le proposte della Commissione, anche se oppor-
tunamente adattate in taluni punti , ed in particolare per quanto ri-
guarda il livello delle quantità massime garantite e l'intensità delle
penalìzzazioni in caso di superamento. Ecco un riepilogo delle prin-
cipali misure adottate in questo contesto:
a) nel settore dei cereali , è stato deciso di introdurre una
quantità massima garantita, pari a 160 milioni di tonnellate (contro
le 155 proposte dalla Commissione), il cui superamento provocherà
automaticamente (cioè senza una nuova decisione del Consiglio, ma
esclusivamente sulla base di una decisione della Commissione) una
riduzione del 3% del prezzo di intervento dei cereali per la campa-
gna seguente. D'altra parte, fin dall'inizio della campagna, sui ce-
reali commercializzati è prelevata una tassa di corresponsabilità,
pari provvisoriamente al 3% del prezzo d'intervento, in aggiunta a
quella del 3% già in vigore. Il prelievo supplementare risulta inte-
gralmente acquisito al bilancio comunitario se il superamento della
quantità massima garantita eccede o è uguale al 3%, è invece rim-
borsata totalmente o parzialmente rispettivamente se non si ha su-
peramento, oppure se questo è inferiore al 3%. Come per la tassa
· di corresponsabilità del 3%, già in vigore, i piccoli produttori saran-
no esentati dal prelievo supplementare;
b) nel settore dei semi oleosi, è stato aumentato il livello
delle quantità massime garantite già in vigore ed è stato ridotto il
tasso di penalizzazione dei produttori, in cambio dell'eliminazione

243
del limite massimo previsto finora per quanto riguarda la riduzione
dei prezzi in caso di superamento delle quantità massime garantite.
Un regime analogo è stato introdotto per le proteaginose, mentre
per l'olio d'oliva un regime altrettanto penalizzante era stato intro-
dotto nel 1987;
e) nel settore del vino è stato messo in atto un regime a dop-
pia azione con l'obiettivo di diminuire in maniera drastica le cre-
scenti eccedenze di produzione rispetto ad una domanda in regres-
sione continua: da una parte, un regime incitativo all'abbandono
delle superfici viticole; dall'altra, il rafforzamento del carattere dis-
suasivo del regime di distillazione obbligatoria delle eccedenze di
vino di meno buona qualità mediante una riduzione progressiva e
sostanziale del prezzo pagato al produttore;
d) nel settore del tabacco è stato deciso di fissare una quan-
tità massima garantita per varietà e gruppi di varietà con lo scopo,
da una parte, di stabilizzare la produzione e, dall'altra, di favorire il
riorientamento della produzione verso le varietà più ricercate dal
mercato;
e) nel settore degli ortofrutticoli le misure di stabilizzazione
sono state estese ad altri prodotti (pesche, arance, limoni, clementi-
ne, mandarini);
f) nel settore delle carni ovine e caprine è stato fissato un li-
vello massimo garantito per le mandrie di pecore per l'insieme della
Comunità: come per gli altri settori, in caso di superamento i prezzi
sono ridotti in proporzione;
g) infine, nel settore del latte, il regime delle quote in vigore
è stato prolungato di tre campagne, cioè fino al 31 marzo 1992.
In Italia, le reazioni del mondo agricolo alle decisioni del Con-
siglio europeo di Bruxelles sono state improntate, da una parte, ad
una certa soddisfazione per il fatto che la Comunità fosse finalmen-
te uscita dall'impasse politico e finanziario in cui si trovava da molti
mesi e, dall'altra, ad una sorta di frustrazione per le decisioni assun-
te, in campo agricolo. «Gli interessi dell'agricoltura italiana sono
stati salvaguardati», ha affermato il ministro italiano dell' Agricoltu-
ra, Pandolfi, all'indomani del Consiglio europeo, ma non ha potuto
fare a meno di ammettere che nell'intesa di Bruxelles «non c'è nulla
di propriamente esaltante>>, anche se «è essenziale che l'Europa ab-
bia messo un po' di ordine nelle sue regole e nei suoi conti. Oggi
l'Europa Verde ha rilevato Pandolfi - si è fatta più stretta, ma è
più sicura. La spesa è ricondotta sotto controllo, perciò è più garan-
tita».
Sul fronte delle organizzazioni agricole, lapidario il giudizio
della maggiore organizzazione del settore, la Coldiretti: «ancora

244
una volta - ha dichiarato il presidente Arcangelo Lobianco - ha
prevalso la logica franco-tedesca, con un occhio particolare alla
Gran Bretagna. Tuttavia alla nostra delegazione - ha aggiunto Lo-
bianco va riconosciuto il merito di essersi battuta bene nel setto-
re delle risorse proprie». Senza entusiasmi eccessivi anche il com-
mento della Confagricoltura, affidato al presidente Stefano Wall-
ner: «il compromesso di Bruxelles imposto dalla necessità di dare
soluzioni ai problemi finanziari della Comunità è stato raggiunto a
scapito dei problemi agricoli che attendevano una soluzione più
equilibrata». E' inoltre «inaccettabile - sostiene Wallner - la pre-
tesa di imporre ai ceralicoltori il pagamento anticipato di un super-
prelievo da restituirsi in caso di non superamento del tetto di 160
milioni di tonnellate». La Confcoltivatori, infine, per bocca del suo
presidente, Giuseppe Avolio, ha parlato di un «risultato non di-
sprezzabile» almeno sul piano politico, ma ha aggiunto: «aver fissa-
to il prelievo di corresponsabilità del 3% per chi oltrepassa il tetto
produttivo, si iscrive nella vecchia ed inaccettabile logica di mettere
sullo stesso piano chi produce per il mercato con chi consegna diret-
tamente all'intervento».

2.3. Il ritiro delle terre agricole dalla produzione

Pagare gli agricoltori per non produrre?


Pagare gli agricoltori per non produrre può sembrare un para-
dosso, frutto della fertile immaginazione delle tecnocrazie nazionali
e comunitarie, tanto piu incomprensibile per l'opinione pubblica se
si tiene conto del fatto che circa mezzo miliardo di persone a livello
mondiale soffrono di sottonutrizione e altrettante di malnutrizione.
Eppure, a parte l'aspetto per così dire «morale» della questione,
questa soluzione non sarebbe, in astratto, economicamente e finan-
ziariamente irrazionale se la misura fosse realmente efficace in vista
di una riduzione adeguata delle eccedenze produttive e di un risana-
mento del mercato. Un esempio molto semplice è sufficiente per
provarlo. Un ettaro di seminativo produce in media 5 tonnellate di
cereali e costa al bilancio comunitario circa 600 Ecu, se la produzio-
ne deve essere esportata sul mercato mondiale e se il prezzo mon-
diale si aggira sul livello medio della campagna 1987-88. Il reddito
di un ettaro di cereali varia tra 300 e 600 Ecu, a seconda della zona:
basta dunque offrire al produttore un premio anche leggermente in-
feriore a questa cifra, che copra però i suoi costi variabili e che lo
induca a rinunciare a mettere a coltura il suo ettaro di cereali, per-
ché il bilancio comunitario realizzi un'economia e perché il mercato

245
mondiale sia alleggerito dell'eccedenza proveniente da questa su-
perficie.
Negli Stati Uniti del resto, il ritiro delle terre dalla produzione
(set aside) costituisce, fin dagli anni sessanta, uno dei principali
strumenti di regolazione dell'offerta agricola e non sempre esso of-
fre molta libertà di scelta al produttore, anche se la messa a riposo
delle terre non comporta alcuna remunerazione al produttore.
Anche nella Comunità, di fronte alla necessità di trovare una
soluzione al problema delle eccedenze, taluni Governi, in particola-
re del Nord Europa, il Parlamento europeo e talune organizzazioni
professionali avevano avanzato, negli ultimi anni la proposta di
creare una sosta di «riserva» di terre (ed in particolare di seminati-
vi), che sarebbero ritirate dalla produzione, lasciate a maggese o
utilizzate ad altri fini. Tali proposte erano essenzialmente guidate
da tre considerazioni: la riduzione della superficie agricola contri-
buirebbe, in maniera più o meno sensibile, al rallentamento o alla
riduzione della produzione nei settori eccedentari; nella misura in
cui le terre marginali sarebbero le prime ad essere ritirate dalla pro-
duzione, un ritiro delle terre contribuirebbe alla protezione dell'am-
biente, soprattutto se le terre ritirate fossero utilizzate per creare
delle riserve ecologiche; nella misura in cui gli agricoltori sono re-
munerati per il ritiro delle loro terre e la diminuzione della produ-
zione che ne risulta, una misura di questo genere consente di limita-
re l'impatto negativo sui redditi agricoli derivante dalle misure re-
strittive prese nel quadro della riforma della Pac, ed in particolare
l'effetto negativo derivante da una riduzione dei prezzi e del soste-
gno di mercato.
Del resto, dal 1985 in poi, proprio nel quadro della riforma
della politica socio-strutturale, la Comunità si era dotata di vari
strumenti che favoriscono sia la sottrazione di terre alla produzione
agricola, sia l'utilizzazione meno intensiva delle terre agricole. In
particolare, erano stati adottati due tipi di misure: misure di aiuto
all'imboschimento delle superfici agricole (facoltative per gli Stati
membri) e misure d'incentivazione dell'imboschimento nel quadro
dei programmi integrati mediterranei; compensazioni, in funzione
della perdita di reddito, agli agricoltori che, nelle zone sensibili dal
punto di vista dell'ambiente, si impegnano ad esercitare un'attività
in modo compatibile con l'ambiente.
La Commissione aveva inoltre proposto nel marzo 1987 una
misura destinata ad incoraggiare gli agricoltori di oltre 55 anni a
cessare la loro attività abbandonando la produzione agricola nell'in-
tera azienda. Nel giugno 1987 il Consiglio aveva, d'altra parte,
adottato un regime di aiuti intesi a favorire l'«estensivizzazione»

246
della produzione agricola, in particolare nei settori dei cereali, della
carne bovina e del vino.
Per i cereali, esso prevedeva che tale estensivizzazione avrebbe
dovuto operarsi, tra l'altro, mediante una riduzione di almeno ii
20% della superficie cerealicola dell'azienda; in tal caso, le terre ri-
tirate dalla produzione potevano essere lasciate a riposo, rimbosca-
te o utilizzate a scopi non agricoli.

Le reticenze della Commissione


Malgrado queste forme di incentivo al ritiro delle terre dalla
produzione, la Commissione restava alquanto riservata sull'oppor-
tunità di introdurre anche nella Comunità un vero e proprio regime
di messa fuori coltura delle terre agricole, avente come scopo di
controllare l'evoluzione della produzione agricola. Le ragioni della
reticenza della Commissione ad imbarcarsi su questa strada sono in-
dicate nelle risposte che ha fornito, nel giugno 1987, alle questioni
scritte presentate da due parlamentari britannici. Fra le considera-
zioni che essa adduceva a questo proposito si possono citare le se-
guenti: il fatto che la produttività delle terre non sottratte alla coltu-
ra può compensare rapidamente, in tutto o in parte, l'impatto ini-
ziale della diminuzione del potenziale produttivo (fenomeno osser-
vato anche negli Stati uniti e noto sotto il termine dì slippage); il
fatto che questa misura è contraria all'orientamento preso nel qua-
dro della riforma della Pac di responsabilizzare maggiormente i pro-
duttori all'onere derivante dallo smaltimento delle eccedenze; in ef-
fetti, affermava la Commissione, non soltanto essa eviterebbe al be-
neficiario dell'aiuto la sanzione derivante dal mercato, ma provo-
cherebbe anche , a spese del contribuente, una riduzione della san-
zione anche per chi non partecipa al regime, in quanto quest'ultimo
potrebbe vendere il suo prodotto in condizioni di mercato più sod-
disfacenti, anche senza _avervi contribuito; i problemi di controllo,
pressocché insolubili in una Comunità con quasi 9 milioni di agricol-
tori; l'insuccesso di questo strumento come mezzo di controllo delle
eccedenze negli Stati Uniti; l'impatto negativo sull'ambiente deri-
vante da un'intensificazione della produzione; il fatto che, per esse-
re efficace, il congelamento delle terre non poteva limitarsi ai ce-
reali, ma doveva interessare tutti i seminativi, il che significava met-
tere sotto tutela un terzo della superficie agricola comunitaria.
La Commissione non era tuttavia del tutto ostile a un regime di
questo genere, come misura complementare per attenuare l'impatto
sociale della riforma della Pac, purché essa non costituisse un'alter-
nativa alla politica restrittiva dei prezzi e dei mercati che doveva
continuare nella direzione già tracciata.

247
Le pressioni politiche e la rapidità dell'accordo
La pressione sulla Commissione perche essa presentasse al più
presto una proposta al riguardo si è fatta più viva dal momento in
cui essa aveva messo sul tavolo del Consiglio le misure complemen-
tari per rafforzare ed estendere gli stabilizzatori agricoli. Tale pres-
sione è venuta essenzialmente dalla delegazione britannica e da
quella tedesca. La prima vedeva in questo strumento un mezzo effi-
cace di controllo della produzione soprattutto se applicato in manie-
ra vincolante o quanto meno sufficientemente incitativa per gli agri-
coltori. La seconda considerava questo strumento soprattutto come
un ammortizzatore politico e sociale degli effetti negativi della rifor-
ma della Pac sull'agricoltura tedesca. Esso offre, in effetti, una ga-
ranzia di reddito a coloro che vi partecipano, sottraendoli peraltro
all'impatto negativo che deriva dalla riduzione dei prezzi e dall'ap-
plicazione degli stabilizzatori. Nel corso dei negoziati sugli stabiliz-
zatori era anzi apparso chiaramente che, per la delegazione tedesca:
l'introduzione di un regime di set a~ide nella Pac costituiva non solo
un utile complemento alle misure già adottate o in corso d'adozio-
ne, ma anche un'imprescindibile esigenza politica per pervenire ad
un accordo globale.
Le ultime resistenze della Commissione erano cadute il 16 no-
vembre, allorché essa aveva presentato ai ministri dell'Agricoltura
le grandi linee di un'iniziativa comunitaria in questo settore. Esse
erano state accolte positivamente· dalla maggior parre delle delega-
zioni. Il ministro tedesco dell'Agricoltura, appoggiato dal suo colle-
ga belga, aveva anzi richiesto delle rapide decisioni al riguardo, che
dovevano precedere l'adozione degli stabilizzatori agricoli. Al con-
trario, per la delegazione olandese la stabilizzazione della produzio-
ne doveva essere perseguita essenzialmente mediante una politica
rigorosa dei prezzi, senza che fosse necessario prevedere un'incenti-
vazione finanziaria per la messa fuori coltura delle terre. Il ministro
italiano dell'Agricoltura, pur sottolineando la necessità di prevedere
delle compensazioni sufficientemente generose al fine di assicurare
l'efficacia della misura, si è pronunciato in favore di un regime fles-
sibile che permettesse di tener conto delle differenti situazioni re-
gionali; una maniera indiretta, questa, per rivendicare implicita-
mente un esonero quanto piu largo possibile dell'agricoltura italiana
dalla misura.
Alla luce del dibattito in seno al Consiglio e degli approfondi-
menti dei diversi aspetti, la Commissione ha presentato, il 18 gen-
naio 1988, alla vigilia della riunione del Consiglio europeo di Bru-
xelles, un progetto preliminare di proposta di regolamento che uni-
tamente all'introduzione di un regime comunitario di ritiro delle

248
terre agricole dalla produzione, prevedeva una estensione a tutti i
seminativi del regime di estensivizzazione già introdotto per i cerea-
li, la carne bovina e il vino, come complemento di una politica rigo-
rosa dei prezzi. «Se infatti si rinunciasse allo sforzo già intrapreso
per adattare maggiormente i prezzi agricoli europei alla realtà dei
mercati precisava la Commissione nel presentare la nuova misura
- l'agricoltura europea rischierebbe di trovarsi a medio termine in
una situazione meno competitiva rispetto ai suoi concorrenti sul
mercato mondiale».
Per garantire la libertà di scelta degli agricoltori, il regime pro-
posto era facoltativo per gli agricoltori, che potevano perciò o meno
aderirvi a seconda che essi trovassero conveniente la compensazio-
ne proposta. Esso era tuttavia obbligatorio per gli altri Stati mem-
bri, nel senso che ogni paese sarebbe obbligato a istituirlo. Per evi-
tare inoltre un degrado della qualità dei suoli o dell'ambiente natu-
rale era previsto l'obbligo di mantenere condizioni agronomiche
adeguate nelle superfici sottratte alla produzione ed opportune di-
sposizioni per la protezione dell'ambiente e delle risorse naturali.
La compensazione da accordare varierebbe in funzione della perdi-
ta effettiva di reddito subita dagli agricoltori, in una forchetta com-
presa tra 200 e 600 Ecu per ettaro. Per rendere più incitativo il regi-
me e per rendere meno penalizzante l'effetto degli stabilizzatori, ve-
nendo cosi incontro alle rivendicazioni della Rft, i cui cerealicoltori
ne avrebbero tratto particolare beneficio, la proposta della Com-
missione prevedeva anche l'esonero dal prelievo di base e dal pre-
lievo supplementare per le prime 20 tonnellate di cereali commer-
cializzate per gli agricoltori che ritirino dalla produzione almeno il
30% dei propri seminativi (il minimo per poter partecipare al regi-
me era del 20%).
E' essenzialmente su questi principi che si fonda il regime di
messa a riposo delle terre deciso a febbraio dai capi di Stato e di
Governo e successivamente adottato dai ministri dell'Agricoltura.
La sola novità di rilievo consiste nella possibilità di utilizzare le ter-
re sottratte alla produzione per l'allevamento estensivo (richiesta
della delegazione francese) o per la produzione di ceci o lenticchie
(richiesta della delegazione spagnola). Le altre destinazioni consen-
tite sono soltanto la messa a riposo, il rimboschimento e l'utilizza-
zione per finalità non agricole.
La decisione è stata accolta con ostilità e scetticismo dalle orga-
nizzazioni professionali agricole nel nostro paese che ne hanno mes-
so in luce i numerosi inconvenienti e la 'scarsa efficacia sotto il profi-
lo del controllo della produzione. Ma forse alla base di queste riser-
ve sta anche la preoccupazione dei responsabili agricoli italiani di

249
non incoraggiare, con questa misura, un ulteriore abbandono delle
campagne e una riduzione del potenziale produttivo, con tutte le
conseguenze negative, che ciò comporta a monte e a valle dell'agri-
coltura e per la bilancia commerciale agricola dell'Italia. Anche la
preoccupazione di perdere aderenti può spiegare in parte questo at-
teggiamento negativo. Fatto sta che alla fine del 1988 l'Italia non
aveva ancora adottato, come del resto la Danimarca e il Lussem-
burgo, la legislazione nazionale per la messa in atto della misura, il
che è valso l'apertura dì una procedura d'infrazione contro questi
tre paesi per inadempienza agli obblighi comunitari.

2.4. La fissazione dei prezzi agricoli per la campagna 1988-89

Le caratteristiche e il contesto politico del negoziato prezzi


Dopo l'adozione degli stabilizzatori in quasi tutti i settori di
produzione e l'ormai scontata adozione del regime di ritiro dei se-
minativi avvenuta effettivamente a fine aprile, era sembrato a molti
che il dibattito in seno al Consiglio dei ministri dell'Agricoltura non
dovesse conoscere a breve termine altri momenti di particolare inte-
resse per gli sviluppi della Pac, se si esclude l'evoluzione assai con-
trastata e ad esito piuttosto incerto della proposta della Commissio-
ne relativa all'introduzione di un regime di aiuti diretti al reddito
agricolo. Anche la discussione sulle proposte relative alla fissazione
dei prezzi agricoli e alle misure connesse per la campagna 1988-89,
che la Commissione aveva presentato il 24 marzo, vale a dire con
un ritardo senza precedenti rispetto alla tradizione, proprio per non
intralciare il cammino degli altri dossier sul tappeto, non sembrava
dovesse riservare sorprese di rilievo. In effetti si trattava di un pac-
chetto di proposte particolarmente «leggero» e fra i meno severi de-
gli ultimi anni, la Commissione avendo preferito di non appesantire
i! negoziato con nuove proposte di portata fondamentale dopo i re-
centi progressi sugli stabilizzatori e sulla disciplina di bilancio. Lo
stesso «congelamento» dei prezzi per !a quasi totalità dei prodotti
agricoli non sembrava costituire un vero ostacolo al negoziato, te-
nuto conto del modesto tasso di inflazione nella maggior parte degli
Stati membri e in confronto alle riduzioni, spesso drastiche, dei
prezzi suscettibili di prodursi per effetto dell'applicazione degli sta-
bilizzatori. Tutto lasciava dunque presagire un'adozione relativa-
mente rapida delle proposte della Commissione. Contrariamente ad
ogni aspettativa, la fissazione dei prezzi e delle misure connesse per
la campagna 1988-89 è stata non solo particolarmente lunga e diffi-
cile ma anche caratterizzata da numerose peculiarità che la distin-

250
guono rispetto a quella degli anni precedenti. Anzitutto, per la dif-
ficoltà di pervenire ad un accordo, la decisione finale è stata adotta-
ta con un ritardo record nella storia della Pac, il 19 luglio 1988, e
cioè 19 giorni dopo l'inizio della campagna di commercializzazione
per i cereali e quasi quattro mesi dopo l'inizio normale della campa-
gna per il latte e la carne bovina. E' inoltre significativo che, mal-
grado la difficoltà di pervenire ad un accordo che soddisfacesse le
esigenze di tutti, pur nel rispetto della coerenza dell'approccio pre-
conizzato dalla Commissione, e malgrado il fatto che fosse stato in-
vocato da una delegazione l'interesse vitale per il suo paese, l'accor-
do finale, pur non concedendo completa soddisfazione alla richiesta
di questa delegazione, è stato raggiunto praticamente all'unanimità
e senza l'abituale mediazione dei capi di Stato e di Governo.
Al di là di questi aspetti, ciò che potrebbe meglio caratterizzare
questo negoziato è il fatto che, per la prima volta, esso si svolgeva
sotto il vincolo politico e finanziario di un'effettiva disciplina di bi-
lancio. Questa lasciava, infatti, un margine di manovra disponibile
per l'aumento dei prezzi e delle spese, e quindi per la ricerca di un
compromesso accettabile da tutte le delegazioni, molto ristretto se
non addirittura nullo rìspetto alla proposta della Commissione. Ciò
significava che, nel caso in cui il Consiglio avesse adottato delle mi-
sure aventi come effetto di aumentare le spese in un settore, doveva
simultaneamente decidere delle misure di economia nello stesso o
in altri settori.
Un'altra particolarità del negoziato prezzi 1988-89 è rappresen-
tata dal fatto che, contrariamente agli anni precedenti, la fonte
principale delle difficoltà non è stata né il livello dei prezzi istituzio-
nali, né le misure connesse, né lo smantellamento degli km che
d'altra parte non esistono più dal 1° aprile 1988 - ma lo smantella-
mento degli Icm negativi 4 vale a dire la componente generalmente
meno conflittuale delle proposte prezzi ed anzi l'elemento di flessi-
bilità maggiore che ha consentito in passato di pervenire ad un ac-
cordo sulla fissazione dei prezzi agricoli.
Un altro aspetto rilevante della fissazione dei prezzi agricoli
1988-89 è stato il ruolo particolarmente attivo giocato dalla Com-
missione non soltanto nella_ messa in atto (in assenza di una decisio-
ne del Consiglio entro il 30 giugno) dì misure conservative piuttosto
«dinamiche» rispetto all'interpretazione tradizionale data alle prero-
gative della Commissione in questo campo, ma anche nel ricorso ai

4. Per i precedenti circa gli 1cm v. lai, lnpi 1986-1987, cit., p. 362 e pp. 366-
367.

251
suoi poteri di gestione per realizzare delle economie di bilancio
equivalenti all'aumento delle spese risultante dalle decisioni del
Consiglio, in modo da <;lSSicurare il rispetto della disciplina dì bilan-
cio.
Questi progressi sul piano istituzionale sono stati, tuttavia, neu-
tralizzati in parte dalla tendenza degli Stati membri ad appropriarsi,
almeno in parte, di una sorta di diritto di iniziativa, cercando di
spostare la discussione dalle proposte della Commissione verso del-
le proposte alternative o complementari presentate dalla maggior
parte delle delegazioni nel corso della discussione.
Il ricorso al cosiddetto <<compromesso di Lussemburgo» da par-
te della delegazione greca, che giudicava il compromesso a undici,
realizzato dopo lunghe discussioni, contrario ai suoi interessi vitali
non è, invece, del tutto nuovo nella vita della Comunità. E' tuttavia
la prima volta che il compromesso di Lussemburgo è invocato dopo
l'entrata in vigore dell'Atto unico, suscitando peraltro la solidarietà
delle delegazioni tradizionalmente favorevoli al diritto di veto che
questo compromesso sanzionerebbe.
Ma forse l'elemento più singolare di questo negoziato quello
che ha prolungato di quasi un mese la decisione finale è rappre-
sentato dalla realizzazione di un accordo a Dodici che è svanito una
settimana dopo, in quanto fondato su un malinteso circa l'interpre-
tazione da qare alle conclusioni - effettivamente piuttosto ambigue
- del Consiglio per quanto riguarda la portata dello smantellamen-
to degli Icm negativi da applicare in Grecia. Questo disaccordo ha
provocato l'apertura di un contenzioso piuttosto singolare tra la de-
legazione greca e la Commissione, che è andato avanti per quasi un
mese e che ha reso necessaria l'adozione, da parte della Commissio-
ne, di misure conservative in numerosi settori al fine di garantire la
continuità della Pac in una situazione di carenza decisionale del
Consiglio. Ma vediamo più da vicino le decisioni assunte e le diffi-
coltà che è stato necessario sormontare.

Le decisioni assunte
Come si è detto, il livello dei prezzi istituzionali è stato
quest'anno, ancor più che per il passato, l'aspetto relativamente
meno controverso nell'ambito delle discussioni in seno al Consiglio.
Malgrado infatti qualche divergenza su questo aspetto e l'opposizio-
ne delle delegazioni e in particolare di quella italiana, a talune ridu-
zioni di prezzo proposte dalla Commissione (ad esempio, per il gra-
no duro e alcune varietà di tabacco), il Consiglio ha sostanzialmen-
te accolto senza cambiamenti di rilievo le proposte sui prezzi in Ecu
della Commissione. Come vedremo, esso ha però modificato so-

252
stanzialmente le proposte agromonetarie che hanno ugualmente un
impatto rilevante sui prezzi in moneta nazionale. Per quanto riguar-
da le misure connesse, il Consiglio ha accettato con leggere modifi-
cazioni, la proposta d'introdurre nuovi stabilizzatori per le pesche,
le arance e i limoni, alleggerendo tuttavia l'impatto delle penalizza-
zioni in caso di superamento dei quantitativi previsti e la proposta
relativa all'ulteriore ridimensionamento del ruolo dell'intervento nel
settore dei cereali e dei semi oleosi. Il Consiglio ha inoltre adottato
una serie di misure connesse richieste da diverse delegazioni, tra cui
il mantenimento degli aiuti nazionali che possono essere accordati
in Italia nel settore dello zucchero, l'introduzione di un regime di
sostegno della produzione di frutta secca da precisare in seguito,
l'impegno della Commissione ad esaminare i problemi che si pongo-
no nel settore degli agrumi nel rapporto che questa avrebbe dovuto
presentare al piu presto. Il Consiglio ha invece riportato ad una
data ulteriore alcune delJe proposte più controverse presentate dalla
Commissione, in particolare, la proposta relativa all'introduzione di
un premio all'incorporazione dei cereali nell'alimentazione animale
e quella relativa all'introduzione di criteri comunitari (più restrittivi
di quelli applicati finora) per la definizione di <<piccolo produttore»
nel quadro dell'applicazione delle tasse di corresponsabilità nel set-
tore cerealicolo.
Come si è detto, è il capitolo «proposte agromonetarie» che ha
costituito quest'anno l'ostacolo maggiore per il conseguimento di un
accordo sui prezzi agricoli e misure connesse per il 1988-89. Eppure
esse erano fra le più semplici che la Commissione avesse mai pre-
sentato, in quanto non prevedevano alcuno smantellamento degli
1cm negativi, ad eccezione di uno smantellamento di dieci punti per
la Grecia. In teoria, la Commissione avrebbe potuto proporre non
solo uno smantellamento più consistente per la Grecia (fino a 40 o
50 punti) ma anche smantellamenti più modesti per altri Stati mem-
bri (fino a 3,5 punti per la Francia, fino a 5,3 punti per l'Italìa, e
fino a 17 punti per il Regno Unito). Essa aveva tuttavia preferito
fare una proposta restrittiva anche in materia di smantellamento de-
gli Icm negativi per assicurare la coerenza tra la politica restrittiva
dei prezzi e l'applicazione degli stabilizzatori agricoli, da una parte,
e le proposte agromonetarie, dall'altra. Smantellare gli km negativi
significa infatti svalutare le monete «verdi» che si applicano nel
quadro delta Pac, ma svalutare i tassi «verdi» significa aumentare
proporzionalmente i prezzi in moneta nazionale. Ora questo è non
solo In contraddizione con il proseguimento della politica restrittiva
dei prezzi ritenuta necessaria per scoraggiare la crescita delle ecce-
denze produttive, ma è anche suscettibile di neutralizzare, in tutto o

253
in parte, gli effetti attesi dalla messa in atto degli stabilizzatori agri-
coli.
A queste preoccupazioni d'ordine politico occorre peraltro ag-
giungere il costo che, in genere, la svalutazione dei tassi «verdi»
comporta per il bilancio comunitario. Se nel caso dell'Italia, infatti,
l'incidenza di bilancio dello smantellamento di un punto di 1cm ne-
gativi si traduce in un'economia di circa 6 milioni di Ecu, a causa
della situazione deficitaria dell'agricoltura italiana, in tutti gli altri
casi lo smantellamento di un punto di 1cm negativi rappresenta una
spesa per il bilancio comunitario compresa tra 10 milioni di Ecu per
il Belgio e 125 milioni di Ecu per la Francia. Tenuto conto del vin-
colo rappresentato dal rispetto della disciplina di bilancio, il margi-
ne di manovra per una svalutazione più importante delle monete
«verdh> era assai ridotto, se non praticamente nullo tanto per l'eser-
cizio 1988 che per il 1989. Nel caso della Grecia, peraltro, la Com-
missione non ha voluto ostacolare, con una svalutazione più impor-
tante della dracma «verde», lo sforzo disinflazionista intrapreso dal-
le autorità greche negli ultimi anni.

Il nodo agromonetario
Fin dall'inizio delle discussioni sulle proposte della Commissio-
ne è però apparso chiaro che la variabile agromonetaria rappresen-
tava quest'anno la chiave di volta di qualunque soluzione di com-
promesso al negoziato sui prezzi agricoli. In effetti, non soltanto la
maggior parte delle delegazioni dei paesi a moneta debole, fra cui
l'Italia, hanno richiesto una svalutazione più o meno sensibile delle
rispettive monete «verdi», ma molti di essi hanno anzi condizionato
il loro accordo sui prezzi e sulle misure connesse all'accettazione
delle loro richieste agromonetarie. Anche la Grecia, peraltro, ha
giudicato del tutto insufficiente la svalutazione della dracma «ver-
de» proposta dalla Commissione.
Per conciliare l'accoglimento di queste rivendicazioni con la
mancanza di risorse disponibili per finanziarle, senza peraltro met-
tere in pericolo la coerenza dell'approccio, è stata escogitata una
soluzione che non manca di originalità, anche se essa non ha soddi-
sfatto completamente gli agricoltori: rinviare al 1° gennaio 1989, e
quindi all'esercizio finanziario successivo, l'entrata in vigore degli
smantellamenti decisi, ad eccezione della Grecia e del Portogallo,
per i quali le decisioni prendevano effetto immediatamente. Per
quanto riguarda la portata degli smantellamenti decisi per la campa-
gna 1988-89, questi si inquadrano nel contesto di un accordo più
ampio sulle modalità e sul calendario di eliminazione degli 1cm esi-
stenti (smantellamento in quattro tappe, entro il 1992). La prima

254
tappa, pari a circa un quarto degli scarti monetari esistenti si è tra-
dotta nello smantellamento di mezzo punto per il Belgio e il Lus-
semburgo, di 1 punto per la Danimarca. 1,5 punti per la Francia,
1,55 punti per l'Irlanda, 2,55 punti per l'Italia e 3,2 punti per il Re-
gno Unito. Tenuto anche conto delle variazioni dei prezzi in Ecu
decise parallelamente, ciò ha comportato, .per l'Italia un aumento
medio dei prezzi di sostegno dei prodotti agricoli in moneta nazio-
nale di 1,9%, cioè un livello leggermente superiore alla media co-
munitaria (l,6%), ma alquanto inferiore al tasso d'inflazione per il
1989 (intorno al 5%).
Per quanto riguarda la Grecia, la soluzione di compromesso ac-
cettata da undici delegazioni comportava uno smantellamento com-
plessivo di 14,5 punti, di cui 10 punti all'inizio della campagna 1988-
89 e 4,5 punti con effetto al 1° gennaio 1989. La delegazione greca
aveva tuttavia invocato il «compromesso di Lussemburgo» per op-
porsi a questo accordo, ritenendo del tutto insufficiente lo smantel-
lamento proposto. Con questa clamorosa iniziativa cercava di far
fronte alle crescenti difficoltà che il Governo di Atene doveva af-
frontare sul piano interno ed in particolare sul fronte agricolo.
Dopo numerosi contatti e discussioni un accordo era stato tro-
vato il 24 giugno su una formula di compromesso che prevedeva
<<Un riaggiustamento dei tassi verdi di 15 punti per i prodotti animali
e di venti punti per i prodotti vegetali», con effetto all'inizio della
campagna 1988-89. Tale accordo era stato formalizzato da un Con-
siglio «Agricoltura» riunito d'urgenza a margine di un Consiglio
«Pesca».
Per far fronte all'onere finanziario aggiuntivo di questa soluzio-
ne, la Commissione aveva dichiarato che essa sarebbe ricorsa ai
suoi poteri di gestione per realizzare economie equivalenti in altri
settori ed in particolare sugli aiuti concessi alla polvere di latte uti-
lizzata nell'alimentazione animale, il che non aveva mancato di su-
scitare il malumore di molte delegazioni.
Tutto sembrava dunque rientrare nell'ordine e la fissazione dei
prezzi agricoli sembrava destinata a concludersi rapidamente nella
maniera classica. Ma il seguito degli avvenimenti doveva riservare
altre sorprese. Nel momento in cui si dovevano mettere a punto i
regolamenti di applicazione è infatti apparso chiaro che l'accordo
raggiunto qualche giorno prima era basato su un malinteso fonda-
mentale tra la Commissione e la delegazione greca sull'interpreta-
zione da dare al testo dell'ultimo compromesso. La Commissione ri-
teneva, in effetti, che il testo riflettesse la sua proposta di procedere
allo smantellamento degli 1cm negativi di 20 punti per i prodotti ve-
getali e di 15 punti per i prodotti animali, il che si traduceva in un

255
aumento medio dei prezzi dell'ordine del 14% (pari al tasso di infla-
zione greco) e un costo pari a 65 milioni di Ecu. La delegazione
greca, al contrario, riteneva che il testo dell'accordo implicava una
svalutazione del tasso «verde» della dracma del 20% per i prodotti
vegetali e del 15% per i prodotti animali, il che comportava un au-
mento medio dei prezzi agricoli in Grecia dell'ordine del 21,5% e
un costo per il bilancio comune di 135 milioni di Ecu. Effettivamen-
te la frase incriminata era tecnicamente mal formulata e si prestava
dunque ad una duplice interpretazione.
' Di fronte all'impossibilità di risolvere questa divergenza me-
diante un'interpretazione tecnica e giuridica e davanti alla fermezza
di ciascuna delle due parti in causa nella difesa della propria inter-
pretazione, la delegazione tedesca ha nuovamente invocato il com-
promesso di Lussemburgo al fine di evitare una decisione che giudi-
cava contraria al suo interesse vitale. L'intera decisione sui prezzi
agricoli e misure connesse veniva pertanto rinviata in attesa che si
trovasse un accordo su questo singolare contenzioso. Nel frattempo,
la Commissione si è vista costretta ad adottare, con effetto al 1° lu-
glio 1988, data di inizio della campagna per i cereali, una serie di
misure conservative per assicurare la continuità della Pac. A fare le
spese di questa situazione erano, paradossalmente. proprio gli agri-
coltori greci ( e in parte quelli portoghesi) in quanto il ritardo della
decisione impediva che entrassero in vigore, a partire dal 1° luglio,
gli aumenti dei prezzi derivanti dalla svalutazione delle monete
«verdi», che per gli altri paesi sarebbero intervenuti solo il 1° gen-
naio 1989.
L'accordo è stato raggiunto, come si è detto, soltanto il 19 lu-
glio. La delegazione greca ha infatti accettato l'interpretazione della
Commissione dell'accordo del 24 giugno, ad essa più sfavorevole,
ma ha ottenuto una sorta di apertura di credito per l'avvenire che le
avrebbe consentito di ottenere, più tardi, nel corso della campagna,
un'ulteriore svalutazione della dracma «verde)> in maniera da bene-
ficiare di un aumento supplementare dei prezzi e degli aiuti in mo-
neta nazionale. Si concludeva così, in una maniera assai inabituale,
un negoziato che sembrava dovesse essere fra i più banali degli ulti-
mi anni ma che invece, come si è visto, è stato marcato da non po-
che particolarità rispetto allo schema tradizionale.

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