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Saverio Torcasio

LA POLITICA  AGRICOLA COMUNE


TRA REVISIONI E RIFORME.
IL RUOLO DELL’ITALIA
(1975-2000)

Volume 1: 1975-1982

Roma, aprile 2022


Sommario
Premessa 7

La politica agricola 1975-76 11


Agricoltura e sviluppo internazionale 11
- La situazione mondiale dell’alimentazione e dell’agricoltura 11
- I risultati produttivi 12
- I mercati agricoli 14
- L’”agricultural power”, o il ricatto dei paesi ricchi 16
- Gli accordi Usa-Urss sui cereali 18
Le relazioni esterne della Comunità 19
- La Comunità e gli Stati Uniti 19
- La Ce e il Fondo internazionale di sviluppo agricolo 22
- La politica mediterranea 24
La politica agricola comune 27
- Bilancio e riforma della politica agricola comune: le prime
discussioni sul “bilancio” della politica agricola comune 27
- La posizione del governo italiano 28
- I dibattiti del Consiglio 30
- La “guerra del vino” 34
- Problemi monetari e gestione della politica agricola comune:
i montanti compensativi 36
- Il rinnovo dei prezzi agricoli per la campagna 1976-77 38
- La politica delle strutture agrarie 41
La politica agraria in Italia 42
- L’applicazione interna delle direttive strutturali 42
- La “gestione Marcora” del Ministero dell’agricoltura 43
Appendice
- Sintesi della legge di attuazione delle direttive comunitarie sulle
strutture agricole 47

La politica agricola 1976-77 50


Agricoltura e alimentazione 50
- La situazione mondiale 50
- I risultati produttivi 52
- I mercati agricoli 53
- L’evoluzione delle politiche agricole nazionali 56
- La nascita del Fondo internazionale di sviluppo agricolo (Fisa) 60
Le relazioni esterne della Comunità 62
- La Comunità e gli Stati Uniti 62
- La politica mediterranea della Ce 65
- L’allargamento della Ce e i negoziati di adesione 66
- Le posizioni dell’Italia sull’adesione dei paesi del Sud Europa 75
La politica agricola comune 78
- Il problema delle eccedenze nel settore lattiero 78
- Il deterioramento di un sistema: gli importi compensativi
monetari 82

3
- Il rinnovo dei prezzi agricoli per la campagna 1977-78 85
- La politica delle strutture agrarie 90
Appendice
- Problemi dell’agricoltura mediterranea (Proposte della
Commissione Ce relative al settore agricolo) 92

La politica agricola 1977-78 98


Agricoltura e alimentazione 98
- La situazione mondiale 98
- I risultati produttivi e i mercati agricoli 99
- L’evoluzione delle politiche agricole nazionali 101
La politica agricola comune 107
- Il disordine monetario e la politica agricola comune
- Il “pacchetto mediterraneo” 111
- La fissazione dei prezzi agricoli per la campagna 1978-79 120
- La politica strutturale: bilanci e prospettive 124
- L’esperienza italiana 128

La politica agricola 1978-79 132


Agricoltura e alimentazione 132
- La situazione mondiale dell’alimentazione 132
- I risultati produttivi e i mercati agricoli 135
- Gli aiuti esterni allo sviluppo agricolo 138
La politica agricola comune 141
- Sviluppi della politica comune dei prezzi e dei mercati:
la lotta alle eccedenze 141
- Il completamento del “pacchetto mediterraneo” e
le discussioni sul dossier vitivinicolo 145
- Sme e politica agricola comune: dall’euforia alla crisi 148
- L’impasse agro-monetaria 153
- La fissazione dei prezzi agricoli per la campagna 1979-80 157

La politica agricola 1979-80 163


Lo scenario internazionale 163
- La situazione mondiale dell’agricoltura e dell’alimentazione 163
- I risultati produttivi e i mercati agricoli 166
- L’arma alimentare in azione: l’”embargo” sulle forniture
cerealicole all’Unione Sovietica 169
Lo scenario comunitario 175
- Il bilancio comunitario in impasse: il nodo agricolo 175
- La lotta alle eccedenze 183
- La fissazione dei prezzi agricoli per la campagna 1980-81 187
- Prezzi agricoli e contributo britannico: alla ricerca di un
compromesso globale 193

4
La politica agricola 1980-81 200
Lo scenario internazionale 200
- Produzione e mercati agricoli 200
- Ascesa e declino dell’arma alimentare: la revoca
dell’”embargo” sulle forniture cerealicole all’Unione Sovietica 204
- Gli aiuti esterni allo sviluppo agricolo 211
Lo scenario comunitario 214
- I presupposti politici della revisione della politica
agricola comune 214
- Gli orientamenti della Commissione 217
- Le proposte e i dibattiti del Parlamento europeo 225
- L’avvio della revisione della Pac e la fissazione dei
prezzi agricoli per la campagna 1981-82 231

La politica agricola 1981-82 241


Lo scenario internazionale 241
- I mutamenti sulla scena agricolo-alimentare mondiale 241
- Il contenzioso agricolo Ce-Usa 244
- Strategie alimentari e lotta contro la fame nel mondo:
segni di resipiscenza 250
Lo scenario comunitario 258
- I nuovi orientamenti della politica agricola comune e i
dibattiti sul rilancio delle politiche comuni 258
- L’agricoltura mediterranea tra riforma della Pac e
ampliamento della Comunità 264
- Prezzi agricoli e misure connesse: un sussulto di volontà
decisionale del Consiglio mette fine all’”Europa del compromesso” 271

5
6
Premessa

Il periodo dal 1975 al 2000 è stato un periodo particolarmente animato e


anzi talvolta estremamente agitato sul fronte dei mercati agricoli, delle
politiche agricole e delle relazioni commerciali internazionali.

E’ il periodo in cui, da una parte esplodono le eccedenze di molte derrate


agricole nei grandi paesi produttori e dall’altro viene non solo brandita,
ma anche utilizzata per la prima volta una nuova arma di ricatto e di
rappresaglia nelle relazioni internazionali: l’arma alimentare, vale a dire
l’embargo sulle esportazioni di prodotti agricoli verso i paesi importatori
che si intende prendere di mira.

E’ il periodo in cui la competizione tra i principali paesi esportatori di


derrate agricole e l’esiguità della crescita della domanda solvibile si sono
spesso tradotte in una serie di guerre commerciali combattute a colpi di
contratti e accordi a lungo termine e con una politica d’esportazione
sempre più aggressiva.

E’ il periodo, infine, in cui, proprio per far fronte alle tensioni nelle
relazioni internazionali scaturite dai contenziosi commerciali agricoli,
l’agricoltura e la liberalizzazione degli scambi agricoli a livello mondiale
hanno costituito uno dei piatti forti dei negoziati multilaterali in sede Gatt
prima e di OMC dopo.

In un contesto internazionale così turbolento, non è sorprendente che la


politica agricola comune (ed in particolare il regime delle restituzioni
all’esportazione in vigore nella Comunità per consentire ai propri
esportatori di colmare il divario tra il prezzo del mercato internazionale e
l’equivalente prezzo comunitario) diventasse uno degli snodi principali di
questi negoziati e di molte trattative bilaterali.

Se il “fattore esterno” ha avuto un peso tutt’altro che trascurabile nelle


vicende della politica comune, soprattutto nell’ultimo decennio del
periodo in esame, sono soprattutto le preoccupazioni e le pressioni che
sono via via emerse all’interno della stessa Comunità europea ad aver

7
maggiormente condizionato gli sviluppi della politica agricola comune
lungo tutto l’arco del periodo 1975-2000 ed anche oltre.

Per lungo tempo due sono state le preoccupazioni principali alla base
delle continue revisioni della politica agricola comune.
Anzitutto, contenere le crescenti eccedenze produttive, soprattutto nel
settore lattiero-caseario ma progressivamente anche in altri settori, da
quello cerealicolo al settore vitivinicolo, dal settore dello zucchero a
quello delle carni bovine.

In secondo luogo, frenare l’esplosione patologica della spesa per il


sostegno dei mercati agricoli, non solo per cercare di ricondurre l’attività
agricola ad una sana logica di mercato ma anche per la volontà di
conseguire un migliore equilibrio tra la spesa per la garanzia dei mercati
agricoli e le risorse disponibili per gli altri settori e le altre politiche
comuni.

In questo contesto, nelle decisioni assunte, un ruolo decisivo hanno avuto


le relazioni di forza tra i paesi principali beneficiari della politica agricola
comune, a cominciare dalla Francia e dai paesi del Nord Europa, più restii
ai cambiamenti, e quelli meno favoriti, come il Regno Unito, desiderosi di
limitare il loro contributo al bilancio comunitario oppure, come nel caso
dell’Italia, di ottenere un “riequilibrio” della politica agricola comune a
vantaggio delle produzioni mediterranee. Questo spiega in gran parte la
difficoltà di introdurre delle riforme più incisive nella politica agricola
comune e la necessità di procedere per aggiustamenti successivi non
sempre all’altezza delle reali necessità.

E’ soltanto a partire dall’inizio degli anni Novanta che la politica agricola


comune ha subito un cambiamento radicale rispetto al passato al punto da
poter affermare che da allora essa rassomiglia assai poco a quella messa
in atto nel trentennio precedente. Infatti, da una politica di sostegno dei
prezzi e dei mercati si è passati ad una politica di sostegno diretto dei
redditi degli agricoltori, che per decenni era stata considerata
obiettivamente impraticabile se non addirittura del tutto inconcepibile.

Oltre che dalla tradizionale preoccupazione di assicurare un migliore


equilibrio dei mercati agricoli, questo cambio di paradigma è stato dettato
dalla consapevolezza dei limiti delle misure adottate fino ad allora e dalla

8
volontà di perseguire nuovi obiettivi di politica agricola che erano stati
fino ad allora piuttosto trascurati: una maggiore competitività
dell’agricoltura europea, sia sui mercati interni che sui mercati
internazionali, una estensivizzazione dei metodi di produzione non solo
per contenere le eccedenze ma anche a beneficio della salvaguardia
dell’ambiente, una redistribuzione del sostegno a favore delle imprese
agricole più deboli, il mantenimento in attività di un numero
sufficientemente elevato di agricoltori, anche quale presidio a difesa del
territorio e del tessuto sociale delle zone rurali.

Agli sviluppi della politica agricola comune nel contesto internazionale


nel corso del periodo 1975-1992 abbiamo dedicato una dettagliata analisi
pubblicata annualmente nel volume dell’Istituto Affari Internazionali
(IAI) “L’Italia nella politica internazionale”. L’approccio seguito è stato
quello di dar conto non solo delle decisioni assunte e delle misure adottate
a livello comunitario, ma anche del processo negoziale che ha condotto a
tali misure e a tali decisioni, delle ragioni che sono alla base di questi
sviluppi, del ruolo che il governo italiano e le associazioni agricole hanno
avuto in questo processo, delle principali problematiche agricole emerse
di anno in anno a livello internazionale (dai contenziosi commerciali ai
negoziati multilaterali, dai mutamenti sulla scena agricolo-alimentare
mondiale alle trattative per la conclusione degli accordi commerciali con i
paesi del bacino mediterraneo, ecc.).

In un certo senso, si può dunque dire che questa rassegna annuale


costituisce una sorta di aggiornamento del volume, pubblicato dallo IAI
nel 1976 dal titolo “La partecipazione dell’Italia alla politica agricola
comune”1, che affronta questa tematica dall’inizio degli anni Sessanta al
1975.

Questi contributi annuali al rapporto dello IAI sull’Italia nella politica


internazionale per il capitolo “La politica agricola” di questo rapporto
sono qui raccolti in tre volumi per rendere più maneggevole la loro
consultazione.

1 Rosemary Galli, Saverio Torcasio, La partecipazione italiana alla politica agricola


comune, Istituto Affari Internazionali,Società Editrice Il Mulino, Bologna, 1976.

9
Essi sono integrati da altri contributi relativi al periodo 1993-2000, che
sono stati pubblicati in due diversi rapporti annuali: il rapporto
dell’Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA) “Annuario
dell’agricoltura italiana” e il rapporto dell’Unione Regionale delle
Camere di Commercio dell’Emilia-Romagna e della Regione Emilia-
Romagna – Assessorato Agricoltura “Il sistema agro-alimentare
dell’Emilia-Romagna”. In ogni caso, i riferimenti bibliografici completi
sono forniti a margine di ciascun contributo. Ovviamente, l’approccio e il
formato seguiti per questi ultimi contributi sono adattati alle esigenze di
ciascuna pubblicazione anche se la tematica è pur sempre quella della
politica agricola comune.

10
XI

LA POLITICA AGRICOLA 1975-1976*

Agricoltura e sviluppo internazionale

La situazione mondiale dell'alimentazione e dell'agricoltura. -


Le crescenti inquietudini provenienti dalla precarietà della situa-
zione alimentare mondiale, dopo i disastrosi risultati produttivi
agricoli del 1972, il successivo deterioramento delle scorte e lo
sconvolgimento degli equilibri dei mercati internazionali non
sono svanite, né si sono sostanzialmente attenuate nel corso del
1975-76.
Anche se qualche schiarita si è aperta sull'orizzonte della crisi
alimentare mondiale, essa non è valsa ad invertire, ma semplice-
mente ad arrestare, la tendenza alla degradazione della sicurezza
alimentare nel mondo, quale si registra da qualche anno.
Il 197 4 era stato un anno dai risultati produttivi particolar.
mente deludenti. La produzione alimentare mondiale non aveva
infatti registrato nel complesso un accrescimento apprezzabile ri-
spetto al 197 3, mentre la produzione pro capite aveva subìto
una flessione dell' 1 % .
Ciò era dovuto principalmente al cattivo raccolto cerealicolo,
inferiore di oltre 40 milioni di tonnellate rispetto al 197 3. Per
far fronte alla crescente domanda di prodotti cerealicoli si erano
dovute intaccare, per il terzo anno consecutivo, le riserve mon-
diali, già scese sotto il livello di guardia. A metà 1975 gli stocks
cerealicoli di riporto alla campagna 1975-76 venivano stimati dalla
Fao sui 100 milioni di tonnellate (Cina e Urss esclusi), un livello,
questo, inferiore di 14 milioni di tonnellate a quello dell'anno pre-
cedente, e corrispondente all'l 1 % del consumo totale annuo; ben
al di sotto, dunque, di quel 17.18% che la Fao considera come
livello di guardia della sicurezza alimentare mondiale 1•
Quanto allo zucchero, un altro prodotto d'importanza strate-
gica, il 197 4 era stato un anno di forte penuria, sicché si dava
per scontata un'ulteriore contrazione degli stocks di riporto, già

1
FAo, « Bulletin mensuel économie et statistique agricoles », n. 6, giugno 1975.
* In IAI, “L’Italia nella politica internazionale: 1975-76”, Edizioni di
Comunità, Milano, 1977.

11
scesi alla fine della precedente campagna sul livello più basso
negli ultimi quattordici anni (meno di 16 milioni di tonnellate).
L'annata agricola 1974-75 non si chiudeva, dunque, sotto i
migliori auspici, anche se le prospettive di produzione per l'an-
nata successiva apparivano, all'inizio della campagna, abbastanza
promettenti. In particolare, ottimi risultati erano attesi per l'in-
sieme dei cereali (circa 1'8% in più rispetto al 1974).

I risultati produttivi. - Seppur migliori di quelli realizzati


nel 1974, i risultati produttivi del 1975 - come abbiamo detto
- hanno fortemente deluso le aspettative che si erano create nel
corso dell'anno. Nel complesso, infatti, la produzione alimentare
mondiale è aumentata soltanto del 2 % , cioè pressoché allo stesso
ritmo di accrescimento della popolazione mondiale. Se, dunque,
la disponibilità alimentare pro capite non s'è ridotta rispetto al-
l'anno precedente, essa non si è nemmeno accresciuta 2 •
Un dato positivo è comunque da rilevare: l'accrescimento pro-
duttivo registrato nei paesi in via di sviluppo è stato, per la
prima volta dopo quattro anni, superiore a quello registrato nel-
l'insieme dei paesi sviluppati (5% contro circa l'l % ) e più che
doppio rispetto all'incremento demografico (2,3 % ), il che ha
permesso un leggero miglioramento delle disponibilità pro capite.
Occorre, tuttavia, mettere in relazione questo accrescimento con
i risultati generalmente insoddisfacenti degli anni precedenti. In
effetti, se si considera l'intero periodo 1971-7 5, cioè la prima
metà del secondo decennio delle Nazioni unite per lo sviluppo,
per il quale era stato fissato un obiettivo produttivo del 4 % ,
l'accrescimento annuale effettivo è stato solo del 2,5%. Un tasso
questo inferiore non solo all'accrescimento demografico (2,6%
all'anno in media), ma anche all'incremento produttivo annuale
realizzato nel decennio 1961-70 (2,9% ).
Fra i paesi in via di sviluppo, l'incremento maggiore è stato
registrato nel Medio (7% in più) ed Estremo Oriente (9% in
più). Stazionaria è stata invece la produzione alimentare in Africa
mentre in America latina l'incremento produttivo è stato inferiore
all'incremento demografico (2% ).

FAO, « Bulletin mensuel économie et staosttque agricoles i>, n. 11, no•


2

vembre 1975, e NATIONS UNIES - CONSEIL MoNDIAL DE L'ALIMENTATION, Examen


de la situation alimentaire mondiale et perspectìves, 15 aprile 1976.

12
Andamenti nettamente contrastanti sono stati realizzati nei
vari paesi sviluppati. Mentre, infatti, un incremento del 6% è
stato registrato nell'America del Nord, nell'Europa occidentale
la produzione alimentare è diminuita del 3 % . Una sensibile con-
trazione ( - 4%) ha subìto la produzione alimentare anche nei
paesi dell'Europa orientale e in Unione Sovietica, dove già nel
197 4 si era registrata una consistente flessione produttiva. Nel-
l'Oceania, invece, l'incremento produttivo realizzato (7 % ) è stato
sufficiente a compensare la flessione produttiva dell'anno pre-
cedente.
La ripresa produttiva ha interessato, in particolare, i raccolti
dei principali prodotti che nel 197 4 avevano subìto una fles-
sione: il grano, la cui produzione mondiale è passata da 352 a
355 milioni di tonnellate, i cereali foraggeri (da 652 a 666 mi-
lioni di t), il riso (da 214 a 288 milioni di t), la soia (da 59 a
69 milioni di t). Anche la produzione di zucchero ha registrato
una ripresa dopo la flessione del 197 4 (da 80 a 82, 7 milioni di
t), a causa soprattutto di un'estensione delle superfici coltivate a
canna da zucchero.
L'incremento più spettacolare nella produzione cerealicola mon-
diale è stato registrato negli Stati Uniti, dove, comunque, era
sembrato nel corso dell'anno che potessero essere conseguiti in-
crementi ancora più rilevanti. Per il grano, il raccolto degli Stati
Uniti è stato, infatti, di 58 milioni di tonnellate, cioè 9 milioni
di tonnellate in più rispetto al livello record del 1974 ( +20% );
ma ancora più strepitoso è stato l'incremento registrato per i
cereali secondari, in particolare per il mais ( + 25 % , con una pro-
duzione di 146 milioni di t) e per la soia ( + 25 % con 41,4 mi-
lioni di t).
Particolarmente deludente è stata invece la produzione cerea-
licola della Cee, che è regredita del 7 ,6 % rispetto al 197 4 (da
103 a 97 milioni di t), ed è quindi ritornata sui livelli del 1970.
In Unione Sovietica i raccolti cerealicoli hanno assunto nel
197 5 aspetti catastrofici, soprattutto se confrontati alle esigenze
interne di consumo e agli obiettivi programmatici. La produzione
complessiva di cereali, che già nel 197 4 era scesa di 26 milioni
di tonnellate rispetto al 1973, ha subìto infatti in questo paese
un ulteriore calo di 50 milioni di tonnellate nel 1975, toccando la
punta più bassa degli ultimi dieci anni ( 135 milioni di t).

13
Responsabili di questa caduta di produzione sono state le
avverse condizioni climatiche ed in particolare la siccità che ha
colpito persistentemente l'agricoltura sovietica lungo il corso del
ciclo vegetativo delle colture. Sicché, mentre a maggio la Fao
scontava una produzione complessiva sui 202 milioni di tonnel-
late, solo di poco inferiore ai 205 milioni di tonnellate fissate dal
piano, a consuntivo la produzione si è rivelata di soli 135 milioni
di quintali (di cui 75 milioni di grano e 40 milioni di orzo).
L'Unione Sovietica è venuta così a trovarsi nella necessità di im-
portare circa 60 milioni di tonnellate di cereali nella campagna
197 5- 76. In realtà, soltanto metà di tale fabbisogno ha potuto
essere soddisfatta, sicché circa un quinto del patrimonio zootec-
nico, destinatario di gran parte di tale fabbisogno, ha dovuto es-
sere abbattuto.
Anche in Asia (e particolarmente in India) la produzione di
grano ha subìto un incremento consistente (da 82,8 a 92,5 mi-
lioni di t tra il '74 e il '75).

I mercati agrìcoli. - Prima ancora che dei risultati produttivi


dell'annata, l'andamento dei corsi mondiali delle derrate agricole
ha risentito, soprattutto nella prima metà del 1975, delle posi-
tive e talvolta eccellenti aspettative di produzione formulate per
la campagna in corso.
La febbre, che aveva portato nel corso del 197 4 le quotazioni
mondiali dei prodotti agricoli sul più alto livello mai raggiunto
nel secondo dopoguerra, ha così cessato di crescere, e si è anzi
lentamente abbassata, da quando è sembrata profilarsi per il 1975
un'annata agricola molto più promettente della precedente. L'in-
dice delle Nu per i prezzi dei prodotti alimentari, che era passato
da 234 a 265 dal I al IV trimestre 1974 (base 1963 100)
(mostrando già nell'ultimo trimestre del 197 4 un rallentamento
della sua corsa) è infatti sceso a 246 nel primo trimestre 1975:
un livello, comunque, ancora notevolmente superiore a quello di
un anno prima, e di gran lunga superiore alla media registrata
nel 197 3 ( 191 ), cioè prima del « boom » avutosi nel 19 74 3 •
I prodotti per i quali la :flessione dei corsi, durante il primo
trimestre 1975, è stata più marcata, sono quelli che scontavano

' FAO, Rapport et sur les produits, 1974-75, Roma 1975.

14
le migliori prospettive di produzione: anzitutto lo zucchero, per
il quale, tuttavia, è da mettere tra i fattori esplicativi della fles-
sione dei prezzi (dell'ordine del 50% ), anche una sensibile caduta
della domanda speculativa d'importazione, dopo la corsa agli ac-
quisti dell'anno precedente. Rispetto ai livelli record la flessione
è stata di un terzo per il grano, di un quarto per il riso, di un
sesto per il mais.
Nel complesso, alla vigilia dell'inizio della campagna 1975-76,
la Fao prevedeva una prosecuzione della tendenza riflessiva dei
corsi mondiali dei prodotti alimentari, già rilevata nella prima
parte dell'anno, scontando l'azione concomitante di tre fattori
determinanti: le prospettive di aumento della produzione ali-
mentare; la persistenza della recessione per la restante parte del-
l'anno; un rallentamento generale dei tassi d'inflazione nei paesi
industrializzati.
Mentre le previsioni sugli ultimi due fattori si sono rivelate
attendibili, la prima variabile non ha agito nella mfaura, e tal-
volta nemmeno nella direzione, attesa.
Il ridimensionamento delle prospettive di produzione ed i suc-
cessivi raccolti, rivelatisi, come s'è visto, molto più modesti di
quanto si era sperato, hanno infatti dapprima interrotto e suc-
cessivamente invertito la flessione dei corsi, che hanno così ri-
preso la loro ascesa nella seconda metà dell'anno.
Il principale prodotto interessato da questi rialzi è stato il
grano, i cui corsi hanno cominciato a lievitare a partire dalla
metà di luglio, quando è apparsa in tutta la sua dimensione la
gravità della siccità che aveva colpito il raccolto in Unione Sovie-
tica e sono stati annunciati i massicci acquisti di grano da parte
di questo paese. A metà ottobre i prezzi del grano alla borsa di
Chicago erano già saliti del 30% rispetto alla punta più bassa
registrata nell'anno ( da 294 a 400 cents per « bushel » ). La prospet-
tiva di un raccolto record negli Stati Uniti, nonché i buoni risul-
tati conseguiti in Australia e in Argentina, interrompevano co-
munque la lievitazione delle quotazioni che si abbassavano a :fine
anno sui 336 cents per « bushel ». Anche per il mais l'evoluzione
dei corsi nel 1975 è stata pressoché analoga a quella registratasi
per il grano. Ma è stato soprattutto il mercato dello zucchero a
conoscere l'instabilità maggiore nel corso dell'anno, come, del
resto, era accaduto anche negli anni precedenti. Dopo esser in-

15
fatti passati, alla borsa di Londra, da 395 dollari la tonnellata
del gennaio 1974 a 1.520 nel novembre dello stesso anno, i
prezzi dello zucchero sono infatti rapidamente caduti a 1.130 in
dicembre, per precipitare a 420 nel maggio 1975.
La :flessione dei corsi è proseguita nel mese di giugno, ma a
luglio, in coincidenza con una ripresa delle importazioni e con
il prospettarsi di risultati produttivi per la barbabietola sempre
più sfavorevoli, si è avuta un'improvvisa impennata a cui è se-
guita, a settembre, una nuova ricaduta a causa della :flessione
delle importazioni e delle favorevoli previsioni produttive per la
canna da zucchero.

L' « agricultural power », o il ricatto dei paesi ricchi. - L'ab-


bondanza dei raccolti cerealicoli negli Stati Uniti in coincidenza
con una annata particolarmente disastrosa in Unione Sovietica e
con una situazione produttiva deficitaria di cereali in 114 su 120
paesi utilizzatori, ha finito per mettere definitivamente allo sco-
perto l'enorme potenziale politico e strategico detenuto dai grandi
paesi esportatori di prodotti alimentari, e in particolare dagli
Stati Uniti, e a fare meglio conoscere all'opinione pubblica mon-
diale una nuova arma di ricatto e di rappresaglia, già apparsa
all'orizzonte negli ultimi anni: I'« arma alimentare », nuova e
più raffinata versione dell' « arma materie prime ».
Con una produzione complessiva cerealicola di 240 milioni di
tonnellate, gli Stati Uniti si sono trovati infatti nella condizione
di poter soddisfare, nella campagna 1975-76, oltre la metà delle
esigenze cerealicole dei paesi importatori. Per il grano, tuttavia,
gli Stati Uniti hanno potuto partecipare negli ultimi anni con una
percentuale ancora maggiore (circa il 70%) alle esportazioni mon-
diali, mentre detengono il monopolio pressoché assoluto (98%)
delle esportazioni mondiali di soia, che, oltre ad essere un im-
portante seme oleoso, costituisce la base di mangimi ad elevato
contenuto proteico per gli animali.
È stato, del resto, lo stesso presidente Ford, a cui ha fatto
eco il segretario di stato Kissinger, a prospettare per gli Stati
Uniti, in occasione degli interventi sovietico-cubani in Angola,
la possibilità di utilizzare l'alimentazione come « arma politica » 4.
4
G. LuRAGHI, La bomba alimentare è nelle mani degli Usa, « Corriere della
Sera», 16 aprile 1976.

16
:\la il ministro federale dell'agricoltura, Earl Butz, è andato an-
cora più in là dichiarando senza perifrasi che « l'alimentazione è
un'arma e uno dei nostri principali strumenti di negoziazione » 5 •
L'importanza dell'« arma alimentare», che potrebbe diventare
secondo « Business Week» « l'arma definitiva della politica este-
ra degli Stati Uniti » 6, è rivelata anche dall'interesse mostrato
dalla Cia a questo nuovo strumento di condizionamento inter-
nazionale.
Secondo uno studio di questa organizzazione, reso pubblico nel
1975, la penuria mondiale di grano, destinata probabilmente ad
aumentare nel prossimo futuro, potrebbe dare agli Stati Uniti
« un potere che non ha mai avuto prima», un dominio econo-
mico « maggiore di quello dei due anni immediatamente succes-
sivi alla seconda guerra mondiale », una « straordinaria influen-
za politica» 7 • Se le previsioni dello studio si rivelassero esatte,
non soltanto i paesi meno sviluppati, « ma anche le maggiori
potenze dipenderebbero almeno parzialmente dalle importazioni
di generi alimentari dagli Stati Uniti ».
Come impiegheranno gli Stati Uniti questo loro enorme po-
tenziale alimentare? Una risposta si trova nel già citato studio
della Cia: « Nei prossimi decenni - vi si afferma - il crescente
fabbisogno mondiale di surplus alimentare americano farà aumen-
tare la potenza e l'influenza degli Usa, soprattutto nei confronti
dei paesi poveri, costretti ad importare derrate alimentari. In
tempi di crisi, gli Stati Uniti si troveranno così davanti alla diffi-
cile scelta di vendere ai paesi ricchi, ricavandone vantaggi mer-
cantili, o di "regalare" ai paesi poveri, svolgendo una politica
di sovvenzionamento condizionato » 8 •
La stesso ministro dell'agricoltura, Butz, ha parlato di questa
seconda alternativa proponendo di utilizzare tutti i prodotti di-
stribuiti dagli Stati Uniti a titolo di aiuto per portare le popo-
lazioni interessate nella sfera di influenza di questo paese 9 • Del
resto, come lo stesso Butz ha dichiarato, « non si tratta solo di

5
J. CoLLINS, La Cia et !'arme alimentaire, « Le Monde Diplomatique »,
n. 258, settembre 1975.
6
« Business Week», 15 dicembre 1975.
7
J. CoLLINS, op. cit.
8
Cit. da G. SvENSSON, « Agricultural power » carta Usa del domani, <i Il
Sole - 24 Ore », 8 febbraio 1976.
9
G. LuRAGHI, op. cit.

17
un'ipotesi avvenmst1ca ». « In effetti è innegabile e provato -
si legge in un servizio da Washington apparso 1'8 febbraio 1976
sul "Sole - 24 Ore" - che gli Usa si siano già serviti dell'arma
alimentare per guidare il voto dei paesi del Terzo mondo nel
corso di importanti decisioni all'Onu » 10 •
Il « ricatto alimentare » sembra dunque già in atto. L' « arma
alimentare » potrebbe anche consentire ai paesi eccedentari, se
usata spregiudicatamente, di procurarsi le materie prime di cui
hanno bisogno a condizioni di favore 11 •
Per aumentare questo loro potenziale strategico gli Stati Uniti
hanno attuato, dal 1974, quella che Earl Butz ha definito una
« inversione storica » della politica agricola americana: mentre,
infatti, .6110 ad allora, a causa della situazione eccedentaria del
mercato mondiale, gli agricoltori americani ricevevano un com-
penso dallo stato per non mettere a coltura 10 milioni di ettari
di terre coltivabili, d al 1974 si è adottata una politica di incen-
tivazione che dovrebbe portare ad estendere notevolmente la su-
perficie coltivata ( oltre i limiti di quella attualmente coltivabile)
e a migliorare la produttività. L'obiettivo è quello di raggiungere
un incremento produttivo del 30% per il grano, del 50% per
il mais e del 40 % per la soia.

Gli accordi Usa-Urss sui cereali. - All'esplosione della « bom-


ba alimentare», come si è visto, ha concorso, nel 1975, la verti-
ginosa espansione del fabbisogno cerealicolo sovietico d 'importa-
zione. Tale fabbisogno, valutato a metà agosto sui 30 milioni di
tonnellate, si è rivelato a campagna conclusa dell'ordine di 60
milioni di tonnellate (pari al 31 % del fabbisogno complessivo):
una vera catastrofe che, probabilmente, costituisce la ragione prin-
cipale della mancata rielezione del ministro dell'agricoltura so,
vietico, Polianskij, nel Politburo al termine del XXV Congresso
del Pcus, tenutosi nel marzo 1976.
I cereali sono così tornati, nell'autunno 1975, dopo esserlo
già stati in seguito al raccolto del 1972, al centro di intense trat-

10
G. SvENSSON, op. cit.
11
V. ZoRZA, Grano americano e petrolio sov1et1co, « Corriere della Sera»,
5 ottobre 1975, e F. OccHIUZZI, Cereali più preziosi del petrolio: aumenta il
potere degli Stati Uniti, « Corriere della Sera», 16 dicembre 1975.

18
tative tra Usa e Urss per la conclusione di accordi di forniture
che colmassero, almeno in parte, il deficit sovietico.
In realtà le forniture di cereali erano state più volte al centro
di trattative tra Usa e Urss dopo l'agosto 1972. Le vendite fatte
in quell'anno all'Unione Sovietica avevano infatti contribuito in
maniera rilevante alla lievitazione dei prezzi interni e internazio-
nali non solo dei cereali, ma di tutti i prodotti agricolo-alimentari.
Sindacati, agricoltori e trasportatori marittimi avevano, perciò,
fatto pressione negli Usa sul governo affinché si giungesse ad un
accordo a lungo termine con l'Unione Sovietica, che regolarizzasse
gli scambi entro i due paesi e contribuisse a stabilizzare i mercati
internazionali.
Dopo una serie di intense e difficili trattative, le più importanti
nella storia mercantile tra i due blocchi, un accordo veniva rag-
giunto il 20 ottobre: la fornitura all'Urss da 6 a 8 milioni di
tonnellate di cereali all'anno trovava una contropartita « reale »
nella cessione agli Stati Uniti di 1 O milioni di tonnellate di
petrolio, greggio e raffinato.
L'accordo sarebbe entrato in vigore dal 1° ottobre 197 6 e gli
scambi sarebbero avvenuti al prezzo di mercato, non essendo
riusciti gli Stati Uniti ad ottenere il petrolio a condizioni prefe-
renziali. Ma quest'obiettivo non è stato totalmente abbandonato
dai negoziatori americani che sembrerebbero mirare, tramite le
forniture sovietiche a prezzi preferenziali, a far abbassare il prezzo
mondiale del petrolio e, come ha spiegato lo stesso Kissinger,
a « compromettere la capacità dell'Opec di fissare unilateralmente
i prezzi » 12 •

Le relazioni esterne della Comunità

La Comunità e gli Stati Uniti. - Il punto più critico nelle rela-


zioni esterne della Comunità è rimasto anche nel 197 5 quello
dei rapporti commerciali con gli Stati Uniti. Come in passato,
la politica agricola comune e le misure prese dagli Stati Uniti a
difesa dei propri prodotti agricoli hanno costituito una delle
fonti principali delle controversie.

12
V. ZoRZA, op. cit.

19
Si incomincia a maggio, con la minaccia degli Stati Uniti di
colpire con dazi compensativi all'importazione i formaggi origi-
nari della Comunità, che beneficiano di restituzioni alle espor-
tazioni. La Commissione si prodiga per spegnere questo focolaio
di crisi, decidendo di sospendere temporaneamente o di ridurre
le restituzioni applicate ai formaggi esportati negli Stati Uniti
(un export di circa 100 milioni di dollari). Anche gli Stati Uniti,
che nel frattempo sono passati dalle parole ai fatti, fanno allora
un gesto conciliatorio, decidendo di sospendere temporaneamente,
e sotto certe condizioni, l'applicazione dei dazi compensativi.
A luglio, e poi ancora in ottobre, un problema analogo si pre-
senta per il prosciutto in scatola esportato negli Stati Uniti ( un
affare di circa 230 milioni di dollari all'anno per la Cee). In
questo caso gli Usa giustificano l'introduzione di valori compen-
sativi col fatto che la Comunità accorda ai propri allevatori sov-
venzioni per l'acquisto di cereali destinati all'alimentazione ani-
male. Tali sovvenzioni, secondo gli americani, distorcerebbero la
concorrenza mondiale.
A dicembre, nuova « escalation » nella «guerra» a distanza
tra le due sponde dell'Atlantico: la Cee decide di aumentare le
restituzioni alle esportazioni di cereali sui mercati internazio-
nali. La decisione provoca « forte irritazione » oltreoceano, in
quanto tale misura avrebbe avvantaggiato in maniera sleale gli
agricoltori europei sui mercati mondiali. Per dirimere la vertenza
a metà gennaio, il commissario all'agricoltura Lardinois si reca a
Washington. Alla fine di febbraio è lo stesso presidente del-
l'Esecutivo comunitario, Ortoli, a recarsi negli Stati Uniti e in
Canada per ricercare un più conciliante « modus vivendi » com-
merciale con questi paesi. Stando all'agenzia di stampa « Agence
Europe », il risultato del viaggio sarebbe stato positivo 13 •
Se nel settore degli scambi bilaterali si è riusciti alla fine, tra
vicendevoli misure di ritorsione, annunciate o applicate, e incon-
tri conciliativi al di qua e al di là dell'Atlantico, ad appianare le
asperità più marcate, meno facile è stato trovare un'intesa sui
problemi insorti in sede di negoziati multilaterali, in particolare
per quanto riguarda il Tokyo Round.
Le divergenze tra Usa e Cee sui problemi agricoli hanno anzi

13
« Agence Europe », n. 1931 (nuova serie), 3 marzo 1976.

20
cost1tmto uno dei principali fattori di immobilismo delle tratta-
tive sul Tokyo Round nel 1975. Apparentemente le divergenze
sono nate su una questione formale: la Cee, contrariamente agli
Stati Uniti, infatti, riteneva che le negoziazioni nel settore agri-
colo dovessero svilupparsi indipendentemente dagli altri temi del
Tokyo Round. In realtà, questa diversità di vedute affondava le
radici in ben più sostanziali questioni in gioco.
Quello che la Comunità non voleva era, infatti, che le discus-
sioni sui temi agricoli riguardassero la liberalizzazione dei mer-
cati; ciò che l'avrebbe obbligata a mettere in causa i suoi stru-
menti di protezione alle frontiere (prelevamenti e restituzioni).
Gli americani, al contrario, desideravano che questo tema fosse
abbordato in via prioritaria da tutti i gruppi, quello agricolo
compreso. In tal modo Washington assimilava la liberalizzazione
del commercio dei prodotti agricoli a quello degli scambi dei pro-
dotti industriali 14 •
Su questo punto spinoso, che ha praticamente paralizzato le
trattative per gran parte dell'anno, un compromesso è intervenuto
il 17 ottobre a Bruxelles tra Sir Christopher Soames, vice-presi-
dente della Commissione Cee, e Frederick Dent, rappresentante
degli Stati Uniti al Tokyo Round. Il compromesso prevede che
il coordinamento tra i diversi gruppi creati per le negoziazioni
( tanto insistentemente richieste da Washington) si faccia sulla
base dei rapporti comunicati al termine di ciascuna sessione.
Tuttavia una nuova rottura tra la delegazione americana e
quella della Comunità si è avuta in occasione della riunione del
sottogruppo « cereali » che ha avuto luogo a Ginevra dal 20 al
23 ottobre.
La delegazione americana chiedeva, infatti, che la liberalizza-
zione del mercato mondiale dei cereali ricalcasse le soluzioni
discusse dagli altri gruppi, cosa che la Cee non era disposta ad
accettare. Inoltre, anche sulla questione di un accordo mondiale
sui cereali le due delegazioni si sono trovate in contrasto. Gli
Stati Uniti, infatti, già in occasione della Conferenza mondiale
dell'alimentazione di Roma nel novembre 1974 avevano propo-
sto la costituzione di stocks mondiali di cereali. Secondo Washing-
ton questi stocks, pari a 25 milioni di tonnellate di grano e a

14
« Agra Europe », n. 883, 30 ottobre 1975.

21
5 milioni di tonnellate di riso, avrebbero dovuto essere creati e
gestiti in maniera autonoma, cioè al di fuori della competenza
del Gatt e senza far menzione delle misure di regolamentazione
dei prezzi mondiali: la loro funzione doveva infatti essere esclu-
sivamente quella di massa di manovra strategica per i periodi di
penuria. Per la Cee, invece, la costituzione di stocks rappresen-
tava un mezzo per stabilizzare i mercati e mantenere la remune-
ratività dei prezzi alla produzione e pertanto doveva andare di
pari passo con l'instaurazione di una regolamentazione interna-
zionale dei prezzi. Rifiutando misure di questo tipo, Washington,
secondo la Cee, dava prova di reticenza sulla conclusione di
accordi mondiali per prodotto.
A prescindere da questa nuova « vertenza » che metteva in
forse il compromesso raggiunto il 17 ottobre, serie divergenze di
idee sono in seguito insorte tra i nove sul modo di interpretare
tale accordo, ciò che ha ulteriormente aggravato l' « impasse » in
cui si trovavano i negoziati. In vista di rilanciare le discussioni
sui problemi agricoli al Tokyo Round, in occasione della riunione
del 9 dicembre del Comitato dei negoziati commerciali del Gatt,
il presidente di questo Comitato, Oliver Long, ha fatto una di-
chiarazione tendente a superare i contrasti Usa-Cee. Secondo tale
proposta, il gruppo « prodotti agricoli » avrebbe tenuto consul-
tazioni bilaterali o multilaterali di cui sarebbero stati informati gli
altri gruppi. Per non bloccare indefinitamente i lavori del grup-
po « prodotti agricoli » gli Stati Uniti e la Cee hanno accettato
il compromesso. Ma, come si è visto alla riunione successiva del
gruppo, tenuta il 16 dicembre, la soluzione preconizzata da Long
è stata ben lontana dal risolvere il fondo del problema.

La Cee e il Fondo internazionale di sviluppo agricolo. - 111975


non ha segnato il decollo e nemmeno la definitiva messa a punto
di quello che dovrebbe costituire uno dei principali strumenti di
promozione dell'agricoltura nei paesi in via di sviluppo: il Fondo
internazionale di sviluppo agricolo (Fida). Si è dovuto arrivare
all'inizio di febbraio del 1976, perché fossero concordati tutti i
dettagli del funzionamento del Fondo. ·
La creazione del Fondo era stata una delle decisioni più im-
portanti prese in occasione della Conferenza dell'Onu sull'ali-

22
mentazione 15 svoltasi a Roma nel novembre 1974, su iniziativa
dei paesi produttori di petrolio. Compito del Fondo è, infatti,
quello di « finanziare progetti di sviluppo agricoli miranti prin-
cipalmente alla produzione di generi alimentari nei paesi in via
di sviluppo », ciò che rappresenta un rovesciamento della classica
filosofia degli « aiuti alimentari » ai paesi bisognosi.
Su proposta dell'Arabia Saudita, uno stanziamento iniziale di
un miliardo di diritti speciali di prelievo (pari a 1,250 miliardi
di dollari) è stato concordato tra i 62 paesi partecipanti alla prima
Conferenza costitutiva del Fida, tenutasi a Ginevra il 5 e 6 mag-
gio 1975.
Nel mese di settembre gli Stati Uniti, che, in occasione della
Conferenza mondiale dell'alimentazione erano stati poco favorevoli
alla creazione del Fondo, annunciavano, nel corso della sessione
straordinaria dell'Assemblea generale dell'Onu, che erano pronti
a parteciparvi con un apporto di 280 milioni di dollari a condi-
zione che i paesi produttori di petrolio, anch'essi paesi « dona-
tori », vi avessero contribuito per un uguale importo.
Per quanto riguarda la partecipazione della Cee al Fondo, in
vista della seconda Conferenza dei rappresentanti dei paesi inte-
ressati al Fondo (diventati nel frattempo 69), prevista a Roma
per fine ottobre, il 14 ottobre si era tenuto a Lussemburgo un
Consiglio dei ministri degli esteri dei Nove. In tale occasione,
la Germania e la Francia si erano riservate di prendere una deci-
sione sui diversi aspetti di tale partecipazione. Nei giorni suc-
cessivi tale riserva sembrava essere venuta meno; tuttavia non
veniva precisata 1a portata della partecipazione finanziaria della
Comunità. Alla riunione di Roma la Comunità, sembra per l'at-
teggiamento reticente della Francia, si limitava ad affermare che
la Cee avrebbe versato « la sua giusta parte » al Fida.
La decisione più importante della riunione di Roma riguar-
dava la natura giuridica del Fondo: esso, infatti, secondo il co-
municato finale della Conferenza, si sarebbe qualificato come « isti-
tuzione specializzata appartenente al sistema delle Nazioni unite
e dotato di autonomia per la formulazione delle sue politiche e
per le sue operazioni ».
Le questioni di fondo (finanziamento e funzionamento) resta-

15
IA1, L'Italia nella politica internazionale, 1974-1975, p. 326 ss.

23
vano, tuttavia, ancora da decidere, a distanza di un anno dalla
risoluzione che ne auspicava la creazione. Tali questioni sono
state formalmente regolate il 6 febbraio 1976, dopo dieci giorni
di intense trattative tra i rappresentanti dei 75 paesi parteci-
panti alla terza Conferenza costitutiva del Fida.
Uno degli scogli maggiori è stato quello dei diritti di voto. I
paesi in via di sviluppo avrebbero voluto che ogni paese membro
disponesse di un voto paritario. Tuttavia, sia i paesi industria-
lizzati, sia i paesi produttori di petrolio hanno insistito per un
sistema di votazione proporzionale in modo da essere in grado di
controllare l'utilizzazione delle risorse del Fondo. Il conflitto è
stato risolto con un compromesso: sistema proporzionale per le
questioni finanziarie, votazione paritaria per le altre questioni.
Quanto alla partecipazione finanziaria della Cee, un accordo
non è stato trovato nemmeno nel Consiglio degli esteri del1'8
aprile a Lussemburgo. Otto stati membri si sono, infatti, dichia-
rati favorevoli a un contributo della Comunità di 200 milioni di
dollari. La delegazione francese, tuttavia, ha mantenuto le riserve
già espresse nel mese di ottobre.

La politica mediterranea. - La politica mediterranea della Co-


munità si è trovata nel 1975 alle prese con impegnativi appun-
tamenti. Il più importante fra questi era senza dubbio la conclu-
sione degli accordi commerciali con i paesi del Maghreb (Tuni-
sia, Algeria e Marocco), con la Spagna, Malta ed Israele, che do-
vevano rappresentare la testa di ponte di quell' « approccio glo-
bale al Mediterraneo», varato nel novembre 1972, e per i quali
la Commissione aveva ricevuto un primo mandato dal Consiglio
nel giugno 1973 e un secondo mandato, più ampio del prece-
dente, nel luglio 1974.
L'l 1 maggio è stato siglato, senza eccessive difficoltà, l'ac-
cordo con Israele, che è entrato in vigore dal 1° luglio 1975.
L'85 % delle esportazioni agricole israeliane verso la Comunità
ha ottenuto concessioni in termini di riduzioni tariffarie pari o
superiori al 50% 16 • Come contropartita, Israele avrebbe concesso
16
Le concessioni della Comunità riguardano essenzialmente gli ortofrutti-
coli freschi o conservati ed i succhi di ortofrutticoli. In particolare, gli agrumi
freschi hanno ottenuto una riduzione tariffaria del 60%, con l'eccezione dei
limoni per i quali è stata rinnovata la concessione del 40% prevista dall'accordo
del 1970.

24
riduzioni tariffarie dall'll al 25% per un elenco limitato di
prodotti agricoli e il disarmo tariffario per i prodotti trasformati
dall'industria.
Più contrastati sono stati, invece, i negoziati per la firma de-
gli accordi con i paesi del Maghreb. È stato il ministro italiano
dell'agricoltura Marcora a porre un insolito quanto fermo aut-aut ai
colleghi, riuniti a Lussemburgo, a fine maggio 1975, e poi di nuovo
il 23 e 24 giugno, per concludere un accordo di portata molto più
«dirompente» per l'agricoltura del Mezzogiorno di quello con-
cluso con Israele. Preannunciata da bellicose dichiarazioni del
tipo « gli accordi con Algeria, Marocco e Tunisia non debbono
risolversi in un danno per l'agricoltura dell'Italia meridionale »
e, ancora, « sono qui per concludere, ma nessuno si illuda: non
firmerò mai la liquidazione del Mezzogiorno », l'alternativa posta
da Marcora ai suoi colleghi è stata: « o la Cee rispetta per i pro-
dotti dell'Italia meridionale la preferenza comunitaria, oppure
bisogna stabilire dei contingenti alle esportazioni del Maghreb
verso l'Europa ». Era la prima volta che la delegazione italiana
assumeva una posizione così rigida di fronte all'apertura della
Comunità ai paesi del bacino mediterraneo. Questo era il riflesso
della consapevolezza critica della eccessiva facilità con cui in pas-
sato si era accondisceso alla concessione di preferenze tariffarie
a questi paesi, i cui benefici non avevano confini, ma i cui costi
si rivelavano principalmente a carico dell'agricoltura meridionale.
I problemi degli ortofrutticoli freschi e trasformati, degli
agrumi e del vino, tutti prodotti le cui importazioni dal Mezzo-
giorno avevano notevolmente perso terreno negli ultimi tempi a
vantaggio delle importazioni provenienti dai paesi del bacino me-
diterraneo, hanno costituito i nodi più difficili delle trattative. Ma
non si è trattato soltanto di rivendicare per questo o quel pro-
dotto un tipo piuttosto che un altro di « compensazione » o di
« garanzia ». Il merito principale del « muso duro » del mini-
stro Marcora, come scriveva Rossi Doria alla vigilia della ripresa
dei negoziati, è stato quello di aver fatto emergere in piena luce
lo « scoglio agricolo » degli accordi mediterranei, ossia quello di
aver fatto chiaramente intendere ai partners: « 1) che la politirn
mediterranea della Cee ha uno specifico ed alto costo nel settore
agricolo; 2) che non è pensabile di scaricarne il peso sulle sole
spalle più deboli del Mezzogiorno d'Italia; 3) che l'intera Co-

25
munità dovrà, quindi, assumerne l'onere ripartendolo principal-
mente sui paesi più forti, che dalla politica mediterranea trar-
ranno i maggiori vantaggi; 4) che gli accordi, infine (ed è questo
l'aspetto principale del problema), dovranno essere concepiti nel
quadro di una riforma della politica comunitaria (agricola ed
extragricola), capace di assicurare un equilibrato sviluppo agri-
colo-industriale non solo al nostro Mezzogiorno, ma a tutti i paesi
mediterranei che aderiranno o si assoceranno alla Comunità» 17 •
Posto in questi termini il problema, uno degli obiettivi essen-
ziali ricercato dalla delegazione italiana è stato quello di otte-
nere per i prodotti mediterranei un sistema di garanzie parago-
nabile, quanto ad efficacia e livello, a quello in vigore per i pro-
dotti tipici dell'Europa settentrionale (cereali, latte, carne e zuc-
chero) 18 • Sospinti ad una sollecita composizione delle divergenze
sugli aspetti agricoli dei negoziati mediterranei da ragioni poli-
tiche e dai loro colleghi degli esteri, riuniti contemporaneamente
a Lussemburgo, i ministri dell'agricoltura hanno raggiunto un ac-
cordo sulle « compensazioni » da accordare all'Italia, il 24 giugno.
L'accordo prevede tra l'altro: un aumento dell'll % del cosid-
detto « premio di penetrazione » 19 a favore delle arance e dei
mandarini e l'istituzione di un analogo premio per i limoni, un
miglioramento del sistema della « preferenza comunitaria » per
gli ortofrutticoli freschi e trasformati, l'adozione di un « prezzo
minimo » per le importazioni di concentrato di pomodoro, la
generalizzazione del premio di trasformazione ( a carico del Feoga)
per tutte le arance e i limoni destinati ad essere trasformati in
succhi, l'applicazione del dazio « pieno » per il vino proveniente
dai paesi del Maghreb in caso di importazione al di sotto di un
certo « prezzo di riferimento », la distillazione agevolata di tali
vini, in casi eccezionali, ecc.
Non è ancora il « riequilibrio » tra le produzioni mediterranee
e quelle del Nord Europa, auspicato da Marcora, ma un passo

17
<i La Stampa », 22 giugno 1975.
" Il gruppo dei prodotti sopra elencati ha assorbito nel 1974 il 68% delle
spese della sezione « garanzia » del Feoga, contro il 2% speso per gli orto-
frutticoli e l'l,4% speso per il vino.
19
Il « premio di penetrazione » consiste in una sovvenzione accordata agli
utilizzatori di arance e mandarini (e ora anche limoni) al fine di favorire il
collocamento di questi prodotti sui mercati comunitari.

26
in avanti in tale direzione è stato fatto, anche se molte delle mi-
sure approvate sono limitate nel tempo.
Il superamento di tale scoglio non ha però comportato una
rapida conclusione degli accordi con i paesi del Maghreb, i quali,
a loro volta, hanno lamentato nel corso dei negoziati che le offerte
fatte dalla Comunità fossero particolarmente insoddisfacenti per
il vino e l'olio di oliva. Solo nella prima metà del gennaio 1976
sono state, infatti, portate a termine positivamente le trattative.
Le concessioni tariffarie fatte ai paesi del Maghreb riguardano il
90% delle esportazioni di prodotti agricoli e variano tra il 30
e il 100 % . Qualche giorno più tardi la Commissione veniva in-
caricata dal Consiglio di aprire ufficialmente i negoziati con i
paesi del Mashrak (Egitto, Siria, Giordania e Libano).

La politica agricola comune

Bilancio e riforma della politica agricola comune: le prime di-


scussioni sul « bilancio » della politica agricola comune. - Il « bi-
lancio » della politica agricola comune presentato dalla Commis-
sione il 26 febbraio 1975 20 è restato un tema aperto per gran
parte dell'anno.
All'inizio di marzo se ne era incominciato a discutere in Con-
siglio e già erano apparse notevoli riserve sul documento prepa-
rato dalla Commissione da parte di diverse delegazioni. Le cri-
tiche più accese erano venute da Joseph Ertl, ministro dell' agri-
coltura della Germania federale, del paese, cioè, che nel settem-
bre precedente, con una clamorosa iniziativa, aveva richiesto una
profonda revisione della politica agricola comune. Anche altre
delegazioni, tuttavia, tra cui quella italiana, si erano trovate d'ac-
cordo nel considerare piuttosto debole l'analisi elaborata dall'Ese-
cutivo comunitario e piuttosto modesta la portata delle proposte
di riforma avanzate. Il commissario all'agricoltura, Lardinois, ave-
va allora polemicamente lanciato la proposta di promuovere in-
torno al tema una sorta di « hearing » parlamentare, che avrebbe
visto sfilare nelle assise di Strasburgo, in veste di accusatori o di

2<1 lAI, L'Italia nella politica internazionale, 1974-1975, pp. 435-36, e COM-
MISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE, Bilancio della politica agricola comune.
Com(75)100, Bruxelles, 26 febbraio 1975.

27
difensori, i nove ministri dell'agricoltura e lo stesso commissario
all'agricoltura. Un evento, questo, che, insieme ai dibattiti che
si sarebbero svolti nelle altre sedi istituzionali coinvolte, avrebbe
dovuto costituire, a detta di molti osservatori, la premessa e
l'occasione per una sorta di « rifondazione » su nuove basi della
politica agricola comune 21 •
In realtà, come già era accaduto per il memorandum Lardi-
nois sull' « adattamento della politica agricola comune » presen-
tato nell'ottobre 1973 22 e per lo stesso «inventario» o « bilan-
cio » presentato dalla Commissione nel febbraio 1975, le attese
di quanti avevano auspicato, soprattutto nel nostro paese, una
profonda revisione della politica agricola comune, o addirittura
una sua « rifondazione », sarebbero andate in gran parte deluse.

La posizione del governo italiano. - La « riforma » della po-


litica agricola comune e il riequilibrio del sostegno fornito da
questa alle agricolture « forti » e a quelle « deboli » della Comu-
nità sono stati due degli obiettivi principali dell'iniziativa italiana
nel 1975, ed in particolare nel corso del semestre di presidenza
italiana, iniziato il 1° luglio. Inaugurando il suo turno di presi-
denza, il 21 luglio, il ministro dell'agricoltura, Marcora, dichia-
rava ai suoi colleghi del Consiglio agricolo: « In quanto presidente
di questa sessione, intendo prendere l'impegno di adoperarmi a
promuovere un approfondimento critico della politica agricola di
questi ultimi anni; il nostro obiettivo consiste nel definire degli
orientamenti e delle scelte capaci di rendere più efficace la struttura
dell'agricoltura europea in modo che essa sia suscettibile di contri-
buire allo sforzo più generale di miglioramento del nostro sistema
economico, sociale e politico. Ove mancassero rapidi interventi -
aveva proseguito Marcora - correremmo il rischio di veder ancor
più svilupparsi le regioni agricole europee più avanzate, mentre
quelle più deboli e povere accentuerebbero il loro distacco dalle
precedenti » 23 •

21
A. GuATELLI, L'Europa Verde processata alt'assemblea di Strasburgo, « Cor-
riere della Sera», 6 marzo 1975.
IAI, L'Italia nella politica internazionale, 1973-1974, p. 575 ss., e R. GALLI
22

e S. ToRCASIO, La partecipazione italiana alla politica agricola comunitaria, Il


Mulino, Bologna 1976.
23
MINISTERO AGRICOLTURA - UFFICIO STAMPA.

28
Le linee di tale « approfondimento cr1t1co » della politica agri-
cola comune sono state successivamente precisate dallo stesso Mar-
cora nella riunione informale dei ministri dell'agricoltura dei Nove,
avvenuta a Venezia il 19 settembre.
Introducendo la discussione, Marcora aveva suggerito di concen-
trare i lavori su tre punti del « bilancio » presentato dalla Com-
missione: a) migliori relazioni dei prezzi tra i differenti prodotti
e cioè, in sostanza, riequilibrio del sistema di sostegno dei prezzi
agricoli, tenuto conto che le produzioni del Sud della Comunità
usufruiscono, in generale, di un sistema e di un livello di garanzia
meno efficace e meno elevato di quello delle produzioni del Nord
Europa; b) « corresponsabilità finanziaria» dei produttori agricoli
per certi prodotti agricoli con eccedenze strutturali; una proposta,
questa, che era già stata lanciata da Lardinois nel suo memorandum
dell'ottobre 1973, ma che aveva incontrato fino ad allora notevoli
resistenze, in quanto avrebbe comportato una riduzione della ga-
ranzia offerta ai prodotti lattiero-caseari nei paesi nordici ecceden-
tari; c) rinforzamento della politica di stoccaggio a livello comu-
nitario, in relazione con la sicurezza d'approvvigionamento da una
parte e l'equilibrio produzione-consumo dall'altra; un aspetto, que-
sto, particolarmente caro a Marcora, che ne ha fatto uno dei punti
chiave della sua politica agraria anche all'interno del paese.
La posizione italiana in occasione degli imminenti negoziati agri-
coli sul « bilancio » e sulla « riforma » della politica agricola co-
mune veniva, comunque, ufficialmente sancita dal Cipe che vi aveva
dedicato una parte rilevante della riunione del 24 ottobre.
Il comunicato emanato al termine della riunione precisava che
« la linea di fondo che verrà sostenuta resta quella che è stata
peculiare della delegazione italiana in quest'ultimo periodo, e
cioè l'esigenza di una adeguata presa di coscienza da parte della
Cee della particolare identità della nostra agricoltura, sia per la
tipicità di alcune nostre produzioni, sia per la relativa debolezza
delle nostre strutture produttive e dei problemi che, in questo
momento, l'economia italiana, nella sua globalità, deve affron-
tare ». In particolare, le richieste italiane a Bruxelles si sareb-
bero articolate su quattro punti 24 :

24
« Il Giorno», 25 ottobre 1975.

29
1) maggiore attenzione della Cee all'equilibrio dei mercati, m
modo che le produzioni venissero programmate in funzione delle
effettive esigenze comunitarie e di una partecipazione « attiva e
sana » ai commerci internazionali;
2) difesa del reddito agricolo con misure complementari alla
politica dei prezzi « riconducibili a forme di integrazione di
reddito »;
3) più incisivo impegno finanziario della Comunità per il mi-
glioramento delle strutture produttive;
4) massima qualificazione nell'impiego delle risorse disponi-
bili per quanto riguarda le spese della politica agricola comune,
con lo specifico impegno di ridurre gli squilibri attualmente esi-
stenti che favoriscono i prodotti dell'Europa continentale (Olanda,
Germania, Belgio, Francia) rispetto a quelli tipici mediterranei.

I dibattiti del Consiglio. - Le resistenze del Consiglio ad im-


boccare la strada della « riforma» della politica agricola comune,
su cui la delegazione italiana sembrava avesse incominciato a trac-
ciare qualche solco, sono apparse evidenti fin dall'apertura della
sessione del 29-30 ottobre, tenutasi a Lussemburgo.
Con l'intervento del ministro dell'agricoltura francese, Bonnet,
infatti, è apparso chiaro fin dal primo momento che la discus-
sione, piuttosto che sulle linee di possibili riforme da apportare
alla politica agricola comune si sarebbe incamminata sulla strada
della difesa della politica agricola comune da ogni riforma so-
stanziale dei vigenti meccanismi. Anche se Bonnet ha, infatti,
finito con l'ammettere che la politica agricola comune non sod-
disfaceva pienamente il suo governo, egli si è tuttavia soprattutto
preoccupato di mettere in luce i vantaggi e i successi della poli-
tica agricola comune. I cambiamenti, se cambiamenti dovevano
esserci, dovevano essere limitati al minimo, e, soprattutto, dove-
vano essere decisi ad un livello politico più elevato. La Francia,
con ciò, non solo faceva muro in difesa dello status quo, ma
chiedeva che, se qualche breccia dovesse essere aperta, ne fosse
investito il Consiglio europeo, che aveva in programma per i
primi di dicembre una riunione a Roma. In tale modo, notavano
gli osservatori, i problemi agricoli sarebbero stati trattati in un
contesto politico più ampio e perciò eventuali innovazioni sa-

30
rebbero diventate merce di scambio per contropartite in altri
settori 25 •
La linea della Francia, che era poi la linea dei paesi maggior-
mente beneficiati dalla politica agricola comune (Olanda, Belgio,
Lussemburgo, e più recentemente Danimarca), avrebbe finito col
prevalere sulle istanze riformistiche sostenute ormai pressoché
esclusivamente dalla delegazione italiana. La Germania federale,
infatti, che esattamente un anno prima aveva fatto esplodere il
problema della revisione del1a politica agricola comune si limitava
ora a richiedere semplicemente un contenimento della spesa del
Feoga. Inghilterra ed Irlanda, dal canto loro, combattevano da
tempo una strana battaglia in cui alle enunciazioni di principio
in difesa dei consumatori facevano da contrappunto le continue
richieste di svalutazione della « sterlina verde ».
Nonostante gli sforzi, Marcora non era riuscito cosl a trovare
alleati nella sua battaglia, anche se, forse per la prima volta,
l'Italia era riuscita a colpire l'attenzione e forse anche la com-
prensione dei partners mettendo a fuoco talune incongruenze
della politica agricola comune sull'agricoltura italiana. Lo stesso
commissario dell'agricoltura, Lardinois, aveva finito col ricono-
scere che troppo poco era stato fatto per i prodotti del Sud
Europa, criticando, tuttavia, le « deficienze amministrative » del-
la burocrazia italiana nell'applicazione di certi regolamenti comu-
nitari 26 •
L'Italia, tuttavia, non era riuscita a far inserire tra gli argo-
menti da sottoporre all'esame del Consiglio europeo di Roma il
principio dell'integrazione diretta dei redditi agricoli, al quale era
stata dedicata gran parte dell'intervento del sottosegretario Lo-
bianco. Si sarebbe invece discusso, tra l'altro, dell'opportunità di
non fissare un ~< tetto » alle spese del Feoga, sostenuta, in parti-
colare, dal commissario Lardinois, nonché della necessità di defi-
nire una politica comunitaria delle scorte, tema al quale Marcora
si era dimostrato particolarmente sensibile.
L'isolamento dell'Italia si sarebbe riconfermato nella sessione
del 10-11 novembre del Consiglio agricolo, che avrebbe dovuto
mettere a punto il documento conclusivo del dibattito sul « bi-

25
« Il Sole - 24 Ore», 30 ottobre 1975.
26
« Il Sole - 24 Ore », 31 ottobre 1975.

31
lancio » della politica agricola comune da presentare ai parteci-
panti al vertice di Roma.
Il documento approvato al termine dei lavori, con la riserva
della delegazione italiana, accoglieva in maniera soltanto sfumata
le richieste italiane e si limitava a riconoscere generiche « diffi-
coltà », sorte nel corso dell'applicazione di una politica agricola
che « ha realizzato un grado di integrazione molto avanzato ed
il cui bilancio può essere considerato positivo » 27 •
Piuttosto insoddisfacente il modo in cui il documento rispon-
deva alla richiesta italiana di un maggior equilibrio tra il tratta-
mento riservato ai produttori del Nord Europa e a quelli del Sud
della Comunità. Questo nodo veniva sciolto solo dialetticamente
con la presentazione di due tesi: l'una parlava di differenze « giu-
stificate dalle particolarità dei differenti settori »; l'altra - quella
italiana - postulava invece la « revisione dei meccanismi delle
organizzazioni dei mercati in vista di assicurare lo stesso grado
di sostegno ai diversi prodotti ». Uguale ambiguità il documento
mostrava nei confronti delle richieste di rafforzamento della po-
litica strutturale: da una parte veniva presentata la tesi di chi
considerava opportuno attendere i risultati della messa in opera
delle direttive strutturali fino ad allora emanate prima di proce-
dere oltre; dall'altra si menzionava la tesi ( che faceva capo all'Ita-
lia) secondo la quale bisognava « rivedere al più presto le misure
strutturali, che sono state prese finora, completarle con nuove
misure e destinarvi un contributo finanziario più consistente da
parte della comunità».
Relativamente più esplicito e soddisfacente era invece il docu-
mento sul riconoscimento del principio di una « compensazione »
all'agricoltura italiana per le concessioni fatte ai paesi terzi, in
particolare a quelli del bacino mediterraneo. Il Consiglio ricono-
sceva, infatti, che tali accordi avevano provocato « difficoltà »
per la politica agricola comune che i produttori da soli non po-
tevano sopportare: era pertanto necessario « migliorare i mecca-
nismi che permettono di risolvere i problemi prodotti da tali
accordi».
Anche se, come abbiamo visto, taluni degli aspetti più inno-
vativi sostenuti dalla delegazione italiana venivano acçolti nel

21
« Bollettino delle Comunità europee», n. 11, novembre 1975.

32
documento solo come punto di vista di una delegazione, e il docu-
mento era nella sostanza un verdetto d'assoluzione della politica
agricola comune, esso tuttavia apriva spiragli certamente meno
appariscenti di quanto si era sperato, ma che la delegazione ita-
liana si riservava di allargare e valorizzare con successivi consigli
agricoli. Questo spiega perché, nonostante la freddezza della gene-
ralità dei commenti sui risultati del Consiglio 28 , il ministro Mar-
cora, se non proprio soddisfazione, ostentava una certa fiducia
nell'avvenire al termine dei lavori.
Il « bilancio » e la « riforma » della politica agricola comune
avrebbero dovuto costituire, fra i tanti impegnativi argomenti di
discussione tra i capi di stato e di governo al Consiglio europeo
di Roma del 1° e 2 dicembre, quello di maggiore interesse per
l'Italia.
In vista di tale incontro, organizzazioni di categoria e Parla-
mento si erano mobilitati e avevano dato precise indicazioni al
governo sulle principali direttrici negoziali in materia di riforma
della politica agricola comune.
Il Senato, al termine di un dibattito, aveva votato all'unanimità
un ordine del giorno, frutto di un compromesso tra cinque di-
verse mozioni, che impegnava chiaramente il governo a farsi
portatore di proposte correttive del Mec agricolo che tenessero
conto delle esigenze del nostro paese. Tuttavia, il grande dibattito
ad alto livello sul passato e sul futuro della politica agricola co-
mune non sarebbe stato nemmeno aperto al vertice di Roma.
Il cancelliere Schmidt, che era stato il promotore dell'idea, ha
infatti ritenuto che restava troppo poco tempo dopo le discussioni
talvolta tese ma coronate di successo sugli altri « dossiers », per
poter avere una seria discussione sulla politica agricola comune.
Qualcuno aveva avanzato l'idea di adottare una dichiarazione che
prendesse semplicemente atto del documento approvato dal Con-
siglio agricolo a metà novembre e di invitare contemporaneamente
il Consiglio a proseguire nell'approfondimento dei problemi solle-
vati. Ma non tutti se l'erano sentita di far svanire in una bolla
di sapone il grande dibattito sulla politica agricola comune di cui

28
Cfr., ad esempio, « Corriere della Sera », « La Stampa », « Il Sole - 24
Ore » del 12 novembre 1975 e « Avanti! » del 13 novembre (Cee V erde: tanto
rumore per nulla).

33
ormai si parlava da più di un anno. Con maggior pudore, il dibat-
tito veniva rinviato a data da destinarsi.

La « guerra del vino ». - Quella che è stata battezzata la


« guerra del vino » non è che l'ultimo capitolo di una lunga
vertenza che si è quasi immediatamente aperta tra Francia e Ita-
lia (i due paesi maggiori produttori di vino nella Cee) dopo l'ema-
nazione, nel 1970, dei regolamenti concernenti l'organizzazione
comune dei mercati vinicoli.
La causa immediata della riapertura delle ostilità è stato l'an-
nuncio, dato dal ministro dell'agricoltura francese Bonnet il 22
marzo 197 5, di un accordo tra i negozianti francesi di vino volto
a sospendere per un mese le importazioni di vini stranieri, com-
presi quelli comunitari e in particolare quelli italiani. Ad essa ha
fatto seguito, il 28 marzo, una dichiarazione dello stesso Bonnet,
il cui contenuto sembrava voler dare un avallo del governo alla
decisione dei commercianti.
Le cause di fondo sono quelle di sempre: il cattivo funziona-
mento dei regolamenti sull'organizzazione comune dei mercati nel
settore del vino, emanati nel 1970; lo squilibrio tra una produ-
zione cresciuta del 4% all'anno dopo il 1968 e una domanda so-
stanzialmente stabile ( anche a causa degli alti dazi esistenti nei
paesi del Nord Europa che ne scoraggiano il consumo); la bassa
gradazione alcolica di larga parte del vino prodotto nel « Midi »
della Francia, che induce i commercianti francesi a rifornirsi di
vini « forti » prodotti nel Mezzogiorno d'Italia, a prezzi notevol-
mente inferiori a quelli francesi. A tutto ciò si aggiungano i ma-
lanni della speculazione, gli aumenti vertiginosi dei costi di pro-
duzione, la rigidità dell'economia agricola e dell'economia « tout
court » di vaste regioni meridionali della Francia, derivante dalla
monocoltura della vite, e si comprenderanno meglio le ragioni
delle « jacqueries » che, sia pure ad intermittenza, hanno agi-
tato per tutto l'anno e talvolta letteralmente acceso il «Midi»
della Francia.
La « guerra del vino » si è snodata attraverso successive e nu-
merose « battaglie ».
La prima si chiude il 15 aprile con una triplice decisione del
Consiglio agricolo: distillazione agevolata di circa 5 milioni di
ettolitri di vino da pasto in un periodo di 55 giorni, autorizza-

34
zione alla Francia a concedere un aiuto allo stoccaggio per circa
1 milione e mezzo di ettolitri di vini italiani importati, impegno
ad apportare le necessarie modificazioni del regolamento vitivini-
colo di base entro il 1° agosto 197 5.
Una nuova battaglia si accende in piena estate, proprio sulle
proposte presentate a metà luglio dalla Commissione per l'ado-
zione di un nuovo regolamento di mercato nel settore del vino.
L'Italia respinge, infatti, le proposte della Commissione che, ve-
nendo incontro alle richieste francesi, prevedevano, tra l'altro, il
divieto di nuovi impianti fino al 1° gennaio 1977, e la riduzione
di un terzo dei reimpianti viticoli, in contrasto con la filosofia
«liberistica» del regolamento del 1970.
La Francia minaccia di richiudere le proprie frontiere al vino
italiano, se non si attua al più presto una nuova regolamenta-
zione attraverso la quale arrivare al controllo delle superfici, delle
quantità, e delle qualità prodotte.
La situazione precipita dopo il 10 settembre quando il Consi-
glio dei ministri francese, all'indomani di un nuovo Consiglio
agricolo andato a vuoto, decide di applicare una tassa del 12%
all'importazione dei vini italiani in Francia.
Di fronte alla decisione francese, che ha dato esca nel nostro
paese ad un riacutizzarsi delle pressioni per l'adozione di misure
di ritorsione, l'atteggiamento delle autorità governative italiane
è stato in genere improntato a prudenza e ad attendismo.
Il 15 settembre la Commissione dichiara illegali le misure
francesi contro le importazioni dei vini italiani, ma la Francia
non recede dalle sue decisioni. Contro di esse la Commissione
adisce il 27 novembre la Corte di giustizia delle Comunità euro-
pee, ma si doveva arrivare alla fine del febbraio 1976 perché la
« guerra del vino » franco-italiana cominciasse a scemare di
intensità.
L'armistizio definitivo sulla « guerra del vino » viene concor-
dato ai primi di marzo, nell'annuale « maratona » sui prezzi agri-
coli. In tale occasione la Francia ha accettato di porre fine alle
misure protezionistiche poste in atto nei confronti dei vini italiani
in cambio della sospensione dei nuovi impianti per un periodo
limitato (dal 1° dicembre 1976 al 30 novembre 1978), e con
esclusione dei vini a denominazione d'origine controllata; sono
state adottate misure straordinarie intese a superare i problemi

35
congiunturali del vino nei due paesi maggiormente produttori
(distillazione agevolata a carico della Cee); ma soprattutto sono
state apportate modifiche sostanziali al regolamento di base del
vino, che venivano incontro alla principale e più qualificante ri-
chiesta della delegazione italiana: quella di realizzare, attraverso
il nuovo regolamento vitivinicolo, un primo passo verso il riequi-
librio delle garanzie di mercato tra produzioni del Nord Europa
e produzioni mediterranee, una richiesta, questa, come s'è visto,
già avanzata nel corso dei dibattiti sul « bilancio » della politica
agricola comune.
Infatti, mentre prima della decisione del marzo 1976 non esi-
steva per il vino alcun prezzo garantito (l'invio alla distillazione
poteva scattare solo in casi eccezionali), con il nuovo regolamento,
al contrario, l'intervento scatta automaticamente non appena il
prezzo di mercato scende, per una determinata quota di produ-
zione, al di sotto di un determinato « prezzo di riferimento ». La
decisione, al di là dell'ermetismo della terminologia, comporta un
accrescimento della garanzia comunitaria per uno dei prodotti più
importanti dell'economia agricola del Mezzogiorno.

Problemi monetari e gestione della politica agricola comune:


i montanti compensativi. - Il ripristino dell'unicità dei prezzi e
dei mercati, chiave di volta del mercato comune agricolo, note-
volmente compromessa dalle vicende monetarie di questi anni, è
rimasto ancora una meta lontana e difficile. Il sistema dei mon-
tanti compensativi alle frontiere ha così continuato a rappresen-
tare lo strumento, artificioso quanto non risolutivo, per attutire
gli effetti distorsivi delle variazioni dei tassi di cambio delle di-
verse monete sugli scambi dei prodotti agricoli 29 •
Un passo avanti verso la progressiva riduzione degli importi
compensativi era stato fatto nel febbraio 1975, in occasione della
fissazione dei prezzi agricoli per la campagna 1975-76. In tale
occasione, infatti, venivano adottate nuove parità per i tassi rap-
presentativi applicabili nel quadro della politica agricola comune
29
Come è noto, gli importi compensativi monetari consistono in sovvenzioni
alle importazioni e tasse ali'esportazione di prodotti agricoli da un paese a
moneta svalutata (il contrario avviene per i paesi a moneta rivalutata), applicate
a partire dal 1969 negli scambi tra i paesi della Cee allo scopo di neutralizzare
gli effetti di una svalutazione (o rivalutazione) della moneta sul funzionamento
del mercato comune agricolo.

36
(le cosiddette « monete verdi ») più rispondenti alla realtà dei
cambi, il che aveva consentito di ridurre gli importi compensativi
monetari vigenti in misura proporzionale alla svalutazione delle
« monete verdi ».
Un ulteriore contributo alla diminuzione e, in qualche caso,
all'eliminazione degli importi compensativi monetari è venuto nel
corso dell'anno anche dalla favorevole evoluzione dei tassi di
cambio di talune monete. Cosl per il franco francese, il cui de-
prezzamento rispetto al nuovo tasso rappresentativo si è pro-
gressivamente ridotto nella prima metà del 1975 a tal punto che
il 19 maggio veniva deciso di abolire completamente i montanti
compensativi monetari con la Francia. Così per la lira italiana,
la cui ripresa nel corso dell'anno - tenuto conto del nuovo tasso
rappresentativo della « lira verde » fissato a febbraio (857 lire per
unità di conto) - ha consentito la progressiva soppressione degli
importi compensativi concernenti l'Italia relativamente, dapprima,
al settore lattiero-caseario e alla carne (dal 28 aprile) e, successi-
vamente, per tutti gli altri prodotti (dal 1° agosto) 30 •
Con l'abolizione degli importi compensativi monetari in Fran-
cia e Italia le zone differenziate da tali importi sono diminuite
da sei a cinque: quelle costituite dalla Germania, dai paesi del
Benelux, dall'Irlanda, dal Regno Unito e dal complesso degli altri
stati membri.
Per consentire un ulteriore passo verso l'abolizione dei mon-
tanti compensativi monetari e il ripristino dell'unità del mercato,
la Commissione aveva suggerito con le sue proposte-prezzo per il
1976-77, presentate 1'11 dicembre 1975, l'adozione di alcune
misure « agro-monetarie » che dovevano permettere di assorbire
completamente gli importi compensativi applicati per il Benelux
e quindi di ridurre a quattro le zone differenziate dall'esistenza
di importi compensativi monetari.
Il crollo della lira sui mercati monetari, constatato a partire dal
21 gennaio 1976, ha tuttavia indotto la Commissione a fissare
nuovamente, a decorrere dal 9 febbraio 197 6, importi compensa-

" La situazione si è evoluta, tuttavia, in maniera del tutto sfavorevole per


la sterlina inglese e irlandese, per cui è stato necessario aumentare progressiva-
mente i montanti compensativi applicati alle frontiere di questi due paesi e suc-
cessivamente, il 4 agosto e il 27 ottobre, procedere ad una duplice svalutazione
dei « tassi verdi » di queste. due monete.

37
tivi monetari applicabili agli scambi con l'Italia, pari, per la prima
settimana di applicazione, al 6,2 %. Il ripristino del sistema dei
montanti compensativi faceva rinascere in Italia i malumori delle
categorie agricole per gli inconvenienti e l'onerosità del sistema,
già lamentati in passato.
Riprendevano invece con insistenza le pressioni per l'adozione
di una nuova parità cli cambio per la « lira verde », adeguata al
deprezzamento di fatto della lira. Una richiesta di svalutazione
della « lira verde » del 6 % veniva avanzata dal ministro Marcora al
Consiglio agricolo del 2-6 marzo. La richiesta è stata accolta,
sicché la parità lira-unità di conto è passata da 857 a 905 31 •

Il rinnovo dei prezzi agricoli per la campagna 1976-77. - I ne-


goziati sul rinnovo dei prezzi agricoli per la campagna 197 6-77,
oltre a rappresentare ormai ritualmente uno dei momenti più
decisivi della politica agricola comune, sono stati l'occasione per
discutere dell'introduzione di nuove misure o forme di intervento
sui mercati, di cui si era da tempo auspicata l'adozione, dal me-
morandum Lardinois al bilancio della politica agricola comune;
ma che ancora tardavano a prendere corpo.
I negoziati hanno preso le mosse dalle proposte presentate 1'11
dicembre dalla Commissione. Esse comportavano, accanto ad un
aumento medio dei prezzi comuni del 7 ,5 % , delle misure di revi-
sione di talune organizzazioni di mercato oltre alle già richia-
mate misure « agro-monetarie » intese a ridurre i montanti com-
pensativi in vigore negli scambi dei paesi membri.
Nel complesso, le misure proposte dalla Commissione avreb-
bero dovuto consentire di realizzare un'economia di 220 milioni
di u.c. sulle spese della sezione « garanzia » del Feoga, mentre
non si prevedevano riflessi sul bilancio della sezione « orienta-
mento», per il 1976.
Non appena sono state rese note le proposte della Commissio-
ne, il Capa, che nei giorni precedenti aveva richiesto un aumento
medio dei prezzi del 1O,6 % , prendeva netta posizione contro di
esse, lamentando che fossero inappropriate a rilanciare gli inve-
stimenti nel settore agricolo e prospettando la necessità del ricorso

31
In seguito alla svalutazione della « lira verde », i montanti compensativi mo-
netari per l'Italia (nel frattempo giunti all'll,7% } venivano abbassati del 6%.

38
a misure complementari a livello nazionale nel caso in cui le pro-
poste della Commissione fossero state approvate.
In Italia, la Coldiretti sottoscriveva pienamente le contropro-
poste fatte dal Capa, mentre la Confagricoltura constatava che
le proposte della Commissione erano la prova che l'Esecutivo
comunitario aveva cercato di tenere conto delle richieste dei
produttori dei prodotti continentali, ma sembravano invece aver
voluto penalizzare le colture tipiche del Mezzogiorno. Particolar-
mente inconsistente, per la Confagricoltura, l'aumento previsto
del 2% per l'olio d'oliva.
Un primo giro di tavola sul « dossier prezzi » si era avuto
nel Consiglio agricolo del 15-16 dicembre ed aveva fatto appa-
rire la complessità del dossier e le resistenze alle misure proposte.
Contro le proposte dell'Esecutivo comunitario si era pronun-
ciata la delegazione italiana, in quanto esse non tenevano conto
delle conclusioni del dibattito sul bilancio della politica agricola
comune, in particolare per quanto riguardava le azioni nel set-
tore delle strutture. Inoltre la nostra delegazione aveva mostrato
tutta la sua sorpresa per il fatto che l'Italia, secondo le pro-
poste della Commissione, sarebbe stata obbligata ad incorporare
la polvere di latte negli alimenti composti per animali, quando
l'Italia non aveva eccedenze in questo settore. Il dossier era
ritornato all'ordìne del giorno del Consiglio del 19 e 20 gen-
naio e poi ancora in quello del 16 e 17 febbraio, ma la tornata
decisiva sarebbe stata quella che dal 2 si sarebbe snodata fino
all'alba del 6 marzo. L'Italia aveva nel frattempo messo a punto
la sua linea d'attacco, contrapponendo alle proposte della Com-
missione un lungo « pacchetto » di misure che dovevano andare
incontro a talune esigenze degli agricoltori italiani. Questo « pac-
chetto » avrebbe dovuto bilanciare, dal punto di vista finanziario,
il costo del risanamento del mercato lattiero-caseario con eroga-
zioni specifiche per l'Italia; concedere dei vantaggi alle produ-
zioni con bassa garanzia dei prezzi; migliorare il contributo finan-
ziario comunitario alle misure strutturali; porre fine alla « guerra
del vino ».
Le decisioni assunte dal Consiglio davano una pressoché com-
pleta soddisfazione alle richieste italiane; scarse e più che altro
simboliche erano, però, le misure adottate per contenere le ecce-
denze e quelle intese a correggere le vigenti organizzazioni comuni

39
di mercato, salvo in parte nel settore del vino. Per il latte, anzi,
cioè per il prodotto maggiormente eccedentario, veniva adottato
un aumento di prezzo addirittura superiore a quello inizialmente
proposto dalla Commissione 32 •
In Italia le decisioni del Consiglio agricolo venivano accolte,
in linea di massima, con soddisfazione dagli osservatori e dalle
organizzazioni agricole. A Marcora la stampa d'informazione rico-
nosceva il merito di essere riuscito a ottenere per gli agricoltori
italiani 340 miliardi di lire in più di quanto prevedeva l'ultima
proposta di compromesso della Commissione. Inoltre veniva mes-
sa in risalto la favorevole conclusione della « guerra del vino »
nonché il salto qualitativo compiuto nell'organizzazione del mer-
cato di questo tipico prodotto italiano.
Al di là, comunque, dei singoli punti del « pacchetto » accolti
nella decisione finale del Consiglio, restava in molti la sensazione
che ancora molta strada dovesse essere percorsa prima che si riu-
scisse finalmente ad incidere in maniera veramente decisiva sui
meccanismi chiave della politica agricola comune. Particolarmente
critico il commento de « l'Unità » ai risultati del Consiglio agri-
colo. Interrogandosi sulla reale portata ed utilità delle misure
adottate, il senatore comunista Cipolla si chiedeva: « Verso dove
si muove l'intero pacchetto approvato? Verso il rinnovamento
della politica agricola comune del tipo di quello che da un anno
a questa parte viene sollecitato in Italia e in Europa da tutte le
forze democratiche operaie e contadine ( ... )? Oppure è stata con-
fermata e perfino aggravata la politica fin qui condotta dalla Cee?
A noi pare che questa seconda ipotesi sia la più vera ( ... ). Il
punto centrale della questione è ancora una volta il protezionismo

32
Oltre alla svalutazione della « lira verde » e alle misure adottate nel settore
del vino, sulle quali ci siamo intrattenuti nei rispettivi paragrafi, ecco altri conte-
nuti del pacchetto approvato, fra quelli di maggior interesse per l'Italia:
1) aumento dell'integrazione del prezzo del grano duro (da 42 u.c./ha a
50 u.c./ha), per le zone coperte dalla direttiva sulla montagna;
2) aumento dell'integrazione all'olio di oliva;
3) mantenimento, anche per la campagna 1976-77, del premio alla nascita dei
vitelli (L. 25.000 circa), che la Commissione aveva proposto di sopprimere;
4) mantenimento ed aumento dell'8% del premio di penetrazione degli agrumi;
5) aumento dell'aiuto nazionale alla produzione di barbabietola (da 5,90 a
9,90 u.c./q) ed incremento di 1 milione di quintali della quota nazionale di
zucchero producibile in Italia;
6) aumento del contributo finanziario comunitario per le direttive sulla mon-
tagna dal 25% al 35%.

40
comunitario e quello dei prodotti dell'allevamento bovino in par-
ticolare che assorbe oltre il 60 % del bilancio della Cee per finan-
ziare montagne di latte in polvere, di burro, di carne eccedentarie
invendibili per gli alti prezzi sul mercato interno e su quelli in-
ternazionali » 33 •

La politica delle strutture agrarie. - Con l'adozione definitiva


da parte del Consiglio, avvenuta il 28 aprile 1975, della diret-
tiva 75 /268/Cee sull'agricoltura di montagna e di altre zone
svantaggiate, si è conclusa un'altra tappa della politica strutturale
comune, avviata con le tre direttive 159, 160 e 161 emanate
nell'aprile 1972. La nuova direttiva, della quale l'Italia dovrebbe
essere una delle principali beneficiarie, comporta diversi elementi
innovativi della politica agricola comune, che costituiscono una
delle ragioni non secondarie del ritardo con cui è stato raggiunto
un accordo definitivo sulla sua adozione, quali: l'istituzione di un
sistema di aiuti diretti al reddito, la possibilità di diversificazione
regionale della politica di riforme strutturali, l'adozione di un
regime speciale di aiuti nazionali agli investimenti per le aziende
che non sono in grado di ralizzare un piano di sviluppo. Nel
complesso, l'incidenza delle zone delimitate ai sensi della diret-
tiva sulla superficie agraria utilizzata è del 27 % a livello comu-
nitario e del 40% a livello nazionale (per oltre 7 milioni di ettari).
Purtroppo a tanta vastità d'impegno non sembra corrispondere
una adeguata partecipazione finanziaria della Comunità (sezione
« orientamento » del Feoga}, valutata sui 254 milioni di u.c. per i
primi tre anni di applicazione, e limitata al 25% delle spese im-
putabili (contro il 50% proposto dalla Commissione) 34 •
Sempre in tema di approfondimento della politica strutturale
comune, è proseguito, in seno al Consiglio, l'esame delle propo-
ste di direttive concernenti azioni comuni in materia di misure
forestali e di aiuti a favore dei giovani agricoltori, presentate dalla
Commissione nel corso del 1974. Il 5 agosto 1975 la Commis-
sione ha presentato inoltre al Consiglio una proposta di regola-

33
N. CIPOLLA, Vittoria di Pirro quella di Marcora alla «maratona» di Bru-
xelles, «l'Unità», 9 marzo 1976.
34
Come si è visto (cfr. nota 31), tuttavia, il contributo della Comunità è
stato portato dal 25% al 35% nella « maratona » sui prezzi agricoli, ai primi
di marzo del 1976.

41
mento relativo all'azione comune per il miglioramento delle con-
dizioni di trasformazione e di commercializzazione dei prodotti
agricoli, che integrano la proposta di regolamento relativo alle
associazioni dei produttori e alle relative unioni, già presentate
al Consiglio nel 1967. Tuttavia, il 1975 è trascorso senza che
apprezzabili progressi fossero fatti su questi progetti di politica
strutturale comune, per i quali più volte i negoziatori italiani in
seno al Consiglio hanno sollecitato una decisione e un impegno
comunitario.

La politica agraria in Italia

L'applicazione interna delle direttive strutturali. - Si è final-


mente concluso, nel maggio 1975, il lungo iter parlamentare della
legge (legge n. 153 pubblicata su G.U. n. 137 del 26 maggio
1975, il cui contenuto viene sintetizzato nell'appendice a questo
capitolo) che dà attuazione nel nostro paese alle direttive comu-
nitarie sulle riforme strutturali in agricoltura, adottate dal Consi-
glio nell'aprile 1972. Il periodo iniziale di un anno previsto dalle
direttive per l'adozione dei necessari provvedimenti nazionali,
successivamente riportato al 31 dicembre 197 3, si è così allun-
gato a tre anni nel caso dell'Italia.
Alla Camera, come al Senato, hanno votato a favore della legge
n. 153 i gruppi della maggioranza ( democristiani, socialisti, so-
cialdemocratici e repubblicani), hanno votato contro i comunisti.
Astenuti i missini, mentre i liberali si sono astenuti al Senato
e hanno votato a favore alla Camera.
Più o meno tutti gli intervenuti nel dibattito conclusivo ten-
devano a circoscrivere la portata del provvedimento.
Lo stesso Marcora aveva sostenuto che il « provvedimento in
esame non può e non pretende di affrontare tutti i problemi con-
nessi al miglioramento delle strutture agricole: esso dovrà inse-
rirsi in una più vasta gamma di misure sia nazionali che comu-
nitarie ». Il senatore socialista Rossi Daria, dal canto suo, pur
definendo la legge « una scatola vuota di contenuti e inutilmente
appesantita da minuziose disposizioni burocratiche », riteneva che
allo stato in cui erano giunte le cose non restava altro che appro-
varla ed impegnarsi concretamente alla sua applicazione. L'op-

42
posizione dei comunisti era stata, tra gli altri, motivata dal sena-
tore Cipolla, il quale aveva sostenuto che la legge era superata
dalla stessa realtà economica italiana ed europea quale si era
venuta a determinare dopo la presentazione del memorandum
Mansholt del 1968, ed inoltre che le misure proposte erano estre-
mamente modeste ed incapaci di incidere per il rinnovamento an-
che solo tecnico delle strutture agricole.
Con l'approvazione della legge nazionale di recepimento delle
direttive comunitarie sulle strutture si è tuttavia aperto un nuovo
tormentato capitolo della politica agricola in Italia e del con-
tenzioso tra stato e regioni: quello dell'adozione delle nonne di
attuazione della legge e della messa in opera dei relativi stru-
menti che, secondo il dispositivo della legge nazionale, le regioni
avrebbero dovuto emanare entro il 9 dicembre 1975. Entro tale
data, tuttavia, solo la V alle d'Aosta aveva approvato tale norma-
tiva, mentre altre tre (Emilia Romagna, Lombardia e Veneto)
avevano elaborato solo delle proposte di legge, peraltro alquanto
difformi dal dettato della normativa nazionale. Il 1975 è così
trascorso senza che si potesse dare completa attuazione alle misure
adottate.

La « gestione Marcora » del Ministero dell'agricoltura. - L'in-


sediamento del sen. Giovanni Marcora al Ministero dell' agricol-
tura, anche se non ha rotto la tradizione ormai trentennale che
vede un democristiano a reggere le sorti di quel ministero, rap-
presenta comunque un fatto nuovo. Infatti egli non è espressione
della Coltivatori diretti - cioè dell'organizzazione da cui prove-
nivano quasi tutti i suoi predecessori - ma uno degli uomini di
punta della sinistra democristiana di base.
Uno dei principali fronti d'attacco nella « strategia» di Mar-
cara è stato proprio il riordinamento del Ministero dell'agricoltura
e foreste, nonché degli enti pubblici nazionali destinati alla rea-
lizzazione di singoli aspetti di quella che Marcora ama definire
« politica agricolo-alimentare ».
Si tratta, secondo Marcora, di « riqualificare » le strutture del
Ministero « in funzione del ruolo ad esso assegnato, con riguardo
all'agricoltura, all'alimentazione e all'ambiente». Tale riqualifi-
cazione dovrebbe risultare « da un processo di unificazione interna
delle competenze attorno ad alcune strutture portanti e da una

43
trasformazione qualitativa delle medesime competenze in rapporto
alle responsabilità di programmazione, coordinamento e con-
trollo ». Risulta peraltro indispensabile, sempre secondo Marcora,
« che le nuove strutture del Ministero non siano pensate sempli-
cemente come il prodotto di una concentrazione di quelle esi-
stenti, ma siano organizzate in modo tale da assicurare l'apporto
integrato di tipo tecnico-amministrativo per la formazione delle
scelte di politica agraria. Ciò presuppone altresì un elevato grado
di professionalità ed un metodo, per quanto possibile, collegiale
di lavoro. Inoltre deve essere tenuta presente l'esigenza che le
strutture operino in un contesto il più possibile aperto agli apporti
delle regioni e delle organizzazioni del settore, senza peraltro che
i rapporti esterni risultino frammentari nei diversi comparti, ma
siano gestiti in modo unitario » 35 •
Ricorrono in questo abbozzo di progetto termini ed esigenze
alquanto inconsueti nell'amministrazione della politica agraria che
vale la pena sottolineare, quali: « alimentazione », « ambiente »,
« apporto integrato di tipo tecnico-amministrativo », « professio-
nalità », « metodo collegiale », « apertura agli apporti delle regioni
e delle organizzazioni del settore », ecc. Letti col filtro dell'inter-
pretazione politica, termini come questi significano non soltanto
maggiore attenzione ai problemi dell'approvvigionamento alimen-
tare del paese e a quelli della tutela dei valori ambientali e natu-
rali, nuovi campi di competenza prospettati per il Ministero del-
1'agricoltura, ma anche: maggiore spazio agli apporti esogeni alla
burocrazia ministeriale nelle scelte di politica agraria, incrina-
mento di quel rapporto preferenziale mantenuto spesso in passato
dai vertici ministeriali nei confronti di Federconsorzi, Coldiretti,
e Confagricoltura e di taluni gruppi di pressione, superamento
dell'antagonismo ministero-regioni, introduzione di metodi più ef-
fìcientistici nella gestione della cosa pubblica, ecc. 36 •
Sullo stesso fronte di attacco si colloca l'iniziativa di Marcora
per il riordinamento dell'Aima, l'Azienda di stato per gli inter-
venti sui mercati agricoli. In realtà, è da anni che nel nostro paese
35
G. MARCORA (a cura di), Un dossier per il domani: l'agricoltura nel pro-
cesso di crescita dell'economia italiana, s.d. (ma giugno 1976).
36
Piuttosto tesi sono stati, in particolare, i rapporti tra Marcora e Bonomi
che ha accusato il ministro di voler « sacrificare la Coldiretti sull'altare dell'effi-
cienza» (« Panorama», n. 501, 27 novembre 1975) e tra Marcora e i dirige:iti
della Federconsorzi.

44
si va auspicando, soprattutto da parte delle forze politiche, sinda-
cali e professionali di sinistra, una riforma e un potenziamento di
quello che rappresenta nel nostro paese l'organismo pubblico in-
caricato di attuare la politica agricola comune dei prezzi e dei
mercati. Così come è da anni che si lamenta nel nostro paese la
carenza di una legislazione che favorisca la costituzione e il fun-
zionamento di valide associazioni di produttori, che fanno la forza
degli agricoltori in altri paesi della Cee, come l'Olanda.
Marcora non ha, dunque, propriamente parlando, un diritto
di primogenitura nell'aver individuato l'importanza dello sciogli-
mento di questi due nodi fondamentali del funzionamento della
politica agricola nazionale e comunitaria nel nostro paese. Tutta-
via alla sua iniziativa possono ascriversi la traduzione in un dise-
gno di legge delle aspirazioni di riforma dell' Aima, nonché i
progressi fatti nell'approntamento di una normativa-quadro sulle
associazioni dei produttori.
Col disegno di legge sull' Aima, come si evince dalla relazione
che l'accompagna, si intende soprattutto: razionalizzare l'organiz-
zazione degli interventi sul mercato derivanti dall'applicazione
dei regolamenti comunitari; coordinare gli interventi necessari
per garantire, da una parte, la regolare disponibilità sul mercato
dei mezzi di produzione dell'agricoltura, e dall'altra la continuità
degli approvvigionamenti alimentari; « tutto ciò valendosi di una
struttura snella e autonoma che operi con gli impianti esistenti
senza peraltro doversi trovare in posizione subordinata rispetto
ad organismi operanti sui mercati » (leggi Federconsorzi). Tale
compito di coordinamento e di indirizzo dovrebbe essere assicu-
rato da un « Comitato interministeriale per la politica agricola e
alimentare» (Cipaa), da istituire nell'ambito del Cipe.
Ancor più importante della riforma dell' Aima è comunque
l'attuazione di una legislazione sulle associazioni di produttori,
di cui si sono incominciate a porre le basi. Secondo lo schema
elaborato in proposito presso il Ministero dell'agricoltura e col
contributo dei rappresentanti delle categorie agricole, a tali orga-
nismi dovrebbe essere attribuita, oltre alla disciplina qualitativa
della produzione (con obbligo di osservanza da parte degli asso-
ciati), la possibilità di stipulare convenzioni e contratti con ope-
ratori singoli o associati, privati o pubblici, per il ritiro, lo stoc-
caggio e l'immissione sul mercato dei prodotti, con la conse-

45
guente assunzione delle relative operazioni. Alle associazioni dei
produttori verrebbe inoltre riservato un ruolo determinante nella
partecipazione alla formazione dei programmi regionali e nazio-
nali di intervento settoriale. Per i singoli produttori l'adesione ad
organizzazioni riconosciute comporterebbe la preferenza nella con-
cessione di provvidenze finanziarie pubbliche per il miglioramento
e l'ammodernamento delle imprese agricole e degli altri incentivi
alla produzione. Le cooperative aderenti alle associazioni o alle
loro unioni sarebbero invece preferite nell'attuazione degli inter-
venti previsti da norme nazionali e comunitarie, nell'assunzione
dei contratti di forniture con le pubbliche amministrazioni, ecc.
Come si vede, sia l'uno che l'altro provvedimento potrebbero
avere come effetto indiretto, e tutt'altro che indesiderato dallo
stesso Marcora, e da tutte le forze di sinistra, quello di ridurre
l'egemonia esercitata dalla Federconsorzi in materia di interventi
sui mercati agricoli. Questo contribuisce a spiegare certe resistenze
che hanno già incominciato ad ostacolare il cammino di questi
provvedimenti.
Alla necessità di un maggior controllo pubblico sull'attività
della Federconsorzi, del rispetto del metodo democratico nell'ac-
cesso e nella partecipazione dei soci, di un ritorno di questa orga-
nizzazione e delle sue strutture di base (i consorzi agrari) alla loro
originaria vocazione cooperativistica, ha comunque più volte espli-
citamente fatto riferimento lo stesso Marcora. Intorno a questi
obiettivi, da tempo al centro dell'azione delle organizzazioni più
avanzate dei lavoratori, sono andate peraltro coagulandosi nuove
forze nel paese. Ma si tratta di una battaglia ancora tutta da com-
battere prima che sia possibile cogliere qualche frutto.
In realtà, anche sugli altri fronti della politica agricola nazio-
nale, ivi compresi quelli aperti dalla « gestione Marcora », poco o
nulla di veramente nuovo e decisivo può darsi per definitiva-
mente conquistato. Molte delle iniziative prospettate restano, in-
fatti, ancora allo stato embrionale e quasi nessuna è ancora appro-
data in sede parlamentare, dove meno efficace si è rivelata l'azione
politica di Marcora.

46
APPENDICE

SINTESI DELLA LEGGE DI ATTUAZIONE DELLE DIRETTIVÉ COMUNITARIÈ


SULLE STRUTTURE AGRICOLE
(LEGGE N. 153; G.U. N. 137 DEL 26 MAGGIO 1975)

1. In applicazione delle direttive comunitarie 72/159, 72/160 e


72/161 viene istituito un regime di aiuti alle aziende agricole allo
scopo di:
a) promuovere l'ammodernamento ed il potenziamento delle strut-
ture agricole e determinare il miglioramento delle condizioni di pro-
duzione, di lavoro e di reddito in agricoltura;
b) favorire, attraverso un'adeguata mobilità dei terreni, il miglio-
ramento delle strutture produttive agricole, il rimboschimento, la dife-
sa del suolo e dell'ambiente e l'utilizzazione per scopi produttivi o di
pubblica utilità di terreni non più coltivati;
c) migliorare il livello di formazione generale tecnica ed economica
attraverso l'informazione socio-economica e la qualificazione professio-
nale della popolazione agricola.
Le regioni sono autorizzate a regolare con proprie leggi la materia
di attuazione delle direttive per adattarla alle esigenze dei singoli ter-
ritori regionali o zone agricole, purché in ogni caso siano rispettati
i limiti stabiliti dalle direttive comunitarie nonché dai principi fon-
damentali della legge. Per quanto riguarda in particolare il consegui-
mento degli obiettivi specificati al punto a) le regioni, entro sei mesi
dalla data di entrata in vigore della legge, sono chiamate ad adottare
le norme procedurali necessarie per l'attuazione degli interventi pre-
visti nel rispetto di alcuni principi fondamentali.

2. Per essere ammessi ai benefici previsti in vista delle finalità di


cui al punto a) occorre: 1) essere imprenditori agricoli a titolo prin-
cipale 1 ; 2) possedere una sufficiente capacità professionale 2 ; 3) impe-
gnarsi a tenere una contabilità aziendale; 4) presentare un piano di
sviluppo aziendale impostato in modo tale da dimostrare che l'azienda
agricola in via di ammodernamento, una volta attuato il piano mede-
simo (la cui durata non può essere superiore ai 6 anni) , sarà in grado
di raggiungere per una o due unità lavorative uomo (Ulu) 3 almeno
un reqdito comparabile a quello di cui beneficiano i lavoratori di

1
Si considera a titolo principale l'imprenditore che dedichi all'attivit.'t
agricola almeno due terzi del proprio tempo di lavoro complessivo e che
ricavi dall'attività medesima almeno due terzi del proprio reddito globale ;:'"
lavoro.
2
Nei casi in cui tale requisito non viene considerato presunto, esso ,.-:è ~:
accertato da un'apposita commissione provinciale.
3
L'unità lavorativa uomo (Ulu) rappresenta l'unità di calcolo dell'at t:'...:::: >
rativa svolta in azienda con riferimento ad un impiego annuo di 2.300 e~ :- : · · ·

47
altre attività nella stessa zona 4; 5) avere, al momento di presentazione
della domanda, una produzione tale da determinare un reddito da la-
voro inferiore al reddito medio dei lavoratori non agricoli della zona
nella quale ricade l'azienda. Nella concessione dei benefici previsti
sono preferite le imprese familiari coltivatrici singole od associate.
Le provvidenze di cui si può beneficiare sono: 1) concessione di un
concorso nel pagamento degli interessi per gli investimenti global-
mente necessari per l'attuazione del piano, nella misura massima del
9%, elevabile all'll % per le zone del Mezzogiorno e gli altri ter-
ritori depressi; 2) garanzie sussidiarie sotto forma di fideiussione del
« Fondo interbancario di garanzia », per i mutui da contrarre e rela-
tivi interessi; 3) cessione, in proprietà o in affitto, delle terre che si
renderanno disponibili in connessione con le misure di incoraggia-
mento per la cessazione dell'attività agricola; 4) contributi in conto
capitale in ragione della superficie aziendale per l'incremento della
produzione bovina ed ovina.

3. Per il conseguimento delle finalità di cui al punto b) viene isti-


tuita una indennità a favore degli imprenditori agricoli che antlnpano
la cessazione della propria attività alla condizione che: 1) siano titolari
di aziende con superficie non superiore ai 15 ettari 5; 2) abbiano com-
piuto 55 anni e non superato il 65° anno di età; 3) siano coltivatori
diretti (proprietari o affittuari) o conduttori di aziende agricole che
destinino le terre agli scopi previsti dalla legge, oppure ancora: af-
fittuari, enfiteuti, mezzadri o coloni, 4) dedichino almeno il 50% del
loro tempo di lavoro all'attività agricola, ricavandone almeno il 50%
del reddito complessivo di lavoro.
La concessione dell'indennità è condizionata, oltre che alle condi-
zioni sopra elencate e, ovviamente, alla cessazione della attività agri-
cola da parte del beneficiario, alla destinazione della superficie nella
quale si esercita l'attività agricola ai seguenti scopi 6 : affitto per al-
meno 15 anni o vendita o cessione in enfiteusi agli imprenditori agri-
coli che beneficiano delle misure di incoraggiamento di cui al punto
2) (a condizione che realizzino con l'accorpamento una maggiore pro-
duttività) oppure destinazione a fini di utilità pubblica, compreso il
rimboschimento.

4. Per il conseguimento degli obiettivi indicati al punto c) le re-


gioni sono state incaricate di costituire, nel quadro della loro orga-

• Come livelli di comparabilità fra gli addetti agricoli e quelli operanti


nei settori extragricoli si assumono, con riferimento alle singole province, le
retribuzioni medie dei lavoratori extragricoli calcolate dall'Istat.
' I titolari di aziende con superficie superiore ai 15 ettari, che si trovino
nelle condizioni di reddito e di impiego di tempo lavorativo nell'attività
agricola previste dalla legge, possono chiedere l'indennità al compimento del
60° anno di età e goderne fino al 65°. Altri imprenditori agricoli sono ugual-
mente ammessi se si realizzino certe condizioni (artt. 33 e 34 della legge).
6
Altre condizioni sono previste dall'art. 35 della legge.

48
nizzazione ammm1strativa, appositi servizi di informazione socio-eco-
nomica e di qualificazione professionale per consentire alle persone
che lavorano nell'agricoltura di acquisire una nuova qualificazione
nell'ambito della professione agricola o di migliorare quella che già
possiedono affinché possano integrarsi in un'agricoltura moderna.
L'attività di informazione socio-economica può essere affidata dalle
regioni ad associazioni che si costituiscono espressamente allo scopo di
creare servizi di informazione per i propri associati. Ad esse possono
essere concessi contributi fìno al 10% delle spese riconosciute am-
missibili.

49
X

LA POLITICA AGRICOLA 1976-77*

Agricoltura e alimentazione

La situazione mondiale. - II 1976 ha fatto segnare, almeno


per l'immediato, un leggero miglioramento della situazione ali-
mentare mondiale. Secondo le stime della Fao, aggiornate al marzo
1977 1, la produzione alimentare e agricola mondiale sarebbe, in-
fatti, aumentata, nel 1976, del 3% rispetto al 1975, cioè ad un
tasso di circa un punto superiore all'accrescimento demografico. Il
miglioramento è avvertibile, tanto nei paesi sviluppati ( + 4 % ),
quanto in quelli in via di sviluppo ( + 3 % ). Incrementi produtti-
vi superiori alla media mondiale sono stati realizzati in America
latina, Oceania, Medio Oriente, Africa e soprattutto in Unione
Sovietica ( + 10 % ). L'America del Nord ha ulteriormente accre-
sciuto del 3% la sua produzione agricola, dopo aver registrato
un incremento del 7% nel 1975. Per il secondo anno consecutivo,
nell'Europa occidentale si è invece avuta una flessione produttiva,
valutata sull'ordine dell' l % . Principale responsabile di questo
calo produttivo europeo è stata una forma di calamità naturale, di
cui da lungo tempo, almeno con la gravità del 1976, i paesi eu-
ropei non facevano l'esperienza: la siccità.
Anche a'.ltri indicatori della situazione alimentare mondiale alla
fine del 1976 sembrerebbero tali da indurre a considerare sensi-
bilmente attenuate le preoccupazioni sulla situazione alimentare
mondiale, che solo due anni prima restavano ancora particolar-
mente acute. In effetti si è potuta realizzare, grazie ai buoni risul-
tati produttivi degli ultimi due anni, una parziale ricostituzione
degli stocks, ed in particolare di quelli cerealicoli che dovrebbero
aumentare del 25% alla fine della campagna 1976-77 rispetto alla
fine della precedente campagna, r-aggiungendo così i 150 milioni
di tonnellate, un livello mai eguagliato negli ultimi cinque anni 2 •

' FAO, Situation alimentaire mondiale en mars 1977, « Bulktin mensuel éco-
nomie et statistique agricoles », n. 4 aprile 1977.
2
Questa cifra corrisponde a circa il 17% del consumo mondiale, che, secondo
la FAo, corrisponde al livello minimo di sicurezza alimentare mondiale.

In IAI, “L’Italia nella politica internazionale: 1976-1977”, Edizioni di


Comunità, Milano, 1978

50
Ciò ha concorso a frenare o a:d invertire, almeno nel breve pe-
riodo, la tendenza al rialzo dei corsi, che durava ormai dal 1972.
D'altra parte grazie ai buoni raccolti, i paesi in via di sviluppo
hanno potuto migliorare il loro grado di autoapprovvigionamento
alimentare e dunque alleggerire il loro tributo finanziario verso i
paesi esportatori. Altro fatto di rilievo è la netta contrazione, dopo
i risultati catastrofici del 197 5, del fabbisogno d'importazione ce-
realicola dell'Unione Sovietica, che per l'ampiezza e le varia-
zioni da un anno all'altro aveva costituito negli ultimi anni uno dei
principali fattori di instabilità e di tensione sui mercati agricoli
internazionali.
Benché non si possa negare che questi elementi siano indub-
biamente positivi, sarebbe ingenuo considerare come ormai risolto
o anche soltanto seriamente ridimensionato il problema della si-
curezza alimentare mondiale. Ciò non soltanto perché non basta
qualche annata relativamente più favorevole delle precedenti per
allontanare lo spettro della fame o per rischiarare l'orizzonte della
crisi alimentare mondiale. Non soltanto perché, come ricordava in
dicembre Jean Mayer, presidente del Consiglio americano per la
fame e la malnutrizione, di fronte ali' Accademia delle scienze di
Parigi, 12.000 persone muoiono di fame ogni giorno nel mondo
e quasi un miliardo d'esseri umani soffrono la fame o d'altre caren-
ze alimentari 3 •
In realtà è soprattutto nel medio e nel lungo periodo che il
problema alimentare mondiale resta pressoché immutato in tutta
la sua gravità. Anzitutto, in termini retrospettivi, occorre osser-
vare che l'evoluzione della produzione alimentare mondiale nei
paesi in via di sviluppo resta molto al di sotto dell'obiettivo fissato
nella strategia per lo sviluppo 4 • In termini prospettici, d'altra
parte, il problema del deficit alimentare strutturale delle regioni più
sfavorite appare in termini ancora più inquietanti. La Fao, l'Ocse
ed altri organismi privati di ricerca, come l'International Food
Policy Research Institute, concordano infatti più o meno nel
valutare nel migliore dei casi a 75-85 milioni di tonnellate, nel
3
Cfr. anche Jean MAYER, Le dimensioni della fame umana, « Le Scienze»,
aprile 1977.
4
Per il secondo decennio dello sviluppo dell'Onu (1970-1980), era stato fis-
sato al 4% per anno il tasso d'accrescimento della produzione agricola necessaria
ai paesi in via di sviluppo. Al 1976, nonostante i progressi degli ultimi a.-.ni,
non si è che al 2,6%.

51
1985, il deficit cerealicolo nei paesi importatori del Terzo mondo
(contro i circa 33,5 milioni di tonnellate registrate nel 1974), e
ad una cifra di molto superiore nel caso di un'estrapolazione delle
tendenze di lungo periodo. Ove queste ipotesi dovessero verifi-
carsi, si può prevedere che, tanto per ragioni tecniche (trasporto,
capacità di stoccaggio, ecc.) quanto per ragioni finanziarie (capacità
di acquisti dei paesi importatori, limite mas,simo dell'aiuto alimen-
tare prevedibile, ecc.) un trasferimento di risorse alimentari di que-
ste dimensioni dai paesi eccedentari verso i paesi deficitari rischie-
rebbe di non poter aver luogo (ammesso che a tale epoca esistano
ancora delle scorte ade~ate) 5 • D'altro canto, onde poter eliminare
il loro deficit cerealicolo, questi paesi dovrebbero riuscire a rag-
giungere un ritmo annuale di incremento della produzione del
4,5%, che è quasi il doppio di quello registrato dal 1970 al 1976.

I risultati produttivi. - Passando in rapida rassegna i risultati


produttivi dei prodotti agricoli strategici per l'alimentazione nel
mondo, notiamo anzitutto che la produzione mondiale dei cereali
ha toccato nel 1976 la punta record di 1.363 milioni di tonnellate,
registrando un aumento del 9% rispetto al 1975. In particolare, la
produzione sarebbe aumentata di oltre il 1O% nei paesi sviluppati
e del 4% nei paesi in via di sviluppo. Un raccolto record si è avuto
per il frumento con circa 416 milioni di tonnellate, che è del 17 %
superiore a quello del 1975. Anche se ottimi risultati si sono
avuti in quasi tutti i principali paesi esportatori (salvo che in
Australia) ed in particolare in Canada (23 milioni di tonnellate) e
Stati Uniti (59 milioni di tonnellate), gran parte di tale incre-
mento è dovuta in effetti al sensazionale e in parte imprevisto sal-
to produttivo registratosi in Unione Sovietica. Dopo un'annata di-
sastrosa, quella del 1975, in cui la produzione di frumento non
aveva superato i 66 milioni di tonnellate, nel 1976 l'Urss ha
realizzato una produzione record di 100 milioni di tonnellate, men-
tre la produzione complessiva di cereali ha toccato un livello di
223,8 milioni di tonnellate, superiore di circa 84 milioni di ton-
nellate rispetto al 197 5 e di 1,3 milioni di tonnellate rispetto al
precedente record, che era stato stabilito nel 197 3.

5
R. DE RoCHEBRUNE, Récoltes, un soulagement prématuré, « Economie », n. 26,
settembre 1976.

52
Quanto ai paesi in via di sviluppo, la loro produzione di frumento
è stata anch'essa abbastanza soddisfacente: 135 milioni di ton-
nellate, ovvero 14 milioni di tonnellate ( 11 % ) in più rispetto al
1975.
Anche la produzione di cereali secondari (mais, orzo, segala, ave-
na), destinata prevalentemente all'alimentazione animale, avrebbe
registrato un livello record: circa 717 milioni di tonnellate, con
un incremento di oltre 50 milioni di tonnellate (pari all'8%) ri-
spetto al 1975, anch'esso dovuto in gran parte all'eccellente rac-
colto sovietico. H deficit di cereali foraggeri dell'Europa occi-
dentale, e in particolare dei paesi del:la Ce, si è invece accresciuto a
causa della siccità che ha colpito durante un lungo periodo del-
1'anno le regioni europee più fortemente produttrici. Per sovram-
mercato, la produzione di ·soia degli Stati Uniti, il cui ruolo nel-
1'alimentazione del besci:ame anche in Europa non cessa di accre-
scersi, si è contratta da 42 a 34 milioni di tonnellate.
Per quanto riguarda il riso, la produzione mondiale è stata del-
l' 1 % inferiore all'eccellente raccolto del 1975, cioè sui 230 mi-
lioni cli tonnellate. Lo zucchero invece, con una produzione di 85
milioni di tonnellate, ha superato del 5 % il livello record già
raggiunto nel 1975.
Da segnalare, infine, anche per le conseguenze spettacolari che
ha avuto sulle quotazioni, la pesante contrazione produttiva del
caffè e del cacao. Per effetto delle gravi gelate che si sono prodotte
nel 1975 in Brasile, principale fornitore mondiale, la produzione
mondiale di caffè è scesa infatti di oltre il 20% nel 1976. D'al-
tro canto, la produzione di cacao si è contratta di oltre il 10%
per i cattivi raccolti in Africa e America latina.

I mercati agricoli. - Il miglioramento generale della situazione


alimentare mondiale non trova riscontro immediato nell'andamento
dell'indice generale dei prezzi dei prodotti alimentari. La tendenza
al rialzo, di cui si era avuta una ripresa a partire dal secondo tri-
mestre 1975, dopo una consi~tente caduta nel semestre prece-
dente, non solo è proseguita nel 1976, ma si è anzi vertiginosa-
mente accelerata nel prosieguo dell'anno. L'indice delle Nu per i
prezzi dei prodotti agricolo~a:limentari (base 1968 = 100) è infatti
passato da 210 nel primo trimestre 1975 a 250 nel primo trimestre
1976, per giungere a 400 nel quarto trimestre 1976.

53
Eppure, come abbiamo appena visto, i risultati produttivi dei
principali prodotti alimentari sono stati generalmente migliori di
quelli ottenuti nel 1975, il che avrebbe dovuto di norma riflettersi
in una flessione dell'indice generale dei corsi delle derrate ali-
mentari.
In effetti, a ben guardare, questa correlazione inversa tra pro-
duzione e prezzi, postulata dalla teoria economica, non è stata so-
stanzialmente smentita a livello di singolo prodotto. È solo per
effetto della corsa vertiginosa assunta dai prezzi di taluni prodot-
ti, in particolare caffè e cacao, che l'indice globale dei prezzi ali-
mentari risulta nel complesso cresciuto di 150 punti in meno di
un anno.
Il riscontro più significativo della legge della formazione del
prezzo in regime di libera concorrenza si è avuto per il grano,
anche se le condizioni reali del mercato mondiale (ammesso che esi-
sta un vero « mercato mondiale » per i prodotti alimentari) sono in
genere ben diverse da quelle postulate da tale forma di mercato
teorico. In effetti due fattori hanno concorso, l'uno dal lato del-
l'offerta, l'altro dal lato della domanda, alla flessione dei corsi
dì questo cereale registrata a partire dal mese di luglio del 1976. Da
una parte, infatti, l'accresciuta disponibilità del prodotto ha atti-
vato una certa concorrenza tra i principali paesi esportatori, che ha
ridimensionato le quotazioni. Dall'altra, si è avuta parallelamente
una contrazione della domanda mondiale per il fatto che anche i pae-
si più fortemente deficitari negli ultimi anni, tra cui in particolare
Unione Sovietica e India, hanno registrato nel 1976 buoni risultati
produttivi. Le quotazioni sono così scese sulla piazza di Chicago
da 400 cents per bushel 6 nel mese di giugno a 3 77 a fìne anno. Più
o meno identica la situazione sul mercato dello zucchero, campio-
ne della scalata nel 1974 e della discesa nel 197 5. Esso quotava,
nei Caraibi, 13 ,21 dollari per libra pesante 7 in luglio, mentre è
sceso a 7, 4 5 alla fìne dell'anno, per effetto dell'offerta esorbi-
tante rispetto alla domanda. Anche per i cereali secondari si è regi-
strata una certa flessione dei corsi, anche se meno marcata di
quella registrata per il grano.
Oltre che alla sovrabbondanza delle scorte di riporto e agli ec-

6
1 bushel = 36,3 litri.
7
1 libra pesante = 45,3 kg.

54
cellenti risultati del 1976, ciò è probabilmente dovuto anche aI
fatto che l'utilizzazione dei cereali per l'alimentazione animale è
divenuta meno conveniente per gli allevatori, in particolare negli
Stati Uniti. Del resto, lo scarto tra prezzo del grano e prezzo del
mais si è ridotto a tal punto (8 dollari la tonnellata alla fine del
1976 contro i quasi 30 all'inizio dell'anno; ma nei primi mesi deI
1977 tale scarto si è addirittura annullato) che ormai gli alle-
vatori americani, in condizioni di abbondanza di frumento, pen-
sano di utilizzare in misura crescente questo cereale per l'ali-
mentazione del bestiame. Un balzo eccezionale hanno invece su-
bito i corsi della soia, soprattutto per effetto della forte contra-
zione produttiva regi:stratasi negli Stati Uniti, non compensata dal-
l'incremento registrato in Brasile. Sulla piazza di Chicago la soia
quotava 125 dollari la tonnellata all'inizio del 1976 e 206 alla
fine dell'anno.
Ma è al caffè e al cacao che tocca la palma del primato della
lievitazione dei prezzi dei prodotti agricolo-alimentari nel 1976.
Sulla piazza di Londra i1 caffè quotava, infatui, 778 sterline per
tonnellata alla fine del 197 5. Un anno dopo il prezzo era arrivato
a ben 2.760 sterline ( + 254,7% ). Nello stesso periodo il cacao
è passato da 740 a 1.924 sterline la tonnellata { + 160% ). Analoghi
aumenti si registrano sulle altre piazze. All'origine degli aumenti
vertiginosi dei prezzi di questi due prodotti stanno diversi fattori
concomitanti. Per il caffè, ad esempio, oltre alla contrazione del-
l'offerta brasiliana, già segnalata, si deve aggiungere, almeno in
parte, la speculazione e l'appesantimento dei dazi all'esportazione
deciso dalle autorità brasiliane e dagli altri paesi dell'America la-
tina verso la fìne dell'anno, al fine di scoraggiarne la domanda.
Ad imprimere al mercato una tendenza più riflessiva non sono
bastate le campagne di dissuasione dal consumo condotte un po'
dappertutto, ma soprattutto in America.
Va comunque notato che, se l'impennata spettacolare dei prezzi
di questo prodotto, riprodottasi e amplifìcatasi al livello del con-
sumo, ha colpito in maniera non soltanto metaforica l'opinione
pubblica, essa fa seguito ad una sostanziale stazionarietà dei corsi
che durava ormai dal dopoguerra. Il che ha indotto qualcuno a
paragonare in parte la loro esplosione a quella verificatasi per il
petrolio nel 1972-73.

55
L'evoluzione delle politiche agricole nazionali. - Come reagi-
scono i diversi paesi all'evoluzione della situazione alimentare mon-
diale e in quale misura essa è il riflesso deterministico delle poli-
tiche adottate, delle iniziative assunte? È impossibile dare qui
una risposta esauriente a questi quesiti. Tuttavia vogliamo ugual-
mente fornire qualche elemento in tal senso, almeno per alcuni
di quei paesi che, in quanto produttori o consumatori, giocano un
ruolo strategico sul piano mondiale.
Per quanto ciò possa apparire sorprendente, considerati gli ele-
vatissimi livelli di efficienza già raggiunti dalla sua agricoltura, è
negli Stati Uniti che si è registrato negli ultimi anni il maggior
dinamismo della produzione agricola e della politica agraria. Il
ruolo dell'agricoltura nell'economia di questo paese (oltre che
nell'economia mondiale) si è ulteriormente accresciuto negli ultin1i
tre anni, dato che essa non solo non ha subìto la caduta del reddito
e dell'occupazione, registrata nei settori extra-agricoli, ma ha anzi
goduto di redditi da primato, facendo registrare, peraltro, un ral-
lentamento della tendenza secolare all'-emigrazione di manodopera
delle campagne, conseguenza delle innovazioni tecnologiche intro-
dotte nell'agricoltura 8 •
Del resto è grazie alla vertiginosa espansione delle esportazioni
di prodotti agricoli (passate da 9,4 a 22 miliardi di dollari dal
1972 al 1975) che il deficit della bilancia commerciale degli Stati
Uniti ha potuto essere almeno in parte ridotto o annullato 9 •
Oggi l'agricoltura e la politica agraria sono negli Stati Uniti in
grande fermento anche in relazione alle nuove possibilità di sbocco
sui mercati internazionali offerte negli ultimi anni ai suoi pro-
dotti dall'espansione dei consumi e dalla contrazione della produ-
zione in taluni paesi (in particolare in Unione Sovietica).
Dal 1972, dopo l'abolizione delle misure restrittive dell'offerta,
che avevano portato a sottrarre alla coltura circa 12 milioni di et-
tari, sono stati mobilizzati ben 16 milioni di ettari. Ma altri 45
milioni di ettari attendono di essere restituiti alla produzione « in
caso di necessità ».

• Cfr. Earl O. HEADY, L'agricoltura negli Stati Uniti, « Le Scienze», aprile


1977.
• Le importazioni agricole sono infatti aumentate soltanto da 6,5 a 9,3 mi-
liardi di dollari nello stesso periodo, sicché il saldo attivo della bilancia commer-
ciale agricola è quadruplicato ( da 2,9 a 12,6 miliardi di dollari).

56
Malgrado siano apparsi nuovamente nel 197 6 problemi di col-
locamento delle eccedenze produttive, •soprattutto per il grano,
dovuti ai buoni raccolti nei paesi importatori, sembra essere fer-
ma intenzione dell' « establishment » agricolo e della nuova am-
ministrazione Carter di mantenere l'obiettivo del 15% di au-
mento della produzione agricola fissato per il 1980.
Progetti sensazionali, basati sul ricorso massiccio all'investimen-
to, sull'introduzione rapida di nuove tecnologie, sulla necessità di
realizzare delle economie di scala nel sistema produttivo agricolo,
col concorso attivo dello stato, sono già stati messi a punto in vista
di tale obiettivo.
Uno dei più accreditati e dei più sconvolgenti per le strutture
di produzione è quello elaborato da Barry Carr per il Congresso
americano e che va sotto il nome di « Maximum Eflicienty Futu-
re». Lo scenario che esso prevede al 1985 per l'apparato produt-
tivo agricolo comporta una formidabile accelerazione del processo di
ristrutturazione capitalistica dell'agricoltura degli Stati Uniti, che
avrà conseguenze economiche e sociali di vaste proporzioni tanto
all'interno quanto sui mercati internazionali. A tale epoca, do-
vrebbero infatti ridursi ad un quarto le piccole imprese agricole
individuali (che sono attualmente il 35 % del totale) e dovreb-
bero invece affermarsi, da una parte, le aziende agricole di grosse
dimensioni (dal 7 al 20%) gestite da veri e propri manager agricoli
e, dall'altra, le imprese riunite in cooperative o in società (dal 52%
al 70% ). Il capitale industriale e le multinazionali agricole gioche-
rebbero un ruolo di prim'ordine in tale programma 10 •
Anche in Unione Sovietica il problema del rilancio dell'agricol-
tura è al centro delle preoccupazioni delhi classe dirigente. Una
nuova crisi agricola delle proporzioni di quella del 197 5 renderebbe
infatti non soltanto ancor più precario l'autoapprovvigionamento
alimentare del paese, ma pregiudicherebbe anche il conseguimento
degli obiettivi di sviluppo economico generale fissati nel nuovo pia-
no quinquennale.
Per scongiurare questa prospettiva i dirigenti sovietici hanno pre-
disposto una serie di misure, di cui alcune hanno avuto il ca-
rattere di emergenza, in vista del raccolto 1976, altre invece rap-

10
Cfr. H. DONNARD, Ce que les Américains nous préparent, « Economie», n.
33, aprile 1977.

57
presentano riforme di struttura che, se realizzate, potrebbero cam-
biare completamente il volto dell'agricoltura sovietica.
Queste ultime, qualificate dagli stessi promotori come una
« svolta radicale», si articolano intorno a tre punti principali 11 :
a) concentrazione delle imprese agricole, attualmente suddi-
vise in circa 50.000 fra « kolkhozy » (fattorie collettive) e « sov-
khozy » (aziende statali) in modo da creare complessi più grandi,
in grado di ridurre i costi e aumentare la produzione;
b) specializzazione per tipo di prodotto, che dovrebbe sostituire la
policoltura attualmente prevalente;
c) creazione di complessi agro-industriali dove, oltre alla produ-
zione agricola, si effettuerebbero lavori di bonifica e cli costru-
zione, di conservazione e di trasformazione dei prodotti.
Si tratta ora di vedere se obiettivi così ambiziosi, che pratica-
mente postulano la scomparsa dei « kolkhozy » e dei piccoli appez-
zamenti privati sopravvissuti al processo di collettivizzazione del-
1'agricoltura, possano essere conseguiti nel medio termine e senza
effetti socia:lmente traumatici.
Un fatto è comunque ormai acquisito. Col nuovo piano quin-
quennale 1976-1980, per la prima volta nella storia dell'Unione
Sovietica, l'agricoltura non è più un settore « residuo », sacrificato
allo sviluppo degli altri settori, ma il settore alle cui esigenze altri
settori sono stati sacrificati (in particolare, l'industria leggera e
quella produttrice di beni di consumo). È stato lo stesso Breznev a
riconoscedo, in ottobre, davanti al plenum del Comitato centrale
del Pcus: « più cli 170 milim-di di rubli saranno investiti, nel corso
del decimo piano quinquennale, per l'ulteriore rafforzamento delle
basi materiali e tecniche dell'agricoltura. Si tratta di una somma
enorme. E io devo dire che non è stato facile reperirla. Noi ab-
biamo dovuto ridurre alcune esigerue cli altri settori dell'econo-
mia » 12 •
Anche in molti paesi in via di sviluppo una nuova volontà politi-
ca di affrontare il problema dell'agricoltura si è andata affermando
o si sta facendo strada, di pari passi all'accrescersi delle difficoltà
di approvvigionamento alimentare a prezzi contenuti sui mercati in-

11 Cfr. P. S., Urbanizzazione delle campagne in Urss, « Corriere della Sera », 29


giugno 1976.
12 P. O sTELLINO, Breznev: l'Urss ha vinto la battaglia dell'agricoltura, « Cor-
riere della Sera », 27 ottobre 1976.

58
ternazionali e alle pressioni politiche interne per un miglioramento
delle condizioni di vita della popolazione. Parecchi governi nazio-
nali, fra cui quelli del Brasile, dell'India, del Messico, delle Fi-
lippine e del Pakistan stanno peraltro intensificando notevolmente
i propri sforzi di ricerca, soprattutto in direzione della creazione
di varietà altamente produttive che siano adatte ai rispettivi am-
bienti. I risultati di questi sforzi uniti a quelli condotti all'esterno
nell-a medesima direzione hanno talvolta del sensazionale. Le nuo-
ve varietà a taglia bassa di frumento e riso, insieme alla disponi-
bilità di fertilizzanti e di acqua irrigua, hanno ad esempio più che
raddoppiato la produzione frumenticola dell'India tra il 1968 e il
1972, hanno dato al Pakistan una eccedenza di riso da esportare ?.
hanno reso, entro breve tempo, le Filippine autosufficienti dal
punto di vista alimentare 13 •
In America latina, il recente impegno dell'agricoltura brasilia-
na, se sarà sostenuto, porterà presto questa nazione sui mercati
di esportazione dei cereali, ma per la soia essa gioca già un ruolo
non trascurabile. Inoltre se i piani di sviluppo del Venezuela e
della Colombia incontreranno un successo parziale, queste nazioni
diventeranno contributori netti delle scorte alimentari mondiali 14•
Non si deve, comunque, pensare che dovunque, nei paesi in via
di sviluppo, sia stato possibile o sia stato scelto di mobilizzare
tutte le risorse necessarie in funzione dello sviluppo agricolo. Diffi-
coltà d'ordine finanziario, derivanti dagli enormi investimenti che
sarebbero necessari per aumentare la produzione agricola 15 , e tal-
volta la scarsa attenzione della class'e dirigente ai problemi dello
sviluppo agricolo, hanno impedito di realizzare sensibili progressi
nella situazione agricolo-alimentare di tali p-aesi.
È soprattutto presso di loro che suscita le maggiori attese la
creazione del Fondo internazionale di sviluppo agricolo, uno dei più
concreti e rilevanti risultati della Conferenza mondiale dell'ali-
mentazione, tenutasi a Roma nel novembre 1974.

13
W. David HOPPER, Il potenziamento dell'agricoltura nei paesi in via di
sviluppo, « Le Scienze », n. 104, aprile 1977.
14
Ibidem.
15
Alla Conferenza mondiale dell'alimentazione si indicò in 5 miliardi di dol-
lari all'anno, come stima prudente, la cifra occorrente nei prossimi 20-25 anni
ai paesi in via di sviluppo per investimenti nella produzione alimentare allo
scopo di raggiungere scorte alimentari annuali sufficienti.

59
La nascita del Fondo internazionale di sviluppo agricolo (Fi-
sa). - Con l'adozione ufficiale del suo statuto da parte dell'apposita
conferenza delle Nazioni unite, avvenuta a Roma il 13 giugno 1976,
il Pisa ha finalmente concluso la sua lunga e travagliata gesta-
zione.
Si è trattato però soltanto di un atto formale, peraltro già am-
piamente scontato nei contenuti, che sono stati discussi in prece-
denti negoziati 16 • In effetti, non essendo stata ancora raggiunta a
quell'epoca la quota minima di 1 miliardo di dollari fissato come
ammontare miziale del Fondo, la Conferenza di Roma non ha po-
tuto che limitarsi a dichiarare ufficialmente aperta la strada al
Fondo.
Le difficoltà incontrate per trovare un accordo sui principi di
funzionamento del Fondo e per il raggiungimento del livello mi-
nimo di risorse finanziarie necessarie al suo decollo danno un'idea
delle resisteme che si devono superare per tradurre in atti le di-
chiarazioni di buone intenzioni nei riguardi dei paesi in via di svi-
luppo. Il fatto è che la creazione del Pisa non solo ha dovuto fare
i conti con la preferenza accordata dalla maggior parte dei paesi
industrializzati per l'aiuto bilaterale rispetto a quello multilaterale,
ma è in realtà tale da sconvolgere una serie di vecchi schemi su cui
si reggevano i precedenti organismi di aiuto 17 •
Per la prima volta, infatti, in un organismo di aiuto multila-
terale, i paesi industrializzati non detengono l'intero potere deci-
sionale. Anzi, se si tiene conto che i due blocchi dei paesi « dona-
tori » (paesi industrializzati e paesi dell'Opec) dispongono ciascuno
di seicento voti nel Consiglio dei governatori, organo supremo del
Fondo, al pari del blocco dei paesi beneficiari, se ne deduce che i
paesi industrializzati si trovano nettamente in minoranza. Questa
innovazione, come è facile immaginare, non è stata facile da dige-
rire. Nel corso dei negoziati di preparazione della conferenza di
Roma i paesi industrializzati hanno infatti a lungo difeso il prin-
cipio del voto ponderato negli organi di decisione del Fondo. Questo
principio non è stato accettato, almeno al livello del massimo or-
gano decisiornale del Pisa; tuttavia, all'interno dei tre blocchi di
paesi rappresentati in seno a tale organo è stata lasciata libertà
16
L'Italia nella politica internazionale, 1975-1976, p. 332 ss.
17
Marie-Claude CELESTE, Naissance du Fonds international de développement
agricole, « Le Monde Diplomatique », luglio 1976.

60
di scelta sulla formula di voto. I due gruppi di paesi « donatori »
hanno optato per il voto ponderato (ciò significa che Stati Uniti,
Giappone e Repubblica federale tedesca, che spesso hanno as-
sunto posizioni simili in materia di aiuti allo sviluppo agricolo ai
paesi del Terzo mondo, disporranno della maggioranza assoluta
dei voti); i paesi in via di sviluppo hanno invece adottato un si-
stema di voto non ponderato, secondo il principio « un paese un
voto».
Una volta risolti i problemi istituzionali del Fondo, le difficoltà
maggiori sono state quelle di ordine finanziario, cioè quelle rela-
tive alle quote minime di contribuzione al Fondo.
Il problema si è posto anzitutto a livello dei due blocchi di
paesi « donatori». I paesi industrializzati, ed in particolare gli
Stati Uniti, hanno difeso il principio che i m1lle miliardi di dollari
iniziali dovessero essere versati, in parti uguali, dai due blocchi.
I paesi dell'Opec hanno contestato questo principio, considerando
ingiusto che dei paesi in via di sviluppo, quali loro si reputano,
versassero la stessa quota dei paesi più sviluppati. AH'interno dei
paesi industrializzati, peraltro, altre divergenze e talvolta una mal-
celata ostilità hanno rallentato ulteriormente il decollo del Fisa.
Gli Stati Uniti hanno versato 200 milioni di dollari, come
avevano annunciato. I paesi della Ce, dal canto loro, non sono
riusciti, nonostante un energico richiamo del Parlamento euro-
peo, a trovare un'intesa su una congrua contribuzione comune (che
era stata inizialmente prevista a 200 milioni di dollari), soprat-
tutto a causa delle resistenze della Frrancia 18 • Anche se in apertura
della Conferenza di Roma la Francia ha annunciato che avrebbe
contribuito con un ammontare di 25 milioni di dollari (una cifra
analoga è stata annunciata dall'Italia) e anche se i paesi della Ce
hanno raggiunto, nel loro insieme, un ammontare di circa 190
milioni di dollari, che è di poco inferiore alla cifra prevista, resta il
fatto che la Comunità in quanto tale è assente, almeno per ora,
dalla partecipazione finanziaria alla dotazione iniziale del Fondo.
Comunque sia, i prob1emi del Fisa non si sono certo es auriti il 1

giorno in cui, ai primi di gennaio del 1977, è stato annunciato

18
L'argomento addotto dalla Francia per giustificare il suo iniziale rifiuto è che
il Fondo non rappresenta il migliore sistema per spendere le risorse disponibili.

61
che la quota minima di un miliardo di dollari era stata raggiunta e
superata 19 •
A parte il fatto che l'operatività del Fondo è condizionata alla
preventiva ratifica degli impegni assunti da molti dei paesi « do-
natori » da parte dei rispettivi Parlamenti, altr:i interrogativi già si
affacciano all'orizzonte: come rifinanziare il Fisa, il giorno in cui,
presumibilmente molto presto dopo il suo decollo, la dotazione
iniziale sarà esaurita 20 ? Quali saranno le condizioni di concessione
dei prestiti? Saranno in grado i paesi in via di sviluppo, oberati
come sono di debiti, di sopportarle?
È dalle risposte che verranno date a questi quesiti che si dedur-
rà se il Pisa rappresenta qualcosa di duraturo e un reale stru-
mento di promozione dello sviluppo agricolo ovvero un effimero
ritrovato escogitato per far piacere al Terzo mondo e per tranquil-
lizzare la propria coscienza.

Le relazioni esterne della Comunità

La Comunità e gli Stati Uniti. - Il contenzioso commerciale


agricolo con gli Stati Uniti, che rappresenta da tempo uno dei prin-
cipali fattori di tensione tra le due sponde dell'Atlantico, si è ar-
ricchito nel 1976 di nuovi spinosi capitoli. Nel contempo, malgra-
do i risuhati record conseguiti dalla bilancia commerciale degli
Stati Uniti nei confronti della Comunità 21 , si •sono inaspriti gli at-
tacchi alla politica agricola comune, giudicata negli ambienti ame-
ricani « troppo protezionistica ».
È solo col cambio di guardiia alla Casa bianca e con la nuova
strategia nei confronti dell'Europa inaugurata da Carter, para-

19
La situazione finanziaria del Fondo è in evoluzione e pertanto non è possibile
che fornire delle cifre ad un'epoca ben definita. All'inizio del 1977 la situazione era
la seguente: paesi dell'Ocse: 567 miliardi di dollari; paesi esportatori di petrolio:
435,5 miliardi di dollari; paesi in via di sviluppo beneficiari: 19,1 miliardi di dol-
lari.
"' I creatori del Fisa hanno rifiutato di prevedere un meccanismo di rifinanzia-
mento del Fondo basato sul ricorso ad altri fondi oppure ad operazioni di prestito,
quando la sua dotazione sarà esaurita.
21
Le esportazioni agricole degli Stati Uniti verso la Ce (a Nove) sono passate
da 2,7 a 5,6 miliardi di dollari tra il 1972 e il 1975. Nello stesso periodo le im-
portazioni agricole degli Stati Uniti dalla Ce sono passate da 0,8 a 1,1 miliardi di
dollari, sicché il deficit agricolo della Ce verso gli Stati Uniti è aumentato da 1,9 a
4 ,5 miliardi di dollari.

62
dossalmente eletto proprio coi voti agricoli del Sud, che si è po-
tuto intravedere, all'inizio del 1977, una schiarita nei rapporti
commerciali e politici tra i due blocchi.
Sul piano dei rapporti hhlaterali, ,il contenzioso più estenuante
in campo agricolo si inquadra nella cosiddetta « guerra dei polli »,
che aveva fatto registrare più d'una scaramuccia già negli anni
precedenti. Essa nasceva dalle pressioni esercitate dagli Stati Uniti
in vista di ottenere una modifica di quelle che venivano considera-
te delle « restrizioni irrazionali agli scambi adottate dalla Ce sul
pollame in provenienza dagli Stati Uniti ». La Ce aveva fatto sa-
pere che era sua intenzione discutere questo problema in sede di
negoziati multilaterali, ma la proposta n()Jll era stata accolta.
All'·inizio del 197 6 si sono accentuate ~e pressioni per ottenere
un abbassamento dei prelievi applicati dalla Ce alle importazioni dei
tacchini dagli Stati Uniti (un afFare di 22 milioni di dollari nel
1975). Alle rpresisioni in tail senso si sono aggilll!lte le minacce di
misure di ritorsione nel settore del cognac, di cui la Ce esporta
per 3 7 milioni di dollari negli Usa.
Dopo una serie di scambi di vedute, a livello tecnico, durata
quasi tutto l'anno, la Commissione Ce si è dichiariata disposta, ai
primi di novembre, a ridurre di circa il 15% 1a protezione co-
munitaria sull'importazione di « cosce e avancosce » di tacchino
in provenienza dagli Stati Uniti. Il 26 novembre però gli Stati Uni-
ti, considerando insufficiente la misura, hanno messo in atto le an-
nunciate misure di ritorsione, decidendo di portare da 1,25 a 3
dollari il ga:llone i diritti sulle importazioni di cognac di pregio
dalla Ce. La Commissione, dal canto suo, si asteneva dal mettere
in atto i suoi propositi in materia di tacchini.
In precedenza erano già insorte altre dispute che, quando non
erano sfociate in misure restrittive da parte degli Stati Uniti (co-
me nel caso della decisione presa in aprile dall'ammirristrazione
Ford di applicare dei diritti compensativi sulle importazioni di
carne bovina dall'Irlanda), avevano comunque provocato un ul-
teriore deterioramento del clima dei rapporti bilaterali.
Altre fonti di lagnanze da parte degli Stati Uniti sono state alcu-
ne misure adottate o semplicemente annunciate dalla Comunità,
nell'intento di ridurre le eccedenze accumulate nel mercato lat-
tiero, e polemicamente ribattezzate « misure antisoia » negli Stati
Uniti.

63
La prima di tali misure, adottata dal Consiglio nella « mara-
tona» agricola conclusasi il 6 marzo 1976, tendeva a smaltire
400.000 tonnellate di latte scremato in polvere detenuto dagli
organismi di intervento, mediante la sua incorporazione « ob-
bligatoria» nell'alimentazione del bestiame. Durante un periodo
di sette mesi, gli utilizzatori di proteine vegetali (soia, colza, ecc.)
importate o prodotte nella Ce hanno dovuto versare un deposito
cauzionale, svincolabile all'acquisto di latte scremato in polvere
presso gli organismi di intervento.
Benché il Consiglio avesse apportato una riduzione da 600.000 a
400.000 tonnellate rispetto alla proposta iniziale, le proteste de-
gli Stati Uniti, timorosi di vedersi ridurre gli sbocchi europei per
la propria soia, non si sono fatte attendere. Il 9 marzo Richard
Bell, segretario di stato aggiunto all'agricoltura, da Washington
accusava gli europei di scaricare sui partners commerciaH le pro-
prie difficoltà. Il giorno dopo era la volta dell'ambasciatore degli
Stati Uniti presso la Ge, Dean Hiton, che faceva un passo uffi-
ciale presso l'esecutivo, in occasione del quale lo informava che
gli Stati Uniti si apprestavano ad adire il Segretariato generale del
Gatt per violazione deRe regole dell'accotdo. In effetti, dopo un
periodo consumato nel vano tentativo di un accordo, gli Stati Uniti
riuscivano, a metà settembre, ad ottenere dal Gatt la costitu-
zione di un comitato di esperti, incaricato di esaminare la deci-
sione presa il 6 marzo dal Consiglio agricolo.
Nel frattempo una seconda misura, rimasta come si vedrà allo
stato di proposta, aveva cominciato a suscitare un vespaio di pro-
teste, negli ambienti governativi americani e in quelli economici
più direttamente minacciati.
Si trattava della proposta avanzata dalla Commissione nel qua-
dro del programma di riequilibrio del mercato lattiero-caseario, pre-
sentato al Consiglio il 9 luglio 197 6 22 , di istituire un'imposta sui
consumi degli oli vegetali parallelamente ad un'imposta sul latte
consegnato a!lle latterie. Una misura, questa, volta da una parte a
ridurre la produzione di latte e dall'altra a prevenire un ulteriore
deterioramento della posizione competitiva del burro 23 •
Non più distesi sono stati i rapporti Ce-Usa in sede di negoziati
22
Cfr. il paragrafo « Il problema delle eccedenze nel settore lattiero ».
23
A reagire contro questa proposta, erano stati non solo gli Stati Uniti ma anche
molti paesi del Sud-Est asiatico e dell'America latina

64
multilaterali, in seno ai quali, anzi, fa politica agricola comune è sta-
ta uno dei bersagli preferiti dagli Stati Uniti e da altri paesi espor-
tatori di prodotti agricoli (Nuova Zelanda, Australia, ecc.). Ma le
occasioni per attacchi frontali non sono state molte dal momento
che ile riunioni in sede di Tokyo Round e di Gatt sono state per
gran parte del 1976 poche e di scarso potenziale detonante, trat-
tandosi in prevalenza di dispute procedurali.
Come s'è detto, è solo con l'arrivo di Carter alla Casa bianca
che il clima dei rapporti Ce-Usa ha subito un netto rasserena-
mento.
Già all'indomani dell'investitura presidenziale, il vicepresidente
degli Stati Uniti, nel corso di una visita ufficiale alla Comunità,
dichiarava, il 24 gennaio 1977, che il contenzioso agricolo Ce-
Usa sarebbe stato affrontato « in uno spirito nuovo » dall'ammi-
nistrazione di Carter. Un mese dopo era ,il nuovo commissario
all'agricoltura, Gundelach (successo a Lardinois), ad incontrare ne-
gli Stati Uniti esponenti dell'amministrazione Carter e, in parti-
colare, il nuovo ministro dell'agricoltura, Berg1and, e a dichiarare
che occorreva « mettere fine alla guerra di trincea » che, nel set-
tore agricolo, oppone regolarmente i Nove e gli Stati Uniti.
Bastano questi sintomi per pronosticare una s1gnifìcativa e irre-
versibile schiarita nelle relazioni commerciali tra le due sponde
dell'Atlantico? È presto, al momento attuale, per poterlo affer-
mare. Ciò anche perché nel frattempo l'ampiezza assunta dal defi-
cit della bilancia agricola della Ge nei confronti degli Stati Uniti,
da una parte, e -l'estrema cautela con cui la Comunità si è mossa fi-
nora per trovare sbocchi commerciali sui mercati internazionali alle
proprie eccedenze agricole, dall'altra, hanno rinforzato ed esteso
il fronte interno di attacco alla Comunità, rimproverata di non
avere una vera politica commerciale per i prodotti agricoli e di do-
versi piegare quindi troppo facilmente a quella dei paesi espor-
tatori 24.

La politica mediterranea della Ce. - Oltre che muoversi sui


consueti binari degli « accordi di cooperazione », il processo di al-
" In questi termini si esprime, ad esempio, un rapporto del Comitato economico
e sociale della Ce, intitolato La politica agricola comune nel contesto internazionale.
Conseguenze e modifiche che ne possono derivare. Cfr. « Agra Europe », n. 922,
5 agosto 1976.

65
largamento e consolidamento delle relazioni economiche tra la Ce
e i paesi del bacino mediterraneo ha imboccato nel 1976, sia pure
con malcelata prudenza, un nuovo e più impegnativo percorso, quel-
lo che dovrebbe sboccare, da qui a qualche anno, nell'adesione alla
Ce dei paesi candidati: Grecia, Portogallo e Spagna.
Dopo fa conclusione - in gennaio - degli accordi con i paesi
del Maghreb (Algeria, Tunisia e Mairocco), sui quali, insieme a
quelli con Israele, abbiamo riferito nel precedente Annuario 25 , la
Commissione ha ricevuto mandato dal Consiglio di aprire ufficial-
mente i negoziati con i paesi del Mashrak (Egitto, Siria, Giordania
e Libano).
I negoziati coi primi tre paesi sono stati aperti in febbraio e si
sono ufficialmente conclusi quasi un anno dopo, il 18 gennaio
1977, con la firma di accordi « globali » di cooperazione, analoghi
a quelli conclusi con i paesi del Maghreb. I negoziati col Libano,
invece, a causa delle vicende interne di questo paese, hanno potuto
essere avviati solo nel gennaio 1977, ma essi hoono avuto un
decorso molto più rapido, tant'è che, dopo meno ,d i un mese dal-
l'inizio delle trattative, gli accordi finali potevano essere siglati il
16 febbraio 1977.
Nella logica dell' « impostazione globale mediterranea » scatu-
rita dal vertice di Parigi dell'ottobre 1972, tali accordi si prefig-
gono di istiruire tra le parti un'ampia cooperazione economica, tec-
nica, finanziaria e nel settore degli scambi commerciaili, al fine di
promuovere lo sviluppo economico e sociale dei paesi del Mashrak.
In confronto ai paesi del Maghreb, l'incidenza delle esportazioni
di prodotti agricoli da questi paesi verso la Comunità è relativa-
mente meno importante (rispettivamente, 24% per l'Egitto e 4%
per Giordania e Siria), il che contribuisce a spiegare perché i nego-
ziati non abbiano incontrato grossi scogli o forti resistenze per gli
aspetti agricoli. Vi è comunque da precisare che, pur coprendo le
concessioni tariffarie accordate - variabili dal 40 all'80 % -
le principali esportazioni agricole di questi paesi, esse sono ac-
compagnate da una serie di misure precauzionali (contingenti, calen-
dari di impot'tazione, clausola di salvaguardia, ecc.) intese a sal-
vaguardare in una certa misura gli interessi dei produttori comu-
nitari.

" L'Italia nella politica internazionale, 1975-1976, p. 334 ss.

66
Di minore rilevanza per i prodotti agricoli sono i contenuti del
protocollo aggiuntivo e di quello finanziario firmati 1'8 febbraio
1976 con Israele, a coronamento degli accordi di cooperazione
conclusi nel maggio 1975, nonché di quelli firmati con Malta il 4
marzo 1976.
Più a rilento e in un clima non sempre fra i più ,sereni sono in-
vece proseguiti J negoziati per la revisione degli accordi di asso-
ciazione con la Turchia, di cui il « volet » agricolo ha rappresen-
tato al tempo stesso uno degli aspetti più rilevanti ed uno degli
scogli maggiori 26• Ciò è dovuto essenzialmente al fatto che già in
virtù dei precedenti accordi la Turchia esportava nella Ce a dazio
nullo pressoché 1'80% dei suoi prodotti agr-icoli. Ogni nuova con-
cessione avrebbe dunque dovuto concernere il restante 20%,
vale a dire circa una quindicina di prodotti (olive, concentrati di
pomodori, agrumi, ecc.) considerati «sensibili » dai Nove in
quanto prodotti nehle regioni mediterranee della Ce, e in partico-
lare nel Mezzogiorno italia:no, oltre ad essere offerti anche dagli
altri paesi mediterranei, legati ad un accordo commerciale prefe-
renziale con la Ce. I negoziati relativi alla revisione di questi ac-
cordi sono stati in effetti condizionati dalla reiterata e ferma
richiesta italiana di adeguate compensazioni alle eventuali nuove
concessioni accordate ai prodotti agricoli turchi. Ad accrescere
le difficoltà ha concorso anche il fatto che su tali negoziati si è
proiettata l'ombra della domanda di adesione della Grecia alla
Ce, presentata nel giugno 1975. Un evento, questo, che suscita
le preoccupazioni del governo di Ankara, il quatle teme che ciò
possa significare uno squilibrio a suo danno delle relazioni della
Comunità con i paesi di tale settore dell'area mediterranea.
Del resto, non è probabilmente casuale il fatto che è proprio
nel giugno 1975 che la Turchia ha ninnovato la sua richiesta di
miglioramento del regime d'importazione dei prodotti agricoli tur-
chi nella Comunità, nel quadro della prevista revisione degli ac-
cordi di associazione del 1964 27 •

26
Gli altri due « volets » principali di tali negoziati sono quello dell'applica-
zione di un nuovo protocollo finanziario e quello della preparazione della li-
bera circolazione dei lavoratori turchi nella Ce, prevista dai precedenti accordi per
il 1986, ma sollecitata per una data ravvicinata dal governo turco.
1:1 La Ce si era impegnata fin dal 1973 a procedere ad una revisione del re-
gime d'importazione dei prodotti agricoli turchi nel Mercato comune. I reladvi
negoziati erano stati avviati, ma erano stati successivamente interrotti in quanto

67
In settembre la Commissione aveva presentato una proposta in
tal senso al Consiglio, che l'aveva sostanzialmente accoJta, sia
pure con qualche modifica. Essa era stata però ufficialmente respinta
dalle autorità di Ankara, che la ritenevano inadeguata a ristabilire
la preferenza di cui beneficiavano i prodotti agricoli turchi prima
che fosse erosa dalle concessioni accordate negli ultimi tempi ad
altri paesi del bacino mediterraneo.
La Commissione ha in seguito lavorato ad una nuova proposta,
ma il primo semestre del 197 6 è trascorso senza che il Consiglio
assumesse nuove iniziative ufficiali al riguardo. In maggio è stata
ancora la Turchia ad assumere l'iniziativa, inoltrando alla Ce una
nuova lista di richiest'e in cui facevano spicco riduzioni doganali
dell'80% per agrumi, olio di oliva, succo di frutta, legumi, con-
serve di pomodoro, e del 60% per l'uva da tavola.
Il 20 luglio, il Consig1io degli esteri ha approvato l'offerta co-
munitaria da presentare alla Turchia in occasione del successivo
Consiglio d'associazione previsto per il 24 dello stesso mese. Ma
le reazioni negative del governo di Ankara hanno indotto entrambi
i partners a rinviare « all'autunno» la prevista riunione ministe-
riale.
In realtà, è stato solo sul finire dell'anno che si è registrato un
relativo miglioramento delle relazioni Ce-Turchia. Dopo ripetuti
rinvii, si è infatti tenuto, il 20 dicembre, con cinque mesi di ritar-
do, ii.J. previsto Consiglio di associazione Ce-Turchia, dove un ac-
cordo di principio - peraltro osteggiato da alcuni esponenti del go-
verno di Ankara - è stato raggiunto sui contenuti agricoli e non
agricoli della revisione degli accordi. Sulla base di tale accordo
la Commissione, alla fine del febbraio 1977, ha trasmesso al Con-
siglio una proposta sulle nuove concessioni da offrire alle espor-
tazioni turche di prodotti agricoli sui mercati comunitari. Esse
comportano, tra l'altro, le seguenti riduzioni dei dazi doganali:
60% per gli agrumi e l'uva da tavola; 30% per i pomodori pelati
e i concentrati di pomodoro; una riduzione del prelievo all'impor-
tazione per l'olio di oliva non raffinato nella misura in cui la Tur-
chia applichi una tassa speciale all'esportazione, ecc. Il Consiglio
dovrà comunque ulteriormente pronunciarsi su queste proposte.

la Ce aveva offerto ad Ankara cli attendere il varo della politica mecliteiranea


« globale » per procedere a miglioramenti almeno altrettanto favorevoli cli quelli
accordati agli altri paesi del bacino mediterraneo.

68
L'allargamento della Ce e i negoziati di adesione. - L'anda-
mento dei negoziat,i per il rinnovo degli accordi di associazione
con la Turchia può considerarsi in un certo senso emblematico
delle asperità del percorso che dovrebbe condurre, nel · giro di
alcuni anni, all'adcsi:one di tre nuovi paesi del bacino mediterra-
neo alla Ge: Grecia, Portogallo e Spagna.
In effetti, è vero che possono ormai considerarsi definitivamente
cadute le pregiudiziali politiche che in passato avveano ostacolato
l'approfondimento delle relazioni commerciali e politiche della
Ce con questi paesi. È anche vero, d'altra parte, che le opzioni
politiche in favore dell'apertura della Ce a nuovi paesi candidati
hanno storicamente finito sempre per prevalere su ogni sorta di
resistenza interna e, tutto sommato, sembra che debbano finire
alla lunga per prevalere anche nel caso dei tre paesi summenzio-
nati. Tuttavia un fatto appare certo, alla luce di quanto si è po-
tuto osservare fino ad ora: i negoziati di adesione con que-
sti paesi si presentano piuttosto lunghi e complessi. Non è
inoltre da escludersi che si arrivi, malgrado molte prese di posi-
zione in senso contrar-io, alla « globalizzazione» di tali negoziati.
Quello che non si r,iesce ancora a intravedere è in che modo sarà
possibile superare gli innumerevoli scogli che già si profilano al-
1'orizzonte e quali misure sarà forse necessario adottare per attutire
l'impatto delle nuove adesioni non solo sull'economia dei paesi
più direttamente toccati, ma sull'intera costruzione europea.
Il 1976 non ha dato al riguardo risposte particolarmente il-
luminanti. La Commissione aveva cominciato col suonare un cam-
panello di ahlarme. quando, ,i l 28 gennaio, aveva trasmesso al Con-
siglio il suo parere sulla domanda di adesione della Grecia, pre-
sentata quasi 8 mesi prima. In esso, infatti, pur raccomandando
« una chiara risposta affermativa alla richiesta della Grecia » 28 ,
la Commissione evocava tutta una serie di problemi che l'adesione
avrebbe provocato tanto per la Grecia quanto per fa Comunità 29 •

" COMMI SSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE, Parere sulla domanda di adesione
della Grecia, « Bollettino delle Comunità europee», supplemento 2/76.
" Tra l'altro, la C'..ommissione faceva rilevare che « nell'attuale stadio di svi-
luppo, l'economia greca presenta varie caratteristiche strutturali (percentuali del-
la popolazione agricola, struttura dell'agricoltura greca e debolezza relativa della
base industriale) che ne limitano la capacità di integrarsi omogeneamente con l'e-
conomia degli attuali stati membri ». Emergevano, inoltre, nel parere della Com-
missione preoccupazioni di carattere finanziario in ordine al costo che la Comu-

69
Essa, pertanto, auspicava di « interporre un certo lasso di tempo
prima di far scattare gli obblighi derivanti dall'adesione, &i.a pure
subordinati ad accordi trans,itori » 30 • Il 9 febbraio, però, il Con-
siglio ha respinto la proposta di un periodo transitorio, pronun-
ciandosi senza riserve in favore della domanda greca e per l'a-
pertura « il più presto possibile » dei negoziati di adesione.
In effetti, tali negoziati sono stati aperti ufficialmente a Bru-
xeUes il 27 luglio, cioè una settimana dopo che il Consiglio aveva
approvato le concessfoni da offrire alla Turchia nell'imminente
Consiglio di associazione. Si è trattato però, più che altro, di
un atto formale che, comunque, ha dato la possibilità ad entrambe
le parti di chiarire lo spirito con cui si apprestavano ai negoziati.
« Noi riteniamo - ha affermato tra l'altro il ministro greco per
la coordinazione economica, Panayotis Papaligouras, che guidava
la delegazione ellenica - che l'applicazione della politica agricola
comune alla Grecia non presenterà particolari difficoltà. Un pe-
riodo transitorio sarà tuttavia necessar,io nei casi in cui lo scarto
tra prezzi greci e prezzi comunitari è sensibile ».
Il presidente in carica del Consiglio, l'olandese Max van der
Stael, da parte sua, nell'aprire i negoziat,i ha tra l'altro tenuto a
sottolineare «chela regola che deve necessariamente presiedere ai
negoziati è che la soluzione dei problemi di adattamento che po-
trebbero porsi da entrambe le parti deve essere ricer~ata nell' ap-
plicazione di missure transitorie piuttosto che nella modifica delle
regole comunitarie».
Oltre che per la difficoltà di trovare un accordo sulle con-
cessioni da offrire alla Turchia, l'apertura dei negoziati di ade-
sione con la Grecia è stata rimandata anche per poter rimuovere
talune pregiudiziali interne all'apertura dei negoziat,i e, più in
generale, all'approfondimento de11e relazioni commerciali della
Ce con i paesi del bacino mediterraneo. È il caso, ad esempio, della
richiesta, sostenuta tra l'altro con particolare vigore dai rappre-
sentanti italiani, di ottenere delle adeguate contropartite in cam-
bio di ogni nuova concessfone commerciale ai paesi mediterranei.
Queste pregiudiziali sono di fatto cadute il 12-13 luglio, aven-
do i Nove trovato un accordo di massima al riguardo. In tale oc-

nità avrebbe dovuto assumersi per sostenere le necessarie modifiche strutturali


dell'economia greca; cfr. !oc. cit.
30
Ibidem.

70
casione il Consiglio, venendo incontro alle « preoccupazioni di
certe delegazioni [ e in primo luogo di quella italiana, n.d.r.]
concernenti le ripercussii.oni d'insieme dellia politica mediterranea e
le ripercussioni di eventuali ulteriori concessioni ai pae&i. terzi della
regione sui produttori agricoli comunitari», ha tra l'altro adotmto
una risoluzione in cui, dopo aver ricordato che in occasione della
discussione sul « b ilancio » della politica agricola comune esso
aveva insistito sul fatto che « i produttori non sarebbero stati in
grado di sopportare da soli le conseguenze della politica d'apertura
della Comunità verso l'esterno», ha invitato la Commissione « a
preparare, appena possibile e in ogni caso prima della :fine dell'anno,
un bilancio della politica mediterranea e a presentare nello stesso
tempo tutte le proposizioni che potrebbero apparire necessarie per
rispondere a queste preoccupazioni» (vedi appendice).
Nell'ambito dei negoziati di adesione, rimane poco da segna-
lare, salvo il fatto che il 19 ottobre si è svolta a Lussemburgo la
prima riunione a livcll.o ministeriale, ,i n seguito all'apertura formale
dei negoziati di adesione della Grecia, dedicata prevalentemente al-
le procedure negoziali 31• Il 10 dicembre si è inoltre svolta la prima
riunione a livello dei supplenti, che è stata dedicata ai problemi
dell'unione doganale e della libera circolazione delle merci nel
settore industriale.
È solo nella riunione del 31 gennaio che sJ è incominciato a di-
scutere, a .Uvello tecnico, dei problemi posti dall'adesione all'agri-
coltura greca, sulla base di un documento presentato dalla delega-
zione ellenica, .in cui ·essa richiede tra l'altro un periodo transitorio,
var.iabile da 2 a 5 anni, per alcuni prodotti (fiori e piante, uova, se-
menti, carne bovina, su:ina e latte). Tale richiesta non d eve essere
intesa nel senso che la Grecia non mostri interesse ad entrare imme-
diatamente nella Ce. Af contrario, non sono mancate le occasioni
in cui i rappresentanti greci hanno chiaramente lasoiato intendere
la loro volontà di arrivare al più presto all'adesione completa alla
Ce. Lo stesso capo della delegazione ellenica, il ministro Papali-
gouras, si è del resto recato, il 4 aprile 1977, a Bruxelles per in-

31
Si è convenuto che normalmente si terrà una riunione trimestrale dei mini-
stri ed una riunione mensile dei supplenti. Sulla base delle decisioni assunte nella
stessa occasione è inoltre immediatamente iniziato l'esame sistematico degli atti
del diritto comunitario derivato per determinare i problemi di adeguamento che
potrebbero presentarsi in questo settore.

71
contrars,i col presidente della Commissione, Roy Jenkins, allo sco-
po di ottenere assicurazioni che i negoziati di adesione con la Ce
non avrebbero subito rallentamenti a causa di un'eventuale « glo-
balizzazione » delle discussioni con la Grecia e di quelle future
con la Spagna e il Portogallo.
L'impazienza della Grecia ad entrare al più presto nel consesso
comunitario è del resto più che giustificata se si tiene conto del fat-
to che il 28 marzo anche il Portogallo ha inoltrato la domanda
ufficiale di adesione alla Ce e che quella della Spagna non avrebbe
tardato a essere presentata 32 •
Sulla prospettiva dell'allargamento della Ce ai paesi candidati
del bacino mediterraneo e sui presupposti di tali adesioni, si sono
registrate nella Comunità diversità di vedute e opposte concez;ioni,
anche se, come s'è detto, cadute le pregiudiziali politiche, è
venuta meno ogni reale e aperta ostilità all'Jngresso di questi nuovi
paesi nella Ce. Una palese dicotomia d'atteggiamento è del resto
riscontrabile anche all'interno degli esecutivi di molti paesi mem-
bri, mentre non sempre la convergenza delle posizioni è una pro--
va s,icura dell'affinità delle strategie o della coincidenza degli
obiettivi che si intendono perseguire. Se si aggiunge il fatto che la
questione « adesioni » è sovente ammantata di tutte le circospe-
zioni diplomatiche e politiche del caso, ai si renderà conto che è
piuttosto difficile discernere quanto realmente si cela sotto questo
velo di ambiguità o di «ufficialità». Ciononostante cercheremo
ugualmente di fornire una ra:p~da panoramica di alcune delle po-
sizioni sul problema delle adesioni che si sono delineate nel 197 6
o nei primi mesi del 1977, nella Comunità, senza avere comunque
la pretesa di fornirne una visione completa o di farne derivare
condusii.oni di ordine generale.
Sul piano comunitario, la Repubblica federale tedesca sembra
essere uno dei paesi più favorevoli all'allargamento della Comu-

32
Al termine d'un colloquio avuto a Strasburgo il 9 marzo 1977 col presi-
dente del Parlamento europeo, Emilio Colombo, il premier portoghese, Mario
Soares, ha dichiarato tuttavia che egli non pensava più « che il Portogallo potesse es-
sere membro a parte intiera della Comunità europea prima di una decina di
anni». Mario Soares ha anche precisato che egli si attendeva una decisione di
principio della Ce sulla domanda di adesione per l'anno prossimo e che al ter-
mine di uno o due anni di negoziazione l'adesione sarebbe stata cosa fatta. Sa-
rebbe allora seguito un periodo transitorio coincidente, secondo il premier por-
toghese con l'abolizione delle barriere tariffarie in seno alla Comunità. Cfr.
« Agra Europe », n. 951, 10 marzo 1977.

72
nità ai paesi candidati. Ciò è del resto in sintonia con la tradi-
zione di questo paese, che ha sempre visto di buon occhio ogni pas-
so in avanti verso l'allargamento dei mercati per il proprio sistema
produttivo.
Tuttavia, anche se l'allargamento della Ce è stato auspicato
nelle dichiarazioni programmatiche del cancelliere Schmidt, di
fatto preoccupazioni di vario ordine hanno, se non raffreddato,
per lo meno reso più cauto l'atteggiamento del governo di Bonn
sul problema delle adesioni. Di queste preoccupazioni si è reso
interprete il ministro dell'agricoltura, Ertl, che, pur considerando
l'allargamento della Ce un mezzo per aumentarne il peso politico,
ha messo in guardia sugli effetti dell'aumento degli squilibri inter-
ni dovuto all'adesione di nuovi paesi: « Si rischia di veder sorgere
un conflitto Nord-Sud all':interno stesso della Comunità - ha
scritto Ertl in un articolo 33 - . Tale conflitto si ripercuoterebbe
principalmente nell'ambito dei mercati agricoli, in quanto l'allar-
gamento si tradurrebbe in un aumento del potenziale di produzio-
ne mediterranea. Bisogna rendersi anche conto - continua Ertl
- che il mercato comune agricolo si troverebbe nelle condizioni
di dover operare dei trasferimenti di reddito in favore degli agr]-
coltori poveri del Sud Europa. Sicché il mercato comune agricolo
diventerebbe ancora più costoso, più complicato e più pesante che
allo stato normale » .
Al di là di queste preoccupazioni resta però il fatto che il governo
di Schmidt non si è limitato a fare promesse platoniche alle au-
torità portoghesi, ma ne ha rappresentato in questi ultimi anni il
più solido appoggio, sul piano politico, economico e tecnico 34, e che
anche in Spagna si sta.imo precostituendo le basi per una solida
intesa politica ed economica nella futura Comunità allargata.
La Francia, invece, è sembrata essere, almeno per gran parte
del 1976, il più tenace paladino dell'ingresso della Grecia nella
Comunità. Lo -stesso Giscard d'Estaing l'ha caldeggiato insisten-
temente, augurandosi che ciò possa permettere a questo paese
« d'imprimere il marchio del genio ellenico alla costruzione euro-
pea » 35 • A livello politico non mancano peraltro le più incondizio-

JJ Articolo di J. Ertl sulla rivista « Der Verbraucher » del marzo 1977, cit.
in « Agra Europe », n. 952, 17 rnar.w 1977.
34
Cfr. Le nouvet impérialisme altemand, « Economie», n. 35, giugno 1977.
35
Cit. in « Agra Europe » del 16 dicembre 1976.

73
nate promesse di sostegno del governo francese anche all'adesione
degli altri pa:esi candidati. Del resto l'appoggio della Francia al-
l'ingresso della Spagna post-franchista nella Ce non è dell'ultima
ora.
Tuttavia, anche in questo caso, le posizioni diventano più reti-
centi e prudenti quando dall'empireo politico si scende sul ter-
reno dei problemi concreti. Su questo piano la Francia ha anzi
fatto in molte occasioni fronte comune col nostro paese nella richie-
sta che l'adesione dei nuovi partners sia accompagnata da una
serie di misure transitorie che evitino contraccolpi sull'economia
delle regioni mediterranee della Comunità e tensioni sui mercati
agricoli.
Già il 27 aprile 1976, per esempio, in un dibattito agricolo
all'Assemblea nazionale il ministro dell'agricoltura Bonnet, aveva
invocato un'« estrema vigilanza » nella prospettiva di nuove ade-
sioni. In agosto Giscard d'Estaing e in novembre lo stesso Bonnet
avevano tenuto a rassicurare le categorie agricole che l'eventuale in-
gresso della Spagna nel mercato comune non sarebbe avvenuto
che a condizione di una profonda revisione della regolamentazione
comunitaria del settore ortofrutticolo, rivolta a modificare sia gli
scambi intracomunitani sia le condizioni di accesso dei prodotti
provenienti dai paesi esterni alla Ce 36 • In giugno, d'altra parte,
il primo ministro, Jacques Chirac, aveva rilasciato dichiarazioni di
una fermezza inattesa sui problemi mediterranei e in particolare
sull'adesione della Spagna. « Il governo ha la ferma intenzione -
aveva dichiarato il 17 giugno in occasione dell'annuale conferenza
agricola - di proteggere i produttori francesi contro le conse-
guenze drammatiche per l'agricoltura meridionale di un'eventuale
adesione della Spagna » 37 •
Anche il suo successore, Raymond Barre, è lontano dall'essere
favorevole all'allargamento della Ce verso il Sud. Quanto all'oppo-
sizione, il leader socialista Mitterrand ha affermato, ad esempio, nel-
l'aprile 1977 che « né la Grecia, né la Spagna sono in condizioni
di aderire », mentre « il Portogallo dovrebbe essere ammesso a
pieno titolo in considerazione della natura delle sue produzioni

36
Cfr. « Agra Europe », n. 937, 2 dicembre 1976.
37
Cfr. « Agra Europe », n. 916, · 24 giugno 1976.

74
e della sua realtà politica » 38 • « Risolutamente contrario » all'allar-
gamento della Ce a Grecia, Spagna e Portogallo è invece Georges
Marchais, segretario del Partito comunista francese 39 •
Minori perplessità suscita invece in Gran Bretagna la prospettiva
delle adesioni, di cui anzi questo paese è un convinto fautore, per
ragioni sia politiche sia economiche. Queste ultime traggono, tra
l'altro, oDigine sia dalla scarsa importanza del settore agricolo nel-
l'economia britannica, e quindi dall'interesse ad approvvigionarsi
sui nuovi mercati a prezzi più vantaggiosi, sia dalla larga presen-
za del capitale britannico nel settore agricolo-alimentare in Spagna
e Portogallo.

Le posizioni dell'Italia sull'adesione dei paesi del Sud Europa. -


Anche in Italia, come negli altri paesi, il fronte degli schieramenti
politici e professionali dinanzi alla prospettiva delle adesioni è
piuttosto variegato e frammentario, benché nessuno di essi si col-
lochi in posizione apertamente ostile. Lo generale si tratta, più che
altro, di diversità di vedute sulle condizioni da porre in vista dei
negoziati di adesione, sui tempi entro cui realizzare tale obiettivo,
sull'ampiezza degli adeguamenti che sarà necessario apportare
alle politiche comuni per ammortizzare l'impatto dell'allargamen-
to, ecc. Ciò non toglie, comunque, che sotto il profilo politico tali
diversità di vedute assumano :in qualche caso una certa rilevanza,
sicché più che un fronte unico, sia pure sparso, si ha l'impressione
che esistano più fronti con obiettivi e strategie alquanto differenti,
cosa questa che non può sorprendere data la portata anche politica
del problema.
A livello di governo, il ministro dell'agricoltura, Marcora, ha
proseguito, in sede interna ed esterna, nella sua strategia, già av-
viata nel 1976, che mira a cogliere l'occasione dei negoziati per le
adesioni, da una parte, e per la revisione degli accordi globali e
di associazione, dall'altra, al fine di ottenere una profonda revi-
sione dei regolamenti comunitari, in modo da salvaguardare gli
interessi dei produttori italiani e di quelli meridionali in parti-

·" Intervista a « Le Nouvel Obs.ervateur», citata in « Agra Europe », n. 955,


4 aprile 1977.
39
Dichiarazione pubblicata alla fine del luglio 1977, citata da <( Agence Eu-
rope » del 28 luglio 1977.

75
colare. « Comprendiamo l'opportunità politica dell'apertura ai paesi
mediterranei - dice in sostanza Marcora - però non vogliamo
che siano ancora una volta l'agricoltura meridionale e tutto il
Mezzogiorno a farne le spese» 40 • Passando dalle enunciazioni di
principio alle proposte concrete, Marcora ritiene che « la strada
per ovviare ai problemi derivanti dall'allargamento della Ce ri-
guarda sia il riequilibrio del livello della preferenza comunitaria,
tenendo conto dei costi di produzione, sia, anche se ad esito
più differito, specifiche azioni strutturali » 41 • Scendendo ad un
dettaglio tecnico maggiore egli propone in particolare:
a) per gli ortofrutticoli freschi: la revisione dei sistemi di
calcolo dei prezzi di riferimento e dei prezzi d'entrata, la modifica
dei prezzi di ritiro e delle modalità della loro applicazione, l'am-
pliamento dei premi di penetrazione e dell'elenco dei prodotti ai
quali tali norme si applicano;
b) per gli ortofrutticoli trasformati: una regolamentazione spe-
cifica, che preveda l'intervento per i prodotti della trasformazione
ed il potenziamento dell'industria alimentare;
e) interventi strutturali: sia nel settore irriguo sia per facilitare
le conversioni varietali ed aziendali, lo sviluppo dei trasporti,
il potenziamento delle industrie agro-alimentari e la valorizzazione
delle zone interne.
Per Marcora, insomma, la prospettiva delle adesioni « è l'occa-
sione per dare un nuovo taglio alle politiche della Comunità, meglio
articolandole ed armonizzandole in una proiezione globale regio-
nale» 42 • Al di là comunque di queste esigenze, l'opzione politica di
fondo del ministro dell'agricoltura rimane sostanzialmente quella
dell'apertura «condizionata» all'adesione dei nuovi paesi, anche
se un certo scalpore aveva suscitato, alla fine di aprile del 1977,
una sua provocatoria intervista in cui egli affermava, tra l'altro:
« Così come stanno le cose, il ministro dell'agricoltura è assoluta-
mente contrario all'ingresso di questi tre paesi nella Ce. E ciò sia
detto nel massimo rispetto delle esigenze politiche di Grecia, Porto-
gallo e Spagna. Prima di pensare all'allargamento, la Ce deve -

40
G. MARCORA, Rifondare l'agricoltura, « Il Sole - 24 Ore», 12 marzo 1977.
41
G. MARCORA, intervento sul tema « Cee e paesi del Mediterraneo: una stra-
tegia per il Mezzogiorno», «Agricoltura», n. 50, 18 giugno 1977.
" Ibidem.

76
quanto meno - cambiare i regolamenti relativi agli ortofrutticoli,
ai prodotti agricoli trasformati e a quelli surgelati » 43 •
La posizione del ministro dell'agricoltura è sostanzialmente con-
divisa, sul piano delle cosiddette « compensazioni mediterranee »,
dal ministro degli esteri, Forlani, che in più occasioni ha assun-
to posizioni di decisa difesa di quelli che vengono considerati
gli interessi italiani in gioco. « La motivazione politica dell'am-
pliamento - sostiene Forlani - non deve tuttavia farci sotto-
valutare i problemi che si pongono in tale prospettiva [ ... ] In so-
stanza, il governo italiano intende adoperarsi perché l'ampliamen-
to della Comunità avvenga in condizioni tali che non ne risultino
contraccolpi negativi per il processo d'integrazione europeo» 44 •
Su una posizione, se non diametralmente opposta, quanto meno
fortemente tln contrasto con questa, si pongono, iin generale, le
forze politiche e sindacali di sinistra. Per esse, l'interesse politico
della Comunità e del nostro paese a contribuire alla stabilità po-
litica ed al consolidamento economico dei paesi del bacino medi-
terraneo, che chiedono di rafforzare i loro legami con la Ce o di
entrare a farvi parte, fa aggio sulle preoccupazioni derivanti dai
riflessi negativi che tali aperture potrebbero :indurre sull'agricoltu-
ra delle regioni mediterranee europee. Ciò non solo in nome della
solidarietà con paesi che cercano di affrancarsi dal retaggio di
regimi autoritari., ma anche in vista dell'obiettivo di poter coinvol-
gere i nuovi paesi aderenti, una volta che siano entrati nella Ce, in
una battaglia comune per una profonda revisione delle politiche
comuni e in particolare di quella agricola. È chiaro che in questa
strategia diventano pretestuose e dilatorie ,le richieste di misure di
compensazione che sono state o saranno avanzate dai rappresen-
tanti italiani nelle istanze europee: per questo schieramento « le
circostanze politiche dell'adesione della Grecia, della Spagna e del
Portogallo alla Ce e le necessità complessive di una politica medi-
terranea della Comunità costituiscono un momento che non può
essere perduto per realizzare questa revisione» 45 •

.., Intervista rilasciata ad Arturo Guatelli, « Corriere della Sera», 27 aprile


1977.
44
Intervista rilasciata a Dino Frescobaldi, « Corriere della Sera», 10 luglio
1977.
45
Intervento di Attilio Esposto, presidente dell'Alleanza nazionale dei conta•
clini, sul tema: « Cee e paesi del Mediterraneo: una strategia per il Mezzogiorno »,
loc. cit.

77
La politica agricola comune

Il problema delle eccedenze nel settore lattiero. - La situazione


di eccedenza strutturale sul mercato del latte, che rappresenta un
dato permanente del panorama agricolo comunitario fin dalle ori-
gini del Mercato comune, si è ulteriormente aggravata nel 1976,
nonostante la siccità che ha colpito in particolare i paesi produttori
del Nord Europa 46 • Di fronte alla gravità di tali -squilibri e consi-
derate le prospettive sfavorevoli che lascia intravedere l'evoluzione
attuale 47, la Commissione ha presentato al Consiglio, il 9 lu-
glio 1976, un programma pluriennale di azioni intese a frenare la
produzione e a .stimolare i consumi 48 • Tale iniziativa ha rappresenta-
to, insieme al problema degli importi compensativi monetari, il dos-
sier più scottante dei Consigli agricoli a partire dalla metà del
1976.
In breve, le azioni intese a frenare la produzione proposta dalla
Commissione sono le seguenti: a) premi per la non commercia-
lizzazione del latte; b) sospensione per tre anni degli aiuti nazio-
nali e comunitari agli investimenti che contribuiscono ad aumen-
tare la produzione lattiera; c) introduzione di un prelievo sui

"' « Nei tempi lunghi la produzione lattiero-casearia della Comunità aumen-


ta all'incirca dell'l,7% all'anno (1960-1975). Questa crescita cospicua e costante
è dovuta non già all'aumento del bestiame da latte, il quale a lungo termine ten-
de anzi a diminuire lievemente ed ammonta oggi a circa 25 milioni di capi, bensl
al regolare sviluppo delle rese. La resa media per vacca lattifera sale infatti an-
nualmente dell'l,4% circa e da 3.083 kg nel 1960 è passata a 3.403 kg nel
1968 ed a 3.637 kg nel 1975. Questa media occulta peraltro una forte diffe-
renziazione regionale delle rese, le quali nelle regioni più produttive superano at-
tualmente il livello di 4.600 kg all'an·no. L'incremento delle rese può essere attri-
buito a vari fattori, fra cui il miglioramento del bestiame, un più razionale im-
piego dei foraggi e il ricorso massiccio ad alimenti composti di alto valore nu-
tritivo ». Cfr. COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE, Programma d'azione 1977-
1980 per il graduale ripristino dell'equilibrio sul mercato lattiero-caseario, presen-
tato dalla Commissione al Consiglio il 9 luglio 1976, « Bollettino delle Comuni-
tà europee», supplemento 10/76.
47
Nel 1975 la produzione di latte è stata di 91,7 milioni di tonnellate, contro
un consumo di 85,4 milioni di tonnellate. Alla fine dell'anno le giacenze di
burro ammontavano a 164.000 t e quelle di latte scremato in polvere a 1,1 milioni
di t. L'eccedenza strutturale, secondo la Commissione, tenderà a gonfiarsi in fu-
turo in maniera preoccupante per effetto di una produzione crescente e di un
consumo in ristagno o addirittura in lieve declino. Le spese del Feoga ( sezione ga-
ranzia) a favore del settore lattiero-caseario sono passate da circa 600 milioni
di uce, nel 1968-1969 nella Comunità a Sei, a 1.521 milioni di uce nel 1973
nella Comunità a Nove, mentre gli stanziamenti per il 1976 ammontano a circa
1,9 miliardi di lire.
46
COMMISSIONE CE, Programma, ecc., cit.

78
quantitativi di latte consegnati alle latterie e sulle vendite di
prodotti lattieri alla fattoria (cosiddetto « prelievo di correspon-
sabilità » ).
Quali misure intese a stimolare il consumo, la Commissione pro-
poneva, tra l'altro, il rafforzamento delle misure di smercio pri-
vilegiato esistenti e il sostegno alle azioni di promozione delle
vendite intraprese dai produttori.
Parallelamente a queste misure, la Commissione ha proposto
l'introduzione di una tassa sugli oli e sui grassi vegetali e marini
(eccetto l'olio d'oliva) importati o prodotti nella Comunità, al fine
di spostare in favore delle materie grasse di origine animale il
rapporto di convenienza con quelle di origine vegetale.
Date le difficoltà obiettive in cui sono venuti a trovarsi nella
seconda metà del 197 6 molti produttori, a causa della siccità e
della scarsità di foraggi, le proposte della Commissione non sono
certo cadute in un momento congiunturalmente tra i più favorevoli.
Non si può tuttavia negare che le difficoltà congiunturali siano
servite a più d'uno come giustificazione per respingere ogni ini-
ziativa rivolta ad alleggerire l'onere finanziario del sostegno co-
munitario in tale settore o che mirasse ad intaccare interessi con-
solidati.
È dello stesso giorno in cui tali proposte sono state presentate al
Consiglio una dura presa di posizione del Copa, con la quale si ri-
fiutava « ogni discussione sull'introduzione di un "prelievo di cor-
responsabilità" nel settore lattiero, che sarebbe interpretato dai
produttori come una vera provocazione» 49 • Aspramente critici
anche il Cogeca e le organizzazioni professionali del settore lattiero-
caseario. Sul fronte esterno, peraltro, alla già citata opposizione de-
gli Stati Uniti alla proposta della Commissione di istituire una
tassa sull'importazione e sulla produzione di oli vegetali si sono
aggiunte le lamentele di molti paesi del Sud-Est asiatico e dell'A-
merica latina, produttori di oli vegetali.
Il dossier ha, insomma, incominciato a scottare molto prima
che fosse posto all'ordine del giorno del Consiglio del 25 ottobre.
Nel frattempo, il Comitato economico e sociale, prima, e il Par-
lamento europeo, dopo, avevano dedicato ad esso lunghi e accesi di-
battiti da cui le proposte della Commissione erano uscite, sia pure

49
« Agra Europe», n. 919, 15 luglio 1976.

79
a maggioranza ristretta, sostanziahnente accettate, salvo quella
concernente l'introduzione di un prelievo sugli oli e i grassi vege-
tali, che invece veniva respinta. L'adozione di quest'ultima misura,
,ed in particolare l'applicazione di una tassa sulla margarina, era
stata, invece, posta dal gruppo comunista al Parlamento europeo
come condizione per l'approvazione dell'insieme delle misure
proposte 50 •
Ma le difficoltà maggiori sono emerse •in seno al Cons,iglio che
ha dovuto dedicarvi numerose sessioni prima di poter pervenire,
nei negoziati-maratona del marzo-aprile 1977, ad un laborioso ac-
cordo nel contesto di un compromesso globale su tutti i problemi
.agrlcoli pendenti.
La difficoltà a trovare un accordo è, comunque, comprensibile
se si considera non soltanto l'impopolarità delle misure proposte
dalla Commissione in un momento di difficoltà per il settore lat-
tiero, ma soprattutto la portata politica del cosiddetto « prelievo
di corresponsabilità». A,l di là dell'impatto finanziario di questa
misura, si trattava, infatti, di intaccare uno dei più saldi principi su
cui poggiava l'organizzazione comune dei mercati in questo come
in altri settori soggetti alla politica agricola comune: quello
della garanzia illimitata dei prezzi e dei mercati. Era fin dal Memo-
randum Lardinois del 1973 51 che una misura di questo tipo era
stata auspicata, senza che si fosse però riusciti a tradurla in una
proposta operativa.
Peraltro, le difficoltà erano aggravate dal fatto che tale misura,
nonché il« premio per la non commercializzazione», il cui obietti-
vo era sostanzialmente quello di ridurre il bestiame da latte, avreb-
bero dovuto colpire anche i i:>roduttori dei paesi deficitari, come
l'Italia. A più riprese i rappresentanti italiani avevano chiesto, al
riguardo, una deroga per il nostro paese e un appropriato adatta-
mento delle altre misure proposte per tener conto di questa situa-
zione.

50
La misura era stata peraltro approvata dalla Commissione agricoltura del
Parlamento europeo nella sessione del 4-5 novembre, ma in aula, nella sessione
del 13 dicembre, essa è stata nuovamente respinta, sia pure a stretta maggio-
ranza, come lo era già stata nella sessione del 14 ottobre.
51
Cfr. L'Italia nella politica internazionale, 1973-1974, p. 575 ss. e R. GALLI
e S. ToRCASIO, La partecipazione italiana alla politica agricola comunitaria, Il Mu-
lino, Bologna, 1976.

80
Come s'è detto, è stato solo nei Consigli agricoli di marzo-aprile
che un accordo è stato faticosamente raggiunto sulla base di una
nuova proposta globale presentata dalla Commissione congiunta-
mente al «pacchetto» prezzi agricoli per la campagna 1977-78,
nonché ad una serie di compromessi negozia1i in seno al Consiglio,
su cui riferiremo ampiamente più avanti.
Tale accordo prevede tra l'altro: l'adozione del « prelievo di
corresponsabilità » (nella misura dell' 1,5 % , contro il 2 ,5 % pro-
posto dalla Commissione) a partire dal 16 settembre 1976; la
concessione, a partire dal 16 settembre 1977, di una sovvenzione
(in parte a carico del Feoga) al consumo di burro nella Ce, in
sostituzione della tassa sulla margarina; dei premi di non commer-
cializzazione del latte (a totale carico del Feoga) e di riconversione
produttiva del patrimonio bovd.no lattiero (id.); dei premi ,per la
cessazione della produzione di latte; il divieto, per tre anni, degli
aiuti nazionali e comunitari ai produttori di latte; la fornitura di
latte a prezzo ridotto alle scuole, ecc.
La Gran Bretagna è stato il partner più difficile e più esigente
,in questi negoziaci, fìno al punto da far saltaire, « per una
manciata di spiccioli», come hanno successivan1ente commentato
gli osservatori, un compromesso che sembrava faticosamente rag-
giunto già alla fine di marzo. In realtà è stata necessaria una nuova
sessione del Consiglio agricolo, il 25 e 26 aprile a Lussemburgo,
perché il rappresentante britannico, nonché presidente di turno del
Consiglio, John Silkin, acconsentisse a sbloccare i negoziati, in
cambio di una leggera rivalutazione dell'ammontare dell'aiuto com-
plementare al consumo di burro in Gran Bretagna, che peraltro
era già stato accordato nella sessione di fine marzo (da 30 a 33 uce/
100 kg).
Meno soddisfacente, invece, il risultato del negoziato rispetto
a1Je richieste italiane in questo settore. Il ministro Marcora non
ha ~nfatti ottenuto le deroghe richieste in materia di « prelievo di
corresponsabilità » e in materia di sospensione delle sovvenzioni
al settore zootecnico. Il compromesso raggiunto non esenta, in-
fatti, l'Italia dall'applicazione del divieto, ma lasda alla Com-
missione Ce la facoltà di autorizzare la concessione di aiuti qua-
lora « situazioni particolari giustifichino deroghe alla notmativa
Ce».

81
Il deterioramento di un sistema: gli importi compensattvz mo-
netari. - Gli eventi monetarii, ed in particolare l'amplifìcazione dei
margini di fluttuazione di talune monete, hanno continuato ad in-
cidere pesantemente sul funzionamento del mercato comune agri-
colo. Nel 1976, anzi, i problemi creati dalla disparità nell'evolu-
zione dei tassi di cambio nei vari paesi sono arrivati a tal punto che
ormai essi vengono considerati come la principale sfida esterna alla
politica agricola comune 52 •
Di fronte all'ampiezza assunta da tali disparità lo stesso sistema
degli importi compensativii monetari, destinato nelle intenzioni
a neutralizzarne gli effetti, ha finito per rivelarsi un palliativo non
soltanto inadeguato a far fronte al problema, ma fonte esso stesso
di gravi perturbazioni negli scambi oltreché uno dei p11indpali fat-
tori di espansione della spesa per la politica agricola comune.
Nel corso del 1976 il sistema degli importi compensativi mo-
neta11i ha in effetti subito nuovi scossoni, che le misure adottate
non sono bastate a fronteggiare .
Dapprima è stato il crollo della lira italiana sui mercati dei
cambi a indurre la Commissione a reintrodurre per tale moneta, a
decorrere dal 9 febbraio, importi compensativi monetari, che sii sono
aggiunti a quelli già applicati per la Germania, i paesi del Benelux
e il Regno Unito.
In seguito è stata l'uscita del franco francese dal « serpente »
comunita11io a rendere necessaria, a partire dal 25 marzo, la rein-
troduzione di importi compensativi monetari per la Francia. A par-
tire da tale momento, gli importi compensativi monetari erano
applicati in otto dei nove sta1li membri. Ma è stato soprattutto
l'aggravarsi del deprezzamento della lira e della sterlina e di
conseguenza l'accrescersi degli oneri :finanziari del Feoga deri-
vanti dagli aumenti degli importi compensativi monetari ad ac-
centuare le preoccupazioni della Commissione.
A metà aprile infatti, nonostante una precedente svalutazione
della « lira verde » del 6 % , gli importi compensat1v1 monetari
avevano raggiunto il 28% per l'Italia e il 25% per il Regno

" Cfr. COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE, Decima relazione generale


sull'attività delle Comunità europee, Bruxelles-Lussemburgo, febbraio 1977. Sui ri-
flessi istituzionali e politici della crisi economica sulla gestione della politica agri-
cola comune negli ultmii anni, cfr. V. SACCOMANDI, Crisi economica, integrazione
europea e politica agraria comune nel periodo 1973-1976, « Rivista di economia
agraria», n. 3, settembre 1976.

82
Unito. Permanendo tali condizioni, la Commissione prevedeva un
costo supplementare per il Feoga, e quindi un'« impasse » finanzia-
ria dell'ordine di 500-600 milioni di uce durante il 1976.
Su richiesta della Commissione, i ministri dell'agricoltura dei
Nove hanno pertanto deoiso di riunirsi in sessione straordinaria
a Lussemburgo il 29 aprile, per tentare di trovare dei rimedi che
scongiurassero tale prospettiva. L'Italia, in tale occasione, ha
accettato, sia pure a malincuore, una ulteriore svalutazione della
« 1ira verde» dell'ordine del 6%. Ma il ministro britannico Peart
è stato inflessibile nel rifiutare qualunque svalutazione della « ster-
lina verde», che avrebbe significato una contrazione della sovven-
zione al consumo interno ottenuta dal Feoga sotto forma di iim-
porti compensativi monetari e una spinta alla lievitazii.one dei
prezzi al consumo 53 •
Il problema è però nuovamente tornato di prepotente attua-
lità in autunno, a causa dell'ulteriore deprezzamento delle sterline
inglese e irlandese, che ha portato il tasso degli importi compen-
sativii per il Regno Unito ad oltre il 40%. In tali condizioni e di
fronte alla difficoltà di giungere a rapide e pragmatiche soluzioni
di adeguamento, la Commissione è stata indotta a presentare al
Consiglio, il 21 ottobre 1976, una proposta intesa a creare
meccanismi di adeguamento automatico del tasso « verde » delle
varie monete e, conseguentemente, degli importi compensativi
monetari 54 • Tali proposte, insieme a quelle intese a riequilibrare
il settore lattiero~caseario, hanno animato lo scenario della poli-
tica agricola comune nei mesi a cavallo tra il vecchio e il nuovo
anno. Ciò è vero non soltanto nel senso della regolarità con cui il
dossier è rimbalzato da un Comitato all'altro e da un Consiglio al-
l'altro, ma anche dell'asprezza che ha ·assunto talvolta il tono
53
Si ricorda che, essendo il Regno Unito, come l'Italia, un ,paese deficitario e
a moneta deprezzata, gli importi compensativi monetari assumono in questi paesi
la funzione di sovvenzioni all'importazione e quindi al consumo, in quanto con-
sentono di importare a prezzi non maggiorati dalla svalutazione delle monete. A
metà aprile 1976 la Commissione, in mancanza di misure correttive, prevedeva di
dover spendere per importi compensativi durante l'anno circa 750 milioni di
uce, di cui 460 per il Regno Unito e 380 per l'Italia.
54
In sostanza, due erano le proposte della Commissione: a) adeguamento pe-
riodico degli importi compensativi monetari, tenendo conto del tasso di mercato
medio rilevato in un precedente periodo di diciotto mesi; b) introduzione di un
limite superiore degli importi compensativi monetari e di un dispositivo regola-
tore inteso ad evitare modifiche eccessivamente brusche.

83
del dibattito. Fin dalla sessione del Consiglio del 28 ottobre, sono
apparse chiare due tendenze di fondo: da una parte la Gran
Bretagna e la Repubblica federale tedesca, ostili, sia pure per moti-
vi diversi, a qualunque rimaneggiamento del sistema degli im-
porti compensativa, tanto più se realizzato mediante l'introduzione
di sistemi automatici di aggiustamento; dall'altra i restanti sette
stati membri, più o meno propensi ad accogliere, sia pure con
qualche temperamento, le proposte della Commissione. Nello scor-
cio dell'anno la posizione francese e quella italiana si sono maggior-
mente differenziate da quelle dei restanti paesi favorevoli al pro-
getto della Commissione, rivendicando un approccio più elastlico
di quello proposto, che tenesse conto delle difficoltà dei paesi a
moneta deprezzata. Ma sono stati soprattutto l'opposizione britanni-
ca e l'atteggiamento dilatorio di alcune delegazioni a far naufragare
;l progetto.
In febbraio, tuttavia, la Commissione è ritornata alla carica
con proposte molto meno sconvolgenti inserite nel « pacchetto »
prezzi agricoli per la campagna 1977-78 55 • Ciò non è tuttavia
,·also ad appianare le difficoltà. Ciascun paese ha anzi cercato di
alzare il ciro in materia di concessioni sugli importi compensativi
monetavi, anche iin vista di ottenere contropartite più consistenti
sugli altri punti del pacchetto. La Gran Bretagna è stata, come
in precedenza, la più intransigente nel rifiutare le proposte della
Commissione per le note preoccupaziotl!i. inflazionistiche.
La delegazione italiana si era invece prefissata l'obiettivo op-
posto: cioè quello di ottenere una svalutazione della « lira verde »
più consistente di quella proposta dalla Commissione, e quindi
una parallela consistente riduzione degli importi compensa1livi mo-
..1etari, e ciò al fine: a) di contenere l'artificiale concorrenza che
si era venuta a creare sul mercato italiano da parte delle produ-
1

zioni agricole dei paesi a moneta « forte » ( quali Germania e Be-


:1elux); b) di neutralizzare, grazie all'aumento dei prezzi alla

" In sostanza la Commissione richiedeva un nuovo adeguamento dei « tassi


·.-~di », in modo da ridurre gli importi compensativi monetari di 3 punti per
:"Italia, l'Irlanda e la Francia, di 8 punti per il Regno Unito, di 2,8 punti per
::i Germania, dello 0,4% per i paesi del Benelux. La Commissione, però, non
2.r:ern rinunciato totalmente al suo progetto dell'ottobre precedente, che conside-
~ l ·:a ancora come un obiettivo valido verso cui tendere.

84
produzione che ne sarebbe derivato, il forte incremento dei
costi di produzione in agricoltura 56 •
Tale obiettivo è stato raggiunto con la decisione, assunta dal
Consiglio agricolo nella sessione del 29 marzo, di ridurre il tasso
di cambio della « lira verde » del 7 ,2 % 57 e di apportare un ab-
battimento di 8 punti agLi importi compensativi monetari in vigore.
Misure analoghe sono state adottate per la sterlina irlandese
(7 punti di abbattimento) e per il franco francese (3 punti).

Il rinnovo dei prezzi agricoli per la campagna 1977-78. - Se è


ormai un fatto tradizionale che i negoz>iati per il rinnovo dei
prezzi agricoli rappresentino uno degli appuntamenti più im-
pegnatiV<i nell'annuale calendario del Consiglio agricolo, pochi
altri, a detta degli osservatori, hanno fatto correre all'Europa ver-
de, e con essa all'intera costruzione comunitaria, il rischio di una
crisi politica di vaste proporzioni quanto quelli che si sono svolti a
1

Bruxelles e Lussemburgo tra il febbrnio e 1' aprile del 1977. An-


1

che se la fiducia in una soluzione che sbloccasse l' « impasse » in


cui ci si è venuti a trovare a fine marzo, dopo due mesii e mezzo
di trattative, non è forse mai venuta meno, è anche vero che, finché
il detonatore non è stato disinnescato, nella riunione del Consiglio
del 25 aprile, un'ombra inquietante ha pesato sull'Europa.
Ma veniamo ai fatti. H 12 febbraio la Commissione ha pre-
sentato al Consiglio 1e sue proposte-prezzi per il 1977-78. Esse com-
portavano essenzialmente un aumento medio dei prezzi « istituzio-
nali» comuni (intervento, indicativo, ecc.) del 3% rispetto a quel-
li in vigore nella precedente campagna e comprendevano, tra
l'altro, come abbiamo visto, alcune misure intese a ridurre gli
importi compensativi monetari e altre rivolte al risanamento del
mercato lattiero-caseario. La presentazione delle proposte è stata

56
Come si vede, mentre nel caso della Gran Bretagna prevalevano le preoc-
cupazioni della salvaguardia del potere di acquisto dei consumatori, non avendo
l'agricoltura in questo paese una grande importanza, nel caso dell'Italia, preva-
levano le preoccupazioni della salvaguardia dei redditi dei produttori agricoli, che
rappresentano invece il 15% dell'occupazione totale. Sui vantaggi e svaJJtag-
gi relativi del sistema degli importi compensativi monetari rispetto al sistema
della svalutazione delle « monete verdi», un interessante dibattito è riportato
in « Rivista di economia agraria », n. 3, settembre 1976.
57
In seguito alla decisione del Consiglio, il nuovo tasso rappresentativo
della « lira verde» è stato fissato a lire 1.030 per uce (rispetto a lire 625 per
uce adottato nel 1962).

85
preceduta da un « tour » nelle capitali europee del nuovo com-
missariio all'agricoltura, il danese Gundelach. Ciò non ha però
impedito che i negoziati siiano andati avantli per circa due mesi e
mezzo, e quattro sessioni del Consiglio, prima che sia stato possi-
bile arrivare ad un accordo.
A ben guardare, H vero pomo della discordia tra i Nove, nel cor-
so di tali negoziati, non è stato tanto il problema della fissazione
dei prezzi agricoli per la campagna che doveva iniziare il 1° aprile
successivo, quanto le misure collaterali incluse nel « pacchetto prez-
zi », e in particolare le già accennate misure agro-monetarie e
quelle concernenti la riduzione delle eccedenze lattiero-casearie. Co-
munque anche la scelta del livello medio di aumento dei prezzi s~
presentava questa volta particolarmente delicata.
Da una parte, infatti, Londra si dimostrava risolutamente con-
traria a qualsiasi misura che avrebbe potuto produrre effetti in-
flazionist:ici sul mercato britannico (aumento dei prezzi « istitu-
zionali », svalutazione della « sterlina verde », diminuzione degli
imporvi compensativi monetari, ecc.). Dall'altra, la Repubblica fe-
derale tedesca ·e soprattutto i paesi del Benelux, dovendo pena-
1izzare i loro produttori con una parallela riduzione degli importi
compensativi monetari, spingevano invece per un aumento con-
sistente del livello medio dei prezzi in modo da trarne un ade-
guato vantaggio netto. La Commissione, come abbiamo visto,
aveva optato per un aumento relativamente moderato dei prezzi
(3 % ), proponendo nel contempo una ridUZJione degli importi
compensativi monetari di 2,8 punti per la Rft, di 0,4 punti per i
paesi del Benelux, di 3 punti per la Francia, l'Italia e l'Irlanda, di
8 punti per il Regno Unito.
Un primo giro di tavolo si è avuto nel Consiglio agriicolo del
14-15 febbraio, ma i negoziati non sono entrati nel vivo nemmeno
nella sessione del 14-15 marzo del Consiglio. Si è dovuto arrivare
alla sessione fiume del 25-29 marzo perché i nodi priincipali ar-
rivassero al pettine, senza, peraltro, che cinque giorni di nego-
ziati siano stati sufficienti per scioglierli definitivamente. Nel frat-
tempo, anche 1il Parlamento europeo, che doveva pronunciarsi sulle
proposte della Commissione, aveva rischiato di trovarSJi in un'« im-
passe » politica e procedurale senza precedenti.
Dopo un dibattito di 10 ore e l'esame di 79 proposte di mo-

86
di:fica, il Parlamento europeo, nella sessione del 22-23 marzo,
aveva infatti. adottato a stretta maggioranza una risoJU2Jione com-
prendente 47 punti nella quale, per la prima volta nella sua sto-
ria, non formulava alcuna raccomandazione precisa nei riguardi dei
tassi di aumento dei prezzi, ma si limfoava a prendere atto dell'in-
tenzione della Commiss1ione di aumentare i prezzi agricoli del 3 % ,
mettendo però iin guardia il Consiglio contro le conseguenze ne-
gative di un aumento dei prezzi contenuto entro questi limiti.
Il Consiiglio agricolo del 25 marzo non si apriva dunque sotto
i migliori auspici. Ciò anche per altre ragioni: a parte la man-
canza di progressi nelle precedenti sessioni, quello che questa
volta lasciava piuttosto perplessi gli osservatori, e preoccupate
molte delegazioni, era l'atteggiamento piuttosto « temporeggiante»
della presidenza britannica che rischiava di impedire di arriivare
ad un ragionevole compromesso prima del 1° aprile, data alla
quale dovevano entrare in vigore le decisioni relative alle carni
bovine e aci. prodotti lattiero-caseari. « Non ho incontrato gli altri
ministri, non ho l'intenzione di tenere delle irragionevoli sessioni
notturne, non sono ancora sicuro di presentare un compromesso»
aveva dichiarato contro ogni tradizfone il presidente Silkin alla
vigilia dell'apertura della sessione del Consiglio 58 •
L'evolversi dei negoziati doveva dar ragione ai pessimisni. Il
26 sera il presiidente Silkin presentava in effetti un compromesso,
che però suscitava la stupefazione e l'irritazione delle altre delega-
zioni, in quanto giudicato, a volta a volta, « una base di discussione
inaccettabile » (Bonnet), « un passo indietro » (Laveus), « una
proposta zero » (Ertl). Marcora, dal canto suo, era particolarmente
irritato perché Silkin non aveva tenuto minimamente conto di un
memorandum presentato in precedenza dall'Italia 59 , e minacciava
di non accettare, in caso di insuccesso dei negoziati, la proroga ol-
tre il 31 marzo dei prezzi agricoli della campagna 1976-77. Nel

58
« Agence Europe », 25 marzo 1977.
59
Il memorandum comportava, in particolare, le seguenti richieste: a} un
cambiamento del metodo di calcolo degli importi compensativi monetari per
il settore lattiero (basandosi sul prezzo del latte liquido e non sul prezzo del
burro e del latte in polvere), in modo che i prodotti tedeschi provenienti dalla
Baviera fossero meno concorrenziali sul mercato italiano; b) il mantenimento
dell'aiuto al gr(!no duro; e) un aumento del premio di penetrazione per gli
agrumi ; d ) lo studio del dossier « adesione»; e) un premio alla nascita dei vi-
telli di 56 uce a testa; f} un aumento del prezzo del mais non superiore al
2%; g} la proroga dell'aiuto nazionale ai produttori di barbabietola.

87
« compromesso Silkin » facevano peraltro spicco alcune richieste
che avevano vivamente irritato le altre delegazioni per l'eccessiva
difesa deglri. interessi britannici: riduzione di soli 2,5 punti degli
importi compensativi per il Regno Unito, per giunta in cambio
della concessione di un aiuto al consumo di burro di 75 uce/100 kg,
finanziato al 100% dal Feoga.
Dopo tre giorni di consultazioni e di discussioni, toccava al
commissario ali' agri.coltura Gundelach tirare le conclusioni delle
trattative presentando una soluzione di compromesso. Essa, anche
se a costo di rinunce non indifferenti, raccoglieva tll consenso di
otto delegazioni ( tra cui, sia pure a malincuore, quello della delega-
Ziione italiana) ma a condizione « che non fosse spostata una vir-
gola », che, cioè, la delegazione britan.rui.ca non avanzasse ulteriori
pretese. Questa, invece, si rifiutava di accettarla, chiedendo un'ulte-
riore riduzione del tasso di smobilitazione degli imporci. compen-
sativi monetari per H Regno Unito {dal 4 % , proposto dalla c.om-
missione, al 3,5%) e un ulteriore aumento dell'aiuto al consumo
di burro sempre per il Regno Unito, (da 30 a 50 uce/100 kg).
In mancanza di un accordo, il 2 9 marzo si interrompevano i
negoziati, che duravano ormai da cinque giorni, e ci si dava ap-
puntamento per il 25 aprrle a Lussemburgo. Il mancato accordo,
oltre a suscitare la vivace reazione delle categome agricole ( « Una
giornata nera non soltanto per ,l'agricoltura europea, ma anche
per la Comunità » commentava il giorno dopo il pi'esidente del
Copa), ha avuto anche un'ampia risonanza politri.ca, per ciò che
esso signifìcava e per ciò che sarebbe potuto accadere se il brac-
cio di forza negoziale fosse ancora proseguito. Ovviamente è
stata ancora una volta la « partnership » britannica nel terreno
comunitario ad essere messa sotto accusa, anche se non sono man-
cate sporadiche dichiaraziioni di solidarietà alla causa difesa dalla de-
legazione del Regno Unito, come ad esempio hanno fatto da noi
alcune forze di sinistra.
A Lussemburgo, gli linglesi hanno comunque accettato un com-
promesso che si discosta solo per questioni di dettaglio da quello
rifiutato un mese prima a Bruxelles. In sostanza, l'accordo è stato
trovato su un aumento medio dei prezzi del 3 ,5 % per la campagna
1977-78. Per effetto della parallela adozione di misure « agro-
monetarie » tale aumento risulta, però, differentemente modulato

88
nei vari paesi, a seconda della « tenuta » delle diverse monete 60 •
Londra, in particolare, ha ottenuto una sovvenzione comunitaria
di 33 uce/100 kg al consumo di burro, finanziata al 100% dal
Feoga (a fine marzo ne aveva rifiutate 30) e applicabile fino al 31
dicembre 1978. Per il resto il compromesso definitivo adottato a
Lussemburgo è quello sul quale si erano trovate d'accordo le de-
legazioni degli altri stati membri, che hanno f•atto fino a:lla fine
fronte comune.
Per quanto dguarda le richieste italiane, il ministro Marcora ri-
lasciava, a caldo, questa dichiarazione: « Non c'è da gridare vit-
toria, i problemi di fondo restano immutati, specie per l'agri-
coltura italiana. Si tratta di un faticoso compromesso dove ogni
paese ha rinunciato a qualcosa. Comunque, quasi tutte le richieste
italiane sono state accolte, per essere pignolo diciassette su venti.
Purtroppo, non è con i prezzi garantiti né con le misure di ac-
compagnamento a carattere congiunturale che si sciolgono i nodi
della politica agricola comune» 61 •
Di questo avviso si è anche dichiarato il Parlamento italiano,
dove per tre giorni, alla fine di aprile, si è svolta una serrata di-
scussione sulle decisioni di Lussemburgo e, più in generale, sulla
politica agricola comune. Al termine della discussione è stata ap-
provata una mozione in cui è stato chiesto al governo la rinegozia-
zione in sede Ce della politica agricola comune e sono stati fissati
i punti fermi su cui tale rinegoziazione dovrà far leva. Essi sono,
in particolare, i seguenti:
1) revisione dei regolamenti di mercato per eliminare diver-
sità di trattamento tra ,i vari prodotti (in particolare discrimina-
zione delle produzioni mediterranee rispetto a quelle continentah);
2) riequilibrio attraverso il Feoga della politica delle strutture
rispetto a quella dei prezzi e suo coordinamento con la politica
regionale e sociale allo scopo di favorire le regioni a strutture più
deboli;
3) affermazione del principio della fissazione programmata di
quote produttive nazionali per collegare necessità alimentari a po-

60
I produttori dei paesi a moneta debole beneficiano, infatti, di un aumento
più importante (Francia: 6,5%; Irlanda: 10,5%; Italia: 11,5%; Gran Bretagna:
15% ); il contrario accade in Germania ( + 1,5%) mentre i produttori del Bene-
lux e della Danimarca beneficiano dell'aumento medio comunitario.

1
Intervista rilasciata ad Arturo Guatelli, « Corriere della Sera», 27 aprile
1977.

89
tenzialità produttive nazionali; contemporanea corresponsabilità
dei paesi interessati allo smaltimento delle eccedenze strutturali;
4) istituzione di politiche di integrazione dei redditi collegate
alle politiche dei prezzi, dei mercati e delle strutture in grado di
assicurare lo sviluppo per quelle aziende incapaci di fare affida-
mento sulle sole politiche dei: prezzi.
Qualche settimana prima anche la federazione sindacale unitaria
aveva sollecitato il governo a farsi promotore di una conferenza
europea per la revisione della politica agricola comune che spostasse
l'intervento della Ce dal sostegno dei prezzi all'ammodernamento
delle strutture.

La politica delle strutture agrarie. - Parallelamente alla prose-


cuzione dei lavori, in sede tecnica e politica, per l'adozione di
nuove misure socio-strutturali in agricoltura da parte della Co-
munità, è ,iniziato nel 1976 il processo di r.iflessione critica sulla
esperienza dell'applicazione nei diversi paesi membri delle prime
tre direttive emanate in questo campo dal Consiglio nell'aprile 1972.
La Commissione, a questo proposito, ha presentato il 10 marzo
1976 al Consiglio e al Parlamento la prima relazione sull'appli-
cazione delle direttive Ce n. 159, 160 e 161 del 1972, relative
alla riforma delle strutture agrarie nei paesi della Ce. Al riguardo, la
Commissione ha constatato che, a causa del ritardo iniziale nell'ap-
plicazione delle direttive da parte degli stati membri, non è ancora
possibile fonnulare un giudizio definitivo dei risultati sinora otte-
nuti dalle misure comunitarie. Essa pertanto si concentra più che
altro sulle difficoltà e sulle modalità di applicazione delle direttive
nei vari stati membri. Ciononostante è possibile cogJiere, al di là
della prudenza della relazione, qualche sintomo che non tutto nel-
l'applicazione delle direttive, anche laddove essa ha già avulo luogo,
è andato secondo 1e attese. E non si tratta soltanto di difficoltà o
difformità di applicazione. Il fatto è che, come nel caso della di-
rettiva 72/ 160 concernente l'incoraggiamento alla cessazione del-
l'attività agricola, sembra che sia ancora ·Limitato o insignificante il
suo impatto sul processo di ammodernamento strutturale. Talvolta
anzi esso è stato di segno opposto a quello perseguito. In pratica
è accaduto che, salvo qualche eccezione, l'obiettivo del migliora-
mento dei redditi agricoli, anziché essere perseguito attraverso
l'ampliamento deHe dimensioni aziendali, mediante l'utilizzazione

90
dei terreni res,isi liberi in seguito all'applicazione della suddetta
direttiva, è stato perseguito più di sovente tramite un'intensificazio-
ne del processo produttivo, e quindi tramite una migliore com-
binazione dei fattorJ produttivi a disposizione 62 • Giò è, tra l'altro,
dovuto anche al fatto che la terra « mobilizzata » dalla direttiva 72 /
160 è stata del tutto i'111Sufficiente. Ma anche la direvtiva 72/159,
sull'ammodernamento delle aziende agricole, non sembra aver avu-
to migliore esito, se è vero che « la possibilità di attuare un
piano di sviluppo sembra essere alfa portata solo di quelle
aziende che in termini di redditi di lavoro sono già relativamente
vicine al reddito comparabile » 63 • H Comitato permanente delle
strutture agricole ha comunque esaminato nel corso del 1976 i
diversi aspetti dell'applicamone delle direttive. Sulla base dei ri-
sultati cli tali discussioni, la Commissione conta di presentare al
Consiglio delle proposte di adattamento delle direttive che do-
vrehbero ovviare, almeno in parte, aglii inconvenienti lamentati.
Il rapporto della Commissione è stato oggetto di discussione
del Parlamento europeo nella seduta del 16 novembre 1976, sulla
base di una relazione dell'on. Laban (socialista dei Paesi Bassi}. Que-
sti ha tra l'altro lamentato che la politica delle strutture abbia
tardato ad essere adottata in sede comunitaria e che altre diffi-
coltà abbiano talvolta ulteriormente ostacolato la sua messa in ap-
plicazione in sede nazionale. Il relatore si è inoltre rammarlcato che
non siano state mobilitate a livello comunitario somme più im-
portanti per la riforma delle strutture agrarie ed ha auspicato
una serie di misure migliorative deHe direttive, tra cui l'adozione
« in certi casi » di un aiuto diretto e « provvisorio » ai redditi, la
concessione d'incentivi per l'agricoltura associata, ecc. Al termine
della seduta è stata approvata all'unanimità una risoluzione in
cui, dopo aver affermato che fa politica dei prezzi non può da sola
risolvere i problemi fondamentali dell'agricoltura europea, il Par-
lamento auspica la concessione di aiuti diretti temporanei al red-
dito per le imprese potenzialmente redditizie e, per quelle che non
possono diventarlo, la creazione di un Fondo europeo di bonifi-
cazione degli interessi o la coordinazione più efficace delle terre
rese disponibili a vantaggio di coloro che si modernizzano.
61
C. GUIDA, La rifo rma delle strutture; un bilancio critico, « Rivista di
economia agraria», n. 3, settembre 1976.
6
' Ibidem.

91
Per quanto riguarda le quattro proposte di nuove misure strut-
turali all'esame del Consiglio all'inizio del 1976 64 , su una di esse,
quella concernente le strutture di trasformazione e commercializ-
zazione dei prodotti agricoli, si è finaJ.mente trovato un accordo
nella sessione del Consiglio del 14-15 febbra:io 1977. In base a:l re-
golamento approvato dal Consiglio 65 potranno essere sovvenzio-
nati da:l Feoga (sezione « orientamento») progetti che si inseri-
scano in programmi specifici elaborati dagli stati membri e che
abbiano per scopo la razionalizzazione o lo svhluppo del magazzi-
naggio, del condizionamento, della conservazione, del trattamento
o della trasformazione dei prodotti agricoli.
Il finanziamento del Feoga consisterà in sovvenzioni in conto
capitale, per un totale non superiore al 25% dell'investimento,
che potrà essere portato al 30% in regioni caratterizzate da parti-
colari difficoltà. L'aiuto comunitario è subordinato a una partecipa-
zione minima del beneficiario del 50% e ad una parteoipazione
nazionale non inferiore al 5 % . Il costo dell'azione è valutato a 400
milioni di uce per i primi cinque anni, ossia ad 80 milioni di uce
all'anno a decorrere dal 1° gennaio 197 8.

APPENDICE

PROBLEMI DELL'AGRICOLTURA MEDITERRANEA


(PROPOSTE DELLA COMMISSIONE CE RELATIVE AL SETTORE AGRICOLO)

Premessa

Come si è visto nel testo del presente capitolo, nella sua risoluzione
del 12-13 luglio 1976 il Consiglio dei ministri della Ce aveva invitato
la Commissione a compilare quanto prima un bilancio della politica me-
diterranea e a presentare al tempo stesso tutte le proposte che potessero
apparire necessarie in tale contesto.
La Commissione, che aveva avviato per suo conto uno studio ap-
profondito della problematica mediterranea sin dal 1975, ha ritenuto
64
Si tratta di una dirett1va in materia forestale, di una direttiva intesa a
concedere un aiuto speciale a favore dei giovani imprenditori insediati da meno
di cinque anni che attuano un piano di sviluppo, di un regolamento per una
azione comune diretta a migliorare le condizioni di trasformazione e di ven-
dita dei prodotti agricoli e di un altro relativo alle associazioni di produttori
e alle loro unioni.
65
Regolamento (Ce) n. 355/77 del Consiglio del 15 febbraio 1977, Gazzetta
Ufficiale delle Comunità europee n. L / 51 del 23 febbraio 1977.

92
utile comunicare al Consiglio, in data 4 aprile 1977, gli elementi prin-
cipali della sua analisi, informarlo delle azioni che essa reputa necessarie,
nonché richiamare alla sua attenzione sia quelle già proposte ma non
ancora adottate, sia quelle già adottate (cfr. Com(77) 140 def.).
Nella lettera di trasmissione al Consiglio della comunicazione, la
Commissione ha ritenuto opportuno precisare che « nella fase attuale,
gli elementi principali dell'analisi e le azioni proposte riguardano es-
senzialmente il settore agricolo ». « È tuttavia evidente - essa sog-
giunge - che i problemi che le regioni mediterranee debbono affron-
tare non sono soltanto di carattere agricolo, ma inerenti altresl al grado
di sviluppo generale della loro economia. Occorre quindi un'azione su
vasta scala, che mobiliti tutti gli strumenti disponibili a livello sia
nazionale sia comunitario (il che non esclude la possibilità che ne ven-
gano creati altri ex novo) e che tenda ad instaurare un equilibrio ade-
guato fra le produzioni comunitarie, nonché fra queste e le produzioni
dei paesi terzi mediterranei. È pertanto in questa prospettiva - con,,
elude la lettera della Commissione - che si devono esaminare le prime
soluzioni "agricole" considerate nel presente documento ». Di tale
documento si riportano, qui di seguito, i passi più salienti.

Ricapitolazione del problema

Da un'analisi della situazione, delle tendenze attuali, delle prospet-


tive dell'agricoltura e dell'economia delle regioni mediterranee emerge
quanto segue:
- l'agricoltura delle regioni mediterranee si trova generalmente in
una situazione più difficile dell'agricoltura del resto della Comunità
ed è in complesso meno dinamica;
- alcune regioni a reddito anormalmente basso devono far fronte
a una serie di problemi che non sono soltanto di carattere agricolo, ma
dipendono anche dal grado di sviluppo generale della loro economia.
Di conseguenza, le difficoltà in cui versano i mercati dei prodotti me-
diterranei e che colpiscono tutte queste regioni con particolare gravità
- trattandosi di prodotti che rappresentano e rappresenteranno ancora,
almeno in un prosismo futuro, una parte rilevante e spesso preponde-
rante della loro produzione agricola - vengono ad aggiungersi, in una
zona comprendente il Mezzogiorno italiano (isole comprese) e la Lin-
guadoca francese, a quelle che scaturiscono da una situazione già estre-
mamente precaria sul piano delle strutture economiche in genere ed
agricole in particolare.
L'agricoltura di queste regioni è infatti caratterizzata da una situa-
zione socio-strutturale sfavorevole, i cui elementi principali sono i se-
guenti: percentuale elevatissima di popolazione attiva occupata nell'a-
gricoltura, scarsa produttività del lavoro e, pertanto, redditi estrema-
mente bassi e notevole sottoccupazione agricola. Le strutture di pro-

93
duzione non si sviluppano, mentre le strutture di commercializzazione e
di trasformazione dei prodotti agricoli restano insufficienti e lacunose,
senza contare il grado insoddisfacente di sfruttamento delle risorse na-
turali. A ciò si aggiunga la lentezza dello sviluppo economico generale,
che non contribuisce certo a stimolare l'ammodernamento delle strut-
ture agrarie. Per tutti questi motivi, il ritardo dell'agricoltura delle re-
gioni mediterranee rispetto alle altre regioni della Ce è andato costan-
temente aggravandosi.
È quindi necessario, per evitare un rallentamento della politica ester-
na mediterranea, come pure ai fini di un armonico sviluppo di tutta la
Comunità, avviare un'azione di ampio respiro nei confronti delle re-
gioni mediterranee della Ce, mobilitando e facendo convergere verso
gli stessi obiettivi i vari strumenti finanziari di cui si dispone. Ciò è
tanto più importante nella prospettiva di un ampliamento della Co-
munità. La Commissione illustra le azioni che ritiene necessarie in
campo agricolo.

Abbozzo di una politica mediterranea

Il problema delle regioni mediterranee che la Comunità è chiamata


a risolvere è anzitutto un problema di strutture, oltre che di difesa effi-
cace del suolo; soprattutto per taluni prodotti, però, è anche un pro-
blema di organizzazione dei mercati.

Misure socio-strutturali. - La situazione esige una politica coerente


che, tanto nel Mezzogiorno quanto nella Linguadoca, agisca sui princi-
pali fattori strutturali, non solo in agricoltura ma anche nell'industria e
nei servizi ( turismo, soprattutto trasporti). Quanto alla politica strut-
turale in agricoltura, occorre che le iniziative prese dalle regioni, dai
governi interessati e dalla Comunità vengano coordinate. Ad esempio,
qualora le spese occasionate dal varo di azioni comuni nelle regioni
svantaggiate provocassero oneri finanziari troppo gravosi per gli stati
membri interessati, si dovrebbe esaminare la possibilità di aumentare
il tasso di rimborso comunitario.
Infine, occorre una politica differenziata a seconda delle diverse si-
tuazioni che contraddistinguono le parti più sfavorite della zona medi-
terranea della Comunità, tenendo presente che le maggiori difficoltà si
presentano nel Mezzogiorno italiano.

Mezzogiorno. - Nelle regioni montane e collinose è indispensabile


un'azione di conservazione del suolo che contribuisca alla stabilizza-
zione ecologica delle campagne meridionali e che, più particolarmente,
serva a prevenire il fenomeno tradizionale delle inondazioni. Gli stru-
menti principali di cui si dispone a tal fine sono il mantenimento
dell'agricoltura, lo sviluppo delle foreste e il controllo delle acque.

94
La Comunità contribuisce al mantenimento dell'agricoltura per mez-
zo della direttiva n. 268, provvedimento di carattere generale in favore
dell'agricoltura di montagna e delle zone svantaggiate, e pertanto appli-
cabile in codeste regioni.
La Commissione ha presentato al Consiglio una proposta di azione
comune per l'imboschimento delle terre agricole marginali, proposta
che, pur essendo destinata ad applicarsi in tutta la Comunità, interesse-
rebbe più specificamente le regioni meridionali italiane.
Un nuovo e rilevante contributo della Ce - e a questo proposito sa-
rebbe assai importante l'intervento del Fondo regionale - potrebbe
consistere nell'aiutare a rendere più spediti i lavori di costruzione di
acquedotti e di bacini di ritenuta delle acque, in modo che queste ultime
venissero sfruttate sia per irrigare le terre adibite all'agricoltura, sia
per altri scopi (ad esempio, per usi industriali).
Nelle regioni costiere e pianeggianti a produzione intensiva, già par-
zialmente irrigue, si deve tendere sia al miglioramento qualitativo della
produzione - e, per le merci per le quali esistano buone prospettive
di vendita, al suo potenziamento quantitativo - sia al miglioramento
delle condizioni di commercializzazione e di trasformazione dei prodotti
agricoli.
Per quanto concerne la produzione, non si devono trascurare due fat-
tori negativi: le possibilità estremamente limitate di creare posti di
lavoro non agricoli e la difficoltà di trovare sbocchi commerciali per
taluni prodotti agricoli mediterranei. Accelerare l'irrigazione di nuove
superfici agricole (proposta che verrà presentata in seguito) è senz'altro
un contributo utile da parte della Comunità, a condizione però di orien-
tare la produzione in modo da trovare nuovi sbocchi per i maggiori
quantitativi prodotti. A questo proposito si dovrà tenere presente che
sarebbe opportuna una certa complementarità fra i prodotti agricoli
comunitari e quelli dei paesi terzi mediterranei. Tutto ciò dovrebbe
andare di pari passo con un'applicazione accelerata delle misure socio-
strutturali comunitarie più consone alle esigenze di tali regioni e con
l'istituzione di servizi di divulgazione e di animazione agricola, che
eventualmente potrebbero essere sovvenzionati anch'essi dalla Comunità.
Altrettanto importante, se non più importante ancora, sia per la
produzione agricola sia per la creazione di posti di lavoro, è il miglio-
ramento delle condizioni di commercializzazione e di trasformazione
dei prodotti agricoli, e più particolarmente degli ortofrutticoli trasfor-
mati. L'istituzione di associazioni di produttori, il cui avviamento ver-
rebbe finanzariamente incentivato dalla Comunità (si tratterebbe non
soltanto del Meridione ma di tutta l'Italia - proposta che verrà
presentata in seguito), contribuirebbe ad adeguare maggiormente la
produzione al mercato e ad instaurare una disciplina di commercializza-
zione che, a sua volta, permetterebbe di concentrare l'offerta nei con-
fronti del commercio all'ingrosso e dell'industria alimentare. Il nuovo
regolamento (Ce) n. 355/77, di applicazione generale, relativo a

95
un'azione comune per il miglioramento delle condizioni di trasformazione
e di commercializzazione dei prodotti agricoli, consentirà di lanciare
programmi specifici che contribuiranno sia a migliorare il settore della
commercializzazione, sia a sviluppare le attività di trasformazione, atti-
vità di cui vi è attualmente grande carenza nel Mezzogiorno. Sarebbe
particolarmente utile che queste azioni venissero completate da un
contributo del Fondo regionale, sia sul piano industriale sia su quello
delle strutture di trasporto, indispensabili per lo smercio dei prodotti
sul mercato comunitario.
Si noti che le azioni strutturali previste per il Mezzogiorno e la
Linguadoca contribuiranno a creare posti di lavoro anche nell'indu-
stria alimentare e nei settori estranei all'agricoltura. Tali azioni com-
porteranno infatti lavori di vario genere, che si ripartiranno su un
certo numero di anni e alcuni dei quali, specialmente in materia di in-
frastruttura, sfoceranno in realizzazioni che richiederanno una manu-
tenzione permanente.

Misure di mercato. - Per quanto concerne i mercati agricoli, occorre


migliorare l'applicazione della normativa comunitaria sugli ortofrutticoli
freschi.
Inoltre, come prima misura, si devono istituire incentivi supplemen-
tari per incoraggiare le associazioni tra i produttori ortofrutticoli, che
in questo modo, potranno smaltire più efficacemente la loro merce,
perlomeno a livello del prezzo di ritiro, e soprattutto potranno avva-
lersi di migliori strutture organizzative ai fini della commercializzazione.
Per ciò che riguarda gli ortofrutticoli trasformati, quanto meno i più
sensibili, si dovranno risolvere con misure adeguate le difficoltà prove-
nienti sia dal fatto che il prezzo della materia prima è generalmente più
elevato nella Ce che nei paesi terzi concorrenti, sia dal fatto che la
protezione alla frontiera per i prodotti trasformati non compensa questa
differenza.
Nel settore vitivinicolo, la produzione dovrà essere sempre maggior-
mente orientata in funzione della qualità, scoraggiando la coltivazione
della vite nelle zone pianeggianti, dove sono possibili altre colture, sia
pure eventualmente meno redditizie, e incoraggiandola invece in altre
zone dove essa sola può raggiungere un livello massimo di redditività.
Si dovranno pure prevedere operazioni di fiancheggiamento e soprat-
tutto di razionalizzazione della viticoltura, mediante azioni fra loro
concatenate.
Per l'olio d'oliva, il problema principale è rappresentato dalla ne-
cessità di evitare che il consumo continui a diminuire; a tal fine si do-
vranno prendere provvedimenti appropriati, unitamente a misure com-
plementari; soprattutto, si dovranno utilizzare in modo più oculato gli
aiuti e le azioni congiunte previsti in favore della razionalizzazione del-
l'olivicoltura (promuovendo fra l'altro la produzione di olive da tavola).
Oltre a queste colture, la cui importanza è fondamentale per le re-

96
gioni mediterranee, occorre favorire - nel contesto dell'irrigazione di
nuove superfici - le colture foraggere e proteiche.
Per quanto concerne le azioni da proporre o da studiare, si dovreb-
bero esaminare con particolare attenzione le conseguenze, per il bi-
lancio d'approvvigionamento comunitario, delle prospettive di amplia-
mento della Ce.
Si tengano inoltre presenti le misure già sottoposte al Consiglio per
diversi prodotti ma non ancora adottate, la cui applicazione potrebbe
contribuire efficacemente alla soluzione, anche solo parziale, dei problemi
mediterranei.

97
VIII

LA POLITICA AGRICOLA 1977-1978*

Agricoltura e alimentazione

La situazione mondiale. - « La situazione alimentare mondiale


resta fragile »: questo il giudizio complessivo espresso alla fine del
1977 dagli esperti della Fao, dopo che da un marcato ottimismo
sugli imminenti raccolti manifestato a metà anno erano dovuti
passare a toni alquanto più moderati con l'avanzare delle cam-
pagne di produzione. Il consuntivo alimentare mondiale per il
1977 si chiude infatti con risultati produttivi complessivi che,
seppure superiori dell'l-1,5% a quelli pressoché eccezionali del
1976, lasciano per più versi alquanto delusi.
Anzitutto l'incremento registrato nel 1977 nella produzione
di derrate alimentari si situa al di sotto non solo di quello ini-
zialmente previsto, ma anche di quello medio registrato a partire
dal 1974, che è di circa il 2% all'anno. Esso risulta inoltre infe-
riore a quello medio della popolazione, e questo tanto nei paesi
in via di sviluppo che nel resto del mondo. Per i primi, poi, l'in-
cremento registrato nel 1977 (1-1,5%) sarebbe il più basso regi-
strato dal 1972 in poi, sicché il tasso annuo di incremento della
produzione alimentare in questi paesi a partire dal 1970 si ridur-
rebbe al 2 ,5 % , contro un obiettivo del 4 % fissato per il secondo
decennio dello sviluppo dall'Onu (1970-1980). Quel che è an-
cora più grave, una dozzina di questi paesi, di cui 8 in Africa,
soffrivano alla fine del 1977 di penurie alimentari in gran parte
attribuibili alla persistente siccità. Risultati deludenti si sono re-
gistrati in America latina, dove negli ultimi anni si erano conse-
guiti sensibili progressi. Anche fra i paesi più sviluppati, salvo che
in Europa occidentale, la produzione alimentare si è accresciuta
a tassi notevolmente inferiori a quelli del 197 6. In Oceania, anzi,
essa ha subito addirittura una lieve flessione, mentre in Urss e
nei paesi dell'Europa orientale la produzione, dopo il grande bal-
zo in avanti del 1976, non ha progredito che di appena lo 0,5-
1,0 % . Raccolti in stallo anche in Cina dopo parecchi anni di co-
stanti miglioramenti. Quanto all'America del Nord, principale

* In IAI, “L’Italia nella politica internazionale: 1977-1978”, Edizioni


di Comunità, Milano, 1979

98
produttore agricolo del mondo, anch'essa ha rallentato sensibil-
mente la sua espansione produttiva.
Quel che emerge da questo continuo alternarsi di risultati pro-
duttivi favorevoli e sfavorevoli è che, al di là degli sforzi, peraltro
del tutto insufficienti, rivolti a dare stabilità e sicurezza all'approv-
vigionamento alimentare mondiale, questo resta sostanzialmente
alla mercé degli eventi meteorologici e delle vicende climati-
che, la cui capricciosità l'uomo non è ancora riuscito a dominare.
Si comprende così quella sorta di « angoscia nutrizionale » che
dai paesi poveri si è andata estendendo negli ultimi tempi ai
paesi industrializzati, fino a soppiantarvi talvolta la stessa angoscia
atomica o nucleare. Frumento, zucchero, caffè, per non citare che
alcuni prodotti, sono stati negli ultimi anni al centro di vicende
di mercato e finanche politiche (psicosi collettive, sommovimenti
popolari, ricatti alimentari verso i paesi tributari dall'esterno,
ecc.) che hanno toccato da vicino i bilanci e l'opinione pubblica
di questi paesi, facendo apparire in tutta la sua gravità la preca-
rietà di una situazione che si considerava rassicurante e immuta-
bile.

I risultati produttivi e i mercati agricoli. - La produzione


mondiale di cereali, dopo aver toccato nel 1976 la punta record
di 1.363 milioni di tonnellate, ha subito una flessione dell'l,2%
nel 1977, essendo stata valutata dalla Fao a 1.34 3 milioni di ton-
nellate. In particolare, la produzione di frumento avrebbe subito
un calo del1'8% rispetto al 1976, essendo passata da 418 a 383
milioni di tonnellate, mentre più contenuta sarebbe stata la con-
trazione della produzione di cereali secondari (da 690 a 685 mi-
lioni di tonnellate tra il 1976 e il 1977). Rispetto all'anno prece-
dente raccolti meno favorevoli sono stati registrati in Unione So-
vietica, Argentina, Canada e Australia. Gli Stati Uniti hanno re-
gistrato un leggero calo produttivo per il frumento ed un incre-
mento del 2% per i cereali secondari. Un sensibile aumento, dopo
la forte contrazione dell'anno prima, ha registrato la produzione
cerealicola della Ce (da 90,8 a 103,1 milioni di tonnellate). An-
ch'esso è però attribuibile esclusivamente ai cereali secondari e
in particolare alla produzione record di orzo.
Nel complesso, soprattutto se si considera l'eccezionalità dei rac-
colti del 1976, i risultati conseguiti nel comparto cerealicolo

99
possono essere ritenuti non troppo insoddisfacenti. Secondo gli
esperti della Fao, infatti, il raccolto dovrebbe riuscire a soddisfare
la domanda mondiale senza intaccare sensibilmente gli stocks.
Escludendo, anzi, Cina e Unione Sovietica, questi dovrebbero
accrescersi di una decina di milioni di tonnellate, passando da
157 milioni di tonnellate a metà 1977 a 167 milioni di tonnel-
late a metà 1978. Per il frumento, tuttavia, gli stocks mondiali
dovrebbero ridursi, secondo il Consiglio internazionale per il fru-
mento, da 83 a 72 milioni di tonnellate tra la fine della campagna
1976-77 e quella della campagna 1977-78.
Al pari di quello che è accaduto per quasi tutte le altre materie
prime, anche per le derrate alimentari i corsi sui principali mer-
cati mondiali hanno registrato, a partire dal secondo trimestre
1977, una sensibile caduta rispetto ai vertici a cui erano perve-
nuti nei primi mesi dell'anno. L'indice delle Nazioni unite per
i prezzi dei prodotti agricolo-alimentari (base 1972 =100} è
infatti sceso da 350 a 250 tra il primo e il quarto trimestre 1977,
facendo segnare quindi un cedimento di un centinaio di punti in
meno di un anno.
La flessione dei corsi è stata pressoché generale e talvolta ha
assunto la forma di un vero e proprio tracollo quando sono ve-
nute meno le condizioni che avevano acceso e alimentato la spinta
rialzista. È il caso, ad esempio, dei corsi del caffè e in minor misura
del cacao, che la penuria delle annate 1975 e 1976, da una parte,
e le manovre speculative, dall'altra, avevano portato a livelli del
tutto eccezionali rispetto a quelli di partenza. Il caffè, infatti, do-
po aver toccato in aprile un massimo di 4.300 sterline per ton-
nellata (pari a 10 volte il prezzo del giugno 1975), è precipitato
in ottobre a 1.350 sterline per tonnellata. Altrettanto è accaduto
per il cacao, che ha conosciuto pressoché alle stesse epoche un
massimo di 3 .400 sterline e un minimo di 1.650 sterline la ton-
nellata.
Per entrambe queste derrate, oltre all'aspettativa di migliori rac-
colti, è stata anche la flessione dei consumi (che ha fatto seguito
negli Stati Uniti I come in Europa all'aumento vertiginoso dei prez-
zi) a costringere la speculazione a ridimensionare le sue pretese,
1
La domanda si è contratta infatti nei primi otto mesi del 1977 del 30%
negli Stati Uniti.

100
nonostante la persistenza di manovre rialziste in alcuni paesi pro-
duttori. Tuttavia a metà dicembre l'annuncio di cattivi raccolti
in America centrale ha rilanciato la speculazione e ha provocato
una nuova impennata dei corsi.
Per quanto riguarda i cereali, la tendenza riflessiva delle quo-
tazioni, che si era manifestata nella seconda metà del 1976, è
proseguita fino al mese di novembre del 1977, in connessione
con risultati produttivi, come si è visto, sostanzialmente non
deludenti, e dunque con una situazione dominata dall'abbondanza
dell'offerta e dalla esuberanza delle scorte. Ciò vale soprattutto
per i cereali secondari, e in particolare per il mais, che ha regi-
strato nel corso del 1977 flessioni dell'ordine anche del 40% ri-
spetto a quelli di un anno prima. A partire dal mese di dicembre,
tuttavia, l'annuncio di raccolti non soddisfacenti in Unione Sovie-
tica e l'affacciarsi sui mercati mondiali di un nuovo cliente po-
tenziale di primaria grandezza - la Cina - il cui fabbisogno
d'importazione è stato valutato a circa 9 milioni di tonnellate per
la campagnà 1977-78 hanno provocato un certo rafforzamento
dei corsi dei prodotti cerealicoli.
Un altro prodotto che ha fatto registrare una caduta delle quota-
zioni rispetto al 197 6 è la soia ( - 23 % circa tra gennaio e dicem-
bre 1977), a causa soprattutto dell'abbondanza dei raccolti non
solo negli Stati Uniti, ma anche in Brasile e in Argentina, nuovi
paesi emergenti per questa coltura. Non va tuttavia dimenticato
che durante lo stesso periodo le quotazioni erano cresciute del
61 % nell'anno precedente, a causa del pessimo raccolto degli
Stati Uniti. Quanto allo zucchero, prodotto strategico soggetto
come nessun altro a frequenti oscillazioni dei corsi, ha anch'esso
risentito della pesantezza di mercato che si è venuta a determinare
con il gonfiarsi delle scorte in seguito ai risultati produttivi ecce-
zionali registrati nelle ultime campagne. Dal massimo di 150 ster-
line per tonnellata segnato nel primo trimestre 1977, il corso del
prezzo giornaliero è sceso infatti sino a 85 sterline per chiudere
sulla bàse di 107 alla fine dell'anno: un'esiguità rispetto al massi-
mo storico di 650 sterline segnato il 21 novembre 1974.

L'evoluzione delle politiche agricole nazionrii. - In assenza di


meccanismi internazionali di stabilizzazione dei prezzi e dei mer-
cati, le politiche agricole finiscono con l'essere modulate, in molti

101
paesi esportatori, m funzione delle fluttuazioni congiunturali del-
la domanda mondiale. Queste, a loro volta, trovano origine il più
delle volte nell'avvicendarsi delle condizioni climatiche nei prin-
cipali paesi produttori o consumatori. Si dà il caso, così, che una
campagna disastrosa in uno di questi paesi stimoli una espansione
di solito più che proporzionale dell'offerta mondiale nelle cam-
pagne successive, che rischia tuttavia di ritrovarsi in parte senza
mercato non appena la domanda internazionale sia ritornata sul
suo « trend » normale. A quel punto, salvo ricorrere a valvole di
sfogo che attualmente sono solo di ripiego (stoccaggio, aiuto ali-
mentare, ecc.), un sistema di controllo dell'offerta diventa pres-
soché indispensabile se si vuole evitare che gli agricoltori paghino
con una contrazione dei prezzi e dei ricavi la loro inconsiderata
espansione produttiva. Regolarmente, il ciclo espansione-contra-
zione dell'offerta si ripresenta non appena siano state avvertite
nuovamente le sollecitazioni di una domanda più sostenuta. Ma
questa, sia detto al di là degli interessi di mercato in gioco, rap-
presenta tutt'altro che una iattura se si considera che un mancato
adeguamento dell'offerta potrebbe significare la fame per molti
milioni di uomini.
Lo schema descritto, che ha un valore abbastanza generale, trova
il suo più puntuale riscontro in quello che si sta verificando da
alcuni anni sui mercati mondiali dei cereali e in particolare nelle
iniziati\'e prese a tale riguardo dalle autorità governative degli
Stati Uniti, che è il principale paese produttore e esportatore agri-
colo del mondo. Come è noto 2, a partire dal 1972, anno in cui
l'Unione Sovietica si era affacciata con esigenze senza precedenti
sui mercati internazionali dei cereali, gli Stati Uniti avevano non
solo progressivamente restituito alla coltura i circa 12 milioni di
ettari che le erano stati sottratti in precedenza, come misura re-
strittiva dell'offerta, ma avevano ulteriormente incrementato di
circa 4 milioni di ettari la superficie precedentemente coltivata
a cereali in seguito alla nuova vertiginosa espansione del fabbiso-
gno sovietico d'importazione, prodottasi a causa del disastroso
raccolto del 1975 3 •
L'euforia dei produttori americani è tuttavia incominciata a
2
L'Italia nella politica internazionale, 1976-1977, p. 477.
3
L'Italia nella politica internazionale, 1975-1976, p. 328.

102
raggelarsi in seguito ai raccolti eccezionali conseguiti nel 1976, non
solo negli Stati Uniti e negli altri paesi, ma anche nei principali
paesi importatori (in particolare Unione Sovietica e India). In
queste condizioni, come s'è visto, le quotazioni cerealicole non
avevano registrato che cedimenti a partire dalla seconda metà del
1976. Enormi quantità di prodotto, soprattutto di frumento, sono
rimaste peraltro invendute alla fine della campagna, malgrado gli
ulteriori cedimenti dell'offerta, sicché il raccolto è sopraggiunto
quando ancora restavano da smaltire molte delle scorte accumu-
late nell'annata precedente.
È in questo contesto che il governo degli Stati Uniti ha an-
nunciato il 29 agosto 1977 una serie di misure rivolte a dare
respiro ad un mercato e ad una classe agricola soffocati dall'abbon-
danza. Esse prevedono:
- un programma inteso a reintrodurre un sistema di « messa
in riserva » di una parte delle superfici destinate a frumento e a
cereali secondari;
- un piano relativo alla creazione per la metà del 1978 di una
riserva cerealicola di 30-35 milioni di tonnellate;
- una proposta per la costituzione di una nuova riserva alimen-
tare internazionale d'urgenza che può arrivare fino a 6 m11ioni di
tonnellate.
Nel quadro del programma di contenimento dell'area produtti-
va è stato annunciato un piano il cui obiettivo è quello di per-
venire nel 197 8 ad una riduzione delle superfici coltivate del
20% per il frumento e del 10% per i cereali secondari. La parte-
cipazione a questo programma è facoltativa; tuttavia solo i pro-
duttori che vi aderiscono possono beneficiare degli acconti sui fu-
turi raccolti e dei prezzi garantiti previsti dal « Farm Bill », e
questo non solo per i cereali, ma per tutti i prodotti rientranti nei
programmi governativi. Nel lanciare questo programma il Dipar-
timento dell'agricoltura degli Stati Uniti (Usda) calcolava, a fine
agosto, che esso avrebbe avuto come effetto di sottrarre alla pro-
duzione cerealicola circa 9 milioni di ettari. Nell'ipotesi di un'ap-
plicazione integrale del programma da parte degli agricoltori, la
produzione cerealicola dovrebbe ridursi nel 1978, sempre secon-
do l'Usda, di circa 20 milioni di tonnellate (di cui 9 milioni di
tonnellate di grano e 11 di cereali secondari), pari all'8% delle

103
quantità che secondo il Dipartimento dell'agricoltura si sarebbero
raccolte nel 1978 in assenza del programma 4.
Le conseguenze di queste misure per il resto del mondo sono
difficili da valutare. Un'analisi estremamente sommaria, fatta da-
gli esperti della Fao subito dopo il loro annuncio, induceva a ri-
tenere che, se i rendimenti dovessero nel 1978 mantenersi sulla
media negli Stati Uniti e altrove, gli stocks americani dovrebbero
aumentare ulteriormente 5 • « Nell'eventualità di una estrema pe-
nuria alimentare mondiale comparabile a quella del 1972-73 , e in
coincidenza di un cattivo raccolto negli Stati Uniti - stimava an-
cora la Fao - le disponibilità americane sarebbero sufficienti a
soddisfare la domanda di cui probabilmente sarebbero oggetto,
ma gli stocks si troverebbero brutalmente ridotti e i prezzi mon-
diali subirebbero un'impennata » 6•
Sul piano commerciale l'annuncio di questa misura ha comun-
que concorso, insieme ad altri fattori forse più importanti, a ri-
dare fiato alle quotazioni cerealicole, cadute nel mese di agosto su
livelli inferiori anche del 40% rispetto a quelle dell'anno pre-
cedente.
Con la seconda misura annunciata dall'amministrazione Carter
si è inteso invece promuovere la stabilizzazione dei corsi e la re-
golarizzazione dell'offerta, mediante la costituzione di stocks di
riserva presso gli stessi produttori. Il programma si fonda su un
sistema di incentivi e disincentivi che dovrebbe indurre i produt-
tori, a seconda delle necessità, a mettere i cereali in riserva o a
immetterli sul mercato. Per incoraggiare lo stoccaggio, il governo
accetterà il frumento e i cereali secondari come garanzia dei pre-
stiti senza interesse o a basso tasso rimborsabile nel termine di
3 o 5 anni, e prenderà a suo carico le spese di stoccaggio.
Quanto all'ultima misura annunciata (la richiesta al Congresso
di approvare la creazione di una riserva alimentare internazionale
speciale da utilizzare in situazioni di emergenza), essa si inserisce

4
Lo scarto tra contrazione della superficie e contrazione meno che proporzio-
nale della produzione è dovuto al fatto che gli agricoltori saranno con ogni pro-
babilità indotti a mettere in riserva i terreni meno produttivi e a intensificare la
produttività delle terre coltivate.
' Cfr. FAO, La situation mondiale de l'alimentation et de l'agriculture, mi-
octobre 1977, « Bulletin mensuel économie et statistiques agricoles », vol. 26,
n. 11, novembre 1977.
• Ibidem.

104
.:1.::1 quadro delle misure rivolte a rinforzare la sicurezza alimen-
tare mondiale, dovendo permettere al governo degli Stati Uniti
d'intervenire con maggiore regolarità anche in periodo di penu-
ria. L'obiettivo di fondo di questa misura è però un altro: e cioè
quello di influire sulla conclusione di un accordo internazionale
sullo stoccaggio delle quantità eccedentarie di frumento, nel qua-
dro più globale dell'Accordo internazionale sul frumento, i cui
negoziati si sono aperti a Londra alla fìne di settembre.
Questi nuovi orientamenti di politica agricola, propugnati dal
ministro dell'agricoltura Bob Bergland, sono radicalmente diffe-
renti dal liberismo praticato al tempo del presidente Nixon e che
si giustificava fintantoché le eccedenze potevano essere collocate
sul mercato mondiale a prezzi soddisfacenti. Invitato a spiegare in
cosa consistesse questa differenza, il ministro dell'agricoltura Ber-
gland ha così risposto: « I nostri predecessori erano i difensori
convinti della necessità di un sistema lasciato in balia dell'econo-
mia liberale fino a quando non si producevano delle catastrofi. A
quel punto, e soltanto a quel punto, si reagiva con interventi det-
tati dal panico e che scaturivano di solito in un embargo sulle
esportazioni di grano o soia. La nostra posizione è differente: con
noi niente più embargo ma solo una buona politica di gestione
e smaltimento delle scorte. La nostra opinione è che l'andamento
del tempo meteorologico ha più influenza nel mondo di qualun-
que politica messa in atto dai governi. Questa semplice idea so-
stiene la nostra politica agricola e ci induce a proporre degli ac-
cordi internazionali fondati sugli stocks per far fronte ai capricci
della natura. È questa una forma d'intervento, ma anche una po-
litica realista » 7 •
Se gli Stati Uniti si trovano ancora una volta di fronte a pro-
blemi di sovrabbondanza dell'offerta, tutto il blocco dei paesi asia-
tici sembra afflitto da una situazione agricola che va di male in
peggio. Gli esperti della Banca asiatica di sviluppo (Adb) hanno
infatti constatato, in un rapporto reso pubblico alla fine dell'anno 8,
che la produzione agricola sul continente asiatico è aumentata in
7
« Agra Europe », n. 975, 15 settembre 1975.
8
Il rapporto è stato riassunto nel bollettino trimestrale della Banca. Cfr.
AnB, « Quarterley Review », luglio-agosto 1977. Citazioni tratte da R. P. PARIN-
GAUX, Après l'échec des « révolutions vertes », « Le Monde», 13 settembre 1977.
Cfr. anche « Agra Europe », n. 981, ottobre 1977.

-, A /

105
questi ultimi dieci anni a un ritmo molto meno rapido di quello
della popolazione.
Le grandi speranze che aveva fatto nascere dieci anni fa la co-
siddetta « rivoluzione verde » non si sono dunque materializzate,
sostengono gli esperti della Banca asiatica di sviluppo. La coltura
di nuove varietà di cereali ad alto rendimento non è stata possi-
bile che nelle regioni irrigue. In molti di questi paesi, del resto,
la produzione cerealicola pro capite è addirittura diminuita negli
ultimi dieci anni, mentre si sono accresciute nel frattempo la povertà
rurale e la sottocupazione, come effetto anche di una meccanizza-
zione selvaggia di cui hanno beneficiato soprattutto i paesi espor-
tatori di macchine agricole. Per i redattori del rapporto, questo
decennio resterà caratterizzato soprattutto dalla mancanza di una
volontà politica (o d'una capacità) da parte dei dirigenti e delle
élites nazionali a realizzare fino in fondo i cambiamenti strutturali
indispensabili per far uscire la classe agricola dai vecchi binari.
« È raro - constatano - che gli obiettivi della politica nazio-
nale coincidano realmente con quelli fissati dallo sviluppo rura-
le ». Grandi progetti riformatori sono stati annunciati qua e là.
Ma, il più delle volte, essi sono rimasti limitati, handicappati in
partenza da un'assenza di pianificazione, dall'impreparazione delle
mentalità ai cambiamenti, dall'immobilismo, il clientelismo, la bu-
rocrazia e la corruzione. Per rimediare a questi mali gli esperti
propongono una serie di misure, tra cui: la realizzazione di ef-
fettive riforme agrarie, un maggiore intervento dello stato nella
mobilitazione delle risorse, il finanziamento pubblico di grandi la-
vori di sistemazione rurale. Il rapporto insiste inoltre sulla ne-
cessità assoluta d'una decentralizzazione regionale e propone la
creazione, in un primo tempo, di piccole unità di produzione.
Queste trasformazioni dovrebbero essere accompagnate da mi-
sure di garanzia dei prezzi agricoli e da un sistema di crediti ru-
rali destinati a favorire i piccoli proprietari.
La produzione mondiale di riso dovrebbe essere invece cresciu-
ta del 2%, essendosi aggirata sui 234 milioni di tonnellate. An-
che la produzione di zucchero avrebbe subito un ulteriore balzo
di circa 4 milioni di tonnellate rispetto alla produzione record del-
l'anno precedente (85 milioni di tonnellate), circostanza questa
che non ha mancato di riflettersi puntualmente sulla flessione dei
corsi. Quanto al caffè, i cui risultati produttivi erano stati partico-

106
larmente mediocri nel 1976, esso ha recuperato i livelli produt-
tivi precedenti, grazie soprattutto all'eccellente comportamento del
Brasile.

La politica agricola comune

Il disordine monetario e la politica agricola comune. - Il ricor-


so - ormai pressoché generalizzato e a dosi massicce - a quel-
l'antidoto alla rottura dell'unicità del mercato comune agricolo
determinata dalla divergente evoluzione monetaria tra gli stati
membri e noto sotto il nome di « importi compensativi moneta-
ri » costituisce ormai da qualche anno uno dei nodi più intricati
della politica agricola comune e una delle maggiori fonti di con-
troversie agricole nella Ce 9• Il perché è presto detto: da una par-
te questo meccanismo, concepito all'origine come soluzione d'e-
mergenza, ha effetti tutt'altro che « neutri » sugli scambi agrico-
li; dall'altra, agendo alla stregua di tasse all'esportazione e sov-
venzioni all'importazione per i paesi che svalutano e di sovven-
zioni all'esportazione e tasse all'importazione per i paesi a moneta
rivalutata, esso ha generato un contrasto di interessi difficilmen-
te conciliabili, anche perché nel frattempo la loro incidenza sui
prezzi all'importazione o all'esportazione ha raggiunto livelli ver-
tiginosi (per esempio, in taluni periodi essi hanno superato il
40 % nel caso del Regno Unito).
La posta in gioco è enorme se si considera che per il 1977
sono state accertate spese per importi compensativi monetari a
carico del bilancio comunitario per quasi 900 milioni di unità di
conto (uce) (circa 1.000 milioni di lire), pari al 14 % della spesa
totale della sezione garanzia del Feoga, e che per il 197 8 si preve-
dono spese per quasi un miliardo di uce. Si comprende dunque
come su questo terreno spinoso si combattano accanite battaglie
tanto in sede politica quanto in sede tecnica e spesso anche in
sede giurisdizionale. È il caso, quest'ultimo, delle numerose cause
intentate negli ultimi anni, in sede nazionale o presso la Corte di
giustizia di Lussemburgo, da imprese o singoli operatori che han-

• Come è noto, tale rottura è determinata dall'utilizzazione di tassi « verdi»


diITerenti dai tassi di mercato.

107
no impugnato l'emanazione o le modalità di applicazione di taluni
provvedimenti in materia di importi compensativi monetari rite-
nuti illegittimi o ingiustamente pregiudizievoli per la loro attività.
Fra le numerose sentenze emanate dalla Corte in questo settore,
vale la pena di citare in particolare quella del 20 ottobre 1977,
relativa alla causa 29 /77. La Corte ha, tra l'altro, precisato che la
Commissione può « in base unicamente ad un ribasso notevole
del corso di cambio di una moneta » accertare il rischio di pertur-
bazioni negli scambi di prodotti agricoli, che è una delle condi-
zioni necessarie per l'istituzione degli importi compensativi mone-
tari. La Commissione può inoltre valutare tale rischio « tanto
per gli scambi di prodotti di base, quanto per gli scambi di pro-
dotti di base e derivati». Una decisione, quest'ultima, che sembra
legittimare implicitamente talune decisioni già prese dalla Com-
missione o che sarebbero state prese di là a poco e relative al-
l'estensione degli importi compensativi monetari a prodotti « de-
rivati » di particolare importanza per l'Italia (paste alimentari,
cioccolate e prodotti dolciari in genere, ecc.). Sul piano politico,
il dibattito ha sostanzialmente preso le mosse dalle nuove proposte
della Commissione che, basandosi sulle discussioni relative alla
proposta di adeguamento automatico dei tassi rappresentativi
delle monete «verdi» sottoposta al Consiglio il 21 ottobre 1976,
(e da questo rigettata 10 ), ha presentato, il 26 ottobre 1977, una
proposta modificata di adeguamento del sistema degli importi
compensativi monetari.
La nuova proposta differisce dalla precedente su due punti 11 •
Essa prevede una graduale soppressione degli importi compensa-
tivi, con un ritmo differente a seconda che si tratti di importi
esistenti al momento dell'adozione della proposta o di importi
istituiti dopo tale data, in funzione dell'evoluzione delle monete.
Inoltre rinuncia ad introdurre un limite superiore degli importi
che implicherebbe un adeguamento automatico del tasso rappre-
sentativo della moneta in questione, contro cui si era particolar-
mente battuta la Germania nelle sessioni del Consiglio che ave-
vano avuto luogo nella prima metà del 1977.
Per quanto riguarda la soppressione graduale degli importi esi-

'° Cfr. L'Italia nella politica internazionale, 1976°1977, p. 504 ss.


11
« Bollettino delle Comunità eur.opee », n. 10, 1977, punto 2.1.48.

108
stenti, la proposta prevede che essa avvenga entro un periodo di
sette anni, e in misura pari ad un settimo all'anno di tali importi.
Essa prevede inoltre l'abolizione degli importi compensativi mo-
netari comparsi dopo l'ultima fissazione annua dei tassi rappre-
sentativi. Un primo giro di tavolo si è avuto nel Consiglio agricolo
del 7-8 novembre dove l'accoglienza è stata complessivamente
abbastanza favorevole, anche se i paesi a moneta rivalutata (in
particolare Repubblica federale e Paesi Bassi) hanno insistito sul-
la necessità di essere prudenti in occasione della fissazione annua-
le dei prezzi agricoli per evitare che una riduzione degli importi
compensativi in questi paesi si traducesse in una riduzione dei
prezzi agricoli al produttore.
La Gran Bretagna, al contrario, voleva evitare che fossero sop-
presse le massicce sovvenzioni all'importazione di cui beneficia
col sistema degli importi compensativi; essa ha perciò cercato un
diversivo, affermando che non era possibile discutere di questo
progetto della Commissione fintanto che non fosse stato regolato
il problema - considerato insolubile ancora per lungo tempo -
dell'applicazione dell'unità di conto europea (che è un'unità di
conto « paniere ») al bilancio agricolo.
Per quanto riguarda la delegazione italiana, questa ha accolto
favorevolmente la proposta della Commissione, chiedendo però
che fosse lasciata ai paesi membri la libertà di ridurre gli importi
compensativi, con adattamenti delle « monete verdi» (cioè sva-
lutando o rivalutando), in misura maggiore di un settimo come
previsto dalla proposta della Commissione. Il problema è ritornato
alla ribalta nel Consiglio agricolo del 13-14 febbraio 1978, dove,
oltre che sull'iniziale proposta della Commissione, si è incomincia-
to a discutere anche su un rapporto presentato nel frattempo dalla
Commissione e relativo agli effetti economici del sistema agro-mo-
netario. Ma era chiaro che una eventuale decisione al riguardo non
sarebbe intervenuta che contestualmente a quella sull'annuale fissa-
zione dei prezzi agricoli.
Nel frattempo, però, due « mini-crisi » agricole, insorte proprio
sui problemi agro-monetari, sono state evitate in extremis. La
prima, paradossalmente, trae origine dalla richiesta britannica di
svalutare dal 1° febbraio 197 8 la « sterlina verde » del 7 ,5 % ,
una misura questa più volte sollecitata dai partners, ma che la
Gran Bretagna si era sempre rifiutata di adottare, a causa dei suoi

109
effetti inflazionistici. Il fatto è che in cambio di questa « conver-
sione » il ministro britannico dell'agricoltura, Silkin, ha preteso
il « gelo » per la campagna successiva dei prezzi dei prodotti ecce-
dentari {leggasi soprattutto latte). Una richiesta, questa, consi-
derata inaccettabile da Germania, Irlanda e Belgio, che giudica-
vano già insufficiente l'aumento del 2 % proposto dalla Commis-
sione. Ci sono volute due sessioni del Consiglio, di cui una, quella
del 30-31 gennaio, interamente dedicata a questo problema, per con-
vincere questi paesi ad accettare le richieste britanniche. L'Italia,
che ha avuto anch'essa soddisfazione sulla richiesta di svalutazio-
ne della « lira verde » del 6 % , si è trovata, in questa occasione,
utile alleata della Gran Bretagna, mentre un anno prima era stato
proprio il contrasto italo-britannico sui prezzi agricoli a far tra-
ballare per qualche tempo l'edificio dell'Europa verde.
La seconda mina è stata invece accesa ai primi di marzo del
1978 dalla Francia con la sua richiesta alla Commissione di « ge-
lare » fino al 20 marzo - cioè fino a dopo le elezioni politiche -
gli importi compensativi monetari in vigore negli scambi con la
Francia 12 • La richiesta era giustificata col fatto che - a detta della
Francia - la svalutazione del franco francese a cui si assisteva,
avvicinandosi le elezioni politiche, era di carattere speculativo e
non andava pertanto riflessa nel calcolo di detti importi. In realtà,
l'obiettivo politico di questa richiesta era molto più ambizioso.
Si trattava, infatti, di mostrare all'opinione pubblica francese, ed
in particolare ai produttori agricoli, in vista proprio delle immi-
nenti elezioni, che il governo in carica sapeva prendere le inizia-
tive appropriate in difesa dei loro interessi, anche a costo di pro-
vocare una crisi dell'Europa verde. Ovviamente, la richiesta fran-
cese non ha potuto essere accolta dalla Commissione, che il 3 mar-
zo ha aumentato dal 21,5% al 23 % gli importi compensativi mo-
netari applicati agli scambi con la Francia. Ma il governo francese,
con un gesto di grande effetto elettorale, si è rifiutato di ricono-
scere l'aumento deciso dalla Commissione.
Questa mina, che per qualche giorno ha tenuto col fiato sospe-
so gli osservatori, è stata disinnescata con una soluzione salomo-
nica dal Consiglio del 7 marzo: gli importi compensativi mane-

12
Essendo il franco francese una moneta debole, gli importi compensativi mo-
netari giocano per la Francia come tasse all'esportazione.

110
tari sono stati infatti riportati al 21,5 % ; contemporaneamente
il « franco verde» è stato svalutato dell'l,205%. Inoltre, in via
eccezionale, per evitare sbalzi troppo bruschi nel calcolo sugli im-
porti compensativi monetari, che trovino origine in movimenti
speculativi momentanei, è stato deciso di portare per il solo mese
di marzo da una a tre settimane il « periodo di riferimento » per
il calcolo di detti importi. Una misura, questa, che andava incontro
alle preoccupazioni del governo francese.
I problemi agro-monetari sono ritornati al centro delle « ma-
ratone » del Consiglio di fìne aprile e inizio maggio. Le decisioni
assunte al riguardo si limitano però ad una ulteriore svalutazione
delle « monete verdi» per la Francia ( - 3,6% ), per l'Italia
( - 5 % ) e per l'Irlanda ( -6 % ). La Germania ha invece ottenuto
una piccola rivalutazione del marco « verde » ( + O,3 % ) . Anche
se in seguito a tali decisioni gli importi compensativi monetari
hanno subito una ulteriore contrazione, almeno nei paesi a mo-
neta debole salvo che in Gran Bretagna, il Consiglio non è andato
più in là di una decisione d'intenzione sulla proposta della Com-
missione relativa alla soppressione automatica degli importi com-
pensativi monetari esistenti in un periodo di sette anni 13 •

Il « pacchetto mediterraneo ». - Quello che in gergo comuni-


tario è stato battezzato « pacchetto mediterraneo » è forse il risul-
tato più rilevante dell'iniziativa italiana in sede comunitaria negli
ultimi anni. V'è anzi chi sostiene, probabilmente non a torto, che
la portata politica e finanziaria di questo insieme di misure sia
per.fino maggiore, per il nostro paese, di quella delle stesse di-
rettive strutturali emanate nel 1972 dal Consiglio della Ce. In
ogni caso, esso costituisce uno dei passi più concreti compiuti
finora dalla politica agricola comune verso quel riequilibrio tra
agricoltura mediterranea e agricoltura continentale, che costituisce
la « guide-line » dell'iniziativa italiana in seno al Consiglio in que-
sti ultimi anni.
In effetti, anche se l'Italia ha potuto contare in questa occa-

13
Nella sessione dell'S-12 maggio il Consiglio ha infatti concluso le discussio-
ni su questo problema adottando la seguente dichiarazione: « Il Consiglio ha de-
ciso di prefiggersi quale obiettivo un costante progresso verso la soppressione
degli attuali importi compensativi monetari alla luce di una politica dei prezzi sod-
disfacente e della instaurazione di un rapporto più stabile tra le monete degli stati
membri della Comunità».

111
sione sull'appoggio, peraltro non disinteressato, della Francia, al-
tro paese beneficiario delle misure, si deve riconoscere ai rappre-
sentanti italiani, in seno al Consiglio, ma anche in seno alla Com-
missione, il merito di aver decisamente assunto la « leadership »
di questa iniziativa e di averla condotta nonostante gli scogli su
cui più volte ha corso il rischio di naufragare. Per rendersene
conto basta ripercorrere sia pure rapidamente l'iter di questo in-
sieme di misure strutturali e di mercato, battezzato appunto
« pacchetto mediterraneo », e risalire fino alle sue origini. Que-
ste affondano le loro radici nell'ordine del giorno approvato alla
fine dei lavori della sessione del Consiglio agricolo del 10-11 no-
vembre 197 5, e relativo alla discussione del cosiddetto « bilan-
cio della politica agricola comune » 14.
In quell'occasione, infatti, la delegazione italiana, guidata dal
ministro dell'agricoltura Marcora, ottenne le maggiori soddisfa-
zioni proprio sul riconoscimento del principio di una compensa-
zione all'agricoltura italiana per le concessioni fatte ai paesi terzi,
e in particolare a quelli del bacino mediterraneo 15 • Il Consiglio
riconosceva, infatti, che tali accordi avevano provocato per la po-
litica agricola comune difficoltà che i produttori da soli non po-
tevano sopportare: era pertanto necessario « migliorare i mecca-
nismi che permettono di risolvere i problemi prodotti da tali ac-
cordi ». Questa freccia è stata messa nell'arco dai rappresentanti
italiani in occasione dei negoziati per il rinnovo e l'ampliamento
degli accordi con la Turchia che si sono svolti durante il 197 6.
Come si ricorderà 16 tali negoziati furono per lungo tempo ostaco-
lati dall'opposizione dei rappresentanti italiani ad accettare ulte-
riori concessioni alla Turchia in assenza di adeguate misure di
compensazione per l'agricoltura italiana e in particolare per quel-
la meridionale che subisce i maggiori contraccolpi conseguenti al-
1' apertura della Ce ai paesi del bacino mediterraneo.
La pregiudiziale italiana è venuta meno con l'approvazione di
una risoluzione del Consiglio del 19-20 luglio 1976. In essa il
Consiglio ricordava di aver insistito sin dal 197 5 « sul fatto che
i produttori non potrebbero sopportare da soli le conseguenze del-
la politica di apertura della Comunità verso l'esterno » e invitava
14
Cfr. L'Italia nella politica internazionale, 1975-1976, p. 337 ss.
15
Ibidem, p. 342.
16
Cfr. L'Italia nella politica internazionale, 1976-1977, p. 488 ss.

112
la Commissione << ad elaborare quanto prima, e in ogni caso entro
la fine dell'anno, un bilancio della politica mediterranea e a pre-
sentare allo stesso tempo ogni proposta che potesse apparire ne-
cessaria » per venire incontro alle preoccupazioni di alcune delega-
zioni relative alle ripercussioni generali della politica mediterra-
nea e delle ripercussioni di eventuali ulteriori concessioni a paesi
terzi della regione sui produttori agricoli comunitari.
La Commissione, da parte sua, aveva dichiarato che, in occa-
sione del bilancio di cui alla risoluzione del Consiglio, essa « avreb-
be esaminato le preoccupazioni accennate in tale risoluzione ed
avrebbe eventualmente presentato le proposte che dovessero ri-
sultare necessarie, tenendo presenti tutte le possibilità offerte dal
trattato ».
Abbiamo riportato un anno fa in questa sede i passi più sa-
lienti del rapporto inviato dalla Commissione al Consiglio il 4 apri-
le 1977 in adempimento di tale impegno 17 • C'è da aggiungere, a
questo riguardo, che la presentazione di tale rapporto era stata
preceduta da un acceso dibattito in seno alla Commissione, durato
per parecchie settimane, sulla natura e sulla portata delle propo-
ste da inviare al Consiglio, dibattito che si era concluso con la
decisione di affidare al commissario all'agricoltura, il danese Finn
Gundelach, e al vicepresidente Natali, responsabile per i problemi
delle nuove adesioni, la responsabilità dell'elaborazione delle pro-
poste politiche da inviare al Consiglio. Nel frattempo, il ministro
degli esteri italiano Forlani aveva avuto modo di ribadire, nella
seduta del Consiglio dell'8 marzo, che l'I talia non avrebbe fatto
nessuna concessione in materia agricola ed in particolare nei ne-
goziati in corso per l'estensione ai nuovi stati membri della Ce
degli accordi commerciali con la Spagna del 1970, finché la Com-
missione non avesse formulato e il Consiglio adottato delle pro-
poste di intervento in favore dell'agricoltura mediterranea. Le pro-
poste della Commissione non avevano in effetti tardato, ma si
doveva arrivare alla fine del 1977 perché le « grandi linee » enun-
ciate nella comunicazione di aprile fossero tradotte in proposte
concrete di regolamenti comunitari.
Prima, però, di esaminare più da vicino tali proposte e le vi-
cende politiche attinenti ad esse occorre far menzione di alcune

17
Cfr. L'Italia nella politica internazionale, 1976-1977, p. 513 ss.

113
prese di posizione sulla precedente comunicazione della Commis-
sione. Un primo scambio di opinioni a tale riguardo si era avuto
nella riunione del 28 aprile del Comitato dei rappresentanti per-
manenti (Coreper). In tale occasione si erano manifestati due orien-
tamenti nettamente distinti:
- da una parte, la delegazione italiana e quella francese rite-
nevano il documento della Commissione insoddisfacente, in quan-
to le proposte fattevi erano, da un lato, limitate al solo settore
agricolo (mentre il problema delle regioni mediterranee era un
problema ben più globale) e, dall'altro, insufficientemente concre-
te, anche per quanto riguardava tale settore. Alla Commissione
era stato pertanto rivolto l'invito a completare quanto prima que-
sto documento, tenuto conto delle due osservazioni anzidette;
- dall'altra, le restanti delegazioni, ad eccezione di quella del
Regno Unito che non si era pronunciata, ritenevano invece la co-
municazione molto costruttiva.
Il documento è stato in seguito discusso in sede più tecnica dal
gruppo di lavoro « mediterraneo » e dal Comitato speciale agri-
coltura.
Il 5 luglio 1977, il governo italiano aveva presentato al Con-
siglio un proprio memorandum sui problemi mediterranei della
Comunità, contenente una serie di proposte di revisione dei re-
golamenti comunitari relativi ai prodotti tipici delle regioni medi-
terranee, nonché alcune richieste di politica strutturale. Sul piano
della politica dei mercati, il memorandum italiano auspicava che
l'azione comunitaria si impegnasse in via prioritaria nel settore
dei prodotti ortofrutticoli freschi e trasformati e proponeva una
serie di adattamenti o integrazioni della regolamentazione comu-
nitaria al riguardo. Sul piano della politica delle strutture si chie-
deva una modifica della direttiva 159 /72 sull'ammodernamento
delle aziende agricole, la contribuzione della Comunità alla rea-
lizzazione di grandi progetti di irrigazione, nonché l'emanazione
di una regolamentazione comunitaria per la promozione della
razionalizzazione delle industrie agro-alimentari esistenti e di nuo-
ve iniziative là dove le condizioni lo consentano.
Questo memorandum mostrava un certo parallelismo con quel-
lo presentato qualche settimana prima dal governo francese, ciò
che ha lasciato supporre per qualche tempo l'esistenza di un fron-
te unito franco-italiano. Tuttavia, come è apparso più chiaramente

114
sui negoziati agricoli consacrati a questo problema, la disponibi-
lità della Francia a venire in appoggio alle istanze italiane su que-
sto terreno appariva già fin da allora improntata ad una logica
di « do ut des », in cui la contropartita che la Francia si atten-
deva era una posizione quanto meno non intransigente da parte
dell'Italia sul problema della revisione del regolamento vitivinico-
lo (e più particolarmente sul problema del controllo delle super-
fici vitate).
Venendo alle nuove proposte della Commissione, presentate al
Consiglio il 12 dicembre, c'è da premettere che anche queste ri-
guardano esclusivamente l'agricoltura, ritenendo che in questo
settore « vi sia maggiore urgenza, oltreché possibilità d'azione
più concreta». La Commissione si dichiara, tuttavia, consapevole
« del fatto che le azioni agricole destinate alle regioni mediter-
ranee vanno integrate con quelle da avviare nel settore della poli-
tica regionale e sociale ». Per quanto concerne più particolarmente
l'agricoltura, le proposte della Commissione riguardano tanto la
politica di mercato quanto la politica strutturale. Le azioni pre-
viste nel primo campo sono relative all'olio d'oliva, agli ortofrut-
ticoli freschi e trasformati, al vino e ai foraggi, e comportano una
spesa annua a carico del Feoga valutata a 100 milioni di uce (cir-
ca 170 miliardi di lire).
Più consistente il programma di misure strutturali, al quale la
Ce avrebbe dovuto contribuire col versamento, ripartito su cin-
que anni, di oltre 1 miliardo di uce, di cui 600-700 milioni do-
vrebbero essere destinati all'Italia. Tra i programmi strutturali,
proposti dalla Commissione, il più importante è quello relativo
alla irrigazione nel Mezzogiorno, a cui avrebbero dovuto essere
destinati circa 260 milioni di uce in cinque anni.
Circa 230 milioni di uce avrebbero dovuto essere destinati al
rimboschimento soprattutto nel Mezzogiorno e nei dipartimenti
mediterranei della Francia, mentre con circa 210 milioni si sa-
rebbero dovute migliorare le strutture nelle regioni agricole svan-
taggiate, per circa 125 milioni di uce, e l'istituzione di un siste-
ma di divulgazione agricola in Italia il cui costo era valutato a
circa 80 milioni di uce.
A parte il volume globale dei mezzi finanziari che questi pro-
grammi avrebbero dovuto mettere in moto - senza dubbio rile-
vante, anche se certamente non risolutivo dei problemi delle

115
regioni mediterranee - è necessario attirare l'attenzione sul fatto
che gran parte di tali mezzi dovrebbe essere più facilmente frui-
bile da parte degli interessati di quanto non avvenga per quelli
previsti da altre misure strutturali, in quanto in gran parte desti-
nati a coprire esigenze finanziarie per il completamento di inve-
stimenti in corso o addirittura già completati. Dovrebbe essere
così evitata, almeno in parte, la situazione in cui più volte si è
venuta a trovare l'Italia a livello comunitario, allorché, dopo aver
ottenuto a fatica qualche provvedimento di carattere strutturale,
ha dato prova di non essere in grado di utilizzare tempestiva-
mente le risorse ottenute.
Un primo dibattito orientativo sulle proposte della Commis-
sione si è avuto nel Consiglio agricolo del 13-14 febbraio 1978,
ma si doveva arrivare all'annuale maratona sui prezzi agricoli,
slittata a fine aprile dello stesso anno, perché il dibattito pren-
desse veramente corpo. Nel frattempo, al vertice di Copenaghen
del 7-8 aprile, il presidente del Consiglio Andreotti aveva insi-
stito perché da un così elevato consesso si invitassero i ministri
dell'agricoltura a fare ogni sforzo per approvare entro la fine di
aprile il « pacchetto mediterraneo ». Andreotti aveva ottenuto
soddisfazione, ma, perché questo invito non restasse allo stadio
delle buone intenzioni, al suo rientro in Italia aveva provveduto a
far pervenire una lettera a tutti i capi di governo della Ce per
metterli al corrente che, qualora non fosse stato approvato il « pac-
chetto mediterraneo », l'Italia non avrebbe sottoscritto l'annuale
accordo sui prezzi agricoli. Questa posizione d'intransigenza è
stata ribadita da Marcora al Consiglio agricolo apertosi a Lus-
semburgo il 24 aprile, dove è subito apparso chiaro che, a parte le
riserve di carattere finanziario addotte soprattutto dalla Germania,
lo scoglio maggiore per l'adozione delle misure era rappresentato
dalle richieste della Francia in materia di revisione della regola-
mentazione nel settore del vino.
C'è da dire, a questo riguardo, che il dossier vitivinicolo, mal-
grado l'armistizio franco-italiano che aveva provvisoriamente chiu-
so la famosa « guerra del vino », e gli adattamenti apportati al
regolamento vitivinicolo di base, era continuato a restare uno dei
dossiers più scottanti della politica agricola comune.
In effetti, tali adattamenti sono serviti a far fronte, in qualche
misura, alle difficoltà congiunturali del settore (eccedenze, caduta

116
dei prezzi, ecc.), ma non a rimuovere completamente i fattori
strutturali di crisi. La Francia, in particolare, aveva lamentato
a più riprese che rimanessero impregiudicati i problemi di fondo
da cui tali difficoltà traevano origine ed in particolare - a suo di-
re - la mancata adozione da parte italiana di misure di controllo
delle superfici coltivate a vite e di una politica di qualità per i vini.
Nell'aprile 1978, il ministro francese dell'agricoltura Méhaignerie
era perfino giunto in Consiglio ad accusare l'Italia di inapplica-
zione dei regolamenti sul vino e ad addossare ad essa gran parte
delle responsabilità per le perturbazioni che affliggono periodica-
mente il mercato del vino. La Commissione si è a lungo occupata
del problema, alla ricerca di soluzioni che assicurassero il miglior
equilibrio possibile sul mercato comunitario del vino. Proprio
nel contesto del « pacchetto mediterraneo » la Commissione aveva
previsto, fra l'altro, il rafforzamento e l'accelerazione delle mi-
sure di miglioramento strutturale dei vigneti nella regione fran-
cese Languedoc-Roussillon.
Nel febbraio dello stesso '78, peraltro, in attesa di assumere
decisioni più globali circa i mezzi più adeguati per conseguire il
miglioramento strutturale della viticoltura comunitaria, la Com-
missione aveva presentato un pacchetto di misure transitorie, es-
senzialmente di mercato, tra cui ne spiccavano due particolar-
mente « dirompenti »: la possibilità, in caso di eccedenze, di
prevedere il magazzinaggio obbligatorio di una parte dei vini da
tavola disponibili, e la possibilità, in caso di grave crisi sul mer-
cato, di vietare le transazioni di vini da tavola al di sotto di un
« prezzo minimo » durante un certo periodo. Su quest'ultima mi-
sura insisteva particolarmente la delegazione francese, preoccupata
di proteggere i viticoltori delle regioni meridionali dall'afflusso
di vino italiano (e domani spagnolo) a buon mercato. Per sco-
raggiare l'espansione della produzione vinicola (in particolare in
Italia), la Francia chiedeva inoltre che fosse fissato su di un li-
vello volontariamente non remunerativo il « prezzo alla distilla-
zione » per il vino eccedentario.
Entrambe queste misure erano state già in precedenti occasioni
respinte fermamente dalla delegazione italiana per le loro riper-
cussioni negative sulla nostra viticoltura. Questa volta, però, la
Francia aveva in mano una carta decisiva che era determinata a
giocare fino in fondo: la sua adesione al « pacchetto mediterra-

117
neo », di cui peraltro essa era parzialmente beneficiaria. È pro-
prio su questo scoglio che si sono arenati i negoziati agricoli di
fine aprile '78 a Lussemburgo. Nel frattempo, però, dopo quattro
giorni di febbrili trattative bilaterali e multilaterali, la prospetti-
va di un compromesso franco-italiano sul problema del vino si
era sensibilmente avvicinata. In particolare, Marcora si era dimo-
strato più flessibile sulla proposta relativa al prezzo minimo in
cambio di adeguate garanzie sul livello del prezzo alla distilla-
zione. Oltre che dall'interesse a far adottare al più presto il « pac-
chetto mediterraneo », questa relativa disponibilità di Marcora
sul problema del prezzo minimo era dettata anche da un'altra
considerazione di più lungo respiro: secondo Marcora, infatti,
non si trattava di una misura assunta essenzialmente in funzione
anti-italiana, ma di una comune barriera difensiva che, se a breve
termine avrebbe giocato in funzione protettiva della produzione
francese, fra non molto, con l'adesione di Grecia, Spagna e Porto-
gallo, avrebbe giovato notevolmente anche ai produttori italiani.
Questa leggera schiarita sul fronte del contenzioso franco-ita-
liano era però turbata dal consolidarsi delle riserve soprattutto
tedesche e britanniche sugli aspetti finanziari del « pacchetto »,
ed in particolare sul livello di partecipazione finanziaria della Co-
munità, e sul costo globale del « pacchetto ». Da una parte, in-
fatti, veniva giudicato eccessivo il tasso del 50% a carico del
Feoga proposto dalla Commissione; dall'altra veniva considerato
esorbitante il volume di mezzi finanziari necessari per realizzare in-
tegralmente il « pacchetto ».
I ministri dell'agricoltura si incontravano così nuovamente a
Bruxelles 1'8 maggio 1978, per una sessione che si annunciava
particolarmente tempestosa, ma probabilmente decisiva. Nel frat-
tempo, si era fatto più consistente il rischio che il « pacchetto »
subisse un pesante ridimensionamento per effetto della prospettata
mancata approvazione di due delle misure previste nel « pacchet-
to»: quella sul rimboschimento e quella relativa all'assistenza tec-
nica da fornire agli agricoltori italiani, il cui costo complessivo
si aggirava sui 300 miliardi di lire (pari, perciò, ad un terzo del
costo previsto per l'intero « pacchetto »).
Questo rischio era reso ancora più consistente dal fatto che lo
stadio di preparazione dei dossiers relativi a queste due azioni
era relativamente meno avanzato rispetto a quello delle restanti

118
azioni. Per tutte queste ragioni è stato obiettivamente difficile
per la delegazione italiana sventare questo rischio. Nella difesa
dell'integrità del « pacchetto » l'Italia si è trovata, infatti, presso-
ché isolata, nonostante i solenni impegni presi un mese prima a
Copenaghen da tutti i capi di stato e di governo. Al ministro del-
l'agricoltura Marcora, di fronte sia al muro di ostilità incontrato
in Consiglio su questo punto sia alla rigorosa « consegna » rice-
vuta in patria da governo e forze politiche, non è rimasto altro
che ricorrere ad un gesto senza precedenti nella storia della parte-
cipazione italiana alla politica agricola comune: quello dell'accet-
tazione « ad referendum » del compromesso globale raggiunto fa-
ticosamente la mattina del 12 maggio. Così facendo Marcora met-
teva una pesante ipoteca sulla esecutività del compromesso in
quanto assoggettava la sua accettazione definitiva del compro-
messo, e quindi la sua entrata in vigore, alla ratifica dell'accordo
da parte del governo italiano. Questa sarebbe dovuta avvenire en-
tro cinque giorni, cioè il 17 maggio. In caso contrario l'intero
compromesso sarebbe stato messo in discussione da parte italiana.
La « riserva» italiana è stata alla scadenza ritirata, dopo un'in-
tensa consultazione tra governo, forze politiche e organizzazioni
professionali e, sembra, dopo aver ottenuto assicurazioni dal go-
verno di Bonn che questo non si sarebbe opposto ad una decisione
favorevole sulle due misure del « pacchetto » rimaste in sospeso:
rimboschimento e assistenza tecnica.
Gli organi d'informazione si sono a lungo soffermati a com-
mentare « a caldo » i diversi aspetti di questa vicenda, sottoli-
neando a nostro avviso eccessivamente i suoi aspetti emozionali,
i « cedimenti » italiani, i veri o presunti « tradimenti » altrui,
eccetera. Ne è venuta fuori l'immagine di un'Italia non solo
incapace di imporsi politicamente sulla scena europea, ma ancora
una volta perdente agli appuntamenti comunitari. Ora quest'ul-
tima accusa non rende certamente giustizia alla verità, non solo
perché con l'approvazione delle due ultime misure del « pacchet-
to mediterraneo » rimaste in sospeso questo dovrebbe ritrovare
la sua integrità iniziale, ma anche perché si è sottostimata l'im-
portanza politica ed economica dell'approvazione delle altre mi-
sure previste nel « pacchetto ».
In definitiva, non si può ignorare che, anche senza conside-
rare le previsioni di spesa per i due provvedimenti in parola, il

119
volume dei trasferimenti di risorse finanziarie in favore dell'Ita-
lia attivati dai provvedimenti approvati nella sessione di maggio
del Consiglio si aggira sui 600 miliardi di lire in cinque anni,
per le misure strutturali e sui 150 miliardi di lire all'anno per le
misure di mercato. Si tratta di cifre certamente non impressio-
nanti, ma comunque tutt'altro che disprezzabili ed in ogni caso
superiori al volume delle risorse provenienti ad esempio dal Fon-
do europeo di sviluppo regionale. In particolare, nel campo delle
misure strutturali, 300 miliardi di lire sono destinati al finan-
ziamento - fino alla concorrenza del 50% del costo - di pro-
grammi di irrigazione nel Mezzogiorno, 144 miliardi a interventi
nel settore delle infrastrutture rurali, il resto è suddiviso tra prov-
vedimenti per il risanamento della produzione di frutta, per la co-
stituzione di associazioni di produttori nel settore ortofrutticolo
e per l'olio d'oliva.
Sul piano degli interventi di mercato, è prevista l'istituzione di
un « premio » alla trasformazione per i concentrati, i pelati e i suc-
chi di pomodoro, per le pesche sciroppate e per le prugne secche;
la riconferma e l'aumento del « premio di penetrazione » per i li-
moni, le arance, i mandarini e le clementine; nonché un rafforza-
mento della protezione dei produttori comunitari contro la con-
\.'.Orrenza delle produzioni ortofrutticole estere.
Per quanto riguarda il vino - che ha costituito come s'è vi-
sto uno dei nodi di questi negoziati agricoli - il compromesso
prevede la possibilità, se necessario, d'introdurre, con decisione
del Consiglio, il prezzo minimo accompagnato da misure di distil-
lazione, ammettendo la necessità di ricorrere a un rafforzamento
delle misure che disciplinano il settore. Questo compromesso ha
però soltanto un carattere interlocutorio, in quanto la Commis-
sione si è impegnata a presentare al Consiglio entro il 30 ago-
sto 1978 un nuovo pacchetto di proposte tanto sugli aspetti
strutturali quanto su quelli di mercato nel settore del vino.

La fissazione dei prezzi agricoli per la campagna 1978-79.


Malgrado il forte anticipo con cui la Commissione aveva pre-
sentato nel 1978 le proposte relative ai prezzi agricoli per la nuo-
va campagna, com'era da attendersi i veri e propri negoziati in
seno al Consiglio sono cominciati con oltre un mese di ritardo ri-
spetto alla data tradizionale che si situa approssimativamente in-

120
torno al 20-25 marzo per consentire l'entrata in vigore dei nuovi
prezzi col 1° aprile, data di inizio delle principali campagne agri-
cole. In effetti, l'appuntamento delle elezioni politiche in Fran-
cia, che per la prima volta aprivano la prospettiva concreta di
un'alternativa di sinistra al governo in carica, non poteva non far
sentire il suo peso anche sull'agenda dei lavori del Consiglio.
Ecco perché l'ormai tradizionale « maratona » agricola di fine
marzo, in cui i ministri dell'agricoltura tentano di sciogliere ogni
anno i nodi più intricati e più delicati della politica agricola co-
mune, non è entrata nella fase cruciale che a fine aprile nella
sessione tenuta a Lussemburgo.
Anche quest'anno i dossiers sul tavolo del Consiglio erano
diversi e ponderosi: oltre a quello sulla fissazione dei prezzi agrico-
li per la nuova campagna, che non costituisce ormai che il prete-
sto rituale di queste riunioni-fiume del Consiglio, vi era quello,
apparentemente di minore importanza, ma politicamente più scot-
tante, sui problemi agro-monetari; inoltre, i negoziatori italiani,
nella fiducia di poter trarre maggior profitto da una piattaforma
negoziale più ampia, avevano insistito per l'inserimento nell'ordi-
ne del giorno del « pacchetto mediterraneo ». In una fase meno
avanzata di preparazione tecnica si trovava, invece, il dossier
« adattamento delle direttive strutturali », cosicché il suo esame
veniva rinviato ad una data ulteriore.
Il « pacchetto prezzi », presentato dalla Commissione il 9 di-
cembre 1977, conteneva proposte particolarmente austere, e dun-
que più difficilmente « digeribili » dalle categorie agricole. Nel
complesso, infatti, l'aumento medio dei prezzi proposto dalla Com-
missione si aggirava sul 2 % , mentre il cosiddetto « metodo obiet-
tivo », basato tra l'altro sull'evoluzione dei costi di produzione,
avrebbe comportato un aumento del 4,2%. Per la Commissione
si trattava però di un'opzione eminentemente politica, in quanto
essa riteneva che una politica prudente dei prezzi agricoli andasse
incontro, in larga misura, non soltanto alle aspettative dei consu-
matori, ma servisse, a lungo termine, anche all'equilibrio dell'a-
gricoltura comunitaria e della politica agricola comune 18 • Un
aumento più elevato, secondo la Commissione, non sarebbe stato
giustificato in un'epoca di recessione, d'inflazione e di equilibrio

" Cfr. « Bollettino delle Comunità europee», n. 12, 1977, punto 1.4.2.

121
del mercato di diversi prodotti. Queste proposte riflettevano an-
che la preoccupazione della Commissione di mettere un freno
all'evoluzione della spesa agricola nel contesto del bilancio comu-
nitario e realizzare, se possibile, sia pure a piccoli passi, un mi-
gliore equilibrio interno della spesa. Contro di esse avevano, però,
protestato le categorie agricole rappresentate in seno al Copa,
che reclamavano un aumento dei prezzi del 5 % .
Un serrato dibattito sulle proposte della Commissione si è
svolto in seno al Parlamento europeo 19 • Esso si è concluso con l'ap-
provazione della proposta di aumento globale dei prezzi del 2 % .
Tale risultato non ha tuttavia posto fine alla divisione del Parla-
mento tra sostenitori di un aumento dei prezzi del 2% (i gruppi
socialista e conservatore, mentre il gruppo comunista si è aste-
nuto) e i fautori di un aumento del 5% (il gruppo democratico
cristiano e il gruppo dei democratici europei per il progresso), che
giudicavano la prima proposta nettamente insufficiente. Il gruppo
liberale si era invece diviso sul problema. Contro la proposta della
Commissione e per un aumento del 4 ,2 % , conforme ai risultati
del « metodo obiettivo », si era invece dichiarato, sia pure a
stretta maggioranza, il Comitato economico e sociale, nella sessio-
ne del 1° marzo 1978.
Ma a parte gli aspetti globali delle proposte della Commissione,
anche la modulazione settoriale di tali proposte costituiva uno
scoglio pieno di insidie per i ministri dell'agricoltura. Nel settore
del latte, ad esempio, l'aumento del 2% del prezzo indicativo,
proposto dalla Commissione, era accolto nell'insieme piuttosto be-
ne dalla Francia, dalla Germania e dalla Danimarca, ma era invece
giudicato troppo debole dal Belgio, dai Paesi Bassi, dal Lussem-
burgo, dall'Italia e dall'Irlanda, in quanto la parallela diminu-
zione degli importi compensativi monetari avrebbe annullato in
pratica l'aumento dei redditi dei produttori. La Gran Bretagna,
infine, non auspicava alcun aumento. L'Italia si dichiarava, inoltre,
contraria ad un aumento del prezzo di orientamento per la carne
bovina, che invece veniva invocato da quasi tutti gli altri partners.
Italia e Germania divergevano, poi, diametralmente su un punto
particolarmente importante per il nostro paese: le integrazioni di

19
Cfr. « Bollettino delle Comunità europee», n. 3, 1978, punto 2.3.11.

122
prezzo sul grano duro, giudicate insufficienti dal primo paese ed
eccessive dal secondo.
L'Italia si trovava inoltre in pos1z1one di « richiedente » su
almeno altri due fronti: quello delle quote di produzione dello
zucchero, di cui richiedeva un aumento, e quello degli ortofrutti-
coli trasformati, per i quali, insieme alla Francia, auspicava che
gli aiuti comunitari fossero estesi ad altri prodotti - succhi e
sciroppi - e che avessero un carattere permanente. Essa si sa-
rebbe invece trovata sulla difensiva sulle proposte di riforma delle
organizzazioni comuni dei mercati per il vino e l'olio d'oliva fatte
dalla Commissione. Poiché, però, come s'è visto, era in gioco non
soltanto il « pacchetto prezzi » ma anche il « pacchetto mediterra-
neo », il governo italiano aveva ritenuto di rafforzare la propria
posizione negoziale su quest'ultimo, informando preventivamente
i governi degli altri paesi della Ce che essa non avrebbe potuto
sottoscrivere un accordo sui prezzi qualora non fosse stato appro-
vato il « pacchetto mediterraneo ». Era con questo preciso man-
dato che il ministro Marcora si era presentato il 24 aprile 197 8
all'appuntamento di Lussemburgo. Abbiamo già raccontato, par-
lando del « pacchetto mediterraneo », le principali vicende di
questi negoziati e di quelli che hanno fatto seguito dall'8 al
12 maggio a Bruxelles.
Com'era da attendersi, il dossier sui prezzi agricoli per la cam-
pagna 1978-79, è stato presto sommerso da quelli più spinosi e
impegnativi relativi al « pacchetto mediterraneo » e ai problemi
agro-monetari. Ciò ha probabilmente concorso a far trovare, con
relativa facilità, una convergenza delle varie delegazioni sulle pro-
poste della Commissione. L'aumento medio dei prezzi comuni,
espressi in uce (2,1 % circa) è in effetti assai vicino a quello
proposto dalla Commissione (2% ), il che dimostra che il Con-
siglio ha condiviso l'opzione della Commissione per una cauta po-
litica in materia di prezzi agricoli. I paesi a moneta debole (Fran-
cia, Italia, Gran Bretagna e Irlanda) hanno tuttavia ottenuto
un'integrazione sotto forma di svalutazione delle loro « monete
verdi», che si traduce in un corrispondente aumento del reddito
dei loro agricoltori, espresso in moneta nazionale. Gli agricoltori
francesi hanno beneficiato di un aumento del 5,85% in media,
quelli italiani del 7 ,25 % , i britannici del 9, 75 % , gli irlandesi
dell'8,25%. La Repubblica federale tedesca, paese a moneta

123
forte, ha ottenuto un aumento inferiore al 2% (1,95 % ), men-
tre la Danimarca e i paesi del Benelux hanno beneficiato di una
maggiorazione del 2,25 % in media.
Ogni paese ha inoltre usufruito di misure complementari che
talvolta hanno assunto il significato di misure compensatrici del
modesto aumento dei prezzi. La Francia ha così avuto soddisfa-
zione per i suoi produttori di carne suina ottenendo la riduzione
dei montanti compensativi monetari per la carne suina, che agi-
scono come premi all'esportazione per i produttori olandesi, da-
nesi e tedeschi. Gli agricoltori del Benelux hanno ottenuto una
piccola soddisfazione sotto forma di una riduzione da 1,5 % a
0,5 % della tassa di corresponsabilità sul latte e di una più con-
sistente sotto forma di « priorità» nella concessione di una parte
dei fondi disponibili sulla sezione orientamento del Feoga. Da
parte sua, la Gran Bretagna ha ottenuto l'autorizzazione al man-
tenimento dei suoi « milk marketing boards » 20, purché siano
rispettate alcune condi:r.ioni di non distorsione della concorrenza.
Per quanto riguarda l'Italia, questa ha tra l'altro ottenuto: un
aumento di 7 .000 lire per ettaro nell'integrazione di prezzo per
il grano duro; la proroga e l'aumento dell'aiuto nazionale alla
produzione bieticolo-saccarifera; un nuovo regolamento di base
per l'olio d'oliva che prevede, tra l'altro, un doppio regime di
aiuto alla produzione e al consumo (rispettivamente 54.000 e
22.000 lire circa al quintale); la riduzione del prelievo sui cereali
foraggeri importati in Italia (uno sgravio di circa 3.500 lire la
tonnellata), eccetera. A questi risultati vanno peraltro aggiunti
quelli, ben più consistenti per l'Italia, derivanti dalle misure di
mercato incluse nel « pacchetto mediterraneo » di cui abbiamo
già riferito.

La politica strutturale: bilanci e prospettive. - A quasi sei anni


dalla loro adozione, la Commissione ha presentato, nel novem-
bre 1977, il secondo rapporto 21 sullo stato di applicazione delle

., I « marketing boards » sono delle organizzazioni orizzontali che controllano


e indirizzano la produzione agricola in Gran Bretagna, pubblicamente riconosciuti
allo scopo di curare la gestione delle vendite nell'interesse dei produttori. Quel-
lo operante nel settore del latte è un esempio tipico di questa organizzazione.
21
COMMISSION DES COMMUNAUTÉS EUROPÉENNES, Deuxième rapport sur l'ap-
plication des directives du Conseil, du 17 avril 1972, concernant la re/orme de
l'agriculture, Com(77) 650 final.

124
direttive strutturali emanate nell'aprile 1972 22 • Per la prima volta
si dispone così degli elementi per tirare un sommario bilancio
di questi primi anni di applicazione delle direttive. In effetti il
rapporto precedente, essendo ancora in corso in molti paesi il pro-
cesso di recepimento delle direttive, si era dovuto pressoché limi-
tare a descrivere lo stato di avanzamento di questo processo, senza
poter fornire informazioni quantitative sul numero e sulle cate-
gorie dei beneficiari. Purtroppo, però, anche questo secondo tap-
porto non fornisce che un bilancio parziale, in quanto l'Italia
(ossia il paese che avrebbe dovuto trarre i maggiori benefici dalle
direttive) era ancora fuori, al momento dell'elaborazione del rap-
porto, dall'area di applicazione completa delle direttive. D'altra
parte, anche il periodo a cui tale bilancio si riferisce è limitato
a pochissimi anni, in quanto, a causa dei ritardi che si sono veri-
ficati in molti paesi nell'attuazione delle disposizioni nazionali di
recepimento, è solo a partire dal 1976 che le citate direttive pos-
sono considerarsi d'applicazione generale, salvo che in Italia e nel
Lussemburgo 23 • Nonostante queste limitazioni, è possibile trarre
dal rapporto indicazioni abbastanza significative sulle tendenze in
atto e sulle difficoltà che si frappongono alla piena utilizzazione
di questi strumenti.
Per quanto riguarda la direttiva 72/159, la più importante
perché destinata ad incidere direttamente sulle strutture di pro-
duzione, i dati disponibili sul numero e sulla natura dei piani di
sviluppo aziendali approvati confermano sostanzialmente quanto
già un anno fa era stato anticipato succintamente in questa sede 24 •
In particolare, i risultati dell'applicazione della direttiva nel cor-
so del 1975 rivelano, secondo il rapporto, che in molte regioni
della Comunità lo sviluppo delle aziende agricole si è realizzato
in grandissima misura nel quadro delle strutture esistenti, cioè
senza un accrescimento della superficie coltivata e dunque essen-
zialmente mediante una intensificazione della produzione. « Que-
sto fenomeno - commenta con linguaggio ovattato il rapporto -
mostra la necessità di conservare alla politica delle strutture agri-
cole l'obiettivo primordiale di modificare in maniera sostanziale
22
Direttive Ce 72/159, 72/160 e 72/161.
23
Va ricordato che il Lussemburgo era stato autorizzato dall'art. 23 della di-
rettiva Ce 72/159 a mantenere la propria legislazione nazionale.
24
Cfr. L'Italia nella politica internazionale, 1976-1977, p. 511.

125
le strutture di produzione, in particolare mediante l'accrescimento
della superficie aziendale ». Il che equivale al riconoscimento
che, almeno finora, tale « obiettivo primordiale » è lungi dall' es-
sere stato raggiunto.
Quanto alla distribuzione territoriale dei piani di sviluppo ap-
provati (circa 55.000 in tutta la Comunità alla fine del 1976), il
rapporto nota che « a parte talune situazioni estreme, la distri-
buzione regionale è stata relativamente equilibrata ». Tuttavia è
un fatto che le aziende che hanno presentato un piano di sviluppo
si concentrano nelle zone territoriali economicamente meglio si-
tuate deIIa Comunità e, all'interno di queste, le aziende che si
modernizzano sono più numerose nelle regioni più ricche. Per
esempio, nella Repubblica federale tedesca, nei Paesi Bassi e in
Belgio, il 40 % dei piani di sviluppo aziendale sono stati avviati
nelle regioni dove il reddito agricolo è vicino o superiore alle
5 .000 uce per ettaro, mentre queste regioni incidono soltanto
per il 23% sull'occupazione e per il 24% sulla superficie agricola.
Inoltre il 79% delle aziende che hanno presentato un piano
avevano una superficie superiore ai 20 ettari. Del resto tutto ciò
non fa che confermare in altro modo quanto già era sembrato
potersi desumere dai risultati parziali dei primi anni di applica-
zione della direttiva: che la possibilità di presentare un piano di
sviluppo aziendale è pressoché circoscritta alle aziende nelle quali
il livello di partenza dei redditi di lavoro si situa non molto al
di sotto del « reddito comparabile» (cioè del reddito da conse-
guire mediante il piano di sviluppo).
Ma i limiti maggiori dell'esperienza in atto sono forse ancora
più evidenti per la direttiva Ce 72/160, con la quale si intendeva
incoraggiare la cessazione dell'attività agricola di un certo numero
di agricoltori e la parallela messa a disposizione delle terre libe-
rate a beneficio degli obiettivi di sviluppo aziendale previsti dalla
direttiva Ce 72/159 . Si può anzi dire che è proprio la scarsa
funzion alità della direttiva Ce 72/160 a spiegare in parte l'im-
patto non soddisfacente, tanto dal punto di vista quantitativo che
da quello qualitativo, della direttiva Ce 72/159. In effetti, se si
prendono i dati relativi al 1975, si rileva che i 15.500 beneficiari
dell'indennità di cessazione hanno liberato circa 200.000 ettari di
superficie agricola utilizzabile. Tuttavia, soltanto il 12% della
superficie liberata è servita ai fini previsti dalla direttiva, ma sol-

126
tanto un'infima frazione dei casi (meno del 2 % ) ha potuto usu-
fruire del concorso finanziario comunitario. « Non è stato dunque
possibile finora - commenta a questo riguardo il rapporto -
realizzare nella misura che sarebbe stata necessaria la combinazio-
ne dei due obiettivi di questa direttiva, cioè, da una parte, of-
frire una alternativa di reddito a quelli che non possono o non
vogliono sviluppare la loro impresa e, d'altra parte, dirigere le
terre così liberate verso le imprese che presentino un piano di
sviluppo, ai termini della direttiva Ce 72/159 ». Le ragioni di
questa situazione sono diverse. Il rapporto cita, in proposito,
« una applicazione restrittiva in taluni stati membri », « la fissa-
zione delle indennità e premi ad un livello troppo basso », « le
lacune e gli ostacoli in materia di legislazione fondiaria ». Proba-
bilmente però le cause reali, almeno in Italia, sono più ampie e
di carattere più generale e si ricollegano al tradizionale immobili-
smo del mercato fondiario che, in una fase congiunturale così in-
certa come l'attuale, nella quale, a torto o a ragione, la terra as-
sume il ruolo di bene rifugio, tende ad accentuarsi.
Per quanto riguarda, infine, le altre direttive strutturali (e cioè
la direttiva Ce 72/161 sull'informazione socio-economica e la di-
rettiva Ce 75 / 268 sull'agricoltura di montagna e altre zone svan-
taggiate), trovandosi esse in uno stadio di applicazione ancora
meno avanzato, il rapporto non può che limitarsi a brevi cenni
sulle modalità di applicazione delle stesse nei vari paesi membri.
Il rapporto, però, non si limita a tracciare un bilancio del primo
quinquennio dall'approvazione delle direttive ma, come previsto
dall'art. 16 della direttiva Ce 72/159, contiene anche una serie
di proposte di adattamento delle direttive di base, intese a miglio-
rare la loro rispondenza alle esigenze strutturali delle agricolture
dei paesi membri.
Diciamo subito che la portata innovativa di tali proposte è,
a nostro avviso, tutt'altro che sconvolgente. In effetti, per la
direttiva Ce 72/159, la sola proposta di modifica riguarda la pro-
roga oltre il 31 dicembre 1977 (data limite fissata dalla direttiva
Ce 72/159) della possibilità di concedere aiuti transitori, a carico
dei paesi membri, alle aziende che non sono in grado di raggiun-
gere il reddito comparabile. Considerata la lentezza con cui nei
vari paesi membri - e non solo in Italia - si è proceduto all'ap-
plicazione delle direttive strutturali, la proposta della Commis-

127
sione di una proroga della facoltà di concedere aiuti nazionali
appare non solo opportuna, ma addirittura indispensabile. Ci si
può tuttavia ragionevolmente chiedere se l'esperienza di applica-
zione (o non applicazione) della direttiva 159 non sia già tale da
consigliare ben altri adattamenti al tenore della direttiva.
Per quanto riguarda la direttiva Ce 72/160, le proposte di
modifica presentate dalla Commissione partono dalla premessa che,
finora, l'esperienza di applicazione della direttiva ha mostrato che
non sempre le misure previste dalla direttiva sono state sufficienti
per stimolare gli agricoltori che cessano la loro attività a mettere
a disposizione di altre imprese le terre da loro liberate. La Com-
missione si propone di incidere su questo comportamento agendo
essenzialmente sull'ammontare del premio di apporto strutturale,
che diviene pari a quattro volte il valore locativo della super-
ficie agricola utilizzata resa disponibile. Inoltre, tale premio, che
prima era a totale carico degli stati membri, diviene imputabile
al Feoga nella stessa misura dell'indennità di pre-pensionamento
(e cioè 25%, salvo che nelle zone svantaggiate dove la percen-
tuale sale al 65% ). Infine, la Commissione propone di affidare al
Feoga l'attuazione delle misure previste dalla direttiva a beneficio
delle regioni dell'Ovest dell'Irlanda e del Mezzogiorno italiano.
In particolare, per tali regioni, l'indennità annua di pre-pensiona-
mento sarebbe imputabile anche se le superfici agricole utilizzate
rese libere servono all'ampliamento di un'azienda agricola che non
consegna il reddito comparabile.

L'esperienza italiana. - Sono note le vicende politico-giuridico-


amministrative che hanno portato il nostro paese a .segnare il passo
per diversi anni nell'adozione delle misure di recepimento delle
direttive strutturali della Comunità. Noi stessi ne abbiamo suc-
cintamente riferito nei precedenti Annuari e non è dunque il
caso di ripercorrere l'iter tortuoso e faticoso di queste vicende.
Qui basti dire che alla fine del novembre 1977 - data di pre-
sentazione del già citato secondo rapporto sull'applicazione delle
direttive - la Commissione segnalava di aver ricevuto, per quan-
to riguarda l'Italia, le leggi definitive di adozione di sole tre re-
gioni (Piemonte, Emilia-Romagna e Toscana).
In attesa di poter tracciare anche per l'Italia un bilancio si-
gnificativo - se non esaustivo - dell'esperienza italiana di ap-

128
plicazione delle direttive, vale forse la pena di chiedersi se, al di là
delle « querelles » stato-regioni, che hanno senza dubbio rallen-
tato sensibilmente l'avviamento di queste riforme strutturali, non
sussistano a monte ragioni più profonde che facciano meglio com-
prendere il perché di tali ritardi e delle difficoltà istituzionali ine-
renti il loro recepimento. È quello che, tra l'altro, ha cercato di
fare l'Inea (Istituto nazionale di economia agraria) nel suo primo
rapporto sull'attuazione delle direttive comunitarie elaborato per
conto del Ministero dell'agricoltura e presentato al Parlamento nel
luglio 1977 25 •
Il primo fattore che il citato rapporto adduce a tale riguardo è
la limitatezza degli interventi indotti dall'applicazione delle diretti-
ve comunitarie rispetto alle esigenze delle politiche agrarie regio-
nali. Tale limitatezza assume sia l'aspetto dell'esiguità dell'inter-
vento finanziario sia quello della sua inadeguatezza rispetto alle
strozzature strutturali esistenti nelle agricolture regionali. Ciò
avrebbe portato gli istituti regionali alla convinzione « di una so-
stanziale mancanza di capacità di tali provvedimenti di incidere in
modo risolutivo sui problemi dell'agricoltura e pertanto a consi-
derare i provvedimenti stessi poco utili e difficilmente applicabili ».
Basti dire che in molte regioni il numero dei piani aziendali fi-
nanziabili coi fondi messi a disposizione dalla direttiva Ce 72/159
non raggiunge l'l % delle aziende esistenti nelle regioni. Anche
per l'attuazione della direttiva Ce 72/160, l'entità dell'indenni-
tà annua di pre-pensionamento (pari a 560.000 lire) e più in ge-
nerale le altre misure previste sono ritenute « irrilevanti ai fini
di incentivare la cessazione dell'attività agricola e la mobilità fon-
diaria ».
Ma la limitatezza dell'intervento indotto dalle direttive - so-
stiene il citato rapporto - non è dovuta soltanto all'entità degli
stanziamenti previsti, bensl anche - e qui si tocca il cuore del
provvedimento - proprio alle modalità che ne regolano l'eroga-
zione. In effetti, se il criterio del reddito comparabile assunto
come discriminante per l'accesso all'intervento pubblico presen-
ta degli indubbi vantaggi, esso, secondo l'Inea, rischia di far
escludere dall'intervento gran parte della realtà agricola italiana.
23
Una sintesi di questo aspetto particolare del voluminoso rapporto dell'lnea
è riportata nella « Rivista di economia agraria », n. 4, 1977, cui facciamo rife-
rimento in questa sede.

129
« Ciò è dovuto - si legge nel rapporto - al fatto che tutte le
regioni italiane presentano una struttura produttiva agricola pro-
fondamente dualistica, con polarizzazione di aziende piccole e pic-
colissime da un lato, che non conseguono oggi un reddito di pa-
rità, e aziende economicamente efficienti dall'altro, che già da
tempo godono di redditi pari o superiori a quello comparabile.
In tale situazione, l'intervento potrebbe rivolgersi solo alla prima
fascia di aziende, in quanto della seconda potrebbero essere in-
teressate solo quelle aziende il cui reddito, in assenza del piano
di sviluppo, corre il rischio di divenire inferiore a quello compa-
rabile. Ma per la fascia di aziende piccole e piccolissime, il pro-
blema dei bassi redditi è dovuto, in genere, alla limitatezza della
dimensione aziendale ed all'eccessivo carico di lavoro rispetto
all'ampiezza dell'azienda stessa ». « Per potere attuare la diretti-
va Ce 72/159 in tale fascia - continua il rapporto - diverrebbe
dunque indispensabile il funzionamento della 72/160, che po-
trebbe appunto stimolare l'ampliamento della base aziendale.
Tuttavia, come è già stato osservato, l'attuazione delia direttiva
Ce 72/160 presenta una serie di difficoltà notevoli, dovute sia
alla modalità del tipo di intervento previsto, sia alla situazione con-
giunturale, che induce a considerare la terra un bene rifugio >> .
Altre perplessità ha fatto nascere la prospettiva resa più con-
creta dalla direttiva Ce 72/160 di un'accelerazione del processo
di espulsione di manodopera dall'agricoltura, in un momento di
recessione economica e in assenza di una coerente politica sociale
e del territorio, avente come obiettivo 1a creazione di nuovi posti
di lavoro per chi lasci l'agricoltura. Tutti questi fattori - ed
altri ancora elencati nel rapporto - avrebbero comportato una
notevole sfiducia nell'operatività delle direttive che, unitamente
alle difficoltà legate all'assetto istituzionale del potere pubblico,
avrebbero ostacolato o rallentato il recepimento delle direttive
da parte delle regioni.
È probabile che tutti questi fattori abbiano effettivamente
concorso a frenare gli entusiasmi per l'attuazione di una riforma
che pure per anni si era invocata a gran voce. Non si vorrebbe,
tuttavia, che essi costituissero una sorta di alibi all'inerzia dei
poteri regionali o alla loro ricerca senza fine di particolaristiche
soluzioni che si ponessero al di fuori dal quadro fissato dalle di-
rettive e che pertanto difficilmente potrebbero essere accettate

130
a Bruxelles. Quel che è grave per l'Italia, in vista dell'auspicata
riforma delle direttive strutturali, è che essa si presenti a questo
appuntamento in uno stato pressoché generale di « non applica-
zione » delle direttive, e dunque in condizione di non poter suf-
fragare le proprie proposte di adattamento coi risultati di un'espe-
rienza di applicazione quanto meno limitata alle principali realtà
strutturali della nostra agricoltura.

131
X

LA POLITICA AGRICOLA 1978-79*

Agricoltura e alimentai.ione

La situazione mondiale dell'alimentazione. - Vista alla luce dei


risultati produttivi per il 1978, la situazione alimentare mondiale
a metà del 1979 P!esenta qualche leggera schiarita, ma molte zone
d'ombra. Permangono, inoltre, in tutta la loro gravità, ed anzi per
certi aspetti continuano ad aggravarsi, i problemi di fondo ed i
nodi strutturali che impediscono ad una parte crescente dell'uma-
nità di accedere a livelli di consumi alimentari sia pure appena
adeguati alle esigenze fisiologiche minime. La produzione alimen-
tare mondiale è in effetti aumentata del 3% nel 1978, tanto nei
paesi in via di sviluppo quanto in quelli già sviluppati, mante-
nendosi, perciò, di circa un punto al di sopra dell'incremento de-
mografico annuo 1• La produzione cerealicola, in particolare, è au-
mentata nel complesso del 7%, raggiungendo il nuovo livello re-
cord di 1.435 milioni di tonnellate (riso compreso}, cifra che si
situa notevolmente al di sopra di quella ottenuta come proiezione
delle tendenze del passato. Per il quarto anno consecutivo, per-
ciò, gli stocks cerealicoli di fine campagna dovrebbero accrescersi
in misura sensibile, superando i 200 milioni di tonnellate alla
fine della campagna 1978-79 (escluse la Cina e l'Urss), pari al 21 %
del consumo totale. Essi sono, perciò, globalmente superiori al
livello minimo ritenuto necessario dalla Fao per assicurare la
sicurezza alimentare mondiale (17-18% dei consumi).
Malgrado questi sintomi di miglioramento, parecchi elementi
inducono a rifuggire da ogni tentazione di affrettato compiaci-
mento.
Se si scende, infatti, ad un livello di analisi appena un po' più
raffinato, ci si rende conto che è proprio nelle pieghe di queste
cifre globali che si annidano le insidie e le incertezze di sempre
sulla situazione alimentare mondiale. Ci si accorge, così, che una
1 Cfr. FAO, Situation actuelle de l'alimentation dans le monde, Roma, aprile

1979. È ad essa che abbiamo attinto molte delle informazioni fornite in questo
capitolo.
* In
IAI, “L’Italia nella politica internazionale: 1978-1979”, Edizioni di
Comunità, Milano, 1980

132
parte del miglioramento registrato nel 1978 dalla produzione ali-
mentare nei paesi in via di sviluppo è in realtà dovuto ad un
semplice recupero della produzione rispetto alla flessione registrata
nel 1977. È questo, ad esempio, il caso dei paesi del Medio Oriente
e soprattutto dell'Africa. Anche se è proprio l'Africa la regione,
fra quelle in via di sviluppo, che nel 1978 ha registrato il tasso
di incremento produttivo più elevato (4 % ), essa non ha miglio-
rato che impercettibilmente la media annuale del periodo 1970-
78, che si situa ad appena l'l,4%, cioè al di sotto del tasso di
incremento demografico.
La produzione per abitante in questa regione si è perciò ri-
dotta nel periodo considerato di circa il 1O% . La degradazione
della situazione alimentare in Africa ha peraltro indotto i ministri
dell'agricoltura del continente a domandare alla Fao di preparare
un piano alimentare regionale in cooperazione con altre organiz-
zazioni internazionali ed africane (Eca e stati membri dell'Oua).
Tale piano è stato presentato nel settembre 1978 alla decima
Conferenza regionale per l'Africa, che ne ha approvato in linea di
massima l'analisi e le conclusioni e ha domandato ai governi,
gruppi intergovernativi e organizzazioni internazionali di intra-
prendere un'azione appropriata.
Quanto alla produzione di cereali, la partecipazione dei paesi
in via di sviluppo all'incremento globale registrato nel 1978 è di
appena il 20%, benché essi ne producano in media circa il 45%
del totale mondiale. Anche per quanto riguarda la ripartizione geo-
grafica degli stocks cerealicoli, la situazione è più preoccupante
di quanto non lascino apparire le cifre globali. Come fa rilevare
la Fao, essi sono infatti fortemente concentrati nei paesi espor-
tatori e più della metà si trovano negli Stati Uniti e nel Canada.
Ciò significa per lo meno due cose: da una parte, che la loro esi-
stenza è dovuta non tanto ad un'eccedenza delle disponibilità ri-
spetto alle effettive esigenze alimentari mondiali, ma piuttosto
alle limitazioni provenienti dalla capacità di indebitamento dei
paesi consumatori, ed in particolare dei paesi in via di sviluppo, i
cui livelli di consumo sarebbero evidentemente ben più soddisfa-
centi in assenza di tale vincolo economico; dall'altra che, nel caso
in cui sopravvenisse un bisogno straordinario d'importazione, la
concentrazione degli stocks negli Stati Uniti e in Canada potrebbe
porre dei gravi problemi logistici d'approvvigionamento, in quan-

133
to le strutture di trasporto (ed in particolare porti e ferrovie) sono
già sovraccariche al livello attuale degli scambi. Del resto, che si
tratti di una sicurezza alimentare piuttosto fittizia lo dimostra an-
che il fatto che circa il 4 5 % degli stocks disponibili negli Stati
Uniti alla fine della campagna 1978-79 saranno temporaneamente
ritirati dal mercato per impedire che i prezzi scendano al di sotto
di certi livelli.
Quel che, però, è ancor più grave e preoccupante è che nessun
progresso sia stato conseguito nel coordinamento delle politiche
di stoccaggio dei cereali a livello internazionale. Si era infatti spe-
rato negli ultimi anni che la ricostituzione progressiva degli stocks
cerealicoli favorisse la creazione di un sistema di riserve nazionali
coordinato a livello internazionale. Ed in effetti l'organizzazione
di questo sistema è stata oggetto di lunghi negoziati nel quadro
del rinnovo dell'accordo internazionale sui cereali. Questi nego-
ziati si sono però bruscamente interrotti il 14 febbraio 1979, pro-
prio per la difficoltà di trovare un accordo sui prezzi, sul volume
degli stocks di riserva e sull'aiuto speciale ai paesi in via di svi-
luppo. Nel corso di tali negoziati, si è così assistito, ancora una
volta, ad un tiro alla fune quanto mai penoso tra paesi ricchi e
paesi in via di sviluppo sulle condizioni di partecipazione di cia-
scuno a questo sistema, che dimostra quanto sia difficile riempire
di contenuti concreti anche i buoni propositi espressi in questo
campo.
In seguito all'aggiornamento « sine die » di tali negoziati, il
direttore generale della Fao, Edouard Saouma, facendo appello
alla « buona volontà dei governi » ed in particolare a quelli dei
paesi sviluppati « per accettare l'idea che la responsabilità della
sicurezza alimentare mondiale incombe su tutta la comunità in-
ternazionale», ha lanciato all'inizio del marzo 1979 un piano d'azio-
ne per i problemi alimentari più urgenti dei paesi in via di svi-
luppo. Esso prevede un sistema facoltativo di riserve alimentari a
livello nazionale, coordinate a livello internazionale; i paesi ricchi
sono chiamati ad aiutare i paesi poveri a costituire e a finanziare
le proprie riserve, e ad aumentare inoltre il loro aiuto alimen-
tare ai paesi in via di sviluppo. Tale piano, che è stato approvato
nel giugno 1979 dal Consiglio della Fao, non intende però sosti-
tuirsi ad un nuovo accordo internazionale sui cereali, ritenuto co-

134
munque indispensabile per l'instaurazione di un sistema di sicu-
rezza alimentare mondiale « reale e durevole ».

I risultati produttivi e i mercati agricoli. - Gran parte del mi-


glioramento della produzione alimentare mondiale nel 1978 è do-
vuta agli ottimi risultati produttivi conseguiti nel settore dei ce-
reali ( + 7 % ) ed in particolare in quello del grano ( + 14 ,2 % ), la
cui produzione ha battuto ogni record precedente (440 milioni di
tonnellate).
La quasi totalità delle grandi zone produttrici hanno benefi-
ciato infatti di condizioni meteorologiche particolarmente favore-
voli; ma è stata l'Unione Sovietica a far registrare gli incrementi
produttivi relativamente più consistenti, anche se ciò è dovuto in
parte ai modesti raccolti ottenuti nel 1977 (20% in più per i
cereali nel loro insieme, 31 % in più per il grano e 60 % in più
per la segale). Fra i paesi in via di sviluppo, i progressi realizzati
in Argentina, Cina e India sono stati in parte annullati dalla
contrazione della produzione cerealicola del Brasile. Anche la pro-
duzione di cereali secondari è comunque migliorata rispetto al
1977, soprattutto quella dell'orzo ( + 8 ,5 % ), che però aveva re-
gistrato una flessione l'anno precedente. Il riso, dal canto suo,
ha migliorato ulteriormente i risultati produttivi del 1977, avendo
fatto registrare un aumento del 3 ,3 % .
Meno soddisfacente è l'aumento della produzione mondiale di
carne, che è stato inferiore al 2 % , mentre negli ultimi 15 anni
si era registrato un incremento medio annuo del 3 % . Ciò è do-
vuto essenzialmente al fatto che la produzione di carne bovina è
leggermente diminuita per la prima volta dal 1971, a causa so-
prattutto della contrazione produttiva nell'America del Nord e in
Oceania. Tale diminuzione è stata però più che compensata dal-
l'incremento della produzione di carne suina e di pollame. Quanto
alle altre principali derrate, sono da registrare una flessione di circa
un milione di tonnellate nella produzione mondiale di zucchero,
che però resta ancora di 7 milioni di tonnellate al di sopra dei
consumi mondiali, e un raccolto record di soia negli Stati Unìti e
in Argentina, a cui si contrappone invece una forte contrazione
produttiva in Brasile (circa 2,5 milioni di tonnellate in meno ri-
spetto al 1977). Sono migliorate anche la produzione di caffè

135
(+5% rispetto al 1977) e quella di cacao (+6%), che però non
sono ancora tornate sui livelli del 1974 e del 1975.
L'abbondanza dei raccolti cerealicoli non ha impedito una ulte-
riore lievitazione dei prezzi d'esportazione, quanto meno di quelli
espressi in dollari Usa, che per taluni prodotti, come il grano, è
stata piuttosto rilevante. Se si prende, infatti, in considerazione il
periodo di dodici mesi terminato nel febbraio 1979, si constata
che i prezzi in dollari Usa del grano, del mais e del sorgo sono ri-
spettivamente aumentati del 21%, del 6% e del 9%. Vari fat-
tori hanno concorso a determinare questa tendenza al rialzo, che
si è registrata malgrado una parallela contrazione dell'interscambio
mondiale di cereali. Anzitutto, l'avvio negli Stati Uniti del pro-
gramma triennale di stoccaggio presso gli agricoltori deciso dal
governo l'anno prima ha consentito di sottrarre dal mercato circa
10,5 milioni di tonnellate di grano, pari al 13% degli stocks di
riporto dalla precedente campagna, il che ha allentato considere-
volmente la pressione dell'offerta sulla domanda.
In secondo luogo, è probabile che la progressiva svalutazione
del dollaro abbia spinto gli esportatori a recuperare, attraverso
appunto la lievitazione dei prezzi all'esportazione, la perdita del
potere d'acquisto del dollaro. Benché, infatti, i prezzi dei cereali
siano sensibilmente aumentati in dollari Usa, i prezzi pagati da
taluni grandi paesi importatori in base alla propria moneta sono
aumentati molto meno ed in certi casi sono addirittura diminuiti.
Questo vale anche per i semi di soia, i cui corsi in dollari Usa
sono aumentati nello stesso periodo di circa il 20%; ma occorre
dire che in questo caso ha anche contribuito la forte domanda d'im-
portazione, tanto nei paesi sviluppati quanto in quelli in via di
sviluppo. Non sono inoltre da escludere forme più o meno occulte
di « cartellizzazione » dei principali produttori mondiali di ce-
reali, auspicate pubblicamente più volte dalle associazioni dei pro-
duttori cerealicoli americani, canadesi e australiani.
Del resto, l'accordo raggiunto a Saskatoon (Canada) il 10 mag-
gio 1979 tra i ministri dell'agricoltura dei quattro principali paesi
esportatori di cereali (Argentina, Australia, Canada e Stati Uniti,
che totalizzano 1'85% delle esportazioni mondiali) non è altro che
una forma nemmeno troppo larvata di cartello. Anche se il se-
gretario americano dell'agricoltura, Bob Bergland, ha tenuto ad

136
escludere che si possa parlare a questo proposito di cartello vero
e proprio, egli ha comunque ammesso che in tale occasione si è
arrivati ad un accordo per evitare in futuro ogni forma di « guer-
ra dei prezzi » tra i quattro paesi ed ogni modifica dei rispettivi
programmi di sostegno dei prezzi e di stoccaggio senza consultarsi
preventivamente 2 •
Ciò significa, in pratica, che anche senza l'istituzione formaledi
un prezzo minimo, tale accordo avrà come effetto quello di trasfor-
mare di fatto l'attuale prezzo mondiale in un prezzo minimo 3 •
Si sarà così conseguito anche l'obiettivo della stabilizzazione dei
redditi dei produttori cerealicoli; ma a quale prezzo per i paesi
consumatori in via di sviluppo?
Vale la pena aggiungere, a questo riguardo, che non è mancato
nemmeno in questa occasione il solito auspicio per la conclusione
di un accordo internazionale sul grano. Ma perché fosse chiaro
quali erano le loro intenzioni, i ministri hanno aggiunto che « sarà
comunque difficile appianare le divergenze di vedute fondamen-
tali sui livelli dei prezzi e l'entità delle riserve in un prossimo
avvenire » 4 •
Ritornando all'evoluzione dei prezzi e dei mercati internazionali
nel 1978, v'è da segnalare una flessione dei prezzi del riso del
20% tra il livello massimo dell'aprile 1978 e quello dell'aprile
1979, e una caduta dei prezzi dello zucchero al loro più basso
livello dopo il 1972 (8 centesimi di dollaro per libbra contro il
massimo storico di 65 ,5 centesimi quotati a New York il 20 no-
vembre 1974). Entrambi questi fenomeni sono dovuti all'abbon-
danza dei raccolti negli ultimi due anni che hanno determinato
un eccessivo gonfiamento delle eccedenze esportabili. La flessione
dei prezzi del caffè, iniziata nel 1977 dopo la vertiginosa scalata
del 1975, è continuata e si è anzi accentuata nel 1978 (- 45%
tra la fine del 1977 e il dicembre 1978), essendo ritornata la
situazione di mercato in condizioni più normali. I prezzi del cacao
(in dollari Usa) sono invece saliti del 25% anche a causa dei mo-
desti raccolti avutisi negli ultimi anni.

2
Cfr. « Il Sole-24 Ore » del 16 maggio 1979 e « Europe » del 14-15 maggio
1979.
3
Cfr. « Il Sole-24 Ore» del 17 maggio 1979.
< Gr. « Europolitique », n. 596, 16 maggio 1979.

137
Gli aiuti esterni allo sviluppo agricolo. - In base agli ultimi
dati disponibili, gli impegni ufficiali d'assistenza esterna a favore
della produzione agricolo.alimentare nei paesi in via di sviluppo
(salvo quelli dei paesi ad economia di stato) sono valutabili sui
4,7 miliardi di dollari nel 1977, di cui 3,1 miliardi di dollari (pari
al 66% del totale) rappresentano aiuti a condizioni di favore (e
cioè doni oppure prestiti che comportino una quota di dono supe·
riore al 25%) 5•
Queste cifre denotano un sensibile miglioramento rispetto al
1976 (rispettivamente del 29% e del 22% in termini reali), ma
occorre tenere presente che nei due .anni precedenti si era regi-
strata una flessione (in termini reali) degli aiuti rispetto al 1974,
attribuita alla politica d'austerità seguita in quasi tutti i paesi
sviluppati.
Tale miglioramento dovrebbe, comunque, essere proseguito nel
1978. Infatti, anche se non si dispone ancora di dati completi per
il 1978, si sa già che i crediti in favore della produzione alimen-
tare approvati dalla Banca mondiale e dall'Associazione interna-
zionale per lo sviluppo (l'agenzia della Banca incaricata dei prestiti
a condizione di favore), che insieme rappresentano le fonti princi-
pali di assistenza esterna all'agricoltura, sono aumentati (in mo·
neta corrente) da 2 a 3,1 miliardi di dollari tra il 1977 e il 1978.
Malgrado la ripresa registrata negli ultimi due anni, siamo an-
cora ben lontani dagli obiettivi che il Consiglio mondiale dell'ali•
mentazione aveva giudicato indispensabile raggiungere affinché la
produzione alimentare progredisse del 4% all'anno nei paesi in
via di sviluppo. Per il 1977 l'aiuto totale (ai prezzi del 1975) si
situa infatti del 48% al di sotto di tale obiettivo (8,3 miliardi di
doliari), ma la distanza è ancora maggiore (56%) per gli aiuti a
condizione di favore (il cui obiettivo era stato fissato in 6,5 mi-
liardi di dollari).
Uno dei fattori principali di questa situazione, a parte l'esi-
guità del volume complessivo di risorse destinato all'aiuto allo
sviluppo dai paesi occidentali (O ,31 % del prodotto nazionale lor-
do nel 1977, contro lo 0,7% fissato dalle Nazioni unite) risiede
nella scarsa priorità che viene attribuita dai « donatori» (ad ecce•
zione della Banca mondiale), ma anche dai paesi beneficiari, ai pro-

5
FAO, Situation actuelle de l'alimentation dans le monde, cit.

138
getti di sviluppo agricolo e rurale. Soltanto il 17% dell'aiuto ester-
no allo sviluppo concesso nel 1977 dai vari organismi multilaterali
o bilaterali è stato infatti destinato all'agricoltura. Ecco perché il
Consiglio della Fao ha invitato a più riprese negli ultimi anni
tutti i donatori ad aumentare il loro aiuto esterno all'agricoltura e
a concedere ai paesi beneficiari condizioni più favorevoli. Questo
appello è stato reiterato anche dalla Conferenza mondiale sulla
riforma agraria e lo sviluppo rurale, che ha avuto luogo a Roma
dal 12 al 20 luglio 1979. In tale occasione, i donatori sono stati
peraltro invitati ad allargare il ventaglio dei progetti di sviluppo
agricolo finanziati e ad « assicurare una partecipazione più attiva
delle popolazioni » ai piccoli progetti di sviluppo.
La Fao, dal canto suo, ha annunziato alla fine del 1978 di aver
preparato negli ultimi 14 anni, tramite l'apposito Centro d'inve-
stimento creato nel 1964, 332 progetti di sviluppo agricolo e ali-
mentare, localizzati in 85 paesi e comportanti un volume d'investi-
mento pari a 13 miliardi di dollari, di cui quasi la metà raccolti
negli ultimi due anni. L'apporto esterno nel finanziamento di tali
progetti si aggira sul 50% delle somme investite, la parte restante
essendo stata assunta a carico di organismi finanziari interni ai
paesi interessati.
Oltre la metà dell'aiuto esterno allo sviluppo agricolo è fornita,
nel quadro di rapporti bilaterali o multilaterali, dal gruppo di
diciassette paesi facenti parte del Comitato d'aiuto allo sviluppo
dell'Ocse (Cad) e dalla Comunità. Nel 1977 essi hanno infatti for-
nito insieme un contributo leggermente inferiore ai 2,6 miliardi
di dollari. La Comunità in quanto tale ha fornito, da sola, circa
300 milioni di dollari, che, aggiunti ai circa 900 milioni di dollari
messi a disposizione dai nove stati membri, rappresentano insieme
circa un quarto del volume complessivo dell'aiuto esterno allo svi-
luppo agricolo.
La maggior parte dell'aiuto della Comunità è stata fornita me-
diante il Fondo europeo di sviluppo (Fed) ed è quindi andata a
beneficio dei paesi aderenti alla Convenzione di Lomé (paesi Acp).
Ma l'aiuto attribuito ai paesi non associati, la cui introduzione nel
bilancio comunitario data soltanto dal 1976, è in netto aumento:
dai 27 milioni di dollari del 197 6 si è infatti passati ai 62 nel
1977, ai 96 nel 1978 e ai 151 milioni di dollari nel 1979. Que-

139
st'ultimo è pressoché integralmente devoluto allo sviluppo agricolo
e rurale dei paesi beneficiari 6, ed in particolare all'aumento della
produzione alimentare destinata al consumo locale. I progetti che
sono stati finora finanziati riguardano, in particolare, lo stoccaggio
dei cereali, l'irrigazione, lo sviluppo della pesca e dell'allevamento
e la ricerca agricola. In genere questi progetti sono realizzati in
collaborazione con uno o più stati membri, con organismi regio-
nali di sviluppo e con la Banca mondiale.
Sempre dal 1976, la Comunità partecipa, peraltro, al finanzia-
mento di progetti, in particolare nel settore agricolo, realizzati in
collaborazione con organizzazioni non governative. Nel 1978 sono
stati cofinanziati 175 progetti (localizzati soprattutto in Africa)
per un investimento totale di circa 48 milioni di dollari, al cui
finanziamento la Comunità ha contribuito per il 34 % .
La priorità allo sviluppo agricolo e rurale, pressoché totale per
l'aiuto ai paesi non associati, si va progressivamente affermando
anche per gli aiuti concessi nel quadro della cooperazione Ce-Acp,
per i quali la Comunità ha sempre lasciato ai paesi associati un'am-
pia libertà nella scelta delle proprie priorità settoriali. Basti dire
che, mentre nel primo Fed (1958-1962) i due terzi delle disponi-
bilità sono stati utilizzati per il miglioramento delle infrastrut-
ture economiche, nel quarto Fed (1975-1980) quasi il 40% de-
gli stanziamenti sono devoluti allo sviluppo agricolo e rurale.
Questa media è peraltro ampiamente superata in numerosi paesi,
nei quali il settore rurale assorbe dal 7 5 al 100 % degli stanzia-
menti. Ancor pii:1 significativa è l'importanza assunta all'interno
del settore agricolo dai progetti di sviluppo rurale integrato e
dai microprogetti: 43% rispetto alla media dell'8% dei primi
tre Fed. L'affermarsi della priorità dello sviluppo agricolo emerge,
del resto, anche dal volume complessivo di risorse destinate nei
vari Fed al finanziamento di progetti agricoli: nei primi tre Fed
(1958-1975) sono stati infatti finanziati in totale 274 progetti
agricoli, per un importo complessivo di circa 800 milioni di dol-
lari, mentre nel solo quarto Fed saranno finanziati 255 pro-
getti per un importo di 950 milioni di dollari.

6
L'aiuto è concentrato per i tre quarti in Asia, e soprattutto in India, Bangla-
desh, Indonesia, Pakistan, Sri Lanka e Nepal.

140
La politica agricola comune

Sviluppi della politica comune dei prezzi e dei mercati: la lotta


alle eccedenze. - AI punto in cui la politica agricola comune è
giunta (1'88% della produzione vendibile dell'agricoltura comu-
nitaria è coperto da organizzazioni comuni di mercato, il cui costo
per il 1978 è stato di 8,7 miliardi di uce 7, pari al 95,6% dell'in-
tera spesa agricola comune e al 68,5% del bilancio generale delle
Comunità), è comprensibile che le preoccupazioni di carattere fi-
nanziario abbiano acquisito negli ultimi anni un peso sempre più
rilevante, quanto meno negli orientamenti della Commissione Ce.
È infatti dal 1977 che essa persegue una politica prudente dei
prezzi agricoli, dettata, oltre che dalla preoccupazione di conte-
nere entro limiti ragionevoli l'espansione in parte patologica delle
spese agricole, dalla volontà di conseguire un migliore equilibrio
tra la spesa per la garanzia dei mercati agricoli e la spesa dispo-
nibile per gli altri settori e le altre politiche comuni (31 ,5% del
totale nel 1978). In effetti, si può constatare che, a fronte di un
aumento medio dei prezzi comuni dell'ordine del 7 ,5 % proposto
dalla Commissione per la campagna 197 6-77, l'aumento medio
proposto è sceso progressivamente al 3 % per la campagna 1977-
78, al 2% per la campagna 1978-79 fino alla proposta di un
«gelo» totale dei prezzi per la campagna 1979-80. A parte que-
st'ultimo caso, in cui il Consiglio, come vedremo, non ha seguito
fino in fondo la politica d'austerità proposta dalla Commissione,
l'atteggiamento prudente di quest'ultima in materia di prezzi agri-
coli è stato sostanzialmente confermato dalle decisioni finali as-
sunte dal Consiglio (rispettivamente 3,9%, 2,1% e 1,5% di au-
mento per le campagne 1977-78, 1978-79 e 1979-80) 8 •
Le preoccupazioni di carattere finanziario sono diventate parti-
colarmente acute per talune organizzazioni di mercato che, attra-
verso i vari meccanismi di garanzia pressoché illimitata dei prezzi
e dei mercati, hanno finito col produrre negli anni enormi ecce-
denze produttive, il cui onere (per lo smaltimento o la conserva-
zione) ricade quasi completamente sul bilancio comunitario. È

7
1 uce = circa 1.100 lire.
8
Va comunque tenuto presente che gli aumenti dei prezzi espressi in moneta
nazionale sono stati in alcuni paesi più elevati di quelli indicati, a causa della
parallela svalutazione delle cosiddette « monete verdi ». È il caso, questo, dell'Italia.

141
questo il caso, in particolare, dei settori lattiero-caseario, dei ce-
reali e dello zucchero, che assorbono da soli circa il 50% del
bilancio comunitario. Il perdurante squilibrio tra produzione e con-
sumi nel settore lattiero-caseario della Comunità ha indotto la
Commissione a presentare al Consiglio all'inizio del 1979 un nuovo
pacchetto di misure restrittive, complementari al « gelo » dei prez-
zi, che miravano a rafforzare e a completare l'apposito « Program-
ma d'azione 1977-80 » presentato nel luglio 1976 9 • La più quali-
ficante di tali proposte è quella di una revisione integrale del co-
siddetto « prelievo di corresponsabilità», introdotto nel 1977 e
che consiste in una sorta di tassa sulle consegne di latte alle latte-
rie allo scopo di scoraggiarne l'eccessiva espansione produttiva 10 •
L'importo di questo «prelievo», che rappresenta uno degli esempi
più significativi di partecipazione finanziaria dei produttori al co-
sto di gestione dei mercati agricoli, era stato fissato all'l,5% del
prezzo del latte a partire dal settembre 1977, ma il Consiglio lo
aveva ridotto allo 0,5% a decorrere dal 1° maggio 1978. La pro-
posta di revisione della Commissione, presentata nel gennaio 1979,
prevedeva l'introduzione della progressività di tale prelievo in
funzione delle consegne di latte alle latterie (più elevate le con-
segne più elevato il tasso e viceversa), con un tasso minimo del
2 % del prezzo indicativo. Dal prelievo avrebbero dovuto essere
esentati i piccoli produttori 11 • Purtroppo, però, come vedremo me-
glio nel paragrafo relativo alla fissazione dei prezzi agricoli per la
campagna 1979-80, il Consiglio, mentre ha accettato la propo-
sta di « gelo » dei prezzi nel settore del latte, non ha invece seguito
la Commissione sul problema della revisione della tassa di corre-
sponsabilità, che è stata confermata anche per la nuova campagna

' Cfr. L'Italia nella politica internazionale, 1976-1977, p. 499 ss.


10
Si deve tenere presente, a questo proposito, che le eccedenze che si verifi-
cano nel settore lattiero-caseario sono dovute pressoché esclusivamente ad un
aumento delle rese di latte, in quanto la consistenza del bestiame lattifero è rima-
sta piuttosto stabile. Tale aumento è stato « artificialmente » stimolato con l'in-
troduzione sempre più massiccia nella dieta alimentare delle vacche di componenti
ad alto potenziale lattifero (per es. panelli di soia e più recentemente anche di
manioca).
11
In base alla proposta della Commissione, le entrate provenienti dal prelievo
di corresponsabilità dovevano servire ad abbassare i prezzi o ad accordare altri
vantaggi ai consumatori. In particolare dovevano servire per sostenere le vendite
di burro, latte scremato in polvere ed altri prodotti lattiero-caseari ai consuma-
tori della Comunità, nonché per favorire l'espansione dei mercati mediante atti-
vità di promozione e di ricerca.

142
sul livello precedente (0,5% ). La mancata adozione delle misure
proposte dalla Commissione in questo settore - secondo. le va-
lutazioni di quest'ultima - comporta un onere aggiuntivo per il
bilancio comunitario che è stato valutato sugli 880 milioni di uce
per il 1980 (una cifra, tanto per intenderci, che tradotta in lire
italiane equivale a circa il doppio dei contributi ottenuti dall'Ita-
lia sulla sezione «Orientamento» del Feoga nel periodo 1964-
1978 e superiore grosso modo del 30% alla cifra che l'Italia ha
ottenuto dal Feoga-Garanzia nel 1977).
L'altro settore in cui negli ultimi anni si è particolarmente appe-
santito l'onere comunitario per lo smaltimento delle eccedenze
è quello dello zucchero 12 • Attualmente, infatti, su tre tonnellate
di zucchero prodotto nella Comunità, una viene esportata nei paesi
terzi, grazie a sovvenzioni all'esportazione che nel 1978, a causa
anche della caduta dei prezzi mondiali, sono state addirittura su-
periori a questi ultimi. A differenza, però, del settore lattiero-ca-
seario, dove i produttori usufruiscono della garanzia illimitata di
ritiro delle eccedenze da parte degli organismi d'intervento, nel
settore dello zucchero i sussidi all'esportazione sono concessi sol-
tanto fino a concorrenza di un volume di produzione non supe-
riore ad un certo livello. Questo livello è rimasto per lungo tempo
invariato sul 135% di una « quota base» prestabilita.
Di fronte, però, al formarsi e al gonfiarsi delle eccedenze, la
Commissione aveva ritenuto opportuno proporre, già a partire dal-
la campagna 1978-79, una riduzione di questo livello al 120%
della « quota base », al fine di limitare indirettamente la produ-
zione comunitaria. Il Consiglio, tuttavia, anche in questo caso, ha
seguito solo a metà la proposta della Commissione, fissando al
127,5% la quota massima ammissibile alle restituzioni all'espor-
tazione. La Commissione ha peraltro reiterato la sua proposta per
la campagna 1979-80, ma in questo caso il Consiglio si è mostrato
ancor meno disponibile a ridurre ulteriormente la garanzia di
sbocco per lo zucchero, avendo confermato per la quota massima
lo stesso livello fissato per la precedente campagna. Il fatto è

12
Dal 1974-75 (periodo di penuria) al 1977-78 (periodo di eccedenza), il tasso
di autoapprovvigionamento della Comunità è passato dal 90% al 123% . Occorre
tuttavia precisare che circa un terzo delle eccedenze registrate nella campagna
1977-78 sono dovute alle importazioni di zucchero a titolo preferenziale, soprat-
tutto nel quadro della Convenzione di Lomé.

143
che, in generale, mentre le proposte della Commissione muovono
da una logica ben definita, che si sforza di passare al di sopra
degli interessi nazionali pur restando su un piano di realismo poli-
tico (per es.: contenimento delle eccedenze e degli oneri finanziari
che ne derivano, ricostituzione di un mercato unico mediante lo
smantellamento progressivo degli importi compensativi monetari,
politica prudente dei prezzi agricoli, ecc.), i risultati delle « mara-
tone agricole », in cui si sciolgono annualmente quasi tutti i nodi
della Pac che vengono regolarmente al pettine, sono invece il frutto
di laboriosissimi compromessi, in cui ciascun paese, pur partendo
dalle proposte e dalle preoccupazioni della Commissione, cerca na-
turalmente di tirare il massimo profitto, a vantaggio dei propri
agricoltori. Questo spiega perché talune decisioni del Consiglio si
avvicinano alle proposte della Commissione, altre, invece, se ne
distanziano.
Ma la politica comune dei prezzi e dei mercati agricoli non evol-
ve per fortuna soltanto sotto l'impulso della preoccupazione di
contenimento della spesa. Da una parte, infatti, procede, sia pure
ad un ritmo inevitabilmente molto più lento che in passato, il
processo di estensione dell'organizzazione comune dei mercati a
quella fetta di prodotti agricoli che ne sono attualmente esclusi
(12 % del totale); dall'altra, proseguono l'adattamento funzionale e
il rafforzamento delle organizzazioni di mercato adottate fin qui.
È il caso, ad esempio, delle modifiche all'organizzazione di mer-
cato dell'olio d'oliva, decise dal Consiglio il 29 giugno 1978, e
di cui beneficerà soprattutto il nostro paese. L'innovazione prin-
cipale riguarda l'introduzione di un aiuto al consumo inteso ad
agevolare lo smercio dell'olio d'oliva prodotto dalla Comunità,
reso più difficile dalla concorrenza degli oli importati o degli oli
di semi. Ad esso si accompagnano peraltro misure intese a ridurre
le irregolarità nelle denunce dei quantitativi di olio prodotto, ne-
cessarie per poter percepire l'apposita integrazione di prezzo.
Le modifiche di maggior interesse per l'Italia introdotte nel
1978 sono però quelle apportate nel quadro del cosiddetto « pac-
chetto mediterraneo » alle organizzazioni comuni di mercato nel
settore degli ortofrutticoli (freschi e trasformati). Ma su di esse
abbiamo già riferito un anno fa in questa stessa sede 13 • Un'altra

13
Cfr. L'Italia nella politica internazionale, 1977-1978, p. 352 ss.

144
organizzazione di mercato di particolare interesse per l'Italia, su
cui si è molto discusso in Consiglio nell'ultimo anno ma su cui si
è in definitiva deciso poco (quanto meno sul piano dei regola-
menti adottati), è quella del settore vitivinicolo, di cui p arleremo
fra poco. Infine, mette conto segnalare che sono proseguite le di-
scussioni sull'introduzione di un'organizzazione comune dei mercati
nel settore dell'alcool e in quello delle patate, senza però pervenire
a sciogliere i numerosi nodi ancora in sospeso.

Il completamento del « pacchetto mediterraneo» e le discussio-


ni sul dossier vitivinicolo. - Nella lunga «maratona» del1'8-12
maggio 1978, i ministri dell'agricoltura dei Nove, oltre ad adot-
tare i prezzi agricoli per la nuova campagna, avevano varato una
serie di provvedimenti volti a migliorare la situazione dell'agricol-
tura nelle regioni mediterranee della Comunità (in particolare
Mezzogiorno italiano e Midi francese). Essi facevano parte di
un più ampio complesso di misure presentate dalla Commissione
nel dicembre 1977, noto sotto il nome di « pacchetto mediterra-
neo » o « pacchetto Natali », dal nome del suo promotore in seno
alla Commissione 14. L'incompleta adozione delle misure facenti
parte di tale p acchetto aveva indotto il ministro Marcora a porre
una pesante riserva sulle decisioni assunte parallelamente dal Con-
siglio in materia di prezzi agricoli. Questa riserva era stata levata
soltanto in seguito all'assicurazione che il Consiglio avrebbe deciso
entro il 30 settembre sulle restanti misure del « pacchetto medi-
terraneo », ed in particolare sulle due misure di maggiore interesse
per l'Italia: un'azione comune per il rimboschimento di certe zone
aride della Comunità e l'istituzione di un servizio per la divulga-
zione agricola in Italia 15 • L'incidenza di queste due misure sulla
spesa del Feoga era stata valutata dalla Commissione rispettiva-
mente a 231 ,5 e a 79 milioni di uce, per un importo comples-
sivo che rappresentava circa un terzo del costo dell'intero « pac-
chetto» . Si comprende, dunque, perché le decisioni di maggio,

H Le vicende cli questo « pacchetto », dalla sua gestazione fino al suo varo nella
sessione del Consiglio dell'S-12 maggio 1978, sono state esposte nell'Annuario
precedente. Cfr. L'Italia nella politica internazionale, 1977-1978, p. 352 ss.
" Le altre due misure in sospeso erano un programma di protezione contro le
inondazioni nella valle dell'Herault (Francia) e un programma d'irrigazione in
Corsica.

145
malgrado l'importanza delle misure già adottate, avessero lasciato
non poche delusioni in Italia.
Ma la decisione del Consiglio su queste ultime misure del pac-
chetto non solo non sarebbe intervenuta nei termini previsti, ma
non sarebbe stata nemmeno così pacifica come ci si poteva atten-
dere, visti gli impegni formali assunti al riguardo. Per un certo
periodo, anzi, si è temuto che la decisione potesse essere addi-
rittura rinviata all'annuale maratona sui prezzi agricoli per la nuo-
va campagna: il che, oltre a provocare un ritardo di almeno un
anno nell'adozione delle misure, avrebbe comportato tutti i rischi
insiti in una globalizzazione dei diversi negoziati.
Questi rischi, del resto, sono apparsi chiari fin dalla riapertura,
in settembre, delle discussioni sul pacchetto mediterraneo. La
Francia, infatti, che pure avrebbe dovuto essere la nostra naturale
alleata in questi negoziati, beneficiando anch'essa ampiamente
delle misure contenute nel pacchetto mediterraneo, ha in realtà
riproposto con più fermezza la sua pregiudiziale sull'adozione delle
misure in sospeso, che già aveva fatto valere nelle discussioni
precedenti, e cioè la contestuale decisione sulle modalità di un'azio-
ne intesa a ristabilire un migliore equilibrio del mercato vitivini-
colo. Azione facente parte di un apposito programma che la Com-
missione aveva presentato in luglio al Consiglio. Quello che,
più in particolare, premeva al governo francese era l'adozione di
un rigoroso sistema di « prezzi minimi » nel settore del vino, che
mettesse al riparo i produttori del Midi dalla concorrenza dei vini
italiani a buon mercato, e l'istituzione di un regime più restrittivo
di distillazione obbligatoria di una quota dei vini di minor qualità
prodotti in Francia e in Italia (la questione delle cosiddette « su-
perprestazioni viniche »).
A questa impostazione della Francia, il ministro italiano del-
1'agricoltura Marcora ha dapprima risposto ponendo a sua volta
una pregiudiziale sulle richieste francesi (la subordinazione di
eventuali misure restrittive nel settore vitivinicolo all'adozione di
analoghe misure nel settore lattiero-caseario, principale fonte di
eccedenze produttive), poi col porre tutta una serie di condizioni
all'accettazione di qualunque misura relativa al prezzo minimo nel
settore del vino. Per Marcora, infatti, prima di parlare di « prezzo
minimo » andavano regolate altre delicate questioni a monte, e
cioè: l'introduzione di un regime di distillazione che garantisse

146
che i vini che non possono essere esportati a causa del prezzo
troppo basso possano essere distillati a carico del Feoga; un mi-
glioramento del regime di restituzioni in favore delle esportazioni
verso i paesi terzi; l'armonizzazione a livello comunitario dei re-
gimi fiscali sugli alcoolici che penalizzano in certi paesi nordici il
vino a favore della birra; un regime di sovvenzioni comunitarie
a favore dei mosti concentrati e del succo d'uva.
Questa schermaglia franco-italiana ha occupato molta parte dei
Consigli agricoli che si sono svolti tra settembre e novembre, senza
peraltro che si riuscisse a sbloccare definitivamente né il dossier
« vino » né quello sulle misure in sospeso del pacchetto medi-
terraneo.
Per quanto riguarda queste ultime, peraltro, erano nel frat-
tempo venute allo scoperto le reticenze di alcuni paesi sugli oneri
finanziari - giudicati eccessivi - che esse comportavano per il
Feoga. Come se non bastasse, alla fine di ottobre anche la Germa-
nia, con una mossa a sorpresa, aveva cercato di far leva su Mar-
cora, per indurlo a venire incontro alle richieste di miglioramento
delle concessioni tariffarie per taluni prodotti di particolare inte-
resse per l'Italia (agrumi, riso, tabacco, ecc.) presentate dagli Stati
Uniti nel quadro dei negoziati del Tokyo Round. Nella stessa oc-
casione, peraltro, la delegazione tedesca aveva posto una pesante
ipoteca sull'entrata in vigore delle restanti misure del pacchetto
mediterraneo, chiedendo che essa fosse condizionata all'accordo
preventivo sulla proposta della Commissione intesa a modificare la
dotazicne della sezione orientamento del Feoga. Anche la delega-
zione belga e quella lussemburghese ponevano infine le loro condi-
zioni all'entrata in vigore di questi provvedimenti, chiedendo che
fosse riconosciuta una sorta di priorità relativa all'agricoltura dei
loro paesi nella concessione di taluni contributi del Feoga-orien-
tamento.
È a causa di tutte queste riserve che non è stato possibile rag-
giungere, nella sessione del Consiglio del 30-31 ottobre, niente
più che un accordo di principio su tre delle quattro misure in
discussione: l'azione sul rimboschimento, le misure contro le inon-
dazioni nella valle dell'Herault e il programma d'irrigazione in
Corsica. Sulla quarta, relativa allo sviluppo della divulgazione agri-
cola in Italia, si è invece trovato un accordo di principio nella
sessione del Consiglio del 20-21 novembre. Nel complesso le mi-

147
sure approvate non si discostano molto dalle proposte della Com-
missione. Tuttavia l'onere posto a carico del Feoga per l'azione
sul rimboschimento è stato ridotto a 184 milioni di uce, con possi-
bilità di riportarlo sui 231 proposti dalla Commissione se dopo
tre anni i fondi stanziati si dovessero rivelare insufficienti; quello
per la divulgazione agricola è stato invece fissato a 66 milioni di
uce, con una clausola di revisione per tener conto dell'evoluzione
del costo effettivo della manodopera in Italia.
Questo groviglio di accordi di principio sulle misure da adot-
tare e di condizioni poste alla loro effettiva entrata in vigore è
stato in gran parte, ma non definitivamente, districato nella ses-
sione del Consiglio del 18-19 dicembre. È in tale occasione, in-
fatti, che si è raggiunto un accordo, anch'esso di massima, sui
punti più controversi del pacchetto vitivinicolo e sulle misure
invocate dalle delegazioni del Belgio e del Lussemburgo.
Per quanto riguarda in particolare il vino, il Consiglio ha dato
il suo accordo sull'introduzione di un sistema di sostegno del mer-
cato in caso di situazione di crisi, che comporta un prezzo minimo
o « di base » al di sotto del quale il vino non può essere com-
mercializzato nella Comunità (come richiesto dalla delegazione fran-
cese), nonché misure complementari di distillazione obbligatoria a
carico del Feoga e allo stesso livello di prezzo (a cui l'Italia ave-
va, nel frattempo, subordinato l'accettazione della richiesta fran-
cese).
Anche la questione delle cosiddette « superprestazioni viniche >>,
in caso di produzione sovrabbondante (altra questione spinosa del
contenzioso franco-italiano), è stata regolata, sempre in via di prin-
cipio, in maniera abbastanza soddisfacente per l'Italia: sono stati,
infatti, convenuti un regime di distillazione obbligatoria, applica-
bile a tutti i paesi produttori, fino al 10% del raccolto, e un
regime modulato al di sopra di questa cifra, il cui risultato è quello
di ridurre l'onere a carico dei produttori italiani.

Sme e politica agricola comune: dall'euforia alla crisi. - Che il


sistema degli importi compensativi monetari (icm), messo in atto
per ricomporre alla meglio l'unità dei mercati agricoli, infranta
dalle divergenze monetarie tra i Nove, fosse diventato non solo
inadeguato e fonte esso stesso di distorsioni commerciali, ma costi-
tuisse una mina vagante sotto l'Europa verde, lo si sapeva già da

148
tempo. Quello che di nuovo si è appreso a cavallo tra il 1978 e il
1979 è che questa mina era ormai diventata a tal punto detonante
da rischiare di far saltare perfino gli accordi faticosamente rag-
giunti al più alto livello politico per il varo del sistema monetario
europeo (Sme). Per ironia della sorte, ma non certo per pura ca-
sualità, a dar fuoco alle ceneri è stato proprio il paese che insieme
alla Germania federale aveva più contribuito al varo dello Sme:
la Francia. I governi di questi due paesi, che non avevano avuto
difficoltà a trovare un accordo sulle modalità di funzionamento
dello Sme, hanno invece offerto all'opinione pubblica europea, ed
in particolare a quella dei rispettivi paesi, un serrato e lungo con-
fronto, diventato in seguito a nove, che ha tenuto in sospeso il
varo dello Sme fino alla metà di marzo del 1979. Prima però di
arrivare a descrivere la crisi e a spiegarne le ragioni, sarà oppor-
tuno esaminare in che modo lo Sme interferisca con la politica
agricola comune e quali misure siano state adottate per ammortiz-
zarne l'impatto.
Prima ancora che lo Sme fosse varato, al Consiglio europeo del
4-5 dicembre 1978 16 , esso aveva suscitato non poche apprensioni
negli ambienti agricoli, soprattutto italiani e francesi. Il ministro
francese dell'agricoltura, Pierre Méhaignerie, non aveva celato le
sue preoccupazioni al riguardo, sostenendo qualche settimana pri-
ma della riunione del Consiglio europeo che lo Sme non avrebbe
potuto essere esteso immediatamente alla politica agricola comu-
ne, a causa degli effetti « sconvolgenti » che l'applicazione alla
Pac dell'ecu (la nuova unità di conto creata con lo Sme) avrebbe
avuto sul sistema degli importi compensativi monetari 17 • In ef-
fetti, era stato calcolato che, sostituendo l'ecu alla vecchia unità
di conto agricola (uca), la Germania federale si sarebbe ritrovata
con importi compensativi positivi (cioè con sovvenzioni all'espor-
tazione) di circa il 30%, mentre la Francia avrebbe usufruito di
importi compensativi positivi pari ad un terzo di quelli tedeschi
(e cioè dell'll % ). In queste condizioni, prevedeva un quotidiano
economico francese, « l'agricoltura tedesca, già drogata artificial-
mente con le sovvenzioni di cui essa beneficia attualmente, po-
trebbe, nello spazio di dieci anni, soppiantare completamente le

16
Per un'analisi più dettagliata degli aspetti monetari, cfr. il cap. III.
17
« Le Nouveau Journal », 23 novembre 1978.

149
altre agricolture europee, ed in particolare quella francese » 18 • Ec-
co perché, già in novembre, la Francia aveva espresso l'intenzione
di domandare nelle settimane successive la « soppressione pro-
gressiva e definitiva » degli importi compensativi monetari entro
un periodo da tre a cinque anni. Soltanto quando questo obiettivo
fosse stato raggiunto si sarebbe potuto applicare l'ecu alla politica
agricola comune 19 •
Anche il ministro italiano dell'agricoltura Giovanni Marcora,
facendosi interprete degli umori del mondo agricolo, aveva espres-
so fìn dalla riunione del Consiglio del 21 novembre forti perplessità
al riguardo, sollecitando « la definizione di meccanismi comuni che
evitino situazioni aberranti per gli agricoltori dei paesi "deboli",
sui quali finirebbe per trasferirsi, in gran parte, l'onere del nuovo
sistema europeo dei cambi » 20 • Qualche giorno prima, peraltro, lo
stesso Marcora, in un'intervista ad un quotidiano, aveva chia-
rito quali erano le sue preoccupazioni a questo proposito 21• A dif-
ferenza del collega francese, quello che più preoccupava Marcora
era non tanto lo sconvolgimento del sistema degli icm, ma piutto-
sto l'impossibilità di ricorrere, una volta adottato l'ecu anche
per la politica agricola comune, alla svalutazione della « lira ver-
de». Il ricorso periodico a questo espediente aveva, in effetti,
permesso in passato di fronteggiare in qualche modo l'impatto
dell'inflazione sui costi di produzione degli agricoltori italiani, an-
che quando l'aumento dei prezzi comuni (espressi in unità di conto
agricole) era stato relativamente modesto. La prevista sostituzione
dell'ecu alle precedenti « monete verdi » avrebbe impedito d'ora
in poi questa manovra di riadattamento periodico, in quanto il
suo valore sarebbe stato determinato esclusivamente dal mercato
dei cambi. In queste condizioni, gli agricoltori italiani, invece di
continuare ad usufruire in futuro dell'effetto combinato dell'au-
mento dei prezzi agricoli comuni e della svalutazione della « lira
verde » (molto più consistente del primo elemento) avrebbero do-

" « Le Nouveau Journal », 23 novembre 1978. In effetti, nel 1977 le esporta-


zioni agricolo-alimentari della Rft verso la Francia sono aumentate del 30%, men-
tre quelle della Francia verso la Germania sono diminuite del 10,5%. Cfr. « Agra
Europe », n. 1041, 11 gennaio 1979.
" Ibidem.
20
U. PICCIONE, L'Unione monetaria europea pesante per l'Italia verde, « Il Sole-
24 Ore», 22 novembre 1978.
21
V. FEDELE, Marcora: proteggere la « lira verde» nel nuovo sistema monetario
europeo, « Il Tempo», 15 novembre 1978.

150
vuto accontentarsi del solo aumento dei prezzi comuni (che era
stato, in media, del 2,1 % per il 1978-79 a fronte di un'inflazione
galoppante sul 14% in Italia).
Il nodo agricolo, benché apparentemente trascurato dai capi
di stato e di governo riuniti a Bruxelles il 4 e 5 dicembre 1978
e dai commenti degli osservatori, tutti concentrati sul lancio del-
lo Sme, fa in realtà capolino nella risoluzione adottata dal Consi-
glio europeo alla fine dei suoi lavori. In essa si trova una rispo-
sta di principio a gran parte delle preoccupazioni espresse a pro-
posito degli effetti dello Sme sulla Pac; risposta in cui, anche
per una certa ambiguità della sua formulazione, si annidano già
i germi della crisi che sarebbe scoppiata da lì a qualche settimana.
Invitando il Consiglio economia e finanze, che si sarebbe riunito
il 18 dicembre 1978 contemporaneamente a quello agricoltura, ad
adottare una serie di provvedimenti necessari per l'applicazione
dello Sme (tra cui un regolamento relativo agli effetti del sistema
monetario europeo sulla politica agricola comune), il Consiglio
europeo precisava che « l'istituzione dello Sme non "deve" per
se stessa comportare modifiche della situazione esistente prima del
1° gennaio 1979 per quanto riguarda l'espressione in monete na-
zionali dei prezzi agricoli, degli importi compensativi monetari e
di tutti gli altri importi fissati ai fìni della politica agricola co-
mune ». « Il Consiglio europeo - prosegue la risoluzione -
sottolinea l'importanza che si annette a che si eviti d'ora in poi
la creazione di icm durevoli e si riducano progressivamente gli
icm esistenti, allo scopo di ripristinare l'unità dei prezzi della poli-
tica agricola comune, tenendo altresì conto della politica in ma-
teria di prezzi » 22 •
Nell'euforia generale del momento, nessuno prestò molta atten-
zione alle dichiarazioni rilasciate da Giscard d'Estaing al momento
di lasciare Bruxelles, dopo la riunione del Consiglio europeo. Solo
qualche organo di stampa riportò infatti le sue parole, secondo le
quali se la Francia non avesse ottenuto l'assicurazione della sop-
pressione progressiva degli importi compensativi monetari, essa
non avrebbe partecipato allo Sme 23 • La serietà di questa ipoteca

22
Cfr. Risoluzione del Consiglio europeo del 5 dicembre 1978 sulla creazione
del sistema monetario europeo (Sme) e questioni connesse, « Bollettino delle Co-
munità europee », n. 12, 1978.
23
Cfr. ad esempio « La libre Belgique » del 7 dicembre 1978.

151
sull'entrata in vigore dello Sme proprio da parte di uno dei paesi
che più avevano contribuito al suo lancio incominciò a rivelai-si
più chiaramente nei giorni successivi e, soprattutto, in occasione
della riunione del Consiglio del 18-19 dicembre 1978, che, come
s'è detto, avrebbe dovuto formalmente sanzionare l'entrata in vi-
gore dello Sme a partire dal 1° gennaio 1979, adottandone i rela-
tivi regolamenti d'applicazione. La Commissione aveva, in effetti,
preparato a tal fine tre progetti di regolamento, di cui uno rela-
tivo alle conseguenze dello Sme sulla politica agricola comune.
Quest'ultimo prevedeva, oltre all'applicazione dell'ecu agli atti
della politica agricola comune, il mantenimento, dopo l'entrata in
vigore dello Sme, dei prezzi agricoli espressi in moneta nazionale
e degli importi compensativi monetari agli stessi livelli esistenti
prima di tale data. Questa misura, anche se comportava il ricorso
ad un meccanismo correttivo puramente contabile, assicurava co-
munque quella neutralità dello Sme sulla Pac considerata necessa-
ria dal Consiglio europeo, ed in particolare dalla Francia. Ma, per
quest'ultima, l'adozione di questi regolamenti costituiva un buon
pretesto o piuttosto un'ottima occasione per fare un passo sostan-
ziale anche verso l'altro obiettivo fondamentale della sua politica:
e cioè quello di un rapido smantellamento del sistema degli im-
porti compensativi monetari. Ecco perché, non avendo ottenuto
impegni appropriati al riguardo dal Consiglio del 18-19 dicem-
bre, la delegazione francese aveva espresso una riserva generale
sull'insieme dei provvedimenti in discussione che ne impediva l'ef-
fettiva entrata in vigore a partire dal 1° gennaio 1979. Quasi
tutti gli osservatori davano però per certo, o quanto meno molto
probabile, il ritiro di questa riserva francese prima della fatidica
data del 1° gennaio. È caduto perciò come una doccia fredda il
comunicato ufficiale pubblicato a Parigi il 29 dicembre che con-
fermava il mantenimento di tale riserva, in considerazione del fatto
che non erano stati ancora adottati « un regolamento relativo al-
l'interdizione di creare nuovi importi compensativi monetari du-
revoli » e « una risoluzione del Consiglio concernente la riduzione
progressiva degli importi compensativi monetari esistenti» 24 • In
altre parole, lo Sme, che pure aveva superato scogli ben più ardui,
s'era alla fine impigliato tra le maglie degli importi compensativi

" « Agence Europe », n. 2588 del 2-3 gennaio 1979.

152
monetari applicati agli scambi agricoli tra i Nove. Una sorte un.
po' ingloriosa per una costruzione politica di grande respiro come
lo Sme? Può darsi. Ma non va dimenticato che, aderendo allo Sme,
la Francia aveva scelto di fare già non pochi sacrifici sul piano
economico e monetario per poter ammettere di doverne fare altri
anche nel settore agricolo, anch'essi peraltro a vantaggio della
Repubblica federale tedesca.

L'impasse agro-monetaria. - II nodo degli importi compensativi


monetari era così venuto nuovamente al pettine e questa volta ad
un livello politico e in una situazione tale che sembrava inevita-
bile e improrogabile un taglio netto col passato, a meno di rinviare
« sine die » l'entrata in vigore dello Sme.
Per cercare di uscire dalla situazione di stallo creata dalla deci-
sione francese si sono succeduti, tra gli inizi di gennaio e quelli di
marzo, innumerevoli incontri bilaterali e multilaterali, riunioni a
livello politico e tecnico, abboccamenti al vertice e contatti infor-
mali. Alla fine, quando alla vigilia del Consiglio europeo di Parigi
la Francia ha levato la sua riserva, quella che era stata pronosti-
cata da molti come una crisi di breve durata si era in realtà pro-
tratta per oltre 70 giorni, durante i quali le cancellerie delle nove
capitali, da una parte, e la Commissione dall'altra, hanno lavorato
a pieno ritmo per disinnescare la mina degli importi compensativi
monetari. Come vedremo, però, questo obiettivo è stato conse-
guito solo a metà, e il successo dell'operazione è stato più formale
che sostanziale. Cerchiamo di districare questa complicata ma-
tassa mettendo nel contempo in luce la posizione e il ruolo delle
delegazioni dei vari paesi. Occorre anzitutto premettere che lo Sme
in quanto tale non evita la necessità di ricorrere a nuovi importi
compensativi monetari; creando, però, una certa stabilità mone-
taria fra i Nove, esso dovrebbe ridurre in linea di principio tanto
l'ampiezza che l'intensità di questi correttivi monetari. A partire
dalla sua entrata in vigore, perciò, agli importi compensativi
preesistenti altri se ne possono aggiungere, sia pure di minore en-
tità. Come si ricorderà la già citata risoluzione del Consiglio eu-
ropeo di Bruxelles aveva sottolineato l'importanza di « evitare (do-
po l'entrata in vigore dello Sme) la creazione di importi compen-
sativi monetari durevoli » e quella di ridurre pregressivamente gli
icm esistenti, « tenendo dovutamente conto della politica in ma-

153
teria di prezzi ». E proprio sugli impegni da assumere a questo
proposito, parallelamente all'adozione dei regolamenti per l'en-
trata in vigore dello Sme, che quest'ultima è scivolata.
Per la Francia, infatti, questo paragrafo implicava due impegni
indilazionabili: da una parte, l'accordo su un piano pluriennale
contenente scadenze precise per la soppressione progressiva de-
gli icm esistenti prima dell'avvio dello Sme; dall'altra, l'adozione
di un meccanismo automatico per l'eliminazione dei nuovi icm
entro un periodo di tempo ben definito (per esempio, un anno o
diciotto mesi). La Germania, invece, oltre a mostrarsi restia ad
impegnarsi su un piano pluriennale di smobilitazione dei vecchi
icm si opponeva all'automatismo della soppressione dei nuovi icm,
in quanto questo avrebbe potuto comportare una diminuzione dei
prezzi agricoli espressi in marchi (nel caso in cui questa moneta
fosse stata rivalutata senza che contemporaneamente si modificas-
sero i prezzi in ecu) 25 • Un'ipotesi, quest'ultima, tutt'altro che
teorica, dal momento che la Commissione preconizzava il « gelo »
dei prezzi in unità di conto per la nuova campagna. Per evitare
che ciò accadesse due erano le alternative: o si aumentavano i
prezzi in uce, o si concedevano integrazioni di prezzo ai produt-
tori tedeschi. Una ragione in più, questa, perché le decisioni
sugli icm fossero prese contestualmente a quelle sui prezzi.
La posizione italiana sul problema dello smantellamento degli
icm è stata esposta in un memorandum inviato a metà gennaio
dal ministro dell'agricoltura Marcora alla Commissione Ce. Essa
è molto più articolata di quella dei due principali antagonisti e
può riassumersi in cinque punti 26 : 1) accordo sullo smantella-
mento completo degli icm esistenti entro una certa data; tuttavia
la modulazione di tale operazione deve essere lasciata interamente
alla discrezione degli stati membri, i quali giudicheranno qual è
il momento più opportuno, l'ampiezza e i prodotti ai quali tali
riduzioni si applicano; 2) i paesi a moneta forte (come la Germa-
nia) dovrebbero effettuare gli abbattimenti degli icm in occasione
della fissazione annuale dei prezzi agricoli, per evitare riduzioni di
prezzo in moneta nazionale; 3) se, malgrado tutto, tali riduzioni
non possono essere evitate, l'ipotesi di aiuti integrativi alla produ-

,; Cfr. « Agence Europe », n. 2588, 2-3 gennaio 1979.


16
Cfr. « Agence Europe », n. 2600 del 19 gennaio 1979 e « Il Sole-24 Ore »
del 18 gennaio 1979.

154
zione non è da escludere del tutto, ma essa deve essere presa in
considerazione con molta cautela; 4) gli eventuali nuovi icm an-
drebbero ridotti, non già in maniera automatica, ma solo nella
misura in cui la variazione del valore di mercato delle monete na-
zionali dall'ecu si rifletta sulle produzioni agricole; 5) revisione
del metodo di calcolo degli icm per evitare gli effetti « perversi »
che essi esercitano in particolare nel settore lattiero-caseario, delle
carni bovine e suine.
Contemporaneamente all'invio di questo memorandum alla Com-
missione, il ministro Marcora sollecitava, come misura immedia-
ta, una svalutazione della « lira verde » del 5 % .
Ricordiamo infine brevemente che, mentre la posizione degli
altri paesi a moneta « forte », a parte il Belgio che ha svolto un
ruolo di mediazione, era sostanzialmente analoga a quella della
Germania, le preoccupazioni del Regno Unito facevano caso a sé.
Per quest'ultimo, infatti, il problema della soppressione degli icm
non doveva essere considerato soltanto una questione di tecnica
monetaria, ma un problema indissociabile dagli altri aspetti della
politica agricola comune (ed in particolare da quella delle ecce-
denze, delle spese agricole e dei prezzi), tanto più se si teneva
conto degli effetti sconvolgenti di tale soppressione sul costo della
vita in Gran Bretagna (a seconda delle ipotesi, si prevedevano, in-
fatti, aumenti dal 6% al 9%) 27 •
In questo quadro ricco di contrasti su questioni di principio e
di metodo, soltanto una soluzione pragmatica poteva riuscire ad
avvicinare le rispettive posizioni. La Commissione ne aveva già
proposta una a gennaio, contemporaneamente alla presentazione
del « pacchetto prezzi ». Ma quella che sembrava risolutiva è
stata presentata al Consiglio agricolo del 5-6 marzo 1979, dopo
l'esito negativo di tre altre riunioni precedenti.
I punti salienti di tale compromesso si possono riassumere come
segue 28 :
1) una dichiarazione di principio sulla « determinazione » del
Consiglio « di ridurre progressivamente gli icm esistenti », che
non fa riferimento ad alcuna scadenza; è previsto comunque che

27
« Agence Europe », n. 2598, 17 gennaio 1979.
28
Cfr. « Agra Europe », n . 1049, 8 marzo 1979.

155
« que5ta riduzione progressiva può essere accelerata ad iniziativa
dello stato membro in causa »;
2) per la creazione di nuovi icm è necessario che la rivaluta-
zione di una moneta sia superiore all'l % (per la svalutazione esi-
ste già una« franchigia» dell'l ,5%); il Consiglio, però, può deci-
dere di volta in volta di non creare nuovi icm;
3) i nuovi icm, creati entro due anni dall'entrata in vigore dello
Sme, verranno smobilitati mediante la modifica in due tappe delle
parità monetarie interessate; queste riduzioni non dovranno con-
durre né ad un aumento, né ad una riduzione dei prezzi agricoli
espressi in moneta nazionale;
4) riesame della situazione al termine del periodo sperimentale
di due anni.
Questo compromesso ha raccolto il 6 marzo il consenso di tutte
le delegazioni meno quella britannica, che ha avanzato delle ri-
serve su taluni punti specifici. Questo è tuttavia bastato al go-
verno francese, che peraltro considerava « un successo » tale com-
promesso, per indurlo ad annunciare qualche giorno dopo il ritiro
della sua riserva sull'entrata in vigore dello Sme.
Non sappiamo, però, se in questa decisione, accolta da tutti con
comprensibile sollievo, l'interesse politico a non far fallire l'im-
minente Consiglio europeo di Parigi (e con esso l'entrata in vigore
dello Sme) non abbia giocato un ruolo almeno altrettanto deter-
minante della soddisfazione per i risultati non certo esaltanti con-
seguiti dalla Francia in tre mesi di duro braccio di ferro con i
suoi partners.
Per quanto riguarda le richieste italiane, all'indomani della riu-
nione del Consiglio, il ministro dell'agricoltura Marcora non na-
scondeva la propria soddisfazione, offuscata soltanto dalla riserva
britannica e dal timore che la Francia potesse fare marcia indie-
tro 29 • In effetti egli poteva vantare i seguenti risultati: 1) era
stata accordata la svalutazione della « lira verde » nella misura ri-
chiesta (5 % subito e 4% a partire dall'entrata in vigore dei prezzi
agricoli per la campagna 1979-80); era stata questa, del resto, la
condizione che Marcora aveva posto per l'accettazione dell'intero
compromesso; 2) in secondo luogo era stato ammesso il princi-
pio che lo smantellamento degli icm poteva « essere accelerato per

29
« Il Sole-24 Ore>> ciel 9-10 marzo 1979, « La Stampa» def 10 marzo 1979.

156
1mz1at1va di uno stato membro» (cioè - secondo Marcora -
senza bisogno di una sanzione da parte del Consiglio), come chie-
deva l'Italia; 3) si era trovata la formula perché i nuovi icm po-
tessero essere abbattuti entro due anni; 4) infine la Commissione
si era impegnata a presentare al più presto al Consiglio una pro-
posta per la revisione del metodo di calcolo degli icm, in partico-
lare per i prodotti che maggiormente preoccupavano l'Italia.
Ma nella sessione del Consiglio del 26-30 marzo, che si spe-
rava potesse dare corpo e veste giuridica alla totalità dell'accordo
politico del 6 marzo, il ministro britannico Silkin (il cui goverrio
era stato, peraltro, censurato e costretto a dimettersi il 28 mar-
zo) si è mostrato particolarmente inflessibile sulla parte relativa
all'eliminazione degli icm. In definitiva, ci si è perciò dovuti ac-
contentare di un « mini-accordo » che prevede, oltre alla svaluta-
zione di diverse « monete verdi », l'adozione del regolamento sul-
l'applicazione dell'ecu alla politica agricola comune 30 e il prolun-
gamento della campagna 1978-79 fino al 1° luglio 1979. Quanto
alla parte più qualificante del compromesso « a otto » raggiunto
all'inizio di marzo, e cioè quella relativa allo smantellamento de-
gli icm, che era stato in fondo l'unico movente della crisi, ci si
è dovuti accontentare di una dichiarazione del Consiglio che con-
ferma l'accordo « a otto » intervenuto a tale riguardo all'inizio di
marzo. È questo il massimo risultato che è stato possibile conse-
guire in tre mesi di febbrili negoziati 31 •

La fissazione dei prezzi agricoli per la campagna 1979-80. - Fino


a qualche anno fa, le annuali « maratone » sui prezzi agricoli si
concludevano invariabilmente entro il mese di marzo, onde con-
sentire l'entrata in vigore delle decisioni assunte a partire dall'ini-

30
Reg. Ce n. 652/79 del Consiglio, del 29 marzo 1979, relativo alle conseguenze
del sistema monetario europeo nel quadro della politica agricola comune (« G.U.
delle Comunità europee», n. L 84, 4 aprile 1979). Esso prevede il passaggio dal
l'unità di conto adottata nella Pac alla nuova unità di conto creata con lo Sme
(ecu). Per garantire la «neutralità» di questo passaggio, il regolamento prevede
che la trasformazione in ecu degli importi fissati in uce avvenga in base all'egua-
glianza 1 uce = 1,21 ecu. L'ecu è infatti del 21 % inferiore all'uce.
31
La situazione non ha fatto alcun passo avanti nemmeno nella « maratona »
agricola del 18-22 giugno 1979. Il ministro britannico dell'agricoltura Walker ha
infatti annunciato in questa occasione che la decisione del Regno Unito sull'accordo
« a otto» per lo smantellamento degli icm dipendeva dall'atteggiamento che il
suo paese avrebbe assunto nei confronti dello Sme. Cfr. « Agra Europe », n.
1064, 28 giugno 1979.

157
zio della nuova campagna agricola che, per molti prodotti, coin-
cideva appunto col 1° aprile. Da qualche anno a questa parte, però,
la conclusione di questi « negoziati fiume » si è spostata progres-
sivamente nel tempo, fino al caso limite del 1979, quando le deci-
sioni sui nuovi prezzi agricoli non sono intervenute che a fine
giugno. Segno questo, oltre che della complessità dei dossiers che
i ministri dell'agricoltura si trovano sulla tavola in queste occa-
sioni, anche del sempre maggior significato politico che assumono
le decisioni da prendere. Questo è vero soprattutto in un periodo
ricco di appuntamenti elettorali importanti, come è stato appunto
il primo semestre del 1979 (3 maggio: elezioni politiche nel Re-
gno Unito; 3 giugno: elezioni politiche in Italia; 7-10 giugno:
elezioni nei nove paesi Ce del Parlamento europeo).
Quest'anno, peraltro, l'appuntamento si prospettava ancora più
impegnativo del solito, dal momento che la Commissione aveva
annunciato, fin dal Consiglio europeo di Bruxelles del 4-5 dicem-
bre 1978, la sua intenzione di proporre quanto prima il conge-
lamento generale dei prezzi per la campagna 1979-80 ed un raf-
forzamento del sistema di partecipazione finanziaria dei produttori
del settore lattiero-caseario al costo di questa organizzazione di
mercato (mediante una riduzione dei prezzi d'intervento oppure
mediante una maggiorazione del prelievo di corresponsabilità):
due obiettivi questi che avrebbero certamente incontrato ferree
ostilità in Consiglio.
Abbiamo visto, in effetti, quale sorte sia toccata a quest'ultima
proposta 32 • Ma anche la proposta di mantenere invariati i prezzi
comuni (espressi in unità di conto) sul livello della precedente
campagna non è stata accolta che molto parzialmente dal Con-
siglio.
L'opposizione alle proposte della Commissione è però comin-
ciata a livello delle organizzazioni professionali agricole. Non ap-
pena sono state rese note, a fine gennaio, le proposte della Com-
missione, il Copa (Comitato delle organizzazioni professionali agri-
cole della Ce) ha cominciato con l'emettere un primo duro comu-
nicato in cui rigettava « categoricamente » il gelo dei prezzi, tanto
più in quanto esso era combinato con un « aggravio insopporta-

32
Cfr. il par. « Sviluppi della politica comune dei prezzi e dei mercati: la
lotta alle eccedenze » in questo capitolo.

158
bile » della tassa di corresponsabilità nel settore lattiero-caseario:
chiedendo un aumento dei prezzi di almeno il 4% il Copa accu-
sava poi la Commissione di voler mettere a repentaglio il futuro
di tutto il settore agricolo e di contribuire a « demolire la fiducia
degli agricoltori nella Pac e nella stessa Comunità » e questo pro-
prio in prossimità delle elezioni a suffragio universale del Parla-
mento europeo 33 • A questa presa di posizione hanno fatto eco
quasi tutte le organizzazioni professionali agricole dei vari paesi, in
tono non meno duro, che peraltro si è ancor più inasprito nei
mesi successivi.
Lo stesso Parlamento europeo, che pure in passato aveva espres-
so preoccupazioni spesso simili a quelle della Commissione, si è
questa volta distanziato dalle proposte di quest'ultima, chiedendo
a metà marzo un aumento medio dei prezzi comuni del 3 % ( « una
sfida alla ragionevolezza » è stata definita questa richiesta dal
commissario all'agricoltura Gundelach). Alla fine di un dibattito
che ha talvolta assunto toni vivaci e un andamento non sempre
lineare, è stata peraltro adottata una risoluzione, con i voti con-
trari dei gruppi socialista, comunista e conservatore, in cui oltre
a condannare il congelamento dei prezzi, si esprimono posizioni
contraddittorie con quelle della Commissione su altri punti quali-
ficanti del pacchetto « prezzi ». Anche al Comitato economico e
sociale le proposte della Commissione hanno suscitato un animato
dibattito, che si è chiuso, comunque, su posizioni abbastanza vicine
a quelle della Commissione.
In Consiglio, fin dal primo giro di tavola che ha avuto luogo il
5-6 febbraio 1979, è apparso subito chiaro il formarsi di un am-
pio fronte di opposizione alle proposte della Commissione, rotto
soltanto dalla « defezione », del resto scontata, del Regno Unito e
dalla posizione mediana assunta dal nostro ministro dell' agricol-
tura Marcora. Quest'ultimo, infatti, si è dichiarato contrario ad
ogni aumento dei prezzi dei prodotti eccedentari e perciò favo-
revole ad un aumento della tassa di corresponsabilità per il latte.
A proposito di quest'ultima, egli aveva peraltro lamentato qual-
che giorno prima che tale aumento non bastava comunque « per
mantenere gli aumenti dei prezzi entro limiti tali da non aggra-
vare ulteriormente il bilancio Feoga per il sostegno dei prodotti

33
« Agra Europe », n. 1045, 8 febbraio 1979.

159
eccedentari » 34 • Per il ministro britannico dell'agricoltura Silkin il
« gelo » dei prezzi era il « minimo necessario »; anzi in certi casi
si sarebbe dovuto addirittura prevedere una riduzione. Egli però
non approvava il meccanismo della tassa di corresponsabilità, in
quanto questo non comportava una diminuzione dei prezzi a van-
taggio dei consumatori e colpiva soprattutto i produttori più ef-
ficienti 35 •
Le successive quattro riunioni del Consiglio agricoltura sono sta-
te pressoché totalmente assorbite dalle discussioni sui problemi
agro-monetari e su altri dossiers del pacchetto di proposte presen-
tato in gennaio dalla Commissione, essendosi alla fìne deciso di
rinviare a dopo le elezioni europee lo scioglimento, diventato or-
mai improrogabile, del nodo «prezzi». Nel frattempo, il Copa
aveva nuovamente fatto sentire la sua voce imperiosa emanando
un ennesimo comunicato in cui si « esigeva » dal Consiglio una
rivalutazione dei prezzi di almeno il 4 % .
In Gran Bretagna, i conservatori avevano rimpiazzato i labu-
risti alla guida del paese, alla fine di una campagna elettorale du-
rante la quale i « misfatti » dell'Europa verde erano stati mate-
ria di accesi confronti tra i partiti. Consumato, però, l'evento elet-
torale durante il quale conservatori e laburisti hanno difeso sostan-
zialmente lo stesso programma agricolo, i nuovi governanti si
erano voluti subito segnalare come portatori di una migliore di-
sposizione (per la verità, più formale che sostanziale) verso l'Eu-
ropa e le sue realizzazioni. Lo stesso nuovo ministro dell'agricol-
tura Peter Walker aveva annunciato a metà giugno di voler tenere
un atteggiamento « positivo e costruttivo » negli imminenti nego-
ziati agricoli, che contrastava, quanto meno all'apparenza, con le
intemperanze verbali del suo predecessore. In Italia, il presidente
del Consiglio Andreotti, alla vigilia di un incontro col nuovo
primo ministro inglese Margaret Thatcher, volto a rinsaldare l'in-
tesa italo-britannica che legava da qualche tempo i due paesi sui
problemi comunitari, affermava 36 la necessità di una riforma della
Pac e lamentava che i prezzi troppo elevati della carne, del latte e
dei cereali (prodotti per i quali l'Italia e il Regno Unito sono im-

34
« Il Sole-24 Ore », 31 gennaio 1979.
35
« Agence Europe », n. 2612, 5-6 febbraio 1979.
,. « Agra Europe », n. 1063, 21 giugno 1979.

160
portatori netti) penalizzassero fortemente questi due paesi. Mar-
cora aveva del resto fatto altrettanto incontrandosi il 14 giugno
col suo collega britannico in vista dell'imminente « maratona » sui
prezzi agricoli.
Questa si è aperta il 18 giugno 1979 a Lussemburgo e si è conclu-
sa il 22, al termine di una settimana di estenuanti dibattiti, con un
accordo 37 al quale la stampa specializzata ha riconosciuto « le qua-
lità e i difetti di un compromesso politico » 38 : « le qualità, in
quanto esso rappresenta un sottile compromesso che risponde alle
esigenze immediate di ciascuno e permette di evitare il peggio,
cioè una frattura che sarebbe stata grave; i difetti, in quanto, a
parte il gelo dei prezzi comuni nel settore lattiero, non fornisce
nemmeno un inizio di risposta ai problemi economici gravi che
conosce l'Europa verde e che restano sospesi su di essa come una
spada di Damocle» 39 • In effetti, la riflessione non è stata nem-
meno avviata sulla questione delle eccedenze né su quella degli
squilibri finanziari della politica agricola comune. « Il breve ter-
mine ha preso totalmente il sopravvento sul lungo termine -
ha commentato alla fine della "maratona" un alto funzionario co-
munitario; - è questa l'opera di governi incapaci di prendere dispo-
sizioni, certo impopolari, ma indispensabili» 40 • Aggiungeremo, per
parte nostra, che il risultato sarebbe stato probabilmente ancor più
deludente senza l'azione « frenante » esercitata da Marcora e dal
suo collega britannico in appoggio alla Commissione per impedire
che fosse adottato un aumento più consistente dei prezzi, e che si
ritoccassero anche quelli del settore lattiero-caseario.
Come è stato accolto in Italia l'accordo di Lussemburgo? Abba-
stanza soddisfatto il ministro Marcora, sia per i risultati di carattere
generale sia per i vantaggi specifici conseguiti dall'Italia 41 •
37
L'accordo prevede come misure di portata generale: a) aumento dei prezzi
in ecu dell'l,5%, ad eccezione del latte, per il quale è stata accolta la proposta
di «gelo» fatta dalla Commissione; b) riduzione degli icm positivi (un punto in
meno per la Germania e mezzo punto per il Benelux) ad eccezione del settore
lattiero-caseario; c) tassa di corresponsabilità per il latte: nessun aumento rispetto
al livello precedente (0,5% ), possibilità di aumento all'l,50% se le consegne alle
latterie crescono più del 2%; d) svalutazione della « lira verde» del 4,2% (già
decisa a marzo), della lira sterlina (5%) e del franco francese (1,5%); il nuovo
« tasso verde » per l'Italia è il seguente: 1 ecu = 1.048 ,84 lire; e) proroga fino
al 31 marzo 1980 del regolamento relativo all'introduzione dell'ecu nella Pac.
38
« Agra Europe », n. 1064, 28· giugno 1979.
39
Ibidem.
0
' I bidem.
41
Le decisioni di maggior interesse per l'Italia sono le seguenti (le cifre tra pa-

161
Commenti improntati ad una certa soddisfazione sono venuti
dalla Coldiretti e dalla Confagricoltura, anche se la prima ha
lamentato che l'aumento dei prezzi ottenuto « non corrisponde aile
richieste giustificate dei produttori agricoli » e la seconda ha invo-
cato un « riesame dell'intera politica agricola comunitaria, soprat-
tutto per la penalizzazione tuttora imposta ai paesi mediterranei» 42 •
Giudizi abbastanza critici sono stati invece espressi dalle organiz-
zazioni professionali di sinistra. La Confcoltivatori, in particolare,
ha lamentato « l'aleatorietà dei risultati raggiunti », che « resterà
tale fino a quando non ci si deciderà ad invertire la tendenza intro-
ducendo nella politica agricola elementi di programmazione » 43 •
Ma la reazione politicamente forse più critica è venuta, que-
st'anno, dalla stessa Commissione, che si è per la prima volta
formalmente dissociata dalle decisioni assunte dal Consiglio sui
prezzi agricoli e sulle misure connesse. In una dichiaràzione resa
alla stampa, la Commissione ha peraltro deplorato che quest'ulti-
mo « non abbia adottato misure sufficienti nel settore lattiero-
caseario e non abbia preso alcun provvedimento nel settore dello
zucchero, onde evitare l'accrescersi delle eccedenze strutturali, che
hanno già raggiunto un livello allarmante » 44 • « Considerate le ri-
percussioni finanziarie delle decisioni del Consiglio (valutate a
circa 1.300 milioni di uce per il 1980) la Commissione - così
conclude la dichiarazione - deve procedere a un esame urgente
dei provvedimenti che si impongono per ridurre le spese di ge-
stione della poh tica agraria comune ». Il che significa che la par-
tita - almeno per la Commissione - è tutt'altro che chiusa.

rentesi sono state fornite da Marcora a « la Repubblica» del 23 giugno 1979):


a) proroga per un anno ed aumento dell'l,5% del periodo di penetrazione per i
limoni; b) estensione ad altri prodotti ortofrutticoli dell'aiuto alla trasformazione:
fiocchi di pomodoro, pomodori pelati surgelati, succhi di pomodoro, pere Williams
sciroppate e ciliegie sciroppate (questi aiuti passano da 250 a 293 miliardi di lire
tra il 1978 e il 1979); c) aumento {da 3 a 5 uc) dell'abbattimento sui prelievi
all'importazione via mare dei cereali foraggeri {40 miliardi di risparmio nel 1979
per gli allevatori); d) trasferimento in Italia di 200.000 tonnellate di frumento
in provenienza dagli stocks d'intervento di altri paesi membri; e) rinnovo ed
aumento del premio per la nascita dei vitelli (da 81 a 89 miliardi di lire), degli
aiuti all'olio di oliva (da 273 a 305 miliardi di lire), dell'integrazione di prezzo
per il tabacco (da 180 a 197 miliardi), dell'integrazione per il grano duro (da 123
a 137 miliardi di lire), degli aiuti alla barbabietola.
" « Il Popolo», 23 giugno 1979.
11
• « Il Sole-2-4 Ore», 2., giugno 1979.
" Dichiarazione del portavoce della Commissione del 27 giugno 1979, « Bollet-
tino delle Comunità europee », n. 6, 1979.

162
X

LA POLITICA AGRICOLA 1979-1980*

Lo scenario internazionale

La situazione mondiale dell'agricoltum e dell'alimentazione.


Il secondo decennio della « strategia internazionale dello svilup-
po » si chiude con un bilancio nettamente deludente sul piano
agricolo-alimentare. Anche se nel corso degli anni settanta non
sono mancati progressi relativamente apprezzabili in certe regioni
del mondo, ed in particolare in America latina, nel complesso la
produzione agricola nei paesi in via di sviluppo ha progredito ad
un ritmo di gran lunga inferiore al 4%, che rappresentava l'obiet-
tivo minimo fissato dalle Nazioni unite per tale periodo. In alcu-
ne regioni, anzi, l'incremento produttivo registrato nel decennio
non è stato sufficiente a coprire nemmeno l'incremento demografico,
sicché la situazione alimentare alla soglia degli anni ottanta si pre-
senta in maniera ancora più precaria e drammatica di quanto non
lo fosse dieci anni prima. È il caso, questo, dell'Africa, la cui pro-
duzione alimentare per abitante è diminuita dell'l,2% all'anno
tra il 1970 e il 1979. È il caso di molti paesi del Vicino ed
Estremo Oriente, dove la produzione per abitante non ha subito
alcun miglioramento o è addirittura diminuita nel decorso decen-
nio 1• Quello che è più inquietante è il fatto che è proprio nei paesi
dove la situazione alimentare è in partenza più precaria che si rea-
lizzano i risultati produttivi meno soddisfacenti: il che fornisce
un'ulteriore riprova che anche per lo sviluppo agricolo esiste un
« circolo vizioso della povertà ».
A rompere tale circolo non potevano, del resto, bastare le mode-
ste risorse messe a disposizione dai paesi ricchi nel quadro degli
impegni bilaterali o multilaterali di assistenza allo sviluppo, impe-
gni che, peraltro, sono stati in gran parte disattesi. Basti dire, a
questo proposito, che il contributo complessivo fornito dai paesi
dell'Ocse sotto forma di aiuti pubblici allo sviluppo non ha mai su-
1
Nel complesso, la Fao stima che nel periodo 1970-78, in non meno di 58
paesi in via di sviluppo, la crescita della produzione agricola sia stata inferiore
a quella della popolazione.

* In IAI, “L’Italia nella politica internazionale: 1979-1980”, Edizioni


di Comunità, Milano, 1981

163
perato la metà di quello che costituiva l'obiettivo minimo fissato
dalle Nazioni unite all'inizio degli anni settanta (0,7 % del prodotto
nazionale lordo, contro la punta massima dello 0,35 % raggiunta
nel 1978).
Come fa notare il rapporto della Commissione Brandt 2, sono
proprio i paesi maggiori ad essere venuti meno ad aspettative ed
impegni. Né a spiegare questa situazione è sufficiente invocare le
limitazioni della spesa pubblica e le diffic-oltà nella bilancia dei pa-
gamenti: il più delle volte la vera spiegazione sta nel fatto che
l'aiuto in questione non è considerato politicamente prioritario
dai vari governi. Se cosl non fosse, basterebbe, infatti, - sempre
secondo la Commissione Brandt - destinare il 2-3% dell'aumento
annuo del pnl all'aiuto esterno per colmare lo iato tra la situazione
presente e l'obiettivo fissato (0,70%) nel giro di soli cinque anni.
Aumentare in maniera consistente gli aiuti esterni allo sviluppo,
ed in particolare allo sviluppo agricolo, comincia peraltro a di-
ventare un imperativo non soltanto morale e umanitario, ma an-
che economico e politico. L'International Food Policy Research
Institute ha, infatti, concluso che, in mancanza di maggiori aiuti,
il divario tra produzione e consumi di cereali, che nel 1975 era
di 37 milioni di tonnellate, nel 1990 può raggiungere i 120-145
milioni di tonnellate, il che finirebbe col provocare carestie di
massa oltre ad aggravare seriamente l'inflazione mondiale. Secon-
do la stessa fonte l'aiuto esterno allo sviluppo agricolo necessario
per scongiurare una tale prospettiva dovrebbe essere dell'ordine di
12 miliardi di dollari (del 1975) annui negli anni ottanta, pari a
circa due volte e mezzo il volume attuale .
A conclusioni non dissimili giunge la Commissione Brandt, che
auspica tra l'altro l'adozione di uno scadenzario d'impegni precisi
per portare l'assistenza ufficiale allo sviluppo da parte dei paesi in-
dustrializzati dall'attuale livello dello 0,35% del pnl allo 0,7%
entro il 1985 e all'l % prima della fine del secolo. Quanto alle mo-
dalità di finanziamento di tali trasferimenti, la Commissione non
nasconde la sua preferenza per l'adozione di meccanismi « auto-
matici » di reperimento dei fondi, capaci cioè di funzionare senza
i ripetuti interventi dei governi (imposte sul commercio internazio-

2
Cfr. Rapporto Brandi. Nord-St1d: un programma per la sopravvivenza, Mon-
dadori, Milano 1980.

164
nale, sulla produzione o esportazione di armi, sui viaggi internazio-
nali, ecc.) 3 •
La Fao, dal canto suo, nel quadro dei lavori preparatori della
strategia di sviluppo per gli anni ottanta, ha tracciato, in uno stu-
dio intitolato « Agricoltura: orizzonte 2000 », due « scenari » pos-
sibili per il prossimo ventennio: da una parte, lo scenario che deri-
verebbe dalla prosecuzione delle tendenze registrate negli ultimi
vent'anni; dall'altra, quello che potrebbe realisticamente derivare
da una accentuazione degli sforzi per favorire lo sviluppo agricolo
nei paesi emergenti. Pochi elementi sono forse sufficienti per di-
mostrare la necessità di un'accelerazione del ritmo di espansione
produttiva in questi paesi: se infatti le tendenze del passato doves-
sero confermarsi in questo scorcio di secolo, l'autosufficienza dei
paesi in via di sviluppo in termini di calorie si abbasserebbe dal
92% nel 1980 all'80% nel 2000; il fabbisogno d'importazione di
cereali dei paesi deficitari raggiungerebbe la cifra da capogiro di
180 milioni di tonnellate, mentre quello di carne crescerebbe di
dieci volte, per stabilirsi sui 14 milioni di tonnellate. Anche ammes-
so che trasferimenti di questa entità possano essere tecnicamente
effettuati senza problemi (il che è del tutto irrealistico) ed ipotiz-
zando inoltre che l'aiuto alimentare possa nel frattempo triplicare
rispetto al livello attuale, lo studio conclude che il costo di queste
importazioni lascerebbe comunque presagire la catastrofe econo-
mica dei paesi deficitari. Tutto questo senza considerare le tremen-
de conseguenze sociali di uno sviluppo agricolo incapace di far
fronte in questi paesi ai problemi essenziali dell'alimentazione. È
tuttavia possibile, secondo la Fao, orientare questa tendenza verso
obiettivi più soddisfacenti, purché si adottino le opportune misure
a livello interno ed internazionale e si scelgano appropriate poli-
tiche di sviluppo agricolo. Lo studio fa riferimento, in particolare,
alla necessità che i paesi sviluppati abbassino le loro barriere ta-
riffarie onde permettere l'espansione degli scambi, alla possibilità
di mettere in coltura circa 200 milioni di ettari attualmente non

3
Le considerazioni forse più suggestive e inquietanti di tutto il Rapporto sono
quelle relatiw al confronto tra spese per armamenti e aiuti allo sviluppo: questi
ultimi rappresentano infatti meno del 5% delle prime, sicché basterebbe lo 0,5%
delle spese militari annue mondiali per finanziare l'acquisizione di tutte le attrez-
zature agricole necessarie ad aumentare la produzione di alimenti e a raggiungere
quasi l'autosufficienza, entro il 1990, nei paesi a basso reddito deficitari dal punto
di vista alimentare.

165
utilizzati, all'esigenza di aumentare la produttività mediante un mi-
glioramento del processo produttivo, ed .infine al maggior apporto
che i paesi ricchi dovrebbero impegnarsi a fornire sotto forma di
aiuto allo sviluppo agricolo (13 miliardi di dollari nel 1990 e 17
miliardi di dollari alla fine del secolo rispetto ai circa 5 miliardi di
dollari attuali). È difficile però pensare, come ammette anche la
Fao, che progressi così consistenti possano essere conseguiti senza
passare, in molti paesi, per una radicale riforma agraria e per un
cambiamento di mentalità delle élites locali, spesso restie a ri-
conoscere allo sviluppo agricolo e ancor meno a quello della produ-
zione alimentare la priorità che esso meriterebbe.

I risultati produttivi e i mercati agricoli. - II deterioramento


della situazione alimentare mondiale che si registra nel 1979 è in
parte dovuto ai deludenti risultati produttivi dell'annata agricola,
che nel complesso non hanno registrato alcun miglioramento ri-
spetto all'anno precedente. Il comparto cerealicolo è quello più gra-
vemente toccato dalla flessione produttiva: si stima infatti che la
produzione mondiale di cereali sia stata di circa il 4 % al di sotto
del record produttivo del 1978. In particolare, la produzione di
grano sarebbe diminuita di oltre il 6,1 % , a causa soprattutto della
forte contrazione della produzione in Europa e in Unione Sovieti-
ca (30 % in meno) e della flessione registrata in due dei principali
paesi produttori (Australia e Canada).
La produzione di grano ha invece continuato a crescere in manie-
ra spettacolare negli Stati Uniti ( + 18 % rispetto al 1978), che
vanno perciò confermandosi sempre più come il vero granaio del
mondo. Questo risultato è stato ottenuto grazie anche alla messa
a coltura di 2 milioni di ettari che erano stati « congelati » l'anno
prima nel quadro del programma governativo di restrizione pro-
duttiva varato nell'agosto 1977 4 •
Anche per i cereali secondari (granturco, orzo, avena, ecc.) si è
registrata nell'insieme una flessione produttiva (di circa il 4 % ) ri-
spetto al record del 1978, malgrado la leggera espansione delle su-
perfici coltivate: e ciò soprattutto a causa del cattivo tempo in al-
cune regioni produttrici. Quanto al riso, che costituisce com'è noto
una componente essenziale della dieta alimentare in molti paesi del-

' Cfr. L'Italia nella politica internazionale, 1977-1978, p . 344 ss.

166
l'Estremo Oriente, a causa delle precipitazioni insufficienti e dei
danni subiti dalla coltura, si è registrata una contrazione della pro-
duzione di circa il 7 % nei paesi importatori, che solo in parte è
stata compensata dall'aumento della produzione nei paesi espor-
tatori.
Altra derrata alimentare di primaria importanza per cui si è
registrata una flessione produttiva è lo zucchero, ed in particolare
quello da canna.
Una leggera espansione ha registrato invece la produzione di
caffè e di cacao, mentre per il secondo anno consecutivo la pro-
duzione complessiva di carne ha progredito ad un ritmo inferiore
a quello tendenziale di lungo periodo (2% nel 1978 e 1979 contro
il 3 % negli ultimi quindici anni).
In un contesto in cui, salvo eventi eccezionali, la domanda au-
menta molto lentamente e i meccanismi di stabilizzazione dei prezzi
sono inesistenti o inefficaci, è chiaro che i mercati della maggior
parte dei prodotti agricoli finiscono con l'essere particolarmente
sensibili alle variazioni della produzione e degli stocks. E questo
è quanto è accaduto anche nel 1979. Ma a cavallo tra il vecchio
e il nuovo anno, gli avvenimenti politici che si sono prodotti sulla
scena internazionale {occupazione dell'ambasciata americana a Te-
heran, invasione dell'Afghanistan, ecc.) e le conseguenti misure di
ritorsione economica prese da alcuni governi hanno introdotto
elementi esogeni di tensione e di disturbo sui mercati delle mate-
rie prime ed in particolare su quelli delle derrate agricole.
Per quanto riguarda, anzitutto, i cereali, è proseguita, ed anzi
si è accentuata nel secondo semestre del J 979, la tendenza alla ri-
valutazione dei corsi già rilevata nei primi mesi dell'anno, in con-
nessione con i forti deficit produttivi registrati in vari paesi impor-
tatori ed in particolare in Unione Sovietica 5• Malgrado la vistosa
espansione della produzione di frumento negli Stati Uniti, le quo-
tazioni hanno potuto così segnare una netta ripresa già a partire
dal mese di giugno. Alla fine dell'anno l'incremento aveva raggiun-
to circa il 30 % rispetto ad un anno prima. Anche i cereali seconda-
ri hanno registrato prezzi record all'inizio della campagna 1979-80,

5
Secondo fonti sovietiche, il raccolto complessivo di cereali è stato nel 1979
di 179 milioni di tonnellate, che è inferiore di 47 milioni di tonnellate rispetto
all'obiettivo del programma e di 58 milioni di tonnellate rispetto al record pro-
duttivo del 1978.

167
che si è aperta con stocks mondiali inferiori dell'8% a quelli della
precedente campagna: all'inizio di luglio, il mais degli Stati Uniti
quotava 134 dollari la tonnellata, rispetto ad una media di 103
dollari nella campagna commerciale 1978-79, per attestarsi in se-
guito sui 120 dollari la tonnellata.
Questa tendenza, che sembrava dovesse perdurare per la re-
stante metà della campagna di commercializzazione 1979-80, si è
invece bruscamente interrotta all'inizio del 1980, a causa della so-
vrabbondanza di offerta che si è venuta a determinare sui mercati
internazionali a seguito dell' « embargo » sulla fornitura di cereali
all'Unione Sovietica decretato il 4 gennaio dall'amministrazione
Carter come misura di rappresaglia per l'invasione dell'Afghanistan
(si veda, più avanti, il paragrafo sull'arma alimentare). Per evitare
un crollo traumatico dei prezzi, e la perdita di consensi presso le
classi agricole, il governo americano, oltre a sospendere per due
giorni le quotazioni, ha contemporaneamente annunciato una serie
di misure, tra cui l'impegno ad acquistare dai produttori circa 14
milioni di tonnellate di cereali destinati all'Unione Sovietica, e l'av-
vio di numerose iniziative diplomatiche volte ad assicurare l'effi-
cacia del blocco delle forniture. Se quest'ultimo obiettivo, come
vedremo più avanti, è stato sostanzialmente mancato, più soddisfa-
centi sono stati, invece, i risultati delle azioni intraprese per so-
stenere i mercati. Dopo un avvio piuttosto agitato, con quotazioni
e transazioni sui minimi storici, questi hanno infatti ripreso tono
toccando in certi casi vertici di vera euforia: in febbraio, infatti,
le quotazioni del frumento avevano raggiunto i livelli massimi re-
gistrati nel 1979, ma nei mesi successivi si è ritornati a livelli più
realistici. Per il mais e la soia, tuttavia, che sono stati più duramen-
te colpiti dall'« embargo», la ripresa è stata più lenta e meno con-
sistente.
Se l'instabilità dei prezzi delle derrate alimentari costituisce or-
mai un fenomeno familiare nel panorama dei mercati internazionali,
ciò non toglie che alcune di esse possano essere protagoniste di
« exploits » che hanno del sorprendente. È il caso, ad esempio, dello
zucchero il cui prezzo, dopo aver toccato nel luglio 1978 il livello
più basso dal 197 3, sotto l'effetto della ,,ovrapproduzione di quat-
tro annate consecutive, ha segnato con la campagna 1979-80 una
ripresa vertiginosa, che si è momentaneamente interrotta nel feb-
braio 1980: a tale epoca i corsi erano già raddoppiati rispetto al-

168
l'inizio della campagna in corso e più che triplicati rispetto alla me-
dia della campagna precedente. La ragione principale di questo
spettacolare rialzo dei prezzi dello zucchero sta nel fatto che, dopo
diversi anni di produzione eccedentaria, si è registrato nella cam-
pagna 1979-80 un deficit produttivo rispetto ai consumi dell'ordi-
ne di 5-6 milioni di tonnellate, che ha generato una forte espansio-
ne degli acquisti, soprattutto da parte di alcuni grossi paesi consu-
matori (in particolare Cina e Unione Sovietica).
Tale tendenza è stata peraltro amplificata dalle manovre specula-
tive, che hanno agitato i mercati dello zucchero durante tutta la
campagna di commercializzazione ed in particolare con il progres-
sivo deteriorarsi del quadro politico internazionale. Dopo un pe-
riodo di relativa calma che ha ridotto di un terzo i prezzi massimi
di febbraio, la speculazione ha ripreso ancora il sopravvento ripor-
tandoli alla fine di maggio su livelli ancora più elevati di quelli
raggiunti in precedenza.

L'arma alimentare in azione: l'« embargo» sulle forniture ce-


realicole all'Unione Sovietica. - Le vicende dell'Afghanistan e la
conseguente decisione di Carter di decretare l' « embargo » sulle
esportazioni di cereali all'Unione Sovietica, a cui abbiamo già ac-
cennato, hanno riportato prepotentemente alla ribalta dell'attuali-
tà internazionale una nuova arma strategica non convenzionale che
già nel corso degli anni settanta aveva fatto parlare di sé: l'arma
alimentare 6• Brandita finora soprattutto come strumento più o me-
no occulto di pressione politica e di intervento diplomatico nei rap-
porti internazionali, l'arma alimentare ha fatto agli inizi degli anni
ottanta le sue prime e più importanti esperienze come strumento
di ritorsione politico-militare: assieme alla ripresa della corsa agli
armamenti essa ha anzi segnato in maniera abbastanza clamorosa
la fine della distensione e il ritorno ad un'atmosfera da guerra fred-
da. A giudicare, però, dai risultati di questa esperienza, non sembra
che quest'arma possegga realmente quelle caratteristiche di « arma
assoluta » che taluni vorrebbero attribuirle, almeno quando essa
viene rivolta contro una superpotenza come l'Unione Sovietica.
Ciò non toglie comunque che essa poss~ conservare tutta la sua
forza deterrente in altre circostanze o nei confronti di altri paesi,

6
Cfr. L'Italia nella politica internazionale, 1975-1976, p. 326 ss.

169
soprattutto del Terzo mondo, più strettamente dipendenti dalle
forniture alimentari dei grandi paesi esportatori.
Ma veniamo ai fatti.
A seguito di un'annata agricola particolarmente disastrosa, l'U-
nione Sovietica si era dichiarata intenzionata ad acquistare 25 mi-
lioni di tonnellate di cereali dagli Stati Uniti nella campagna 1979-
80, e cioè 17 milioni di tonnellate in più del contingente annuo
previsto dall'accordo bilaterale quinquennale stipulato nel 1975.
Il governo degli Stati Uniti aveva dato in ottobre il suo assenso,
lieto di potersi sbarazzare d'un sol colpo e a prezzi particolarmente
vantaggiosi di un così enorme quantitativo di eccedente produt-
tivo. Le contrattazioni erano state subito avviate ed erano prose-
guite freneticamente, facendo impennare, come s'è visto, le quota-
zioni dei prodotti cerealicoli sui mercati internazionali: all'inizio
dell'anno erano già stati venduti ai russi 21,5 milioni di tonnellate,
di cui 4,2 milioni effettivamente consegnati. Si trattava in massima
parte di cereali foraggeri (mais, orzo, soia, ecc.) necessari ad
assicurare la sopravvivenza o, quanto meno, l'integrità del patri-
monio zootecnico dell'Unione Sovietica, alla cui espansione era
stata data la più alta priorità negli ultimi programmi agricoli.
La convinzione di poter concretamente e duramente colpire l'av-
versario sul fronte più vulnerabile, quello della sua alimentazione,
assieme all'intenzione di dare un risvolto drammatico alla reazione
americana all'invasione sovietica dell'Afghanistan, con un gesto di
grande impatto sull'opinione pubblica mondiale, costituiscono pro-
babilmente le ragioni principali che hanno indotto il presidente
Carter a decretare l' « embargo » sulle forniture cerealicole all'U-
nione Sovietica, non coperte dagli accordi del 1975.
Per parare sul piano interno il contraccolpo economico di que-
sta misura, evidentemente tutt'altro che popolare fra i produttori
agricoli e gli operatori commerciali, il governo federale non ha tar-
dato ad annunciare che avrebbe interamente riacquistato dagli at-
tuali detentori i cereali destinati all'Unione Sovietica, operazione
questa che sarebbe peraltro costata al contribuente americano ben.
2 ,25 miliardi di dollari. Per dare più forza alla sua iniziativa ed.
accentuare l'isolamento dell'Unione Sovietica, il presidente Car-
ter ha contemporaneamente sollecitato la solidarietà degli altri
grandi paesi esportatori di cereali, che sono stati pressantemente
invitati ad associarsi all' « embargo » o quanto meno a non ap-

170
profittare della situazione per accrescere le loro vendite di cereali
all'Unione Sovietica.
Impegni in tal senso sono immediatamente venuti dal Canada e,
soprattutto, dall'Australia, paesi coi quali nel maggio dell'anno
precedente gli Stati Uniti avevano concluso (assieme all'Argentina)
un accordo per il coordinamento delle loro politiche cerealicole 7 •
L'Argentina, invece, non ha tardato a fare sapere che, non solo non
si sarebbe associata all'« embargo», ma non avrebbe nemmeno po-
sto limitazioni alle transazioni con l'Unione Sovietica. L'alto poten-
ziale d'esportazione cerealicola di questo paese (valutato sui 10 mi-
lioni di tonnellate) ha indotto la Casa bianca ad inviare presso le
autorità di Buenos Aires un proprio emissario per tentare di otte-
nere la loro cooperazione. Malgrado, però, il ricorso alle armi di
persuasione più sottili (come, ad esempio, la promessa di non sol-
levare più la questione del rispetto dei diritti dell'uomo all' Assem-
blea delle Nazioni unite e la minaccia di soppiantare definitivamen-
te l'Argentina nei suoi mercati tradizionali d'esportazione, lasciati
scoperti a causa delle forniture all'Unione Sovietica), la missione
si è dovuta concludere con un nulla di fatto 8 •
Anche il Brasile, principale esportatore mondiale di soia, si è
mostrato piuttosto reticente nel solidarizzare con le misure adottate
unilateralmente dagli Stati Uniti, pur dichiarando che non avrebbe
approfittato dell' « embargo » cerealicolo.
Quanto alla Comunità economica europea, la linea di condotta
seguita è stata ispirata al principio, sanzionato dal Consiglio il 15
gennaio (malgrado qualche reticenza, soprattutto da parte francese),
secondo cui le forniture comunitarie non avrebbero dovuto sosti-
tuirsi, direttamente o indirettamente, alle forniture statunitensi
sul mercato sovietico: quindi non una adesione totale al blocco
decretato da Carter, ma soltanto l'impegno a non superare le cor-
renti tradizionali di scambio con l'Unione Sovietica, che nel settore
dei cereali erano peraltro relativamente modeste (200-400.000
tonnellate all'anno).
In quest'ottica, la Commissione Ce ha dapprima istituito un si-
stema di controllo quantitativo sulle esportazioni verso i paesi del-
l'Est europeo ed ha successivamente rafforzato il dispositivo nei
7
Cfr. L'Italia nella politica internazionale, 1978-1979, pp. 429-30.
8
Cfr. Sélim TuRQUIÉ, Efficacité et limites de l'arme céréalière, « Le Monde
diplomatique », marzo 1980.

171
confronti dell'Unione Sovietica, in modo da impedire praticamente
la vendita diretta o indiretta di prodotti cerealicoli comunitari a
questo paese (sospensione per i paesi dell'Est europeo delle re-
stituzioni all'esportazione, esclusione dell'Urss dall'elenco delle de-
stinazioni ammesse alle restituzioni, ecc.).
Nel complesso, dunque, se si escludono l'Argentina e il Brasile,
si può dire che l'appello di Carter a stringere l'Unione Sovietica nel-
la morsa di un blocco commerciale, sia pure limitatamente ai soli
prodotti cerealicoli, abbia ricevuto ampie adesioni nel mondo,
quantomeno fra i tradizionali partners commerciali dell'Unione
Sovietica. Eppure la maggior parte degli osservatori occidentali non
ha mai creduto seriamente nella gravità della minaccia messa in
atto contro l'Unione Sovietica e tanto meno nell'efficacia delle mi-
sure adottate: i fatti non hanno tardato a dar loro ragione, a tal
punto che a distanza di qualche mese vi era chi sarcasticamente si
chiedeva se un « embargo » sui cereali fosse davvero mai esistito 9 •
Come ciò sia stato possibile costituirà forse in futuro materia di
avvincenti ricerche per gli specialisti che, come ha fatto Dan Mor-
gan nel volume« Merchants of Grain » 10 , volessero avventurarsi nei
meandri del commercio internazionale dei cereali e delle lotte sot-
terranee che vi conducono le cinque grandi « sorelle » che domi-
nano questo mercato alla ricerca di nuovi, colossali clienti 11 • Fatto
sta che, mentre al momento dell'« embargo» gli esperti governati-
vi americani erano convinti che l'Unione Sovietica sarebbe riuscita
tutt'al più a coprire metà del suo deficit cerealicolo complessivo per
l'annata 1979-80 valutato sui 32-35 milioni di tonnellate, a febbra-
io si stimava già che essa potesse importare tra i 22 e i 26 milioni
di tonnellate, mentre all'inizio di aprile essi dovevano prendere atto
che gli acquisti effettuati nel frattempo si elevavano a ben 30,5
milioni di tonnellate, pari ad oltre i cinque sesti del loro fabbiso-
gno d'importazione. Si può dunque ragionevolmente concludere che,
a chiusura dell'annata di commercializzazione, l'intero deficit pro-
duttivo dell'Unione Sovietica sia stato pienamente colmato.
Il fatto più paradossale, ma non certo sorprendente, di questa

• Cfr., ad es., Céréales: quel embargo?, « L'EÀ1)ress », 8 marzo 1980, e


Céréales: embargo, vous avez dit embargo?, « Agra-Europe », n. 1115, 18 luglio
1980.
10
Tradotto in francese col titolo Les géants du grain, Parigi 1980.
11
Le « cinque sorel.le » del grano sono: Cargill, Continental, Louis Dreyfus,
Bunge e André.

172
vicenda è che metà delle forniture cerealicole all'Unione Sovietica
provengono proprio dagli Stati Uniti, e cioè dal paese dove più
ferreo avrebbe dovuto essere il blocco delle esportazioni. Le azien-
de americane, attraverso le grandi multinazionali dei cereali, avreb-
bero infatti battuto ogni record precedente, riuscendo a vendere
ai sovietici nella campagna 1979-80 ben 4 milioni di tonnellate di
grano e 11,4 milioni di tonnellate di cereali foraggeri: in totale,
dunque, 15,4 milioni di tonnellate, pari a 7,4 milioni di tonnellate
in più del contingente annuale previsto dagli accordi del 197 5.
Ma falle più o meno vistose si sono aperte anche sul fronte dei
paesi che avevano solidarizzato con le misure adottate dagli Stati
Uniti: il fatto è che, di fronte alla prospettiva di lasciarsi scappare
una fetta consistente di quello che è stato considerato il contratto
del secolo, per di più a vantaggio dei propri concorrenti commer-
ciali, e di fronte alle offerte allettanti che gli emissari di Mosca an-
davano facendo per il mondo 12 , nessun governo ha saputo resistere
a lungo alle pressioni delle « lobbies » ,lgricole e commerciali in
favore di un allentamento o di un completo smantellamento delle
restrizioni all'esportazione. Così, il Canada, pur continuando a di-
chiararsi d'accordo con l' « embargo » del presidente Carter, accet-
tava, all'inizio di marzo, di vendere 2 milioni di tonnellate di cerea-
li all'Unione Sovietica, a cui se ne sarebbero aggiunti altrettanti
nel proseguimento della campagna, il che significa pressoché il rad-
doppio delle forniture effettuate nella campagna precedente. L'Ar-
gentina, da parte sua, che comunque si era lasciate le mani comple-
tamente libere, ha quadruplicato le sue vendite all'Urss, passando
da 1,4 a 5,5 milioni di tonnellate. Ma il cedimento più vistoso è
quello dell'Australia, che, come s'è visto, aveva più decisamente
appoggiato l' « embargo » cerealicolo decretato da Carter: le ven-
dite di cereali all'Unione Sovietica sono infatti passate da appena
200 .000 tonnellate nella campagna 1978-79 a ben 3,9 milioni di
tonnellate nella campagna 1979-80.
In definitiva, chi più d'ogni altro ha realmente rispettato gli im-
pegni assunti è stata la Ce: è vero, infatti, che le vendite di cereali
all'Unione Sovietica sono passate da 300.000 a 700.000 tonnellate
tra il 1978-79 e il 1979-80, ma occorre precisare che la quasi tota-
lità di queste vendite aggiuntive sono avvenute sulla base di certi-
12
Essi sono arrivati ad offrire anche 205 dollari la tonnellata per una merce
che, in condizioni normali, sarebbe stata quotata da 185 a 190 dollari.

173
fìcati d'esportazione a destinazione libera, in circolazione prima che
fossero assunte le accennate misure restrittive di gennaio.
Di fronte alla realtà dei mercati e al sempre più evidente falli-
mento dell'operazione «embargo», molti governi non hanno tar-
dato, anche per salvare la faccia, a tirare le conseguenze di questa
esperienza e a ritornare sulle decisioni assunte all'inizio dell'anno.
Cosl, a fine maggio, il governo australiano annunciava la rimozione
parziale dell' « embargo » nei confronti dell'Unione Sovietica per
la campagna 1980-81, consentendo la vendita di una parte del rac-
colto 1980. Il 28 luglio anche il Canada ha abbandonato « per ra-
gioni pratiche » il suo « embargo » cerealicolo verso l'Urss. Nel
frattempo, lo stesso governo americano si era visto costretto ad au-
torizzare i « grandi del grano » a vendere all'Urss, per mezzo delle
loro filiali all'estero, dei cereali di origine non americana: una mi-
sura questa che equivaleva, di fatto, ad un larvato allentamento
dell' « embargo », in quanto avrebbe legalizzato il dirottamento
verso l'Unione Sovietica di cereali americani fittiziamente destinati
ad altri paesi, come era già avvenuto nei mesi precedenti.
È forse ancora troppo presto per tirare un bilancio definitivo
di questa esperienza. Se ci si dovesse, comunque, basare esclusi-
vamente su di essa, se ne dovrebbe concludere che l' « arma alimen-
tare », non soltanto è un'arma spuntata, ma anche un'arma a doppio
taglio. Non soltanto, infatti, essa non ha prodotto gli effetti spe-
rati sull'avversario, ma finirà probabilmente col danneggiare in pri-
mo luogo in maniera irreversibile proprio il paese che vi ha fatto
più ampio ricorso. Non si tratta soltanto del danno immediato su-
bìto dagli agricoltori americani, per effetto della flessione dei prez-
zi dei cereali foraggeri a seguito dell'« embargo»: è la stessa strut-
tura del commercio internazionale dei cereali ad essersi modificata
a vantaggio dei tradizionali concorrenti degli Stati Uniti, a comin-
ciare dall'Argentina che, il 10 luglio 1980, ha concluso un accordo
con l'Unione Sovietica per la fornitura in cinque anni di 22,5 mi-
lioni di tonnellate di mais, sorgo e soia. L'Australia, d'altra parte,
dovrebbe consolidarsi come nuovo fornitore cerealicolo dell'Urss,
avendo fissato all'inizio di luglio un contingente d'esportazione per
la campagna 1980-81 pari a quello raggiunto nella precedente
campagna 13 •
13
Cfr. Franco PAPITTO, Fallisce l'embargo di Carter sui cereali, « la Repub-
blica », 4 giugno 1980.

174
È facilmente prevedibile, inoltre, che l' « embargo » americano
avrà conseguenze non trascurabili anche sul fronte produttivo: da
una parte, infatti, ha già indotto i produttori americani a restringe-
re la superficie coltivata nell'annata 1980-81; dall'altra, ha messo in
luce una volta per tutte l'importanza strategica dell'agricoltura, non
solo per l'Urss, ma per tutti i paesi tributari dell'estero per la pro-
pria alimentazione: è possibile, dunque, che a lungo andare l'effet-
to-boomerang più rilevante di questa misura sia quello di stimola-
re la riduzione della dipendenza alimentare di alcuni paesi defici-
tari.
Dobbiamo allora concludere che l' « embargo » cerealicolo nei
confronti dell'Unione Sovietica ha scavato definitivamente la fossa
all'arma alimentare? Sarebbe azzardato qffermarlo, tanto più che
a distanza di qualche mese essa è stata nuovamente brandita da
Carter nei confronti delle nuove autorità di Teheran per indurle a
trovare una soluzione al problema degli ostaggi dell'ambasciata
americana. Quello che però ci induce ancor più ad essere prudenti
è il fatto che, malgrado gli sforzi che molti paesi del Terzo mondo
potranno fare in futuro per affrancarsi dalla dipendenza alimentare,
le prospettive, come abbiamo visto all'inizio di questo capitolo,
sono tutt'altro che rassicuranti: se non si registra un'inversione di
rotta, il deficit cerealicolo dei paesi del Terzo mondo potrebbe
infatti arrivare, secondo la Fao, sui 180 milioni di tonnellate alla
fine di questo secolo. Il che significa che, purtroppo, non manche-
ranno le occasioni per brandire nuovamente e più efficacemente
quest'arma.

Lo scenario comunitario

Il bilancio comunitario in impasse: il nodo agricolo. - Lo sce-


nario comunitario, e non solo quello della politica agricola comune,
è stato dominato lungo tutto l'arco del periodo preso in esame
dalle vicende di due scottanti e spinosi dossiers, il cui esito in-
certo non soltanto ha tenuto per lungo tempo col fiato sospeso
protagonisti ed osservatori delle vicende comunitarie, ma ha anche
finito per condizionare tutta l'attività comunitaria. Si tratta, da una
parte, della lunga e tormentata procedura di approvazione del bilan-
cio della Comunità per il 1980 che, per la prima volta nella sua sto-

175
ria, è stato rigettato in dicembre dal Parlamento europeo. Si tratta,
d'altra parte, della complessa questione della convergenza tra le
economie dei vari paesi membri e, in quest'ottica, della partecipa-
zione di ciascuno di essi ai costi e ai benefici di questa impresa.
Anche in questa occasione, la politica agricola comune è stata al
centro dei dibattiti, rappresentando ormai essa il terreno privi-
legiato su cui, nel bene o nel male, si giocano le partite decisive
nella storia della Comunità.
È, del resto, proprio la politica agricola comune, o piuttosto
l'alto costo di gestione di alcuni mercati agricoli eccedentari, all'o-
rigine del conflitto istituzionale che ha impegnato per quasi un an-
no Commissione, Consiglio e Parlamento europeo. È stato, infat-
ti, soltanto nella sessione di luglio del 1980 che quest'ultimo, con
l'adozione del bilancio 1980, ha levato la pesante ipoteca che pen-
deva dall'inizio dell'anno sulla gestione delle politiche comunita-
rie e sul futuro dei rapporti interistituzionali.
I germi della crisi erano comunque affiorati da più lunga data:
senza andare troppo indietro nel tempo, riteniamo infatti che le
controverse decisioni del Consiglio sui prezzi agricoli per la cam-
pagna 1979-80, del 22 giugno 1979 14 , lasciassero già presagire
quanto meno i prodromi di un serrato confronto tra le istituzioni
comunitarie. E ciò non solo perché, come scrivevamo un anno fa,
la Commisione riteneva tutt'altro che chiusa la partita per il con-
trollo della spesa agricola e la limitazione delle eccedenze che essa
aveva intrapreso da qualche anno, ma anche perché, com'era appar-
so chiaro nel corso della campagna elettorale che aveva preceduto
le prime elezioni a suffragio universale diretto del Parlamento eu-
ropeo, quest'ultimo aspirava ormai ad assumere un ruolo ben più
determinante nel processo decisionale comunitario. La procedura
di bilancio, che istituzionalmente rappresenta la sfera in cui la com-
petenza del Parlamento europeo è più ampia e più decisiva, ha co-
stituito così l'occasione non solo e non tanto per proporre corret-
tivi più o meno rilevanti alla destinazione della spesa agricola, ma
anche e soprattutto per affermare e far valere il diritto del nuovo
Parlamento ad incidere sia pure indirettamente sul momento deci-
sionale delle varie politiche comuni ; una prerogativa, questa, che
com'è noto i Trattati riservano pressoché esclusivamente al Con-

14
Cfr. L'Italia nella politica internazionale, 1978-1979, p. 450 ss.

176
siglio dei ministri. In questa vicenda la politica agricola comune
ha insomma rappresentato il terreno su cui il confronto interisti-
tuzionale si è svolto, ma la posta in gioco andava ben al di là dei
circa 650 milioni di uce 15 di spesa agricola che costituivano l'og-
getto della controversia tra Consiglio e Parlamento: era la stessa
credibilità di quest'ultimo come istituzione chiamata a rappresen-
tare la volontà dei cittadini europei democraticamente espressa che
esso riteneva di dover difendere ed affermare.
A prescindere dai giudizi di merito sui risultati di questo con-
fronto, bisogna riconoscere che la partita è stata giocata con molta
abilità, per non dire con molta astuzia, da parte del Parlamento
europeo, che si trovava nella difficile condizione di voler conquistare
un ruolo più incisivo sulla scena comunitaria, senza poter però in-
frangere né il dettato né lo spirito dei Trattati: come vedremo,
è proprio negli interstizi, forse ancora non sufficientemente esplo-
rati, degli articoli del Trattato Ce che è stato trovato il fondamen-
to giuridico per un certo rafforzamento del controllo politico del
bilancio da parte del Parlamento europeo.
Prima però di esaminare attraverso quali artifici numerici e
astuzie procedurali si è arrivati a questo risultato, occorre rievo-
care brevemente gli elementi essenziali del dossier.
Proseguendo nella politica di contenimento della spesa agricola,
la Commissione aveva adottato, nel maggio 1979, un progetto pre-
liminare di bilancio per il 1980 che, oltre a riflettere una politica
prudente in materia di prezzi agricoli, scontava l'adozione da parte
del Consiglio di una serie di misure volte a limitare il costo delle
eccedenze strutturali nel settore lattiero-caseario e dello zucchero 16 •
Le già richiamate decisioni del Consiglio agricoltura del 22 giu-
gno, da cui la Commissione con un gesto senza precedenti si era
formalmente dissociata, avevano però riportato la spesa agricola
sui trends espansivi degli anni precedenti: il loro impatto sul bi.-
lancio per il 1980 era stato infatti valutato a circa 1.300 milioni
di uce, il che avrebbe significato un aumento complessivo del1'8 %
rispetto alle iniziali proposte di bilancio della Commissione. Que-
sta esigenza ulteriore di spesa, che rendeva necessario un paralle-
lo aumento delle risorse proprie provenienti dall'I va, faceva pe-

" 1 uce = circa 1.186 lire italiane.


" Cfr. L'Italia nella politica internazionale, 1978-1979, p. 434 ss.

177
raltro chiaramente intravedere a breve scadenza (e al più tardi
per il 1981) il completo esaurimento del margine di spesa anco-
ra disponibile per la Comunità nel quadro del sistema delle risor-
se proprie 17 •
Questa prospettiva imminente, assieme alla convinzione che il
Parlamento europeo avesse il diritto e il dovere di agire in maniera
da porre dei limiti all'espansione incontrollata della spesa agricola,
hanno indotto il relatore sul bilancio della Commissione per il
1980, il socialista olandese Pieter Dankert, a proporre all'Assem-
blea un pacchetto di emendamenti al progetto di bilancio adottato
in prima lettura dal Consiglio, ineccepibili sul piano giuridico quan-
to rivoluzionari nella sostanza e nel loro valore politico (i cosiddet-
ti « emendamenti Dankert »).
Rinunciando, per ragioni di praticabilità ed anche di equità, ad
affrontare in maniera globale il problema della riduzione della spesa
agricola (ad esempio mediante imposizione di un massimale glo-
bale alla spesa della sezione « garanzia » del Feoga), Dankert pro-
poneva un approccio più selettivo, sulla falsariga di quello già sug-
gerito dalla Commissione: poiché era essenzialmente il settore lat-
tiero-caseario ad avere originato enormi e costose eccedenze pro-
duttive, era all'interno di questa organizzazione di mercato che an-
dava attivato un meccanismo capace di limitare le eccedenze e la re-
lativa spesa. Questo meccanismo, peraltro già in atto, era il cosid-
detto « prelievo di corresponsabilità», che consiste in una sorta di
tassa comunitaria sulla produzione di latte, introdotta nel 1977,
allo scopo di scoraggiarne l'eccessiva espansione produttiva: per
Dankert si trattava perciò soltanto di rafforzare questo meccani-
smo. Se l'idea non era affatto nuova, tant'è che la Commissione
cercava invano da alcuni anni di fare aumentare dal Consiglio l'ali-
quota di questo prelievo 18 , senza dubbio originale era il sistema

17
Come è noto, il sistema delle risorse proprie, che è alla base del regime fi-
nanziario della Comunità, prevede il trasferimento al bilancio comunitario dei
dazi doganali e prelievi agricoli percepiti all'importazione dai paesi terzi, da una
parte, e di una certa percentuale delle entrate provenienti dall'Iva, dall'altra:
questa percentuale, che viene calcolata di anno in anno in funzione delle reali
esigenze di spesa, non può comunque superare, nel regime attualmente in vigore,
l'l % dell'imponibile Iva della Comunità. A seguito delle suddette decisioni del
Consiglio, il tasso Iva doveva essere fissato allo 0,756% (contro lo 0,734% nel
1979): in queste condizioni, il margine di manovra disponibile è stato valutato a
2.400 milioni di uce.
18
L'importo del prelievo di corresponsabilità era stato fissato all'l,5% del

178
proposto da Dankert per raggiungere questo obiettivo. Il punto di
partenza prescelto è stato l'art. 203 del Trattato Ce, il quale pre-
vede che il Parlamento può proporre modifiche alle cosiddette
« spese obbligatorie» 19 (e pertanto alla sezione «garanzia» del
Feoga, a cui sono imputate le spese per il sostegno dei mercati agri-
coli) e stabilisce che qualora queste ultime non comportino un au-
mento degli stanziamenti, esse possono essere respinte dal Consiglio
solo a maggioranza qualificata (cioè con 41 voti su 58). In quest'ot-
tica, gli emendamenti Dankert proponevano una serie di ingegno-
si spostamenti interni della spesa agricola che, se non modificava-
no il volume complessivo di questa, onde poter invocare i poteri
conferiti al Parlamento dal citato art. 203, rappresentavano comun-
que quel salto qualitativo nella sfera decisionale che doveva segnare
il passaggio tra la vecchia e la nuova concezione del ruolo politico
del Parlamento europeo. In sostanza, si trattava di destinare le ri-
sorse derivanti dalle economie di spesa, da realizzare mediante
un rafforzamento del prelievo di corresponsabilità (circa 280 milio-
ni di uce) e la riduzione del sostegno alla produzione e all'esporta-
zione di prodotti lattiero-caseari (circa 380 milioni di uce), a misure
strutturali nei settori eccedentari ed in particolare alla riconversio-
ne di questi ultimi e all'aumento dei consumi.
Una piccola fetta dell'economia di spese così realizzata, pari a
circa 30 milioni di uce, sarebbe andata in detrazione delle entrate,
mentre con una ulteriore riduzione degli aiuti al latte scremato in
polvere di 35 milioni di uce si sarebbe potuto aumentare di altret-
tanto l'aiuto alimentare ai paesi del Terzo mondo. « Con questa
impostazione - scriveva Dankert nella sua relazione - si potreb-
be effettivamente iniziare a ridurre la spesa agricola eccessiva e si
potrebbe dare l'avvio al trasferimento di risorse verso altre politi-
che comunitarie» 20 • Occorre peraltro precisare che non si trattava,

prezzo del latte a partire dal settembre 1977, ma il Consiglio lo aveva ridotto
allo 0,5% a decorrere dal 1° maggio 1978.
19
Come è noto, le spese previste dal bilancio si dividono in « spese obbliga-
torie» e « spese non obbligatorie»; le prime, che rappresentano circa 1'80%
del totale, sono quelle che derivano direttamente dai Trattati o dai regolamenti
emanati in applicazione di questi; le seconde hanno un fondamento diverso (in
genere derivano da una decisione politica); su queste ultime il Parlamento, purché
si mantengano entro certi limiti, ha il diritto di « dire l'ultima parola ». Cfr. Saverio
ToRCASIO, Il bilancio delle Comunità, nel volume Europa oggi, Bruxelles-Lus-
semburgo 1979.
20
Cfr. P. DANKERT , Relazione presentata a nome della Commissione per i bilan-

179
per il Parlamento, di arrogarsi, con queste proposte, poteri decisio-
nali non previsti dai Trattati, ma soltanto di creare un quadro di
bilancio in cui inserire una revisione della politica agricola comune,
che in ogni caso avrebbe dovuto seguire la procedura abituale (pro-
posizione della Commissione ed approvazione del Consiglio dei mi-
nistri). È per questo che Dankert si preoccupava di precisare che
questa serie di modifiche non rappresentava assolutamente un'in-
novazione di carattere istituzionale nella Comunità e che « il Par-
lamento si è valso delle disposizioni dell'art. 203, né ha inte-
so sostituirsi ai ministri dell'agricoltura nel loro diritto di decide-
21
re in merito ai punti essenziali della politica agricola comune » •
Malgrado questa messa a punto e la reiterata assicurazione che
non era intenzione del Parlamento modificare la politica agricola
comune attraverso la procedura di bilancio, è subito apparso chia-
ro che queste proposte avrebbero dato esca ad un conflitto istitu-
zionale senza precedenti col Consiglio.
Che si trattasse del resto di qualcosa di più che una semplice di-
sputa sulle cifre è emerso chiaramente fìn dalla prima lettura del
progetto di bilancio, a cui il Parlamento ha riservato una sessione
straordinaria dal 5 al 7 novembre 1979. Se infatti la discussione
sul bilancio della politica agricola ha mostrato chiaramente la vo-
lontà pressoché unanime del Parlamento di incrociare le armi col
Consiglio, essa ha anche finito per coinvolgere i parlamentari in
un confronto sulla rimessa in questione della Pac, che ha visto pe-
raltro convergere tendenze politiche a difesa degli interessi nazio-
nali e a danno dell'unità di alcuni gruppi. Cosl, la maggioranza dei
membri del gruppo socialista (compresi quelli italiani) ha dichia-
rato che era necessario limitare le spese agricole, mentre i socialisti
francesi si sono opposti a questa posizione. Analoga spaccatura si è
verificata nel gruppo comunista, i cui me!llbti francesi, contrari alla
riduzione delb spesa agricola, hanno adottato una posizione di-
versa dalla maggioranza dei membri del loro gruppo. Quanto al
gruppo dei democratici europei, di cui fanno parte i conservatori
britannici, questo ha dato il suo appoggio alla proposta di riduzione

ci sul progetto di bilancio generale delle Comunità europee per l'esercizio 1980,
Parlamento europeo, doc. 1-458/79.
21 P. DANKERT, Relazione presentata a nome della Commissione per i bilanci

sul progetto di bilancio generale delle Comunità europee per l'esercizio 1980,
emendato dal Parlamento e modificato dal Consiglio e sulla reiezione totale del
progetto di bilancio per l'esercizio 1980, Parlamento europeo, doc. 1-581/79.

180
delle spese di sostegno al mercato lattiero-caseario, ma si è opposta
all'aumento del prelievo di corresponsabilità, che avrebbe penaliz-
zato, a suo dire, le aziende più efficienti.
Su tutte le divisioni e le divergenze di vedute ha prevalso tut-
tavia la comune volontà di ingaggiare un duro braccio di ferro col
Consiglio, sul cui significato politico ci damo soffermati in prece-
denza.
Dopo tre giorni di intenso dibattito, il Parlamento ha infatti
adottato a larga maggioranza, con il solo voto contrario dei gruppi
comunista e democratico europeo per il progresso (di ispirazione
gollista) e tre astensioni fra i liberali, una lunga risoluzione che con-
sacra la fìlosofìa e le priorità politiche di questa istituzione in me-
rito al bilancio 1980 e che, per quanto riguarda la spesa agricola,
ricalca sostanzialmente le proposte di Dankert e della Commissione
per i bilanci.
Non è questa la sede per esaminare in tutti i loro dettagli gli svi-
luppi ulteriori della procedura di bilancio per il 1980, che, come
s'è detto, si è eccezionalmente protratta per quasi un anno ll_ Qui
ci basti ricordare che il mancato accoglimento da parte del Consi-
glio delle richieste del Parlamento per quanto riguarda la politi-
ca agricola comune costituisce senza dubbio la ragione principale,
anche se non l'unica, che ha indotto il Parlamento a respingere
globalmente il progetto di bilancio per il 1980. Un tentativo in ex-
tremis per scongiurare questo drammatico epilogo, considerato dal
presidente del Consiglio in carica, il ministro degli esteri irlandese
Lenihan, « un passo irragionevole verso un confronto tra le istitu-
zioni », era stato fatto nella notte tra il 12 e il 13 dicembre, quando
il Consiglio si era incontrato con una delegazione del Parlamento
europeo, che avrebbe dovuto decidere nella giornata del 13. In tale
occasione il Consiglio, oltre ad offrire al Parlamento la possibilità
di accogliere circa la metà di tutti gli emendamenti da questo ri-
chiesti in prima lettura, si era impegnato a « tirare le conseguenze,
sul piano del bilancio, delle decisioni, relative in particolare al set-
tore lattiero, che il Consiglio prenderà appena possibile nel 1980
ed in ogni caso prima della fìssazione dei prezzi, sulla base delle
proposte della Commissione ... , delle proposte di modifica fatte

22
Per il dibattito sul bilancio comunitario, si veda anche il cap. IV di questo
Annuario.

181
dall'Assemblea il 7 novembre 1979 e delle direttive del Consiglio
del 21 giugno 1979, relative al prelievo di corresponsabilità ». Que-
ste conseguenze avrebbero dovuto peraltro « garantire una riduzio-
ne delle spese destinate alle garanzie accordate nel settore agrico-
lo ». Se, in altre circostanze, il Parlamento avrebbe probabilmente
accolto con relativa soddisfazione tali offerte, questa volta la posta
in gioco era considerata troppo elevata perché potesse accontentar-
si di un mezzo successo: la proposta di rigettare globalmente il bi-
lancio, malgrado queste offerte forse arrivate un po' troppo tardi-
vamente, è infatti passata con 288 voti favorevoli e 64 contrari
(di cui 47 di parlamentari francesi, quasi tutti del gruppo dei de-
mocratici europei per il progresso e del gruppo comunista).
Le dichiarazioni di voto fatte in questa occasione dai portavoce
dei vari gruppi politici dimostrano, in effetti, che soltanto per i la-
buristi britannici la riforma della politica agricola comune costi-
tuiva la motivazione essenziale del rigetto del bilancio. Tutti gli
altri gruppi mettevano, invece, l'accento sugli aspetti più politici
della vicenda: difesa dei diritti del Parlamento (gruppo liberale),
voto contro il « ristagno della Comunità » (Partito popolare euro-
peo), leggerezza con la quale il Consiglio aveva trattato il Parla-
mento lungo tutto il corso della procedura di bilancio (comunisti
italiani).
Il significato politico di questa vicenda emerge del resto chiara-
mente anche alla luce degli sviluppi della procedura di bilancio
per il 1980. A questo proposito, occorre anzitutto osservare che,
così come il secondo semestre 1979 era stato dominato dalle vicen-
de relative all'approvazione del bilancio comunitario per il 1980
e dal confronto istituzionale Parlamento-Consiglio, quasi tutto il
primo semestre del 1980, come vedremo più avanti, è stato invece
marcato dal deteriorarsi della stessa coesione comunitaria, per la
difficoltà di trovare una soluzione soddisfacente al problema del
contributo britannico al bilancio comunitario.
Questa situazione di tensione e di incertezza sul futuro comuni-
tario, assieme alla consapevolezza che la protratta mancanza di un
bilancio comunitario avrebbe ulteriormente pregiudicato la soprav-
vivenza stessa della Comunità 23, hanno senza dubbio avuto un peso
23
In assenza del bilancio per il 1980, le spese della Comunità - a partire dal
1° gennaio 1980 - sono state effettuate in base al cosiddetto « regime dei dodi-
cesimi provvisori » (art. 204 del Trattato Ce) e prendendo come base il bilancio

182
determinante nell'atteggiamento tenuto dal Parlamento europeo nel
prosieguo della procedura di bilancio: un atteggiamento, questo
ispirato a cautela e a realismo politico, ma che è apparso a qualcu-
no come un ripiegamento su posizioni eccessivamente moderate
e rinunciatarie dopo le epiche battaglie che avevano preceduto il
voto di dicembre. Fatto sta che, malgrado il nuovo bilancio per il
1980, quale si era andato delineando a seguito dei complessi ne-
goziati sui prezzi agricoli e sul problema del contributo britannico
su cui riferiremo più avanti, non entusiasmasse alcun gruppo parla-
mentare, il 9 luglio 1980 sono state respinte a larga maggioranza
due proposte di rigetto del bilancio, presentate rispettivamente dai
laburisti britannici e dai cinque membri del cosiddetto « gruppo di
coordinamento tecnico » (di cui fanno parte i radicali italiani). Dal
voto si sono astenuti i membri del gruppo socialista, non soddisfatti
del bilancio votato dal Consiglio, ma allo stesso tempo convinti
dell'opportunità che la Comunità fosse finalmente dotata di un bi-
lancio per il 1980, e quelli del gruppo comunista, anch'essi deci-
samente contrari al bilancio, ma contrari anche alle motivazioni del
rigetto (comunisti francesi) o all'uso troppo alla leggera di quest'ar-
ma (comunisti italiani).
Più positive le valutazioni del Partito popolare europeo, dei li-
berali e dei democratici europei per il progresso, che insieme ai
conservatori britannici hanno votato contro il rigetto del bilancio:
molti degli intervenuti hanno peraltro sottolineato l'importanza
cruciale che avrà il bilancio per il 1981 ai :fini del perseguimento
di quegli obiettivi di riequilibrio della spesa che era stato all'ori-
gine del voto di dicembre e di cui il bilancio in corso di approva-
zione rappresentava per essi una tappa modesta, ma significativa.
Il che significa che la battaglia sul fondo del problema potrebbe
riprendere nel corso della procedura di bilancio per il 1981.

La lotta alle eccedenze. - Il rigetto del bilancio per il 1980 da


parte del Parlamento europeo, motivato, come s'è visto, in gran

del 1979: in tali condizioni, e tenendo conto dell'evoluzione delle spese da un


anno all'altro, la Commissione aveva stimato che, al più tardi entro settembre o
ottobre del 1980, si sarebbe verificato il blocco completo dei pagamenti di
bilancio, in particolare quelli del Feoga « garanzia » che costituiscono per la
Comunità una « spesa obbligatoria». Questa situazione avrebbe messo la Com-
missione in una situazione di « insolvenza » nei confronti degli « aventi diritto »
(soprattutto gli agricoltori comunitari).

183
parte dalla volontà di affermare la propria concezione della politi-
ca agricola comune, rappresenta il momento « clou » della difficile
battaglia ingaggiata già da qualche anno dalla Commissione per il
contenimento delle eccedenze agricole e il risanamento del bilancio
comunitario dall'espansione patologica della relativa spesa 24 • Que-
sta esigenza, dettata tanto da considerazioni interne alla politica
agricola comune (razionalizzazione della spesa agricola, riconduzio-
ne dell'attività produttiva alla realtà dei mercati, ecc.), quanto da
considerazioni di carattere più generale (progressivo esaurimento
delle possibilità aggiuntive di spesa nel quadro dell'attuale regime
delle risorse proprie, necessità di recuperare alle politiche extra-
agricole un ruolo più incisivo nel bilancio comunitario, ecc.) ha
costituito il « Leitmotiv » della iniziativa comunitaria in materia
di politica agricola comune nel periodo in esame. Si può anzi dire
che quasi tutti i principali dossiers aventi implicazioni finanziarie,
ivi compreso in primo luogo quello del contributo britannico al
bilancio comunitario, hanno finito prima o poi per intersecarsi con
questo passaggio obbligato e col dibattito sul controllo della spesa
agricola e sulla riforma della politica agricola comune.
Nell'intento appunto di salvaguardare l'esistenza stessa di que-
sta politica e di rafforzarla per fronteggiare le crescenti difficoltà fi-
nanziarie della Comunità, e malgrado la pessima accoglienza riser-
vata dal Consiglio alle sue precedenti proposte in questa materia 25 ,
la Commissione ha presentato, nel novembre 1979, una nuova serie
di misure allo scopo di limitare la responsabilità finanziaria della
Comunità per le eccedenze agricole strutturali. Esse hanno peraltro
fatto oggetto di una apposita comunicazione d'assieme al Consiglio
europeo di Dublino, proprio per sottolineare l'urgenza di una deci-
sione al massimo livello politico su questo scottante problema.
Le proposte della Commissione erano imperniate su tre elemen-
ti fondamentali: un « pacchetto » lattiero-caseario, che comporta-
va una nuova impostazione della politica di corresponsabilità; un
regime riveduto per lo zucchero e l'isoglucosio; alcune modifiche
dei regimi applicabili alle carni bovine, alla segala, ai prodotti ami-
dacei e agli ortofrutticoli trasformati.
Per quanto riguarda, in particolare, il latte, la Commissione ri-

24
Cfr. L'Italia nella politica internazionale, 1978-1979, p. 434 ss.
25
Ibidem.

184
badiva la necessità di portare il prelievo di corresponsabilità dallo
0,5% all'l,5 % sui prezzi indicativi del latte alla campagna 1980-
81, essendosi peraltro verifica te le condizioni per giustificare tale
aumento anche alla luce delle decisioni di giugno del Consiglio 26 •
Inoltre la Commissione proponeva di introdurre per le tre suc-
cessive campagne un prelievo addizionale, il cui tasso per la cam-
pagna 1980-81 sarebbe stato del 3 % : esso avrebbe dovuto essere
pagato da tutte le latterie che avessero lavorato nel 1980 un quan-
titativo di latte analogo o superiore a quello dell'anno prima, e ciò
allo scopo di incitare indirettamente i produttori a non aumentare
la produzione di latte. Misure particolari sarebbero state adottate
a favore dei piccoli produttori, al fine di non penalizzarli con que-
sta misura.
Anche nel settore dello zucchero, la Commissione proponeva in
sostanza una riduzione del livello di sostegno accordato ai produt-
tori, mediante una riduzione generalizzata delle quote di produzio-
ne e una modifica dei livelli di garanzia. Misure di minore impor-
tanza erano previste per le carni bovine e i cereali, ma si annuncia-
vano, invece, misure restrittive di una certa rilevanza, quanto
meno per l'Italia, nel settore degli ortofrutticoli, onde pervenire
ad un contenimento della spesa in questo settore. Nel complesso
la Commissione stimava che l'adozione di questo insieme di propo-
ste avrebbe consentito un'economia annua di circa un miliardo di
uce, il che avrebbe reso temporaneamente meno impellente il pro-
blema della ricerca di nuove risorse proprie per il finanziamento
del bilancio comunitario.
A Dublino, tuttavia, i capi di stato e di governo, troppo presi
a sbrogliare la matassa del contributo britannico senza mettere in
causa l' « acquis » comunitario, hanno riservato solo qualche fugace
occhiata al dossier agricolo, al pun to che le tradizionali conclu-
sioni della presidenza omettono completamente di farvi cenno. Ep-
pure, se è vero che i due dossiers muovono ciascuno da una pro-
pria logica che li rende autonomi uno rispetto all'altro, è anche
vero che l'eccessivo peso della spesa agricola nel bilancio comunita-

26
Nella citata « maratona» agricola di giugno il Consiglio aveva, infatti, ac-
cettato che la tassa di corresponsabilità fosse portata all'l,5% nel caso in cui
nel corso del 1979 le forniture di latte alle latterie avessero superato di oltre
il 2% i quantitativi forniti nel 1978: in novembre la Commissione stimava che
l'aumento sarebbe stato dell'ordine del 2,4%.

185
rio costituisce non solo l'anello di congiunzione tra i due, ma addi-
rittura una delle ragioni principali dell'insorgere del problema bri-
tannico. Basti dire, in proposito, che, su una fetta di spesa che rap-
presenta nel 1980 il 71 % dell'intero bilancio comunitario, il Regno
Unito ottiene dal Feoga «garanzia» appena il 6 % , mentre vi
contribuisce - nel quadro beninteso del regime delle risorse pro-
prie - per il 21 % circa.
Il silenzio del Consiglio europeo di Dublino sulle proposte di
economia di spese della Commissione, nel settore agricolo, non gli
ha comunque impedito di ribadire che la soluzione del problema
britannico non avrebbe dovuto implicare un superamento del pla-
fond finanziario definito dal vigente regime delle risorse proprie
( 1 % dell'imponibile I va comunitario): il che significa che, in as-
senza di misure di contenimento della spesa agricola, sarebbe di-
ventata ancora più imminente la prospettiva di esaurimento delle
possibilità aggiuntive di finanziamento del bilancio comunitario.
La patata bollente è così arrivata direttamente nelle mani dei suoi
destinatari naturali, i ministri dell'agricoltura. Questi, nella sessio-
ne del 10 e 11 dicembre, hanno cercato invano di disinnescare la
mina dell'imminente rigetto del bilancio da parte del Parlamento
con l'adozione di una dichiarazione di buone intenzioni in cui, oltre
a prendere atto « con partecipazione e comprensione » dei motivi
che avevano indotto il Parlamento europeo, nell'ambito della pro-
cedura di bilancio, a proporre modifiche alla sezione « garanzia »,
riconoscevano la fondatezza delle preoccupazioni di carattere :finan-
ziario che avevano motivato tale orientamento e si impegnavano
ad esaminare le recenti proposte della Commissione « con urgenza
e con tutta la considerazione richiesta dalla loro importanza, onde
poter adottare tempestive decisioni per l'inizio della campagna di
commercializzazione di cui trattasi» 27 • Come s'è visto, però, né
questa dichiarazione di intenti, né quella rilasciata poco dopo dai
ministri economici e finanziari, hanno convinto il Parlamento a
recedere dal proposito di rigettare il bilancio. Era, comunque, già
un passo avanti sostanziale rispetto alle decisioni di giugno, quando
analoghe proposte della Commissione erano state pressoché total-
mente respinte dal Consiglio. Il fatto è che, per talune distorsioni
macroscopiche del suo funzionamento, il mercato comune agricolo,

27
« Bollettino delle Comunità europee», n . 12, 1979, p. 51.

186
ancora una vòlta nell'occhio del ciclone, rischiava di attirare su
di sé i fulmini di tutte le tensioni che agitavano il cielo comu-
nitario.
Una delle idee più insidiose che si erano fatte strada negli ulti-
mi tempi, in connessione con il dibattito sul bilanciò per il 1980
e sul problema del contributo britannico, era quella della riduzio-
ne o del « contingentamento » della spesa agricola ed in particola-
re della sezione« garanzia» del Feoga. A prospettarla erano ormai
non solo esponenti britannici, da sempre affezionati a questa idea,
ma anche parlamentari ed uomini di governo di altri paesi membri,
convinti che questa fosse l'unica strada per sottrarre il bilancio
comunitario all'asfissia derivante dalla limitatezza delle risorse pro 0

prie e dal peso crescente della spesa agricola. La stessa Commissio-


ne aveva, peraltro, chiaramente avvertito il Consiglio che la man-
cata adozione delle misure di economia da essa proposte avrebbe
reso necessarie misure ancora più drastiche, con conseguenze nega"
tive sulla Pac.
Tutto questo, assieme alla volontà di evitare un pericoloso brac-
cio di ferro col Parlamento europeo, ha contribuito dunque a de-
terminare un atteggiamento più flessibile da parte del Consiglio.
Vedremo, tuttavia, nei prossimi paragrafi. che anche questa volta
la dichiarazione di buone intenzioni dei ministri dell'agricoltura
solo in parte si è tradotta in atti concreti nel corso della prima
metà del 1980: ma ciò è anche dovuto al particolare quadro poli"
tico e negoziale che si è creato in questo periodo.

La fissazione dei prezzi agricoli per la campagna 1980-81. - Se


è ormai diventato tradizionale sciogliere nelle annuali « maratone >>
sui prezzi agricoli molti dei nodi della politica agricola comune ve-
nuti al pettine nel corso dei mesi o addirittura degli anni prece-
denti, mai come in questa occasione l'intreccio dei dossiers è stato
così inestricabile e la loro soluzione così decisiva per il futuro della
Comunità. V'è stato, anzi, un momento, dopo l'insuccesso del Con-
siglio europeo di Lussemburgo di fine aprile, in cui più d'uno si
è chiesto se non fosse incominciato il conto alla rovescia della di-
sintegrazione dell'Europa a nove e se la parola « crisi » non fosse
diventata inadeguata per descrivere la situazione presente 28 • La

28
Cfr., ad es ., l'editoriale di « Agra-Europe », n. 1104, 2 maggio 1980.

187
stessa Commissione, del resto, ha sentito in tale occasione il bisogno
di esprimere la propria preoccupazione e di affermare la necessità
di evitare « il pericolo di paralisi dell'Europa dovuto a una caren-
za decisionale » 29 •
Il fatto è che, se in passato era suftìciente trovare una soluzione
di compromesso tra i ministri dell'agricoltura su un pacchetto omo-
geneo di misure per sbloccare la situazione, quest'anno si è finito
col giobalizzare in un unico negoziato fiume durato parecchi mesi
quasi tutte le vertenze sul tappeto: dalla questione del contributo
britannico al bilancio comunitario al problema della riforma della
politica agricola comune, dall'adozione del bilancio per il 1980 alla
fissazione dei prezzi agricoli per la campagna 1980-81, passando
per il contenzioso franco-britannico sulla carne ovina per finire
alle controversie sulla politica comune della pesca. Nel complesso,
da quando le proposte « prezzi » sono state presentate dalla Com-
missione, all'inizio di febbraio, sono state necessarie ben 15 riu-
nioni del Consiglio (agricoltura, esteri e bilancio) e un Consiglio
europeo per districare tutta la matassa e raggiungere un compro-
messo globale sui diversi problemi in sospeso. Vediamo di ricapi-
tolare, in questo e nel prossimo paragrafo, le fasi principali di que-
sta complessa vicenda negoziale, mettendo soprattutto l'accento
sul « volet » agricolo.
Da quanto abbiamo detto finora, ci si rende conto che quest'an-
no le proposte sui prezzi agricoli per la campagna 1980-81 sono
cadute in un contesto politico particolarmente incandescente: da
una parte, il contenzioso fra stati e il confronto interistituzionale su
una serie di problemi fondamentali, dalla cui soluzione dipendeva
il futuro della Comunità; dall'altra, un'offensiva particolarmente
insistente contro la politica agricola comune e un'altrettanta ener-
gica difesa dei suoi meriti e della sua intangibilità da parte di uo-
mini politici, esponenti delle categorie professionali ed organi di
stampa. Consapevole di questa situazione e dei vincoli oggettivi
entro cui doveva muoversi, la Commissione ha presentato quest'an-
no un pacchetto di proposte in cui l'aumento del 2-3,5% dei prezzi
della maggior parte dei prodotti agricoli, tranne il latte, lo zucche-
ro, e le carni bovine (per i quali era proposto un aumento dell'l,5
per cento) fa da corollario alla rinnovata richiesta di provvedimenti

29
Cfr. « Boli. Ce», n. 4, 1980, p. 16.

188
per riequilibrare i mercati eccedentari e cli soppressione graduale
degli importi compensativi positivi. Perché fosse chiaro che si trat-
tava di un pacchetto organico di misure, in cui tutti gli elementi
erano strettamente connessi tra loro, la Commissione ha avvertito,
peraltro, le istituzioni destinatarie delle sue proposte, ed in primo
luogo il Consiglio, che essa sarebbe stata indotta a riconsiderare
la propria posizione, qualora nel corso dei dibattiti si fosseto appro-
vate unicamente le misure positive e si fosse viceversa rinviata a
più tardi « l'adozione di quelle misure che richiedono indubbia-
mente sforzi e coraggio ma che, d'altro canto, sono indispensabili
per la sopravvivenza stessa della politica agraria comune» 30 • L'ado-
zione di tutte queste proposte (prezzi, importi compensativi mone-
tari e misure di riequilibrio dei mercati) avrebbe permesso una leg-
gera diminuzione rispetto al 1979 delle spese agricole della Comu-
nità nel 1980, ed una economia di oltre 800 milioni di uce rispetto
al progetto di bilancio per il 1980 respinto in dicembre dal Parla-
mento europeo.
Malgrado lo sforzo fatto dalla Commissione per conciliare esi-
genze nettamente contrastanti (la situazione dei mercati ed i vin-
coli di bilancio, che avrebbero reso necessaria una politica estrema-
mente restrittiva in materia di pre2zi, da una parte; la diminuzione
dei redditi agricoli e la necessità di proseguire la graduale soppres-
sione degli importi compensativi positivi, che inducevano invece
a raccomandare l'aumento dei prezzi istituzionali, dall'altra), le
proposte sui prezzi agricoli e le misure connesse hanno sollevato,
com'era del resto scontato, un'ondata di protesta nel mondo agri-
colo europeo. Il fuoco di fila è stato aperto dal Capa e dal Cogeca
(le organizzazioni professionali europee delle categorie agricole e
delle cooperative) che hanno categoricamente rigettato le misure
della Commissione, considerate una vera « provocazione » per tut-
ti gli agricoltori della Comunità. Non più tardi di una settimana
prima, esse avevano infatti fatto presente al commissario all'agri-
coltura, il danese Gundelach , la necessità di un aumento dei prezzi
agricoli di almeno il 7 ,9 % , per compensare il deterioramento dei
redditi agricoli rispetto agli altri settori, ed espresso il loro rifiuto
categorico della supertassa proposta dalla Commissione per rias-
sorbire le eccedenze nel settore lattiero-caseario. Ad esse hanno

'" Cfr. « Boll. Ce», n. 2, 1980, p. 22 ss.

189
fatto eco quasi tutte le organizzazioni agricole a livello nazio-
nale, alcune delle quali non hanno esitato a parlare addirittura di
« aggressione intollerabile » del mondo agricolo da parte della
Commissione. Reazioni contrastanti si sono registrate in occasione
della presentazione delle proposte della Commissione al Parlamen-
to europeo (12 febbraio); la maggior parte degli intervenuti si è
fatta comunque interprete dell'inquietudine degli ambienti agrico-
li, risultante dal divario fra l'aumento medio proposto (2,6%) e
quello che sarebbe risultato dalla rigida applicazione del cosiddet-
to « metodo obiettivo » (7 ,9 % ) 31 • Non sono comunque mancate,
soprattutto da parte dei parlamentari britannici, le critiche agli
aumenti di prezzo proposti e le denunce contro il « cancro » della
politica agricola comune. Ma il vero dibattito parlamentare sulle
proposte della Commissione non è avvenuto, come vedremo, che a
fine marzo, in occasione di un'apposita sessione straordinaria del-
1'Assemblea.
Nel frattempo, nel corso di due sessioni « agricoltura » del Con-
siglio (18 febbraio e 3-4 marzo), anche gli stati membri avevano
avuto modo di esprimere il loro punto di vista sulle proposte
della Commissione. Nel complesso, il primo giro di tavolo ha fatto
apparire che, malgrado le divergenze di vedute tra i Nove, ciascuno
aveva coscienza dell'esistenza di vincoli di bilancio e della neces-
sità di riequilibrare il mercato lattiero, pur non osando tirare da
queste premesse le stesse conclusioni della Commissione. Per quan-
to riguarda, in particolare, il livello dei prezzi, fatta eccezione per
il Regno Unito, che difendeva il gelo dei prezzi dei prodotti ecce-
dentari, e per la Danimarca, che restava piuttosto prudente, la mag-
gior parte delle altre delegazioni esprimeva, in maniera più o meno
esplicita, il desiderio di un aumento dei prezzi più consistente di
quello proposto dalla Commissione. Quanto all'idea di una super-
tassa sulla produzione di latte eccedente quella dell'anno prima,
mentre in un primo tempo nessuno si era opposto all'idea in quanto
tale, ma soltanto alle modalità di applicazione e al livello conside-
rato troppo elevato, nella tornata successiva le reticenze iniziali
31
Il « metodo obiettivo» fornisce un'indicazione del livello medio dei prezzi
agricoli comuni necessario per consentire al reddito di lavoro degli agricoltori che
dispongono di un'azienda moderna di progredire in modo comparabile alle re-
munerazioni delle altre categorie socio-professionali. Esso costituisce soltanto un
punto di riferimento, di cui la Commissione può avvalersi nell'elaborazione delle
sue proposte «prezzi ».

190
si sono tramutate in un'aperta ostilità. Il ministro tedesco dell'agri-
coltura, in particolare, ha espresso il veto politico del suo governo
all'introduzione della supertassa ed ha proposto, al pari del suo
collega francese, soluzioni alternative. Anche il ministro italiano
dell'agricoltura Marcora, pur non dichiarandosi formalmente con-
trario alla tassa, ha suggerito che il problema delle eccedenze lat-
tiero-casearie venisse affrontato con altre misure, in particolare con
l'applicazione di tasse sul latte scremato o in polvere e sul burro,
oltreché sulle importazioni di materie grasse vegetali (oli di pal-
ma e di cocco, semi oleosi utilizzati per la fabbricazione della mare
garina, un prodotto in stretta concorrenza con il burro) 32 •
Quanto alle proposte per la riduzione delle eccedenze nel settore
dello zucchero (diminuzione lineare delle quote nazionali di pro-
duzione), esse hanno suscitato non minori divergenze tra i Nove.
L'Italia, in particolare, che rivendicava, al contrario, un adegua-
mento della propria quota di produzione ( 11,6 milioni di quintali)
alla realtà produttiva e dei consumi (rispettivamente 15 e 18 mi-
lioni di quintali negli ultimi anni), si è trovata completamente iso-
lata sulla proposta del ministro Marcora di una proroga per un
anno della vigente normativa, in attesa di definire con più calma
un nuovo regolamento per lo zucchero. Anche la Francia, infatti,
che pure, insieme al Belgio e all'Italia, auspicava il mantenimento
di un elevato potenziale produttivo, in una situazione internazio-
nale in cui riapparivano per la prima volta dopo alcuni anni feno-
meni di penuria, si è pronunciata per una rapida decisione al ri-
guardo.
Un appoggio politico alle proposte della Commissione era intan-
to venuto dal Consiglio « economia e finanza » che, su insistenza
delle autorità britanniche, 1'11 febbraio aveva discusso - fatto
senza precedenti - le proposte sul migliore equilibrio dei mercati
e la razionalizzazione delle spese presentate in dicembre dalla Com-
missione. Al termine del dibattito erano state infatti adottate all'u-
nanimità delle conclusioni in cui si approvavano gli obiettivi della
Commissione, si affermava la necessità di adottare misure che con-
sentissero economie sostanziali nella spesa agricola e si auspicava in-
fine un'oculata politica dei prezzi agricoli.
Questa dicotomia di atteggiamento tra ministri dell'agricoltura

32
Cfr. « Il Sole-24 Ore», 5 marzo 1980.

191
e ministri finanziari, che rispecchia l'ambivalenza tra le preoccupa-
zioni economiche e settoriali dei primi e quelle finanziarie dei se-
condi, si è riprodotta in termini pressoché analoghi anche in seno
al Parlamento europeo. La sessione straordinaria tenutasi a Stra-
sburgo dal 24 al 26 marzo 1980 è stata infatti caratterizzata dalla
presenza di due tesi opposte 33 : la prima, difesa dall'on. Delatte
(del gruppo liberale francese) a nome della Commissione per l'agri-
coltura del Parlamento, preconizzava un aumento medio dei prezzi
del 7 ,9 % , mentre la seconda, sostenuta dalla Commissione per i
bilanci, giudicava le proposte della Commissione conformi alla po-
sizione del Parlamento sfociata nel rigetto del bilancio 1980 ed
era quindi contraria ad un aumento dei prezzi superiore a quello
proposto dalla Commissione. L'acceso dibattito che si è sviluppa-
to intorno a questi due poli, mentre giungevano dall'esterno i
clamori suscitati da alcune decine di migliaia di agricoltori giun-
ti per l'occasione da ogni parte d'Europa, ha mostrato però che
l'Assemblea era attraversata in lungo ed in largo da correnti d'o-
pinione ben più articolate, non solo tra gruppi politici differenti,
ma anche tra rappresentanti di diversa nazionalità appartenenti ad
uno stesso gruppo politico.
Ne è prova anche il fatto che, quando si è trattato di approvare
una risoluzione conclusiva del dibattito sui prezzi agricoli, ci si è
trovati di fronte a ben nove proposte differenti di emendamenti, con
una gamma di proposte che va da un aumento del 13 % richiesto
dai comunisti francesi ad una diminuzione dell'l % proposta dai
laburisti britannici. È significativo, inoltre, che quella che sembra-
va una proposta suscettibile di raccogliere il più alto numero di
consensi (aumento di almeno il 5% , avanzato dal Partito popolare
europeo e dal gruppo liberale) sia stata respinta da una coalizione
composta, da un lato, da coloro che ritenevano l'aumento insuffi-
ciente (tra cui comunisti e socialisti francesi) e, dall'altro, da coloro
che lo consideravano al contrario eccessivo (tra cui i comunisti italia-
ni). Tra la sorpresa generale e quando già si pensava che il Parla-
mento avrebbe terminato il dibattito senza riuscire a prendere al-
cuna posizione al riguardo, è finito invece col passare l'ultimo
emendamento in votazione, quello presentato dalla comunista ita-

33
Cfr. « Boli. Ce », n. 3, 1980, p. 80 ss.

192
liana Barbatella, che, senza indicare alcuna cifra d'aumento dei
prezzi, proponeva, in sostanza, una triplice azione:
garantire un reddito equo ai produttori;
- riequilibrare i mercati;
- aumentare le spese nei limiti compatibili con un sano equi-
librio di bilancio e conformi ai criteri che avevano ispirato le pro-
poste della Commissione.
In precedenza erano stati tuttavia adottati due paragrafi della
risoluzione in cui si deplorava che la Commissione non avesse te-
nuto nel debito conto i risultati del « metodo obiettivo » (7 ,9 % )
e si considerava inaccettabile l'aumento proposto dalla Commis-
sione. La risoluzione nel suo insieme, che peraltro si guardava be-
ne dal prendere posizione sul problema della supertassa sul latte,
è stata alla fine adottata, con i voti favorevoli del gruppo sociali-
sta (ad eccezione dei francesi), del gruppo dei democratici euro-
pei (conservatori britannici), dei liberali tedeschi, del Partito
popolare europeo e dei comunisti italiani. Le spiegazioni del voto
date dai portavoce dei diversi gruppi e sottogruppi hanno messo
in evidenza l'ambiguità delle decisioni assunte, considerate dagli
uni come il prolungamento degli orientamenti di austerità della
spesa adottati in dicembre dal Parlamento europeo, dagli altri co-
me una chiara manifestazione della volontà dell'Assemblea in fa-
vore di un aumento dei prezzi di almeno il 5 % .

Prezzi agricoli e contributo britannico: alla ricerca di un com-


promesso globale. - Più che dalla difficoltà di trovare un accor-
do tra i Nove sul « pacchetto » prezzi agricoli e misure connesse,
i negoziati agricoli che si sono succeduti a ritmo serrato a partire
dalla fine di marzo sono stati sempre più dominati da quella
che i francesi hanno chiamato la « variabile (o l'ipoteca) britan-
nica». Non era questa la prima volta che ciò accadeva, ma men-
tre negli anni precedenti si era trattato prevalentemente di un
contenzioso interno alla politica agricola comune (livello dei prez-
zi agricoli, misure agromonetarie, ecc.), quest'anno la partita si
è giocata su un fronte molto più ampio e ad un livello politico mol-
to più elevato. Erano infatti ormai parecchi mesi che i capi di stato
e di governo dei Nove e le rispettive diplomazie cercavano invano di
trovare una soluzione soddisfacente per tutti al problema del contri-
buto britannico al bilancio comunitario: è comprensibile perciò che,

193
data la situazione di impasse in cui questo dossier si trovava, le
autorità britanniche abbiano cercato di uscirne facendo leva sul-
l'interesse politico e finanziario che i partners attribuivano alle de-
cisioni sui prezzi agricoli. Poiché, d'altra parte, questi ultimi, ed in
particolare il governo francese, non sembravano intenzionati a su-
bire questa tattica senza porre a loro volta condizioni al proprio
partner, si è così arrivati ad una situazione in cui la piattaforma ne-
goziale era diventata talmente complessa e le decisioni talmente
interdipendenti l'una dall'altra che sembrava impossibile uscire
dalla paralisi decisionale che si era venuta a determinare. È soltan-
to a fine maggio che, con una decisione «orizzontale » che tagliava
contemporaneamente tutti i nodi venuti al pettine, i ministri degli
esteri, coadiuvati dai loro colleghi dell'agricoltura, hanno posto
fine a quella che, a giudizio unanime degli osservatori e dei prota-
gonisti, è stata la crisi più grave della Comunità dopo quella, famo-
sa, del 1965.
Per i dossiers agricoli, in particolare, quest'anno la difficoltà mag-
giore, come s'è detto, non risiedeva tanto nelle diversità di vedute
che esistevano intorno al livello medio dei prezzi e al tipo di misu-
re da adottare nel settore del latte, quanto invece nel parallelismo
che si è instaurato tra decisioni agricole e decisioni sul problema del
contributo britannico al bilancio comunitario.
Da una parte, infatti, il Regno Unito, nel corso dei Consigli agri-
coli che avevano preceduto il Consiglio europeo di Lussemburgo
di fine aprile, aveva chiaramente fatto capire che avrebbe fatto di-
pendere il suo accordo su qualsiasi ipotesi di compromesso in mate-
ria di prezzi agricoli dalla soluzione preliminare del suo contenzioso
in materia di bilancio: il ministro britannico dell'agricoltura si era
perciò ben guardato dal facilitare il procedere dei dossiers agricoli,
in modo da far rinviare ogni decisione al grande negoziato globale
che si sarebbe svolto a fine aprile a Lussemburgo.
Dall'altra, la Francia, di fronte alle manovre dilatorie del mini-
stro britannico, aveva a sua volta posto come pregiudiziale per far
avanzare il dossier sul contributo britannico il conseguimento di
reali progressi sul dossier dei prezzi agricoli prima del Consiglio
europeo di Lussemburgo. Inoltre il governo francese aveva gettato
sul tavolo dei negoziati al vertice due altri spinosi dossiers, oggetto
di un lungo e acceso contenzioso col Regno Unito, dalla cui solu-
zione avrebbe fatto dipendere ugualmente il suo atteggiamento sul

194
problema del contributo britannico. Si trattava, da una parte, del
dossier relativo alla cosiddetta « guerra del montone » che negli
ultimi mesi aveva contribuito in maniera determinante a rovinare
i rapporti franco-britannici 34 , dall'altra, del rilancio della politica
comune della pesca, che si era pressoché ìnsabbiata per la reticenza
del Regno Unito ad accettare una regolamentazione comunitaria in
questo settore.
Su questa battaglia di pregiudiziali e contropregiudiziali, dopo
un « dialogo tra sordi » durato quasi quatto giorni e senza che una
soluzione di compromesso si fosse delineata all'orizzonte, si era are-
nato anche l'ultimo Consiglio agricolo precedente la riunione al ver-
tice di Lussemburgo.
Un tentativo in extremis per sbloccare i dossiers agricoli e salva-
re allo stesso tempo il Consiglio europeo di Lussemburgo da un
sicuro insuccesso è stato fatto ad iniziativa del governo francese,
che ha chiesto ed ottenuto la convocazione di una sessione straor-
dinaria del Consiglio « agricoltura » in concomitanza con la riunio-
ne dei capi di stato e di governo. È in questa sede, sotto la pressione
degli avvenimenti e in un clima dominato dalla preoccupazione di
evitare la rottura dei negoziati sul contributo britannico, e con essa
la frana della coesione comunitaria, che sono state gettate le basi di
quello che avrebbe dovuto costituire il « volet » agricolo del com-
promesso globale sull'insieme dei problemi in sospeso.
La stessa Commissione ha dato prova di moderazione e di rea-
lismo politico presentando una proposta di mini-compromesso sui
prezzi agricoli e misure connesse che, anche se andava più in là di
quanto essa era inizialmente disposta ad accettare, avrebbe dovuto
comunque facilitare la strada verso un accordo globale al massimo
livello politico.
Tale proposta, che prevedeva tra l'altro un aumento medio dei
prezzi del 5% (invece del 2,5% proposto inizialmente), è stata in

" La cosiddetta « guerra del montone » derivava dalle restrizioni quantitative


impostt dalla Francia sulle importazioni di carni ovine, che la Gran Bretagna e
la stessa Corte di giustizia avevano giudicato contrarie ai principi del Trattato Ce.
La Francia non aveva però dato esecuzione alla sentenza della Corte di giustizia, in
attesa dell'adozione di un'organizzazione comune di mercato in questo settore che
sostituisse il regime nazionale, in base al quale le restrizioni all'importazione era-
no state adottate. Al di là, comunque, degli aspetti economici della « querelle», si
è trattato di una vertenza politica della massima importanza per la gravità della
decisione del governo francese di non ottemperare alla decisione della Corte
di giustizia.

195
effetti accettata da tutte le delegazioni, meno quella britannica che
ha mantenuto su di essa una riserva politica legata alle altre deli-
berazioni in sede di Consiglio europeo.
Questo mini-compromesso, che riguardava anche le misure di eco-
nomia nel settore del latte e la regolamentazione di mercato nel
settore delle carni ovine, è stato comunque vanificato dalla osti-
nazione con la quale il premier britannico Margaret Thatcher ha
insistito su una soluzione « duratura » al problema del contributo
britannico al bilancio comunitario. Su questo scoglio, e malgrado
si sia arrivati più vicini ad un accordo di quanto non si sarebbe cre-
duto possibile alla vigilia, si è arenato anche il Consiglio europeo
di Lussemburgo, cinque mesi dopo quello di Dublino.
Per la seconda volta in pochi mesi la palla è perciò ritornata nelle
sedi istituzionali proprie ed in particolare nelle mani dei ministri
dell'agricoltura, convocati da lì ad una settimana. Ma questa volta
con prospettive molto più fosche sull'avvenire della politica agri-
cola comune e della stessa Comunità.
A parte le reazioni più passionali (quelle, per intenderci, che
chiedevano di « mettere tra parentesi » il Regno Unito o di ridurlo
allo stato di « nazione non europea »), il veto del Regno Unito al
mini-accordo sui prezzi agricoli ha creato infatti una tale situazio-
ne di emergenza tra i partners da indurli a prendere seriamente in
considerazione ogni possibile via d'uscita, comprese quelle politi-
camente più impraticabili. Su un punto essi sembravano comunque
concordare: che cioè nessuno di loro, e tanto meno la Francia, era
disposto a far dipendere troppo a lungo la sorte dei propri agricol-
tori dal benvolere della Gran Bretagna. Per il resto vi era ampio
spazio alla fantasia: applicazione « a otto » del mini-compromesso
sui prezzi agricoli (possibile in astratto, ma difficilmente praticabile
sul piano politico, in quanto, proprio su richiesta della Francia, le
decisioni del Consiglio dal 1965 in poi sono prese all'unanimità);
misure nazionali (anch'essa una possibile soluzione, ma ciò avrebbe
significato lo smantellamento dell'unica politica veramente comu-
nitaria); ristorno dell'Iva ai produttori agricoli per compensarli del
mancato adeguamento dei prezzi (che è sembrata essere ad un cer-
to punto la carta segreta del ministro Marcora, presidente di turno
dei Consigli « agricoltura »). Qualunque soluzione si fosse adot-
tata per aggirare il veto britannico, era comunque chiaro che il co-
sto politico da pagare sarebbe stato molto elevato. Ecco perché,

196
malgrado il fallimento del Consiglio europeo di Lussemburgo, la
soluzione negoziale restava ancora la strada politicamente più pra-
ticabile, a meno di non voler seriamente minare le fondamenta del-
l'edificio comunitario. Questa almeno deve essere stata la convin-
zione delle autorità italiane che, assicurando la presidenza di turno
del Consiglio, avevano una responsabilità particolare nella ricerca
di una soluzione negoziale che riuscisse li disinnescare in tempo la
bomba. Poiché, d'altra parte, il mese di maggio era già quasi inte-
ramente trascorso senza che questa soluzione si delineasse ancora
all'orizzonte, la Commissione aveva suggerito, alla vigilia del Con-
siglio « agricoltura » che si apriva il 28 maggio 1980 a Bruxelles,
di « fermare gli orologi » per quindici giorni nel caso in cui anche
quello che veniva considerato il Consiglio dell' « ultima chance »
fosse fallito: ciò avrebbe consentito alla Francia di intraprendere
le annunciate misure nazionali e, nelle more dei tempi tecnici neces-
sari per metterle in vigore, ricercare quel compromesso globale ri-
solutivo che appariva ormai ai più come la fata morgana di questa
difficile fase dell'integrazione comunitaria.
In questo compito si sono prodigati, tra il 27 e il 30 maggio,
i rappresentanti della Commissione e ben 27 ministri dei Nove, nel
corso di tre sessioni pressoché concomitanti del Consiglio (econo-
mia e finanze, agricoltura e affari esteri), tutte concentrate sui dos-
siers della crisi.
È alle 10 del mattino di venerdì 30 maggio che i ministri del-
l'agricoltura dei Nove, constatando che, nella sala accanto, i loro
colleghi degli esteri erano pervenuti ad un compromesso sul pro-
blema del contributo britannico, hanno approvato « ad referen-
dum » (cioè su riserva di conferma da parte dei rispettivi governi)
l'accordo sui prezzi agricoli per la campagna 1980-8 1 e i principi
dell'organizzazione comune di mercato nel settore delle carni ovine,
su cui pendeva da poco più di un mese la spada di Damocle rap-
presentata dal veto britannico. La tattica del negoziato « globale »
si è rivelata alla fine« pagante » per il Regno Unito, che ha ottenuto
così una ulteriore riduzione del suo contributo al bilancio comuni-
tario, ma anche per i partners, che hanno potuto usufruire dell'au-
mento dei prezzi agricoli del 5 % , senza dover peraltro apportare
tagli consistenti alla spesa nel settore lattiero (la « supertassa » di
corresponsabilità inizialmente proposta dalla Commissione non è
stata infatti ancora adottata, mentre la normale tassa di correspon-

197
sabilità è passata dallo 0,5% al 2 % nella campagna 1980-81, con
deroghe che comportano in taluni casi la riduzione di tale percen-
tuale allo O,5 % ) .
La Francia, peraltro, ha ottenuto un regolamento di mercato sul-
la carne ovina, a suo giudizio, « come meglio non si poteva spera-
re», il che dovrebbe evitare per l'avvenire nuovi episodi della
« guerra del montone» col Regno Unito. Inoltre, sempre su pres-
sione francese, sono state gettate le basi di una politica globale co-
mune della pesca, la cui entrata in vigore è stata fissata al 1• gen-
naio 1981.
Quanto all'Italia, la stampa internazionale ha riconosciuto ai suoi
negoziatori, coadiuvati dalla Commissione, un ruolo determinante
nella soluzione di questo lungo e complesso contenzioso: il che non
è conforto da poco, visti i rischi di disgregazione cui si andava in-
contro e visto anche il fatto che nel corso dei negoziati essa aveva
dovuto rinunciare a far valere talune aspettative inizialmente e-
spresse. Sul piano prettamente agricolo si è trattato, per gli agricol-
tori italiani, di un risultato non privo di qualche elemento positivo:
per effetto, infatti, della parallela svalutazione della « lira verde »,
l'aumento medio dei prezzi agricoli in Italia è stato del 13,5%; so-
no stati inoltre completamente assorbiti gli importi compensativi
monetari negativi, mentre sono diminuiti di un punto quelli appli-
cati in Germania e di 0,2 punti quelli per il Benelux, sicché si sono
attenuati gli effetti distorsivi degli scambi che si erano lamen-
tati in passato; per quanto riguarda lo zucchero non è stata momen-
taneamente decisa alcuna riduzione del sostegno alla produzione,
essendo stata accettata la proposta italiana di prorogare per un an-
no l'attuale organizzazione di mercato; inoltre sono state accolte
diverse richieste italiane nei settori dei cereali, del vino e dell'olio
d'oliva.
Al di là, comunque, del bilancio dei costi e dei ricavi che questo
accordo globale ha comportato per ciascuno e della sterile ricerca
dei vinti e dei vincitori, si è trattato essenzialmente di« una vittoria
per l 'Europa», come titolava il «fondo» dell'« Agence Europe »
il giorno dopo 35 : ma una vittoria da considerare come un punto
di partenza e non come un punto di arrivo definitivo. L'accordo
sul problema del contributo britannico prevede infatti soluzioni

,; « Agence Europe », n. 2919, 2-3 giugno 1980.

198
temporanee ad un problema che è essenzialmente di carattere strut-
turale: ecco perché lo stesso accordo prevede che « Per il 1982, la
Comunità si impegna a risolvere il problema mediante cambiamenti
strutturali, mandato che la Commissione deve portare a termine en-
tro la fine del giugno 1981: il riesame - continua il testo dell'ac-
cordo - dovrebbe vertere sullo sviluppo delle politiche della Co-
munità, senza mettere in causa la responsabilità finanziaria comu-
ne per queste politiche, che sono finanziate in base alle risorse
proprie della Comunità, né i principi fondamentali della politica
agricola comune » 36 •
È con questa decisione che forse sono state poste le basi di una
seria riflessione sulle possibilità di riforma o di adattamento della
politica agricola comune e di un rilancio delle altre politiche comu-
ni: se così fosse, si potrebbe concludere fra qualche anno che quel-
la del 1980 sarà stata per la Comunità una salutare crisi di svi-
luppo.
36
Cfr. « Boll. Ce», n. 5, 1980, p. 9.

199
IX

LA POLITICA AGRICOLA 1980-1981 *

La scenario internazionale

Produzione e mercati agricoli. - Per il secondo anno consecu-


tivo la produzione alimentare mondiale ha segnato il passo, man-
tenendosi pressoché inalterata sullo stesso livello dell'anno pre-
cedente. Questa situazione è essenzialmente il risultato di due
tendenze di segno opposto: da una parte, la contrazione pro-
duttiva che si è registrata nell'insieme dei paesi sviluppati salvo
l'Europa (in particolare per i cereali foraggeri e i semi oleosi negli
Stati Uniti e per il frumento in Australia, entrambe dovute alla
siccità); dall'altra, il miglioramento produttivo che ha interessato
la maggior parte dei paesi in via di sviluppo. Nel complesso l'in-
dice Fao della produzione alimentare è diminuito in media di un
punto nei paesi sviluppati (ma di ben cinque punti negli Stati
Uniti e addirittura di dodici punti in Australia), mentre è cre-
sciuto di quattro punti nell'insieme dei paesi in via di sviluppo.
Il miglioramento della produzione totale che si è registrato in
questi paesi è stato tuttavia completamente annullato dall'incre-
mento demografico, sicché la produzione alimentare pro capite
è rimasta sostanzialmente invariata sul livello degli ultimi tre anni
(l'esempio più clamoroso, a questo proposito, rimane l'Africa,
dove, malgrado la produzione complessiva sia aumentata del 19 %
tra il 1970 e il 1980, la produzione pro capite è diminuita nello
stesso periodo del 1O% ). Se a ciò si aggiunge il fenomeno del-
l'incremento dei consumi individuali, se ne deduce che il grado di
autoapprovvigionamento alimentare di questi paesi continua a
diminuire paurosamente, mentre cresce la loro dipendenza ali-
mentare dall'esterno, ed in particolare dai grandi paesi espor-
tatori 1 • Ritornando ai risultati produttivi per il 1980, oltre alla

1
In base ai dati disponibili a metà giugno del 1981, le importazioni di cereali
dei paesi in via di sviluppo sono state stimate dalla Fao a 86,3 milioni di ton-
nellate nella campagna 1980-81, contro 79,1 milioni di tonnellate nella prece-
dente campagna e 74,1 milioni di tonnellate nella campagna 1978-79. Cfr. FAo,
Perspectives de l'alimentation, Roma, giugno 1981.

* In IAI, “L’Italia nella politica internazionale: 1980-1981”, Edizioni


di Comunità, Milano, 1982

200
già segnalata contrazione del raccolto dei cereali foraggeri, ed
in particolare del mais (7 ,5 % in meno rispetto al 1979, ma ben
16% in meno negli Stati Uniti), va registrato un sensibile mi-
glioramento della produzione mondide di frumento ( + 5 % ) , che
però si è mantenuta ciò malgrado al di sotto del record del 1978
(445 contro 449 milioni di tonnellate). L'incremento è stato
particolarmente sensibile negli Stati Uniti ( + 11 % ), ma ciò è
dovuto essenzialmente ad un aumento più che proporzionale delle
superfici investite ( + 13,4%) essendo le rese unitarie legger-
mente peggiorate rispetto all'anno prima, a causa della siccità.
Mette conto a questo riguardo segnalare l'enorme espansione di
questa coltura che si è registrata negli Stati Uniti, soprattutto
nel corso degli ultimi tre anni: durante questo periodo la super-
ficie a frumento è cresciuta infatti di un quarto e la produzione
di un terzo, il che non fa che accrescere il ruolo di potenza ali-
mentare mondiale che questo paese gioca ormai da tempo.
Un forte regresso produttivo si è verificato nel 1980 in altri
due paesi, tradizionalmente grandi esportatori di grano: l'Argen-
tina (- 10%) e l'Australia (- 32%), mentre in Unione Sovie-
tica, che è il più grosso produttore, ma anche il più grosso im-
portatore di frumento del mondo, la produzione è stata relati-
vamente più soddisfacente dell'anno precedente (98 milioni di
tonnellate, contro i 90 dell'anno prima), pur rimanendo ancora
di gran lunga inferiore al fabbisogno. Per il secondo anno conse-
cutivo è diminuita la produzione mondiale di zucchero, in parti-
colare quello di canna, a causa soprattutto del cattivo raccolto
cubano: è invece cresciuta la produzione saccarifera del Bra-
sile, che è diventato ormai il più grosso produttore mondiale di
questa derrata, e che aspira a diventare in dieci anni il secondo
esportatore mondiale di prodotti alimentari, dopo gli Stati Uniti,
soprattutto grazie ad un ampliamento progressivo della superficie
coltivata. Una leggera flessione produttiva si è verificata anche
nel comparto dei semi oleosi, dovuta, come s'è detto, soprattutto
alla siccità che ha danneggiato il raccolto degli Stati Uniti (dove
la produzione di soia è diminuita del 20 % ) , mentre risultati
abbastanza soddisfacenti si sono avuti per il riso ( +6,4% rispet-
to al 1979).
L'aumento della domanda e la contrazione della produzione
dei cereali hanno determinato una notevole flessione degli stocks

201
disponibili alla fine della campagna 1980-81: a metà giugno del
1981 essi venivano stimati dalla Fao a 220 milioni di tonnellate
(31 milioni di tonnellate in meno rispetto a quelli di inizio
campagna), pari al 14% del consumo mondiale: una cifra, que-
sta, inferiore di almeno tre punti rispetto al livello generalmente
ritenuto necessario per garantire un'adeguata sicurezza alimen-
tare mondiale, ed analoga a quella che si è registrata negli anni
1973-1976, in piena crisi alimentare.
La prospettiva di un equilibrio ancora più precario tra do-
manda e offerta, che è apparsa chiara fin da quando si sono
conosciuti i risultati produttivi per il 1980 e si sono avuti i
primi sintomi di una crescita ulteriore della domanda d'importa-
zione, ha determinato una certa tensione sui mercati interna-
zionali dei cereali nel corso dei primi mesi della campagna di
commercializzazione 1980-81 2 ed ha accentuato la tendenza alla
lievitazione dei corsi mondiali di queste derrate, che si era già
manifestata verso la fine della precedente campagna. A novembre
il prezzo d'esportazione del mais americano era arrivato a 147
dollari la tonnellata, registrando così un aumento del 29% rispet-
to al prezzo praticato nel mese di giugno. Analogamente, il fru-
mento della stessa origine era quotato a quell'epoca a 200 dol-
lari la tonnellata, con un aumento del 24% rispetto a giugno,
mentre quello argentino ha toccato in novembre la sua punta
massima di ben 230 dollari la tonnellata.
Questa tendenza è tuttavia rallentata alla fine dell'anno e si
è addirittura invertita a partire dall'inizio del 1981: a giugno il
frumento americano era nuovamente sceso a 169 dollari la ton-
nellata, quello argentino a 180 dollari, mentre il mais quotava
sui 134 dollari la tonnellata, tutte quotazioni, queste, che sono
comunque superiori a quelle di un anno prima. Vari fattori han-
no concorso a determinare questa inversione di tendenza: anzi-
tutto, le favorevoli prospettive di raccolto per l'anno 1981, rese
possibili anche da un consistente aumento delle superfici coltivate
nei principali paesi produttori; in secondo luogo, il rafforzamento
del dollaro che è seguito all'insediamento della nuova ammini-
strazione Reagan e il successivo aumento dei tassi d'interesse, che

2
Come è noto, la campagna di commercializzazione per i cereali va dal mese
di luglio di un anno al mese di giugno dell'anno successivo.

202
hanno reso molto più costose le importazioni da parte dei paesi
deficitari di quasi tutte le derrate alimentari; infine, il permanere
dell'« embargo» sulle esportazioni cerealicole nell'Unione Sovieti-
ca per gran parte della campagna di commercializzazione 1980-81 3.
Un fenomeno del tutto analogo, ma come sempre molto più
spettacolare, si è verificato anche per lo zucchero, certamente la
derrata più capricciosa di questi ultimi anni. Dopo aver assi-
stito, infatti, ad un'ascesa pressoché costante del prezzo di que-
sta derrata dai 172 dollari la tonnellata dell'aprile 1979 ai 469
dell'aprile 1980, lo abbiamo visto dapprima accelerare la sua
corsa fino agli 894 dollari nell'ottobre dello stesso anno (tre
volte e mezzo il prezzo che si pagava un anno prima), per ridi-
scendere precipitosamente sui 393 dollari nell'aprile 1981. Come
si è già detto altre volte, quello dello zucchero è il tipico mer-
cato in cui il prezzo è determinato, più che dalla legge della
domanda e dell'offerta, da una serie di altre variabili non tutte
facilmente prevedibili. Per il periodo in esame, ha influito anzi-
tutto la speculazione internazionale, che in questi anni di forte
inflazione mondiale e di pesante incertezza politica ha trovato,
proprio sul mercato di questa derrata, un promettente terreno di
manovra per imponenti operazioni speculative. La rivalutazione
del dollaro, da una parte, e la parallela scalata dei tassi di inte-
resse, dall'altra, a cui si è già accennato, hanno indotto peraltro
gli speculatori ad abbandonare i mercati delle derrate per il mer-
cato monetario, diventato ben più remunerativo, ed hanno co-
stretto i detentori di derrate e di contratti a termine, spesso
acquistati a credito, a recedere dalle loro posizioni rialziste. Un
secondo fattore specifico che ha concorso a determinare la spet-
tacolare ricaduta dei corsi dello zucchero a partire dall'inizio del
1981 è l'offuscarsi della congiuntura saccarifera a mano a mano
che si prendeva coscienza della stagnazione della domanda mon-
diale di zucchero e della sua crescente sostituzione, in molti paesi,
con succedanei meno costosi, come l'isoglucosio. Quanto detto per
lo zucchero vale, entro certi limiti, anche per altre derrate ali-
mentari, ed in particolare per la soia, diventata negli anni set-
tanta una materia prima d 'importanza strategica per l'alimenta-
zione animale, soprattutto in Europa: le sue quotazioni sono

3
Si veda, più avanti, il paragrafo « Ascesa e declino dell'arma alimentare».

203
infatti passate da 232 dollari la tonnellata nel giugno 1980 a
3 3 7 nel novembre dello stesso anno, per ridiscendere in seguito
fino ai 268 dollari del giugno 1981.

Ascesa e declino dell'arma alimentare: la revoca dell' « embar-


go » sulle forniture cerealicole all'Unione Sovietica. - Se quattro
mesi erano bastati agli esperti per decretare il sostanziale falli-
mento dell'operazione « embargo » sulle forniture di cereali al-
l'Unione Sovietica, decisa da Carter all'inizio del 1980 4, ne sono
dovuti passare altri dodici prima che la nuova amministrazione
Reagan ne tirasse tutte le conseguenze sul piano politico, soppri-
mendo le precedenti misure restrittive. Quello che è più difficile,
invece, prevedere è il tempo che sarà necessario per rimediare
agli sconvolgimenti che essa ha provocato e continua a provocare
nel commercio internazionale dei cereali, ammesso che sia possi-
bile modificare certe tendenze strutturali che vanno delineandosi.
Prima, però, di passare all'esame delle conseguenze di questa
misura, converrà ripercorrere brevemente le tappe salienti della
vicenda nel periodo oggetto della presente rassegna e cioè a par-
tire dal mese di giugno del 1980. A quest'epoca si dà già per
scontato che l'Unione Sovietica riuscirà, malgrado l' « embargo »,
a coprire gran parte del pesante deficit cerealicolo della campagna
1979-80.
A fine maggio, d'altra parte, il governo australiano, che pure
aveva all'inizio decisamente appoggiato l'iniziativa di Carter, an-
nuncia che esso autorizzerà la vendita all'Unione Sovietica di una
parte dell'imminente raccolto di cereali, pari a quella già fornita
dalla campagna precedente. Non passa un mese e l'amministra-
zione americana si vede costretta ad autorizzare le proprie multi-
nazionali del grano a riprendere le loro esportazioni di cereali
non americani all'Urss: un abile sistema, questo, per allentare
la pressione sul governo da parte delle potenti « lobbies » cerea-
licole, ma che finisce di fatto per legalizzare il massiccio dirotta-
mento di cereali, destinati fittiziamente a un porto qualunque del-
l'Europa, dell'Asia o dell'America latina, verso i porti dell'Unio-
ne Sovietica, già in atto da qualche mese.
A seguito di questa misura si fanno più insistenti le pres-

4
Cfr. L'Italia nella politica internazionale, 1979-1980, p . 425 ss.

204
siam m seno al Congresso americano per obbligare il governo
di Carter a mettere fine all'« embargo»: alla fine di giugno due
progetti di legge vengono presentati a tai fine, uno alla Camera
e l'altro al Senato, ma la Casa bianca dichiara che non vi sarà
alcun cambiamento della sua politica in questa materia e che la
misura presa qualche giorno prima a favore delle compagnie ce-
realicole non costituisce minimamente un allentamento ali'« em-
bargo» 5 •
A fine luglio, tuttavia, la Camera dei rappresentanti respinge
un emendamento inteso a rifiutare ai dipartimenti di stato, del-
la giustizia e del commercio, i fondi necessari al rinforzamento
dell' « embargo » 6 • Si approssimano, infatti, le elezioni presiden-
ziali di novembre e a tutti sembra più prudente mantenere lo
status quo almeno fino a quella data. D 'altra parte, i malumori
crescenti degli ambienti agricoli contro l' « embargo » vengono
in parte appianati decidendo una sensibile rivalutazione dei prezzi
di sostegno dei prodotti agricoli. Ma la carta più valida che l'am-
ministrazione Carter gioca alla vigilia delle elezioni presidenziali
per accattivarsi l'elettorato agricolo è la conclusione di un impo-
nente accordo cerealicolo con la Cina: esso prevede, per un
periodo di quattro anni a partire dal 1° gennaio 1981, la for-
nitura a questo paese di un quantitativo di cereali varial;,ile tra
i 6 e i 9 milioni di tonnellate :dl'anno, con possibilità di dero-
ga a vantaggio di entrambi i paesi. Pressoché contemporaneamen-
te viene peraltro annunciata la conclusione di un accordo con
Taiwan per il raddoppio delle forniture cerealicole previste dal-
l'intesa in vigore (da 2,5 a 5 milioni di tonnellate per il suc-
cessivo quinquennio) 7 e viene reso pubblico che p roseguono in-
tanto le consultazioni con altri dodici paesi per giungere ad ac-
cordi bilaterali di fornitura di cereali 8 •
Questa vasta offensiva diplomatica sul fronte commerciale non
riesce tuttavia a mutare le sorti dell'amministrazione Carter nem-
meno negli stessi ambienti agricoli. Ronald Reagan ottiene, rn-

' Cfr. World Commodity Report, « Financial Times », 3 luglio 1980.


• Cfr. W orld Commodity Report, « Financial Times », 31 luglio 1980.
7
Questo accordo viene peraltro ulteriormente migliorato dalla nuova ammi-
nistrazione Reagan che, all'inizio del maggio 1981, riesce a portare a 17 milioni
di tonnellate il quantitativo di cereali da fornire a Taiwan nei prossimi cinque
anni.
' Cfr. « Il Sole - 24 Ore», 23 ottobre 1980.

205
fatti, un gran numero di suffragi agricoli, che gli consentono di
conquistare la quasi totalità degli stati del Midwest. Ma piu che
aila chiarezza e alla suggestione del suo programma agricolo, gli
osservatori ritengono che ciò sia prevalentemente dovuto ad altri
fattori, come ad esempio la reazione per l'eccessiva inflazione e
per l'« embargo». A proposito di quest'ultimo problema, il can-
didato Reagan ha infatti condotto una campagna elettorale non
priva di ambiguità e di reticenze: favorevole in passato all' « em-
bargo » - un'arma che aveva consigliato di adoperare fin dal
1979 contro la Nigeria - egli l'attacca nel corso della campagna,
guardandosi però bene dal promettere chiaramente di mettervi fine
in caso di vittoria 9 • Pochi, tuttavia, dubitano che questa decisione
verrà presa al più presto dopo l'insediamento della nuova ammi-
nistrazione. Interrogato in proposito dopo la sua vittoria, Reagan
lascia intendere, però, che la questione « deve essere sottoposta
ad un esame approfondito» pur dichiarandosi del parere che « bi-
sogna determinare qual è l'effetto dell'" embargo" sull'Unione So-
vietica e se questo effetto non sia più grave per gli agricoltori ame-
ricani » 10 •
Le prime dichiarazioni ufficiali del nuovo segretario di stato
all'agricoltura, John Block - ex direttore del Dipartimento del-
l'agricoltura dello stato dell'Illinois, nonché egli stesso grosso
imprenditore agricolo - non sono certo più illuminanti. Il 24
dicembre, in occasione di una conferenza stampa, egli trova infatti
modo per fare contemporaneamente l'apologia dell'arma alimen-
tare (« probabilmente la migliore arma di cui disporranno gli
Stati Uniti nel corso dei prossimi venti anni »), per dare una
lezione sul suo uso migliore (« guadagnarsi i paesi stranieri che
hanno sempre più bisogno dei nostri prodotti alimentari», in mo-
do che, una volta diventati dipendenti, « essi saranno sempre
meno inclini a indisporci, per paura di perdere non soltanto il
proprio nutrimento, ma anche tutto il resto ») ed infine per di-
chiararsi a favore della soppressione dell' « embargo » nei confronti
dell'Unione Sovietica « nelle buone circostanze e al momento op-
portuno » 11 •

9
Cfr. « Agra Europe », 7 novembre 1980.
'° Cfr. « Agra Europe », 9 gennaio 1981 e INTERNATIONAL CoMMUNICA·
TION AGENCY, « Servizi stampa», 7 gennaio 1981 (d'ora innanzi citata come Ica).
11
Citazioni riprese da « Agra Europe », 31 dicembre 1980.

206
Il mese dopo, davanti al Senato degli Stati Uniti, egli si di-
chiara, invece, contrario in generale ad ogni forma di « embargo »,
salvo in « casi estremi », per esempio, per « ragioni di sicu-
rezza» 12 • Nel complesso, dunque, un alternarsi di dichiarazioni
spesso contraddittorie, e comunque reticenti, a proposito dell' « em-
bargo» caratterizzano i primi passi dell'amministrazione Reagan.
Col tempo, malgrado molti dessero per imminente la revoca del-
1' « embargo », definito un « disastro economico e diplomatico »
dal presidente dell'American Farm Bureau, Robert Delano, l'at-
teggiamento della nuova amministrazione a questo proposito si fa
sempre più prudente e attendista. Da una parte l'aggravarsi della
tensione internazionale, anche a seguito degli avvenimenti polac-
chi, non consiglia un gesto distensivo nei confronti di Mosca;
dall'altra, esiste probabilmente il timore che la revoca dell' « em-
bargo » e la repentina apertura del mercato sovietico possano de-
terminare una fiammata dei corsi in un momento di relativa calma
sui mercati cerealicoli internazionali, contrastando la lotta antin-
flazionista che il governo conduce sul piano interno.
Ma questa posizione non può essere mantenuta a tempo inde-
terminato: le multinazionali dei cereali lamentano perdite attri-
buite all'« embargo» di circa 150 milioni di dollari, gli agricol-
tori addirittura di un miliardo di dollari; d'altra parte, si appros-
sima l'epoca dei nuovo raccolto che, almeno per quanto riguarda
il grano, si annuncia più abbondante del precedente, il che rischia
di far accrescere gli stocks invenduti; si allarga inoltre il fronte
del dissenso e ancor più quello degli scettici sulla reale efficacia
dell'« embargo», mentre, elemento forse ancor più determinante,
incomincia a profilarsi il timore che il mantenimento dell' « em-
bargo » possa pregiudicare il rinnovo entro ottobre dell'accordo
Usa-Urss per la fornitura annuale di 8 milioni di tonnellate di
cereali, non colpiti dall'« embargo» 13 •
Sul versante europeo cresce intanto la pressione del governo
francese, sostenuto da quello irlandese, per una ripresa delle
esportazioni cerealicole comunitarie verso l'Unione Sovietica, sia

12
« Agra Europe », 16 gennaio 1981 e Ica, 7 gennaio 1981.
13
Come si ricorderà, l'« embargo» riguardava soltanto il quantitativo ecce-
dente il contingente annuo di 8 milioni di tonnellate previsto dall'accordo bilate-
rale quinquennale stipulato nel 1975. Cfr. L'Italia nella politica internazionale,
1979-1980, p. 425 ss.

207
pure entro i limiti delle « correnti tradizionali di scambio » san-
zionati un anno prima dal Consiglio dei ministri della Ce 14 •
A metà di marzo, 1,2 milioni di tonnellate di cereali francesi
non hanno ancora trovato compratori e ci si inquieta all'interno
per la nuova campagna di commercializzazione. Il governo fran-
cese decide così di chiedere alla Comunità l'autorizzazione ad espor-
tare in Unione Sovietica 600.000 tonnellate di frumento, pari
al volume esportato nell'anno 1980 15 e dunque, a suo dire, cor-
rispondenti alle « correnti di scambio tradizionali ». Ma in Con-
siglio non tutti la pensano allo stesso modo: Germania e Regno
Unito, in particolare, fin dall'inizio capifila della linea dura a pro-
posito dell' « embargo » e tradizionalmente ostili alle esportazioni
in Unione Sovietica, contestano questa interpretazione adducendo
le ragioni politiche che avevano consigliato di solidarizzare con
Washington e facendo rilevare che negli anni precedenti il 1980
le forniture di grano all'Unione Sovietica da parte della Ce erano
praticamente insignificanti 16 • L'affare ha peraltro già creato qualche
difficoltà in seno all'amministrazione Reagan, avendo - a quanto
si apprende - il segretario di stato Haig concesso il nulla osta
ufficioso del governo americano all'operazione, senza consultare
preventivamente il segretario all'agricoltura e suscitando le vive
proteste del mondo agricolo 17 • Tocca alla Commissione respingere
1'8 aprile la richiesta francese, sulla base di una valutazione della
situazione e delle prospettive del mercato dei cereali che - a suo
giudizio - non rendono necessaria, per il momento, la ripresa
delle esportazioni verso l'Urss. Ma la decisione non resta senza stra-
scichi sul piano politico, tant'è che il governo francese, che la
considera « incomprensibile e inammissibile », esprime chiaramen-
te l'intenzione di avvalersi « di tutte le procedure possibili » per
convincere la Commissione a modificare il suo atteggiamento 18 •
Tuttavia non sarà necessario mettere in atto questo proposito:
il 23 aprile, infatti, il presidente Reagan annuncia ufficialmente
la revoca dell'« embargo», che due mesi prima aveva confermato

14
Cfr. L'Italia nella politica internazionale, 1979-1980, p. 427.
15
Mediante certificati d'esportazione rilasciati prima dell'introduzione di mi-
sure restrittive da parte della Ce.
16
Cfr. « Agence Europe », 19 marzo 1981.
17
Cfr. << Le Matin », 7 aprile 1981 e « Le Monde», 9 aprile 1981.
18
Cfr. « Il Sole - 24 Ore», 11 aprile 1981 e « Agence Europe », 13-14 apri-
le 1981.

208
per un altro anno. Il 25 dello stesso mese anche l'Australia decide
di por fine all' « embargo » parziale sulle proprie esportazioni
cerealicole all'Unione Sovietica, che aveva decretato per solidarietà
con Washington. Quattro giorni dopo è la volta della Commissio-
ne delle Comunità europee, per la quale « la decisione americana
rende privo di oggetto il principio fissato dal Consiglio il 15 gen-
naio 1980, secondo il quale le forniture comunitarie non avrebbero
dovuto sostituire le forniture americane sul mercato sovietico » 19 •
A seguito di questa decisione di principio la Commissione reintro-
duce le restituzioni sulle esportazioni a destinazione dell'Unione
Sovietica. Questi, in rapida sequenza, gli eventi principali nel
periodo precedente la revoca dell' « embargo ».
Contrariamente a quanto molti si attendevano, la revoca del-
l' « embargo » non ha però determinato particolari spinte rialziste
sui mercati internazionali dei cereali: nei giorni immediatamente
successivi all'annuncio di Reagan si è anzi assistito ad una leggera
flessione dei corsi, che è poi perdurata nel medio periodo, segno
evidente che il mercato aveva già da tempo « scontato » il prov-
vedimento e che tornava a prevalere in quest'ambito la legge del-
la domanda e dell'offerta. Ma le delusioni per i detentori di cereali
negli Stati Uniti non dovevano finire lì. Mentre, infatti, la do-
manda perdeva ulteriormente di tono, alla vigilia di un raccolto
che si annunciava promettente, l'ambìto cliente sovietico si mo-
strava tutt'altro che ansioso di ritornare a breve scadenza sui
mercati cerealicoli degli Stati Uniti. Da una parte perché aveva
ormai soddisfatto gran parte del proprio fabbisogno, dall'altra
perché desideroso di mettere a frutto, sul piano politico e com-
merciale, la posizione di forza che aveva riconquistato. Cadeva co-
sì pressoché nell'indifferenza l'offerta di Washington di portare
da 8 a 14 milioni di tonnellate il quantitativo di cereali da for-
nire a Mosca nel quadro dell'accordo bilaterale quinquennale che
sarebbe scaduto il successivo 30 settembre; in cambio proseguiva
la tattica dei sovietici di diversificare sempre più le proprie fonti
di approvvigionamento corrente.
Come se non bastasse, a fine maggio, mentre proseguiva i ne-
goziati con l'Argentina, l'Unione Sovietica concludeva con il Ca-

19
Dichiarazione del portavoce della Commissione, Commissione Ce, IP (81)
74, ciclostilato.

209
nada un importante accordo bilaterale per la fornitura in cinque
anni di ben 25 milioni di tonnellate di cereali, corrispondenti a
un valore di almeno cinque miliardi di dollari: quanto basta, in-
somma, per rendere più che giustificate le apprensioni nutrite al-
l'inizio dell'estate dagli ambienti agricoli e commerciali americani
a proposito delle intenzioni di Mosca in merito al rinnovo del-
l'accordo quinquennale Usa-Urss, prossimo ormai alla scadenza.
Indipendentemente dall'esito di questo braccio di ferro, che si
è concluso comunque con il rinnovo dell'accordo quinquennale, i
più recenti sviluppi di questa vicenda non fanno che confermare
quanto un anno fa scrivevamo in questa sede: che, cioè, l'« em-
bargo » nei confronti dell'Unione Sovietica si è rivelato non solo
totalmente inefficace rispetto agli obiettivi politici che Washington
si era prefissa (il ritiro delle truppe sovietiche dall'Afghanistan),
ma anche un boomerang quanto mai pericoloso per coloro che lo
avevano lanciato.
È vero che gli Stati Uniti rimangono la potenza mondiale nu-
mero uno nel campo delle esportazioni agricole ed in particolare di
quelle cerealicole 20, tuttavia l'<< embargo » ha finito con lo scate-
nare una guerra commerciale senza precedenti tra i colossi mon-
diali dell'esportazione cerealicola, che rischia di scombussolare
quelle che venivano finora considerate le correnti tradizionali di
scambio. Così, l'Argentina e l'Australia, insieme al Canada, hanno
notevolmente migliorato, a seguito dell' « embargo », le proprie
« performances » sul mercato sovietico, a scapito degli Stati Uniti;
questi ultimi, a loro volta, hanno segnato un importante punto a
proprio vantaggio con la conclusione del già citato accordo quin-
quennale con la Cina, suscitando peraltro le violente proteste del-
1'Australia e del Canada, tradizionali fornitori di questo paese.
A maggio, però, il Canada, come si è visto, - mentre langui-
vano le trattative russo-americane per la conclusione di accordi
a breve e a lungo termine nel settore cerealicolo - si è preso una
significativa rivincita sugli Stati Uniti, concludendo con l'Unione
Sovietica un importante accordo quinquennale che dovrebbe rin-
saldare ulteriormente i legami commerciali tra i due paesi.
Come si vede, si tratta di una vera e propria guerra commerciale

'
0
Gli Stati Uniti forniscono infatti il 50% delle esportazioni mondiali di gra-
no, 1'80% delle esportazioni di soia e ben 1'85% delle esportazion i di mais.

210
che si combatte a livello planetario, a colpi di contratti a lungo
termine e con una politica d'esportazione sempre più aggressiva.
Essa non risparmia ormai più nemmeno la Comunità europea,
che si è rivelata in questa occasione un alleato leale degli Stati
Uniti ed il solo a non aver approfittato dell'« embargo», né
un'area d'azione come il Mediterraneo, con cui la Comunità man-
tiene da sempre relazioni privilegiate. È proprio sui mercati dei
paesi che si affacciano su questo bacino che in questi ultimi tempi
_gli Stati Uniti cercano infatti di contrastare con ogni mezzo, e
non senza successo, la presenza, diventata sempre più signifi-
cativa negli ultimi anni, dei prodotti cerealicoli comunitari. E
questo non sarà certamente l'ultimo episodio né l'ultima conse-
guenza dell'aspro confronto tra le potenze mondiali dell'agricol-
tura che la decisione di Carter di ricorrere all'arma alimentare
contro l'Unione Sovietica avrà determinato.

Gli aiuti esterni allo sviluppo agricolo. - La difficoltà di finan-


ziare i necessari investimenti agricoli continua a restare uno degli
ostacoli principali al miglioramento della situazione alimentare
nei paesi in via di sviluppo. Malgrado, infatti, la volontà sempre
più diffusa di dare all'agricoltura quella priorità che in passato
le è stata spesso negata, la disponibilità di capitali da destinare alla
realizzazione dei programmi di sviluppo agricoli resta ancora del
tutto inadeguata ai fabbisogni. Diventa perciò sempre più deter-
minante l'apporto finanziario esterno, fornito tanto nel quadro di
impegni multilaterali che in quello dei rapporti bilaterali. Un'in-
dagine condotta dall'International Food Policy Research Institute
per conto della Commissione Brandt e relativa ai più poveri fra i
paesi in via di sviluppo, fornisce in proposito conclusioni estre-
mamente illuminanti e al tempo stesso inquietanti: volendo infatti
realizzare i programmi d'investimento agricolo necessari per col-
mare i deficit alimentari prevedibili nel prossimo decennio, e sup-
ponendo che i paesi interessati contribuiscano con metà dei ca-
pitali, l'importo da coprirsi mediante aiuti esterni ammonterebbe
a 12 miliardi di dollari (a prezzi del 1975) annui nel corso degli
anni ottanta, il che significa che occorrerebbe moltiplicare per
,quattro l'aiuto esterno fornito nel 1977 21 •
21
Cfr. Nord-Sud: un programma per la sopravvivenza, Mondadori, Milano 1980,
pp. 124-25.

211
Di fronte a queste crescenti esigenze di finanziamento, quali so-
no state le tendenze degli aiuti esterni allo sviluppo agricolo in
questi ultimi anni? Occorre anzitutto rilevare con preoccupazione
la sostanziale stabilità, o addirittura la flessione rispetto al pro-
dotto nazionale lordo (pnl), degli aiuti complessivi allo sviluppo
che si è registrata nella maggior parte dei paesi donatori in
questi ultimi anni. Nell'insieme dei paesi membri dell'Ocse, che
forniscono oltre i tre quarti dell'aiuto totale multilaterale, l'inci-
denza dell'aiuto sul pnl è infatti passata dallo 0,36% del 1975
allo 0,34% del 1979 per ritornare sullo 0,36% nel 1980, contro
un obiettivo dello 0,7% fissato dall'Onu per il secondo decennio
dello sviluppo. Le difficoltà economiche in cui si dibattono i paesi
occidentali non lasciano peraltro sperare, come nota la Banca
mondiale nel suo ultimo rapporto sullo sviluppo del mondo 22 , che
dei progressi sensibili possano essere realizzati nei prossimi anni.
Al contrario, si notano segni preoccupanti di cedimento nel volu-
me dell'aiuto che paesi come gli Stati Uniti o la Gran Bretagna
si sono impegnati a fornire negli anni ottanta.
Per quanto riguarda più particolarmente gli aiuti allo sviluppo
agricolo, gli ultimi dati disponibili, relativi al 1979, lasciano ap-
parire una contrazione in termini reali di circa il 12% rispetto
all'anno precedente degli impegni multilaterali a vantaggio del-
l'agricoltura in senso lato, e di ben il 21 % di quelli destinati più
direttamente all'agricoltura e all'alimentazione 23 • Questa flessione
ha interessato la maggior parte delle istituzioni multilaterali, a
cominciare dalla Banca mondiale, che è la principale fonte multi-
laterale di aiuto allo sviluppo. Nel corso del 1979 i prestiti con-
cessi da questo organismo per il finanziamento dell'agricoltura in
senso lato sono diminuiti infatti del 15% in valore corrente,
quelli accordati dall'Ida sono diminuiti del 19 % , quelli della
Bird dell'll % , !p.entre ancora più sensibile è stata la diminuzione
degli impegni dell'Opec per lo sviluppo dell'agricoltura. La fles-
sione che si è registrata nei flussi di finanziamento di queste fonti
di aiuto è stata solo in parte compensata dall'incremento degli
impegni del Fondo internazionale di sviluppo agricolo (Pisa)

22
BANQUE MONDIALE, Rapport sur le développement dans le monde, 1980,
Washington, agosto 1980, p. 34.
23
FAO, La situation mondiale de l'alimentation et de l'agriculture, 1980, Ro-
ma, settembre 1980.

212
- che, nel corso del suo secondo anno di attività, sono quintu-
plicati rispetto al 1978 - e delle banche regionali di sviluppo
(Banca interamericana, Banca asiatica e Banca africana di svi-
luppo).
Per quanto riguarda, in particolare, i crediti concessi dal Pisa,
questi hanno raggiunto alla fine del 1980 un valore complessivo
di circa 900 milioni di dollari, pari all'85 % delle risorse iniziali
disponibili: essi sono serviti a finanziare circa 65 progetti in 55
paesi di:fferenti.
In occasione della sessione del consiglio dei governatori del
Pisa, svoltasi a Roma dall'8 all'll dicembre 1980, tutti i paesi
membri hanno peraltro approvato il principio di una ricostituzione
del Pisa per un importo complessivo di 1,5 miliardi di dollari per
il periodo 1980-1983 (cosa che richiederà nuovi mezzi finanziari
pari a 1.270 milioni di dollari, tenuto conto dei riporti degli
stanziamenti disponibili). I paesi dell'Ocse si sonp impegnati a
fornire un contributo complessivo di 650 milioni di dollari (di cui
223,3, pari al 34,6%, a carico degli stati membri della Ce), i
paesi dell'Opec 450 milioni di dollari, mentre i paesi in via di
sviluppo beneficiari dovrebbero contribuire con un importo di
circa 50 milioni di dollari. Tuttavia, in occasione della riunione
del Consiglio di amministrazione del Fondo che si è svolta ·dal
22 al 24 aprile 1981, la delegazione degli Stati Uniti ha annun-
ciato la decisione del proprio governo di ridurre la sua partecipa-
zione (inizialmente prevista in 228,8 milioni di dollari) di 50
milioni di dollari, il che ha finito per indebolire anche la buona
disposizione di altri paesi donatori.
Sul fronte comunitario è anzitutto da registrare l'entrata in
vigore, a partire dal 1° gennaio 1981, della seconda Convenzione
di Lomé. Essa comporta, per la prima volta, un capitolo speciale
sulla cooperazione agricola coi paesi Acp, il che sottolinea l'im-
portanza che si intende attribuire allo sviluppo agricolo · e al mi-
glioramento della situazione alimentare di questi paesi. In base alle
informazioni attualmente disponibili, si prevede infatti che la parte
dell'aiuto di cui usufruirà il settore agricolo sarà pari al 40% del
totale. Tenendo conto, peraltro, dell'aiuto che la Comunità ac-
èorda ai paesi non associati, e che è progressivamente cresciuto
negli ultimi anni, si prevede che l'assistenza comunitaria in favore

213
dello sviluppo agricolo e alimentare possa essere dell'ordine di
500-600 milioni di dollari all'anno nel periodo 1980-85.
Nel periodo in esame il Consiglio dei ministri della Ce ha pe-
raltro adottato alcune risoluzioni sui problemi dello sviluppo e
della fame nel mondo che incoraggiano queste tendenze ed ha
confermato il proprio appoggio alle azioni che possono essere svi-
luppate a titolo dell'aiuto finanziario e tecnico della Comunità per
aiutare i paesi che lo desiderano a definire e ad attuare strategie
alimentari mondiali. In questo quadro, il Consiglio ha inoltre
riaffermato la sua intenzione di utilizzare l'aiuto alimentare, unita-
mente ad altri strumenti di aiuto della Comunità, per contribuire
alla realizzazione di programmi di potenziamento della produzione
alimentare e agricola da parte dei paesi in via di sviluppo.

Lo scenario comunitario

I presupposti politici della revzszone della politica agricola co-


nune. - Con una regolarità che è diventata ormai una compo-
nente pressoché permanente non solo della dinamica della politica
agricola comune (Pac), ma anche dell'intera vicenda comunitaria,
è ritornato prepotentemente alla ribalta, a cavallo tra il 1980 e il
1981, il problema della revisione della Pac. Non che la sua attua-
lità fosse venuta meno negli ultimi anni: come si ricorderà, infatti,
è stato proprio sul terreno della politica agricola comune che era-
no state combattute epiche battagiie nel nuovo Parlamento euro-
peo eletto a suffragio universale diretto, in particolare quelle che
lo avevano condotto a respingere, per la prima volta nella sua
storia, il bilancio comunitario per il 1980 24 • La politica agricola
comune, o piuttosto la modesta partecipazione del Regno Unito
ai rientri finanziari di questa politica, a fronte di un contributo al
suo finanziamento pari a tre volte il volume dei rientri 25 , ha costi-
tuito, peraltro, come si ricorderà, una delle ragioni principali
dell'insorgere del cosiddetto « problema britannico » ed uno de-

" Cfr. L'Italia nella politica internazionale, 1979-1980, p. 431 ss.


25
Prendendo in considerazione esclusivamente la spesa per il sostegno dei
mercati agricoli, che ha rappresentato nel 1980 il 71 % dell'intero bilancio comu-
nitario, il Regno Unito ha ricevuto dal Feoga garanzia appena il 7% delle eroga-
zioni, mentre vi ha contribuito - nel quadro beninteso del regime delle risorse
proprie - per il 21 % circa.

214
gli scogli maggiori contro cui ha cozzato per quasi un anno in seno
al Consiglio la ricerca di una soluzione accettabile per tutti a que-
sto problema 26 • La Commissione, dal canto suo, non solo propu-
gnava ormai da quattro anni una politica prudente dei prezzi
agricoli, ma aveva anche presentato una serie di proposte per il
riequilibrio dei mercati nei settori strutturalmente eccedentari, ed
in particolare in quello lattiero-caseario, che non sempre avevano
però incontrato il favore dei ministri dell'agricoltura 27 • Fino ad ora
si era trattato, però, di portare rimedio, o di proporre terapie
d'urto, soltanto alle disfunzioni più vistose della Pac, laddove
queste avevano assunto una dimensione politicamente e finanzia-
riamente insostenibile. Inoltre, benché tutte queste iniziative fos-
sero mosse anche da precise scelte di politica agraria, e cioè dalla
volontà di ricondurre l'attività agricola nei settori eccedentari al-
le sue finalità proprie - quelle di produrre per il mercato e non
per accrescere a dismisura le eccedenze destinate all'ammasso - ,
l'ottica entro cui esse si muovevano era prevalentemente quella
di un più rigoroso contenimento della spesa che lo smaltimento
di tali eccedenze richiedeva. Un'esigenza, questa, resa ancora pfo
acuta dall'ormai prossimo completo esaurimento delle risorse ag-
giuntive disponibili nel quadro dell'attuale sistema di finanzia-
mento del bilancio comunitario.
Col tempo si è andata sempre più affermando l'idea, per la ve-
rità non da tutti condivisa, che fosse ormai diventato improroga-
bile affrontare in maniera più drastica e su un piano più generale
il problema del contenimento della spesa agricola e degli adatta-
menti da apportare alla Pac, e che fosse necessario preoccuparsi
non soltanto dei settori produttivi già afflitti da eccedenze croni-
che, ma anche di quelli che rischiavano di diventarlo. E ciò non
solo per garantire la vitalità e la stessa sopravvivenza della Pac, ma
anche per assicurare quel minimo di coesione intracomunitaria sen-
za la quale il processo d'integrazione rischierebbe d'arrestarsi. La
politica agricola comune, da cemento e pilastro dell'integrazione
nei primi quindici anni della sua esistenza, è infatti diventata ne-
gli ultimi anni, a torto o a ragione, il catalizzatore di tutte le ten-
sioni che attraversano il cielo comunitario quando non è stata ad-
dirittura all'origine delle stesse. Lo si è visto chiaramente nel corso
26
Cfr. L'Italia nella politica internazionale, 1979-1980, p. 449 ss.
21
Ibidem, p. 439 ss.

215
dei lunghi e difficili negoziati globali che hanno preceduto la con-
clusione dell'accordo del 30 maggio 1980, il quale, com'è noto,
ha soltanto temporaneamente messo fine alla vertenza sulla parte-
cipazione britannica al bilancio comunitario e, con essa, all'in-
treccio di vertenze parallele che si era trascinata dietro, compresa
quella per la fissazione dei prezzi agricoli per la nuova campagna 28 •
È proprio nei momenti più difficili di questi negoziati, quando
sembrava che l'Europa dovesse precipitare in una drammatica pa-
ralisi decisionale che avrebbe fatto risorgere i nazionalismi di un
tempo, che probabilmente si è più fortemente radicata la consa-
pevolezza della necessità di por mano ad una serie di adattamenti
delle politiche strutturali comuni, ed in particolare di quella agri-
cola, che evitasse per l'avvenire il ripetersi di simili traumatiche
esperienze e che permettesse al Regno Unito di ridurre entro li-
miti accettabili il suo contributo netto al bilancio comunitario 29 •
Questa consapevolezza è del resto riflessa tanto nel testo del man-
dato affidato alla Commissione a questo riguardo 30 quanto nella
dichiarazione congiunta dei capi di stato e di governo dei Nove,
riuniti a Venezia il 12 e 13 giugno 1980. Prendendo atto con
compiacimento degli accordi a cui si era pervenuti il 30 maggio,
essi sottolineavano come uno degli elementi essenziali di questi
accordi fosse rappresentato dall'impegno della Comunità di met-
tere in atto dei cambiamenti strutturali, i quali, assicurando uno
sviluppo più equilibrato delle politiche comuni, avrebbero con-
sentito « a ciascuno stato membro di sentirsi sempre più stretta-
mente interessato ai destini della Comunità ed all'approfondimen-
to dell'integrazione europea » 31 •

" Cfr. L'Italia nella politica internazionale, 1979-1980, p . 449 ss.


" Come è noto, l'accordo intervenuto il 30 maggio fra i ministri degli esteri
della Ce prevede sostanzialmente il rimborso al Regno Unito per gli anni 1980
e 1981, mediante un apposito meccanismo finanziario ed il varo di una serie di
misure ad hoc, di una somma pari ai due terzi del suo « contributo netto » al
bilancio comunitario (1.175 su 1.784 milioni di uce nel 1980 e 1.410 su 2.140
milioni di uce nel 1981).
30
Il testo dell'accordo raggiunto il 30 maggio dispone che « per il 1982, la
Comunità si impegna a risolvere il problema [del contributo britannico al bilan-
cio comunitario], mediante cambiamenti strutturali, mandato che la Commissio-
ne deve portare a termine entro la fine del 1981 : il riesame», continua il testo
dell'accordo, « dovrebbe vertere sullo sviluppo delle politiche della Comunità,
senza mettere in causa la responsabilità comune per queste politiche, che sono fi-
nanziate in base alle risorse proprie della Comunità, né i principi fondamentali
della politica agricola comune».
31
Cfr. « Bollettino delle Comunità europee», n. 6, 1980.

216
Non si comprenderebbero appieno il significato e il valore po-
litico di questa ennesima revisione della Pac, se non si tenessero
presenti le motivazioni politiche che stanno alla sua base, e che
abbiamo cercato di mettere in luce. Certo, si può lamentare, e ta-
luni lo hanno fatto non del tutto a torto, che le preoccupazioni
di carattere finanziario costituiscano ancora una volta il presuppo-
sto principale di questa revisione della Pac e che esse finiscano
per condizionare in maniera decisiva anche gli orientamenti che
verranno seguiti per metterla in atto. Come ci si può a giusto titolo
rammaricare che lo sviluppo dell'integrazione comunitaria e il
rafforzamento delie politiche comuni siano frenati, tra l'altro, dalla
preoccupazione degli stati membri di contenere il costo di queste
politiche entro rigidi vincoli di bilancio. Tuttavia non si deve nem-
meno dimenticare che, al punto in cui è giunto nei primi mesi del
1980 lo sfaldamento della coesione comunitaria, il rischio che ha
corso la costruzione europea non è stato semplicemente quello di
un arresto di questo processo, ma anche quello, ben più grave, di
un suo veloce arretramento.
In quest'ottica, la revisione della Pac dovrebbe assumere un
ruolo decisivo, che non è soltanto quello di apportare tutti quegH
adattamenti che si rendono necessari per risanarla dalle degenera-
zioni più vistose, ma anche e soprattutto quello di contribuire al
rafforzamento di quella coesione comunitaria che la Pac rischiava
ora di compromettere dopo esserne stata una delle artefici princi-
pali. Ciò non significa, beninteso, che si debbano immolare sul-
1'altare di una mal compresa solidarietà comunitaria anche i frutti
migliori di questa politica o che essa non possa essere ulterior-
mente perfezionata in funzione di più avanzati obiettivi economici
e sociali, che superino l'approccio puramente finanziario ai pro-
blemi. È anzi proprio dalla capacità di far fronte a questa duplice
esigenza che si potrà giudicare nei prossimi anni se l'attuale fase di
revisione della Pac segni una tappa intermedia verso il rilancio
dell'integrazione comunitaria o se costituirà invece il punto di svol-
ta verso un irreversibile processo involutivo.

Gli orientamenti della Commissione. - Alla Commissione non


è certamente sfuggita la dimensione politica del mandato ricevuto
il 30 maggio 1980, in particolare per quanto riguarda le modifìche
« strutturali » della Pac, anche se i termini di questo mandato

217
potevano obiettivamente condurla ad affrontare i problemi che
stanno alla sua origine in un'ottica esclusivamente di bilancio. Era
grande, in effetti, la tentazione di limitare l'esecuzione del mandato
ad un puro esercizio contabile alla ricerca di astratte soluzioni fi-
!,anziarie che evitassero il ripresentarsi di situazioni considerate
« inaccettabili » per questo o quello stato membro.
In realtà, si deve riconoscere che le proposte che essa ha for-
mulato in risposta al mandato del 30 maggio, comprese quelle
relative alla revisione della politica agricola comune, non sono
ispirate esclusivamente da considerazioni di bilancio: essa ha in-
fatti situato la soluzione al problema che le era stato posto nella
sua vera prospettiva che, come abbiamo detto in precedenza, è
quella del rafforzamento e dello sviluppo della costruzione comu-
nitaria e non quella della sua dissoluzione.
La Commissione non ha però nemmeno potuto, né d'altra parte
voluto, disancorare completamente le proprie riflessioni sugli adat-
tamenti da apportare alla Pac dai termini del mandato che, non
a caso, riafferma l'intangibilità dei principi fondamentali di questa
politica (e cioè l'unicità dei prezzi e dei mercati, la solidarietà fi-
nanziaria e la preferenza comunitaria). È nell'ambito di questi
principi, e tenendo presenti gli obiettivi politici ed economici da
perseguire, che la Commissione si è proposta di individuare i pos-
sibili adattamenti della Pac.
Prima però di passare all'esame delle varie terapie possibili, la
Commissione ha voluto effettuare un'analisi delle condizioni di
salute del paziente, per poter diagnosticare con più precisione la
natura e la portata dei malanni che l'affliggono o che potranno pre-
sentarsi in un avvenire più o meno prossimo. È quello che essa ha
fatto nell'autunno 1980, consacrando in una sorta di testamento
per la nuova Commissione che sarebbe subentrata di lì a poco e per
un primo dibattito d'orientamento il frutto delle proprie « rifles-
sbni sulla politica agricola comune» 32 • Questo documento, tra-
smesso al Consiglio a metà dicembre, non si limita a tracciare un
consuntivo dei risultati conseguiti dalla Pac e a metterne a nudo
le principali disfunzioni e manchevolezze, ma esamina anche va-
rie soluzioni alternative per ovviare a tali inconvenienti, indican-

32
COMMI SSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE, Riflessioni sulla politica agraria
comune, Bruxelles, 11 dicembre 1980.

218
do, infine, quelle che a giudizio della Commissione appaiono più
appropriate alle necessità e più conformi ai principi fondamentali
della Pac.
Incominciamo dalJe diagnosi. La Commissione ritiene, anzitutto,
che la politica agricola comune abbia conseguito largamente i
principali obiettivi che si era prefissa, in particolare per quanto
riguarda la libera circolazione dei prodotti agricoli, l'incremento
del reddito e della produttività in agricoltura e la sicurezza del-
l'approvvigionamento alimentare, con vantaggio anche dei consu-
matori.
Quanto ai problemi che la Pac si trova attualmente ad af-
frontare, la Commissione ne enuclea essenzialmente quattro:
1) Il principale è quello che nasce dall'assenza o dall'inadegua-
tezza di meccanismi regolatori sufficientemente efficaci per adeguare
lo sviluppo delle produzioni al fabbisogno del mercato interno e
dei mercati esteri. Ciò vale, in particolare, per quanto riguarda
l'espansione di alcune produzioni agricole al di là di ogni ragio-
nevole possibilità di assorbimento del mercato: il settore lattie-
ro-caseario ne è l'esempio più clamoroso. In questo settore, in-
fatti, le eccedenze produttive, per effetto di un aumento spetta-
colare delle rese e di una stagnazione dei consumi, sono andate
assumendo col tempo dimensioni gigantesche che è stato possibile
ridurre solo grazie a restituzioni all'esportazione o sovvenzioni
all'utilizzazione interna ancora più onerose, il cui importo è salito
talvolta sino ali'80% del valore del prodotto.
2) Il secondo rimprovero che si può muovere alla Pac - am-
mette la Commissione - è che le organizzazioni comuni di mer-
cato, basate su garanzie di prezzo o di aiuto al prodotto, ten-
dono a privilegiare i maggiori produttori, che già dispongono del-
le strutture di produzione più efficienti.
3) Se il riconoscimento della fondatezza di questa critica è già
un fatto di rilevante significato politico, laddove l'analisi della
Commissione diventa politicamente ancora più pregnante è nel-
l'ammettere che la politica agricola comune, essendosi rivelata
più vantaggiosa per le regioni ricche che per le regioni sfavorite
della Comunità, ha contribuito ad accrescere le disparità regionali
all'interno della Comunità. Vale la pena di osservare, a questo
proposito, che è questa la prima volta che in un documento uffi-
ciale della Commissione si parla in termini tanto espliciti degli ef-

219
fetti perversi della politica agricola comune a danno delle regioni
meno favorite e dei produttori meno abbienti; una politica che, es-
sendo basata essenzialmente su un sistema di sostegno dei redditi
per mezzo dei prezzi, - come afferma la Commissione stessa -
« col pretesto di realizzare l'uguaglianza economica è fonte di ine-
guaglianze sociali ».
4) La quarta critica, infine, che la Commissione prende in con-
siderazione e sulla quale si sofferma più a lungo è di natura
finanziaria e di bilancio. Essa respinge, anzitutto, due ordini di
rilievi che sono stati mossi in questi ultimi tempi alla Pac: il
primo consiste nel ritenere eccessivo in assoluto il volume di ri-
sorse finanziarie pubbliche destinate alla Pac; il secondo attribui-
sce invece all'eccessiva incidenza relativa della spesa agricola sul
bilancio comunitario la responsabilità della mancata evoluzione
delle altre politiche comuni. Passando agli altri rilievi, la Com-
missione considera che non possa essere invece eluso il problema
che nasce dalla diversa partecipazione degli stati membri ai costi
e ai benefici della politica agricola comune, ma mette in guardia
contro la rivendicazione pura e semplice del « giusto ritorno », che
« ucciderebbe la nozione di solidarietà finanziaria e di politica
comune, si tratti dell'agricoltura o di qualsiasi altra politica».
Questo problema, del resto, non giustificherebbe agli occhi della
Commissione la rimessa in discussione della sola politica agricola
comune. Il vero problema di carattere finanziario che si pone - af-
ferma la Commissione - è invece quello della continua crescit'.l
della spesa sostenuta per prodotti caratterizzati da sempre mag-
giori eccedenze strutturali, senza che risultino peraltro attenuate
le disparità di reddito rispetto ai settori non agricoli e all'interno
dello stesso settore agricolo.
Da questo insieme di considerazioni critiche, che abbiamo vo-
luto riprendere sia pure sommariamente in quanto è in esse che
affondano le radici della revisione della Pac, la Commissione fa di-
scendere tre orientamenti principali per la successiva fase pro-
positiva: a) salvaguardia dei principi fondamentali della Pac;
b) creazione di meccanismi che permettano di mantenere sotto
controllo gli effetti finanziari delle eccedenze di produzione; c)
concentrazione delle risorse finanziarie sulle aziende e regioni più
svantaggiate.
Questi orientamenti si sono tradotti, in concreto, in una serie

220
di proposte e di indirizzi per quanto riguarda gli adattamenti da
apportare alle organizzazioni comuni dei mercati agricoli, da una
parte, e alla politica strutturale, dall'altra, a cui fanno da corol-
ìario alcune riflessioni sul ruolo che dovrebbe svolgere in questo
contesto la politica commerciale nel settore agricolo.
Senza sottovalutare il ruolo e l'importanza delle altre proposte,
è indubbio che la proposta di gran lunga più dirompente avanzata
dalla Commissione in questo quadro consiste nell'introduzione di
un nuovo principio fondamentale, accanto ai primi tre che hanno
finora retto la Pac: quello della « corresponsabilità» dei produt-
tori agli oneri di gestione dei mercati per la produzione eccedente
un livello che verrebbe predeterminato in funzione del consumo
interno e delle possibilità di sbocco sui mercati esterni. In questo
modo, si avrebbero in sostanza due diversi livelli di responsabilità
finanziaria: il primo, entro il «quantum» di produzione prefis-
sato, in cui la responsabilità delle finanze pubbliche europee sa-
rebbe totale; il secondo, relativo alla produzione eccedente il sud-
detto « quantum », in cui tale responsabilità sarebbe ripartita, se-
condo proporzioni da stabilire, tra finanze pubbliche e produttori.
Occorre precisare che questo principio non è, in realtà, del tutto
nuovo per la politica agricola comune: forme più o meno analoghe
di corresponsabilità dei produttori si riscontrano, infatti, fin dalla
sua istituzione, nell'organizzazione comune dei mercati nel set-
tore dello zucchero, nonché, a partire dal 1977, nel settore lat-
tiero-caseario, per il quale è stata applicata una vera e propria
« tassa di corresponsabilità » (pari al 2,5% del prezzo « indicati-
vo » del latte) sull'intero quantitativo di latte consegnato alle
latterie. Quello che è fondamentalmente nuovo è la generalizza-
zione di questo principio a tutte le produzioni (eccedentarie o
meno) per cui è stata istituita un'organizzazione comune dei
mercati, nonché il fatto che esso dovrebbe essere introdotto in
modo permanente e durevole e non per una determinata campa-
gna, com'è il caso della tassa di corresponsabilità nel settore lat-
tiero-caseario.
L'adozione generalizzata di questo principio è destinata a scal-
zare in maniera definitiva e irreversibile uno dei pilastri su cui si
è retta la Pac negli ultimi venti anni: la garanzia illimitata di col-
locamento accordata a molti prodotti agricoli, soprattutto conti-

221
nentali, che aveva generato nel tempo la formazione di costose ec-
cedenze produttive.
La Commissione è giunta a questa determinazione essendo fon--
damentalmente convinta che, « nello stato attuale delle tecniche
agrarie, non è economicamente sano né finanziariamente possibile
garantire livelli di prezzo o aiuti a quantitativi illimitati di pro-
dotti ».
L'introduzione del principio della corresponsabiìità dei produt-
tori dovrebbe, da una parte, avere effetti riequilibratori sulla
produzione, dall'altra, secondo l'espressione della Commissione,
consentire alla Comunità « di meglio adattarsi agli attuali vincoli
di bilancio », cioè, in sostanza, contenere la spesa agricola entro
limiti compatibili con la limitatezza delle risorse finanziarie di-
sponibili.
Va da sé, peraltro, che questo risultato è perfettamente in sin-
tonia con la ricerca di soluzioni « strutturali » al problema della
partecipazione britannica al bilancio comunitario, che è all'origine
del mandato del 30 maggio, anche se non può apportarvi che un
contributo del tutto modesto: è vero, in effetti, che una riduzione
dell'incidenza della spesa agricola sul bilancio comunitario può in
qualche modo attenuare lo squilibrio esistente tra la partecipazione
del Regno Unito al finanziamento del bilancio comunitario - nel
quadro, beninteso, del regime delle risorse proprie - e i vantaggi
che ad esso ritornano; tuttavia, fino a quando la politica agricola
resta la sola politica veramente « comune » e fino a quando l'espan-
done delle altre politiche comuni è frenata dall'ormai pressoché
completo esaurimento delle risorse aggiuntive disponibili nel qua-
dro dell'attuale sistema di finanziamento del bilancio comunitario,
non è certo mediante l'introduzione di un regime, sia pure genera-
lizzato, di corresponsabilità dei produttori agricoli che è possibile
apportare un rimedio decisivo al problema in questione. Di questo
la Commissione è del resto perfettamente cosciente, tant'è che,
nel suo rapporto sul mandato del 30 maggio presentato nel giu-
gno 1981 e su cui ritorneremo tra poco, essa prospetta addirit-
tura la possibilità di prendere in considerazione, per risolvere prov-
visoriamente tale problema e in attesa che vengano recuperate nuo-
ve risorse proprie, una sorta di tassa di « corresponsabilità » degli
stati membri diversi dal Regno Unito, sotto forma di rinuncia a

222
percepire una parte dei versamenti che la Comunità dovrebbe ef-
fettuare a loro vantaggio per il sostegno dei mercati agricoli.
Ritornando agli orientamenti della Commissione in merito alla
revisione della Pac, c'è da dire che quelli annunciati nel suo « do-
cumento di riflessione» del dicembre 1980, di cui ci siamo occu-
pati finora, sono stati sostanzialmente confermati e per certi versi
ulteriormente sviluppati nel già citato rapporto della Commis-
sione sul mandato del 30 maggio 1980 33 • Esso non soltanto ab-
braccia l'insieme delle politiche comuni, compresa quella agricola,
allargando l'orizzonte del mandato ad aspetti e problemi non esclu-
sivamente di bilancio, ma si propone anche di inquadrare questa
vasta operazione di « maquillage » del volto dell'Europa in un
ambizioso disegno politico: rilanciare il processo d'integrazione eu-
ropea per costruire quella che è stata chiamata dal presidente della
Commissione l' « Europa della seconda generazione ». In quest'ot-
tica, la futura revisione della Pac dovrebbe costituire un aspetto
fondamentale di quella sorta di rimessa in ordine dell'edificio co-
munitario che sembra essere ormai diventata una premessa indi-
spensabile per gli ulteriori sviluppi di questa costruzione.
Seguendo le grandi linee già tracciate nel suo documento di
dicembre, la Commissione raccomanda in questo rapporto di orien-
tare le decisioni relative agli adattamenti da apportare alla politica
agricola comune secondo i seguenti indirizzi:
- Una politica dei prezzi agricoli più strettamente integrata nel-
le prospettive dei mercati mondiali e avente come obiettivo quello
del graduale ravvicinamento dei prezzi garantiti ai prezzi praticati
sui mercati mondiali e in particolare nei principali paesi concor-
renti (Stati Uniti, Canada, Australia, America latina, ecc.).
- Una politica commerciale più attiva per quanto riguarda sia
le esportazioni sia le importazioni di prodotti agricoli.
- La generalizzazione del principio della corresponsabilità dei
produttori, che però viene qui presentata sotto una veste legger-
mente diversa rispetto al documento di dicembre; in effetti, que-
sto concetto è ora completamente scomparso ed è stato sostituito
dal concetto probabilmente più attraente della « modulazione delle
garanzie in funzione di obiettivi comunitari di produzione », che

33
COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE, Rapporto della Commissione sul
mandato del 30 maggio 1980, Lussemburgo, 24 giugno 1981, COM (81) 300 def.

223
:1a però sul piano pratico conseguenze esattamente analoghe a
quelle del principio della corresponsabilità. In effetti, anche secon-
do la nuova dizione di questo principio, verrebbero fissati, per tut-
ti i settori produttivi, degli obiettivi di produzione in volume
per l'insieme della Comunità: una volta raggiunti tali obiettivi,
verrebbe introdotta, a seconda dei settori, o una partecipazione
diretta dei produttori ovvero una limitazione della garanzia d'in-
tervento.
- La possibilità di accordare aiuti diretti al reddito, in certi
casi specifici e a vantaggio dei piccoli produttori più direttamente
colpiti dalle precedenti misure restrittive.
- Infine, un insieme di misure parallele, che vanno da un adat-
tamento della politica strutturale, ad un controllo più severo della
qualità dei prodotti, ad un rafforzamento della disciplina degli aiuti
nazionali al settore agricolo, onde evitare che essi provochino un
indebolimento delle politiche comunitarie.
Dando seguito alle considerazioni relative agli effetti negativi
della Pac sullo sviluppo regionale, contenute nel documento di
dicembre, il rapporto sul mandato del 30 maggio sottolinea inoltre
l'importanza dei problemi delle regioni mediterranee, ed esprime
l'intenzione della Commissione di proporre per queste regioni,
entro la fine del 1982, dei « programmi comunitari a medio ter-
mine che integreranno un'azione sul reddito, sul mercato, sulle
produzioni e sulle strutture ».
Inoltre - fatto non meno significativo e di grande rilievo poli-
tico per i paesi mediterranei come l'Italia - la Commissione
afferma, forse per la prima volta in termini così espliciti, la ne-
cessità di basare la ricerca di una soluzione alle difficoltà di queste
regioni su due principi fondamentali: l'equivalenza, cioè la non
discriminazione a danno dei prodotti mediterranei, e l'equità, la
quale « esclude che le mutazioni necessarie determinino un dete-
rioramento delle condizioni di vita di coloro che le subiscono ».
Quali conseguenze pratiche avranno questi propositi e questi
orientamenti della Commissione in merito alla politica agricola co-
mune, e come si tradurranno in proposte concrete, prima, ed in
atti legislativi, poi? I prossimi anni daranno una risposta a questi
quesiti. Intanto esamineremo nei prossimi paragrafi da una parte
le proposte formulate a questo riguardo dal Parlamento europeo,
dall'altra le reazioni del Consiglio alle prime proposte di applica-

224
zione generalizzata del principio della corresponsabilità formulate
dalla Commissione, sulla base degli orientamenti delineati nel suo
documento di riflessione del dicembre 1980.

Le proposte e i dibattiti del Parlamento europeo. - Pochi altri


temi hanno suscitato in questi ultimi anni un tale interesse ed
una tale fioritura di iniziative e di proposte in seno al Parla-
mento europeo come quello della revisione della politica agricola
comune. Per rendersene conto basti dire che, quando si è trattato,
nella sessione di giugno del 1981, di approvare una risoluzione
che esprimesse il punto di vista del Parlamento europeo a questo
riguardo, è stato necessario far riferimento a ben tredici diverse
proposte di risoluzione presentate da oltre ottanta parlamentari
e ai pareri di ben sette commissioni parlamentari, senza contare
la valanga di circa 180 emendamenti alla proposta di risoluzione
in discussione, quella del conservatore britannico Sir Henry Plumb.
È evidente che non è possibile, in questa sede, dare conto di tutte
queste proposte, né dei dibattiti che esse hanno suscitato nelle
varie istanze precedenti la discussione generale sopra menzionata.
Può essere tuttavia abbastanza interessante presentare una ra-
pida panoramica delle principali idee guida che animano questa va-
sta marea di contributi critici e di proposte politiche in vista della
« riforma » o piuttosto dell'« adattamento » della Pac.
Il primo elemento che emerge da un esame comparativo di
queste proposte è che, malgrado le critiche talvolta violente rivol-
te alla politica agricola comune, nessuna di esse mette apertamente
in causa né gli obiettivi che l'art. 39 del trattato Ce stabilisce
per la Pac, né i principi fondamentali su cui questa si è retta
finora. Non mancano, è vero, gli sforzi per ridefinire ed ampliare
alla luce dell'esperienza questi obiettivi e questi principi 34 : tut-
tavia nessuna di esse arriva a proporre lo smantellamento puro e
semplice di questa politica comune e il ritorno ad una politica

34
Questo è, ad esempio, il caso della risoluzione presentata dall'on. Pisani,
su cui ritorneremo più avanti nel testo, della risoluzione presentata dall'on. De-
latte e di quella di Barbarella e Vitale che suggerisce una « trasformazione pro-
fonda» della Pac sulla base dei seguenti indirizzi: una visione più aperta delle re-
lazioni internazionali, un consolidamento più esteso delle strutture agricole, uno
sviluppo più equilibrato dell'integrazione del settore agricolo coi settori industriali
collegati. Cfr. PARLAMENTO EUROPEO, Documenti di seduta, doc. 1-480/80, 1.3 ot-
tobre 1980.

225
agricola gestita esclusivamente a livello nazionale. Chi va più oltre
in questa direzione, è il gruppo dei comunisti francesi che, in una
proposta di risoluzione presentata da Pranchère e da altri diciotto
colleghi 35 , non esita ad invocare il diritto di veto dei governi alla
messa in atto di una politica agricola che si è rivelata « nefasta »
per l'agricoltura europea ed in particolare per quella francese, ma
al tempo stesso lamenta il non rispetto dei principi fondamentali
di questa politica, « in particolare da parte di taluni stati mem-
bri », e la volontà di sacrificare l'agricoltura europea col pretesto
dell'ipertrofia delle spese agricole.
Su una linea altrettanto intransigente, ma questa volta di di-
fesa dei risultati della Pac e di rifiuto di un ridimensionamento
del ruolo e degli strumenti di questa politica, si pone invece la
proposta di risoluzione presentata, a nome del gruppo dei demo-
cratici europei del progresso (d'ispirazione gollista), da 21 depu-
tati di questo gruppo, con in testa Buchou 36 • Sottolineando il ruolo
strategico che può svolgere un'agricoltura florida per la « potenza
economica e la prosperità in Europa», essa formula una serie di
proposte per il rilancio della politica agricola comune, tutte fon-
date sul concetto chiave dell'opportunità e della necessità di pro-
durre di più. E ciò sia per conseguire il completo autoapprovvigio-
namento della Comunità, la cui indipendenza alimentare - per i
promotori di questa proposta - è essenziale per evitare che essa
diventi « politicamente subordinata» e « economicamente domi-
nata», sia per poter esportare di più sui mercati mondiali. Non
solo viene perciò categoricamente rifiutato ogni sistema di limita-
zione della produzione e di corresponsabilità dei produttori, ma
viene anche rivendicata una politica comunitaria più aggressiva in
materia di esportazioni agricole, nonché la soppressione di tutte
le deroghe alla preferenza comunitaria.
Se si escludono le due proposte finora menzionate, tutte le altre
convergono, sia pure per strade e ragioni diverse, sull'idea che sia
ormai diventato necessario, in una maniera o nell'altra, limitare
la garanzia dei prezzi per le produzioni che presentano eccedenze
strutturali difficilmente collocabili sul mercato mondiale.
Si deve a questo proposito precisare che, dal punto di vista

35
PARLAMENTO EUROPEO , Documenti di seduta, doc. 1-52/80, 26 marzo 1980.
36
Ibidem.

226
metodologico, questo problema può essere affrontato seguendo tre
approcci differenti:
- Il sistema delle « quote di produzione », in base al quale
verrebbero fissate, a livello di ciascuno stato membro o addirittu-
ra d'impresa, dei quantitativi di produzione, al di là dei quali
l'onere per il collocamento resterebbe a carico del produttore. È
questo in sostanza il sistema attualmente in vigore nel settore dello
zucchero.
- Il sistema del « quantum di produzione » che, nella sua ac-
cezione più corrente, consisterebbe nella fissazione di obiettivi di
produzione per la Comunità nel suo insieme, e non per i singoli
stati membri, raggiunti i quali entrerebbe in gioco la partecipa-
zione dei produttori, sotto forma di una vera e propria tassa di
corresponsabilità ovvero di una riduzione dei prezzi d'intervento.
È questo, come si è visto in precedenza, il sistema proposto dalla
Commissione.
- Il sistema del « quantum finanziario », che consisterebbe nel-
la prefìssazione annuale del volume di spesa da destinare alle di-
verse organizzazioni di mercato, facendo intervenire la partecipa-
zione dei produttori a partire dal momento in cui tale « plafond »
sarebbe raggiunto.
Occorre anzitutto constatare che nessuna delle proposte in esa-
me preconizza l'instaurazione pura e semplice di quote di produ-
zione nazionali o aziendali per risolvere il problema delle ecce-
denze produttive. Tuttavia la proposta di risoluzione presentata
da due parlamentari comunisti italiani (Barbarella e Vitale) è rela-
tivamente vicina a questa concezione, in quanto prospetta la pos-
sibilità di fissare obiettivi di produzione che tengano conto non
solo di un tasso di autoapprovvigionamento comune all'insieme
della Comunità, ma anche « dei bisogni particolari di certi paesi,
per assicurare una migliore copertura dei loro bisogni interni »,
nonché degli imperativi che rendono necessario, in certe regioni,
« mantenere o ridurre progressivamente certe produzioni, a causa
della loro incidenza sull'economia generale di un territorio» 37 •
L'introduzione di « quantum di produzione » per i prodotti ec-
cedentari al di là dei quali entrerebbe in gioco la corresponsabilità
dei produttori, sotto forma di una riduzione della garanzia, è pre-

37
PARLAMENTO EUROPEO, Documenti di seduta, doc. 1-480/80, cit.

227
conizzata, invece, dalla proposta di risoluzione di d'Ormesson (del
Partito popolare europeo) 38 • In quest'ottica, essa prevede, inoltre,
l'introduzione di una tassa sugli stocks, che dovrebbe entrare in
funzione quando questi ultimi superassero un certo livello di
guardia.
Il terzo approccio, quello dei « quantum finanziari di spesa », è
infine suggerito dalla proposta di risoluzione presentata da Dia-
na 39 • Il punto di partenza è costituito anche qui, come per la
maggior parte delle altre proposte, dalla predeterminazione di
obiettivi di produzione a livello comunitario per i settori ecce-
dentari. Tuttavia in questo caso essi servirebbero esclusivamente
per fissare la « massa » di spesa corrente con gli obiettivi presta-
biliti, da iscrivere annualmente in bilancio e da non oltrepassare
nel corso dell'esercizio: la partecipazione dei produttori al colloca-
mento delle eccedenze consegnate all'intervento avverrebbe « mo-
dulando il prezzo di ritiro a fine campagna in funzione delle qua-
lità realmente attribuite in modo da non oltrepassare la "massa"
di spese prestabilita ».
Un sistema più articolato e del tutto differente, non solo per
mettere in atto il principio della partecipazione dei produttori ma
per orientare la riforma della Pac nel suo insieme, è quello pro-
posto da Pisani e da altri 21 parlamentari socialisti francesi 40 • Esso
prevede una differenziazione tra « prodotti di base aventi un mer-
cato mondiale limitato », come ad esempio i prodotti lattiero-ca-
seari, « prodotti di base a mercati aperti », come ad esempio i pro-
dotti cerealicoli, e prodotti per i quali la Ce è « strutturalmente
deficitaria», come ad esempio le proteine vegetali necessarie al-
l'alimentazione animale: per i primi la politica agricola comune
« deve proporsi di far produrre i quantitativi consumabili o espor-
tabili »; un sistema di prezzi fortemente degressivo dovrebbe inol-
tre evitare il formarsi e l'accumularsi di stocks senza prospettive
di mercato; per i secondi, un sistema di prezzi degressivi per
« tranches » successive, tenendo conto del volume prodotto da
ciascuna azienda 41 ; per il terzo gruppo di prodotti, infine, viene
38
PARLAMENTO EUROPEO, Documenti di seduta, doc. 1-502/80, 23 ottobre 1980.
39
PARLAMENTO EUROPEO, Documenti di seduta, doc. 1-481/ 80, 13 ottobre 1980.
'
0
PARLAMENTO EUROPEO, Documenti di seduta, doc. 1-785/80, 23 gennaio
1981.
" Ad esempio, il prezzo sarebbe 100 per i primi 100 quintali di prodotto, 95
per i 100 successivi e così via.

228
auspicato l'incoraggiamento della produzione mediante un sistema
del tipo « defìciency payments » 42 , degressivo nel tempo e limita-
tamente alle produzioni che formano oggetto di contratti di forni-
tura tra produttore e utilizzatore.
Ciò che differenzia maggiormente questa proposta rispetto ad
altre è il fatto che la modulazione della garanzia - che si ap-
plicherebbe peraltro a livello aziendale e non più a livello comuni-
tario globale - non è soltanto un sistema per risolvere il problema
delle eccedenze produttive, ma anche una deliberata scelta di po-
litica agraria, intesa a raggiungere anche altri obiettivi economici
ed in particolare il riequilibrio a vantaggio delle imprese più pic-
cole del sostegno fornito dalla Pac: finirebbe così, secondo le
intenzioni dei promotori di questa proposta, « una delle ingiusti-
zie della politica agricola comune attuale che favorisce in modo
inaccettabile, privilegiandole, le aziende più prospere» 43 • Tutta-
via, se questo sistema è apparso abbastanza suggestivo per gli uni,
esso ha anche suscitato non poche perplessità quanto alla sua
conformità con uno dei principi fondamentali che reggono la Pac,
quello dell'unicità dei prezzi e dei mercati.
Come s'è detto in precedenza, il dibattito in seduta plenaria
sulla riforma della Pac, dopo essere stato rinviato più volte, ha
avuto luogo nella sessione del giugno 1981 del Parlamento euro-
peo, e cioè appena una settimana prima che la Commissione adot-
tasse la versione definitiva del proprio rapporto sul mandato del
30 maggio. Nel frattempo, tuttavia, tanto il relatore, il conserva-
tore britannico Sir Henry Plumb, quanto le sette commissioni
parlamentari consultate avevano avuto modo di presentare le pro-
prie proposte ed i propri pareri 44 •
Dal dibattito è uscita sostanzialmente confermata, sia pure con
numerosi emendamenti, la proposta di risoluzione presentata da
Plumb ed adottata dalla Commissione agricoltura qualche settima-
na prima. Questa ribadisce la validità dei principi fondamentali
della Pac, ma al tempo stesso riconosce la necessità di introdurre
misure atte ad assicurare il necessario equilibrio dei mercati agri-
42
Come è noto, questo sistema comporta l'adozione di un prezzo di sostegno
alla produzione comparabile a quello del mercato mondiale e la concessione ai
produttori di un'integrazione di reddito pari alla differenza tra il prezzo del mer-
cato interno e quello del mercato mondiale.
PARLAMENTO EUROPEO, Documenti di seduta, doc. 1-785/80, cit.
43

PARLAMENTO EUROPEO, Documenti di seduta, doc. 1-250/81 , 27 maggio 1981.


44

229
coli. In proposito essa « reclama l'instaurazione di un quantum
comunitario globale, settore per settore, legato agli obiettivi asse-
gnati alla produzione agricola comunitaria per i prodotti per i
quali l'organizzazione di mercato è fondata principalmente sui
prezzi d'intervento »; al di là di questo « quantum» globale en-
trerebbe in gioco la corresponsabilità dei produttori, mediante una
riduzione progressiva del prezzo di intervento. Nei suoi ben set-
tanta paragrafi, la risoluzione adottata affronta poi il problema
dell'incoraggiamento di nuove produzioni di cui la Comunità è
deficitaria, sottolinea la necessità di tenere sotto controllo gli aiuti
nazionali al settore agricolo onde evitare una rinazionalizzazione
della politica agricola, afferma l'esigenza di realizzare tutte le po-
tenzialità d'esportazione agricola della Comunità, ribadendo peral-
tro vigorosamente il rispetto del principio della preferenza comu-
nitaria per quanto riguarda le importazioni. La risoluzione auspica,
infine, l'introduzione di aiuti diretti al reddito, necessari per com-
pensare « prestazioni indispensabili sul piano regionale, sociale e
ecologico», una politica agricola più aperta alle esigenze dei paesi
in via di sviluppo, una politica strutturale più attiva e una maggio-
re attenzione ai problemi derivanti dal crescente costo dell'energia
che grava sull'agricoltura. Nel complesso, come si vede, la riso-
luzione adottata propone una serie di indirizzi e di orientamenti
che, per l'essenziale, non si discostano molto da quelli che la Com-
missione ha delineato nel suo rapporto sul mandato del 30 maggb.
Vale la pena, tuttavia, di osservare che, mentre la Commissione
preconizza l'applicazione dei « quantum » di produzione a tutti i
settori produttivi, siano essi eccedentari o meno, il Parlamento
europeo li limita invece ai soli settori per i quali esiste un prezzo
d'intervento, e cioè a circa i tre quarti dei prodotti regolamentari.
La risoluzione è stata adottata dopo una caotica votazione, che
non ha sempre favorito la coerenza interna tra le varie proposi-
zioni, con 147 voti a favore, 76 contrari e 33 astensioni. A parte
il gruppo dei democratici europei, di cui faceva parte il relatore,
nessun altro gruppo si è dichiarato unanimemente favorevole alla
risoluzione 45 • Così, mentre i membri francesi del Partito popolare
europeo hanno votato contro, quasi tutti gli altri hanno votato a

45
Cfr. « Agence Europe », n. 3160, 18 giugno 1981 e PARLAMENTO EUROPEO,
Resoconto integrale delle sedute dal 15 al 19 giugno 1981.

230
favore, benché il portavoce di questo gruppo, Egon Klepsch, aves-
se considerato « non più riconoscibile in modo chiaro » e non pri-
vo di « notevoli elementi contraddittori » il testo emendato della
risoluzione in votazione; stessa frattura nel gruppo socialista, i
cui membri francesi si sono astenuti, quelli inglesi hanno votato
contro, mentre la maggior parte degli altri ha votato a favore 46 ;
infine anche nel gruppo liberale si registra la defezione dei mem-
bri francesi. Quanto al gruppo comunista, si è riprodotta anche
questa volta l'ormai tradizionale bipolarizzazione che caratterizza
questo gruppo politico sui problemi dell'Europa: contrariamente
al solito, però, questa volta i comunisti francesi si sono astenuti,
ritenendo che la risoluzione contenesse malgrado tutto alcuni ele-
menti positivi (« in particolare per quanto concerne il rispetto del-
la preferenza comunitaria, la limitazione delle importazioni di
materie grasse, il rispetto del metodo obiettivo, l'adozione di
una reale politica d'esportazione»), mentre i comunisti italiani
hanno votato contro, ritenendo, secondo la motivazione data dal-
l'on. Barbarella, che essa non individui « alcuna linea di vera e
propria correzione della Pac, limitandosi a richiamare alcuni gene-
rici principi e criteri senza indicare strategie nuove per un cam-
biamento della politica comunitaria » che i comunisti italiani con-
siderano « una necessità imposta dagli stessi fatti ». I soli a votare
compatti contro la proposta di risoluzione sono stati i membri del
gruppo dei democratici europei del progresso (d'ispirazione golli-
sta), contrari sia all'introduzione dei « quantum di produzione »
sia alla corresponsabilità generalizzata.

L'avvio della revisione della Pac e la fissazione dei prezzi agri-


coli per la campagna 1981-82. - L'annuale appuntamento consa-
crato alla :fissazione dei prezzi agricoli per la successiva campagna
ha costituito, quest'anno, non solo l'occasione per sciogliere, com'è
ormai tradizione, insieme a questo tutta una serie di altri nodi
venuti al pettine nei mesi o addirittura negli anni precedenti, ma
anche il terreno sperimentale che la Commissione ha scelto per

46
L'on. Glinne, a nome di questi ultimi, pur ritenendo insufficiente la pro-
posta di risoluzione emendata, aveva motivato il voto favorevole ritenendo che
« la concretizzazione dei concetti espressi in questa risoluzione contribuirà più
efficacemente alla realizzazione degli obiettivi della Pac, risultando nel contempo
meno ombrosa rispetto ai meccanismi attualmente in vigore».

231
incominciare a mettere in atto gli orientamenti sulla rev1s1one
della Pac enunciati nel suo documento del dicembre 1980.
Malgrado la presenza di questa componente suscettibile di ral-
lentare l'andamento dei negoziati agricoli in seno al Consiglio, ra-
ramente negli ultimi anni l'accordo finale è intervenuto in tempi
così ristretti e tutto sommato con così poche dilacerazioni della
coesione comunitaria. Il che dimostra che quando il negoziato vie-
ne mantenuto nell'ambito proprio della politica agricola comune
e non è condizionato dall'esito di altre grandi vertenze sul tap-
peto, come è stato spesso il caso negli ultimi anni, e quando la
volontà comune di decidere rapidamente ed efficacemente fa pre-
mio sulle tentazioni ostruzionistiche o di arroccamento ad oltranza
sulle proprie posizioni, non è poi impossibile raggiungere un ra-
gionevole compromesso sui problemi comuni.
Ciò detto, sbaglierebbe chi ritenesse che il compito di sbrogliare
la matassa dei problemi fosse questa volta più facile del solito. In
effetti, nel presentare alla :fine di febbraio le sue proposte globali
sui prezzi agricoli e le altre misure connesse, la Commissione ave-
va dovuto sforzarsi di conciliare due obiettivi difficilmente compa-
tibili tra loro: da una parte, la necessità di compensare, mediante
un'adeguata rivalutazione dei prezzi agricoli, la caduta dei redditi
dell'agricoltura, già iniziata nel 1979 ma che ha assunto nel 1980
una dinamica ancora più allarmante (- 8,9% in termini reali); dal-
l'altra, l'esigenza di mantenere l'onere finanziario aggiuntivo per la
Comunità derivante da questo adeguamento dei prezzi comuni
entro i margini ormai ristrettissimi consentiti dall'attuale siste-
ma di finanziamento del bilancio comunitario.
Sulla traccia degli orientamenti già delineati nelle sue Rifiessio-
ni sulla politica agraria comune del dicembre 1980, la Commis-
sione ha cercato di conciliare questi due imperativi proponendo,
da una parte, maggiorazioni dei prezzi agricoli molto più consi-
stenti di quelle proposte negli ultimi anni (tra il 6 e il 12 % , a
seconda dei prodotti, contro un aumento compreso tra il 2 e il
3,5% proposto l'anno prima), ma introducendo nel contempo per
una serie di settori quello che a suo giudizio dovrebbe ormai essere
considerato il « quarto principio fondamentale della Pac », vale a
dire la parziale responsabilità finanziaria dei produttori per lo
smercio di quella parte di produzione che supera un massimale pre-
stabilito. Le economie di spesa derivanti dall'applicazione di que-

232
sto princ1p10 ai settori 1n questione (quelli dei cereali, dei semi
oleosi, dell'olio di oliva, del latte, della carne bovina, degli orto-
frutticoli trasformati e del tabacco), valutate a circa 480 milioni
di uce per un intero anno, avrebbero dovuto contribuire in misura
sostanziale a coprire l'incremento della spesa derivante dalla ri-
valutazione dei prezzi.
Se l'aumento dei prezzi agricoli proposto andava incontro in
qualche modo alle aspettative del mondo agricolo, che tuttavia ri-
vendicava aumenti molto più consistenti (dell'ordine del 15%),
ben più problematico si presentava il passaggio da un sistema di
garanzia illimitata, da sempre pilastro fondamentale della Pac, ad
un regime di garanzia limitata che l'introduzione del principio della
corresponsabilità avrebbe sanzionato in maniera definitiva e irre-
versibile. Il problema era peraltro reso ancora più delicato dal fat-
to che l'applicazione di tale principio non era ormai più proposta
soltanto per i settori strutturalmente eccedentari (com'era il caso
del latte e dello zucchero, già sottoposti a un regime di questo
tipo), ma investiva anche settori e prodotti, come il grano duro,
l'olio d'oliva, gli ortofrutticoli trasformati e il tabacco, di cui la
Comunità è stata finora tutt'altro che deficitaria e che rappresen-
tano una delle poche risorse economiche delle regioni mediterranee
e in particolare del Mezzogiorno d'Italia. A determinare questo
orientamento della Commissione hanno concorso più fattori: an-
zitutto, essa ritiene che l'adesione della Grecia, e più tardi della
Spagna e del Portogallo, rischia di modificare notevolmente il gra-
do di autoapprovvigionamento di alcuni di questi prodotti (in
particolare dell'olio d'oliva); in secondo luogo, la Commissione è
da qualche tempo particolarmente inquieta per l'espansione spet-
tacolare registrata dalla spesa sostenuta dal Feoga per il so-
stegno di alcuni di questi settori, ed in particolare quello degli
ortofrutticoli trasformati; infine, come nel caso del tabacco, la
Commissione si proponeva di ricercare un contenimento dei quan-
titativi non richiesti dal mercato e consegnati perciò all'intervento,
che negli ultimi anni erano cresciuti vistosamente; su tutto questo
aleggiava peraltro il sospetto - malauguratamente non del tutto
infondato, come dimostrano gli scandali scoppiati in questi ultimi
anni - che gli aiuti comunitari venissero ormai concessi in molti
casi su quantitativi notevolmente superiori alla realtà, e fossero
dunque notevolmente gonfiati da denunce fraudolente. Comunque

233
sia, era chiaro che su questo fronte si sarebbe assistito ad un duro
braccio di ferro con i paesi « mediterranei » (Italia e Francia, a
cui per la prima volta avrebbe potuto dare man forte il nuovo ve-
nuto, la Grecia).
Un altro difficile scoglio che si prospettava per questi negoziati
agricoli era rappresentato dal fatto che la progressiva convergenza
dei « tassi verdi » verso i valori di cambio (o i « tassi centrali »)
delle diverse monete, che si era verificata negli ultimi anni, aveva
notevolmente ridotto il margine di manovra che in passato era ser-
vito, in particolare per paesi ad elevata inflazione come l'Italia, ad
avvicinare l'aumento dei prezzi, espresso in moneta nazionale, al
tasso di inflazione interna 47 •
Alla vigilia dell'avvio dei negoziati, questo margine di ma-
novra era del tutto inesistente per quattro paesi (Francia, Irlanda,
Grecia e Danimarca, di cui i primi tre con un tasso d'inflazione
notevolmente superiore all'aumento medio dei prezzi del1'8,9%
proposto dalla Commissione), mentre era appena dell'l % per l'Ita-
lia (contro un tasso d'inflazione del 17,7%). Per gli altri paesi il
problema si poneva in termini differenti, in quanto, salvo che per
il Regno Unito, i loro tassi di inflazione erano al di sotto dell'au-
mento dei prezzi proposto dalla Commissione ed in quanto essi
avrebbero potuto smobilitare una parte dei loro importi compen-
sativi monetari positivi.
Tutto questo non incoraggiava certo previsioni ottimistiche sul-
l'andamento dei negoziati. Tuttavia due fattori, in particolare, ren-
devano meno incerto del solito il contesto politico in cui essi si
inserivano: anzitutto l'atteggiamento relativamente moderato con
cui, per la prima volta dopo molti anni, i rappresentanti del Re-
gno Unito si apprestavano a partecipare a questi negoziati, proba-
bilmente soddisfatti in cuor loro per la strada che stava imboc-
cando la revisione della Pac e per i progressi conseguiti l'anno
prima nella soluzione del problema del contributo britannico al
bilancio comunitario; in secondo luogo, la determinazione del
governo francese a concludere questi negoziati prima dell'inizio

47
Come si ricorderà, infatti, le successive svalutazioni della « lira verde» era-
no servite in passato a far conseguire agli agricoltori italiani aumenti dei prezzi
agricoli comuni espressi in moneta nazionale molto più consistenti di quelli espres-
si in unità di conto, evitando peraltro di dover introdurre o aumentare gli im-
porti compensativi monetari esistenti.

234
della nuova campagna di commercializzazione (e cioè entro il 1"
aprile) e soprattutto prima che entrasse nel vivo l'imminente cam-
pagna per le elezioni presidenziali.
Quanto al governo tedesco, era noto che le proposte della Com-
missione non sarebbero del tutto dispiaciute al cancelliere Schmidt,
deciso a mettere un freno all'espansione delle spese agricole e al
conseguente aumento del contributo del proprio paese al loro finan-
ziamento.
Chi, in definitiva, questa volta andava a Bruxelles maggior-
mente deciso a dare battaglia, proprio sul terreno della revisione
della Pac, era il nuovo ministro italiano dell'agricoltura Bartolo-
mei. Le prime avvisaglie della linea di fermezza scelta dalla dele-
gazione italiana si erano avute fin dalle settimane precedenti l'av-
vio dei negoziati sui prezzi agricoli e le misure connesse. Il primo
Consiglio agricolo dell'anno, quello del 23-24 febbraio 1981, che
doveva sgombrare il terreno da una serie di misure sufficiente-
mente mature per essere definitivamente adottate, si era infatti
concluso con una riserva formale dell'Italia sulla nuova disciplina
dei mercati nel settore dello zucchero, la quale metteva una pesan-
te ipoteca sull'adozione dell'intero pacchetto. Malgrado le previ-
sioni in senso contrario, che ritenevano improbabile il manteni-
mento di questa riserva anche a causa dell'interesse che l'Italia
portava all'adozione delle misure di riforma della politica struttu-
rale facenti parte di questo stesso pacchetto, il governo italiano
era stato irremovibile, avendo deciso di giocare la carta della
« globalizzazione » del negoziato sugli aspetti controversi del re-
golamento « zucchero » in occasione della ormai imminente di-
scussione sui prezzi agricoli e sulla revisione della Pac.
Un secondo segnale che preannunciava l'asprezza di questo con-
fronto era venuto da Verona, dove all'inizio di marzo si era svolto
un importante colloquio internazionale sull'agricoltura mediter-
ranea a cui avevano partecipato in forze, oltre al vicepresidente
della Commissione Natali e al ministro dell'agricoltura Barto-
lomei, alti esponenti del mondo agricolo italiano e comunitario.
Unanimi erano stati, in questa occasione, l'affermazione delle pecu-
liarità dell'agricoltura mediterranea, il rifiuto di misure che pena-
lizzassero ulteriormente questa agricoltura e la rivendicazione di
una politica agricola comune più rispondente alle sue esigenze.
Uno degli interventi più critici a questo proposito era stato

235
;::oprio quello del mm1stro italiano dell'agricoltura, che aveva
~olto questa occasione per prendere pubblicamente e fermamente
?Osizione contro le proposte della Commissione che il Consiglio si
.:!_)prestava a discutere. Sul problema cruciale della « corresponsa-
oilità », il ministro Bartolomei aveva affermato che l'Italia non era
;1prioristicamente contraria a questo principio, ma che essa si
opponeva « a queste forme generalizzate che colpiscono spietata-
mente le produzioni dove siamo deficitari come il latte con prov-
vedimenti indiscriminati che finirebbero per travolgere l'imprendi-
torialità di intere zone ». E aggiungeva: « aver coinvolto in que-
sta corresponsabilità anche i prodotti di tipo mediterraneo - co-
me olio, vino, tabacco, o i trasformati - , che non hanno per ora
superi produttivi, potrebbe indicare gli orientamenti attraverso i
quali si intende sviluppare l'allargamento a Spagna e Portogallo»;
una linea, questa, che egli decisamente respingeva.
L'opposizione alle proposte della Commissione era venuta pe-
raltro anche dalle piazze di mezza Europa dove, nel corso del mar-
zo 1981, avevano avuto luogo numerose manifestazioni di protesta
promosse dalle principali organizzazioni professionali agricole con-
tro l'esiguità degli aumenti dei prezzi proposti dalla Commissione
e la minaccia rappresentata dalla corresponsabilità: manifestazioni
che si erano concluse a fine marzo in chiave pirotecnica nelle stra-
de adiacenti il palazzo Charlemagne, a Bruxelles, dove erano riu-
niti i ministri dell'agricoltura dei Dieci.
Malgrado le non poche difficoltà, come si è detto, questi ne-
goziati si sono conclusi in un tempo da vero primato. Come è
stato possibile sormontare gli scogli più rischiosi e conseguire
queste « performances »? Per quanto riguarda il problema dei
prezzi agricoli la difficoltà maggiore risiedeva, come s'è visto, nel-
l'impossibilità di compensare, con aumenti uniformi dei prezzi
agricoli comuni, livelli di inflazione estremamente differenziati da
un paese all'altro e nella mancanza dei margini di manovra tradi-
zionalmente disponibili nel quadro del sistema agro-monetario. Il
problema è stato risolto, con soddisfazione di tutti gli interessati,
grazie alla svalutazione del 6% della lira italiana e la parallela ri-
valutazione della lira sterlina (o piuttosto del tasso teorico utiliz-
zato per calcolare il valore dell'uce) del 22,74%. Queste decisioni
hanno infatti comportato, sul piano agro-monetario, una serie di
adattamenti dei « tassi verdi » e degli importi compensativi mo-

236
netari, che hanno consentito di uscire dall'impasse senza scostarsi
troppo dalle proposte della Commissione e senza nemmeno allon-
tanarsi dall'obiettivo di uno smantellamento progressivo degli im-
porti compensativi monetari. Grazie a questa complessa manovra,
il Consiglio ha potuto infatti adottare un aumento medio dei prez-
zi agricoli espressi in uce del 9,4% (molto vicino all'8,9% pro-
posto in ultima istanza come soluzione di compromesso dalla
Commissione) e dell'll % circa se si tiene conto degli andamenti
monetari. Questi ultimi hanno peraltro permesso di modulare que-
sto aumento nei vari stati membri in funzione dei nuovi rapporti
di cambio e dei diversi tassi d'inflazione: il che si è tradotto, per
l'Italia, in un aumento medio dei prezzi agricoli espressi in moneta
nazionale del 15,9%. Sul versante dei paesi a moneta rivalutata,
ciò ha inoltre permesso la riduzione degli importi compensativi
monetari positivi del Regno Unito e della Germania e la loro
soppressione per i paesi del Benelux 48 •
Per quanto riguarda l'altro aspetto fondamentale del « pacchet-
to prezzi », quello relativo alle misure di corresponsabilità, la
Commissione, per facilitare una soluzione di compromesso, ha ap-
portato a due riprese nel corso della « maratona » finale di fine
marzo alcune modifiche alle sue proposte iniziali comportanti l'ab-
bandono o l' « alleggerimento » di questo regime per taluni pro-
dotti: in particolare, nel settore dei cereali, la Commissione si
sarebbe accontentata per quest'anno di un accordo di principio del
Consiglio sulla corresponsabilità, rinviando all'anno successivo la
sua introduzione effettiva; per il settore lattiero-caseario, la Com-
missione rinunciava temporaneamente all'introduzione della cosid-
detta « supertassa di corresponsabilità », in cambio di un aumento
della tassa di corresponsabilità lineare dal 2 al 2,5%; ma propo-
neva contemporaneamente che il Consiglio limitasse in altro mo-
do la garanzia nel caso in cui ie consegne di latte alle latterie
fossero aumentate nel 1981 più dell'l % rispetto al 1980; per
l'olio d'oliva, si abbandonava completamente il «plafond» di
700.000 tonnellate (pari alla produzione triennale media) inizial-
mente proposto come limite per la concessione dell'aiuto; infine,
nel settore degli ortofrutticoli trasformati, veniva proposto un
48
A partire dal 6 aprile 1981, data d'applicazione dei nuovi icm, i soli stati
membri ad applicare gli icm sono il Regno Unito ( + 12,9), la Germania ( + 3,2)
e l'Italia (- 1,0).

237
« plafond» più favorevole all'Italia di quanto non lo fosse quello
iniziale.
L'accordo è intervenuto nella notte tra il 1° e il 2 aprile, alla
fine di una « maratona » durata quasi quattro giorni. In materia di
corresponsabilità dei produttori, il Consiglio ha sostanzialmente
accolto le ultime proposte di compromesso presentate dalla Com-
missione sopra ricordate. Tuttavia, per quanto riguarda il settore
degli ortofrutticoli trasformati, è stata apportata una modifica po-
liticamente importante sul piano dei principi per la delegazione
italiana: infatti nel testo dell'accordo non si menziona più né la
corresponsabilità, né la limitazione quantitativa degli aiuti; in cam-
bio, il Consiglio ha preso atto di una dichiarazione della Commis-
sione secondo cui questa si avvarrà dei poteri che la vigente rego-
lamentazione le attribuisce « in modo da realizzare economie equi-
valenti a quelle che risulterebbero dall'applicazione delle pro-
poste della Commissione »; un modo questo per superare lo sco-
glio rappresentato dall'opposizione di principio della delegazio-
ne italiana all'introduzione della corresponsabilità in questo set-
tore, ma al tempo stesso per conseguire ugualmente l'obiettivo
di un controllo della spesa, sia pure introducendo un elemento di
flessibilità rispetto al sistema inizialmente proposto.
Analogamente, per quanto riguarda la carne bovina, il Consi-
glio ha deciso di non adottare una regolamentazione specifica sulla
corresponsabilità, lasciando alla Commissione e ai comitati di ge-
stione il compito di valutare l'opportunità di una limitazione dei
quantitativi ammessi all'intervento in funzione della situazione
dei mercati. Infine, per il tabacco le proposte della Commissione
sono state accolte solo in parte, ma sono state rifiutate quelle rela-
tive alla limitazione quantitativa degli interventi. È stato invece
accettato il rafforzamento della corresponsabilità nel settore dello
zucchero 49 , avendo l'Italia levato la riserva che pendeva sull'ado-
zione del nuovo regolamento a seguito di un leggero migliora-
mento della sua quota di produzione e dell'autorizzazione a mante-
nere gli aiuti nazionali al settore bieticolo-saccarifero.
Sul fronte delle « misure connesse » di maggior interesse per

49
A differenza del vecchio regime, che prevedeva la partecipazione dei pro-
duttori soltanto per la parte eccedente una determinata quota base, il nuovo re-
gime introduce un tasso di corresponsabilità lineare su tutta la produzione ed un
« supertasso » per la produzione in eccesso rispetto alla quota base.

238
l'Italia, mette conto peraltro registrare il « taglio » di circa il 25 %
apportato dal Consiglio al premio per la nascita dei vitelli, di cui
la delegazione italiana chiedeva invece l'adeguamento.
Come sono stati giudicati in Italia e all'estero i risultati di
questi negoziati che, per la prima volta dal 1974, si concludevano
all'inizio della nuova campagna di commercializzazione? La soddi-
sfazione, a seconda dei casi, per gli aumenti dei prezzi ottenuti,
l'avvio o l'arresto delle misure di corresponsabilità, il freno al-
l'espansione della spesa agricola 50 , lo smantellamento ulteriore de-
gli importi compensativi monetari, è stato il sentimento preva-
lente nelle capitali europee: Schmidt, Giscard e la Thatcher, in
particolare, per una volta si sono trovati unanimi nell'apprezza-
mento positivo delle decisioni assunte.
Motivi di soddisfazione non mancavano nemmeno per la dele-
gazione italiana che si era trovata a combattere all'attacco, ma non
perdendo di vista che, nell'attuale contesto politico e finanziario
della Comunità, conservare le proprie posizioni - ed in partico-
lare mantenere l' « acquis » comunitario per i prodotti mediterra-
nei - poteva già considerarsi un relativo successo. Forse proprio
per questo, i giudizi sui risultati ottenuti sono stati piuttosto con-
trastanti: alquanto critici alcuni osservatori di stanza a Bruxelles 51 ;
cauta soddisfazione hanno invece espresso la Confagricoltura e la
Coldiretti, le quali hanno peraltro dato atto al ministro dell'agri-
coltura Bartolomei dell'impegno e della tenacia con cui aveva
difeso in Consiglio gli interessi italiani. Particolarmente critica,
invece, l'Associazione nazionale cooperative agricole della Lega
(Anca) per la quale « la maratona verde si è conclusa nel modo
peggiore per chi si aspettava una sia pur minima correzione di
quella tendenza che privilegia sfacciatamente le forti agricolture
continentali accumulatrici di eccedenze » 52 •

50
La Commissione ha valutato le spese supplementari, che risultano dalle de-
cisioni sulla fissazione dei prezzi agricoli e delle misure connesse, a 1.096 milio-
ni di uce su dodici mesi, di cui 343 milioni di uce per il 1981. Ciò non ha reso
peraltro necessaria la presentazione di un bilancio suppletivo per il 1981, in quan-
to è stato possibile finanziare tali spese aggiuntive grazie alle economie realizzate
sulle previsioni di spesa del Feoga « garanzia » per il 1981.
" Cfr., in particolare, i commenti di Arturo Guatelli sul « Corriere della Se-
ra» del 3 aprile 1981 - a cui il ministro Bartolomei ha replicato con una lettera
pubblicata sullo stesso giornale in data 7 aprile - e di Ugo Piccione su « Il Sole -
24 Ore » del 3 aprile.
52
« II Sole - 24 Ore», 3 aprile 1981.

239
Del tutto ignorata nei commenti dei mass media e dei rappre-
sentanti del mondo agricolo era invece un'altra importante deci-
sione presa dal Consiglio: quella relativa all'adozione di ben do-
dici misure di caratt;re str~tturale, tra cui il varo di un'azione
comune per il miglioramento delle strutture di produzione della
carne bovina in Italia e la modifica delle direttive socio-strutturali
del 1972: la politica comune delle strutture agricole aveva fatto
un altro importante passo in avanti e quasi nessuno aveva dato
segni d'essersene accorto!

240
VIII

LA POLITICA AGRICOLA 1981-1982*

I mutamenti sulla scena agricolo-alimentare mondiale

Forse mai come nel 1982 sono apparsi con maggiore eviden-
za i termini dell'.attuale dilemma agricolo-alimentare a livello
mondiale: come, cioè, conseguire l'equilibrio tra un'offerta ali-
mentare in continua progressione e una domanda solvibile che
stenta a tenere il passo o addirittura in regresso. I segni premo-
nitori di questa nuova situazione erano comunque già apparsi
l'anno prima, allorché, per la prima volta negli ultimi qumdici
anni, il commercio mondiale dei prodotti agricoli era diminuito
in valore, pur essendo aumentato del 3 % in volume. Nel corso
del 1982 anche quest'ultimo indicatore è sceso tuttavia al di
sotto dello zero contribuendo cosi ad accentuare la flessione or-
mai generalizzata degli scambi internazionali.
Da un lato si assiste cosi ad un'accresciuta pressione dell'offer-
ta, in particolare cerealicola, sui mercati internazionali, che sca-
tena violente tensioni fra i principali produttori internazionali
alla ricerca di sbocchi per i propri prodotti e che inevitabihnente
provoca una flessione dei corsi. Dall'altro, si deve constatare
che, lungi dal facilitare l'espansione della domanda, gli squilibri
di mercato che ne derivano accentuano le pressioni protezioni-
stiche e incoraggiano il ricorso crescente alle restrizioni all'im-
portazione nei paesi ricchi, mentre nei paesi poveri il livello rag-
giunto dal debito esterno limita drasticamente le possibilità d'im-
portazione anche per prodotti essenziali come quelli alimentari 1 •
In queste condizioni, è chiaro che qualunque giudizio sulla
situazione alimentare mondiale che si limitasse a registrare con
soddisfazione la congruità dell'offerta alimentare globalmente
considerata rispetto alla domanda effettiva manifestatasi sui mer-
cati internazionali sarebbe azzardato, se non del tutto privo di
significato. Come, del resto, avrebbe poco senso compiacersi del
fatto che gli attuali stocks mondiali di cereali si situino nuova-

1
Cfr. il capitolo « I problemi monetari e finanziari» in questo stesso volume.

* In IAI, “L’Italia nella politica internazionale: 1981-1982”, Edizioni di


Comunità, Milano, 1984

241
mente su livelli globalmente superiori a quelli che sono general-
mente ritenuti necessari ad assicurare una certa sicurezza ali-
mentare mondiale, se non si aggiungesse che essi continuano
purtroppo ad essere concentrati solo nei granai dei grandi paesi
esportatori, lontano miraggio per molti paesi in via di sviluppo
che, per mancanza di mezzi finanziari, non possono avervi ac-
cesso. È vero che alcuni di essi hanno fatto in questi anni so-
stanziali progressi verso un'espansione della propria produzione
alimentare. Tuttavia molti di essi continuano ad essere fonda-
mentalmente sempre più tributari dell'esterno per nutrire una
popolazione che cresce dal 2 al 3% all'anno e che, per di più,
è indotta ad acquisire via via abitudini alimentari estranee alle
tradizioni locali.
Ma non è solo questo che rende precaria l'attuale situazione
alimentare mondiale e incerte le prospettive a medio termine. Da
una parte, infatti, il perdurare della flessione dei corsi mondia-
li di alcune delle principali derrate agricole, in particolare nel
settore dei cereali, potrebbe accentuare la tendenza, già in atto
in alcune grandi aree produttrici, .a contenere l'espansione pro-
duttiva e a restringere quindi il volume dell'offerta. Dall'altra si
stenta ad adottare meccanismi regolatori dei mercati mondiali ca-
paci di introdurre un elemento di stabilità in un contesto agri-
colo mondiale profondamente segnato dall'avvicendarsi di fasi di
penuria e di eccedenza, di vertiginose scalate dei prezzi e di al-
trettanto repentini tracolli. Quel che sembra sempre più certo
è che, nelle attuali condizioni e alla luce delle crescenti difficoltà
per i paesi esportatori a trovare sui mercati internazionali clienti
solvibili per i propri prodotti agricoli, è in definitiva la doman-
da ad aver preso il sopravvento sull'offerta e a condizionare
l'evoluzione del mercato.
Ciò non significa soltanto, come si è detto, la flessione dei
corsi mondiali di alcune delle principali derrate agricole, frumen-
to innanzitutto. Significa anche che, essendo i bisogni di alcuni
grandi paesi importatori, in particolare l'Urss, notoriamente im-
prevedibili, sarà in definitiva l'aleatorietà di tali fabbisogni a
condizionare l'evoluzione dei mercati internazionali e l'andamen-
to dei redditi agricoli nei principali paesi esportatori.
Senza voler qui prefigurare una sorta di « arma alimentare »
alla rovescia, di cui siano oggi detentori i grandi paesi impor-

242
tatori e non più, come ieri, quelli esportatori di prodotti agricoli,
sta di fatto che sono bastati appena due anni per invertire com-
pletamente la prospettiva in cui a qualcuno era parso possibile,
all'inizio del 1980, brandire l'arma alimentare contro l'Unione
Sovietica, proprio nel momento in cui questa si apprestava ad
effettuare massicce importazioni di prodotti cerealicoli sui mer-
cati mondiali.
A prenderne pubblicamente coscienza davanti ai rappresentan-
ti nazionali dell'agricoltura sono stati, nel marzo 1982, proprio i
vertici dell'amministrazione americana, a cominciare dallo stesso
presidente Reagan. Prendendo atto del fallimento pressoché to-
tale dell'embargo sui cereali destinati all'Unione Sovietica deci-
so nel gennaio 1980 dal suo predecessore, .a seguito dell'aggres-
sione dell'Afghanistan, il presidente Reagan ha infatti dichiarato
che esso era stato « cattivo per i nostri agricoltori, cattivo per
la nostra economia, e per di più senza alcun effetto sugli aggres-
sori che ci eravamo proposti di punire » 2 • Ancora più in là si è
spinto il segretario dell'agricoltura Block, che nella stessa circo-
stanza, sfiorando il paradosso, ha addirittura dichiarato: « la
vendita [e non l'embargo] di cereali americani all'Unione So-
vietica costituisce un'arma contro Mosca, poiché la obbliga .a di-
sfarsi di preziose divise a vantaggio degli Stati Uniti » 3 • Quale
contrasto con le enfatiche dichiarazioni sull'embargo di appena
quindici mesi prima 4 ! Fatto sta che, nel frattempo, gli agricol-
tori degli Stati Uniti avevano dovuto sperimentare sulla propria
pelle quanto fosse diventato difficile trovare alternative valide
ad un mercato come quello sovietico in un contesto di sfrenata
concorrenza fra offerenti e di stanca della domanda mondiale.
Ecco perché Block si affrettava ad aggiungere davanti ai loro
rappresentanti che gli Stati Uniti devono ormai riguadagnare il
2
« Agra Europe », n. 198, 26 marzo 1982.
Malgrado l'embargo americano, l'Urss sarebbe infatti riuscita ad importare
nella campagna 1980-81 ben 35 milioni di tonnellate di cereali, sufficienti per col-
mare il proprio fabbisogno d'importazione. Per quanto riguarda il costo economi-
co dell'embargo, secondo uno studio pubblicato dall'Associazione americana dei
coltivatori di mais, esso avrebbe comportato, per gli Stati Uniti, un mancato
guadagno pari a 11,4 miliardi di dollari e la perdita di oltre 300.000 posti di
lavoro, in particolare nell'agricoltura. A beneficiare dell'embargo sarebbero stati
soprattutto l'Argentina, l'Australia e, più tardi, il Canada. Cfr. « Agra Europe »,
n. 1201, 23 aprile 1982.
' Ibidem.
4
Cfr. L'Italia nella politica internazionale 1980-1981, p. 389 ss.

243
terreno perduto negli ultimi dieci anni a causa di una serie di
embargos e dimostrare « che essi sono dei fornitori credibili di
prodotti agricoli per il mondo intero » 5 •
Una prova ulteriore della perdita di forza contrattuale da par-
te dei paesi esportatori a vantaggio dei paesi importatori di ce-
reali, ed anche della lotta senza quartiere che gli Stati Uniti
hanno deciso di ingaggiare con gli altri grandi paesi fornitori
pur di accaparrarsi nuovi mercati di sbocco per i propri cereali,
è rappresentata dalle facilitazioni creditizie e dalle condizioni di
pagamento che essi si mostrano sempre più disposti ad accorda-
re ai propri clienti, non esclusa l'Unione Sovietica. È proprio su
questo terreno che gli Stati Uniti si dimostrano più temibili per
chi, come la Comunità europea, si trova nelle condizioni di
dover smaltire sui mercati internazionali milioni di tonnellate di
frumento in eccedenza rispetto alla domanda interna, in assenza
di una vera e propria politica commerciale comune per i prodotti
agricoli.
Del deterioramento delle relazioni tra queste due grandi aree
commerciali proprfo a causa delle difficoltà insorte sui mercati
internazionali dei prodotti agricoli ci occupiamo più diffusamen-
te nel successivo paragrafo.

Il contenzioso agricolo Ce-Usa. - Com'era prevedibile, tenuto


conto del deteriorarsi delle prospettive del commercio interna-
zionale dei prodotti agricoli e del riemergere sul piano interno
delle pressioni protezionistiche delle « lobbies » agricole ameri-
cane, il 1981 e soprattutto il 1982 hanno segnato il passaggio ad
una nuova fase conflittuale nelle relazioni commerciali tra le due
sponde dell'Atlantico. L'agricoltura, del resto, non è stata che
uno dei tanti focolai di tensione tra la nuova amministt'aZione
americana e i responsabili europei: altre ostilità, non meno
virulente, sono state infatti aperte dagli Stati Uniti sul fronte
delle importazioni di prodotti siderurgici in provenienza dal-
l'Europa, nonché su quello, ancora più ampio, delle relazioni
Est-Ovest, decretando l'embargo tecnologico sulle forniture ame-
ricane o di filiali americane per la costruzione del gasdotto euro-
siberiano.

5
« Agra Europe », loc. cit.

244
A consuntivo si deve constatare che, mentre è stato possibile
chiudere, sia pure con molte difficoltà, le vertenze aperte sul
fronte siderurgico e su quello del gasdotto eurosiberiano, in pie-
na effervescenza è invece rimasto il contenzioso sui problemi
agricoli: un contenzioso, questo, che ormai data dall'mizio della
politica agricola comune, ma che poteva sembrare per l'essen-
ziale ricomposto con la conclusione nel 1979 dei negoziati sul
Tokyo Round e con l' « operazione charme » del presidente Car-
ter che, primo presidente degli Stati Uniti, nel 1978 si era recato
in visita alla sede di Bruxelles delle Comunità europee.
È vero che al di qua dell'Atlantico si dava ormai per scontato
un incrinamento delle relazioni Usa-Ce nel settore agricolo con
l'arrivo della nuova amministrazione ,americana e con l'aggra-
varsi delle difficoltà sui mercati internazionali dei prodotti agri-
coli. Nessuno però poteva prevedere un tale deterioramento del-
le relazioni e un tale stillicidio di attacchi contro la politica
agricola comune e i suoi supposti misfatti quale è quello a cui
si è assistito a partire dalla seconda metà del 1981.
Non che fossero mancate anche in tempi recenti altre manife-
stazioni di ostilità su questo o quell'aspetto della politica agri-
cola comune, su questa o quella misura sia pure semplicemente
preconizzata a livello comunitario: basti, al riguardo, citare le
violente reazioni che aveva suscitato negli Stati Uniti l'ipotesi
dell'introduzione di una tassa sulle materie grasse vegetali im-
portate nella Comunità, presa ad un certo punto in considera-
zione dalla Commissione Ce come una delle possibili soluzioni
al problema dell'olio d'oliva nella prospettiva dell'adesione della
Spagna. Né più favorevole accoglienza aveva ricevuto la propo-
sta avanzata dalla Commissione di rinegoziare con i propri part-
ners commerciali, come il Gatt consente di fare, le concessioni
tariffarie relative al « corn gluten feed », importato in gran quan-
tità nella Comunità a scapito dell'utilizzazione dei cereali comu-
nitari, in quanto non colpito da alcun dazio doganale. E ciò, si
badi, non col proposito di ridurre le importazioni provenienti da-
gli Stati Uniti, ma solo di limitarne la crescita.
Nell'uno come nell'altro caso si tratta tuttavia di una reazio-
ne che, per un paese fortemente dipendente dalle esportazioni
agricole quale gli Stati Uniti, oseremmo quasi definire « fisio-

245
logica», e in ogni caso del tutto coerente con le regole del giuoL
co di un negoziato commerciale.
Sul finire del 1981, come s'è detto le recriminazioni contro
la politica agricola comune sono incominciate a diventare molto
più violente e generalizzate e dal dialogo diplomatico si è passa-
ti ben presto alle vere e proprie dichiarazioni di guerra e via via
alle azioni di fatto. In appena quattro mesi (dal settembre 1981
al gennaio 1982), accogliendo le istanze di diverse associazioni
di categoria, che si reputavano ingiustamente lese nei propri in-
teressi da talune misure in vigore nel quadro della politica iagti-
cola comune, le autorità americane hanno infatti introdotto con-
tro la Ce ben sei ricorsi in sede Gatt, riguardanti altrettanti pro-
dotti (farina di frumento, pollame, pasta, frutta in scatola e
frutta secca, agrumi e zucchero). Nella maggior parte dei casi
sono state messe in causa soprattutto le restituzioni all'esporta-
zione che la Comunità concede ai propri esportatori per colmare
il divario tra il prezzo del mercato internazionale e l'equivalen-
te prezzo comunitario. Tali restituzioni sono da sempre la vera
bestia nera non solo degli agricoltori americani ma anche di quel-
li di altri grandi paesi esportatori (Australia, Argentina, Canada,
ecc.) che si ritengono penalizzati rispetto a quelli della Comuni-
tà. Esse hanno tuttavia trovato una sorta di legalizzazione uffi-
ciale nell'articolo XVI del Gatt, il quale afferma che le sovven-
zioni all'esportazione di prodotti agricoli sono autorizzate purché
non abbiano come conseguenza per il paese che vi ricorre
di assicurarsi una parte « più che equa» del mercato mondiale.
Peraltro, dopo lunghi e difficili negoziati condotti nel quadro
del Tokyo Round, un accordo era stato finalmente trovato nel
1979 su una sorta di codice delle sovvenzioni che confermava
questo principio e fissava procedure e criteri più chiari per l'esa-
me delle supposte infrazioni. La legittimità del sistema comuni-
tario di restituzione alle esportazioni era stata peraltro ufficial-
mente e chiaramente accettata dal principale negoziatore ameri-
cano al Tokyo Round, Strauss. Ecco perché la valanga di ricorsi
presentati contro la Ce ad appena due anni dalla fine di tali ne-
goziati costituiva di fatto una vera e propria rimessa in causa
unilaterale di quanto sembrava ormai legittimo considerare de-
finitivamente acquisito. Una situazione, questa, tanto più inquie-
tante in quanto non mancava chi, negli Stati Uniti, minacciava

246
rappresaglie nel caso in cui il Gatt avesse assunto una decisione
contraria alle tesi americane.
In attesa, comunque, che tali procedure avessero il loro corso
le autorità americane andavano intanto definendo una strategia
globale, all'insegna dell'aggressività, per stimolare la crescita a
lungo termine delle esportazioni di prodotti agricoli americani.
Per ottenere questo risultato, dichiarava il 18 febbraio 1982 il
segretario all'agricoltura John Block, davanti alla Commissione
agricoltura della Camera, « ingaggeremo battaglia con la Com.u-
nità economica europea dovunque e in qualunque momento sarà
necessario ». Nel contempo, eminenti rappresentanti dell'ammi-
nistrazione americana alimentavano una campagna d'opinione in
grande stile contro le « intollerabili» sovvenzioni all'esporta-
zione della Comunità e le spese « spropositate » che questa sop-
portava per sostenere la propria agricoltura; e ciò, si badi, non
solo all'interno dei propri confini nazionali, ma anche in quei
paesi come l'Australia, il Canada e l'Argentina abitualmente più
sensibili a questo genere di argomenti. In poco tempo il tono è
talmente montato negli ambienti agricoli americani che a più
d'un responsabile degli affari europei è parso opportuno recarsi
oltre Atlantico sia per apportare elementi di giudizio meno uni-
laterali sia soprattutto per far chiaramente comprendere che una
guerra commerciale non sarebbe stata nell'interesse di nessuno,
nemmeno degli Stati Uniti, essendo impensabile che in caso di
aggressione la Comunità potesse restare impassibile. È questo,
in sostanza, il messaggio, tutt'altro che velato, contenuto in un
discorso tenuto dal direttore generale dell'agricoltura alla Com-
missione Ce Claude Villain il 30 aprile 1982 all'Università del
Minnesota, alla presenza dei rappresentanti del mondo agricolo
americano. Questi ha innanzitutto smontato ad una ad una, cifre
alla mano, alcune delle principali «contro-verità» m merito
alla politica agricola comune che si erano di recente accreditate
negli Stati Uniti: la Pac, macchina di guerra difensiva nei con-
fronti dei paesi terzi e al riparo della quale agricoltori inefficienti
e incapaci si arricchiscono a spese del contribuente e del consu-
matore, pozzo senza fondo per le finanze comunitarie, responsa-
bile della difficile situazione in cui si trovavano da qualche tem-
po gli agricoltori americani. In seguito, il direttore generale del-
l'agricoltura ha ricordato la grande quantità di misure che un

247
paese che si reputa «liberoscambista» per eccellenza ha mes-
so in atto per sostenere le proprie esportazioni agricole: dalla
ptomozione commerciale ai crediti all'esportazione, dall'aiuto ali-
mentare nel quadro della Public Law 480 alla « Disc-tax », dagli
accordi intergovernativi al sistema del « drawback » per lo zuc-
chero. « Al fine di essere così liberale quanto gli Stati Uniti - ag-
giungeva l'alto dirigente comunitario - credo che domanderò ai
miei servizi di studiare come adattare questi strumenti alla Pac! ».
E ancora: « Non si può contemporaneamente rimproverare alla
Ce di esportare pollame e domandarle di acquistare sempre più
del "corn gluten feed"; non ci si può allo stesso tempo compia-
cere del fatto che la Ce importa sempre più prodotti sostitutivi
dei cereali e poi indignarsi per il fatto che essa voglia manli:enere
il suo posto in quanto esportatrice di frumento. Occorre essere
coerenti! » 6 •
Non crediamo sia necessario aggiungere altro per dare un'idea
dell'aria di burrasca che ha sovrastato l'Atlantico lungo tutto il
1982. Né a schiarire l'orizzonte è valso il vertice economico oc-
cidentale tenuto a Versailles dal 4 al 6 giugno, anche se la di-
chiarazione finale gronda di buone intenzioni sull'impegno dei
partecipanti « a rafforzare il sistema aperto di commercio mul-
tilaterale, rappresentato dal Gatt » perché possa resistere « alle
pressioni protezionistiche e alle distorsioni commerciali ».
Non era infatti nemmeno passata una settimana ed il gover-
no degli Stati Uniti annunciava il varo di misure restrittive sulle
importazioni di acciaio dalla Comunità, seguite da misure an-
cora più drastiche di quelle varate nel dicembre 1981 contro le
esportazioni di impianti petroliferi e per lo sfruttamento del gas
a destinazione dell'Urss, intese a colpire in definitiva i piani
europei di utilizzazione dal gas sovietico.
Contemporaneamente proseguivano negli Stati Uniti le cam-
pagne contro le esportazioni agricole « sovvenzionate » della Ce,
letteralmente accusata dal segretario americano all'agricoltura
John Block di «rubare» i mercati d'esportazione dello zucche-
ro, della carne bovina, del pollame e del frumento agli Stati Uni~
ti, al Canada e all'Australia 7 •
6
C. VILLAIN, Agriculture et politique extérieure, « L'Europe Verte. Notes ra-
pides », n. 19, aprile 1982.
7
Cfr. « Agra Europe », n. 1208, 11 giugno 1982.

248
Come spiegare questi rigurgiti di passionalità contro la poli-
tica agricola comune da parte degli agricoltori americani e della
stessa amministrazione Reagan? Innanzitutto non va dimentica-
to che quest'ultimo deve in gran parte la sua vittoria su Carter
proprio al gran numero di suffragi agricoli che gli .avevano con-
sentito di conquistare la quasi totalità degli stati del Midwest.
Lo stesso segretario di stato all'agricoltura John Block, d'altra
parte, proviene direttamente dal mondo agricolo, essendo stato
direttore del Dipartimento dell'agricoltura dello stato dell'Illi-
nois, nonché egli stesso grosso imprenditore agricolo. Era stato
proprio lui, non appena eletto, ad indicare la priorità nume-
ro uno della nuova amministrazione americana nel settore agri-
colo: esportare. Si può dunque comprendere, anche se difficil-
mente giustificare, che, di fronte alle difficoltà crescenti a smal-
tire sui mercati internazionali un'offerta agricola aumentata mol-
to più rapidamente della domanda mondiale, e di fronte al vero
e proprio tracollo economico e :finanziario di molte imprese
agricole degli Stati Uniti, i responsabili della politica agricola
di questo paese siano stati tentati di riesumare e rilanciare tutto
il vecchio armamentario dialettico contro la Pac, alla ricerca
di un capro espiatorio per i propri problemi interni ed interna-
zionali. Peraltro la pressione, anche psicologica, che si veniva co-
sì ad esercitare sui partners europei diventava funzionale anche
ad un altro obiettivo delle autorità governative americane: quel-
lo di pervenire in condizioni negoziali di netta supremazia alla
sessione ministeriale del Gatt che, proprio per iniziativa degli
americani, avrebbe dovuto avere luogo a :fine anno a Ginevra e
che nelle intenzioni dei promotori avrebbe dovuto sciogliere gli
attuali nodi del commercio internazionale.
Non è possibile, in questa sede, attardarsi sulle cause reali
delle difficoltà che attraversa l'agricoltura americana in questo
periodo, che non sono poi gran che diverse da quelle che gli
stessi agricoltori europei lamentano da qualche anno: caduta
dei redditi agricoli in termini reali, aumento dei costi di produ-
zione e crescente indebitamento, con conseguenti crisi :finanziarie,
crescita degli stocks, ecc. Vale la pena, tuttavia, ricordare che,
soprattutto per un paese come gli Stati Uniti, in cui due acri su
cinque di superficie coltivata producono per i mercati esterni e
che ha esportato nel 1982 per ben 39 miliardi di dollari di pro-

249
dotti agricoli (pari al 20 % delle esportazioni nazionali), la do-
manda mondiale, con i suoi alti e bassi, costituisce, come abbia-
mo già avuto occasione di dire, un fattore determinante dei ri-
sultati economici delle imprese agricole. Se a ciò si aggiunge la
continua rivalutazione del dollaro rispetto alle altre monete, che
ha reso meno concorrenziali i prodotti agricoli americani, e l'ec-
cezionale espansione produttiva conseguita dall'agricoltura ame-
ricana nel 1981, soprattutto nel settore cerealicolo, si dispone di
una serie sufficiente di elementi obiettivi per meglio individuare
le cause dei malanni che si vogliono invece addossare con troppa
leggerezza alla politica agricola comune. Resta solo da chiedersi,
come più d'un responsabile politico americano ha fatto e come
lo stesso Block ha implicitamente ammesso in qualche occasione,
quanta parte delle difficoltà che gli Stati Uniti incontrano attual-
mente sui mercati mondiali non sia dovuta anche alla perdita di
credibilità che essi hanno registrato in quanto fornitore agricolo
affidabile, a seguito delle diverse misure di controllo delle espor-
tazioni adottate negli ultimi anni ed in particolare come conse-
guenza dell'embargo cerealicolo verso l'Unione Sovietica. Resta
dunque confermato che l' « arma alimentare », almeno per quan-
to riguarda il confronto Usa-Urss, continua a far danni: il fatto
è che a farne soprattutto le spese sono ormai più gli agricoltori
americani che i consumatori sovietici, contrariamente a quanto
era nelle intenzioni dei paladini di questo controverso strumen-
to di pressione nelle relazioni internazionali.

Strategie alimentari e lotta contro la fame nel mondo: segni


di resipiscenza. - In un contesto internazionale così poco rassi-
curante e così pervaso di tensioni, qual è quello che siamo venu-
ti delineando nelle pagine che precedono, occorre iscrivere al-
l'attivo del periodo preso in esame una serie di iniziative, di
enunciazioni di buoni propositi e anche di risultati concreti in
materia di strategie alimentari e di lotta contro la denutrizione,
che, se rappresentano ancora ben poca cosa di fronte alla di-
mensione del problema, costituiscono pur tuttavia il segno evi-
dente di una rinnovata consapevolezza critica dell'urgenza con
cui questo va affrontato non solo a livello mondiale ma anche
a livello nazionale e locale.
È anzi proprio da quest'ultimo fronte, che è poi quello della

250
. : ::a che gli stessi paesi v1tt1me di carenze nutritive debbono
: ::-:-idurre dall'interno per migliorare la propria autosufficienza
.::~:mentare, che giungono i segnali più incoraggianti. Anzitutto,
, ·. :l piano dei risultati produttivi, si deve registrare negli ultimi
l.n.ni un leggero ma costante miglior.amento della produzione ali-
=ientare nel gruppo dei paesi in via di sviluppo: l'indice Fao
della produzione alimentare (base 1969-71 = 100) è infatti pas-
sato, per l'insieme di questi paesi, da 134 a 140 tra il 1980 e il
19 81, registrando quindi un aumento del 4 ,4 % , che per la pri-
ma volta, da diversi anni, è nuovamente superiore al tasso di
incremento demografico. Non tutti i paesi in via di sviluppo
hanno tuttavia beneficiato in ugual misura di questa evoluzione
favorevole: in effetti, .accanto ai significativi progressi della pro-
duzione alimentare che si sono registrati in molti paesi dell' Ame-
rica latina, dell'Asia e dell'Estremo Oriente (dove la produzione
alimentare è cresciuta nel 1981 dal 5 al 7% ), la sicurezza degli
approvvigionamenti alimentari dell'Africa e lo stato nutriziona-
le della sua popolazione continuano a destare gravi preoccupa-
zioni. In questo continente infatti la produzione alimentare non
è ancora riuscita a procedere a un tasso superiore a quello di inr
cremento demografico 8 •
Se la crisi alimentare dell'Africa e la vastità dei fenomeni di
sotto-alimentazione che si registrano in permanenza in questo
continente rappresentano uno dei maggiori problemi di sviluppo
che si pongono oggi .al mondo, non va per contro dimenticato
che lo spettro della fame è stato invece ormai da tempo sostan-
zialmente allontanato nei due sub-continenti più popolati della
costellazione asiatica: quello cinese, un quarto della popolazione
mondiale, e quello indiano, un settimo della popolazione mon-
diale. Non è dunque senza orgoglio che, intervenendo alla XXI
Conferenza biennale della Fao, nel novembre 1981, Indira
Gandhi poteva affermare: « All'inizio degli anni settanta, nel
momento in cui gli esperti prevedevano dei deficit irrimediabili,
abbiamo invece potuto infine sopperire ai nostri propri bisogni
in cereali. Nel 1979-80 - ha proseguito Indira Gandhi - l'In-
dia ha non soltanto risposto ai bisogni normali di cereali di una
8
Durante gli anni settanta, la produzione agricola, comprese le colture espor-
tabili, non è infatti aumentata in Africa che del 18%, mentre la popolazione è
cresciuta nel frattempo del 32%.

251
popolazione che rappresenta il 14% di quella mondiale, ma è
anche riuscita .a far fronte alle conseguenze della peggiore siccità
del secolo, che ha interessato .38 milioni di ettari di terre agri-
cole e più di 220 milioni di persone in 11 grandi paesi. Anzi sfa-
mo perfino stati in grado di portare soccorso ad alcuni dei no-
stri vicini » 9 •
Pur nella loro diversità, l'esperienza cinese e quella indiana
hanno un punto fondamentale in comune, che vale la pena in
questo contesto sottolineare: la priorità accordata all'agricoltu-
ra, ed in particolare alle produzioni alimentavi, non solo nei pia-
ni di sviluppo del paese ma anche nella mobilitazione delle ri-
sorse rurali disponibili, nonché nell'orientamento generale del-
l'economia e della società.
La consapevolezza dell'importanza che assume questa leva nel-
la lotta contro la malnutrizione, la povertà e lo stesso sottosvi-
luppo costituisce di per sé un presupposto fondamentale per al-
leviare, se non per risolvere, tali problemi. Per troppo tempo,
in effetti, e in troppi paesi in via di sviluppo si è creduto di
poter affrancare il paese dalle proprie condizioni puntando esclu-
sivamente sullo sviluppo industriale o sull'espansione di talune
produzioni agricole destinate all'esportazione, trascurando total-
mente lo sviluppo dal basso delle produzioni . alimentari destina-
te al consumo interno o all'autoconsumo. Molti fra questi paesi
ancor oggi non destinano all'agricoltura che appena il 5-10% dei
loro già magri bilanci. Gli aiuti esterni, dal canto loro, non
sempre hanno dato all'agricoltura la priorità che questa meri-
tava e hanno spesso incoraggiato iniziative e investimenti non
commisurati alle necessità e da cui la popolazione locale non
sempre ha tratto i benefici che poteva sperare. Quanto all'aiuto
alimentare, come scrive la Banca mondiale, « troppo spesso le
sovvenzioni alimentari a grande scala si traducono nella forni-
tura di alimenti a buon mercato a gruppi sociali che dispongono
di redditi adeguati, e costituiscono un onere che pesa fortemen-
te sui bilanci dei governi » 10 •
Come si diceva all'inizio, tuttavia, in questi ultimi tempi in
molte sedi si è venuti prendendo sempre più coscienza dei limi-
9
FAO, «Presse», 81/94, 9 novembre 1981.
10
H. E. WALTERS, Agriculture et développement, « Finance et Développe-
ment », settembre 1982.

252
:: dell'azione svolta sin qui per il miglioramento della situazione
2limentare nei paesi più poveri e della necessità di concentrare
:naggiormente gli sforzi interni ed internazionali sullo sviluppo
della produzione agricolo-alimentare di questi paesi: molti de-
gli stessi paesi più direttamente interessati vanno, del resto, pren-
dendone coscienza, anche se l'attuale recessione internazionale
costituisce un ostacolo assai duro per un miglioramento su que-
sto terreno. Di enunciazioni di buoni propositi è particolarmen-
te ricco il periodo preso in esame in questa rassegna. Peraltro,
quanto meno sul fronte europeo, essi hanno avuto il più delle
volte un seguito concreto, grazie, va detto, anche al ruolo deter-
minante che ha avuto il nostro paese.
Si deve, in effetti, essenzialmente ad un'iniziativa italiana, an-
nunciata dal presidente del Consiglio Giovanni Spadolini al ver-
tice economico occidentale di Ottawa, tenutosi dal 19 al 21 lu-
glio 1981, il piano d'azione contro la fame nel mondo che la
Commissione delle Comunità europee ha lanciato alla fine del set-
tembre 1981, allo scopo di promuovere sul piano internazionale
un'azione specifica e rapida volta a tilanciare gli sforzi nel campo
della lotta contro la fame nei paesi in via di sviluppo 11 •
A conclusione dei lavori, i sette capi di stato o di governo del-
le principali democrazie industriali avevano infatti riconosciuto
« l'importanza dell'aumento della produzione di prodotti ali-
mentari nei paesi in via di sviluppo e la necessità di una mag-
giore sicurezza alimentare per tutti », ritenendo peraltro essen-
ziale che questi paesi attuino razionali politiche agricole e ali-
mentari ed impegnandosi a studiare i mezzi per aumentare le ri-
sorse disponibili a questo scopo. In particolare erano state accol-
te con grande interesse le dichiarazioni di intenzioni del governo
italiano di voler far discutere in sede di Comunità europea una
proposta di azioni particolari in questo settore, destinate ai paesi
più poveri.
Questa iniziativa è stata successivamente illustrata dal mini-
stro degli esteri Emilio Colombo il 14 settembre dinanzi al Con-
siglio dei ministri della Comunità, che le ha riservato un'acco-
glienza molto favorevole. Nello stesso giorno si chiudeva a Pari-

11
La fame nel mondo: un'impostazione globale, « Bollettino delle Comunità eu-
ropee», n. 9, 1981.

253
gi la Conferenza sui paesi meno avanzati, apertasi due settimane
prima, con il varo di un nuovo programma sostanziale d'azione
per gli anni ottanta a favore di questi paesi. Anche tale pro-
gramma accorda un'attenzione particolare all'alimentazione e al-
l'agricoltura e sottolinea la necessità di riservare una parte no-
tevole delle risorse al miglioramento della produttività .agricola
nei paesi meno avanzati, allo scopo di pervenire ad un tasso an-
nuale di crescita della produzione agricola di almeno il 4%. A
tal fine i rappresentanti dei paesi meno avanzati si sono impe-
gnati a rinforzare i mezzi di bilancio che essi assegnano al set-
tore agricolo. Sono stati inoltre definiti i fabbisogni di finan-
ziamento esterno necessari per la realizzazione del programma:
per il periodo 1980-85 essi ammontano a 1,230 miliardi di
dollari all'anno, pari all'85% in più, in termini reali, rispetto
all'ammontare annuale medio delle contribuzioni ricevute tra il
1976 e il 1980. Tutti i paesi donatori si sono impegnati a effet-
tuare uno sforzo particolare per accrescere il volume globale
degli aiuti allo sviluppo: molti di essi (ed in particolare gli stati
membri della Comunità che concedono l'aiuto) dedicheranno nel
corso dei prossimi anni lo 0,15% del Pnl ai paesi meno avanzati;
altri dovrebbero raddoppiare il volume di aiuti a favore di questi
paesi.
Il 30 settembre, come dicevamo, la Commissione Ce, ispiran-
dosi in particolare all'iniziativa italiana, presentava il suo piano
d'.azione contro la fame nel mondo, che può essere articolato in
quattro tipi d'intervento 12 :
a) azioni speciali di aiuto alimentare in favore dei paesi meno
progrediti, rivolte sia ad interventi specifici sia alla ricostituzio-
ne della riserva alimentare internazionale d'urgenza;
b) rilancio e coordinamento a livello comunitario delle diffe-
renti forme di sostegno (finanziario, tecnico, alimentare) dei pae-
si in via di sviluppo, per aiutarli a definire e a mettere in atto
piani e strategie di sviluppo alimentare nazionali;
c) sostegno alle azioni regionali sui temi prioritari per la sal-
vaguardia e la valorizzazione dei potenziali agricoli dei paesi in
via di sviluppo (lotta contro l'erosione e la desertificazione, uti-
lizzazione razionale del legno come fonte energetica, ecc.);

12
Cfr. La fame nel mondo, cit.

254
d) un ruolo più dinamico della Comunità nelle azioni delle
organizzazioni internazionali rivolte a migliorare l'approvvigio-
namento dei paesi in via di sviluppo (ad esempio, adoperandosi
affinché sia concluso un accordo internazionale sul grano oppure
interessandosi attivamente alla creazione di uno « sportello ali-
mentare» nel quadro del Fondo monetario internazionale).
Il 3 novembre il Consiglio, con una celerità davvero inusuale,
ha approvato questi orientamenti, auspicandone un'attuazione
quanto più rapida possibile.
La sicurezza alimentare e lo sviluppo agricolo hanno figurato,
peraltro, tra i punti principali all'ordine del giorno del vertice
che si è svolto a Cancun (nel Messico) il 22 e 23 ottobre 1981,
con la partecipazione di 22 capi di stato e di governo. Anche in
tale sede è stata riaffermata la necessità che i paesi in via di svi-
luppo sostengano sul piano nazionale uno sforzo adeguato e a
lungo termine al fine di accrescere la loro autosufficienza alimen-
tare, col concorso di un adeguato sostegno tecnico e finanziario
internazionale.
La necessità di mettere in atto delle vere e proprie strategie
alimentari nei paesi in via di sviluppo è stata inoltre riaffermata
in occasione della XXI sessione della conferenza plenaria della
Fao, che si è svolta a Roma dal 7 al 26 novembre 1981. « Anche
se il commercio può contribuire in misura fondamentale a risol-
vere i problemi alimentari mondiali - ha detto in tale occasione
il direttore generale della Fao Edouard Saouma - una solu-
zione durevole non potrà venire che da un accrescimento della
produzione agricola dei paesi in sviluppo e da un aumento del
potere di acquisto dei poveri che permetterà loro di acquisire un
nutrimento più abbondante e di migliore qualità». Alla fine dei
suoi lavori, la conferenza ha approvato una risoluzione sui futuri
orientamenti delle strategie di sviluppo: priorità alla coltura dei
prodotti vegetali di base e piena integrazione delle azioni di
sviluppo agricolo nel contesto di programmi globali di sviluppo.
È difficile, in questa sede, rendere conto di tutte le altre ini-
ziative comunitarie e internazionali che sono state intraprese
nel filone di quelle già citate finora sui problemi dell'alimenta-
zione del mondo. A livello comunitario, comunque, il momento
di più intenso dibattito e di più fattiva operosità di tutte le isti-
tuzioni comunitarie si è avuto intorno alla metà del giugno 1982.

255
1'8 giugno, infatti, la Commissione ha trasmesso al Consiglio una
comunicazione relativa ad un programma speciale di lotta contro
la fame nel mondo, le cui risorse (184 milioni di Ecu), confor-
memente .agli indirizzi definiti nel piano d'azione già citato, sono
da ripartire tra: azioni d'urgenza (35 milioni di Ecu), azioni a
sostegno delle politiche alimentari dei paesi che hanno posto in
atto una strategia alimentare (100 milioni di Ecu) e azioni volte
a salvaguardare il patrimonio naturale dei paesi in via di svi-
luppo e a migliorare le condizioni di sfruttamento di tale patri-
monio (49 milioni di Ecu). Il 15 giugno il Consiglio ha comin-
ciato l'esame di questo programma speciale, riservandogli, pe-
raltro, un'accoglienza piuttosto favorevole, ma rinviando l'esame
degli aspetti finanziari nell'ambito della consueta procedura di
bilancio.
Ma è soprattutto in seno al Parlamento europeo che esso ha
dato luogo ad un dibattito particolarmente vivace e a contenuto
altamente politico ed emozionale. Due approcci al problema della
fame nel mondo si sono fronteggiati nel corso del dibattito 13 :
il primo, preconizzato in particolare dall'on. Marco Pannella, si
fonda su un'azione spettacolare immediata consistente nell'ero-
gazione di un aiuto di 5 miliardi di dollari, in grado di mobili-
tare l'opinione pubblica e volto a strappare alla morte per fa-
me e denutrizione cinque milioni di vite umane; il secondo, di-
feso in particolare dal relatore, il democristiano belga on. Michel,
secondo cui le azioni spettacolari non risolvono il problema della
fame nel mondo, poiché non si tratta solo di fornire un aiuto
alimentare momentaneo, ma anche di elaborare strategie che con-
sentano di incrementare in maniera permanente la produzione
di derrate alimentari nei paesi in via di sviluppo. Anziché un'azio-
ne-choc di 5 miliardi di dollari per un anno, di dubbia efficacia
per il relatore, questi ha proposto un'azione di più lungo respiro,
che dia la priorità a strategie alimentari concepite in collaborazio-
ne con i paesi in via di sviluppo, piuttosto che all'aiuto alimen-
tare in quanto tale. Questo secondo approccio è stato condiviso
tanto daila Commissione che dal Consiglio, nonché dalla stra-
grande maggioranza dei parlamentari. Intervenendo a nome del-
la Commissione, Edgar Pisani ha sottolineato i limiti deil'aiuto

13
Cfr. « Boll. Ce», n. 6, 1982.

256
alimentare per la soluzione del problema alimentare nei paesi
in via di sviluppo. « Oltre ad essere inevitabilmente occasione
di perdite - ha affermato - l'aiuto alimentare non risolve il
problema essenziale dello sviluppo agricolo e della sistemazione
rurale, anzi lo aggira e perverte il sistema di consumo e di pro-
duzione: esso crea delle illusioni pericolose e dispensa dagli sfor-
zi necessari ». Una strategia alimentare è invece la « trasforma.
zione dell'aiuto alimentare in aiuto allo sviluppo », è « una scom-
messa sulla volontà dei governi e dei contadini del Terzo Mondo
di vincere la fame», ma è anche « un impegno a sostenere la
crescita»: in altre parole, « è l'inverso dell'approccio tradizioa
nale che consisteva nel finanziare opere pubbliche, rassegnando-
e
si alla loro inutilità, nel dare l'aiuto alimentare a r-ischio che
esso si protragga nel tempo » 14 •
Non vorremmo tuttavia chiudere questo argomento, pure · ric-
co di iniziative concrete e di impegni promettenti, su una nota
di eccessivo ottimismo. In realtà, se a livello comunitario degli
indubbi passi in avanti (e delle correzioni di rotta) sono stati
effettuati in questo periodo, resta il fatto che a livello mondiale
l'assistenza internazionale allo sviluppo agricolo è regredita in
termini reali dal 1978 in poi, mentre la Fao stima che essa do-
vrebbe crescere del 9 % all'anno in termini reali nel corso degli
anni ottanta. Ecco perché il direttore generale di questo organi:
smo, Edouard Saouma, riferendosi alla serie di riunioni interna-
zionali che si sono susseguite dalla Conferenza mondiale del-
l'alimentazione del 1974 fino al recente vertice Nord-Sud di
Cancun, affermava nel novembre 1981: « Vorrei poter pensare
che questa cascata di conferenze è la prova che l'internazionalismo
guadagna terreno. Ma qual è la realtà? Cosa succede realmente
nel mondo? Il protezionismo è denunciato nelle istanze interna-
zionali, ma ,i paesi promulgano nuove leggi protezionistiche. La
nuova strategia internazionale di sviluppo è un testo notevole
adottato undici mesi f.a, ma attendo ancora di vedere dei governi
fare un vero sforzo per cominciare ad applicarlo. Diverse orga-
nizzazioni internazionali debbono far fronte a seri problemi di
finanziamento ». In realtà, concludeva Edouard Saouma, « vi è
14
P ARLAMENTO EUROPEO, Resocon to « in extenso » della seduta del mercole-
dì 16 giugno 1982, « Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee», n . 1-286 (al-
legato).

257
un abisso più profondo che mai tra le dichiarazioni collettive dei
governi e i loro atti individuali». È solo quando questo fossato
sarà colmato che la lotta contro la fame nel mondo sarà vera-
mente ingaggiata a livello planetario.

I nuovi orientamenti della politica agricola comune e z dibatti-


ti sul rilancio delle politiche comuni

Il deterioramento del contesto politico internazionale, l'acuir-


si delle tensioni nelle relazioni commerciali, la necessità di far
fronte in maniera coordinata alla serie di profonde mutazioni, che
si sono prodotte a livello mondiale nel corso dell'ultimo decen-
nio, costituiscono altrettanti fattori che, sia pure indirettamen-
te, hanno concorso a rendere più urgente che mai quel raffor-
zamento della coesione interna e della solidarietà comunitaria
che la Commissione aveva postulato nel suo rapporto sul cosid-
detto « mandato del 30 maggio », inviato al Consiglio il 24 giu-
gno 1981 15 • Come si ricorderà, si trattava, per la Commissione,
di definire e mettere in atto una strategia globale di rilancio
europeo, nella convinzione che « il solo modo di salvaguardare
il patrimonio comunitario ricevuto in eredità sia quello di svi-
lupparlo, e che la dimensione e il potenziale europeo permettono
senz'altro alla Comunità di far fronte a tutti i problemi che la
riguardano a condizione che gli stati membri si impegnino più
risolutamente nell'organizzare la loro solidarietà» 16 •
A tal fine, la Commissione aveva raccomandato di porre im-
mediatamente le basi di quella che il presidente Thorn aveva
definito l' « Europa della seconda generazione », mediante la mes-
sa in atto di un insieme coerente di politiche articolate su tre
grandi linee principali:
- lo sviluppo di nuove politiche comuni, in particolare nei
settori dell'energia, della ricerca e dello sviluppo, dell'industria,
della formazione, ecc., capaci di favorire il rinnovamento strut-
turale dell'industria comunitaria, la ripresa economica e la piena
occupazione;
15
Cfr. L'Italia nella politica internazionale 1980-1981, p. 397 ss.
16
Il punto sui lavori della Commissione relativi al mandato del 30 maggio
1980, « Boli. Ce», n. 10, 1981.

258
- la riforma e l'adattamento della politica agricola comune,
pur nel rispetto dei suoi principi fondamentali;
- la soluzione del problema della partecipazione britannica al
bilancio comunitario mediante appositi correttivi temporanei,
nell'attesa che lo sviluppo delle politiche comuni apportasse una
soluzione duratura a questo problema.
Queste linee, il cui parallelismo costituiva per la Commissio-
ne una condizione essenziale di riuscita, sono state ulteriormente
precisate e tradotte in proposte di carattere più operativo nei
mesi successivi.
Per quanto riguarda, in particolare, la politica agricola comu-
ne, la Commissione ha definito, in un ampio documento inviato
al Consiglio il 26 ottobre, quelli che a suo parere dovrebbero
essere i nuovi orientamenti per l'agricoltura europea negli anni
a venire, nella linea già tracciata nel documento di riflessione
sulla politica agraria comune del dicembre 1980, nonché nel rap-
porto sul mandato del 30 maggio 1980, presentato nel giugno
1981 17 •
Prima ancora che la Commissione mettesse definitivamente a
punto i nuovi orientamenti per la politica agricola comune e
traducesse in proposte concrete tutte le altre azioni enunciate
nel rapporto sul mandato del 30 maggio, il Consiglio aveva già
avviato, a metà settembre, un ampio dibattito sull'insieme dei
problemi sollevati in tale rapporto ed in particolare sul problema
della ristrutturazione del bilancio comunitario e delle politiche
comuni.
Anche se tutti gli stati membri riconoscevano la necessità di
un rilancio dell'Europa e dell'attuazione di nuove politiche co-
muni, il dibattito aveva fatto apparire l'esistenza di posizioni di
partenza piuttosto divergenti 18, che vale la pena di evocare in
questa sede in quanto esse tracciano il solco entro cui la posizione
delle diverse delegazioni si è sostanzialmente mantenuta dopo di
allora:
a) Per la Germania, il più grosso contribuente lordo alle fi-
nanze comunitarie, l'obiettivo principale stava nel risanamento
del bilancio comunitario e nella riforma della politica agricola

" Cfr. L'Italia nella politica internazionale 1980-1981, p. 397 ss.


" Cfr. « Agence Europe », n. 2206, 14-15 settembre 1981.

259
comune: da qui il rifiuto di qualunque ipotesi di aumento delle
risorse proprie e la rivendicazione di un migliore equilibrio nel~
la ripartizione degli oneri derivanti dal suo finanziamento in
maniera da ridurre quello a carico della Germania. Solo quan°
do questi risultati saranno raggiunti - sosteneva la delegazione
tedesca - si potrà esaminare, sempre restando nei limiti attuali
delle risorse proprie ed utilizzando le economie realizzate me-
diante la riforma della Pac, la possibilità di sviluppare nuove po-
litiche comuni.
b) Per l'Italia e la Francia, al contrario, l'obiettivo essenziale
consisteva .proprio nello sviluppo delle politiche comuni, nel ·pre-
supposto che soltanto diversificando tali politiche sarà possibile
ripartire in maniera più equilibrata tra i vari stati membri sia gli
oneri sia i vantaggi che ne derivano. Per l'Italia, in particolare,
lo sforzo per assicurare una migliore convergenza delle econo-
mie dei diversi stati membri rendeva necessario, in prospettiva,
un superamento dell'attuale plafond dell'l % dell'Iva. Quanto
alle proposte di riforma della politica agricola comune, ·. sia la
Francia sia l'Italia si dichiaravano favorevoli all'eliminazione pro-
gressiva delle eccedenze strutturali, ad un miglioramento della
gestione e ·ad un uso più razionale delle risorse disponibili, ma
si rifiutavano decisamente di ridurre il problema della Pac •ad
un puro ridimensionamento delle spese agricole. Sulle tesi fran-
co-italiane si attestavano, peraltro, sia pure con accenti diversi,
in. particolare per quanto riguarda l'evoluzione delle spese agri-
cole, le delegazioni dei paesi più piccoli.
c) La Gran Bretagna, infine, che si trovava di fronte ad un
serio problema di squilibrio finanziario nei confronti del bilan-
cio comunitario, si collocava in una posizione intermedia essen-
do diventata negli ultimi tempi alquanto più disponibile che in
passato ad uno sviluppo delle politiche comuni, a condizione, tut-
tavia, che fosse prioritariamente riformata la politica agricola co-
mune e che fosse stabilmente risolto il problema della contribu-
zione britannica al bilancio comunitario.
Questi schieramenti riflettono in maniera abbastanza significa-
tiva le posizioni di fondo dei diversi stati membri sul futuro
stesso della costruzione europea: da una parte, chi ritiene che
questa debba restare circoscritta entro i margini consentiti dal-
l'attuale sistema di finanziamento comunitario: in quest'ottica,

260
la riforma della Pac e la limitazione della spesa agricola diven-
tano non solo pregiudiziali per lo sviluppo di nuove polit>iche
comuni, ma anche vincoli finanziari dei problemi che occorre ri-
solvere per il loro :finanziamento; dall'altra, chi, pur convenendo
sulla necessità di una razionalizzazione della spesa agricola, con-
sidera politicamente inadeguato e finanziariamente troppo angu-
sto per lo sviluppo della costruzione europea il margine di mano-
vra che si renderebbe in tal modo disponibile; fra questi due
estremi, chi, ritenendosi ingiustamente penalizzato dall'attuale
struttura del bilancio comunitario a causa del posto esorbitante
che vi occuperebbe la Pac, invoca un ridimensionamento di que-
sta politica ed una soluzione :finanziaria immediata al proprio pro-
blema prima di impegnarsi sulla strada dello sviluppo di nuove
politiche comuni. Ci si rende conto, alla luce di quanto abbiamo
detto fin qui, che la globalità delle tre linee di azione proposte
dalla Commissione, ossia la contestualità dei progressi da effet-
tuare sul fronte del rilancio delle politiche comuni, della revisio-
ne della politica agricola e dell'adozione di meccanismi pere-
quativi che rimediassero a situazioni di bilancio giudicate « po-
liticamente inaccettabili», avrebbe costituito l'elemento chiave
di tutto il negoziato che si apriva intorno alle proposte della
Commissione.
Questa globalità, intesa non soltanto tra le diverse linee di
azione ma anche all'interno di ciascuna delle misure proposte
(in particolare per quanto riguarda la Pac), stava particolarmente
a cuore al nostro paese, preoccupato del fatto che tutta l'opera-
zione « rilancio europeo » o « costruzione dell'Europa della se•
conda generazione » finisse col ridursi ad un'operazione contabile
di amputazione delle spese agricole e di travaso del ricavato al
Regno Unito, a titolo di compensazione per la sua pòsizione di
principale contribuente netto al bilancio comunitario.
A giudicare dalla piega che avevano preso i negoziati in seno
al « gruppo mandato » del Consiglio, in vista del Consiglio euro-
peo che doveva aver luogo a fine novembre, questo rischio ap-
pariva alla delegazione italiana tutt'altro che irreale, anche se
nessuno metteva apertamente in causa il principio della globali-
tà. È appunto per esprimere la propria preoccupazione per questa
tendenza e per sottolineare l'indisponibilità dell'Italia ad accetta-
re l'abbandono di uno dei principi fondamentali del « mandato

261
del 30 maggio», che il ministro degli esteri italiano Emilio Co-
lombo, a nome dell'intero governo, ha inviato un pressante mes-
saggio al presidente della Commissione Gaston Thorn, a due
settimane dalla riunione del Consiglio europeo di Londra 19 •
In esso, oltre ad avanzare una serie di proposte concrete sullo
sviluppo delle nuove politiche comuni e sul rafforzamento degli
strumenti finanziari esistenti, il governo italiano prendeva posi-
zione sulle proposte della Commissione relative alla riforma della
Pac, che giudicava « particolarmente insoddisfacenti » . In parti-
colare, l'Italia si dichiarava d 'accordo con l'obiettivo di ridurre
le eccedenze strutturali di prodotti che - come i prodotti lattie-
ro-caseari - trovano difficilmente sbocchi sui mercati mondiali;
meno giustificata appariva invece l'introduzione dei meccanismi
limitativi 20 che la Commissione proponeva di introdurre per ta-
luni prodotti, ad esempio i cereali, che non sono normalmente
eccedentari. Quanto poi ad applicare gli stessi meccanismi a dei
prodotti deficitari e per di più provenienti dalle regioni medi-
terranee, l'opposizione del governo italiano diventava ancora più
ferma e categorica: indebolire la protezione dei redditi agricoli
nelle regioni mediterranee alla ricerca di presunte economie di
bilancio significava, per esso, non solo provocare nelle popo-
lazioni interessate seri dubbi sulla validità del « progetto euro-
peo», ma anche creare a danno dell'Italia una « situazione inac-
cettabile» (e cioè una situazione politicamente, se non finanzia-
riamente, analoga a quella in cui si era venuto a trovare il Re-
gno Unito, per effetto dei « rientri » inadeguati provenienti dal-
la Pac).
Al Consiglio europeo di Londra, il 26 e 27 novembre, l'agri-
coltura e le proposte di riforma della Pac hanno costituito in
effetti, assieme ai problemi di bilancio, l'osso duro dei due gior-
ni di intensi negoziati e di accesi dibattiti a livello tecnico e
politico, condotti con una meticolosità di analisi dei problemi
che raramente si era vista in un Consiglio europeo: basti dire,
in proposito, che i problemi del settore lattiero-caseario avevano
ricevuto l'attenzione dei dieci capi di stato o di governo per ben
due ore, per rendersi conto dell'estrema politicizzazione a cui
19
Cfr. « Agra Europe », 9-10 novembre 1981.
20
E cioè la riduzione del prezzo di intervento se la produzione eccedeva un
certo « obiettivo di produzione ».

262
erano assurti temi a prima vista della più alta tecnicità, come
ad esempio la ricerca del metodo più efficace per contenere le
eccedenze di burro e di latte in polvere nella Ce.
In realtà, come è facile comprendere, dietro problemi di que-
sta natura si celavano questioni di ben altra portata economica,
politica e sociale, che i capi di stato o di governo non potevano
non porsi. Assodato che si dovesse frenare l'espansione delle
spese nel settore lattiero-caseario, che già assorbiva oltre il 40%
delle spese agricole 21 , e che, a tal fine, fosse diventato inevitabile
scoraggiare la formazione di eccedenze con mezzi ancora più dra-
stici di quelli già in vigore, si trattava di decidere in pratica chi
dovesse fare le spese di questo ulteriore giro di vite: i produtto-
ri a più alta produttività (concentrati soprattutto in alcuni paesi);
le cosiddette « fabbriche di latte », veri impianti di produzione
lattiera, installati intorno ai porti del Mare del Nord per potersi
meglio rifornire dalle importazioni d'oltremare di panelli di soia;
oppure tutti i produttori, in misura proporzionale o progressiva.
Quale sarebbe stato, in quest'ultimo caso, il destino delle centi-
naia di migliaia di piccoli produttori che vivono di latte e che
già producono a costi marginali? Ecco alcuni dei quesiti a cui
il Consiglio europeo di Londra non è riuscito, malgrado i lunghi
dibattiti, a dare una risposta univoca. Oltre ai problemi del set-
tore lattiero-caseario, gli altri ostacoli su cui il Consiglio europeo
si è impigliato sono stati i seguenti:
a) gli orientamenti in materia di spese agricole: si trattava di
stabilire se le spese agricole dovessero restare inferiori ad una
certa proporzione del bilancio globale - ad esempio il 60 % o i
due terzi - come chiedevano il Regno Unito e la Germania, op-
pure adottare formule più flessibili - ad esempio una progres-
sione delle stesse ad un ritmo inferiore all'insieme del bilancio
oppure all'evoluzione delle risorse proprie - come proponevano
invece altri stati membri;
b) le misure in favore dell'agricoltura mediterranea, in parti-
colare per quanto riguarda le modifiche delle organizzazioni co-
muni di mercato per l'olio d'oliva, il vino e gli ortofruttiicoli, ri-

21
Nel 1981, tuttavia, l'incidenza del settore lattiero-caseario nelle spese del
Feoga-garanzia è sceso, per la prima volta, al 30% del totale, a causa soprattutto
dell'evoluzione favorevole dei mercati internazionali, che ha consentito di ridurre
di circa un terzo l'importo unitario delle restituzioni alle esportazioni.

263
tenute necessarie in vista dell'adesione della Spagna e del Por-
togallo alla Comunità (esse vengono esaminate meglio nel pros-
simo paragrafo);
c) i problemi di bilancio propriamente detti, e cioè i criteri
da seguire e i principi a cui attenersi per risolvere le cosiddette
« situazioni inaccettabili », lamentate dai britannici prima e dai
tedeschi dopo, ma di cui i francesi non volevano nemmeno sen-
tire parlare.
Il Consiglio europeo di Londra si è così chiuso su una consta-
tazione di divergenza sui quattro punti sopra enunciati, che ha
impedito il raggiungimento di un accordo globale sull'insieme
dei problemi che si ponevano nel contesto del « mandato del 30
maggio ». Com'è ormai diventata tradizione allorché questi ver-
tici si chiudono senza pervenire ad un accordo, i ministri degli
esteri sono stati tuttavia incaricati di dipanare la matassa e di
proporre delle soluzioni a questi quattro problemi, fermo restan-
do il principio che l'accordo su ciascuno di essi avrebbe condi-
zionato l'accordo globale sui tre « volets » del mandato del 30
maggio.

L1agricoltura mediterranea tra riforma della Pac e ampliamen-


to della Comunità. - Come si ricorderà 22 , i problemi dell'agri-
coltura mediterranea e la necessità di trovare una soluzione alle
difficoltà di queste regioni, basata sui principi dell'equità e della
non discriminazione a danno dei prodotti mediterranei, avevano
ottenuto, forse per la prima volta, un chiaro riconoscimento nel
contesto del rapporto della Commissione sul mandato del 30
maggio. A tal fine, la Commissione esprimeva, tra l'altro, l'in-
tenzione di presentare per queste regioni, entro la fine del 1982,
dei « programmi comunitari a medio termine che integreranno
un'azione sul reddito, sul mercato, sulle produzioni e sulle strut-
ture » 23 •
Nel frattempo, peraltro, l'esigenza di apportare taluni adatta-
menti alle organizzazioni comuni di mercato delle produzioni me-
diterranee era diventata ancora più inderogabile in vista dell'ade-
sione della Spagna e del Portogallo alla Comunità. Fin dal marzo

Cfr. L'Italia nella politica internazionale 1980-1981, p. 407.


22
23
Cfr. COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE, Rapporto sul mandato del 30
maggio 1980, Com (81) 300 def., 24 giugno 1981.

264
1980 la Commissione aveva in effetti sottolineato l'opportunità
di procedere alla modifica della normativa comunitaria nei set-
tori del vino, degli ortofrutticoli e dell'olio d'oliva, tenuto conto
dell'importanza attuale e potenziale della Spagna come fornitore
di tali prodotti e del fatto che la sua adesione alla Comunità
avrebbe potuto modificare l'equilibrio dei mercati in tali. settori,
nonché quello del bilancio comunitario. La lentezza con cui proce-
devano i negoziati di adesione e le reticenze chiaramente manife-
st2te a questo riguardo dai paesi mediterranei, Francia in primo
luogo, attestavano il carattere pregiudiziale che avevano ormai
assunto tali adattamenti in vista di quello che appariva lo scoglio
principale di tutto il negoziato di adesione: il problema delle
modalità di integrazione dell'agricoltura spagnola nella Comunità.
Un terzo ordine di fattori, a prima vista di carattere congiun-
turale ma che affondava in realtà le radici nella natura stessa
dell'agricoltura mediterranea rendeva improrogabile il rinforza-
mento dei meccanismi di intervento quanto meno in uno dei prin-
cipali settori critici, quello vitivinicolo: due successivi raccolti
molto abbondanti di vini da tavola avevano, in effetti, determi-
nato una situazione eccedentaria in Italia e un insolito volume
di importazioni in Francia; una situazione, questa, che era sfocia-
ta nel luglio 1981 in una ennesima ~< guerra del vino» franco~
italiana protrattasi, tra vari episodi di violenza e manifestazioni
d'intolleranza, per tutto il mese di agosto, con strascichi giuridici
e diplomatici durati ancora per molti mesi.
Lo scioglimento dei nodi relativi all'agricoltura mediterranea
è apparso dunque più che mai, alle ~oglie dell'autunno 1981,
come la « conditio sine qua non » non solo per disinnescare la
mina accesa dai « vignerons » del Midi della Francia, ma anche
per dipanare l'intera matassa del mandato del 30 maggio e per
rimuovere uno degli ostacoli maggiori sulla via dell'integrazione
delia Spagna nella Comunità europea. Certo vi erano aspetti con-
giunturali del problema - ad esempio, gli ostacoli frapposti dal
governo francese alle importazioni di vino italiano e l'esistenza
di enormi stocks vinicoli in Italia e Francia alla vigilia della nuo-
va vendemmia - che potevano essere affrontati più o meno effi~
cacemen te sia con strumenti giuridici -.- l'apertura di una pro-
cedura d'infrazione contro la Francia presso la Corte di giu-
stizia delle Comunità europee - sia con misure particolari di

265
gestione dei mercati - ad esempio, la distillazione eccezionale di
alcuni milioni di ettolitri di vino in giacenza all'inizio della nuo-
va campagna.
Restava, tuttavia, il problema politico rappresentato dalla ne-
cessità di rinforzare in maniera permanente i meccanismi di mer-
cato di talune produzioni mediterranee, problema che, come ab-
biamo detto, la prospettiva dell'adesione della Spagna non fa-
ceva che rendere ancora più acuto. Come abbiamo visto, il mini-
stro degli esteri italiano Emilio Colombo aveva del resto stabi-
lito chiaramente, nel Consiglio affari generali del 14 settembre
1981, uno stretto collegamento fra un accordo sui diversi « vo-
lets » del mandato del 30 maggio e i progressi da compiere sul
fronte della politica in favore delle regioni mediterranee, insi-
stendo affinché la Commissione presentasse entro la fine del mese
le proposte da tempo in preparazione relative alla modifica della
normativa comunitaria dei settori del vino, dell'olio d'oliva e
degli ortofrutticoli.
È in effetti nell'ottobre 1981, quasi contemporaneamente alla
presentazione del memorandum sui nuovi orientamenti della po-
litica agricola comune, che la Commissione ha formulato le sue
proposte al riguardo. Allo stesso tempo, in una comunicazione
separata al Consiglio, la Commissione ha precisato ulteriormente
le linee d'azione a cui essa intendeva ispirarsi nella preparazione
di programmi integrati a favore delle regioni mediterranee, an-
nunciati nel rapporto sul mandato del 30 maggio per la fine del
1982. .
La Commissione ha voluto cosl fornire al Consiglio un qua-
dro completo delle azioni che essa riteneva indispensabili per le
regioni mediterranee, in vista, da una parte, dei negoziati sulla
ristrutturazione del bilancio comunitario e sugli altri aspetti del
mandato del 30 maggio e, dall'altra, dei negoziati di adesione del-
la Spagna alla Comunità. Per spianare la strada a tali negoziati
la Commissione proponeva una serie di misure intese a rafforzare
i meccanismi di mercato in taluni settori chiave dell'agricoltura
mediterranea; tali misure, una volta adottate dal Consiglio, avreb-
bero :fatto parte dell'« acquisito comunitario», vale a dire del-
l'insieme di norme e di strumenti messi in atto dall'entrata in
vigore del Trattato in poi: come tale, l' « acquisito comunitario»,
cosl modificato, non avrebbe potuto essere rimesso in discussio-

266
ne nel quadro dei negoziati di adesione e avrebbe dovuto essere
ripreso integralmente dai nuovi paesi aderenti. È per tale ragio-
ne che questo pacchetto di proposte viene più comunemente indi-
cato con la locuzione « modifica dell'acquisito comunitario».
Nel settore degli ortofrutticoli, la Commissione proponeva an-
zitutto di rinforzare il ruolo delle associazioni dei produttori, sia
con aiuti per la loro costituzione, sia prevedendo la possibilità
di estendere all'insieme dei produttori di una regione (e dunque
anche a quelli non aderenti) le norme in materia di produzione
e di commercializzazione adottate dai membri dell'associazione
dei produttori della regione. Altre azioni erano previste per evi-
tare il tracollo dei prezzi dei mercati e per migliorare la prefe-
renza comunitaria in questo settore particolarmente sensibile alle
importazioni dai paesi terzi. Veniva inoltre rilanciato e poten-
ziato il cosiddetto « piano agrumi » varato nel 1969 per favorire
la ristrutturazione e la riconversione varietale degli impianti agru-
micoli meridionali, che aveva dato finora scarsi risultati, e veni-
va limitata la possibilità di applicare alla Spagna il cosiddetto
« premio di penetrazione » di cui beneficiano attualmente gli
agrumi italiani e greci.
Molto articolate e complesse le misure proposte dalla Commis-
sione per migliorare la garanzia di prezzo e di collocamento per
il vino da tavola, onde evitare il ripetersi e il propagarsi delle ri-
correnti « guerre del vino», soprattutto nella prospettiva del-
1'adesione della Spagna: misure di distillazione obbligatoria pre-
ventiva all'inizio della campagna, in caso di raccolto sovrabbon-
dante, limitazione degli impianti, restrizioni delle pratiche di
zuccheraggio, innalzamento della gradazione alcolica minima am-
missibile, ecc.
Per l'olio d'oliva, infine, la Commissione, tenuto conto della
situazione eccedentaria in cui si sarebbe venuta a trovare la Co-
munità a seguito dell'adesione della Spagna, proponeva una stra-
tegia d'insieme i cui elemenbi essenziali sono i seguenti:
- modifica del regolamento relativo all'aiuto al consumo del-
l'olio d'oliva in maniera da assicurare che il rapporto tra il prez-
zo al consumo dell'olio d'oliva e quello dei grani oleaginosi con-
correnti non superi il rapporto di due a uno;
- negoziati con i paesi terzi fornitori intesi ad assicurare che

267
l'attuale equilibrio tra il consumo dell'olio d'oliva e quello delle
altre materie grasse non venga ulteriormente compromesso;
- introduzione eventuale di una sovrattassa sul consumo di oli
vegetali, importati e prodotti nella Comunità da decidere in fun-
zione dei risultati delle azioni sopra indicate. Il ricavato di que-
sta tassa dovrebbe servire a :finanziare parzialmente il costo del-
l'organizzazione comune di mercato per l'olio d'oliva, che do-
vrebbe crescere di oltre 700 milioni di Ecu dopo l'adesfone della
Spagna.
Dopo essere state evocate a livello politico dai capi di stato e
di governo al Consiglio europeo di Londra di :fine novembre e
dai ministri degli esteri nel quadro dei successivi dibattiti sul
mandato del 30 maggio, queste proposte sono state per la pri-
ma volta oggetto di una discussione approfondita sul piano tec-
nico nella riunione del Consiglio « agricoltura» del 15 e 16
febbraio 1982 contemporaneamente ad un primo giro di tavolo
sulle proposte della Commissione relative ai prezzi agricoli per
la successiva campagna. Questo esame ha fatto tuttavia apparire,
da una parte, una netta contrapposizione tra i paesi del Nord e
quelli del Sud dell'Europa sul dossier « olio d'oliva » e, dall'al-
tra, una profonda divergenza di vedute tra l'Italia e la Francia
sul dossier « ortofrutticoli », e soprattutto sul dossier « vino ».
In quest'ultimo settore, il principale punto di frizione tra Parigi
e Roma concerneva proprio uno degli elementi essenziali del-
la proposta della Commissione, e cioè l'apertura di una distil-
lazione obbligatoria all'inizio della campagna (_al posto degli in-
terventi in corso o alla fine della campagna, come avveniva :fino
ad allora) , che secondo la Francia doveva avvenire pagando ai
viticoltori il 55% del prezzo di orientamento fissato per il vino.
Una misura, questa, appoggiata da Germania e Gran Bretagna,
ma rifiutata invece dalla delegazione italiana e da quella greca
che la giudicavano una sorta di misura di corresponsabilità a
danno dei produttori, a meno che il prezzo pagato non fosse
fissato ad un livello più remunerativo, e cioè al 70% del prezzo
di orientamento, per l'Italia, e al 75% per la Grecia . Non che i
francesi volessero essere meno generosi con i viticoltori dei lo-
ro colleghi italiani e greci; essi temevano, tuttavia, che un livel-
lo di prezzo relativamente troppo elevato avrebbe potuto vanifi-
care uno degli obiettivi perseguiti, vale a dire dissuadere i viti-

268
coltoti dallo spingere la produzione verso rese troppo elevate e
per converso di mediocre qualità.
Il ministro italiano dell'agricoltura Bartolomei aveva presen-
tato, dal canto suo, un piano in cinque punti, inteso a rinforzare
le restrizioni sui nuovi impianti di vigneti e a favorire l'elimina-
zione di quelli di cattiva qualità, a promuovere il consumo me-
diante la riduzione delle accise applicate nei paesi del Nord Eu-
ropa, a controllare meglio le importazioni in provenienza da pae-
si terzi e a incoraggiare le esportazioni, ad interdire, infìne, le
pratiche di arricchimento dei vini di cattiva qualità.
Nel settore degli ortofrutticoli la Francia si era trovata prati-
camente isolata nel difendere la proposta della Commissione che
prevedeva la possibilità di estendere a tutti i produttori di una
regione la discip1ina in materia di produzione e di immissione
sul mercato applicata dagli aderenti alle associazioni dei produt-
tori della regione: italiani e greci temevano, in effetti, che un
rinforzamento delle discipline favorisse soprattutto i produttori
del Nord Europa, meglio organizzati; gli altri paesi avanzavano
invece ragioni giuridiche e di principio contro quella che giudi-
cavano una manifestazione di autoritarismo e di soffocamento
delle libertà individuali; d'altro canto tedeschi e inglesi si preoc-
cupavano del costo relativo alle misure di incoraggiamento delle
associazioni dei produttori in questo settore previste nelle propo-
ste della Commissione.
Per l'olio d'oliva, infine, la linea di demarcazione passava sul
difficile terreno della tassa sulle materie grasse vegetali, vista da-
gli uni (Francia, Italia e Grecia) come una misura indispensabile
per finanziare il sostegno del mercato dell'olio d'oliva nella pro-
spettiva dell'adesione della Spagna, e dagli altri (soprattutto
Paesi Bassi, Germania e Gran Bretagna) come un progetto asso-
lutamente inaccettabile: per giunta i britannici mettevano una
pesante ipoteca sull'intero dossier oleicolo annunciando la pre-
sentazione di proprie proposte di controllo della produzione olei-
cola e di organizzazione del mercato alternative a quelle della
Commissione. In particolare questa delegazione aveva lanciato
l'idea di un aiuto diretto ai produttori in alternativa al sistema
d'intervento in vigore; italiani e greci, tuttavia, avevano chiara-
mente espresso le loro riserve al riguardo, essendosi dichiarati
contrari all'idea di ricondurre il regime di mercato previsto per

269
l'olio d'oliva ad un caso di pura assistenza sociale dei produttori.
A rendere ancora più problematico questo scenario si deve pe-
raltro aggiungere che il ministro francese dell'agricoltura Edith
Cresson aveva stabilito uno stretto legame tra l'adozione delle
proposte sui prezzi agricoli per la successiva campagna, i cui ne-
goziati sarebbero entrati nel vivo di n a poco, e l'adozione delle
proposte della Commissione sulla modificazione dell'« acquis »
comunitario per i prodotti mediterranei.
Ma il rischio maggiore che correvano i negoziati su questo
pacchetto di misure era un altro: che, cioè, a causa della profon-
da frattura che si era aperta tra le delegazioni dei paesi mediter-
ranei e quelle del Nord Europa sul dossier « olio d'oliva», di-
ventasse inevitabile rinviare a scadenze più lontane ogni decisio-
ne al riguardo; non solo si spezzava, in tal caso, l'unitarietà
dell'intero pacchetto, ma si veniva anche ad allentare la tensione
politica che poteva favorire una decisione favorevole nel conte-
sto del negoziato globale sui prezzi agricoli e i diversi aspetti del
mandato del 30 maggio. La delegazione italiana, consapevole di
questo rischio, insisteva perciò per una decisione congiunta sui
tre « volets » del pacchetto. Dal canto suo, la Commissione, che
in ottobre aveva presentato per l'olio d'oliva solo un documento
di orientamento per il Consiglio, aveva formalizzato il 10 marzo
la proposta enunciata in tale documento relativa alla modifica del
regime di aiuto al consumo di olio d 'oliva, affinché il rapporto
tra il prezzo dell'olio d'oliva e quello degli oli concorrenti non
eccedesse, allo stadio del consumo, il rapporto di 2 a 1. Questa
proposta non era stata tuttavia nemmeno abbordata ai successivi
Consigli « agricoltuta » di metà mai-zo e di fine marzo. Quanto agli
altri due dossiers del pacchetto, non solo il mese di marzo era
trascorso senza che alcuna decisione fosse stata assunta, ma ap-
parivano sempte più ptobabili lo « stralcio» ed il rinvio ad un'al-
tra data delle misure più controverse del dossier « ortofrutti-
colo».
Per quanto riguarda, tuttavia, il settore del vino, progressi
considerevoli sono stati registrati nel corso del mese di aprile,
grazie anche alle nuove proposte di compromesso presentate dal-
la Commissione, che avevano per la prima volta creato quell'uni-
tà del fronte dei paesi produttori che era del tutto mancata fino-
ra. Tali proposte prefiguravano, in effetti, un complesso sistema

270
di distillazioni sistematiche (permanenti e in corso di campagna
quelle volontarie, preventive e in caso di raccolti eccez.'ionali quel-
le obbligatorie) nonché, in caso di necessità, il ricorso eventuale
all'acquisto di vino da parte degli organismi di intervento, che
avrebbero dovuto assicurare un prezzo minimo garantito al pro-
duttore (88% del prezzo di orientamento in caso di distillazione
permanente e 65 % in caso di distillazione preventiva obbliga-
toria).
Vedremo nel prossimo paragrafo come si è pervenuti ad una
decisione d'insieme sui diversi dossiers agricoli in discussione al
Consiglio.

Prezzi agricoli e misure connesse: un sussulto di volontà de-


cisionale del Consiglio mette fine all'« Europa del compromes-
so » . - Se negli ultimi anni il Consiglio era sempre riuscito a
sciogliere senza grossi traumi, con le sole risorse della diploma-
zia e della prassi negoziale, i nodi sempre più complessi che si
addensano tradizionalmente intorno al dossier « prezzi agricoli
e misure connesse », quest'anno è stato solo con un taglio netto
col passato e con la tendenza a imbrogliare sempre più la matas-
sa, istituendo collegamenti spuri tra dossiers di diversa natura,
che è stato possibile venire a capo di una decisione. È vero che
ciò ha provocato qualche lacerazione della coesione comunitaria
e aperto qualche ferita in chi sperava che la « globalizzazione »
sarebbe stata ancora una volta pagante, come era quasi sempre
accaduto in passato. Ciò non toglie tuttavia che proprio la rottu-
ra di una tradizione di compromessi negoziali, conseguiti solo a
costo di estenuanti trattative e pur di raggiungere un accordo
unanime, costituisca di per sé un fatto di portata storica, non
solo per la politica agricola comune, ma anche per la stessa
Comunità.
L'evento che ha sbloccato un.a situazione di impasse negoziale
pressoché senza uscita e che ha portato una ventata di aria fresca
nella dinamica comunitaria è stato niente più che la messa in at-
to di un semplice principio, sancito dal Trattato di Roma, ma
caduto da tempo nell'oblio: e cioè che vi sono decisioni, nella
vita della Comunità (e fra queste le decisioni sui prezzi agricoli),
che non devono essere necessariamente prese all'unanimità, come
accadeva ormai pressoché regolarmente dalla crisi del 1965, ri-

271
soltasi col cosiddetto « compromesso di Lussemburgo», ma che
possono, anzi debbono, essere prese dalla maggioranza qualificata
dei membri che compongono il Consiglio. La ricerca dell'unani-
mità ad ogni costo è all'origine, come è noto, del rallentamento
del processo di integrazione che si registra dal 1965, da quando
cioè la Francia aveva messo in atto, per oltre sei mesi, una poli-
tica della « sedia vuota » a livello comunitario. Questa crisi, che
minacciava dalle fondamenta il futuro stesso dell'integrazione eu-
ropea, si era risolta, come si ricorderà, con una « constatazione »
della divergenza di vedute che esisteva tra la Francia e i sucii
cinque partners di allora, divergenza che, tuttavia, come recitava
il testo del compromesso raggiunto il 29 gennaio 1966 a Lussem-
burgo, « non impedisce la ripresa, secondo le procedure norma-
li, dei lavori della Comunità ». Quello che aveva fatto recedete
la Francia di de Gaulle dal suo assenteismo .a d oltranza dalla
scena comunitaria era stato, da una parte, l'essere pervenuti ad
un accordo sul principio che, nel caso in cui fossero in giuoco gli
interessi vitali di un paese, i membri del Consiglio si sarebbero
sforzati di pervenire a delle soluzioni che potessero raccogliere
l'accordo di tutti, e dall'altra la postilla che la delegazione fran-
cese era riuscita ad applicare a tale accordo, nella quale essa sti-
mava «unilateralmente» che, « allorché degli interessi vitali so-
no in gioco, la discussione dovrà proseguire fino a che non si
pervenga ad un accordo unanime». Sul piano politico, se non
su quello giuridico, nasceva così l'« Europa del compromesso >;,
o l'« Europa del diritto di veto »: un diritto non sanzionato da
alcuna norma giuridica e nemmeno, come si vede, da un vero e
proprio accordo politico; un diritto che non richiedeva, peraltro,
nemmeno di essere invocato o esercitato per produrre i suoi
effetti.
L'« Europa del compromesso» è morta il 18 maggio 1982,
come titolava qualche giorno dopo l'articolo di fondo dell'« Agen-
ce Europe » 24 : nata da una mistura esplosiva di problemi agri-
coli e di bilancio, è questo stesso connubio di problemi che ne
ha decretato le sorti. Vale la pena, peraltro, rilevare « en
passant » che singolarmente non è stato il nuovo ampliamento
a sud della Comunità, con l'adesione della Grecia a partire dal

" Cfr. « Agence Eùrope », n. 3376, 24-25 maggio 1982.

272
1·· gennaio 1981, a determinare le condizioni per il ritorno, sia
pure eccezionale, alla regola della maggioranza, come si era erro-
neamente previsto negli ultimi anni: semmai è nel primo am-
pliamento, con la difficile integrazione del Regno Unito al resto
della Comunità, che bisogna ricercare le cause profonde di que-
sto inaspettato sussulto nella volontà decisionale del Consiglio.
Ma riprendiamo le cose per · ordine.
Lo scenario si apre all'inizio del 1982. Come s'è visto, l'anno
si è chiuso senza che né i capi di stato e di governo, né i ri-
spettivi ministri degli esteri siano riusciti a mettersi d'accordo
sulle linee di una soluzione globale ai differenti « volets » del
« mandato del 30 maggio » capace di rilanciare la costruzione
europea. Quattro problemi particolarmente spinosi restano sul
tappeto: il trattamento da riservare ai prodotti mediterranei, le li-
nee di condotta in materia di spese agricole, la soluzione ai pro-
blemi delle eccedenze di latte nella Comunità, i meccanismi di
perequazione finanziaria da applicare per rimediare alle cosid-
dette « situazioni inaccettabili » derivanti da uno squilibrio rite-
nuto eccessivo tra contribuzione e partecipazione al bilancio co-
munitario.
A metà gennaio i ministri degli affari ested si riuniscono nuo-
vamente a Bruxelles, in un quadro informale, nel tentativo di
sgombrare il terreno da questi ingombranti dossiers prima che i
loro colleghi dell'agricoltura, convocati da lì a poco, se ne im-
possessino, a rischio di vedere esacerbate ulteriormente le aspe-
tità. Si attendono, inoltre, da un momento all'altro le proposte
«prezzi» della Commissione per la nuova campagna e, come
spiega alla stampa il presidente della Commissione Gaston Thorn,
si rischia in queste condizioni di vedere il « breve termine » ·(la
campagna agricola) prendere il sopravvento sul « lungo termine »
(la riforma della Pac), rischio che la Commissione vuole evitare
ad ogni costo 25 •
Il presidente della Commissione ha intanto presentato, su ri-
chiesta dei ministri degli esteri, una proposta di compromesso sui
quattro punti rimasti in
sospeso al Consiglio europeo di Lon-
dra, che dovrebbe contenere margini sufficienti per dedurne una
soluzione di compromesso accettabile per tutti. In particolare,

i; Cfr. « Agence Europe », n. 3271, 16 dicembre 1981.

273
per il settore del latte, il presidente Thorn, in alternativa al si-
stema dei « tre prelievi » delineato nel documento di ottobre del-
la Commissione, propone di mantenere il sistema di correspon-
sabilità dei produttori in vigore, ma introducendo un criterio di
progressività, in maniera da avvantaggiare i piccoli produttori.
Per quanto riguarda il problema britannico, la proposta di com-
promesso prevede un meccanismo di compensazione fìnanziaria al
Regno Unito della durata di quattro anni, che comporterebbe dei
versamenti sulla base degli squilibri realmente constatati (e non
delle previsioni come in passato), da fìnanziare su una base « ad
hoc» e non attraverso il bilancio generale della Comunità. Men-
tre le altre due questioni in sospeso sono sul punto di essere
praticamente regolate con opportuni adattamenti redazionali del-
le conclusioni relative, è proprio sui problemi del latte e della
compensazione al Regno Unito che i negoziati precipitano nel-
l'impasse più totale. Dieci giorni dopo fallisce anche un nuovo
tentativo dei ministri degli esteri: mancando un accordo globale
tutto è rimesso in causa (compresi i punti su cui un accordo di
principio era stato raggiunto) e viene perciò rinviato al Consi-
glio europeo di fìne marzo.
È in questo contesto e a seguito di quest'ultimo tentativo
mancato da parte del Consiglio di defìnire i gr.andi orientamenti
sui problemi principali che condizionano il futuro della Comu-
nità che la Commissione ha presentato il 27 gennaio le proposte
sui prezzi agricoli e sulle misure connesse per la campagna
1982-83.
Tali proposte, che mettevano per la prima volta in atto gli
orientamenti defìniti nel memorandum di fìne ottobre, prevede-
vano, in particolare, un aumento dei prezzi del 9 % per la mag-
gior parte dei prodotti agricoli, con variazioni comprese tra il
6,5% per i cereali e il 12% per il girasole e i foraggi secchi.
Mette conto, in particolare, rilevare che nel settore dei cereali
si veniva così ad avviare la prima tappa del processo di ravvici-
namento dei prezzi dei cereali comunitari a quelli americani, che
dovrebbe completarsi entro il 1988. Per il latte, invece, la Com-
missione proponeva un aumento dei prezzi del 9 % , accanto al
mantenimento della tassa di corresponsabilità in vigore al livello
del 2,5% e all'introduzione di un aiuto diretto al reddito per i

274
piccoli produttori, pari in complesso a 120 milioni di Ecu, me-
diante una modulazione della tassa di corresponsabilità (a causa
dell'opposizione in Consiglio, erano invece cadute le altre due
proposte di prelievo delineate dalla Commissione nel documen-
to di ottobre). La Commissione proponeva, inoltre, la fissazione
di « obiettivi di produzione» nel settore dei cereali (199,5 mi-
lioni di tonnellate), del latte ( + 0,5% rispetto al 1981), della
colza (2,15 milioni di tonnellate) e degli ortofrutticoli trasfor-
mati (4,5 milioni di tonnellate): una volta che tali obiettivi fos-
sero staci. superati, la Commissione avrebbe proposto delle mi-
sure appropriate, in genere sotto forma di una riduzione del
prezzo di intervento.
Come già altre volte in passato, i negoziati sui prezzi agricoli
e le misure connesse sono stati dominati quest'anno, da una par-
te, dai tradizionali scogli sui punti cruciali delle proposte della
Commissione e, dall'altra, dalla situazione di impasse venutasi
a determinare nella dinamica comunitaria in assenza di un accor-
do politico sulla soluzione da dare al problema della contribu-
zione britannica al bilancio comunitario. I ministri dell'agricol-
tura si sono dunque imbarcati, a partire da metà febbraio, nel-
l'abituale routine di riunioni, negoziazioni, rivendicazioni e osteg-
giamenti reciproci, con l'obiettivo di pervenire ad un'intesa sui
vari dossiers agricoli. Essi erano, tuttavia, perfettamente coscien-
ti che, finché la mina vagante della contribuzione britannica non
fosse stata disinnescata dai loro colleghi degli affari esteri o dai
capi di stato o di governo che dovevano riunirsi nuovamente in
Consiglio europeo a fine marzo, le probabilità di arrivare ad un
accordo definitivo sulle questioni agricole erano minime se non
del tutto nulle. Mentre, infatti, il ministro dell'agricoltura bri-
tannico Peter Walker tirava bordate sui fianchi della navicella
agricola, ergendosi ora contro il livello medio di aumento dei
prezzi agricoli proposti dalla Commissione, che reputava troppo
elevato, ora contro la riduzione della tassa di corresponsabilità
per i piccoli produttori di latte, arguendo che questa avrebbe pe-
nalizzato di fatto i produttori più efficienti, la signora Thatcher
ingaggiava un aspro confronto diplomatico coi suoi partners,
affermando rudemente che, in mancanza di un regolamento soddi-
sfacente del problema britannico, il Regno Unito non avrebbe

275
potuto dare il suo accordo alla politica agricola comune, vale a
dire alle prossime decisioni sui prezzi agricoli 26 •
Eppure quest'anno, tecnicamente parlando, tali decisioni ap-
parivano relativamente più facili che in passato. Assunto, infat-
ti, che ciascun paese, nel corso dei negoziati sui prezzi agricoli,
tende tradizionalmente ad acquisire un aumento dei prezzi in mo-
neta nazionale che sia il più prossimo al proprio tasso d'inflazio-
ne, l'aumento medio relativamente elevato proposto quest'anno
dalla Commissione (9% in Ecu), da una parte, e l'evoluzione del-
la situazione agro-monetaria nel 1981 e nei primi mesi del 1982,
&:i!l'altra, offrivano un margine di manovra sufficiente per modu-
lare l'aumento effettivo dei prezzi agricoli istituzionali nei di-
versi stati membri in misura più o meno proporzionale al tasso
d'inflazione interna. È vero che per qualche tempo sembrava
che il problema dei . tre paesi a più alto tasso d 'inflazione (Italia,
Grecia e Irlanda) potesse costituire uno scoglio difficilmente sor-
montabile, tanto che i rispettivi ministri dell'agricoltura andava-
no escogitando soluzioni più o meno soddisfacenti a questo pro-
blema (aumento ancora più sostanziale dei prezzi comuni, misu-
re « ad hoc» nel quadro delle organizzazioni comuni di mer-
cato, abbuoni di interesse sul credito agrario a breve termine,
ecc.). Questa situazione si è tuttavia sbloccata all'inizio ài mag-
gio, almeno per quanto riguarda l 'Italia e la Grecia, essendosi
create nel frattempo sui mercati dei cambi le condizioni per ope-
rare una svalutazione della lira « verde» del 2,4% e della dracma
« verde » del 3,6% (a cui se ne è aggiunta un'altra dell'l ,7 %
a metà maggio): in effetti, se si tiene conto anche della svaluta-
zione della lira « verde » del 2 ,5 % , avvenuta alla fine del no-
vembre 1981, questa serie di aggiustamenti monetari determina-
va automaticamente un aumento dei prezzi agricoli in moneta na-
zionale del 5,1 % in Italia e del 5,6% in Grecia; un aumento,
questo, che aggiunto a quello espresso in Ecu derivante dalla
proposta di compromesso presentata dalla Commissione il 1°
aprile 1982 (10,4% ) permetteva agli agricoltori italiani e greci
di beneficiare di aumenti dei prezzi agricoli non troppo distanti
dai tassi d'inflazione (rispettivamente 16 e 20 % nel 1981).
Restava il problema dell'Irlanda, che otteneva comunque come

26
Cfr. « Agence Europe », n. 3335, 22 e 23 marzo 1982.

276
compensazione l'estensione del premio alla nascita dei vitelli
(2 Ecu per vitello) già accordato all'Italia.
Lo scoglio più insidioso era però quello delle misure da pren-
dere per frenare l'espansione incontrollata della produzione di
latte nella Comunità, che rischiava di soffocare letteralmente il
bilancio del Feoga nonché gli stessi margini di spesa della Co-
munità.
Come s'è vdsto, la Commissione aveva fatto nel tempo ogni
sforzo di immaginazione pur di attivare a far introdurre qualche
meccanismo che rinforzasse l'efficacia della tassa di corresponsa-
bilità del 2,5% sulla produzione di latte già in vigore dal 1967:
super-prelievo, tassa sulle cosiddette « fabbriche di latte » (alle-
vamenti senza terra), aumento e modulazione della tassa di cor-
responsabilità, ecc. Nessuna di queste proposte aveva però con-
seguito l'unanimità dei consensi in seno al Consiglio, pur essen-
dosi provati in tanti (tecnici, ministri dell'agricoltura, ministri
degli esteri, capi di stato e di governo) a sbucciare· questa patata
bollente. L'unica via d'uscita per arrivare ad una soluzione di
compromesso è sembrata allora alla Commissione che il Consi-
glio prendesse atto delle sue intenzioni di presentare più in là
una proposta di riduzione del prezzo cli intervento del latte ove
l'aumento delle consegne di latte alle latterie avesse ecceduto il
tasso di evoluzione dei consumi, pari allo 0,5% all'anno. Que-
sta misura si sarebbe aggiunta alla tassa di corresponsabilità già
in vigore: peraltro, :fin dalla campagna 1982-8.3, per sostenere i
redditi dei piccoli produttori, sarebbe stato concesso loro un
.aiuto forfettario per una spesa totale di 120 milioni di Ecu. ·
Vivaci reazioni avevano anche suscitato le proposte della Com-
missione nel settore cerealicolo, ed in particolare quelle relative
al riavvicinamento dei prezzi dei cereali comunitari a quelli dèi
principali concorrenti (soprattutto Stati Uniti) e all'introduzione
di obiettivi di produzione in questo settore, il cui superamento
avrebbe fatto scattare la riduzione del prezzo di intervento, an-
che se su quest'ultima misura un accordo di principio era inter-
venuto l'anno prima 27 • Chi si opponeva con maggiore determi-
nazione a queste misure era il ministro francese dell'agricoltura
Edith Cresson, la quale aveva riaffermato a più riprese che la

2
' Cfr. L'Italia nella politica internazionale 1980-1891 , p. 420 55.

277
Francia non era disposta ad accettare questa forma di correspon-
sabilità dei produttori cerealicoli finché non fossero state prese
parallelamente delle misure per limitare o quanto meno stabiliz-
zare le importazioni di prodotti di sostituzione dei cereali (so-
prattutto manioca in provenienza dalla Thailandia e « com gluten
feed » in provenienza dagli Stati Uniti): per i francesi, infatti,
e non solo per essi, gran parte dei problemi di eccedenza che si
pongono nel settore dei cereali comunitari detivano dall'esplo-
sione delle importazioni di sostituti per l'alimentazione animale
ad alto valore nutritivo e a bassa o nulla protezione doganale.
Anche questo scoglio è stato tuttavia sormontato sul piano tec-
nico avendo proposto la Commissione di istituire un legame tra
l'obiettivo di produzione fissato per i cereali per la campagna
1982-83 ( 119 ,5 milioni di tonnellate) e l'espansione ulteriore
delle importazioni di sostituti dei cereali al di là del volume già
raggiunto (la riduzione del prezzo di intervento per i cereali sa-
rebbe cioè intervenuta soltanto nel caso in cui la media della
produzione di cereali nel corso degli ultimi tre anni avesse ecce-
duto nel 1982-83 il valore risultante dalla somma di 119,5 mi-
lioni di tonnellate e del supplemento di importazione eccedente
14 milioni di tonnellate): una soluzione questa che, unitamente al-
l'impegno della Comunità di aprire trattative con i paesi terzi
esportatori di prodotti sostitutivi dei cereali, poteva soddisfare
la delegazione francese.
Se questi possono considerarsi gli scogli principali e i relativi
artifìzi tecnici per pervenire ad un accordo sul « pacchetto prez-
zi » non occorre tuttavia dimenticare che su tali negoziati si
erano nel frattempo innestati quelli, per cerci versi ancora più
difficili, sulla modifica della normativa comunitaria per le produ-
zioni mediterranee. A questo riguardo, la Francia aveva affermato
per qualche tempo la necessità di tener separate le due trattati-
ve, per poter rispettare l'accordo di principio intervenuto a li-
vello dei ministri degli esteri che prevedeva una decisione prima
del 31 marzo 1982. La delegazione italiana e quella greca inten-
devano, invece, mantenere questo collegamento, peraltro inevi-
tabile, vista la contemporaneità dei due dibattiti. Queste ultime
ritenevano inoltre, a ragion veduta, che dal punto di vista ne-
goziale sarebbe stato preferibile condizionare il loro accordo
sulle decisioni « prezzi » ad un accordo sulle misure relative alla

278
:-::odifìca dell'«acquisito » per le produzioni mediterranee vista
~ ·opposizione di certe delegazioni. La data del 31 marzo è tutta-
·:ia trascorsa senza che una decisione fosse adottata, benché la
Commissione avesse presentato a fìne marzo nuove proposte di
.:ompromesso che dovevano facilitare l'accordo unanime di tutte
le delegazioni.
Nel frattempo, peraltro, anche a seguito del fallimento pres-
soché completo del Consiglio europeo di Bruxelles di fìne marzo,
l'« ipoteca britannica» aveva ulteriormente preso corpo e mi-
nacciava da vicino la politica agricola comune, avendo dovuto i
nuovi prezzi agricoli essere fissati entro il 31 marzo per poter
essere applicati all'indomani nei settori del latte, delle carni bo-
vine e ovine. Ogni ritardo nella decisione non solo costituiva
perciò un mancato guadagno per i produttori agricoli, ma avreb-
be potuto anche incitare certi governi a compensare tale perdita
con misure ed aiuti nazionali che avrebbero costituito una « ri-
nazionalizzazione » di fatto della politica agricola.
Il mese di aprile è così trascorso, sul piano comunitario, in un
clima di pesantezza e di tensione, dominato dall'incertezza sul
momento in cui si sarebbero create le condizioni politiche che
avrebbero permesso di sbloccare i negoziati sull'insieme dei dos-
siers ancora in sospeso. Ad allontanare ulteriormente la pro-
spettiva di una soluzione negoziale ai problemi agricoli si era
peraltro aggiunta all'inizio del mese la controffensiva lanciata
dal governo britannico contro l'invasione delle isole Falkland da
parte delle forze armate argentine, che aveva praticamente mono-
polizzato l'intera attività diplomatica per tutto il mese di aprile.
A fine aprile, tuttavia, a conclusione di un'ennesima maratona
agricola, sette delegazioni si erano dichiarate d'accordo sulla pro-
posta di compromesso presentata dalla presidenza belga, due
(Grecia e Italia) avevano mantenuto una riserva tattica (la Gre-
cia sulle misure da prendere in favore degli agricoltori colpiti
dagli alti tassi d',inflazione, l'Italia sul prezzo di ritiro del
vino in caso di distillazione preventiva), mentre la delegazione
del Regno Unito aveva riaffermato l'abituale riserva globale sul-
l'insieme del pacchetto, in attesa che si trovasse una soluzione
soddisfacente al problema della contribuzione britannica al bi-
lancio comunitario. Nei giorni successivi, tuttavia, l'isolamento
politico della Gran Bretagna si è ulteriormente accentuato, met-

279
tendo a nudo la fragilità di una tattica negoziale basata essen-
zialmente su una linea intransigente, sui problemi di bilancio
e sul collegamento pretestuoso di questo dossier con le decisioni
sui « prezzi agricoli ».
Da una parte, in effetti, è andato a vuoto il 10 maggio un
ennesimo Consiglio esteri che doveva sancire la conclusione di
un accordo sul problema della contribuzione britannica al bi-
lancio comunitario. Dall'altra si sono contemporaneamente get-
tate le basi, in seno al Consiglio agricoltura, per una eventuale
decisione a maggioranza sui prezzi agricoli: la Commissione ha
infatti non soltanto fatto proprio il compromesso di fine aprile
presentato dalla presidenza belga, ma vi ha anche aggiunto ta-
lune misure e talune dichiarazioni che hanno avuto come effetto
di far cadere le ultime riserve tattiche greche e italiane. Era
chiaro, in queste condizioni, tenuto anche conto della determi-
nazione della presidenza belga e deila Commissione di uscire dal-
l'impasse anche a costo di rompere con una tradizione di com-
promessi all'insegna dell'unanimità, che una decisione sui prezzi
agricoli e sulle misure connesse non avrebbe potuto tardare. Le
decisioni sono in effetti intervenute il 18 maggio, dopo più di
quindici ore di discussioni ininterrotte ed in circostanze, come
ha avuto occasione di dire in seguito il presidente Thorn, « che
non erano quelle desiderate dalla Commissione »: per la prima
volta, infatti, dacché la politica agricola comune esiste, il Con-
siglio, grazie anche, come si è visto, all'iniziativa della Commis-
sione e malgrado la strenua resistenza del ministro britannico
dell'agricoltura, aveva fatto ricorso al voto per le decisioni sui
prezzi agricoli e le misure connesse, che in passato erano sempre
scaturite dall'accordo unanime di tutte le delegazioni.
Unica, magra, consolazione per la delegazione britannica, che
aveva invocato, ma senza successo, il cosiddetto « compromesso
di Lussemburgo », era il fatto che altri due stati membri (la
Danimarca e la Grecia) non avevano partecipato al voto, prefe-
rendo restare fedeli alla prassi dell'unanimità delle decisioni: La
maggior parte degli altri stati membri hanno tuttavia evitato di
imbarcarsi in una discussione dottrinale sul significato del voto
che si apprestavano a emettere preferendo far valere le ragioni
specifiche ed obiettive che imponevano senza ulteriori ritardi una
decisione sui prezzi agricoli. Non si può tuttavia cancellare del

280
tutto l'impressione che con questo voto si sia voluto anche
aprire una fessura nell'inflessibilità britannica sui problemi della
contribuzione del Regno Unito al bilancio comunitario. Non era
infatti passata una settimana dalla decisione sui prezzi agricoli
che anche questo secondo problema trovava una soluzione soddi-
sfacente, almeno per quanto riguarda l'anno 1982. Per quanto
concerne, in particolare, le decisioni sui prezzi agricoli, queste
comportano un aumento medio dei prezzi in Ecu del 10,4% (che
è l'aumento più sensibile degli ultimi dieci anni), con punte
che variano tra 1'8,7% per i cereali, il 12% di alcuni ortofrut-
ticoli e il 16% di alcune varietà di tabacco. A causa, tuttavia,
degli adeguamenti dei tassi verdi intervenuti nell'ultimo anno,
l'aumento medio effettivo in moneta nazionale è del 12,2 % , con
punte che variano tra il 6,9% per la Germania e il 19,7% per la
Grecia. L'Italia, con un aumento medio del 16,1 % , riusciva
così a compensare in gran parte l'erosione dei redditi agricoli
derivante dall'aumento dei costi di produzione. Chi tuttavia trae-
va maggiore beneficio da queste decisioni erano senza dubbio gli
agricoltori belgi, che, grazie anche alla consistente svalutazione
del franco belga del febbraio 1982, mettevano al proprio attivo
un aumento medio dei prezzi .agricoli di oltre il 16%, allorché
il tasso d'inflazione non raggiungeva il 9 % . Il Consiglio ha pe-
raltro dato seguito alla proposta della Commissione di fissare de-
gli obiettivi di produzione in alcuni settori critici (cereali, latte,
colza e ortofrutticoli trasformati) oltrepassati i quali si farà ri-
corso alla corresponsabilità dei produttori, in genere sotto forma
di una riduzione del prezzo d'intervento per l'insieme dei pro-
duttori e per la totalità della produzione. Si è inteso, così, met-
tere un freno all'espansione incontrollata della produzione e del-
la spesa agricola in alcuni dei principali settori eccedentari. Nel
settore del latte, peraltro, è stato riconfermato il prelievo di
corresponsabilità sulla totalità del latte consegnato alle latterie,
ma il tasso è stato ridotto dal 2,5% al 2% del prezzo indica-
tivo. Il Consiglio ha inoltre deciso di versare agli stati membri
un importo totale di 120 milioni di Ecu da destinare ad aiuti ai
piccoli produttori di latte.
Nel quadro delle discussioni sulla modificazione dell' « acqui-
sito comunitario » mette conto infine segnalare le decisioni rela-
tive nel settcre del vino, che hanno apportato un indubbio

281
miglioramento all'organizzazione comune di mercato in questo
delicato settore dell'agricoltura mediterranea. A causa delle pro-
fonde divergenze di vedute emerse in Consiglio, sono state in-
vece rinviate ad una data ulteriore le modificazioni da apportare
al regime previsto per l'olio d'oliva e gli ortofrutticoli freschi.

282

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