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BELOTTI
SUPER YOU
COME INDIVIDUARE E ALLENARE
IL SUPERPOTERE CHE
TI RENDE STRAORDINARIO
varia
Proprietà letteraria riservata
© 2016 Rizzoli Libri S.p.A. / BUR Rizzoli
ISBN 978-88-17-08874-9
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superpapà affiancato da un’altra eroina: mia madre, che faceva
da moglie, mamma, infermiera e socia. Era lei che, in quel fran-
gente, teneva unita la famiglia. Allora ho capito che i supereroi
in carne e ossa sono più fighi di quelli dei fumetti. Ma come
fare a diventare uno di loro?
Grazie agli insegnamenti e all’esempio dei miei genitori
sono cresciuto bene, certo, però avevo anch’io i miei lati oscuri,
come tutti gli adolescenti. In particolare, provavo invidia per
quei ragazzini che potevano permettersi ciò che io non avevo;
parlo di cose materiali, stupidate, ma all’epoca mi sembravano
importanti. In sostanza mi sentivo inadeguato, volevo essere
come loro, così ho fatto un errore comune a molti: ho provato a
piacere agli altri adeguandomi alla massa. Be’, non era la strada
giusta, ma l’avrei capito solo più avanti
Riflettendoci bene, tutti i «cattivi» della mia storia perso-
nale hanno in comune la capacità di farmi sentire inferiore.
C’è voluto del tempo, ma alla fine ho imparato a non lasciar-
glielo fare, e ora li ringrazio persino: non fosse stato per loro,
non sarei mai arrivato a comprendere quali sono i miei super-
poteri. In fondo ogni supereroe ha bisogno di un cattivo da
affrontare, che lo spinga a dare sempre il massimo; se non ne
avessimo uno anche noi non riusciremmo a realizzare le nostre
vere potenzialità. Grazie a persone del genere, ai miei genito-
ri e ai tanti maestri della formazione che ho avuto l’onore di
affiancare – e che affianco ancora oggi – sono cresciuto. Ho
sviluppato i miei poteri, imparato cose nuove e migliorato me
stesso. Certo, di strada da fare ne ho ancora, perché la crescita
è un processo continuo e nessuno può dirsi arrivato, ma ora so
che sono stato fortunato.
Sono nato in un Paese libero, sebbene pieno di problemi, e
in una famiglia che è rimasta aperta al domani anche nei mo-
menti di difficoltà. Non ho sviluppato la telepatia o la capacità
di sparare raggi dagli occhi, ma ho tutte le abilità utili a vivere
una vita ricca di soddisfazioni. Ho avuto la fortuna di fare tante
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cose, quasi tutte belle e comunque tutte figlie di mie decisioni.
Ho fatto delle scelte, pagandone il prezzo e incassando il pre-
mio; non sempre è stato facile, ma ne è valsa la pena. Periodi-
camente mi sono messo in discussione, a volte cambiando tutto
altre volte solo qualcosa.
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Nel mio lavoro da coach, cerco di fare in modo che non
sia necessario passare dal Golgota per risorgere. Aiuto i miei
clienti a tirar fuori quello che hanno dentro, perché sono fer-
mamente convinto che ognuno di noi nasconde superpoteri
straordinari e, se li mette in campo, può diventare un eroe. Ma-
gari non salveremo l’universo dal malvagio di turno, ma pos-
siamo creare un mondo migliore a partire da casa nostra, dalla
nostra famiglia, dai nostri amici, colleghi o clienti. Da quando
ho cominciato a leggere fumetti è ormai passato tanto tempo,
ma in tutti questi anni ho capito qualcosa di importante: i veri
supereroi sono le persone che tutti i giorni cercano di fare qual-
cosa per migliorare se stessi e la realtà che li circonda. Magari
partendo da piccoli gesti concreti.
Quindi, se vorrai seguirmi, nelle prossime pagine ti accom-
pagnerò a scoprire i tuoi superpoteri. Sarò una guida e un com-
pagno di viaggio, pronto a tenderti una mano o a indicarti la
via mentre tu porti alla luce il tuo potenziale. D’altra parte,
ogni supereroe che si rispetti ha bisogno di un partner...
Nel nostro viaggio arriverai a realizzare chi sei veramente,
cosa puoi fare e come puoi farlo. Lo scopo è renderti più felice,
aiutarti a fare del bene e mostrarti come goderti la vita anziché
sprecare il tuo tempo e le tue capacità.
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Smith, il cantante dei Cure: «Io non sono migliore di nessuno,
ma nessuno è migliore di me».
Come avrai intuito, il mio motto è: siamo tutti straordinari!
Ed è vero, lo siamo, anche se pochi si impegnano a realizzare
quella potenzialità. Perché per essere davvero noi stessi dob-
biamo smetterla di voler «essere come loro», e questo fa paura.
Chiariamo: non sto dicendo che è necessario diventare asociali,
strani o diversi a ogni costo. Se ti piace la moda del momento, e
vuoi seguirla, fallo. Ma fallo se l’hai deciso tu, se ti rende felice.
Se è solo una questione di fit in, di omologazione e adattamen-
to, allora c’è qualcosa che non va.
Nel mio metodo di coaching tutto parte da una domanda:
perché fai ciò che fai? È perché lo vuoi, o stai solo cercando di
riempire un vuoto? Se a spingerti è quest’ultima ragione non
sarai mai del tutto soddisfatto, e soprattutto non riempirai mai
il vuoto. Credimi, io ci ho provato prima di te. E sai chi mi ha
mostrato che sbagliavo? David Bowie.
Bowie non è stato soltanto un artista superlativo, per me è
stato anche un maestro. Mi ha insegnato tanto; in particolare,
grazie alle sue canzoni, ho capito che è inutile riempirsi la vita
di attività e beni materiali se ti porti dentro una voragine che
risucchia tutto. Non è il guscio a dare solidità all’uovo, ma ciò
che lo riempie. E tu devi essere completamente pieno di te!
Solo così raggiungerai il tuo vero potenziale.
Certo, non è una strada priva di rischi. Tirando fuori il tuo
io più profondo potresti non piacere a tutti. Se sei deciso, però,
poco importa: i supereroi fanno quello che fanno perché è giu-
sto, non per risultare simpatici. Poi a quel punto ti piacerai, ed
è questo che conta davvero. Per non parlare di ciò che potresti
scoprire; ad esempio che, se cominci ad apprezzarti sul serio,
risulti più affascinante anche agli occhi degli altri. E proprio
quando il loro giudizio non ti interessa più! Strano? Assolu-
tamente no, la vita è fatta di paradossi... ma questo è un altro
argomento, magari per il prossimo libro.
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Ora l’obiettivo è farti diventare
la miglior versione possibile di te stesso.
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chiederò di impegnarti a superare i tuoi limiti. Non sarà facile,
ma sarà utile. E, spero, anche divertente.
Scolpire un capolavoro dal marmo pregiato richiede impe-
gno. Io ti darò lo scalpello e ti insegnerò a usarlo, tu ci metterai
l’ottima materia prima che hai già... A questo punto, tocca solo
iniziare.
PRIMA PARTE
CHI SEI
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nità. Non serve sconfiggere tutti i cattivi del mondo o salvare
l’universo dalla minaccia di turno per essere annoverati tra le
loro fila; basta impegnarsi e fare del proprio meglio nelle picco-
le-grandi cose di ogni giorno.
Usando il linguaggio sportivo, potremmo dire che per ave-
re una bella vita – cioè una vita ricca di soddisfazioni – non
importa tanto trionfare in ogni scontro, fare sempre più punti
dell’avversario o alzare le coppe più prestigiose. In effetti non
si tratta affatto di vincere contro qualcosa o qualcuno. Si tratta
di avere un obiettivo e lottare per raggiungerlo. Questo signi-
fica essere un supereroe. Significa sapere chi si è, e utilizzare le
proprie risorse al meglio. Significa essere in armonia prima di
tutto con se stessi, e di conseguenza con il mondo, così da poter
fare del bene a sé e agli altri.
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allineati al vero sé. Grazie a essa vivono la vita in modo di-
verso, e non si stancano mai di combattere la mediocrità, la
cattiveria e gli abusi.
Perché un supereroe sa prendersi delle responsabilità, non
fa la vittima. Si evolve in continuazione, non resta semplice-
mente fermo. Fa del suo meglio, non si limita al minimo richie-
sto. Ama ciò che fa (anche se non sempre si diverte a farlo), non
si sforza «perché deve». Coglie le sfide e intravede opportunità
anziché subire passivamente i problemi. Tira fuori il meglio da
ogni situazione, non si limita a superarla sopportando e tirando
avanti. Sa ispirare gli altri, non li fa sentire annoiati. Apprezza e
ringrazia, non pretende lamentandosi. È curioso di conoscere,
scoprire e sapere, non è fossilizzato, testardo ed egocentrato. Si
prende cura di chi lo circonda, non resta indifferente. È pieno
di passione ed energia, non se ne sta in attesa che la vita passi.
È positivo e fiducioso, non pessimista, deluso e disincantato.
Be’, io penso che anche tu sia un supereroe, almeno in po-
tenza. Forse non ti senti sempre all’altezza del compito (d’altra
parte persino Capitan America ha bisogno di posare maschera
e scudo, ogni tanto), ma hai tutte le carte in regola per «in-
dossare il mantello». Sicuramente non sei perfetto, e magari
attraversi momenti difficili, periodi neri, di sconforto... Senti
di dover fare ancora dei passi avanti, come tutti. Però hai an-
che un gran cuore; vuoi diventare migliore e aiutare altri a fare
lo stesso. Non fosse così, non staresti leggendo questo libro.
Ecco perché, sì, sei anche tu un supereroe. Forse uno ancora
inesperto, insicuro, impreparato. Ma sei pronto a cominciare
l’addestramento.
2
LE DIECI CARATTERISTICHE
DEL SUPEREROE
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sofferenze patite, al bene fatto agli altri, alle conquiste, al suc-
cesso, all’amore dato e ricevuto...? Ho riflettuto a lungo sulla
questione. Ho chiesto pareri, letto opinioni e ascoltato persone
fidate, per capire quali potrebbero essere i kpi – da key per-
formance indicator, ovvero gli «indicatori chiave della presta-
zione» – in base ai quali valutare una questione tanto delicata
e personale. Insomma, ho cercato qualcosa che possiamo mi-
surare in noi stessi e negli altri, per valutare se e quanto siamo
supereroi. Se l’Uomo Ragno volesse darsi una pagella, in quali
materie dovrebbe assegnarsi un voto? Alla fine ho selezionato
dieci elementi, in base ai quali puoi provare a giudicarti. Ma, se
preferisci, puoi anche definire altri parametri. Poi, se sei curio-
so (e, da buon supereroe, sono certo che lo sei), potresti persino
chiedere a chi ti conosce bene di darti la sua valutazione, per
vedere se è diversa dalla tua. Non ti incuriosisce sapere che voti
ti darebbe la tua «zia May»?
Ecco i kpi che ho individuato.
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School (pubblicata anche nel loro testo Being the Boss),1 confer-
mano che troppo spesso le persone si accontentano della pro-
pria preparazione: una volta «arrivate» smettono di crescere e
imparare. Ma la nostra società ha bisogno di esperti, e premia
sempre chi sa un po’ di più. Sapere qualcosa che altri non san-
no può darti di sicuro un valore aggiunto.
Autostima. Credi in quello che sei, sai e fai, o hai bisogno che
qualcuno ti dica continuamente che sei «bravo e bello»? Se non
sei il primo sostenitore di te stesso, come puoi convincere gli
altri del tuo valore? Ricorda che è compito del supereroe dare
speranza e fiducia al prossimo, non il contrario! Certo, l’umiltà
è importante, ma solo se la si intende nel modo giusto: essere
umili non significa pensare meno di sé, bensì pensare meno a
sé. Apprezzati e mettiti al servizio di altri; credi in te, così sarai
utile anche a chi hai attorno.
1
L.A. Hill e K. Lineback, Being the Boss: The 3 Imperatives for Becoming a
Great Leader, Harvard Business Review Press, Boston 2011.
25
ne sono state moltissime; grazie a Dio ormai non funzionano
più. Ora ci servono supereroi veri; imperfetti, fallaci e magari
tormentati dai dubbi, ma autentici.
Scopo. Sai perché fai ciò che fai? Qual è la ragione profonda
che ti muove? È qualcosa di legato a te stesso o che va oltre? Se
agisci concentrandoti unicamente su di te non puoi essere un
vero supereroe. Tony Robbins – celebre life coach americano
che considero il mio maestro – sostiene che la forza interiore
nasce dal porsi al servizio degli altri. È quasi una legge di na-
2
T. Gilovich, A. Kumar e L. Jampol, A wonderful life: Experiential con-
sumption and the pursuit of happiness, «Journal of Consumer Psychology»,
n. 25, 2015.
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tura. Ecco, io sono convinto che tutto nasca da lì, dallo scopo.
Purtroppo siamo in pochi a voler investire tempo ed energia
nello scoprire o definire il nostro fine ultimo. E anche nella
mia esperienza di business coach incontro raramente aziende
che hanno uno scopo chiaro: hanno una visione, sanno cosa
vogliono creare, ma non sanno perché vogliono crearlo. Così,
alla lunga, perdono la motivazione e la strada.
3
Progress on sanitation and drinking-water – 2013 update, report a cura
dell’Unicef e della World Health Organization, consultabile all’indirizzo:
www.unicef.it/Allegati/Progress_Sanitation_2013.pdf
4
M.E.P. Seligman, Building Resilience, «Harvard Business Review», 2011;
R.A. Emmons, Thanks! How Practicing Gratitude Can Make You Happier,
Houghton Mifflin Company, Boston 2007; M.E. McCullough ed E. Polak,
27
vece sembra letteralmente diminuirla; chi è grato non sente la
paura nello stesso modo degli altri. Insomma: la gratitudine ti
rende più felice, ti fa godere di quello che hai. Inoltre migliora
persino il tuo stato di salute fisica!
28
Nella vita puoi pulire i cessi, fare caffè in un bar, insegnare ai
bambini, dirigere un’azienda o salvare vite al pronto soccorso...
Il punto è: vuoi farlo da supereroe o in modo anonimo?
29
va trovato l’impiego alla stazione di servizio. Per mantenere
la famiglia aveva accettato un’occupazione in apparenza poco
nobile, ma il modo in cui vi si dedicava era regale. Aveva sem-
pre il sorriso, puliva benissimo e tutti la adoravano. Molti ca-
mionisti – clienti importanti, che spesso viaggiano sulla stessa
tratta e con un solo pieno possono risollevare l’incasso di una
giornata – facevamo di tutto per fermarsi in quella stazione.
Sapevano di trovare bagni e docce puliti e una signora gentile
che li faceva sentire a casa. «Loro sono via dalla propria fami-
glia» mi spiegò ancora la donna. «Se possiamo farli stare bene
si sentiranno meno soli, e guideranno meglio.» Questa vera su-
pereroina mi insegnò una grande lezione di vita, per questo
la ricordo sempre con affetto. E, se capito da quelle parti, mi
fermo ancora alla sua stazione di servizio.
3
IL PARADOSSO UMANO
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concreti in ambiti prefissati è importante, ma lo considero sol-
tanto la parte terminale di un lavoro più profondo: puoi rag-
giungere gli obiettivi che ti sei dato ed essere comunque poco
felice, perché in realtà non incarnavano le tue priorità di vita,
ciò a cui tieni di più.
Purtroppo, capire cosa sia davvero importante per ciascuno
di noi non è affatto facile. Vittime di una sorta di ipnosi cultu-
rale, della pressione sociale o delle nostre stesse menzogne, ci
ritroviamo spesso a pensare che per essere soddisfatti si debba
avere successo in certi campi specifici e predeterminati, anzi-
ché nelle cose che più contano per noi come individui. E non si
tratta solo di un problema di obiettivi: riguarda anche le strate-
gie che attuiamo per raggiungere le nostre mete.
Quando domando a qualcuno, a mente e cuore sereni, quali
siano le cose più importanti della vita, quasi tutti nominano (in
ordine sparso):
- le relazioni interpersonali/l’amore;
- la salute;
- la felicità;
- la soddisfazione (dare significato a ciò che si fa);
- il rendersi utili agli altri.
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Per essere felici, davvero felici, bisogna voler
crescere ed essere disposti a impegnarsi.
1
Si veda, ad esempio: A. Alink, C.M. Schwiedrzik, A. Kohler, W. Singer e
L. Muckli, Stimulus Predictability Reduces Responses in Primary Visual Cor-
tex, «The Journal of Neuroscience», n. 30, 2010.
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restrizione pulsionale. In compenso la sua sicurezza di godere
a lungo di tale felicità era molto esigua. L’uomo civile ha ba-
rattato una parte della sua possibilità di felicità per un po’ di
sicurezza».
Così, oggi, subiamo gli influssi tanto della ricerca di sicu-
rezza quanto della struttura conservativa della nostra mente. Il
risultato è una «pigrizia mentale» che influenza il vivere quoti-
diano più di quanto potresti immaginare: tendi a sederti sem-
pre sulla stessa sedia quando ceni al tavolo di casa; fai sempre
la stessa strada per recarti al lavoro; frequenti abitualmente la
stessa ristretta cerchia di persone; ascolti la stessa stazione ra-
dio; ti vesti infilando sempre lo stesso braccio o la stessa gamba
per primi; lavi i denti partendo dallo stesso lato; usi quasi sem-
pre lo stesso gruppo di parole nei tuoi discorsi...
E per quanto riguarda i pensieri, siamo più innovativi? Ba-
sta fare un po’ di ricerca online (prova con le parole «thoughts
per day») per imbattersi in un nutrito gruppo di articoli – tra
riviste, blog e chi più ne ha più ne metta – che propongono sti-
me sulla nostra attività cerebrale quotidiana. I «risultati» però,
se così vogliamo chiamarli, sono tutt’altro che concordi: c’è chi
sostiene che ognuno di noi dia vita a 50.000 pensieri al giorno,
chi dice 70.000, 85.000 o addirittura 100.000... Simili differen-
ze fanno giustamente nascere non pochi dubbi, primo fra tutti:
ma come diamine li avranno contati? Be’, resta un mistero. Ma
su altri aspetti un po’ di chiarezza è stata fatta: sembra sia stato
un certo Charlie Greer ad attribuire la cifra di 50.000 pensieri
al giorno nientemeno che a una ricerca della National Science
Foundation, come ben ricostruito in un articolo apparso sul
sito della rivista «Discover».2
2
Neuroskeptic, The 70.000 Thoughts Per Day Myth?, discovermagazine.
com, 9 maggio 2016, consultabile all’indirizzo: http://blogs.discovermaga-
zine.com/neuroskeptic/2012/05/09/the-70000-thoughts-per-day-myth/#.
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A parte l’enorme traffico di idee che affollerebbe quotidia-
namente la nostra testa, però, è un altro l’elemento sul quale
vorrei porre l’accento: molti di quelli che riportano simili stime,
anche fra le fonti più affidabili, sostengono che una percentuale
compresa tra l’80 e il 90 per cento di quella mole sia costituita
in realtà da pensieri che abbiamo già fatto in passato. Se fosse
vero, il dato avrebbe un che di preoccupante. In sostanza, il
nostro cervello ricorderebbe da vicino un CD che salta, incan-
tandosi sempre sulle stesse tracce.
Una cosa comunque è certa: tendiamo a ripeterci. Se non
facciamo nulla per cambiare ed evolverci, finiamo inevitabil-
mente con il rimanere fermi; e, considerato che il mondo avan-
za, di fatto è come se tornassimo indietro. Quindi, per essere
un supereroe, devi andare oltre all’atteggiamento di inerzia che
la tua mente e il tuo corpo ti porterebbero ad avere.
Un discorso che vale, a maggior ragione, per l’idea che hai
di te stesso.
4
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L’identità, l’idea di sé, è un affare «complesso». Uso questa pa-
rola in senso etimologico: come riporta il dizionario online del-
la Treccani, il termine deriva dal latino complexus, participio
passato di complecti, «stringere, comprendere, abbracciare», e
indica qualcosa che «risulta dall’unione di più parti o elemen-
ti», che «ha diversi aspetti sotto cui si può o si deve considerare
e di cui bisogna tener conto».
Be’, come tutte le cose complesse, anche la questione della
propria identità tende a diventare complicata.
C’è chi si definisce in modo autonomo: decide chi è e non si
lascia influenzare dagli altri o dalla realtà esterna. Ci sono poi
persone che vivono ancorate a immagini di sé sviluppate nel
passato, magari legate a uno o due eventi importanti delle loro
vite. Altre si lasciano inquadrare dalle opinioni di chi hanno
attorno, e spesso si tratta ancora una volta di idee formate in
un passato più o meno recente. Ma esistono anche individui
proiettati sul futuro, che collegano ciò che sono oggi a quello
che faranno o otterranno domani.
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Per aiutarti a riflettere ancora un po’ sulla tua risposta, però,
possiamo provare ad analizzare come si va formando questa
misteriosa «sostanza».
Alla base della definizione del sé ci sono due dinamiche di
percezione: una legata al fattore tempo, l’altra al punto di origi-
ne dell’immagine che si è interiorizzata. In sostanza, possiamo
dire che l’identità si compone di quattro ingredienti principali:
ciò che pensi tu, ciò che pensano gli altri, il tuo passato e il tuo
presente/futuro.
presente/futuro
Identità Identità
programmata creata
altri te stesso
Identità Identità
riflessa ricordata
passato
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messo una divisa militare addosso, lo costringeva a fare eserci-
zio per tenerlo in forma e lo circondava di persone forti. Ora è
in sovrappeso, fa un lavoro che odia, vive con una donna che
non ama più e aspetta solo la pensione. Un po’ triste, vero?
Vent’anni fa si sentiva un supereroe (aveva persino l’uniforme);
oggi chissà cosa pensa di sé... Da come lo vedo io, non deve
sentirsi tanto bene.
Un altro esempio di identità ricordata è incarnato dal com-
messo di un negozio dove andavo spesso: divorziato da diciotto
anni, parlava ancora della sua ex moglie. Era come se per lui
il tempo non fosse passato, fermandosi al giorno in cui si era-
no lasciati. A modo suo sembrava un Amish: come i membri
di quella comunità protestante, rifiutava lo scorrere del tempo.
Nel suo caso era la moglie a farlo sentire un supereroe; via lei,
via tutti i poteri. Così lui si ostinava a vivere congelato in quella
realtà ormai finita.
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patentato, per via della sua nazionalità. E avanti così. Quasi
sempre, chi dà simili giudizi non lo fa con intenzioni negative
o volontariamente denigratorie: spesso non si rende nemmeno
conto di fare delle discriminazioni. L’importante è non farsi
fregare da simili opinioni preconcette. Se cadi nella trappola,
se indossi il costume che ti danno loro e interpreti il ruolo che
ti assegnano, rischi di smarrirti e dimenticare chi sei veramen-
te. E questo è un peccato mortale, che nessun supereroe può
permettersi di fare.
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Discutemmo del più e del meno per ammazzare la noia della
coda; quando arrivò il mio momento mi congedai salutandolo e
ringraziandolo. Lui rispose dicendomi: «Grazie a te, e compli-
menti: farai tanta strada nella vita. Io ho naso per queste cose.
Tu avrai successo, fidati. Sei in gamba». Sentire quelle parole
da un signore tanto rispettabile, sebbene non ne conoscessi il
nome e lo potessi giudicare solo da quei pochi minuti trascorsi
assieme, mi diede una gran fiducia in me stesso. Quarant’anni
dopo lo ricordo ancora, e continua a darmi forza. Insomma,
l’identità programmata può essere un elemento limitante o po-
tenziante. E se è del secondo tipo, ovviamente, è molto meglio!
Quello che più conta, però, è non usarla in nessun caso come
un paravento. Ci sono persone che si giustificano nascondendo-
si dietro le opinioni altrui; in troppi danno la colpa dei propri
insuccessi o di come sono diventati ai genitori, ai professori, ai
partner, ai capi e chissà a chi altro. Se ciò che sei diventato non
ti soddisfa, cambia. Liberati della vecchia programmazione e
costruiscine una nuova, migliore. La tua. Io sono qui per aiu-
tarti a farlo.
42
interiore radicata soprattutto sulla propria opinione, su chi si è
e su chi si vuole diventare. Ricordando sempre di tenere i piedi
ben saldi a terra. Io sono una persona positiva, e credo che
quasi tutte le mete siano raggiungibili, ma non sono un folle:
so che non sono e non sarò mai un giocatore di basket da NBA
o Eurolega; so che morirò e so di avere dei limiti. Allo stesso
tempo, però, cerco di non crearmene di nuovi, e di sfuggire
a quelli che altre persone cercano di impormi. So che il mio
passato è, appunto, passato, e non prova nulla sulla mia abilità
di fare o non fare qualcosa oggi. Soprattutto, non prova nulla
su quello che sono o non sono adesso. So anche che è felice,
soddisfatto e ha successo chi decide da sé come vuole essere
veramente, e si impegna a diventarlo. Proprio per questo ha
successo ed è felice.
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Poi ci sono i supereroi. A volte non hanno ancora ottenuto
grandi vittorie, ma ciò non cambia la loro natura: hanno valori
forti, convinzioni salde e grandi virtù; e, prima o poi, raggiun-
geranno i risultati che meritano. Sto usando la parola «super-
eroi», ma potrei usare la metafora sportiva e chiamarli «campio-
ni». D’altra parte, proprio lo sport ci dà spesso belle lezioni di
vita. Mentre stendevo queste righe un altro Claudio, allenatore
di calcio in Inghilterra, stava scrivendo con la sua squadra di
provincia una pagina di storia. Grazie al suo lavoro e alla pas-
sione dei suoi giocatori ha vinto la Premier League, il massimo
campionato inglese di calcio (oggi considerato tra i più belli al
mondo). Grazie a questa conquista ha ridato speranza a una città
con tanti problemi, e donato entusiasmo a persone che lo stava-
no perdendo. Inoltre ha dimostrato nei fatti che con l’impegno,
la passione e il lavoro si può «battere» anche chi ha più risor-
se materiali di noi. Quella del Leicester City è una gran bella
favola, perché è vera. Certo, le cronache raccontano anche dei
tanti, troppi atleti che vincono grazie al doping o a qualche altro
trucco. A volte vengono scoperti, a volte la fanno franca, ma co-
munque vada si porteranno per sempre dentro la consapevolez-
za di aver barato. E, all’estremo opposto, ci sono quelli che non
hanno ancora vinto nulla, però sono già dei campioni: credono
nell’etica e nel lavoro sodo, hanno valori e virtù che non mettono
in discussione per prendere scorciatoie. Per questo, prima o poi,
trionferanno. Forse non sul campo, ma di certo sul terreno più
importante: quello della vita. Vinceranno perché saranno stati
fedeli a se stessi anziché trasformarsi in una menzogna vivente.
Quali sono, allora, le strade da percorrere per costruirsi
un’identità sana e salda, che permetta di raggiungere gli obiet-
tivi più importanti e al contempo metta al riparo dalla tentazio-
ne di imbellettare il proprio io, di barare con se stessi e con gli
altri? Che rischi bisogna imparare a evitare, e si riesce a scansar-
li? Nella mia esperienza di coach ho notato che troppo spesso
le persone si affidano al proprio passato per vivere il presen-
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te e pianificare il futuro. E, quel che è peggio, fanno lo stesso
anche nel definire la loro identità: si identificano con quanto
gli è capitato, e quasi mai è una buona idea. Ci sono nazioni o
città che versano in pessime condizioni, ma restano ancorate
alla memoria del loro antico splendore e sembrano non vedere
il presente; ci sono popoli in guerra per questioni vecchie di
secoli, che si ostinano a rivangare perpetrando l’odio reciproco.
Conosco persone stupende che vivono all’ombra di un errore
passato, dal quale non riescono a staccarsi. Ecco, in tutti questi
casi sarebbe necessario aggiornare il software. Non ha senso
riempirsi la casa di cose vecchie, che funzionano male e non
hanno valore. Figurarsi la testa...
D’altra parte, pensare solo al futuro non aiuta. Avrai sicu-
ramente conosciuto qualcuno che parla sempre e solo di ciò
che farà. Nel frattempo, però non fa proprio niente. Di fatto si
prende in giro da solo.
Anche definirsi in base a quel che dicono gli altri è pericolo-
so. Spesso, e per le ragioni più disparate, chi ci circonda non è
in grado di esprimere giudizi validi: non ci conosce abbastanza
o ci conosce da troppo tempo ed è legato a quel che eravamo;
non possiede gli strumenti adatti o il necessario distacco emoti-
vo per scrutarci in modo oggettivo...
45
Da un lato e dall’altro, nell’affidarsi agli altri come nel va-
lutarsi da sé, la regola più importante è: mai esagerare! Di-
venta un supereroe elegante. Usa cuore, buon senso, anima e
testa. Sono sicuro che puoi fare un lavoro straordinario. Tu sei
straordinario, unico come ciascuno di noi. Devi solo render-
tene conto.
5
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differente: forse non ti garantiranno trofei, reali o metaforici,
però ti aiutano a crescere come persona, a essere felice e fiero
di te stesso. Può trattarsi di cose grandi o piccole agli occhi del
mondo, ma l’importante è che per te siano risultati importanti,
qualcosa di cui essere orgoglioso e che ti ha appagato.
Questi due tipi di successi sono ovviamente slegati, e si pos-
sono ottenere i primi senza aver mai raggiunto i secondi, o vi-
ceversa. L’ideale, però, è sentire che entrambe le sfere ci hanno
regalato alcune soddisfazioni: potersi riconoscere dei risultati,
magari anche enormi, ma in uno soltanto di questi campi non
basterà a renderti felice.
Prima di continuare, dunque, è bene fermarci un attimo e
fare un piccolo inventario. Ti chiederei, come prima cosa, di
elencare qui sotto dieci tuoi successi pubblici ottenuti nel pas-
sato, meglio se recente (diciamo negli ultimi mesi, o un anno).
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Bene. A questo punto vorrei che tu ti ponessi alcune domande.
Si tratta di interrogativi semplici solo in apparenza, e che ri-
chiedono un grandissimo sforzo di sincerità e autoanalisi: solo
dando risposte ponderate potrai provare a correggere la rotta,
nel caso tu l’abbia persa.
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significativi possono mostrarti le tue stesse parole? Be’, la do-
manda è lecita. Per risponderti, voglio parlarti di un uomo che
ho molto ammirato: uno dei più grandi allenatori americani di
basket universitario, John Wooden. Lui amava ripetere che il
semplice risultato sportivo dovrebbe essere meno importante
di quanto non sia. Spiegava che si può vincere un match anche
giocando male, oppure perderne un altro sebbene si sia gioca-
to alla grande. Secondo lui, si capisce davvero se si ha vinto o
perso solo quando, a fine partita, magari sotto la doccia, una
sincera autoanalisi ti dice quanto hai dato in campo. Sei hai
fatto del tuo meglio e hai perso, puoi comunque considerarlo
un successo. Se il risultato è stato a tuo favore ma non te lo sei
veramente meritato, non dovresti festeggiare. Il punto è che
non sempre è facile capire sei hai meritato o no, se puoi fe-
steggiare o no, per questo ti ho chiesto di riflettere bene sulla
questione: perché, a mio avviso, ciò che conta di più è quello
che senti dentro di te.
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elementare, quando la maestra ci evidenzia in rosso gli sbagli,
mentre i passaggi giusti vengono dati quasi per scontati. Ini-
ziamo a ragionare così fin da piccoli, e com’è naturale conti-
nuiamo anche da grandi. Ma questa spinta all’enfatizzazione
dell’errore non è legata solo al mondo della scuola, o alla prima
educazione. Vuoi un esempio preso da un altro campo? Persi-
no la religione tende a sottolineare che siamo peccatori; mette
l’accento sugli sbagli che commettiamo e ci invita a essere umili
e timorosi. Sia chiaro: sarebbe altrettanto sbagliato essere inu-
tilmente spavaldi, o peggio incoscienti, e non curarsi affatto dei
propri errori. Il punto è che bisognerebbe dare lo stesso peso a
entrambi i poli, e se ci tormentiamo per i nostri difetti dovrem-
mo imparare a riconoscere la stessa importanza ai pregi.
Ti propongo un altro esercizio: se non lo sei già, immagina
di essere un genitore. Tuo figlio arriva a casa con la pagella e te
la porge da firmare. Tu la scorri velocemente.
Italiano: 9
Storia: 8
Lingua straniera: 5
Educazione fisica: 9
Educazione artistica: 8
Matematica: 9
Scienze: 9
Geografia: 8
Condotta: 9
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persona qualunque, i cui pregi contano molto poco e dunque
deve lavorare sui propri difetti se vuole fare strada. Tranquillo,
non sei l’unico ad aver interiorizzato questa visione distorta, e il
mio obiettivo è proprio aiutarti a liberartene. Quindi continua
a leggere e prova ad applicare i miei consigli: ti assicuro che i
risultati si vedranno, eccome.
Iniziamo con il dire che ricerche e prove sul campo di-
mostrano come l’approccio migliore sia proprio quello con-
trario: focalizzarsi sui pregi, valorizzare i talenti e migliorare
ciò che già si fa bene, per puntare su quello, garantisce non
solo risultati migliori in meno tempo, ma soprattutto riduce
di molto lo stress. Il lavoro condotto dal padre della strenghts
psychology, il professor Donald Clifton della University of Ne-
braska-Lincoln, e presentato assieme a Marcus Buckingham
della Gallup (azienda privata americana, leader nella ricerca
in statistica, gestione delle risorse umane e management), è
un esempio pratico di quanto vedo ogni giorno come coach:
rafforzare i punti di forza porta più risultati che lavorare sui
cosiddetti «punti deboli».1 Nel caso della pagella, dunque, è
meglio insistere su ciò che tuo figlio fa bene, anziché sottoline-
are cosa fa male. Gli studi del comportamentismo (una branca
della psicologia sviluppatasi agli inizi del Novecento, a par-
tire dalle ricerche di John Watson) confermano che, se vuoi
che qualcuno faccia qualcosa, ti conviene premiarlo quando
si comporta come desideri piuttosto che punirlo quando non
fa il contrario. Ad esempio, se intendi insegnare al tuo cane a
fare i bisogni in giardino e non in casa, otterrai più facilmente
lo scopo se gli dai un premio quando fa ciò che deve sull’erba,
piuttosto che sgridarlo quando la fa sul tappeto. Per dirla in
termini tecnici, il rinforzo positivo batte il rinforzo negativo; o,
se preferisci, la carota funziona meglio del bastone. Vale per i
1
D.O. Clifton e M. Buckingham, Now, Discover Your Strengths, Free Press,
New York 2001.
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cani, vale per i topolini in laboratorio, e vale ancor di più per
gli esseri umani.
Introduzione 9
PRIMA PARTE
CHI SEI
SECONDA PARTE
COSA FARE
Conclusione 255
Ringraziamenti 257
Nota sull’autore 259
Bibliografia 261