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CLAUDIO

BELOTTI

SUPER YOU
COME INDIVIDUARE E ALLENARE
IL SUPERPOTERE CHE
TI RENDE STRAORDINARIO

varia
Proprietà letteraria riservata
© 2016 Rizzoli Libri S.p.A. / BUR Rizzoli

ISBN 978-88-17-08874-9

Prima edizione BUR Varia settembre 2016

Curatela redazionale: Fabio Trevisiol


Realizzazione editoriale: NetPhilo, Milano

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A David Bowie, il più grande di tutti,
per avermi accompagnato nella vita
insegnandomi che essere diversi è bello e normale,
e per aver mostrato al mondo
che possiamo essere eroi.
Ci hai dato tantissimo, e ci manchi ancora di più.
SUPER YOU
INTRODUZIONE

Godetevi la vita, è tutto ciò che abbiamo.


Steven Patrick Morrissey

Da bambino ho passato interi pomeriggi a leggere le gesta dei


supereroi. Mi piaceva perdermi in un mondo nel quale qual-
cuno, apparentemente normale o addirittura un po’ sfigato,
celava in realtà poteri enormi. E mi piaceva ancora di più ve-
dere che quei tizi straordinari mettevano le loro super-risorse
al servizio di qualcosa o qualcuno, combattendo l’egoismo dei
loro nemici.
Erano molti i personaggi che amavo: i Fantastici 4 perché
erano una squadra; Superman perché nei panni di Clark Kent
sembrava un tonto incapace di dichiararsi alla sua amata; Bat-
man perché non aveva poteri ma gadget strafighi; Hulk perché
si arrabbiava e perdeva il controllo. Il mio preferito, però, era
Thor, il figlio di un dio con non pochi problemi.
Poi sono cresciuto, ho iniziato a leggere anche altro e ho
scoperto un nuovo tipo di eroe. Quando ero un ragazzo mio
padre entrava e usciva continuamente dagli ospedali, per pro-
blemi di salute. Lottava contro un male che io mi ostinavo a
chiamare sempre «disfunzione renale». Era un mio modo per
rendere la cosa meno grave ai miei occhi: nella mia mente una
«malattia» lo avrebbe reso debole, una «disfunzione» no. Gra-
zie al suo modo di vivere le difficoltà è diventato il mio eroe; un

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superpapà affiancato da un’altra eroina: mia madre, che faceva
da moglie, mamma, infermiera e socia. Era lei che, in quel fran-
gente, teneva unita la famiglia. Allora ho capito che i supereroi
in carne e ossa sono più fighi di quelli dei fumetti. Ma come
fare a diventare uno di loro?
Grazie agli insegnamenti e all’esempio dei miei genitori
sono cresciuto bene, certo, però avevo anch’io i miei lati oscuri,
come tutti gli adolescenti. In particolare, provavo invidia per
quei ragazzini che potevano permettersi ciò che io non avevo;
parlo di cose materiali, stupidate, ma all’epoca mi sembravano
importanti. In sostanza mi sentivo inadeguato, volevo essere
come loro, così ho fatto un errore comune a molti: ho provato a
piacere agli altri adeguandomi alla massa. Be’, non era la strada
giusta, ma l’avrei capito solo più avanti
Riflettendoci bene, tutti i «cattivi» della mia storia perso-
nale hanno in comune la capacità di farmi sentire inferiore.
C’è voluto del tempo, ma alla fine ho imparato a non lasciar-
glielo fare, e ora li ringrazio persino: non fosse stato per loro,
non sarei mai arrivato a comprendere quali sono i miei super-
poteri. In fondo ogni supereroe ha bisogno di un cattivo da
affrontare, che lo spinga a dare sempre il massimo; se non ne
avessimo uno anche noi non riusciremmo a realizzare le nostre
vere potenzialità. Grazie a persone del genere, ai miei genito-
ri e ai tanti maestri della formazione che ho avuto l’onore di
affiancare – e che affianco ancora oggi – sono cresciuto. Ho
sviluppato i miei poteri, imparato cose nuove e migliorato me
stesso. Certo, di strada da fare ne ho ancora, perché la crescita
è un processo continuo e nessuno può dirsi arrivato, ma ora so
che sono stato fortunato.
Sono nato in un Paese libero, sebbene pieno di problemi, e
in una famiglia che è rimasta aperta al domani anche nei mo-
menti di difficoltà. Non ho sviluppato la telepatia o la capacità
di sparare raggi dagli occhi, ma ho tutte le abilità utili a vivere
una vita ricca di soddisfazioni. Ho avuto la fortuna di fare tante

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cose, quasi tutte belle e comunque tutte figlie di mie decisioni.
Ho fatto delle scelte, pagandone il prezzo e incassando il pre-
mio; non sempre è stato facile, ma ne è valsa la pena. Periodi-
camente mi sono messo in discussione, a volte cambiando tutto
altre volte solo qualcosa.

Ho imparato a dare il massimo e a godere di ogni


giorno, così mi sono garantito una vita bella,
ricca di esperienze e di emozioni.

Eppure non ho fatto nulla di speciale; ho solo vissuto, credu-


to in me stesso e costruito qualcosa: prima la mia personalità,
poi una famiglia con la mia amata Nancy e infine un’azienda.
Certo, non passerò alla storia, ma non era il mio obiettivo. Io
volevo solo vivere bene.
Oggi, attraverso il lavoro che ho fatto, ho trovato i miei pote-
ri, il mio scopo e so qual è la mia kryptonite. E, in tutto questo
tempo, non ho mai smesso di andare a caccia di superpoteri.
Solo che ho cambiato «target»: ora cerco strade nuove per aiu-
tare le persone a scoprire le loro reali potenzialità, così che su-
perino i propri limiti, reali o presunti. E vorrei mettere questa
abilità al tuo servizio.
Non so se ci hai mai fatto caso, ma quasi tutti i personaggi dei
fumetti diventano supereroi dopo una tragedia (come Batman)
o un incidente (come Hulk). Ecco, la stessa cosa capita nella
vita vera: molte persone realizzano appieno il proprio potenziale
solo dopo aver superato un grosso problema, o un incidente.
Una meccanica che si ripete persino nello sport, quando gli atle-
ti si trovano a dover affrontare un infortunio. Fino a simili crisi,
purtroppo, la maggior parte delle persone si trascina mediocre-
mente un giorno dopo l’altro, anziché sfruttare appieno i propri
talenti. Poi, se tutto «va bene», la vita obbliga a svegliarsi.

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Nel mio lavoro da coach, cerco di fare in modo che non
sia necessario passare dal Golgota per risorgere. Aiuto i miei
clienti a tirar fuori quello che hanno dentro, perché sono fer-
mamente convinto che ognuno di noi nasconde superpoteri
straordinari e, se li mette in campo, può diventare un eroe. Ma-
gari non salveremo l’universo dal malvagio di turno, ma pos-
siamo creare un mondo migliore a partire da casa nostra, dalla
nostra famiglia, dai nostri amici, colleghi o clienti. Da quando
ho cominciato a leggere fumetti è ormai passato tanto tempo,
ma in tutti questi anni ho capito qualcosa di importante: i veri
supereroi sono le persone che tutti i giorni cercano di fare qual-
cosa per migliorare se stessi e la realtà che li circonda. Magari
partendo da piccoli gesti concreti.
Quindi, se vorrai seguirmi, nelle prossime pagine ti accom-
pagnerò a scoprire i tuoi superpoteri. Sarò una guida e un com-
pagno di viaggio, pronto a tenderti una mano o a indicarti la
via mentre tu porti alla luce il tuo potenziale. D’altra parte,
ogni supereroe che si rispetti ha bisogno di un partner...
Nel nostro viaggio arriverai a realizzare chi sei veramente,
cosa puoi fare e come puoi farlo. Lo scopo è renderti più felice,
aiutarti a fare del bene e mostrarti come goderti la vita anziché
sprecare il tuo tempo e le tue capacità.

Ti accorgerai che puoi fare di più,


e di meglio,
con meno fatica
e soprattutto meno stress.

Il segreto? Essere semplicemente se stessi. Tutti dovremmo mi-


rare a quello. La normalità va bene per le cose nella norma,
ma per ciò che conta sul serio bisogna tirar fuori il nostro io
profondo, quel che ci rende unici. Per citare le parole di Robert

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Smith, il cantante dei Cure: «Io non sono migliore di nessuno,
ma nessuno è migliore di me».
Come avrai intuito, il mio motto è: siamo tutti straordinari!
Ed è vero, lo siamo, anche se pochi si impegnano a realizzare
quella potenzialità. Perché per essere davvero noi stessi dob-
biamo smetterla di voler «essere come loro», e questo fa paura.
Chiariamo: non sto dicendo che è necessario diventare asociali,
strani o diversi a ogni costo. Se ti piace la moda del momento, e
vuoi seguirla, fallo. Ma fallo se l’hai deciso tu, se ti rende felice.
Se è solo una questione di fit in, di omologazione e adattamen-
to, allora c’è qualcosa che non va.
Nel mio metodo di coaching tutto parte da una domanda:
perché fai ciò che fai? È perché lo vuoi, o stai solo cercando di
riempire un vuoto? Se a spingerti è quest’ultima ragione non
sarai mai del tutto soddisfatto, e soprattutto non riempirai mai
il vuoto. Credimi, io ci ho provato prima di te. E sai chi mi ha
mostrato che sbagliavo? David Bowie.
Bowie non è stato soltanto un artista superlativo, per me è
stato anche un maestro. Mi ha insegnato tanto; in particolare,
grazie alle sue canzoni, ho capito che è inutile riempirsi la vita
di attività e beni materiali se ti porti dentro una voragine che
risucchia tutto. Non è il guscio a dare solidità all’uovo, ma ciò
che lo riempie. E tu devi essere completamente pieno di te!
Solo così raggiungerai il tuo vero potenziale.
Certo, non è una strada priva di rischi. Tirando fuori il tuo
io più profondo potresti non piacere a tutti. Se sei deciso, però,
poco importa: i supereroi fanno quello che fanno perché è giu-
sto, non per risultare simpatici. Poi a quel punto ti piacerai, ed
è questo che conta davvero. Per non parlare di ciò che potresti
scoprire; ad esempio che, se cominci ad apprezzarti sul serio,
risulti più affascinante anche agli occhi degli altri. E proprio
quando il loro giudizio non ti interessa più! Strano? Assolu-
tamente no, la vita è fatta di paradossi... ma questo è un altro
argomento, magari per il prossimo libro.

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Ora l’obiettivo è farti diventare
la miglior versione possibile di te stesso.

Se ti va di accettare questa sfida, dovrai prepararti ad affrontare


un avversario temibile: tu. Perché la vita non è una competizio-
ne da vincere contro gli altri; anzi, tutti quelli che ti circondano
sono tuoi compagni di squadra. Sì, hai letto bene, tutti; persino
chi ti metterà i bastoni fra le ruote, o chi hai sempre considerato
un tuo «nemico». Come ti ho detto, se non avessi antagonisti
non potresti diventare un supereroe.
In un mondo perfetto persone del genere non servirebbero.
Ma non viviamo nel migliore dei mondi possibili, e sono pro-
prio i cattivi a spingere gli eroi ad allearsi e fare del bene. Ti
dirò di più: un vero supereroe, quando può, fa del bene persino
ai propri antagonisti. In fondo, spesso e volentieri, sono trage-
die simili ad aver formato supereroi e supercattivi. La differen-
za è che il cattivo si è fatto sopraffare dal dolore, l’eroe ne ha
fatto tesoro per diventare migliore. Insomma, i cattivi sono sta-
ti meno fortunati, meno forti o meno volenterosi. E i supereroi
sono tali anche perché, anziché punire chi li osteggia, provano
a salvarlo dai suoi stessi demoni.

Nessun supereroe pensa solo a se stesso.


Non sarebbe un eroe, né una persona super.

Bene, ormai dovresti aver capito cosa ti aspetta. Sei pronto a


imbarcarti con me in questa avventura? Allora è arrivato il mo-
mento di partire. Se vorrai darmi il privilegio di essere il tuo
coach ti ripagherò con impegno, chiarezza e lealtà. Forse non
ti sarò sempre simpatico, magari dirò anche cose scomode o ti

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chiederò di impegnarti a superare i tuoi limiti. Non sarà facile,
ma sarà utile. E, spero, anche divertente.
Scolpire un capolavoro dal marmo pregiato richiede impe-
gno. Io ti darò lo scalpello e ti insegnerò a usarlo, tu ci metterai
l’ottima materia prima che hai già... A questo punto, tocca solo
iniziare.
PRIMA PARTE

CHI SEI

«Chi sei tu?»


«Flash Gordon. Quarterback. New York Jets.»
(dal film Flash Gordon, 1980)
1

SUPEREROE, TU? SÌ , PROPRIO TU!

Un eroe è un individuo normale che trova la forza di


perseverare e andare avanti nonostante
gli ostacoli che lo sovrastano.
Christopher Reeve (celebre interprete di Superman,
rimasto tetraplegico dopo un incidente a cavallo)

Hai mai pensato di poter essere un supereroe? Forse, da bam-


bino, avrai indossato un loro costume a carnevale o ti sarai ca-
lato nella parte giocando con gli amici; magari ne hai seguito le
avventure nei fumetti o al cinema. Ma, a parte questi momenti,
nella vita di tutti i giorni ti reputi probabilmente un «comune
mortale». Be’, io la penso in modo diverso: credo che tu possa
essere sul serio un supereroe. E, se non lo sei già senza nemme-
no rendertene conto, di certo hai il potenziale per diventarlo.
Questo libro ti aiuterà a tirar fuori la tua natura profonda.
Ti sembra assurdo? Immaginare di essere definito «super-
eroe» ti fa sorridere? Tu, con tutte le tue paure e debolezze, con
i tuoi cedimenti... Tu, che raramente ti senti speciale e di certo
non hai mai sventato l’attacco di potenti extraterrestri o scien-
ziati pazzi... Be’, per iniziare, forse è meglio mettersi d’accordo
su cosa intendo io con questa parola. Voglio usare la metafora
dei celebri personaggi dei comics (il genere di fumetti tipico
della Marvel, della DC e di tante altre case editrici) per dire
qualcosa di semplice ma al contempo radicale: i veri supereroi
non indossano costumi e mantelli, né fanno sfoggio di poteri
incredibili; i veri supereroi sono quelli che vivono la vita di tutti
i giorni facendo qualcosa di straordinario nella loro quotidia-

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nità. Non serve sconfiggere tutti i cattivi del mondo o salvare
l’universo dalla minaccia di turno per essere annoverati tra le
loro fila; basta impegnarsi e fare del proprio meglio nelle picco-
le-grandi cose di ogni giorno.
Usando il linguaggio sportivo, potremmo dire che per ave-
re una bella vita – cioè una vita ricca di soddisfazioni – non
importa tanto trionfare in ogni scontro, fare sempre più punti
dell’avversario o alzare le coppe più prestigiose. In effetti non
si tratta affatto di vincere contro qualcosa o qualcuno. Si tratta
di avere un obiettivo e lottare per raggiungerlo. Questo signi-
fica essere un supereroe. Significa sapere chi si è, e utilizzare le
proprie risorse al meglio. Significa essere in armonia prima di
tutto con se stessi, e di conseguenza con il mondo, così da poter
fare del bene a sé e agli altri.

Il vero supereroe ha uno spirito positivo.


Guidato dalla spinta che nasce dentro di lui,
dà il meglio in tutto ciò che fa.

Insomma, essere un supereroe è qualcosa che parte da dentro


di te, non da ciò che ti circonda. Non servono morsi di ragni
radioattivi, bagni di raggi gamma o severissimi allenamenti
mistici. È una condizione dell’essere, frutto di una profonda
presa di coscienza, e non ha nulla a che fare con l’avere. Ecco,
questo è un concetto a me molto caro: il «segreto» per avere
una vita super è essere se stessi, assaporando ogni momento e
seguendo quel che è giusto per te. Non si tratta certo di una
mia scoperta, piuttosto di una consapevolezza nata nella notte
dei tempi; eppure – o forse proprio per questo – viene spesso
dimenticata. Comunque sia, i supereroi in carne e ossa – quelli
che camminano tra noi ogni giorno – sono persone che sanno
sfruttare la loro energia interiore, quella che nasce dall’essere

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allineati al vero sé. Grazie a essa vivono la vita in modo di-
verso, e non si stancano mai di combattere la mediocrità, la
cattiveria e gli abusi.
Perché un supereroe sa prendersi delle responsabilità, non
fa la vittima. Si evolve in continuazione, non resta semplice-
mente fermo. Fa del suo meglio, non si limita al minimo richie-
sto. Ama ciò che fa (anche se non sempre si diverte a farlo), non
si sforza «perché deve». Coglie le sfide e intravede opportunità
anziché subire passivamente i problemi. Tira fuori il meglio da
ogni situazione, non si limita a superarla sopportando e tirando
avanti. Sa ispirare gli altri, non li fa sentire annoiati. Apprezza e
ringrazia, non pretende lamentandosi. È curioso di conoscere,
scoprire e sapere, non è fossilizzato, testardo ed egocentrato. Si
prende cura di chi lo circonda, non resta indifferente. È pieno
di passione ed energia, non se ne sta in attesa che la vita passi.
È positivo e fiducioso, non pessimista, deluso e disincantato.
Be’, io penso che anche tu sia un supereroe, almeno in po-
tenza. Forse non ti senti sempre all’altezza del compito (d’altra
parte persino Capitan America ha bisogno di posare maschera
e scudo, ogni tanto), ma hai tutte le carte in regola per «in-
dossare il mantello». Sicuramente non sei perfetto, e magari
attraversi momenti difficili, periodi neri, di sconforto... Senti
di dover fare ancora dei passi avanti, come tutti. Però hai an-
che un gran cuore; vuoi diventare migliore e aiutare altri a fare
lo stesso. Non fosse così, non staresti leggendo questo libro.
Ecco perché, sì, sei anche tu un supereroe. Forse uno ancora
inesperto, insicuro, impreparato. Ma sei pronto a cominciare
l’addestramento.
2

LE DIECI CARATTERISTICHE
DEL SUPEREROE

La cosa più importante è creare se stessi.


Nancy Cooklin

Ci sono individui che si credono supereroi, ma non lo sono.


Altri, invece, lo sono senza rendersene conto. E tu, se ora ti
chiedessi di scegliere, in quale delle due categorie ti mettere-
sti? Faresti fatica a trovare il posto giusto per te? Il problema
è che non esiste una scheda di valutazione per definire un su-
pereroe, né criteri standard per giudicare una vita. Così, spes-
so facciamo l’errore di prendere per buono il giudizio altrui,
oppure i parametri che la società ci dà per misurare gli altri e
noi stessi.
Un piccolo esempio. Quando ero bambino, una maestra mi
ripeteva in continuazione che non sapevo disegnare. Aveva de-
ciso che non ne sarei mai stato capace, e io le ho creduto. Com’è
facile immaginare, la sua «profezia» si è avverata; non ho più
imparato. Negli anni, poi, ho lasciato che fosse la mia città nata-
le a definirmi, o altro ancora. Finché un giorno non ho deciso:
avrei stabilito da me chi ero e chi sarei diventato di lì in avanti.
In quel momento ho iniziato il mio cammino da supereroe.
Ebbene, scegliere di definirsi da sé, senza farsi limitare dai
giudizi esterni, è il primo passo. Ma, una volta fatto quello, come
possiamo misurare il nostro fattore X, il nostro tasso di «super-
eroicità»? Dobbiamo affidarci al reddito, alla forza fisica, alle

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sofferenze patite, al bene fatto agli altri, alle conquiste, al suc-
cesso, all’amore dato e ricevuto...? Ho riflettuto a lungo sulla
questione. Ho chiesto pareri, letto opinioni e ascoltato persone
fidate, per capire quali potrebbero essere i kpi – da key per-
formance indicator, ovvero gli «indicatori chiave della presta-
zione» – in base ai quali valutare una questione tanto delicata
e personale. Insomma, ho cercato qualcosa che possiamo mi-
surare in noi stessi e negli altri, per valutare se e quanto siamo
supereroi. Se l’Uomo Ragno volesse darsi una pagella, in quali
materie dovrebbe assegnarsi un voto? Alla fine ho selezionato
dieci elementi, in base ai quali puoi provare a giudicarti. Ma, se
preferisci, puoi anche definire altri parametri. Poi, se sei curio-
so (e, da buon supereroe, sono certo che lo sei), potresti persino
chiedere a chi ti conosce bene di darti la sua valutazione, per
vedere se è diversa dalla tua. Non ti incuriosisce sapere che voti
ti darebbe la tua «zia May»?
Ecco i kpi che ho individuato.

Motivazione. Quanta passione metti nel fare ciò che va fatto?


Sei bravo a darti/trovarti delle buone motivazioni, ovvero dei
buoni «motivi per agire»? Sai impegnarti anche nei compiti più
antipatici e noiosi, oppure sei uno che si trascina? Nella mia
esperienza di coach ho notato che questa è una delle differenze
più visibili tra chi fa bene e chi fa male. Tanto nella vita quoti-
diana quanto sul lavoro o nell’attività sportiva, chi è «super» lo
è grazie alla sua capacità di motivarsi. Anche e soprattutto nel
fare cose di per sé poco motivanti, come i famosi «fondamenta-
li» dello sport: quella parte dell’allenamento che diverte poco
ma è essenziale a ottenere dei risultati.

Competenza. Sei preparato nelle cose che fai? Ti formi e in-


formi costantemente? Oppure ti barcameni alla bene e me-
glio, sperando di non essere scoperto? Diverse ricerche, tra cui
quella di Linda Hill e Kent Lineback della Harvard Business

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School (pubblicata anche nel loro testo Being the Boss),1 confer-
mano che troppo spesso le persone si accontentano della pro-
pria preparazione: una volta «arrivate» smettono di crescere e
imparare. Ma la nostra società ha bisogno di esperti, e premia
sempre chi sa un po’ di più. Sapere qualcosa che altri non san-
no può darti di sicuro un valore aggiunto.

Abilità. Un conto è possedere delle competenze, un altro è sa-


perle applicare. Tu sai fare? Troppe persone hanno un bagaglio
di conoscenze che non traducono in qualcosa di concreto. Il
sapere senza il fare serve a poco. Per ottenere dei risultati biso-
gna agire: la conoscenza è importante, ma da sola non cambia
le cose. Bisogna passare all’azione.

Autostima. Credi in quello che sei, sai e fai, o hai bisogno che
qualcuno ti dica continuamente che sei «bravo e bello»? Se non
sei il primo sostenitore di te stesso, come puoi convincere gli
altri del tuo valore? Ricorda che è compito del supereroe dare
speranza e fiducia al prossimo, non il contrario! Certo, l’umiltà
è importante, ma solo se la si intende nel modo giusto: essere
umili non significa pensare meno di sé, bensì pensare meno a
sé. Apprezzati e mettiti al servizio di altri; credi in te, così sarai
utile anche a chi hai attorno.

Autenticità. Sei una persona genuina? Oppure usi qualche


tecnica per manipolare gli altri e persino te stesso? Costume
e mantello vanno bene, fanno parte del personaggio; potresti
anche indossare una maschera per proteggere la tua privacy...
Ma al nocciolo, nel tuo io profondo, sei vero o sei soltanto l’en-
nesimo bluff? Il mondo ha bisogno di persone vere, siamo tutti
stanchi di patacche. Nel campo della formazione per anni ce

1
L.A. Hill e K. Lineback, Being the Boss: The 3 Imperatives for Becoming a
Great Leader, Harvard Business Review Press, Boston 2011.

25
ne sono state moltissime; grazie a Dio ormai non funzionano
più. Ora ci servono supereroi veri; imperfetti, fallaci e magari
tormentati dai dubbi, ma autentici.

Felicità. Una parola semplice, che racchiude forse la chiave di


tutto. Certo è impossibile essere sempre felici... Ma domandati
questo: «a riposo», sei una persona felice, positiva ed entusia-
sta? Oppure sei uno di quelli che ha bisogno di essere sempre
stimolato per sentirsi appagato? O, peggio ancora, nemmeno lo
stimolo basta mai, perché vuoi sempre e solo di più? Per realiz-
zare le tue potenzialità da supereroe devi fare ciò che fanno in
pochi: essere felice anche quando non tutto va come vorresti.
Una ricerca condotta presso la Cornell University e coordinata
da Thomas Gilovich ha dimostrato che chi è felice in realtà non
ha tutto ciò che vuole; lo è perché crede di essere sulla strada
giusta per ottenerlo.2

Generosità. Sei altruista? Sai donare e donarti, o cerchi solo di


prendere? È naturale volersi godere il frutto, materiale o imma-
teriale, dei propri sforzi, ma le ricerche del professor Gilovich
ci dicono che chi lo condivide con gli altri lo apprezza ancora
di più. Chi non pensa solo a se stesso ha una ricchezza infinita
e duratura.

Scopo. Sai perché fai ciò che fai? Qual è la ragione profonda
che ti muove? È qualcosa di legato a te stesso o che va oltre? Se
agisci concentrandoti unicamente su di te non puoi essere un
vero supereroe. Tony Robbins – celebre life coach americano
che considero il mio maestro – sostiene che la forza interiore
nasce dal porsi al servizio degli altri. È quasi una legge di na-

2
T. Gilovich, A. Kumar e L. Jampol, A wonderful life: Experiential con-
sumption and the pursuit of happiness, «Journal of Consumer Psychology»,
n. 25, 2015.

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tura. Ecco, io sono convinto che tutto nasca da lì, dallo scopo.
Purtroppo siamo in pochi a voler investire tempo ed energia
nello scoprire o definire il nostro fine ultimo. E anche nella
mia esperienza di business coach incontro raramente aziende
che hanno uno scopo chiaro: hanno una visione, sanno cosa
vogliono creare, ma non sanno perché vogliono crearlo. Così,
alla lunga, perdono la motivazione e la strada.

Evoluzione. Cresci, migliori, ti espandi? O sei statico, fermo e


testardo? Anziché mantenere lo status quo, cerca di migliorare
sempre, di evolverti continuamente. Un proverbio giapponese
(la cultura che ha inventato il kaizen, la filosofia aziendale del
«miglioramento continuo») dice: «Si può rimanere fermi in un
fiume che scorre, ma non nel mondo degli uomini».

Gratitudine. Sei grato per quello che hai, o ti lamenti in con-


tinuazione? Sai di essere fortunato o aspetti che arrivi una
qualche tragedia a fartelo capire? Sei in grado di apprezzare
quello che hai? Sai dire grazie per ciò che ti sembra sconta-
to, ma scontato non è? Secondo l’Unicef, nel 2013 circa metà
della popolazione mondiale non aveva acqua corrente in casa,
lo sapevi?3 Tu e io l’abbiamo, potabile e alla temperatura che
preferiamo. Diverse ricerche di neuroscienziati americani (ad
esempio quelle coordinate da Martin E.P. Seligman della Uni-
versity of Pennsylvania, Robert A. Emmons della University of
California e Michael E. McCullough della University of Mia-
mi) hanno evidenziato che la gratitudine aiuta a sconfiggere la
paura.4 Il coraggio serve a superare la paura, la gratitudine in-

3
Progress on sanitation and drinking-water – 2013 update, report a cura
dell’Unicef e della World Health Organization, consultabile all’indirizzo:
www.unicef.it/Allegati/Progress_Sanitation_2013.pdf
4
M.E.P. Seligman, Building Resilience, «Harvard Business Review», 2011;
R.A. Emmons, Thanks! How Practicing Gratitude Can Make You Happier,
Houghton Mifflin Company, Boston 2007; M.E. McCullough ed E. Polak,

27
vece sembra letteralmente diminuirla; chi è grato non sente la
paura nello stesso modo degli altri. Insomma: la gratitudine ti
rende più felice, ti fa godere di quello che hai. Inoltre migliora
persino il tuo stato di salute fisica!

Riassumendo, ecco in cosa si differenziano secondo me il su-


pereroe che puoi essere e il suo contrario, ovvero il villain, il
supercattivo:

KPI IL SUPEREROE IL VILLAIN

Motivazione Ha passione per Odia quello che fa


quello che fa
Competenza È curioso, vuole È disinteressato e
crescere e sapere pensa di sapere già
sempre di più tutto quello che gli
serve
Abilità Fa del suo meglio e Risparmia le energie
cerca di migliorarsi
Autostima Ti ispira e crede in se Ti abbatte ed è
stesso pessimista
Autenticità Si prende le sue Fa la vittima e dà
responsabilità colpe
Felicità Ha vitalità È un morto che
cammina
Generosità Si interessa agli altri È egocentrico
Scopo Ha una meta chiara e Non sa dove vuole
sulla sua strada vede arrivare, e sul proprio
opportunità cammino vede solo
ostacoli
Evoluzione Si evolve È statico
Gratitudine È grato, perdona Pretende e si vendica

Is gratitude an alternative to materialism?, «Journal of Happiness Studies»,


n. 7, 2006.

28
Nella vita puoi pulire i cessi, fare caffè in un bar, insegnare ai
bambini, dirigere un’azienda o salvare vite al pronto soccorso...
Il punto è: vuoi farlo da supereroe o in modo anonimo?

Non è solo cosa fai che definisce


se sei un supereroe o no.
È come lo fai e soprattutto perché.

In fondo, il «come» deriva dal «perché». È il perché, la ragio-


ne o lo scopo, a determinare l’intenzione, e quindi a stabilire
chi sei veramente. Ad esempio, se ti dedichi a un’attività uni-
camente per i soldi non sarai mai un supereroe. E sai qual è la
cosa buffa? Che chi non lo fa solo per soldi spesso guadagna di
più. L’universo sembra premiare chi fa le cose giuste nel modo
giusto. Magari non si vede subito, o non se ne accorgono tutti,
ma è così.
Voglio raccontarti un aneddoto. Molti anni fa feci un semi-
nario per il personale di una stazione di servizio in autostrada.
C’era tutto lo staff: il titolare, gli addetti alle pompe di benzina,
quelli del negozio e le signore delle pulizie. Quando, all’inizio
del corso, chiesi ai partecipanti di presentarsi, tutti mi dissero
il loro nome e la propria mansione in modo molto piatto, stan-
dard: «Faccio l’addetto alle pompe», «Lavoro alla cassa» e così
via. A un certo punto arrivò il turno di una signora che scelse
una strada diversa. Mi disse: «Il mio compito è assicurare una
sosta serena e piacevole ai nostri clienti». Io ammisi di non aver
capito appieno cosa facesse in effetti, e una sua collega spiegò:
«Come me, pulisce i bagni».
Evidentemente avevano due modi ben diversi di vedere la
cosa. Il titolare mi confermò più tardi che quella romantica
signora faceva proprio le pulizie: nella vita non aveva potuto
studiare, aveva perso un lavoro come operaia e alla fine ave-

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va trovato l’impiego alla stazione di servizio. Per mantenere
la famiglia aveva accettato un’occupazione in apparenza poco
nobile, ma il modo in cui vi si dedicava era regale. Aveva sem-
pre il sorriso, puliva benissimo e tutti la adoravano. Molti ca-
mionisti – clienti importanti, che spesso viaggiano sulla stessa
tratta e con un solo pieno possono risollevare l’incasso di una
giornata – facevamo di tutto per fermarsi in quella stazione.
Sapevano di trovare bagni e docce puliti e una signora gentile
che li faceva sentire a casa. «Loro sono via dalla propria fami-
glia» mi spiegò ancora la donna. «Se possiamo farli stare bene
si sentiranno meno soli, e guideranno meglio.» Questa vera su-
pereroina mi insegnò una grande lezione di vita, per questo
la ricordo sempre con affetto. E, se capito da quelle parti, mi
fermo ancora alla sua stazione di servizio.
3

IL PARADOSSO UMANO

Le cose che contano di più non dovrebbero mai


essere alla mercé di quelle che contano meno.
Johann Wolfgang Goethe

Ci siamo accordati su cosa significhi essere un supereroe e ab-


biamo convenuto che hai tutte le carte in regola per diventarlo,
o per accorgerti di esserlo già. Ora possiamo iniziare sul serio il
nostro lavoro insieme: un percorso alla scoperta delle tue vere
potenzialità, nel quale voglio affiancarti offrendoti al contem-
po la professionalità di un coach e i consigli di un buon amico.
L’obiettivo è aiutarti a tirar fuori il tuo meglio, per affrontare le
sfide di ogni giorno con il giusto spirito, sereno e consapevole
dei tuoi mezzi. Ma se si vuole fare un buon lavoro, come sem-
pre bisogna partire dall’inizio; in fondo, per costruire un solido
palazzo o magari una cattedrale capace di stupire per secoli gli
ammirati passanti, servono delle fondamenta adeguate. Ecco,
nel nostro caso io considero basilare la sfera dell’essere: chi sei,
cosa fai e soprattutto perché lo fai. Per questo una parte fonda-
mentale del mio lavoro di coach consiste nell’aiutare le persone
a definire le proprie priorità: perché ciascuna di loro arrivi a
riconoscere ciò che davvero conta nella sua vita.
Molti miei colleghi si focalizzano sul raggiungimento dei
cosiddetti obiettivi sfidanti, ovvero quelli che sembrano più
grandi di te e ti spingono giocoforza a migliorare; io, invece,
preferisco un approccio diverso. Certo, ottenere dei risultati

31
concreti in ambiti prefissati è importante, ma lo considero sol-
tanto la parte terminale di un lavoro più profondo: puoi rag-
giungere gli obiettivi che ti sei dato ed essere comunque poco
felice, perché in realtà non incarnavano le tue priorità di vita,
ciò a cui tieni di più.
Purtroppo, capire cosa sia davvero importante per ciascuno
di noi non è affatto facile. Vittime di una sorta di ipnosi cultu-
rale, della pressione sociale o delle nostre stesse menzogne, ci
ritroviamo spesso a pensare che per essere soddisfatti si debba
avere successo in certi campi specifici e predeterminati, anzi-
ché nelle cose che più contano per noi come individui. E non si
tratta solo di un problema di obiettivi: riguarda anche le strate-
gie che attuiamo per raggiungere le nostre mete.
Quando domando a qualcuno, a mente e cuore sereni, quali
siano le cose più importanti della vita, quasi tutti nominano (in
ordine sparso):

- le relazioni interpersonali/l’amore;
- la salute;
- la felicità;
- la soddisfazione (dare significato a ciò che si fa);
- il rendersi utili agli altri.

Di solito, però, le persone pensano che tutto questo arriverà da


sé, una volta raggiunto il «successo» materialmente inteso: de-
naro, posizione sociale, conquiste lavorative e personali eccete-
ra... In poche – molto poche – si impegnano direttamente per
ottenerle. Alcune si buttano a capofitto nella rincorsa all’affer-
mazione materiale, altre non si affannano nemmeno dietro a
questa meta «secondaria»: la vorrebbero, certo, ma puntano
a ottenerla magari con una vincita alla lotteria, e comunque
senza sforzo. Per fortuna, dico io, non funziona così. Parafra-
sando il motto di Ben Parker, il famosissimo zio dell’Uomo
Ragno: un grande successo implica grandi responsabilità.

32
Per essere felici, davvero felici, bisogna voler
crescere ed essere disposti a impegnarsi.

Già, perché, per nostra sfortuna, la mente dell’Homo sapiens


non si è evoluta nei millenni allo scopo specifico di renderci
felici: si è sviluppata per tenerci in vita, per farci sopravvive-
re. Quando la nostra specie muoveva i suoi primi passi, circa
duecentomila anni fa, il rischio di non arrivare a fine giornata
era altissimo; e anche per l’uomo primitivo, come per tutti gli
altri animali, la sopravvivenza era la cosa più importante. Nel
frattempo il mondo è cambiato e la vita di tutti i giorni è stata
rivoluzionata, ma la nostra mente non si è evoluta alla stessa
velocità. Il «software» che ci guida, così come il nostro «hard-
ware», è il frutto di una lunghissima selezione naturale, e per
sovrascriverne la programmazione serve un grande impegno.
Importanti ricerche nell’ambito delle neuroscienze, tra cui
anche due europee condotte dall’Università di Glasgow in col-
laborazione con il Max-Planck Institute for Brain Research di
Francoforte, hanno dimostrato che la mente umana, per sua
stessa natura, è conservativa: tende a riprodurre schemi cui
è abituata, per ridurre al minimo il carico di lavoro cogniti-
vo.1 In poche parole, il nostro cervello vuole faticare il meno
possibile. Per garantirci l’autoconservazone siamo disposti a
tutto, e in mancanza di spinte forti il resto tende a passare in
secondo piano. A questa caratteristica innata si sono sommati
nel tempo nuovi elementi; elementi non sempre migliorativi,
se vogliamo dar ragione a Freud quando ammoniva: «Di fat-
to l’uomo primordiale stava meglio, perché ignorava qualsiasi

1
Si veda, ad esempio: A. Alink, C.M. Schwiedrzik, A. Kohler, W. Singer e
L. Muckli, Stimulus Predictability Reduces Responses in Primary Visual Cor-
tex, «The Journal of Neuroscience», n. 30, 2010.

33
restrizione pulsionale. In compenso la sua sicurezza di godere
a lungo di tale felicità era molto esigua. L’uomo civile ha ba-
rattato una parte della sua possibilità di felicità per un po’ di
sicurezza».
Così, oggi, subiamo gli influssi tanto della ricerca di sicu-
rezza quanto della struttura conservativa della nostra mente. Il
risultato è una «pigrizia mentale» che influenza il vivere quoti-
diano più di quanto potresti immaginare: tendi a sederti sem-
pre sulla stessa sedia quando ceni al tavolo di casa; fai sempre
la stessa strada per recarti al lavoro; frequenti abitualmente la
stessa ristretta cerchia di persone; ascolti la stessa stazione ra-
dio; ti vesti infilando sempre lo stesso braccio o la stessa gamba
per primi; lavi i denti partendo dallo stesso lato; usi quasi sem-
pre lo stesso gruppo di parole nei tuoi discorsi...
E per quanto riguarda i pensieri, siamo più innovativi? Ba-
sta fare un po’ di ricerca online (prova con le parole «thoughts
per day») per imbattersi in un nutrito gruppo di articoli – tra
riviste, blog e chi più ne ha più ne metta – che propongono sti-
me sulla nostra attività cerebrale quotidiana. I «risultati» però,
se così vogliamo chiamarli, sono tutt’altro che concordi: c’è chi
sostiene che ognuno di noi dia vita a 50.000 pensieri al giorno,
chi dice 70.000, 85.000 o addirittura 100.000... Simili differen-
ze fanno giustamente nascere non pochi dubbi, primo fra tutti:
ma come diamine li avranno contati? Be’, resta un mistero. Ma
su altri aspetti un po’ di chiarezza è stata fatta: sembra sia stato
un certo Charlie Greer ad attribuire la cifra di 50.000 pensieri
al giorno nientemeno che a una ricerca della National Science
Foundation, come ben ricostruito in un articolo apparso sul
sito della rivista «Discover».2

2
Neuroskeptic, The 70.000 Thoughts Per Day Myth?, discovermagazine.
com, 9 maggio 2016, consultabile all’indirizzo: http://blogs.discovermaga-
zine.com/neuroskeptic/2012/05/09/the-70000-thoughts-per-day-myth/#.
V0t6QmSLRz8

34
A parte l’enorme traffico di idee che affollerebbe quotidia-
namente la nostra testa, però, è un altro l’elemento sul quale
vorrei porre l’accento: molti di quelli che riportano simili stime,
anche fra le fonti più affidabili, sostengono che una percentuale
compresa tra l’80 e il 90 per cento di quella mole sia costituita
in realtà da pensieri che abbiamo già fatto in passato. Se fosse
vero, il dato avrebbe un che di preoccupante. In sostanza, il
nostro cervello ricorderebbe da vicino un CD che salta, incan-
tandosi sempre sulle stesse tracce.
Una cosa comunque è certa: tendiamo a ripeterci. Se non
facciamo nulla per cambiare ed evolverci, finiamo inevitabil-
mente con il rimanere fermi; e, considerato che il mondo avan-
za, di fatto è come se tornassimo indietro. Quindi, per essere
un supereroe, devi andare oltre all’atteggiamento di inerzia che
la tua mente e il tuo corpo ti porterebbero ad avere.
Un discorso che vale, a maggior ragione, per l’idea che hai
di te stesso.
4

MA LEI , CHI SI CREDE DI ESSERE?

La nostra società uccide tutto quanto cerchi di


svilupparsi in modo naturale e spontaneo. In ogni
settore della vita è in atto una lotta senza quartiere, in
cui il valore che emerge è il piccolo ego.
Rocco Siffredi

Come credo tu abbia ormai intuito, mi annovero a buon diritto


fra coloro che ritengono l’essere più importante dell’avere. Non
ti stupirai, quindi, se insisto ancora un po’ su questo punto fon-
damentale.
Se ora ti chiedessi chi sei, quale sarebbe la tua risposta? Pro-
babilmente ti verrà da dirmi cosa fai; citerai la tua professione,
o ti definirai a partire dal ruolo sociale che ricopri. O, ancora, ti
presenterai attraverso ciò che hai ottenuto: i tuoi successi acca-
demici, sportivi, di lavoro... Le possibilità sono tante, e diverse.
Ed è forse bene chiarire subito che questo non è un test, quindi
non c’è una risposta giusta né una sbagliata. Ce ne sono solo di
più o meno allineate al vero te stesso.
Prima di continuare a leggere, quindi, prenditi un attimo
per riflettere a fondo sulla questione. Chi sei, tu?
Ecco, se credi di essere arrivato a una risposta soddisfacen-
te, scrivila qui sotto.

37
L’identità, l’idea di sé, è un affare «complesso». Uso questa pa-
rola in senso etimologico: come riporta il dizionario online del-
la Treccani, il termine deriva dal latino complexus, participio
passato di complecti, «stringere, comprendere, abbracciare», e
indica qualcosa che «risulta dall’unione di più parti o elemen-
ti», che «ha diversi aspetti sotto cui si può o si deve considerare
e di cui bisogna tener conto».
Be’, come tutte le cose complesse, anche la questione della
propria identità tende a diventare complicata.
C’è chi si definisce in modo autonomo: decide chi è e non si
lascia influenzare dagli altri o dalla realtà esterna. Ci sono poi
persone che vivono ancorate a immagini di sé sviluppate nel
passato, magari legate a uno o due eventi importanti delle loro
vite. Altre si lasciano inquadrare dalle opinioni di chi hanno
attorno, e spesso si tratta ancora una volta di idee formate in
un passato più o meno recente. Ma esistono anche individui
proiettati sul futuro, che collegano ciò che sono oggi a quello
che faranno o otterranno domani.

L’identità non è qualcosa di statico, definitivo;


è qualcosa di fluido, che cambia nel tempo
e si compone di diversi elementi.

38
Per aiutarti a riflettere ancora un po’ sulla tua risposta, però,
possiamo provare ad analizzare come si va formando questa
misteriosa «sostanza».
Alla base della definizione del sé ci sono due dinamiche di
percezione: una legata al fattore tempo, l’altra al punto di origi-
ne dell’immagine che si è interiorizzata. In sostanza, possiamo
dire che l’identità si compone di quattro ingredienti principali:
ciò che pensi tu, ciò che pensano gli altri, il tuo passato e il tuo
presente/futuro.

presente/futuro

Identità Identità

programmata creata

altri te stesso

Identità Identità

riflessa ricordata

passato

Analizziamo più a fondo le quattro possibilità disegnate da


questo diagramma, partendo da quella in basso a destra e pro-
cedendo in senso orario.

L’identità ricordata è quella sviluppata da un mio conoscente,


che su un social network usa come immagine profilo una foto
vecchia di vent’anni. Probabilmente, quello è l’unico periodo
della sua vita in cui è stato felice. Era in forma, era giovane e
si sentiva una persona di successo perché qualcuno gli aveva

39
messo una divisa militare addosso, lo costringeva a fare eserci-
zio per tenerlo in forma e lo circondava di persone forti. Ora è
in sovrappeso, fa un lavoro che odia, vive con una donna che
non ama più e aspetta solo la pensione. Un po’ triste, vero?
Vent’anni fa si sentiva un supereroe (aveva persino l’uniforme);
oggi chissà cosa pensa di sé... Da come lo vedo io, non deve
sentirsi tanto bene.
Un altro esempio di identità ricordata è incarnato dal com-
messo di un negozio dove andavo spesso: divorziato da diciotto
anni, parlava ancora della sua ex moglie. Era come se per lui
il tempo non fosse passato, fermandosi al giorno in cui si era-
no lasciati. A modo suo sembrava un Amish: come i membri
di quella comunità protestante, rifiutava lo scorrere del tempo.
Nel suo caso era la moglie a farlo sentire un supereroe; via lei,
via tutti i poteri. Così lui si ostinava a vivere congelato in quella
realtà ormai finita.

L’identità riflessa, invece, deriva dall’opinione che gli altri si


sono formati su di te in un dato momento, e ti hanno riversato
addosso finché non l’hai fatta tua. Magari ti hanno convinto
a furia di ricordarti eventi passati della tua storia personale,
parlandoti di quando eri piccolo o giovane, o di quando è suc-
cesso questo o quello. Ripercorrono, nei loro racconti, eventi
nei quali si è cristallizzato il loro giudizio: sei bravo perché hai
fatto così, oppure non lo sei perché hai fatto cosà. Altre volte
la loro valutazione è il risultato di preconcetti, convinzioni che
hanno su di te come individuo o sulla categoria che per loro
rappresenti (sesso, segno zodiacale, ruolo, etnia, professione...);
tutte posizioni che hai finito con il prendere per veritiere.
In una squadra sportiva con cui ho collaborato c’era un
membro dello staff che definiva i giocatori dal loro luogo di
provenienza, con tutti gli stereotipi che ciò comporta. Sostene-
va imperterrito che uno doveva essere per certo pigro, perché
veniva da quel dato Paese; l’altro era sicuramente un bugiardo

40
patentato, per via della sua nazionalità. E avanti così. Quasi
sempre, chi dà simili giudizi non lo fa con intenzioni negative
o volontariamente denigratorie: spesso non si rende nemmeno
conto di fare delle discriminazioni. L’importante è non farsi
fregare da simili opinioni preconcette. Se cadi nella trappola,
se indossi il costume che ti danno loro e interpreti il ruolo che
ti assegnano, rischi di smarrirti e dimenticare chi sei veramen-
te. E questo è un peccato mortale, che nessun supereroe può
permettersi di fare.

L’identità programmata è quella che gli altri proiettano su di te


pensando a ciò che fai o farai in futuro. Ancora una volta, stia-
mo parlando di convinzioni altrui, anche se non sempre sono
negative. Se un genitore abitua il proprio figlio a pensare che è
intelligente e avrà successo, il bimbo potrebbe convincersene
e avverare la «profezia»: si chiama effetto Pigmalione, o effetto
Rosenthal, e in sostanza è lo stesso sortito dalla mia maestra
quando continuava a ripetermi che non sapevo disegnare, fin-
ché non le ho creduto io stesso. Quindi, come puoi vedere, è un
meccanismo che funziona anche in negativo. E sono in tanti a
poterti influenzare; non deve necessariamente essere qualcuno
vicino a te, o con il quale passi tanto tempo: tutte le persone a
cui credi possono «programmarti».
Io, per esempio, ricordo ancora un signore con cui ho chiac-
chierato tantissimo tempo fa. Ero un ragazzino, in coda all’uf-
ficio Anagrafe del Comune per richiedere la carta di identità.
Andavo a fare la stagione estiva in un albergo, ai miei tempi
una cosa comune a tutti gli allievi della scuola alberghiera, e
mi serviva un documento. Dietro di me c’era quest’uomo di-
stinto, uno di quelli che ti fa pensare: «Un giorno spero di di-
ventare come lui». Elegante, educato, bello, di successo... Par-
lando, scoprii che rinnovava la carta di identità così da avere
sempre un documento alternativo al passaporto, che usava per
viaggiare. Quindi viaggiava: uno dei miei sogni di ragazzino.

41
Discutemmo del più e del meno per ammazzare la noia della
coda; quando arrivò il mio momento mi congedai salutandolo e
ringraziandolo. Lui rispose dicendomi: «Grazie a te, e compli-
menti: farai tanta strada nella vita. Io ho naso per queste cose.
Tu avrai successo, fidati. Sei in gamba». Sentire quelle parole
da un signore tanto rispettabile, sebbene non ne conoscessi il
nome e lo potessi giudicare solo da quei pochi minuti trascorsi
assieme, mi diede una gran fiducia in me stesso. Quarant’anni
dopo lo ricordo ancora, e continua a darmi forza. Insomma,
l’identità programmata può essere un elemento limitante o po-
tenziante. E se è del secondo tipo, ovviamente, è molto meglio!
Quello che più conta, però, è non usarla in nessun caso come
un paravento. Ci sono persone che si giustificano nascondendo-
si dietro le opinioni altrui; in troppi danno la colpa dei propri
insuccessi o di come sono diventati ai genitori, ai professori, ai
partner, ai capi e chissà a chi altro. Se ciò che sei diventato non
ti soddisfa, cambia. Liberati della vecchia programmazione e
costruiscine una nuova, migliore. La tua. Io sono qui per aiu-
tarti a farlo.

L’identità creata è quella che ti cuci addosso da te, in relazione


a come sei ora e a come intendi diventare. Un qualcosa a metà
strada tra l’abito sartoriale e il tuo primo costume da supereroe
fatto in casa. È l’idea di te che ti sei fatto tu. Nella mia esperien-
za di vita e professionale ho notato che quasi tutte le persone
straordinarie hanno una forte identità di questo tipo. E, come
coach, il mio compito principale consiste proprio nell’aiutare
i clienti – singoli o aziende – a svilupparla. Di solito, chi si ri-
volge a me chiede di ottenere dei risultati, avere di più, fare o
smettere di fare qualcosa; ma senza cambiare l’identità non c’è
evoluzione né cambiamento duraturo.

Insomma, per affrontare al meglio le sfide di ogni giorno è fon-


damentale avere la giusta idea di sé, sviluppare un’immagine

42
interiore radicata soprattutto sulla propria opinione, su chi si è
e su chi si vuole diventare. Ricordando sempre di tenere i piedi
ben saldi a terra. Io sono una persona positiva, e credo che
quasi tutte le mete siano raggiungibili, ma non sono un folle:
so che non sono e non sarò mai un giocatore di basket da NBA
o Eurolega; so che morirò e so di avere dei limiti. Allo stesso
tempo, però, cerco di non crearmene di nuovi, e di sfuggire
a quelli che altre persone cercano di impormi. So che il mio
passato è, appunto, passato, e non prova nulla sulla mia abilità
di fare o non fare qualcosa oggi. Soprattutto, non prova nulla
su quello che sono o non sono adesso. So anche che è felice,
soddisfatto e ha successo chi decide da sé come vuole essere
veramente, e si impegna a diventarlo. Proprio per questo ha
successo ed è felice.

Il tuo vero potenziale, non sempre esce subito,


ma prima o poi esce. Basta spremere bene.
E la vita, presto o tardi, ti spreme.

Tante persone, invece, si accontentano di apparire senza essere,


e fanno di tutto per sembrare belle o di successo. Si costrui-
scono una facciata, e poco importa se non corrisponde al loro
vero io, a come sono dentro. Si circondano di beni materiali, si
truccano per coprire anziché per mettere in risalto, mentono
a se stessi e agli altri. Ricordano in qualche modo Joker, l’ar-
cinemico di Batman, che nasconde il proprio volto sfigurato
disegnandoci sopra un sorriso finto, irreale, inquietante. Una
maschera opposta a quella dell’Uomo Pipistrello: anziché co-
prire i dettagli per mostrare la natura profonda di chi la indos-
sa, questa serve a camuffare ciò che si cela sotto la superficie.
Individui del genere prendono in giro non soltanto noi, ma so-
prattutto se stessi.

43
Poi ci sono i supereroi. A volte non hanno ancora ottenuto
grandi vittorie, ma ciò non cambia la loro natura: hanno valori
forti, convinzioni salde e grandi virtù; e, prima o poi, raggiun-
geranno i risultati che meritano. Sto usando la parola «super-
eroi», ma potrei usare la metafora sportiva e chiamarli «campio-
ni». D’altra parte, proprio lo sport ci dà spesso belle lezioni di
vita. Mentre stendevo queste righe un altro Claudio, allenatore
di calcio in Inghilterra, stava scrivendo con la sua squadra di
provincia una pagina di storia. Grazie al suo lavoro e alla pas-
sione dei suoi giocatori ha vinto la Premier League, il massimo
campionato inglese di calcio (oggi considerato tra i più belli al
mondo). Grazie a questa conquista ha ridato speranza a una città
con tanti problemi, e donato entusiasmo a persone che lo stava-
no perdendo. Inoltre ha dimostrato nei fatti che con l’impegno,
la passione e il lavoro si può «battere» anche chi ha più risor-
se materiali di noi. Quella del Leicester City è una gran bella
favola, perché è vera. Certo, le cronache raccontano anche dei
tanti, troppi atleti che vincono grazie al doping o a qualche altro
trucco. A volte vengono scoperti, a volte la fanno franca, ma co-
munque vada si porteranno per sempre dentro la consapevolez-
za di aver barato. E, all’estremo opposto, ci sono quelli che non
hanno ancora vinto nulla, però sono già dei campioni: credono
nell’etica e nel lavoro sodo, hanno valori e virtù che non mettono
in discussione per prendere scorciatoie. Per questo, prima o poi,
trionferanno. Forse non sul campo, ma di certo sul terreno più
importante: quello della vita. Vinceranno perché saranno stati
fedeli a se stessi anziché trasformarsi in una menzogna vivente.
Quali sono, allora, le strade da percorrere per costruirsi
un’identità sana e salda, che permetta di raggiungere gli obiet-
tivi più importanti e al contempo metta al riparo dalla tentazio-
ne di imbellettare il proprio io, di barare con se stessi e con gli
altri? Che rischi bisogna imparare a evitare, e si riesce a scansar-
li? Nella mia esperienza di coach ho notato che troppo spesso
le persone si affidano al proprio passato per vivere il presen-

44
te e pianificare il futuro. E, quel che è peggio, fanno lo stesso
anche nel definire la loro identità: si identificano con quanto
gli è capitato, e quasi mai è una buona idea. Ci sono nazioni o
città che versano in pessime condizioni, ma restano ancorate
alla memoria del loro antico splendore e sembrano non vedere
il presente; ci sono popoli in guerra per questioni vecchie di
secoli, che si ostinano a rivangare perpetrando l’odio reciproco.
Conosco persone stupende che vivono all’ombra di un errore
passato, dal quale non riescono a staccarsi. Ecco, in tutti questi
casi sarebbe necessario aggiornare il software. Non ha senso
riempirsi la casa di cose vecchie, che funzionano male e non
hanno valore. Figurarsi la testa...
D’altra parte, pensare solo al futuro non aiuta. Avrai sicu-
ramente conosciuto qualcuno che parla sempre e solo di ciò
che farà. Nel frattempo, però non fa proprio niente. Di fatto si
prende in giro da solo.
Anche definirsi in base a quel che dicono gli altri è pericolo-
so. Spesso, e per le ragioni più disparate, chi ci circonda non è
in grado di esprimere giudizi validi: non ci conosce abbastanza
o ci conosce da troppo tempo ed è legato a quel che eravamo;
non possiede gli strumenti adatti o il necessario distacco emoti-
vo per scrutarci in modo oggettivo...

Il segreto per costruirsi un’identità sana e realistica


è semplice, ma non facile:
sei tu a dover definire chi sei secondo te.

E, nonostante ciò, un conto è stimarsi e riconoscere il proprio


valore, un altro è vivere in un’illusione autoreferenziale. Non
puoi porre le basi del tuo io profondo senza curarti degli input
che arrivano dall’esterno, e chiudere gli occhi di fronte alla
realtà in modo quasi schizofrenico.

45
Da un lato e dall’altro, nell’affidarsi agli altri come nel va-
lutarsi da sé, la regola più importante è: mai esagerare! Di-
venta un supereroe elegante. Usa cuore, buon senso, anima e
testa. Sono sicuro che puoi fare un lavoro straordinario. Tu sei
straordinario, unico come ciascuno di noi. Devi solo render-
tene conto.
5

SEI MAI STATO UN SUPEREROE?

Non amo ripetere successi già ottenuti,


preferisco passare a qualcosa di nuovo.
Walt Disney

Nel capitolo precedente ti ho chiesto di provare a dirmi chi sei,


e abbiamo visto quali meccaniche possono influenzare l’idea
che hai di te stesso. Ora è bene iniziare a lavorare su questa
idea, in modo che tu possa arrivare a definirti in modo since-
ro, obiettivo e, soprattutto, utile al percorso personale che vuoi
intraprendere. Per farlo useremo i parametri citati prima – tu,
gli altri, il passato e il presente/futuro – ma sfruttandoli in ma-
niera intelligente: come una risorsa, e non come un limite, un
vincolo o uno specchio deformante capace solo di monopoliz-
zare ed estremizzare il tuo giudizio su te stesso. Partiremo dai
tuoi successi passati, ovvero ciò che ritieni di aver fatto bene
fino a oggi.
Ti chiederò di pensare a due differenti tipi di successi: quel-
li ottenuti «in pubblico», quando qualcuno poteva assistere e
valutarli, e quelli che hai raggiunto «in privato», nell’intimo,
che solo tu hai modo di riconoscere e giudicare. I risultati le-
gati alla sfera pubblica ti rendono un vincente agli occhi degli
altri, sul lavoro o più in generale «in società»; sono necessari
perché siamo animali sociali, viviamo in gruppo e siamo per
nostra stessa natura molto influenzati dal giudizio altrui. Quelli
ottenuti nella tua vita privata, invece, portano benefici di tipo

47
differente: forse non ti garantiranno trofei, reali o metaforici,
però ti aiutano a crescere come persona, a essere felice e fiero
di te stesso. Può trattarsi di cose grandi o piccole agli occhi del
mondo, ma l’importante è che per te siano risultati importanti,
qualcosa di cui essere orgoglioso e che ti ha appagato.
Questi due tipi di successi sono ovviamente slegati, e si pos-
sono ottenere i primi senza aver mai raggiunto i secondi, o vi-
ceversa. L’ideale, però, è sentire che entrambe le sfere ci hanno
regalato alcune soddisfazioni: potersi riconoscere dei risultati,
magari anche enormi, ma in uno soltanto di questi campi non
basterà a renderti felice.
Prima di continuare, dunque, è bene fermarci un attimo e
fare un piccolo inventario. Ti chiederei, come prima cosa, di
elencare qui sotto dieci tuoi successi pubblici ottenuti nel pas-
sato, meglio se recente (diciamo negli ultimi mesi, o un anno).

Fatto? Ora, invece, prova a indicare dieci successi privati del


tuo passato recente.

48
Bene. A questo punto vorrei che tu ti ponessi alcune domande.
Si tratta di interrogativi semplici solo in apparenza, e che ri-
chiedono un grandissimo sforzo di sincerità e autoanalisi: solo
dando risposte ponderate potrai provare a correggere la rotta,
nel caso tu l’abbia persa.

a) Ho standard troppo elevati nel definire un mio successo, e


quindi tendo a non riconoscermene anche quando dovrei? O,
forse, i miei parametri sono troppo bassi e me la sto raccontan-
do da solo?
b) Ho inserito nell’elenco successi che non sono miei, e de-
rivano magari da un lavoro di squadra? Mi sono quindi preso
meriti che in realtà non mi spetterebbero, o non mi spettereb-
bero del tutto? Oppure, al contrario, non ho preso in conside-
razione alcuni risultati perché ritengo che non siano dipesi da
me, anche se è stato così? Insomma, tendo ad attribuire agli
altri meriti che mi spetterebbero?
c) Ho un parametro mio per definire un successo, o uso
quelli che mi vengono proposti dall’esterno (colleghi di lavoro,
superiori, amici, familiari, società...)? Se ti chiedessi di decidere
ora un tuo parametro per definire un successo o una sconfit-
ta, quale sceglieresti? Prenditi qualche minuto, e pensaci per
bene: se usi solo metri di giudizio altrui rischi una vita ben
poco soddisfacente.

Hai riflettuto a fondo, hai risposto con sincerità, e ora ti stai


chiedendo quale insegnamento dovresti trarne, quali elementi

49
significativi possono mostrarti le tue stesse parole? Be’, la do-
manda è lecita. Per risponderti, voglio parlarti di un uomo che
ho molto ammirato: uno dei più grandi allenatori americani di
basket universitario, John Wooden. Lui amava ripetere che il
semplice risultato sportivo dovrebbe essere meno importante
di quanto non sia. Spiegava che si può vincere un match anche
giocando male, oppure perderne un altro sebbene si sia gioca-
to alla grande. Secondo lui, si capisce davvero se si ha vinto o
perso solo quando, a fine partita, magari sotto la doccia, una
sincera autoanalisi ti dice quanto hai dato in campo. Sei hai
fatto del tuo meglio e hai perso, puoi comunque considerarlo
un successo. Se il risultato è stato a tuo favore ma non te lo sei
veramente meritato, non dovresti festeggiare. Il punto è che
non sempre è facile capire sei hai meritato o no, se puoi fe-
steggiare o no, per questo ti ho chiesto di riflettere bene sulla
questione: perché, a mio avviso, ciò che conta di più è quello
che senti dentro di te.

I successi oggettivi sono importanti, ovvio,


ma a portarti lontano è la tua crescita interiore,
non il risultato sul tabellone.

D’altra parte, sono certo che se ti avessi chiesto di elencare i tuoi


fallimenti avresti fatto molta meno fatica. Magari, ora che ci ri-
fletti su, pensi che ti sarebbero addirittura servite pagine intere
solo per citare i più recenti. E, quasi di sicuro, in un esercizio
del genere avresti inserito anche errori altrui, prendendotene tu
la responsabilità. Be’, se sei d’accordo con quello che ho appena
detto posso rivelarti un segreto: sei perfettamente normale.
Tutti noi siamo stati educati a prestare più attenzione agli
errori che non ai successi. Si tratta di una forma mentis che
prende piede nella nostra coscienza già dai tempi della scuola

50
elementare, quando la maestra ci evidenzia in rosso gli sbagli,
mentre i passaggi giusti vengono dati quasi per scontati. Ini-
ziamo a ragionare così fin da piccoli, e com’è naturale conti-
nuiamo anche da grandi. Ma questa spinta all’enfatizzazione
dell’errore non è legata solo al mondo della scuola, o alla prima
educazione. Vuoi un esempio preso da un altro campo? Persi-
no la religione tende a sottolineare che siamo peccatori; mette
l’accento sugli sbagli che commettiamo e ci invita a essere umili
e timorosi. Sia chiaro: sarebbe altrettanto sbagliato essere inu-
tilmente spavaldi, o peggio incoscienti, e non curarsi affatto dei
propri errori. Il punto è che bisognerebbe dare lo stesso peso a
entrambi i poli, e se ci tormentiamo per i nostri difetti dovrem-
mo imparare a riconoscere la stessa importanza ai pregi.
Ti propongo un altro esercizio: se non lo sei già, immagina
di essere un genitore. Tuo figlio arriva a casa con la pagella e te
la porge da firmare. Tu la scorri velocemente.

Italiano: 9
Storia: 8
Lingua straniera: 5
Educazione fisica: 9
Educazione artistica: 8
Matematica: 9
Scienze: 9
Geografia: 8
Condotta: 9

Cosa ha catturato la tua attenzione? Qual è il primo punto di


cui parleresti al tuo ragazzo? Se si tratta dell’insufficienza in
lingua straniera, ti consiglio di fermarti a riflettere: sei proprio
sicuro che tutti quegli altri bellissimi voti debbano passare in
secondo piano? C’è qualcosa di sbagliato in un approccio si-
mile, non credi anche tu? Quello che non va è che sei vitti-
ma di una sorta di ipnosi culturale, secondo la quale sei una

51
persona qualunque, i cui pregi contano molto poco e dunque
deve lavorare sui propri difetti se vuole fare strada. Tranquillo,
non sei l’unico ad aver interiorizzato questa visione distorta, e il
mio obiettivo è proprio aiutarti a liberartene. Quindi continua
a leggere e prova ad applicare i miei consigli: ti assicuro che i
risultati si vedranno, eccome.
Iniziamo con il dire che ricerche e prove sul campo di-
mostrano come l’approccio migliore sia proprio quello con-
trario: focalizzarsi sui pregi, valorizzare i talenti e migliorare
ciò che già si fa bene, per puntare su quello, garantisce non
solo risultati migliori in meno tempo, ma soprattutto riduce
di molto lo stress. Il lavoro condotto dal padre della strenghts
psychology, il professor Donald Clifton della University of Ne-
braska-Lincoln, e presentato assieme a Marcus Buckingham
della Gallup (azienda privata americana, leader nella ricerca
in statistica, gestione delle risorse umane e management), è
un esempio pratico di quanto vedo ogni giorno come coach:
rafforzare i punti di forza porta più risultati che lavorare sui
cosiddetti «punti deboli».1 Nel caso della pagella, dunque, è
meglio insistere su ciò che tuo figlio fa bene, anziché sottoline-
are cosa fa male. Gli studi del comportamentismo (una branca
della psicologia sviluppatasi agli inizi del Novecento, a par-
tire dalle ricerche di John Watson) confermano che, se vuoi
che qualcuno faccia qualcosa, ti conviene premiarlo quando
si comporta come desideri piuttosto che punirlo quando non
fa il contrario. Ad esempio, se intendi insegnare al tuo cane a
fare i bisogni in giardino e non in casa, otterrai più facilmente
lo scopo se gli dai un premio quando fa ciò che deve sull’erba,
piuttosto che sgridarlo quando la fa sul tappeto. Per dirla in
termini tecnici, il rinforzo positivo batte il rinforzo negativo; o,
se preferisci, la carota funziona meglio del bastone. Vale per i

1
D.O. Clifton e M. Buckingham, Now, Discover Your Strengths, Free Press,
New York 2001.

52
cani, vale per i topolini in laboratorio, e vale ancor di più per
gli esseri umani.

Impara a premiare gli altri quando fanno bene,


e a usare la stessa tecnica su te stesso.

Torna per un attimo a vestire i panni del genitore: tuo figlio,


ormai ragazzo, va in vacanza con gli amici. È via da qualche
giorno, e ti chiama poco; troppo poco, secondo te. Allora, an-
ziché rispondere a una delle sue rarissime telefonate con una
sfuriata – qualcosa del tipo: «Qual buon vento! Di cosa hai bi-
sogno, che mi chiami? Ma insomma, ti pare normale non farti
mai vivo?» – prova a esordire con un bel: «Che piacere sentirti!
Mi sa che ti stai divertendo davvero tanto, visto quanto poco
chiami... Senti, come va? Racconta...». Facendo così lo motive-
rai a telefonare più spesso, mentre se usassi l’altro approccio lo
spingeresti a chiamare solo perché deve o, peggio, a non farlo
proprio. Il tuo cane, tuo figlio, tu, io... tutti vogliamo il premio,
non la punizione. Ricordalo.
Quindi, per definire meglio chi sei, impara a dare più valore
ai tuoi successi rispetto agli errori. Sottolinea i tuoi pregi invece
dei difetti. Pensa a cosa puoi fare con quello che hai, anziché
concentrarti su cosa non puoi fare per colpa di quanto ti manca.
Sembra banale, ma non lo è. Da buon supereroe, devi sfruttare
quelli che scoprirai essere i tuoi superpoteri, e non puoi certo
farti fermare dai tuoi limiti. Che penseresti di Superman se,
anziché dedicarsi a salvare il mondo con i suoi poteri, passasse
il tempo a piangersi addosso perché non sopporta la vicinanza
della kryptonite? Ecco: rammenta sempre che chi ha ottenuto
grandi successi ha avuto l’intelligenza di sfruttare al massimo le
risorse che aveva a disposizione, anziché sforzarsi di diventare
qualcosa di diverso.
INDICE

Introduzione 9

PRIMA PARTE
CHI SEI

1. Supereroe, tu? Sì, proprio tu! 19


2. Le dieci caratteristiche del supereroe 23
3. Il paradosso umano 31
4. Ma lei, chi si crede di essere? 37
5. Sei mai stato un supereroe? 47
6. Cosa dirà la gente? 55
7. La verità, tutta la verità, nient’altro che la verità 63
8. Facciamo chiarezza 87
9. Scegli la tua missione 95

SECONDA PARTE
COSA FARE

1. E Yoda disse: «Fare. O non fare. Non c’è provare» 107


2. Limita i limiti 111
3. Evita gli errori da «supereroe alle prime armi» 119
4. Sali sul carro dei vincitori 141
5. Le buone abitudini 147
6. Cambiamenti! 153
TERZA PARTE
OR A DIVENTA IL SUPEREROE
CHE HAI DECISO DI ESSERE

1. Siamo tutti straordinari 165


2. Undici regole, molti strumenti 171
3. Nove promesse da supereroe 209
4. Forma la tua squadra 237
5. Il senso del viaggio 241
6. Ogni fine è sempre un inizio 253

Conclusione 255

Ringraziamenti 257
Nota sull’autore 259
Bibliografia 261

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