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Curriculum vitae di Vincenzo Romanello:

Il Dott. Ing. Vincenzo Romanello si è laureato in Ingegneria Nucleare presso l’Università di Pisa con 110/110. Ha
conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Ingegneria dei Materiali presso l’Università del Salento nel 2008. Attualmente
lavora presso il Karlsruhe Institute of Technology (Germania), Istituto per le Tecnologie Nucleari ed Energetiche, in
qualità di ricercatore nucleare sul tema dei cicli del combustibile nucleare, il bruciamento delle scorie e gli studi di
scenario. Ha preso parte a progetti di ricerca nucleare sponsorizzati dalla Commissione Europea, a convegni
internazionali e ha pubblicato articoli specifici su riviste scientifiche specializzate.

Intervista
La prima obiezione che si pone di fronte all'incidente alla centrale di
Fukushima è che quella era una centrale di seconda generazione mentre oggi per
l'Italia si stanno progettando centrali di terza generazione, più sicure. Ma in
quale misura saranno più sicure? Quali sono gli elementi che possono
tranquillizzare le persone oggi emotivamente influenzate dal disastro
giapponese?

Intanto diciamo che le centrali sono di generazione III+, ed oltre ad essere state già progettate, anche con l’ausilio
dell’esperienza operativa di oltre 40 anni, in numerosi paesi sono già in fase di realizzazione. Vorrei dire comunque al
comune lettore, non pratico di questo settore, di stare tranquillo: gli impianti in Europa sono stati realizzati con i più
rigorosi standard di sicurezza, per cui la probabilità di un incidente severo (come si dice in gergo tecnico) è decisamente
bassa, nonostante ne siano attivi 195 e 6 siano in costruzione (sono 442 nel mondo, e 65 in costruzione). Anche nella
remotissima eventualità di un incidente, sono pronti i piani di evacuazione: questo implica che molto difficilmente
qualcuno del pubblico verrebbe colpito significativamente dalle radiazioni (come infatti è avvenuto in Giappone, in cui i
membri del pubblico sono stati prontamente evacuati).
Certamente l'incidente occorso alla centrale di Fukushima-Daiichi costituisce un episodio grave, che dovrà far meditare,
ma bisogna tenere presenti almeno un paio di cose: la prima è che il design del reattore numero 1, seppur vecchio di 40
anni (all'inizio di quest'anno avrebbe dovuto essere spento, poi si è deciso di allungarne la vita di altri 10 anni) non può
causare un rilascio come quello che si ebbe a Chernobyl, dal momento che in questo caso manca la grafite, che a
Chernobyl si incendiò e per "effetto camino" diffuse grandi quantitativi di materiale radioattivo nell'alta atmosfera, da
cui poi fu trasportato con i venti e riprecipitò con le piogge. L'effetto quindi mi aspetto sia molto più localizzato, anche
se bisognerà ancora attendere lo sviluppo degli eventi per avere informazioni precise e circoscritte. Intanto la IAEA
(l'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica) ha classificato l'incidente di grado 5 nella scala INES, ovvero, tanto
per chiarirci, 100 volte meno severo di quello di Chernobyl (che fu classificato di grado 7).
La seconda cosa è che l'evento verificatosi è stato, come confermato dagli stessi geologi, di natura assolutamente
eccezionale: l'impianto ha retto al sisma (era dimensionato per un sisma di grado 8, ma l’evento è stato di grado 9 –
oltre la peggiore delle aspettative), ed era previsto per reggere ad uno tsunami con onde di 5.7 metri - che davvero non è
poco - ma le onde che lo hanno investito sono state di 14 metri (!!!), mandando in tilt i sistemi diesel - che dovevano
alimentare i sistemi di emergenza - dopo un'ora. Ovviamente questa non è una giustificazione, e non attenua la
posizione delle autorità nipponiche, ma per quanto mi riguarda un evento di questo tipo ha grosso modo la stessa
probabilità di accadimento della caduta di un meteorite: cosa pensate succederebbe se un tale oggetto atterrasse in un
deposito di carburante, o di sostanze chimiche venefiche o cancerogene? Eppure non mi pare nessuno invochi la fine
dell'autotrazione o dell'industria chimica (che ci fornisce tutti i prodotti di cui necessitiamo). Il fatto è che il nucleare
suscita le paure più ancestrali nel pubblico: la sua complessità tecnica mette tanti nella posizione di colui che deve
addentrarsi in un vicolo buio. Solo una conoscenza in merito specifica ed adeguata può invertire questa situazione,
consentendo di dare il giusto peso ai pericoli, ai vantaggi ed agli svantaggi; ovviamente questo molti gruppi di interesse
lo sanno e lo usano senza troppi scrupoli. Di molti incidenti convenzionali infatti ci si è praticamente dimenticati:
scommetto che a molti dei lettori più giovani i nomi di Seveso (1976) o Bhopal (1984) non dicono molto, eppure si
trattò di vere e proprie tragedie ambientali ed umane (a Bhopal le vittime furono 3787, senza contare gli intossicati!),
come del resto anche quelle della Exxon Valdez (1989) e quella recentissima del Golfo del Messico. E ancora: qualcuno
ricorda la tragedia del pozzo petrolifero dell'AGIP di Trecate (nel Novarese), avvenuto nel 1994? Il tappo di un pozzo di
trivellazione sito nel bel mezzo del parco naturale del Ticino saltò, scaturendone una eruzione di petrolio, gas ed acido
solforico; la situazione rimase fuori controllo per ben tre giorni. Ci fu la paralisi dei trasporti in quella zona, e fu
chiamato addirittura un tecnico da Houston (esperto nello spegnimento dei pozzi kuwaitiani). Decine di persone
dovettero lasciare le proprie case ed il sindaco di Trecate proibì la vendita ed il consumo di prodotti agricoli. Quando
alla fine il flusso incontrollato si interruppe solo grazie al crollo delle pareti del pozzo un’area di 5 chilometri quadrati
era ricoperta da una patina vischiosa e l’inquinamento da idrocarburi si estendeva per 40 chilometri quadrati. Per
rimediare furono fermate tutte le attività agricole e furono asportati 10 centimetri di terreno per un’area di 5000 metri
quadrati, proprio come a Chernobyl. Ebbene, la vicenda ha interessato i media nazionali per non più di tre giorni, ed
oggi sono in pochi a ricordarsene. E ancora, parlando di energia rinnovabile: qualcuno ricorda il disastro del Vajont,
occorso nell'ottobre del 1963, e costato la vita a 1918 persone? Qualcuno in seguito ha chiesto di abolire l'energia da
fonte idroelettrica? Non che mi risulti. Come mai tale accanimento mediatico solo sulla fonte nucleare? Il cittadino
medio dovrebbe porsi quantomeno delle domande, visto e considerato che si è appena dimostrato che anche altre
industrie possono avere un impatto assolutamente rilevante sia sulla popolazione che sull'ambiente, ma non sono
oggetto di altrettanta attenzione – credo questo sia un dato di fatto.

Quali sono i nuovi sistemi che rendono le ultime centrali più sicure rispetto a
quella di Fukushima?

Come ho già detto la prima unità della centrale di Fukushima è stata inaugurata nel 1971, e la vita prevista di tale
installazione era di 40 anni ed avrebbe dovuto essere spenta agli inizi di quest’anno. Si tratta di una unità del tipo BWR-
3 (ovvero di un reattore ad acqua bollente), mentre le unità 2, 3, 4 e 5 sono di tipo BWR-4, la più recente delle quali
risale al 1978. Da notare che i miglioramenti più marcati in questo tipo di impianti si sono avuti con le unità di tipo
BWR-5 e ancor più con le BWR-6, successive di qualche anno. Oggi poi si parla di reattori di tipo ABWR (Advanced
Boiling Water Reactor) – peraltro in costruzione nello stesso sito di Fukushima. Bisogna dire che anche le unità più
vecchie, in caso di incidente, si spengono automaticamente (questo è avvenuto regolarmente nelle centrali giapponesi).
Il reattore però deve continuare ad essere raffreddato efficacemente per un tempo più o meno lungo, altrimenti il
cosiddetto calore di decadimento (che si continua a generare anche dopo lo spegnimento del reattore in misura
dell'ordine dell'1% rispetto alla piena potenza) porta rapidamente all'innalzamento della temperatura delle barre di
combustibile, al loro danneggiamento irreversibile, e di conseguenza alla liberazione dei prodotti radioattivi più volatili
(come lo iodio-131 o il cesio-137) ed alla produzione di idrogeno per reazione ad alta temperatura fra l'acqua e lo
zirconio dell'incamiciatura del combustibile. Tale idrogeno forma facilmente miscele esplosive, che infatti sono state la
causa degli incendi e delle esplosioni nel sito di Fukushima (quindi reazioni chimiche, nulla di nucleare). Per impedire
questa lunga catena di eventi tutti gli impianti nucleari sono dotati di un edificio antisismico che custodisce ben 4
motori diesel, pronti a fornire l'alimentazione elettrica alla pompe dei sistemi di emergenza. Tali sistemi a Fukushima
sono entrati in funzione, ma solo per un'ora come ho spiegato, poiché lo tsunami causato dal sisma li ha messi fuori uso.
Qui è il caso di aprire una breve parentesi sulla potenza del sisma: si è trattato di un evento sostanzialmente inatteso
anche dai geologi, che ha liberato un'energia pari a quella di 450 milioni di bombe atomiche tipo quella di Hiroshima,
che se distribuite sulle terre emerse del nostro pianeta, basterebbero per distruggerlo completamente per oltre 30 volte.
Se i reattori più vecchi si basavano su un principio di “sicurezza attiva” quindi, venuto meno nel caso di Fukushima a
causa di un evento seppur eccezionale, i nuovi sistemi di Gen.III+ si basano in caso di scenario incidentale su sistemi a
sicurezza intrinseca e passiva, ossia si basano su principi fisici quali la convezione naturale, la caduta di barre per
gravità, ecc. che si attivano spontaneamente, senza il bisogno di alimentazione elettrica e senza nemmeno il bisogno
dell'intervento di un operatore (anzi, i nuovi impianti prescrivono addirittura che nessuna azione venga adottata in
questi casi per le prime 72 ore). Esempi di questo tipo di reattori sono gli AP-1000 (Advanced Passive) o gli ESBWR
(Economic Simplified Boiling Water Reactor).

Il grado di rischio si misura su eventi prevedibili, ma non sempre si riesce a


prevedere tutto: la centrale in Giappone non era tarata per un terremoto di tale
entità (grado 9) perché si riteneva che non potesse verificarsi, eppure si è
verificato. Anche le centrali di ultima generazione sono testate su eventi
prevedibili (la caduta di un Boeing su un reattore, ad esempio) ma siamo davvero
in grado di prevedere tutto?

Naturalmente no. Un rischio, come ho spiegato sopra, è insito in ogni attività umana, e sempre lo sarà: nessuno potrà
mai garantire realisticamente un rischio pari a zero, anche se i progressi tecnologici possono consentire di approssimarsi
a questo valore in maniera sempre più efficace. In campo nucleare si fa il massimo per considerare gli eventi più
improbabili e catastrofici, quali impatti di aerei di linea, sismi, tsunami, ecc., ma ciononostante si accetta comunque un
rischio. E' però esattamente quello che si fa anche prendendo un aereo, una automobile, un treno, salendo su una scala,
o addirittura dormendo (molta gente muore durante il sonno - quindi da un punto di vista prettamente statistico trattasi
di una attività pericolosissima...). Quello che facciamo però è accettare un rischio ragionevolmente basso a fronte di un
vantaggio significativo: lo facciamo ogni giorno (anche se non ne siamo pienamente - o affatto - consapevoli). Non
vedo motivi razionali validi per applicare regole diverse al settore nucleare, a fronte dei notevoli vantaggi conseguiti.

Pensando alle probabilità che si verifichi un incidente a una centrale nucleare,


si è sempre puntato sul fatto che la percentuale di rischio di incidente è
bassissima e che addirittura sia più facile vincere al Superenalotto rispetto al
verificarsi di un incidente. Ma quando quell'evento così raro si verifica (come
in Giappone), il calcolo delle probabilità perde di importanza. O si tratta di
accettare di correre il rischio, così come si accetta il rischio-inquinamento da
combustibili fossili?
Come dicevo, un rischio si accetta sempre, anche quando si esce da casa per portare a spasso il cane o quando si apre la
porta ad un conoscente: la cronaca purtroppo è ricca di esempi tragici. Una fonte energetica esente da rischi di una
qualche natura di fatto non esiste. Diciamo però che le emissioni in atmosfera rappresentano un aspetto operativo
imprescindibile delle fonti fossili, mentre invece il rischio nucleare è legato all’eventualità remota di un incidente, che
peraltro con opportune scelte del design può essere contenuto. Mi pare ci sia una differenza sostanziale.

Se si verificasse un incidente nucleare in Europa oggi, saremmo attrezzati per


farvi fronte? Si può migliorare da questo punto di vista?

Ritengo proprio di si. Peraltro, anche nell'eventualità remotissima che un incidente nucleare si verificasse in Europa,
sono già pronti i piani di emergenza ed evacuazione come ho detto: devono esserlo per legge, ancor prima di accendere
qualsiasi impianto. Prova ne è che in Giappone, anche dopo un terremoto assolutamente devastante, la popolazione che
poteva correre qualche rischio è stata evacuata regolarmente. Da notare che tale procedura impedisce alla popolazione
di essere esposta a ratei di dose da radiazioni ionizzanti che si possano rivelare dannosi - dacché perché le radiazioni
possano arrecare un qualche danno è necessario che vengano assorbite in dosi significative. Molto spesso gli incidenti
nucleari invece danno il tempo ai corpi preposti di evacuare la zona; prevedo infatti che del pubblico, in Giappone, a
morire per le radiazioni non sarà nessuno. Altra cosa è poi l'aspetto mediatico della vicenda invece, che vuole
assolutamente terrorizzare il pubblico e convincerlo del contrario (senza alcuna base scientifica). Un esempio? Tanto si
è parlato della centrale nucleare, che lo ribadisco, con ogni probabilità non ucciderà nessun individuo del pubblico, ma
ben poca attenzione ha richiamato il crollo della diga, sempre nella prefettura di Fukushima, che ha travolto decine di
case e causato centinaia di vittime quasi subito. E nel frattempo alla stampa è sfuggito il fatto che al momento le stime
delle vittime del sisma parlano di 27000 morti: ci siamo concentrati molto su pochissimi di loro (i liquidatori che sono
occorsi nella centrale), ma ci siamo quasi dimenticati di tutti gli altri. Credo questi argomenti vadano trattati con più
razionalità e soprattutto con più rispetto. Non dimentichiamoci che la stampa ha un grande potere, ma anche una
enorme responsabilità. Nel 1996 visitai gli impianti nucleari svedesi: i tecnici ci dissero che la Svezia era stata la prima
delle nazioni oltre la "cortina di ferro" ad accorgersi del disastro in atto a Chernobyl (che invece le autorità sovietiche
avevano cercato di nascondere), dacché si registrò un aumento anomalo della radioattività ambientale. Poiché la Svezia
produceva (e produce) il 45% della propria energia elettrica per via nucleare si pensò a qualche problema con i propri
impianti, ma le indagini provarono che la causa veniva da oltre i confini. Fatto sta che il rischio radioattivo fu
comunque circoscritto e contenuto, ma una campagna mediatica irresponsabile portò molte donne ad abortire per la
paura, del tutto priva di fondamento (e numerosi studi lo hanno provato), di partorire figli malati.

Si dice che l'Italia è già circondata da centrali al confine per cui non ha
senso rimanerne privi e quindi non avere benefici diretti dal nucleare. E se
invece si andasse verso la direzione opposta, di un progressivo smantellamento
in tutta Europa in favore delle energie rinnovabili?

Se fosse una opzione veramente possibile e conveniente, tutti nel mondo si affretterebbero ad attuarla, e nessuno
parlerebbe più di nucleare - sottoscritto incluso - mi pare ovvio. Se questo non avviene, se nel mondo si continuano a
costruire impianti nucleari (e con tantissima fatica si spengono quelli in funzione, come in Germania, per meri motivi
elettorali, dove peraltro non sfuggirà all'osservatore attento che il rischio tsunami, causa ultima dell'incidente in
Giappone, non esiste!) un motivo pur ci sarà. Il nucleare ha molti punti di forza, ma presenta anche dei punti critici,
quali la sicurezza, il rischio di proliferazione, le scorie. Tutti problemi gestibili, ma sicuramente complessi, e che
richiedono strutture complesse ed organizzate, che per essere gestiti si avvalgano di altissime tecnologie. Si trovasse
quindi qualcosa di alternativo, sarebbe sicuramente il benvenuto. Si favoleggia delle cosiddette fonti alternative, ma
appunto, si tratta per lo più di desideri, destinati a darci ben poca energia e per lo più a prezzi esorbitanti, per lo meno
nella forma in cui sono concepite oggi. E spiego perché. Intanto bisogna chiarire un concetto fondamentale: non tutte le
forme di energia sono sfruttabili. Si pensi ad un fulmine, oppure ad un terremoto. Se ad esempio si fosse potuta sfruttare
l'energia del recente sisma che ha colpito il Giappone si sarebbero potuti spegnere tutti gli impianti nucleari oggi in
funzione per oltre 5400 anni. Perché non si fa allora?
Intanto una forma di energia, per essere sfruttabile con successo deve essere concentrata, frazionabile, indirizzabile,
regolabile e continua. Le fonti alternative spesso non possiedono questi requisiti. Poi per capire questo controverso
argomento è necessario capire "come" noi sfruttiamo l'energia: la parola magica è potenza - spesso i profani fanno
confusione - ma una potenza è data da una energia moltiplicata per un tempo. In altri termini: se voglio accendere una
lampadina nella mia abitazione, ed ho a disposizione 100 Wh (watt-ora, quindi energia), forniti con una potenza di 100
watt (quindi potenza), potrò accendere una lampadina per un’ora. Se la stessa energia mi viene fornita per 100 ore, ma
con la potenza di 1 watt, avrò avuto a disposizione la stessa energia (100 watt-ora), ma non potrò accendere mai alcuna
lampadina. Peraltro l'energia elettrica è una entità molto difficile da immagazzinare, e va prodotta esattamente quando
la si consuma. Se si installano aerogeneratori o pannelli fotovoltaici, quando il vento non soffia o il sole non splende,
cosa che può avvenire con tutta la variabilità e i capricci che questi elementi naturali comportano, qualche altro
impianto deve fornire prontamente la potenza mancante - pena il verificarsi dei blackout (e infatti il famoso blackout
che colpì l'Italia il 28 settembre 2003 fu dovuto ai capricci del vento tedesco). Tale impianto quindi, a carbone, a olio
combustibile o nucleare, non si potrà mai spegnere (poichè per avviare tali impianti occorrono dei giorni). Quindi,
l'installazione di potenza variabile non consente di spegnere alcun impianto convenzionale, e pertanto è erroneo
chiamare queste energie "alternative", giacché alternative non sono a nulla; al più le si potrebbe chiamare "integrative"
(qualcuno, non del tutto a torto, le definisce "fonti da intemperie"). E' vero che una rete molto estesa e collegata con una
“smart grid” potrebbe aiutare, ma potete facilmente rendervi conto dell'estrema complessità e costo del sistema, e della
sua estrema vulnerabilità; in ogni caso si tratterebbe di tecnologie tutte da provare a partire da zero. Qualcuno fa il
paragone con internet, ma dubito scambiare energia sia uguale a scambiare bit! Si pensi poi che l'esplosione del mercato
del fotovoltaico ad esempio è stata possibile solo e solamente grazie ai generosissimi incentivi statali che sono stati
elargiti dallo Stato, prelevati a loro volta dalla bolletta pagata da tutti - senza i quali a nessuno sarebbe venuto in mente
di installare alcun pannello fotovoltaico, dati i costi assolutamente proibitivi di questa tecnologia. Si pensi che ad
esempio nel solo 2009 tale meccanismo ci è costato la considerevole cifra di 10 miliardi di euro, a fronte di una
produzione elettrica pari allo 0,3% - cioè praticamente nulla. Con la stessa cifra si sarebbero potuti costruire tre
modernissimi reattori nucleari di grossa taglia di Gen. III+, con una potenza installata di 4800 MW, pari all'8,5% della
potenza richiesta dal nostro Paese (consentendo quindi di diminuire le importazioni di energia dall'estero ad esempio –
giacché molto ipocritamente non produciamo energia nucleare ma la consumiamo molto volentieri importandola dalla
Francia, giacché farcela a casa coi combustibili fossili costerebbe di più). Non voglio annoiare ulteriormente coi numeri,
ma credo che la questione assuma più o meno dei contorni chiari, come pure chiaro diviene che queste tecnologie hanno
consentito a pochi di arricchirsi a scapito di tutti gli altri, che già pagano la bolletta mediamente più cara di Europa.
Vale la pena ricordare alcune cose: la Lituania produce il 76,23%, la Francia il 75,17% del proprio fabbisogno per
questa via, e la media nell'Unione Europea si assesta intorno al 30% della produzione elettrica, rappresentando quindi
una delle prime fonti (dopo quelle fossili). Appare del tutto evidente, dati i numeri, che rinunciare a questa forma di
energia sia praticamente impossibile al giorno d'oggi, per lo meno se non si vuole dare un durissimo colpo all'economia
e quindi al livello di vita di ognuno. Si deve tener presente infatti che il costo medio di produzione elettronucleare si
attesta intorno ai 5-6 eurocent/kWh, facendone una delle fonti più convenienti, tanto che i paesi in via sviluppo come
Cina ed India (ma non solo!) hanno deciso di ricorrervi pesantemente; qualcuno, mentendo spudoratamente e
ripetutamente sostiene lo facciano al fine di promuovere i programmi militari (o, quantomeno, come “sottoprodotto” di
questi ultimi), ma questa circostanza non risponde minimamente a verità, giacché una semplicissima ricerca dimostra
che questi stati hanno avviato tali programmi ed hanno testato i loro ordigni ben prima dell'inizio del programma
nucleare civile (così come è avvenuto anche per la Francia del resto).

E' possibile affidarci in futuro a un mix di energie rinnovabili o non saranno


mai sufficienti a coprire il fabbisogno crescente?

Salvo scoperte eccezionali, che non mi aspetto nel breve periodo, credo proprio che il ruolo di queste fonti potrà essere
solo alquanto limitato, se non marginale. Dipenderà molto da quanto e quando i cittadini prenderanno coscienza dei
fatti, peraltro ormai provati, e da quando si stancheranno di sabotare le proprie finanze a fronte di un vantaggio minimo,
quando non praticamente nullo. Sia chiaro: il sottoscritto non è un detrattore di queste fonti. Ritengo che ogni possibilità
vada esplorata, studiata e sfruttata al meglio: non si butta niente, tanto più per arbitrari motivi ideologici. L'energia non
è ne di destra ne di sinistra: è energia, è di tutti, serve a tutti, ed è assolutamente preziosa, specialmente quella elettrica.
Personalmente vedo bene questo tipo di impianti su isole lontane ad esempio: sarebbe oneroso portare la rete elettrica, e
del resto ci si attende che laggiù non si debbano alimentare complessi industriali o treni. Il costo maggiorato di
produzione si potrebbe facilmente assorbire dalla produzione di massa effettuata con altre fonti. Una fonte di energia
che potrebbe potenzialmente rivelarsi interessante è rappresentata dal solare a concentrazione, secondo il quale un
insieme di specchi potrebbero concentrarsi su un deposito di sali fusi (il principio sarebbe il medesimo degli specchi
ustori di Archimede), i quali potrebbero poi attraverso uno scambiatore di calore generare vapore e quindi energia
elettrica, vincendo secondo alcuni anche il problema dell'intermittenza. Tutto questo richiede però ancora notevoli studi
di fattibilità, specialmente economica, ed in ogni caso non credo potrà mai arrivare a soddisfare per intero il fabbisogno,
per cui si dovrà sempre fare ricorso ad altre fonti, fossili o nucleare che siano... Quello che è certo è che oggi, e
verosimilmente anche in futuro, le cosidette fonti rinnovabili potranno forse contribuire alla produzione energetica -
quanto è difficile dirlo e dipende da molti fattori - ma non ci libereranno dalla schivitù delle fonti fossili.

Perché non possiamo fare a meno del nucleare oggi e soprattutto in futuro?

Perchè a differenza di alcuni anni fa abbiamo incrementato i nostri standard di vita, e parallelamente anche i nostri
consumi di energia, che in buona misura vanno di pari passo. Dubito che qualcuno abbia la sebbenché minima
intenzione di tornare indietro. Certo, in Italia abbiamo incrementato i consumi senza ricorrere al nucleare. Ma forse non
tutti sanno che, producendo noi energia col gas, ne consumiamo più di Francia, Svizzera, Portogallo, Danimarca,
Romania e Finlandia messe assieme. E spesso siamo costretti ad alleanze con personaggi discutibili per poter
conseguire questi risultati, quando non addirittura ad inviare i nostri bombardieri, e i tragici eventi di queste ore che
riguardano il nostro coinvolgimento nel conflitto libico credo siano drammaticamente eloquenti. Peraltro emerse
chiaramente dalle indagini di "mani pulite" che il nucleare fu affossato negli '80 nel nostro Paese a beneficio del
mercato del gas, grazie ad una vicenda di tangenti: un bell'articolo di Giangiacomo Schiavi, apparso sul Corriere della
Sera il 7 aprile 1993 (e disponibile online), dal titolo "Il gas uccise l'atomo" svela alcuni dei retroscena...
Non si può dimenticare inoltre che attualmente due miliardi di individui sul nostro pianeta non hanno accesso a fonti
commerciali di energia, e che reclamano con forza e giustamente il diritto di raggiungere i nostri standard. Istituti
specializzati (come la IAASA, tanto per citarne uno) prevedono una domanda esplosiva di energia nei prossimi anni: ci
si può attendere una enorme pressione sulle fonti di energia per il futuro, che potrebbero facilmente portare anche a
conflitti armati per il controllo delle fonti. Credo sia una nostra responsabilità precisa quella di evitare tutto ciò, e per far
questo è necessario adottare con gran fretta tecnologie che forniscano abbondante energia a basso prezzo e che siano
rispettose dell’ambiente, fornendo aiuti in tal senso anche a coloro che lo richiedano. Personalmente non vedo altre
possibilità per “disinnescare” la violenza. L’energia nucleare, tanto più se si considerano le tecnologie dei reattori veloci
autofertilizzanti, possono produrre più combustibile di quello che producono (fertilizzando quello che oggi è
l’inutilizzato uranio impoverito, e bruciando il plutonio, contributore principale alla tossicità delle scorie). Viceversa chi
propone le energie rinnovabili, almeno come concepite oggi, propone di fatto di sfamare gli affamati con caviale e
champagne...

Si può ancora dire che quella nucleare è un'energia pulita e sicura?

Direi di si, anche se dirlo oggi sembra quasi una provocazione. Bisogna ricordare che minimi quantitativi di
combustibile nucleare producono enormi quantitativi di energia, senza liberare praticamente alcuna emissione
nell’atmosfera, fatto questo rilevante, specie se si vogliono onorare gli impegni presi col protocollo di Kyoto sulle
emissioni di gas serra (giusto o sbagliato che sia porsi questo obiettivo). Per dare una idea di cosa parliamo basti
pensare che se un uomo nell’arco della propria vita consumasse solo energia nucleare produrrebbe un volume di scorie
pari al volume di una lattina da 33 cl, che potrebbe quindi tenere in una mano. Certo le cose vanno diversamente in caso
di incidente catastrofico, ed episodi come quello di Chernobyl e di Fukushima lo dimostrano; tuttavia tali eventi sono
altamente improbabili, ed in ogni caso adeguate procedure di emergenza possono ridurre significativamente i rischi per
la popolazione anche in queste eventualità. Ribadisco poi che gli impianti di moderna concezione hanno fatto dei
notevoli passi avanti rispetto a quelli più datati, sia nel campo della sicurezza intrinseca e passiva, che nell’uso delle
risorse, che nel settore dei costi di produzione. Per confronto basti pensare ad una utilitaria del 1971 e ad una moderna,
tanto per citare una esperienza più comune... Naturalmente è compito degli enti nazionali preposti (in Italia l’Agenzia
per la Sicurezza Nucleare) vagliare attentamente i design proposti dalle varie compagnie, e verificare che gli impianti
che verranno realizzati rispondano ai più rigidi e moderni requisiti citati.

Come si pensa di risolvere la questione delle scorie?

La tematica è complessa e seria indubbiamente, e si studia ormai in tutto il mondo da molti anni. Tuttavia è anche un
problema su cui si specula molto. Sulla esigua consistenza delle scorie ho detto sopra. Quello che colpisce
indubbiamente è che molti (s)parlano di questo argomento, chiedendosi retoricamente “dove metterle”, ma senza
documentarsi minimamente preventivamente su dove le mettono coloro che hanno da anni solide industrie nucleari
(nessuno può credere i francesi se le mangino evidentemente!), o dove intendono metterle, e quali tecnologie sono allo
studio in tutto il mondo. Approfitto quindi di questo spazio per fare, molto sinteticamente, il punto della situazione.
Secondo le moderne tecnologie le scorie vanno immobilizzate in vetri appositi (simili a quelli vulcanici), poi messe in
opportuni contenitori di acciaio, o in altri casi di rame (dello spessore di 5 cm) e di acciaio (altri 5 cm). Dopodiciò si
seppelliscono nella bentonite a 500-1000 metri di profondità in siti geologici opportuni, scelti ad hoc affinché l’acqua
arrivi il più tardi possibile. Si pensi ai deserti, oppure alle miniere di sale per fare degli esempi: l’acqua è assente da
milioni di anni. In queste condizioni le scorie non hanno alcuna possibilità di nuocere. Le preoccupazioni possono
sorgere solo se un giorno lontano ed ipotetico, giunta l’acqua, sciogliesse il contenitore e lisciviasse i vetri vulcanici
rimettendo in circolo i prodotti radioattivi. Anche in questo caso la bentonite tenderebbe a bloccare il loro movimento.
Si capisce che tale eventualità richiederebbe verosimilmente milioni di anni: nel frattempo, le sostanze radioattive,
proprio in quanto tali, avrebbero perso in buonissima misura la loro pericolosità – in altri termini si sarebbero
autoincenerite.
A qualcuno può sembrare una visione ottimistica, ma diritto di cronaca impone di citare il caso dei reattori nucleari
naturali di Oklo, nel Gabon. In questa area furono ritrovati alcuni anni fa, in una miniera di uranio, ben 17 reattori
nucleari naturali che sono entrati in funzione 2 miliardi di anni fa e si stima abbiano funzionato per 1 milione di anni:
ebbene analisi approfondite hanno dimostrato che in tutto questo tempo prodotti come il plutonio si sono spostati di soli
3 metri! La natura dunque sembra indicare l’affidabilità di questa soluzione... Almeno una parola finale poi la meritano
le tecnologie della trasmutazione nucleare, su cui si lavora attivamente in tutto il mondo: si tratta di realizzare delle
macchine in grado di “bruciare” i prodotti radioattivi a vita lunga (ossia quelli che ad autoincenerirsi ci mettono più
tempo, tanto per capirci). Simulazioni al computer ed esperimenti mirati hanno dimostrato la fattibilità tecnica di queste
tecnologie, che dovrebbero essere disponibili entro qualche decennio (ma naturalmente, questo dipenderà anche
dall’impegno che verrà messo in questa direzione dal potere politico).

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