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GIORDANO BRUNO

Tra i tre filosofi naturalisti, il secondo è Giordano Bruno, un monaco domenicano


che inizialmente si chiamava Filippo e apparteneva a un ‘ordine d’elite ( oltre ai
domenicani, anche i gesuiti facevano parte di questa categoria). Era laureato in
teologia e aveva criticato in modo duro il cristianesimo, tanto da essere
scomunicato da tutte le confessioni. Proprio per via delle posizioni prese, il 17
febbraio 1600 verrà arso vivo a Roma, nella piazza di Campo de’ Fiori, poichè
dichiarò di non voler rinnegare le sue idee, a differenza di Galileo che invece
decise di abiurare.
Il pensiero di Bruno si basa sull’impossibilità dell’uomo di conoscere Dio , poichè
la mente umana è ritenuta dal filosofo troppo debole per cogliere la grandezza di
Dio. Per superare questa debolezza, dobbiamo identificare Dio nell’universo. Con il
suo Panteismo, Bruno sostiene che l’universo stesso è Dio. La chiesa parla di Dio
trascendente che si fa uomo in Cristo, mentre Bruno parla invece di immanentismo:
ogni singola cosa della natura è un’ombra dell’idea delle cose che vediamo in Dio,
e l’uomo può conoscerla attraverso i sensi. Bruno, a differenza di Telesio, credeva
nella magia, attraverso la quale si possono spiegare i meccanismi della natura.
Nell’opera “L’ombra delle idee”, il monaco sottolinea la capacità dell’uomo di
cogliere soltanto le ombre della realtà nate dalla mente divina.

Prima di essere arrestato e bruciato vivo, fu costretto a fuggire in varie città


europee. La cena delle ceneri infatti è stata scritta e pubblicata a Londra:
l’opera è importante perché propone una questione dell’universo in cui non accetta
il geocentrismo, e si pone a favore dell'eliocentrismo, riprendendo la dottrina di
copernico e sostenendo l’infinità dell’universo sulla base di un ragionamento
teologico. Secondo Bruno, essendo Dio un’entità infinita, anche l’universo può
considerarsi tale. Bruno critica fortemente la chiesa e i dogmi che impone per
controllare l’uomo, impedendogli di cercare la verità attraverso la sensibilità.

Nell’opera “ De la causa, principio et uno”, Bruno rivede le quattro cause


aristoteliche (materiale, finale, efficiente e formale), considerando valide
soltanto due, quella efficiente e quella finale perché sono le uniche a riferirsi a
Dio: la causa efficiente è ciò da cui si origina qualcosa, mentre quella finale è
l’approdo ultimo. Bruno considera la causa materiale e formale due principi perché
sono interne ai corpi. Il principio materiale è l’atomo, il principio formale è
l’anima.

Nell’opera “ Lo spaccio della bestia trionfante” si pone come un anticristiano e


sostiene che il cristianesimo imponga la verità per fede, mentre la filosofia
arriva attraverso un percorso razionale alla verità. Bisogna quindi fidarsi della
scienza e non dei dogmi.

Nell’opera “Degli eroici furori”, individua il comportamento dell’uomo che deve


staccarsi dai desideri terreni e dai piaceri per avvicinarsi alla verità e alla
metafisica. Per rendere l’idea, Bruno parla del mito di Atteone, un cacciatore che
per inseguire un cervo con i suoi cani viene distratto da una fanciulla che faceva
il bagno nuda in una fonte: la fanciulla è la dea della caccia Artemis (Diana). La
dea, accortasi della sua presenza, lo fa sbranare dai suoi cani. Metaforicamente i
cani separano Atteone dai piaceri terreni e lo innalzano alla verità. Solo
separandosi dal corpo si può diventare filosofi.

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