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Mediamorfosi del grande

romanzo realista:
dal Bildungsroman al TV Serial
Emanuela Piga

Letteratura, serialità televisiva, mediamorfosi


Nell’Ottocento, accanto al romanzo popolare, la distribuzione
seriale della narrativa attraverso la stampa vedeva la comparsa di un
genere allora in evoluzione, il grande romanzo realista, sebbene in
molti casi, come quello di Balzac e Dickens, i due modelli convivessero
nelle opere con diversi gradi di problematicità.
“Nozione che varia da cultura a cultura”1, il realismo è un
concetto dai contorni multipli ed evanescenti, caratterizzato da una
storia che affonda le sue radici nella filosofia scolastica (Bertoni 2007).
Alla fine del Settecento, saranno F. Schiller e F. Schlegel a utilizzare il
termine in ambito artistico, facendo riferimento agli “scrittori realisti”,
ancora in un’accezione vaga che troverà sempre più consistenza nella
Francia della metà dell’Ottocento. “Termine ad alta circolazione […] il
destino del realismo è quello di non morire, di rigenerarsi, di
sopravvivere alle insofferenze di critici e scrittori per risorgere a nuova
vita: è il destino di chi è stato innalzato, lusingato, brandito come
un’arma contro il vecchio, poi a sua volta disprezzato e combattuto in
nome del nuovo; e capace, a ogni passaggio, di riapparire in forme
camaleontiche e molteplici, rinnovato, riadattato, riconvertito a
effettive sperimentazioni o furbescamente nascosto dietro
travestimenti di facciata” (ibid., 18).

1
N. Goodman, I linguaggi dell’arte, cit. in Bertoni 2007.

Between, vol. VI, n. 11 (Maggio/ May 2016)


Emanuela Piga, Mediamorfosi del grande romanzo realista: dal Bildungsroman al TV Serial

Scavalcando la lunga storia e le diverse sfaccettature di questo


termine nell’ambito del realismo cinematografico, che ci porterebbero
in una direzione diversa, l’intenzione è qui di partire dalla matrice del
realismo ottocentesco, nella sua biforcazione originaria tra parola
letteraria e immagine, per riflettere sul contemporaneo realismo
televisivo. Il confronto tra i due linguaggi espressivi muove dal rilievo
in alcune narrazioni televisive di quei tratti tipici del realismo, sia a
livello tematico2, come la rappresentazione “seria” della vita
quotidiana (caratteristica principe individuata da Erich Auerbach,
1946) e delle “grandi forze sociali” e “basi economiche dello sviluppo
storico” (Lukács 1970: 60), sia a livello stilistico, attraverso forme
testuali caratterizzate da una pienezza descrittiva volta a procurare
“l’effetto di reale, fondamento di quel verosimile inconfessato che
costituisce l’estetica di tutte le opere correnti della modernità” (Barthes
1988: 158). Secondo Lukács, la “peculiarità dell’antico, grande realismo,
del realismo di Diderot e di Balzac” è una “forma d’espressione che
trascende la vita quotidiana”, che nel suo essere “socialmente e per il
suo contenuto sempre conforme alla realtà” (1970: 186) è in grado di
rappresentare i caratteri umanamente e socialmente “tipici” (ibid., 60).
Per “grande romanzo realista”, si intende qui un fenomeno
storicamente determinato, circoscrivibile tra gli anni Trenta e gli anni
Novanta dell’Ottocento, divenuto in seguito “la pietra di paragone per
stabilire il ‘grado di realismo’ delle opere precedenti o successive”
(Bertoni 2007: 29).
Proseguimento di un lavoro precedente, focalizzato sul ricorrere
nella contemporanea serialità televisiva di forme narrative proprie del
romanzo popolare (Piga 2014), l’obiettivo di questo contributo è il
rilievo di quelle forme testuali all’origine dell’aria di famiglia che
avvolge, in una “sensazione di permanenza” (Bisoni-Innocenti-
Pescatore, 2013: 14), racconto televisivo e letteratura. Senza l’intenzione
di offrire una sintesi sistematica ed esaustiva, mi limiterò al rilievo di
alcuni tratti tematici e stilistici che si ripercorrono nei due ambiti,
seguendo la lezione di Erich Auerbach (1946) del procedere per

2
Cfr. Bertoni 2007: 28.

2
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campioni. In quest’orizzonte movimentato dal permanere e mutare


delle forme narrative, di volta in volta incarnate in epoche e media
diversi e vettori di una metamorfosi che diventa mediamorfosi, come
indicazione metodologica valgano le parole di Roger Fidler, che
invitano a “studiare ogni forma separatamente” e a “esaminare tutte le
forme come parti di un sistema interdipendente”, osservando “le
somiglianze e le relazioni che esistono tra il passato, presente e forme
emergenti”. Come afferma lo studioso, “dallo studio del sistema di
comunicazione come un tutto, potremo vedere che i nuovi media non
sorgono spontaneamente e indipendentemente, ma come essi
emergono gradualmente dalla metamorfosi dei vecchi mezzi» (Fidler
2000: 31).

Critica sintomatica dei finali di puntata


La produzione, la distribuzione e la ricezione delle serie televisive
sono determinate dalla struttura della serialità, che, se affonda le sue
radici nelle antiche tradizioni orali e nelle saghe medievali (Dionne
2008), si sviluppa in senso moderno con i processi di
industrializzazione che coinvolgono l’occidente a partire dal
diciannovesimo secolo. Charles Dickens era un grande comunicatore e
divulgatore della sua opera, le sue letture pubbliche erano dei veri e
propri eventi di massa. Si può dire che in un certo senso lo scrittore sia
stato un precursore del worldwide broadcasting: l’edizione americana di
Great Expectations, pubblicata a puntate nell’inserto del settimanale
Harper’s Weekly e illustrata da John McLenan, precedette di una
settimana la pubblicazione inglese, mentre l’edizione in volume uscì
per la prima volta in Inghilterra, ma anticipando di soli tre giorni la
pubblicazione americana (Figure 1 e 2).

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Emanuela Piga, Mediamorfosi del grande romanzo realista: dal Bildungsroman al TV Serial

Figura 1. Timeline della pubblicazione di Great Expectations negli Stati Uniti e nel Regno
Unito. Sulla sinistra è rappresentata la pubblicazione a puntate, sul lato destro la successiva
pubblicazione in volume.

Figura 2. Il romanzo di Charles Dickens Great Expectations, illustrato da John McLenan e


pubblicato sull’Harper’s Weekly, 24 novembre 1860 (prima puntata).

In diverse opere del romanziere inglese, la forma seriale della


distribuzione incide sul finale della puntata, che si chiude con un
effetto di suspense, generando nel lettore un sentimento di attesa della
risoluzione dello snodo narrativo. La traccia di questo tipo di
distribuzione permane nella ristampa in forma di libro, in cui dal taglio

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del capitolo si riconosce il taglio della puntata. A dominare il ritmo


dell’intreccio è l’iterazione della suspense, che chiude e governa il
finale di molte puntate esattamente come succede oggi nei cliffhanger
dei moderni serial TV3.
Senza entrare in merito alle specifiche differenze di genere proprie
della produzione televisiva4, nel percorrere il crinale che unisce e
divide letteratura e serialità televisiva mi sono avvalsa
dell’interpretazione dei finali di puntata come espressione sintomatica
di altre caratteristiche tematiche o formali. Questo percorso mi ha
portato a riscontrare finora due tendenze, sebbene risultato
dell’ibridazione di diversi generi e dai confini elastici. Per la
molteplicità delle trame, il ritmo degli avvenimenti e il taglio strategico
delle puntate, avevo rintracciato in una serie televisiva come Lost un
insieme di caratteristiche riconducibili al romanzo popolare (Piga
2014). Tuttavia, oltre ai finali di puntata tagliati sul cliffhanger o
caratterizzati dalla compresenza di running plot e anthology plot5,
esistono anche finali non imperniati sulla logica dell’interruzione
strategica. Questo scarto rispetto a una tecnica narrativa omologa ai
meccanismi della serialità distributiva ricorda le scelte stilistiche dei
grandi romanzieri realisti. Il confronto risale a quei romanzi che
costituiscono tutt’oggi i capolavori del genere, come Vanity Fair di

3
Per un’analisi comparata dei finali di puntata nel romanzo popolare e
nella serialità televisiva a partire dai romanzi ottocenteschi Les Mystères de
Paris di Eugène Sue e Great Expectations di Charles Dickens (romanzo oggetto
anche di questo studio, poiché ottimo esempio della compresenza di forme
narrative popolari e realiste), e il serial TV Lost, si veda Piga 2014.
4
Per un’autorevole rassegna, si veda R. Altman (1999).
5
Fu Hill Street Blues la prima serie caratterizzata dalla compresenza di
una trama autoconclusiva (anthology plot), che conferisce al testo una
maggiore autonomia rispetto alla sequenza narrativa seriale, e di una trama
inter-episodica collegata all'evoluzione cronologica di vicende e personaggi
(running plot). L’anthology plot permette allo spettatore occasionale di poter
apprezzare un singolo episodio, mentre il running plot si rivolge soprattutto
allo spettatore abituale, in grado di percepire la trasformazione dell’arco
narrativo dei personaggi.

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Emanuela Piga, Mediamorfosi del grande romanzo realista: dal Bildungsroman al TV Serial

W.M. Thackeray (1847-1848), Madame Bovary di Flaubert (1856), Great


Expectations di Charles Dickens (1860-61), Middlemarch di George Eliot
(1871-72), The Portrait of a Lady di Henry James (1880-81), per citarne
qualcuno tra i più noti. Romanzi oggi chiamati “classici” ma che al
tempo uscivano a puntate per ragioni di distribuzione e di struttura
industriale. Gli inserti settimanali o mensili andavano infine a
comporre i cofanetti che ricordano i moderni dvd box che arredano le
librerie (figura 3).

Figura 3. Boxes: Middlemarch di George Eliot e DVD box di Mad Men di Matthew Weiner.

Un testo televisivo che a mio parere può costituire un ottimo


esempio della mediamorfosi del grande romanzo realista è il serial TV
Mad Men, creato da Matthew Weiner e andato in onda su AMC dal
2007 al 2015 per 7 stagioni, ognuna della durata di 13 episodi da 50
minuti. Se andiamo a guardare la struttura dell’opera, possiamo
osservare come la narrazione non sia dominata da un andamento
dilatorio che va a interrompersi, nel momento di massima tensione,
con la chiusura della puntata. Difatti, lo stile dell’opera, più che un
Eugène Sue o un Alexandre Dumas, ricorda maggiormente George
Eliot o Balzac, grandi maestri del realismo e non del feuilleton. E
probabilmente non è un caso che l’emancipazione da una struttura

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seriale imperniata sul cliffhanger si accompagni a un’intensificazione


del realismo della rappresentazione (cfr. infra, par. 4). Ad esempio, il
finale di puntata dell’ultimo episodio della prima stagione termina con
il ritorno di Don dal lavoro a casa, nella speranza di essere ancora in
tempo per partire con la famiglia per il weekend. In realtà, Betty e i
bambini sono già partiti e l’episodio termina con una lunga carrellata
su Don seduto sulle scale della casa deserta (figura 4).

Figura 4. Mad Men, stagione 1 episodio 13, sequenza del finale di puntata.

Oltre ai finali costruiti sulla


suspence, propri dei romanzi a
dominante popolare, la serialità
narrativa ottocentesca presentava
anche conclusioni di capitolo che
narravano vicende caratterizzate
da un basso livello di suspense e un
alto tasso descrittivo. Con queste
caratteristiche si presenta il primo
feuilleton francese pubblicato in
Francia da Émile de Girardin, La
Vieille fille di Balzac 6. L’anno è il
1836, lo stesso che vede la
Figura 5. Prima puntata della Vieille Fille
di Honoré de Balzac, La Presse,
pubblicazione, aldilà della Manica,
23 ottobre 1836. del primo romanzo a puntate di
Dickens, The Pickwick Papers.

Sebbene, come si può vedere dall’immagine le puntate uscissero nelle


6

colonne delle pagine e non a fondo pagina. Si veda Pellini 2015.

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Emanuela Piga, Mediamorfosi del grande romanzo realista: dal Bildungsroman al TV Serial

Se prendiamo un campione di un finale di puntata del romanzo di


Balzac (figura 6) possiamo notare come il brano in questione si
concluda con la visita di Suzanne al cavaliere de Valois. Si tratta di un
momento né particolarmente significativo né carico di tensione
narrativa. Né “esca”, né twist, dunque7. Se confrontiamo il testo con
l’edizione pubblicata in volume l’anno seguente (1837), possiamo
riscontrare che, a differenza della versione a puntate, il brano è
disposto in un punto intermedio del racconto che non corrisponde al
finale del capitolo (sinistra dell’immagine).

Figura 6. Confronto tra il finale di puntata della Vieille fille pubblicato sul quotidiano La Presse
(1836) e la posizione del brano corrispondente nella versione in volume (1837).

7
Cfr. Eco 1971.

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Questo perché scrittori come Balzac e George Eliot non miravano


a conquistare il lettore con il ritmo dilatorio della suspense; il loro
intento era differente e comportava una differenza di ritmo. Anziché
trascinare il lettore nel vortice dell’intreccio essi miravano ad
immergerlo gradatamente nell’”illusione referenziale” (Barthes 1988),
in un mondo caratterizzato dall’abbondanza di dettagli, in cui occorre
muoversi a passo lento. Nel suo studio sul teatro, una sfera largamente
influenzata nell’Ottocento prima dal realismo e poi dal naturalismo,
Èmile Zola scriveva:

Invece di immaginare un’avventura, di complicarla,


distribuendo colpi di scena che la conducano via via ad una
conclusione finale, si prende semplicemente nella vita la storia di
un uomo o di un gruppo di uomini, di cui si registrano fedelmente
le azioni. L’opera diventa un processo verbale e niente altro; non
ha che il pregio dell’osservazione esatta, della penetrazione più o
meno profonda, dell’analisi, del collegamento logico dei fatti”.
(Zola 1881)

Il venire meno del twist si accompagna a un’intensificazione della


descrizione, dalla collocazione socio-economica dei personaggi al loro
profilo psicologico, dai costumi ad arredi, scenari urbani e paesaggi,
senza tralasciare l’affresco storico e i grandi movimenti sociali, politici
e tecnologici che contrassegnano un’epoca. Tutte caratteristiche
presenti in quel sottogenere del romanzo realista ottocentesco che è il
Bildungsroman, il romanzo di formazione, dalla sua forma ascendente
rappresentata dal Wilhelm Meister di Goethe (1795-96), con la sua
sintesi perfetta tra la spinta all’autodeterminazione e le esigenze della
socializzazione (cfr. Moretti 1987), all’incrinatura di quella dialettica
con le figure di Julien Sorel (Le rouge et le noir, 1830), Lucien de
Rubempré (Le illusions perdues, 1837-43) o Maggie Tulliver (The Mill on
the Floss, 1861), fino alla dissoluzione di questa circolarità con l’avvento
del romanzo novecentesco e gli eroi di Robert Musil e di Thomas
Mann.

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Emanuela Piga, Mediamorfosi del grande romanzo realista: dal Bildungsroman al TV Serial

Mediamorfosi del Bildungsroman


Forma che domina il secolo d’oro della narrativa occidentale
(Moretti [1987] 1999: 3), il romanzo di formazione continua ad imporsi
sull’immaginario collettivo attraverso epoche e media diversi. Se con il
rilievo di particolari caratteristiche formali e tematiche possiamo
rintracciare in Mad Men la mediamorfosi (cfr. supra, introduzione) del
grande romanzo realista, la presenza di determinati schemi narrativi
indica anche il ritorno nel mutamento di quel sottogenere che era il
Bildungsroman.
Il romanzo di formazione ottocentesco esprimeva al massimo la
forma della modernità (ibid., 5), e lo faceva ponendo al centro
simbolicamente la gioventù, “concreto segno sensibile della nuova
epoca” (ibid., 6), alla ricerca di un senso nel futuro anziché nel passato.
Similmente, seppur nella specificità del medium audiovisivo, l’attuale
quality TV drama incarna una delle forme narrative della
contemporaneità. La “prosa della vita reale” (Hegel 1838)8 dispiegata
sullo schermo continua difatti a raffigurare quel conflitto tra pulsioni
soggettive e pressioni sociali che è stato l’oggetto della
rappresentazione del grande realismo, da Honoré de Balzac a Charles
Dickens.
Inizialmente, Mad men si svolge nella New York della fine degli
anni Cinquanta, presso l'agenzia pubblicitaria Sterling Cooper a
Madison Avenue9. Il protagonista Don Draper (Jon Hamm) – in
principio talentuoso creative director dell'agenzia Sterling Cooper, in
seguito socio della Sterling Cooper Draper Pryce – è un uomo dal
passato oscuro e il perno focale attorno a cui si sviluppa l'intreccio. Il

8
“Come individui con i loro fini soggettivi dell’amore, dell’onore,
dell’ambizione e con i loro ideali di un mondo migliore, [gli eroi dei romanzi
moderni] stanno di contro a quest’ordine sussistente ed alla prosa della
realtà che pone loro difficoltà da ogni parte […]”. Hegel (1838) 1978: II, 1223.
9
Nella puntata pilota la locuzione "Mad men" viene descritta come
espressione gergale coniata negli anni Cinquanta dai pubblicitari di Madison
Avenue per riferirsi a se stessi.

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plot si focalizza sulle vicende personali dei personaggi fuori e dentro lo


studio, intrecciate di volta in volta agli episodi storici e ai cambiamenti
sociali e culturali di quegli stessi anni. Don Draper, il cui vero nome è
Dick Whitman, è l'archetipo dell'uomo che si fa da solo nascondendo le
sue origini e integrandosi tra gli WASP10. La trama che segue le
vicende di Don e di sua moglie Betty, residenti ad Ossining, sobborgo
residenziale a 30 km a nord da New York City, nella ricca contea del
Westchester, rappresentano la famiglia benestante modello di quegli
anni, con il capofamiglia professionista, la moglie casalinga e due figli.
Le scene che li riguardano, narrate da una prospettiva che guarda ai
drammi interiori dei personaggi con gli occhi del presente, riflettono
l’isolamento e il vuoto interiore della famiglia nucleare degli anni
Cinquanta e Sessanta.
In Mad Men la saldatura tra storie private e tempo storico è
visibile nelle strategie politiche che attua la Sterling Cooper a seconda
della situazione politica, o ad esempio, nel percorso di formazione
della giovane Peggy Olson (Elisabeth Moss), il cui apprendistato si
svolge di pari passo con le conquiste del femminismo, o ancora,
nell’assunzione di una segretaria nera, in parallelo al crescere dei
movimenti antirazzisti. In tutti questi casi, le tematiche poste al centro
riguardano la mobilità socio-economica, in continua dialettica con le
sfere dell’interiorità, libertà e felicità, identità e mutamento, bisogno di
sicurezza e metamorfosi dovute alle pressioni dell’ambiente sociale11.
A differenza degli altri personaggi, per ragioni anagrafiche Don Draper
non potrebbe essere l’eroe di un romanzo di formazione. Tuttavia la
sua evoluzione è incessante; inizialmente si presenta come uomo di
successo e modello da imitare, per poi acquisire complessità agli occhi
dello spettatore. Il divenire del personaggio, “che riflette in sé il
divenire storico dello stesso mondo” (Bachtin 2000: 210), prosegue
attraverso flash-back che inseriscono nel tempo lineare della storia
frammenti dell’infanzia e della giovinezza. Come Betty, Don è un
personaggio che non si racconta, ma che è mostrato (showed) e nella sua

10
Cfr. Edgerton 2011.
11
Cfr. Moretti 1987.

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Emanuela Piga, Mediamorfosi del grande romanzo realista: dal Bildungsroman al TV Serial

opacità va decifrato12. Il passato di Don, cresciuto in una famiglia ostile


e di povera condizione nella periferia Americana, è un contenuto
rimosso che viene mostrato a piccole dosi in rapidi flashback nel corso
delle puntate e della vita del personaggio, fino a traboccare
incontrollato nel momento meno opportuno, ovvero durante il suo
pitch per la barra di cioccolato della Hershley (6:13, In Care Of). Nel
corso dell’incontro, la presentazione di Don si trasforma in un flusso di
coscienza che mette a nudo la sua infanzia desolata e la sua vera
identità. Dopo le prime stagioni incentrate sul suo successo privato e
professionale, il tema della caduta del protagonista attraversa a livello
di running plot le stagioni centrali del serial. A preannunciarlo è la
stessa sigla d’apertura del serial, in cui la figura stilizzata del Mad Man
precipita dall’alto del grattacielo, attraversando enormi e patinati
manifesti pubblicitari.

Figura 7. Fotogramma dalla sigla di apertura di Mad Men.

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Sul tema dell’opacità dei personaggi in Mad Men, si veda Rossini
2014.

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Come con Pip, il protagonista del romanzo ottocentesco Great


Expectations, sebbene incarnati in una figura adulta, con Don ritornano
in Mad Men temi classici del romanzo di formazione: il topos
dell’orfano, del passaggio dell'eroe dalla campagna alla città,
dall'innocenza infantile a una sofferta identità morale e sociale13.
Entrambi i personaggi sono degli evasi dalla propria classe sociale,
proiettati nella grande città tentacolare, dalla Londra vittoriana alla
New York dei Sixties, destinazioni delle grandi speranze di successo e
autorealizzazione.
Nel romanzo classico di formazione il quotidiano si innalzava alla
storia e, sullo sfondo della nuova società industriale, la gran parte dei
romanzi ottocenteschi descriveva il passaggio tra due classi sociali,
l’ascesa della borghesia verso l’aristocrazia. Analogamente, mutati
medium e affresco storico, con le figure di Don Draper, Peggy Olson,
Pete Campbell (Vincent Kartheiser), Ken Cosgrove (Aaron Staton),
Betty Draper, Joan Holloway, Mad Men raffigura il processo di mobilità
sociale nell’America di quegli anni.

Figura 8. Personaggi di Mad Men in una foto promozionale.

13
Cfr. Moretti 1987.

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Emanuela Piga, Mediamorfosi del grande romanzo realista: dal Bildungsroman al TV Serial

Realismo e Long durée


Il romanzo di formazione ottocentesco rifletteva i grandi
mutamenti storici, come la Rivoluzione francese, la restaurazione post
napoleonica o l'apoteosi del capitalismo nelle metropoli. Con Great
Expectations Dickens intendeva raffigurare, insieme alle vicende di Pip,
i molti cambiamenti che attraversavano la società vittoriana, come la
crescita dell'urbanizzazione, la mobilità sociale, lo sviluppo della
ferrovia, le riforme giuridiche nel codice penale, il miglioramento
dell'istruzione. Alle soglie del nuovo millennio e attraverso l’immagine
in movimento della televisione, Mad Men mette in scena i principali
eventi storici dell’America che vanno dai Fifties ai Seventies: l’assassinio
dei Kennedy, l’ascesa del femminismo, i riots e i movimenti
antirazzisti, la Guerra in Vietnam. Eventi che non rimangono sullo
sfondo, ma che entrano nella vita delle persone comuni, in una
saldatura tra macrostoria e microstorie che era già presente nel
romanzo ottocentesco. Avvenimenti che si riflettono nelle particelle
del quotidiano, dal mutare delle relazioni di genere tra i personaggi
alle loro tendenze politiche, dalla moda degli abiti al design degli
arredi.
Come nella sua evoluzione Don incarna perfettamente il tipo
realistico protagonista del “romanzo del divenire” (Bachtin 2000: 210),
lo scorrere degli episodi e delle stagioni esprime il senso del tempo
storico reale. Anche se la città di New York e gli eventi storici che la
attraversano filtrano unicamente dagli “sfondi intravisti nelle finestre”
o dallo schermo delle televisioni – poiché, come ha rilevato Fabio
Guarnaccia (2009), la maggior parte della storia si svolge negli interni –
questa assenza, “questa nostra proiezione mentale stimolata dal
mondo finzionale costruito dalla serie” incide sulla fisionomia dei
personaggi, la cui evoluzione è compresa nell’attualità delle categorie
socio-economiche rappresentate. Ad esempio, lo spostamento
quotidiano di Don dalla casa all’ufficio – da Ossining, sobborgo
residenziale, alla Madison Avenue, il cuore di Manhattan – ricorda la
polarizzazione tra esistenza morale e maschera sociale tipica dei
personaggi dickensiani. Esemplare in questo senso il Wemming di

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Great Expectations, che nella sua abitazione a Walworth, sobborgo


residenziale nella periferia londinese, rivela a Pip un'esistenza morale
sconosciuta al suo principale, l’avvocato Jaggers. Nel quotidiano
pendolarismo che segna la separazione tra sfera privata e sfera
pubblica risiede difatti uno dei tratti caratteristici della classe media14.
Dai luoghi oscuri dell’East End, passando per la frenesia della vita
professionale nella City, fino alla tranquillità di Walsworth, la Londra
dickensiana muta, si “rimedia” (Bolter-Grusin 1999) nello scintillio di
Madison Avenue, con i suoi uffici e ascensori brulicanti di segretarie e
pubblicitari, dagli appartamenti bohèmien del Village alla sospensione
temporale di Ossining che circoscrive la vita di Betty.
È nota la presenza di lunghi brani descrittivi nella narrativa
ottocentesca. Dalle pagine che illustrano la campagna inglese e le rive
del fiume Floss intorno al Mulino Darcote (Eliot 1861), alla minuziosa
descrizione di quell’”edificio slavato, freddo, silenzioso” che è casa
Grandet, con il suo “orologio da muro di rame”, “la cappa del camino
in pietra bianca, mal tagliata”, o la specchiera gotica di acciaio
damaschinato” (Balzac 1833). Un’analoga cura del dettaglio si riflette
nella descrizione dei vestiti, dal “gilè di velluto a righe color giallo e
pulce, abbottonato fino al collo”, l’ampia “giubba marrone a falde
larghe” e il cappello da quacchero di M. Grandet (ibid.), fino ai
particolari dei raffinati e sofisticati abiti parigini di Lucien de
Rubempré, con i loro tagli, tessuti, colori e accessori (Balzac 1837-43).
Uno dei tratti che accomunavano gli esponenti del realismo
ottocentesco era il procedimento di “caratterizzazione mediante tratti
inessenziali”, come “l’insistenza di Tolstoj sul dettaglio trascurabile
della borsetta durante il suicidio di Anna Karenina” (Bertoni 2007: 29).
Analogamente, “la creazione continua di effetti di realtà” (Mascio 2009:
286) è centrale nel testo di Mad Men, caratterizzato da lunghe sequenze
descrittive che riflettono un mondo ammobiliato minuziosamente. Si
tratta di interni dettagliati, “dai quali emerge la cura maniacale con la
quale la serie ricostruisce gli ambienti attraverso oggetti e vestiti
originali, in grado di restituire, con eleganza, il clima dell’epoca”

14
Cfr. Moretti 1987 (1999).

15
Emanuela Piga, Mediamorfosi del grande romanzo realista: dal Bildungsroman al TV Serial

(Guarnaccia 2009). Ogni cosa che entra a far parte del mondo fittizio
della Madison Avenue e di Ossining è frutto di un’accurata ricerca,
dalla testiera del letto dei Drapers al desk in acciaio cromato della
Sterling Cooper. Tutti gli “oggetti e suppellettili sono originali del
periodo, compresi i tessuti e le penne” (ibid.), ha dichiarato Amy Wells,
la set designer della serie. Come ha osservato Antonella Mascio (ibid.,
285), in Mad Men “la macchina da presa si sofferma a lungo sui
particolari che potrebbero apparire superflui rispetto alla narrazione,
quasi dei ‘riempitivi’, e che invece sono ‘dotati di un valore funzionale
indiretto, in quanto, messi uno dopo l’altro, costituiscono indizi di
carattere o di atmosfera’”15. Seppur dissimulato dalla cornice
scintillante della Madison Avenue e dalla raffinatezza degli arredi e dei
costumi16, la tonalità del racconto è anti-eroica e prosaica, pervasa dalle
piccole cose del quotidiano, comunicanti con lo spazio più vasto della
storia.
Nella letteratura critica sulla serialità televisiva è stato rilevato
come con il tempo le caratteristiche negative convenzionalmente
associate alle soap opera americane e alle telenovela sudamericane si
siano rovesciate nell’esatto opposto: la mancanza di aderenza alla
realtà in realismo; l'inconsistenza e la lunghezza di dialoghi e
situazioni in densità e introspezione psicologica; l'atmosfera
melodrammatica e lacrimevole in asciuttezza e qualità della
recitazione; l'approssimazione delle scenografie in una fotografia
raffinata. La somma di azioni, dialoghi e silenzi, fa sì che in Mad Men i
personaggi siano resi nei loro momenti di essere, nei diversi scenari e
particelle del quotidiano.
L’allentamento del cliffhanger nei serial contemporanei si può
leggere come una conseguenza della crescente qualità che caratterizza
questi prodotti culturali, che in un certo senso sembrano non sostituire,
ma traslare su un altro medium la funzione ricoperta un tempo dai

15
Barthes 1988: 151, in Mascio, cit.
16
Sulla relazione tra moda e realismo in Mad Men, si veda Mascio 2009,
cit.

16
Between, vol. VI, n. 11 (Maggio/May 2016)

grandi romanzi, avventurosi o seri che fossero. Opere che, nella loro
media di 500-700 pagine, impegnavano il lettore, e che nella
temporalità dilatata della loro fruizione lo accompagnavano incontro al
sonno notturno, appoggiate sul comodino e tagliate da un segnalibro.
La composizione di molti serial, come Mad Men, sembra
svincolarsi sempre di più dalla necessità dello stratagemma
dell’interruzione strategica in virtù di una sempre maggiore capacità di
costruzione di mondi. Lo spettatore non si limita a seguire
passivamente la moltiplicazione dell’intrecci ma si immerge
nell’immaginario e nei frammenti di realtà rappresentati, con un
investimento cognitivo di lunga durata volto a interpretare eventi e
personaggi dal significato problematico. La possibilità di entrare con
maggior profondità e in una temporalità estesa nel tessuto di
personaggi e relazioni è una delle peculiarità che accosta
quest’esperienza alla lettura di un grande romanzo. Se la
frammentazione degli episodi e il cliffhanger rimandano più
direttamente al formato del feuilleton, e dunque al romanzo popolare,
lo sviluppo dell’arco narrativo e l’evoluzione dei personaggi permessa
dal formato esteso, accompagnata dall’intensificazione dell’effetto di
reale, è alla chiave dell’analogia con il romanzo classico. Come nei
grandi romanzi realisti, anche l’ingresso nello storyworld ha una sua
gradualità, con la calma con la quale si affronta un lungo viaggio,
osservando con attenzione il paesaggio e cercando di cogliere i dettagli.

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Filmografia
Mad Men, Dir. Matthew Weiner, 2007-2015, USA

L’autrice
Emanuela Piga

Emanuela Piga è tutor didattico per i corsi di Letteratura


comparata e Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso
l''Università di Bologna, e borsista presso l’Università di Cagliari. Si è
specializzata in Littérature générale et comparée all’Université de Paris
3 – Sorbonne Nouvelle e ha conseguito il dottorato di ricerca nel 2009
all'Università di Bologna. Ha scritto su romanzo e serialità televisiva e
concurato il volume monografico “Tecnologia, immaginazione e forme
del narrare” (2014) per la rivista Between, di cui è corresponsabile di
redazione.

Email: emanuela.piga@gmail.com

L’articolo
Data invio: 30/01/2016
Data accettazione: 15/04/2016
Data pubblicazione: 31/05/2016

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Emanuela Piga, Mediamorfosi del grande romanzo realista: dal Bildungsroman al TV Serial

Come citare questo articolo


Piga, Emanuela, “Mediamorfosi del grande romanzo realista: dal
Bildungsroman al TV Serial”, Forme, strategie e mutazioni del racconto
seriale, Eds. A. Bernardelli – E. Federici – G. Rossini, Between, VI.11
(2016), http://www.betweenjournal.it.

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