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Alle prime luci dell'alba padre Cristoforo lascia il convento di Pescarenico (un piccolo paese sulle rive del

lago,
non lontano dal ponte di Lecco e abitato per lo più da pescatori) per recarsi alla casa di Agnese e Lucia. Il cielo è
sereno e il sole illumina il paesaggio, in cui si vedono le foglie di gelso che cadono a terra e quelle della vite
ancora rosseggianti, mentre nei campi biancheggiano le stoppie dopo la mietitura. Lo spettacolo sembra lieto, ma
in realtà è rattristato dalla presenza di mendicanti lungo la strada che riveriscono il frate, mentre i contadini
spargono i semi nei campi con parsimonia e lavorano svogliatamente con la zappa, e una ragazza conduce al
pascolo una vacca macilenta raccogliendo erbe che possono nutrire la sua famiglia (tutto ciò rammenta che è
periodo di carestia).
Ma per quale motivo il frate cappuccino ha risposto con tanta sollecitudine alla chiamata di Agnese e Lucia? E,
soprattutto, chi è padre Cristoforo? Si tratta di un uomo di circa sessant'anni, che conserva ancora un
atteggiamento fiero e inquieto nonostante l'abitudine all'umiltà; ha una lunga barba bianca che incornicia un volto
scavato dall'astinenza, che per questo ha acquistato gravità, con due occhi che spesso sono chinati a terra ma
talvolta si levano con improvvisa vivacità, simili a due cavalli domati dal cocchiere che, a volte, non rinunciano a
tentare di ribellarsi ai suoi comandi.
L'autore apre a questo punto un ampio flashback in cui racconta il passato di padre Cristoforo, che prima di
diventare frate si chiamava Lodovico (il nome della città in cui è nato non viene menzionato). Lodovico è figlio di
un ricco mercante, che alla fine della sua vita lascia gli affari e inizia a vivere come un nobile, vergognandosi delle
proprie origini che tenta in ogni modo di celare: al punto che un giorno, durante un banchetto, un commensale dice
senza malizia che fa "orecchio da mercante", il che è sufficiente a fare incupire il padrone di casa e a spegnere
l'allegria della brigata (da quel giorno l'incauto ospite non verrà più invitato). Lodovico viene educato come un
aristocratico e acquista abitudini signorili, trovandosi assai ricco alla morte del padre, ma quando tenta di
mescolarsi agli altri nobili della sua città viene trattato con disprezzo e si allontana da loro indispettito. In seguito
tenta di competere con loro in sfarzo e spese futili, attirandosi inimicizie e critiche, per poi diventare una specie di
difensore dei deboli e degli oppressi che subiscono angherie proprio da parte di quei nobili con cui ha avuto di che
ridire. La sua indole è onesta ma incline alla violenza, per cui Lodovico si circonda di sgherri e bravi ed è spesso
costretto a compiere atti moralmente discutibili per amore della giustizia, il che gli provoca rimorsi di coscienza
(tanto che, a volte, è tentato dall'idea di abbandonare il mondo e farsi frate).
Un giorno Lodovico cammina per strada insieme a due bravi e un fedele servitore di nome Cristoforo, già
dipendente del padre e ora suo maestro di casa, un uomo di cinquant'anni con una numerosa famiglia. Il giovane
incontra un nobile della sua città, noto per la sua arroganza, che procede circondato anch'egli da quattro bravi:
entrambi camminano rasente un muro, e poiché Lodovico lo sfiora con il fianco destro avrebbe diritto che l'altro
gli cedesse il passo, mentre il nobile potrebbe esigere la stessa cosa in quanto aristocratico (dunque entrambi,
stando ai codici cavallereschi del tempo, avrebbero ragione). Quando i due si trovano di fronte, il nobile intima
imperiosamente a Lodovico di farlo passare e il giovane rifiuta in modo sdegnoso; segue un breve scambio di
battute in cui i contendenti si scambiano tipici insulti cavallereschi (il nobile dà a Lodovico del "meccanico" e gli
rinfaccia le sue origini borghesi, l'altro lo accusa di viltà), poi nasce un duello cui prendono parte anche i bravi di
entrambe le parti. Lo scontro è molto violento e Lodovico viene ferito, quando il suo avversario gli piomba
addosso con la spada: il servo Cristoforo protegge il suo padrone e viene colpito a morte, quindi Lodovico uccide a
sua volta il nobile trafiggendolo con la sua lama. A questo punto i bravi di entrambi si danno alla fuga, mentre
Lodovico rimane steso in strada, malconcio, accanto ai corpi di Cristoforo e del suo rivale.
Attorno ai tre uomini si raccoglie una piccola folla di spettatori, i quali conoscono Lodovico come giovane
dabbene e il nobile ucciso come un noto prepotente, per cui non vogliono che il primo finisca nelle mani della
giustizia o dei parenti del morto: lo conducono allora a un vicino convento di cappuccini, dove potrà essere curato
e sarà al riparo da possibili ritorsioni (i luoghi sacri offrono asilo a chi vi si rifugia). Lodovico è rimasto
profondamente turbato dalla morte di Cristoforo che si è sacrificato per lui, e soprattutto dalla vista dell'uomo che
lui stesso ha assassinato; più tardi un padre del convento gli riferisce che il nobile, prima di spirare, lo ha
perdonato e ha chiesto a sua volta perdono per il male commesso, il che accresce il suo scoramento e il rimorso per
quanto ha fatto. Frattanto i parenti del nobile ucciso, armati di tutto punto, giungono nei pressi del convento per
reclamare la consegna di Lodovico, cosa che non possono ottenere poiché quello è un luogo sacro e inviolabile.
Il giovane prega i cappuccini di riferire alla vedova di Cristoforo che provvederà lui alle necessità della
famiglia, quindi matura la decisione di indossare la tonaca come espiazione del male commesso: annuncia la sua
decisione al padre guardiano, il quale lo ammonisce dal prendere risoluzioni affrettate ma si dichiara disposto ad
accoglierlo.- Lodovico in seguito fa donazione di tutti i suoi averi alla vedova di Cristoforo, mentre la sua scelta
di farsi frate toglie i cappuccini dall'imbarazzo di decidere cosa fare di lui, poiché la famiglia dell'uomo ucciso
pretende vendetta e i frati non possono certo consegnar loro Lodovico senza rinunciare ai loro privilegi: tuttavia
la monacazione del giovane può sembrare un'espiazione sufficiente per l'omicidio commesso, dunque la cosa
potrà soddisfare i parenti del nobile ucciso (che, del resto, non piangono la sua morte ma si sentono offesi
nell'onore nobiliare).
Il padre guardiano si reca dal fratello dell'ucciso e gli comunica la decisione di Lodovico, indicando la
monacazione del giovane come risarcimento sufficiente per l'onore della famiglia, al che il gentiluomo protesta
il proprio sdegno ma, alla fine, pone come unica condizione che il novizio lasci immediatamente la città. Il
padre acconsente e lascia credere che si tratti di un gesto d'obbedienza (in realtà ha già preso questa decisione),
per cui la questione viene risolta con soddisfazione di tutti, specie di Lodovico che in tal modo potrà iniziare
una vita di espiazione e penitenza. Ad appena trent'anni diventa dunque frate e assume il nome di Cristoforo, in
modo da ricordarsi sempre del male commesso e accrescere così l'espiazione di quella morte causata
indirettamente da lui.
Fra Cristoforo dovrà compiere il noviziato in un paese a sessanta miglia di distanza, ma il giovane chiede al
padre guardiano di potersi prima recare dal fratello dell'ucciso a implorare il suo perdono per il gesto compiuto.
Il padre approva l'intenzione e si reca dal gentiluomo a rivolgere tale richiesta, al che il nobile pensa che questa
sarà l'occasione di una pubblica soddisfazione della famiglia e risponde che Cristoforo potrà venire il giorno
dopo. Il gentiluomo l'indomani fa raccogliere tutti i parenti nel suo palazzo e attende il novizio circondato da
aristocratici in abito da cerimonia e le spade al fianco, in uno scenario di pompa e magnificenza tipica
dell'aristocrazia di quei tempi.
Fra Cristoforo giunge al palazzo accompagnato da un altro padre e prova subito un certo imbarazzo al vedere
tanti nobili riuniti, ma poi pensa che ciò sarà parte della sua espiazione per il delitto commesso. Attraversa una
grande sala piena di gente e si inginocchia ai piedi del fratello del nobile ucciso, che lo guarda dall'alto con aria
altera e sdegnata: il frate parla con voce sincera e chiede con contrizione perdono per il male commesso,
suscitando un mormorio di approvazione da parte di tutti i presenti. Anche il gentiluomo padrone di casa è
toccato e invita Cristoforo ad alzarsi, aggiungendo parole di conforto e riconoscendo i torti del fratello defunto;
quindi concede il proprio perdono al frate, che si dice contento di ciò (anche se, ovviamente, ciò non cancella il
male compiuto ai danni dell'uomo ucciso).
Tutti si felicitano con il novizio, al quale i servitori di casa offrono delicate vivande; il frate rifiuta con cortesia,
limitandosi a chiedere solo un pezzo di pane con cui potrà rifocillarsi durante il viaggio che lo attende. Il
padrone di casa lo accontenta e un cameriere gli porge su un piatto d'argento un pane, che il novizio mette nella
sporta e di cui conserverà un pezzo come ricordo di quel memorabile giorno (il cosiddetto "pane del perdono").
Fra Cristoforo lascia il palazzo riverito da tutti, mentre il fratello del morto è stupito della sua benevolenza e da
quel giorno diventa un po' più affabile e meno altero, mentre tutta la sua famiglia ricorderà questa giornata nel
segno del perdono e della riconciliazione.
L'autore non racconta la vita di padre Cristoforo negli anni seguenti, se non dicendo che il cappuccino esegue
con obbedienza i doveri che gli sono imposti, cioè di predicare e assistere i moribondi, anche se non rinuncia
quando si presenta l'occasione a prendere le difese dei deboli contro le ingiustizie degli oppressori: l'uomo
conserva ancora un barlume dell'antica fierezza e dell'indole animosa, per cui il suo contegno, abitualmente
umile e posato, può diventare impetuoso e sdegnato quando assiste a qualche intollerabile ingiustizia. Ciò
spiega la sua sollecitudine nel rispondere alla chiamata di Lucia, che il padre conosce come una giovane
innocente e vittima di un'infame persecuzione da parte di don Rodrigo: in ansia per lei e per quanto può esserle
accaduto, giunge infine alla casa della giovane e della madre Agnese, le quali accolgono il cappuccino con una
benedizione.

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