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ROCK IN LOVE
60 storie d’amore
a tempo di musica
INDICE
Discografia sentimentale
ROCK IN LOVE
Il rock è single per definizione, poche chiacchiere. Essere fidanzati, peggio ancora sposati, non è
assolutamente rock. Una vita rock è fatta di amori contrastati, di baci rubati e camerini affollati.
Essere innamorati per un personaggio del rock è un po’ come perdere i capelli o smettere di bere.
Come i Ramones che cantano Baby I Love You dopo Blitzkrieg Bop.
Però, dietro alla logica che vuole che l’unica regola è che non ci siano regole, spesso
l’eccezione la fa da padrona. Di vere storie d’amore il rock è pieno, poi magari non tutte hanno il
lieto fine. Ma, siamo sinceri, spesso neanche le nostre. Forse, al contrario, dovremmo ribaltare il
punto di vista e pensare che anche noi comuni mortali, maschi o femmine che siamo, avremmo
diritto a pensare alla nostra vita sentimentale con più passione e meno raziocinio. Magari ci
divertiremmo un po’ di più. Si può essere felici tantissimo per pochissimo o festeggiare le nozze
di diamante. Purché sia vero amore. Meglio se rock.
Linus
Da bambina volevo diventare la ragazza della canzone. Mentre mi sfilavano davanti schiere di
ballerine, maestre, veterinarie e principesse, a me interessava solo essere l’oggetto di quel
motivetto che chiunque avrebbe canticchiato almeno una volta nella vita. Scrivermelo da sola, un
testo, non sarebbe stata la stessa cosa. L’ipotesi di strimpellare in pubblico non era da prendere in
considerazione, data la scarsa autostima. Agitarmi in uno di quei videoclip che mi tenevano in
ostaggio e a debita distanza dai compiti di matematica non mi sarebbe mai bastato, anche se in
effetti impersonare me stessa mentre abbandono il malcapitato di turno che annaspa nelle sue
lacrime mi sarebbe piaciuto, eccome. Il problema era che quella donna dovevo essere io, anche
nelle intenzioni. Mai sarei riuscita ad appropriarmi di una storia altrui. Quella era la mia storia, si
trattava solo di trovare qualcuno disposto a scriverla. Ma chi? E come? Esisteva un ufficio di
collocamento per giovinette con una mania di protagonismo fin troppo sviluppata? Se c’era, io non
lo conoscevo. Certo, avrei sempre potuto chiedere in famiglia. Tutti quei ritratti di musicisti
appesi alle pareti non avevano forse un legame di sangue con la sottoscritta? No. Ma che ci
stavano a fare lì allora? Sono delle icone, Laura, delle fonti di ispirazione quotidiana; non sono
nostri parenti, ma è come se lo fossero. Ah, quindi non ero la vera nipote di John Lennon né una
lontana cugina di Mick Jagger e non condividevo una sola goccia di sangue con Joni Mitchell. Mi
ci sono voluti anni per capire come funzionavano le cose, anni in cui non ho mai smesso di
specchiarmi nelle prime note di una canzone. Questo pezzo parla di me, non può essere altrimenti.
Lui non mi ha mai incontrata in questa vita, ma in un’altra sicuramente sì. Era davvero così
importante mettermi sulla strada di un musicista che, nella migliore delle ipotesi, mi avrebbe
scaricata nei pressi della stazione degli autobus più vicina, dopo un rapido giro in città? Si, ovvio
che lo era. Se avevo dunque deciso di far ruotare la mia esistenza attorno a quella di un estraneo
di cui non conoscevo che pochi accordi, allora avevo bisogno di un metodo. Non potevo rischiare
di farmi spezzare il cuore dal primo venuto, tanto più senza la certezza di ricevere in cambio la
mia canzone. Dovevo essere pronta, informarmi. Esempi illustri mi avevano preceduto. Migliaia
di donne, ogni sera, subito dopo l’esibizione dell’oggetto dei desideri, finivano per intrufolarsi nel
backstage, partecipare a festini e accompagnare svariati energumeni in buca prima di ghermire la
preda. Magari potevo cercare di salire qualche gradino e finire dietro le quinte con un registratore
nella mano e un bicchiere nell’altra, e se la conversazione avesse iniziato a scemare, ecco, forse
in quel caso tanto valeva liberarsele, le mani, e riaprire la bocca non per chiacchierare. Chrissie
Shrimpton fu costretta a un stato di assoluta sottomissione prima di vedersi ritratta in brani come
Under My Thumb e Stupid Girl da Sir Mick. Ma chi vuole essere ricordata come una stupid girl?
Meglio sorgere e tramontare di nascosto tra le coperte di quel pazzo scatenato di Robert Plant e
strappare un arrivederci sullo spartito di Going To California. Michele Overman sapeva il fatto
suo e lo sapeva anche Patti Smith, che non ha mai avuto remore ad ammettere di desiderare
carnalmente chiunque la ossessionasse dai solchi di un disco o dalle pagine di un libro. Patti
Smith è diventata il mio modello, almeno fino a quando non mi sono guardata intorno per capire
dove cavolo stessi vivendo. Quello di spettatrice sembra l’unico ruolo ancora disponibile.
Osservatrice di epoche passate, magari cronista di un presente poco allettante. Per caratura e
disposizione geografica, il mio Paese sembra non voler stare al gioco. Va bene. Modulo
all’italiana, allora. Io comunque devo scendere in campo, pena l’interdizione a vita dalla stanza di
ricreazione delle ragazze. Che sarà anche meno avvincente di quella dei maschi, ma con le
chiacchiere e sogni ci si possono dipingere faccia, mani e giorni. E dove sta scritto che non sia
proprio questa la via più comoda per accelerare i desideri?
Ring Of Fire – Johnny Cash (RING OF FIRE – THE BEST OF JOHNNY CASH)
La biografia di Steve Jobs edita nel 2011 svela un retroscena della giovinezza dell’arguto
imprenditore che lascia tutti a bocca aperta. Nel 1982, quando è ancora al lavoro sul Macintosh,
Jobs conosce la celebre interprete folk Joan Baez, attraverso la sorella Mimi Fariña, e se ne
innamora. Lui ha ventisette anni, lei quarantuno, ma per circa tre anni una conoscenza casuale si
traduce in una seria relazione fra amanti. Al contrario di Jobs, Joan non è interessata a costruirsi
una famiglia e questo in apparenza è il motivo della separazione. Qualche tempo dopo, amici ben
informati precisano che il coinvolgimento di Jobs per la cantante americana avesse in realtà a che
fare con la sua passione spropositata per Bob Dylan, di cui Baez era stata compagna molti anni
prima. Steve amava semplicemente l’idea di avere un legame, per quanto indiretto, col suo idolo,
arrivando ad ammettere di essere stato sì attratto da Joan, ma mai innamorato.
Nelle sue memorie pubblicate nel 1989, Joan Baez parla della separazione dal marito e della
ragione per cui non ha più voluto risposarsi. In chiusura del libro inserisce anche un
ringraziamento a Steve Jobs per averle insegnato a usare un programma di videoscrittura. Non
aggiunge altro. Per una vita ha lasciato che fosse la sua musica a parlare per lei e anche quando si
è ritrovata suo malgrado bersaglio di allusioni ha sempre cercato di evitare il centro della scena, a
meno che non si trattasse di un palco debitamente allestito per uno show. Joan Baez scopre presto
se stessa, come vivere e cosa diventare, e lo fa da sola, senza che nessuno le indichi la via.
Quando qualcuno prova a farle cambiare strada o semplicemente considerare una deviazione, Joan
sorride e rifiuta l’invito.
Il 10 aprile del 1961 Joan Baez incontra per la prima volta Bob Dylan in un locale del
Greenwich Village. Lei è già un’interprete affermata, lui sta ancora affinando il repertorio. Sono
due ventenni affascinanti, ma in modo opposto. Joan è una donna decisa, virtuosa, distante dai
canoni di bellezza del periodo, eppure la sua indipendenza attira schiere di amanti. Anche Dylan
non ha certo problemi con le donne, ma è la malia dell’artista arruffato e scostante a colpirle.
Sono ambedue esili, timidi, hanno in comune una passione sconfinata per la musica e
un’incoercibile voglia di fare bene il proprio mestiere. Si incontrano, si osservano, si ammirano e
poi ognuno prosegue per la propria strada. Joan si trasferisce in California e Dylan resta a New
York, dove ha da poco iniziato a frequentare una diciassettenne che gravita intorno alla scena del
Village, Susan Rotolo.
Ma si rivedono. In giro per festival. Sempre a New York e poi a Cambridge. È in una
domenica di aprile del 1963 che scoprono di avere molte più cose in comune di quanto
immaginassero. Le canzoni di Dylan, per esempio, Joan non pensava di apprezzarle al punto da
proporgli di dividere lo stesso palco. L’occasione è offerta qualche settimana dopo dal Folk
Festival di Monterey. Si presentano insieme e il pubblico di Joan Baez non può fare a meno di
apprezzare un artista così caldamente raccomandato dalla propria beniamina. Joan prende per
mano lo spettatore e lo invita ad aprire gli occhi, a prestare ascolto, a conoscere colui che lei ha
visto prima di tutti. Ci vuole un po’ prima che il cantautore faccia breccia nel cuore del pubblico.
In quello di Joan, invece, ha già fatto il suo ingresso trionfale. Non c’è bisogno di fare l’amore,
racconta la stessa Baez, basta la musica.
Il 27 maggio del 1963 Bob Dylan pubblica l’album che farà decollare la sua carriera.
S’intitola THE FREEWHEELIN’ BOB DYLAN. La copertina lo coglie intirizzito dal freddo mentre
passeggia su Jones Street, al Village, sottobraccio a Suze Rotolo. Ma la foto è ormai datata. Joan
si sente così sicura che quando regala il disco alla sorella lo accompagna con un biglietto nel
quale presenta quel giovane scarmigliato come il suo nuovo ragazzo. Mimi, la più giovane delle
sorelle Baez, in realtà conosce già Dylan; era con Joan la sera del primo incontro e ricorda
distintamente di aver ricevuto delle attenzioni da lui. In ogni caso, non è mai successo nulla. Mimi
è innamorata dell’aspirante scrittore Richard Fariña. Quanto a Joan, le basta qualche altro invito a
condividere il palco per retrocedere Suze a sbiadito ricordo nella testa di Dylan.
È l’alba di una storia che giova a entrambi, ma in termini di popolarità più al cantore del
Minnesota. A ogni concerto Joan Beaz, regina in carica della musica folk, nomina Dylan principe
consorte. E da una costa all’altra dell’America paiono anche divertirsi molto insieme. Joan
addolcisce Bob, lo rende più aggraziato e in diverse occasioni lo induce a sposare l’impegno
civile. E anche la Baez acquista fascino, soprattutto agli occhi di chi la riteneva una pasionaria
asessuata. Quando Joan e Bob iniziano a fare coppia fissa le loro vicende si avviluppano a
un’altra coppia, quella formata da Mimi e Richard Fariña, i quali, da poco unitisi in matrimonio,
ammirano da vicino sorella e cognato. In fondo Mimi ha sempre desiderato cantare e anche
Richard, oltre al sogno letterario, coltiva quello di diventare autore di canzoni.
Le storie s’intrecciano. Bob scrive per Joan una canzone, Lay Down Your Tune, in realtà molto
lontana dal consueto registro folk della cantante, che in effetti pare apprezzare maggiormente un
brano scritto per lei da Fariña, Birmingham Sunday, ispirato a un fatto di cronaca del periodo.
Progressivamente, a livello professionale, Joan e Bob cominciano a prendere direzioni diverse.
Mentre la Baez dedica sempre più tempo a questioni sociali e politiche, Dylan matura la decisione
di non prendere più parte a manifestazioni e comizi. Eppure, nonostante i reciproci impegni,
nell’estate del 1964 la coppia sfiora l’argomento matrimonio. Parlano di un nome da dare a un
possibile bambino e si preoccupano di vedere più chiaro nel loro futuro. Ma è sempre Joan a
razionalizzare e a constatare che le cose in comune sono ancora troppo poche.
Per Joan, amore e musica non sono affatto universi a sé stanti. Se inizialmente tollera il
disinteresse del compagno per l’impegno sociale, non sembra invece accettare il crescente senso
di nichilismo dei suoi testi. Quando Bob nel mese di marzo del 1965 dà alle stampe l’album
BRINGING IT ALL BACK HOME, quello che si offre al pubblico è un artista nuovo, elusivo e
piuttosto arrogante. C’è una canzone, in particolare, che Dylan sembra dedicare a Joan: She
Belongs To Me raffigura con sarcasmo una donna superba e pretenziosa, caratteristiche in verità
molto più affini al ruolo assunto dallo stesso interprete. Un altro tour intrapreso fianco a fianco
contribuisce ulteriormente a portare a galla le differenze inconciliabili tra i due. Ora che Bob
Dylan ha il suo pubblico, di quello caritatevole e contegnoso della Baez non sa più che farsene.
Nell’estate del 1965, la relazione naufraga. Bob Dylan si libera della compagna umiliandola
pubblicamente nel corso dell’ultimo tour inglese. Ora che è lui a godere di maggior fama non c’è
più bisogno di condividere il palco. Il debito di riconoscenza è ampiamente saldato. In più, c’è
un’altra donna, e svincolarsi con sdegno dal passato inibisce desideri di riconciliazione. Lei si
chiama Sara Lownds, è già in attesa del primo figlio di Dylan e a novembre ne diventa la moglie.
Un ulteriore timbro alla storia con Joan Baez, Bob Dylan lo appone con Positively 4th Street, un
brano critico verso l’ex compagna e tutta la scena folk del Greenwich Village. Joan risponde con
un lamento, e affida la sua replica a Diamonds And Rust. Quando Bob lascia Sara, dopo dodici
anni di matrimonio e tre figli, è da Joan che torna, giusto il tempo per leccarsi le ferite e
ricominciare altrove. Ancora lontani. Eppure indissolubilmente legati.
But You’re Mine – Sonny & Cher [THE WONDROUS WORLD OF SONNY & CHER]
Storie tanto salde e durature si contano sulle dita di una mano nell’effervescente e sconsiderato
panorama rock. Adelaide Gail Sloatman è l’oracolo al quale chiedere dettagli di vita, particolari
fondamentali, istruzioni da applicare all’occorrenza. Gail oggi ha l’aspetto di una sessantasettenne
un po’ in carne alla quale in foto piace ridere, e lavora ancora attivamente al patrimonio lasciatole
in eredità dal marito musicista e compositore Frank Zappa.
A metà degli anni Sessanta Gail Sloatman è un’intraprendente ragazza amante della musica e
dei suoi protagonisti. Ben presto scoprirà, senza dolersene affatto, di appartenere a pieno titolo a
quella categoria che l’intero pianeta sta iniziando a identificare col termine groupie. Se groupie
significa stare al centro di una scena che permette alle ragazze più carine e vivaci di entrare a
stretto contatto con musicisti talentuosi, allora Gail lo è. Londra pullula di artisti che le fanno
perdere la testa, primi fra tutti i Rolling Stones e poi gli Who. Quando nel 1964 si trasferisce a
New York e capita per sbaglio in una stanza d’albergo con Tom Jones, realizza di essere incline
per natura ad altre frequentazioni e suggestioni. Le va a cercare sulla West Coast. Nel sud della
California, animata dalla volontà di portare alle radio la musica inglese degli Who, incontra i
Beach Boys e i Byrds e si ritrova a conversare con un ragazzo di nome Jim Morrison conosciuto
molti anni prima, quando i rispettivi padri militavano in Marina.
Gail non cede alle sue lusinghe, anche perché ha in testa da un po’ una sorta di premonizione.
È convinta che qualcuno o qualcosa di grande entrerà presto nella sua vita. Un’intuizione che in
fondo l’accomuna a milioni di adolescenti che preferiscono sognare piuttosto che risvegliarsi
brutalmente in una realtà che non le soddisfa. Ma Gail non ha niente di cui lamentarsi. Il lavoro in
uno dei club più hip del momento su Sunset Strip le consente di mantenersi ed entrare in contatto
con la scena musicale californiana. Il Whisky a Go Go è davvero un’epifania per la ventenne Gail.
Poi, il destino si manifesta a più riprese, quasi a sottolineare la sua ineluttabilità. Gail incontra
Frank una volta, due volte, ma soltanto alla terza scocca la scintilla. È il 1966, e i due
impiegheranno pochi mesi per convincersi di avere le carte in regola per tentare l’avventura.
Zappa odia le canzoni d’amore e ha un rapporto del tutto speciale con i cliché. Dopo una
prematura unione con una compagna di college terminata nel 1964, il venticinquenne è pronto a
crescere al fianco di Gail. Trasferitasi sulla East Coast, il 21 settembre del 1967 la coppia si reca
alla New York City Hall con una penna a sfera per firmare il certificato di matrimonio. Al posto
dello scambio di anelli, Zappa appunta la stessa penna sul vestito di Gail e poi parte per il primo
tour europeo lasciando la consorte incinta del primo figlio con un solo monito: «Se è femmina
chiamala Moon, se è maschio Motorhead». Moon Unit nasce due settimane dopo. Qualche anno
più tardi arriveranno anche Dweezil, Ahmet e Diva. Questa famiglia tutt’altro che tradizionale già
dai nomi, per quanto il capofamiglia si dichiari un conservatore, nel 1968 si trasferisce
nuovamente in California. La nuova residenza losangelina, una capanna di legno all’angolo tra
Laurel Canyon Boulevard e Lookout Mountain Drive, diventa l’epicentro di un circo freak che
metterebbe a dura prova anche il rapporto più saldo.
Al culmine del movimento hippie questa casa viene invasa da musicisti e aspiranti tali, artisti
di fama e altri senza arte né parte, tutti con al seguito massicce dosi di stramberia e droga
snobbata da Zappa (a eccezione di tabacco e caffè). E poi ci sono le groupie. Gail le conosce
bene, è stata una di loro, se le fa amiche, e non sono certo i corpi scoperti di poche giovinette a
preoccuparla. Non tanto, almeno, quanto la difficile gestione di un menage familiare che
comprende rancio e bucato per decine di persone, alcune delle quali con la psiche in balia di
chissà quali alterazioni. Nella vita di Frank le groupie ci sono e ci saranno sempre, fanno parte del
suo lavoro. Addirittura, ne raduna un po’ per l’incisione di un un disco che diventa in breve un
piccolo culto nell’ambiente. Zappa è il burattinaio di un teatrino di cui magicamente governa i fili.
Senza di lui, un’intera scena di svitati non avrebbe catturato così tanta attenzione.
Le mosse del compositore italo-americano sono tutt’altro che azzardate. La meticolosità sul
lavoro, le lunghe sessioni in studio e una genialità impossibile da catalogare hanno bisogno di
assistenza e soccorso. Gail accetta la sfida e il mestiere di moglie, un vero e proprio impiego a
stretto contatto con il proprio uomo, anche quando per interi mesi lui si trova dall’altra parte
dell’oceano. Non una semplice casalinga o compagna: il ruolo di moglie è fatto di regole, orari,
programmi, incombenze mirate ad alleggerire e a migliorare l’attività del marito. Il punto di vista
è gestionale, finanziario e, naturalmente, sentimentale. Per intere giornate, la sola cosa di cui deve
occuparsi Zappa è lavorare; a tutto il resto pensa Gail. Figli da portare a scuola, compere,
pagamenti. Ciò che potrebbe essere scambiato per incomunicabilità e placida rassegnazione
rappresenta in realtà la chiave di volta di un’unione che si sviluppa felicemente fino alla
scomparsa del musicista, nel 1993.
Per ventisei anni la coppia Zappa-Sloatman rimane unita anche se ognuno dei due conserva la
propria individualità e la poca predisposizione a occuparsi l’uno dell’attività dell’altra. Frank e
Gail applicano a una delle più longeve storie d’amore rock lo stesso principio sul quale si
fondano milioni di altri rapporti duraturi che non sono esposti ai riflettori: non si intralciano, si
rispettano, mantengono la lucidità per capire quando è il momento di farsi da parte, specie in
prossimità di un ego smisurato, a volte affascinante ma altre dannatamente frustrante. Alla fine del
1993 Frank Zappa, da tempo malato, muore nella sua casa attorniato dall’intera famiglia. Soltanto
qualche mese prima l’annuncio di volersi candidare alla presidenza degli Stati Uniti aveva
preparato Gail all’ennesima battaglia da combattere al fianco del marito. Alla fine del 1993 Gail
Sloatman lascia il mestiere di moglie per abbracciare quello non meno impegnativo di
amministratrice dell’intero patrimonio artistico ed economico del fu consorte. Una vera groupie è
sempre al servizio della musica, e se la musica è l’altare e i musicisti sono gli dèi, le groupie sono
le più alte sacerdotesse. Parola di Gail.
California Dreamin’ – The Mama’s and The Papa’s (IF YOU CAN BELIEVE YOUR EYES AND
EARS)
La lunga strada del rock è lastricata di pietre rotolate via precipitosamente. Quelle di cui ci si
ricorda hanno impresso un nome, un aneddoto e una data. Per alcune è stato eretto un vero e
proprio altare, altre ogni tanto vengono sollevate dal terreno e ripulite.
Questa è una delle prime storie d’amore del rock’n’roll. Alle varie protagoniste femminili è
stato riservato un unico destino nonostante origini molto diverse. A ciascuna è toccato sparire. Del
loro passaggio resta solo una canzone, ma non di quelle che riemergono dall’album dei ricordi.
Qui le canzoni arrivano prima di tutto il resto e danno il La alla storia. Solo che poi la musica
rimane e gli autori si godono i frutti dei propri lampi di genio. Le muse no. Le muse se ne devono
andare, specie se diventano ingombranti, competitive, problematiche. Le muse portano scompiglio
dove c’è già disordine, ma di qualcuna bisognerà pure sbarazzarsi. Le più fortunate si vedono
offrire un biglietto di sola andata per il purgatorio. A tutte le altre viene spalancata la portiera
dell’auto in corsa.
La musa, nel 1964, si chiama Marianne Evelyn Faithfull, una diciottenne ben educata dell’alta
società inglese, interessata all’arte. Compagna del gallerista John Dunbar, la ragazza conosce a un
party la banda di capelloni che sta sulla bocca di tutta l’Inghilterra. Quella stessa sera Mick Jagger
e Keith Richards vengono sfidati dal manager Andrew Loog Oldham a comporre un brano
originale per la deliziosa Marianne, la quale non ha ancora deciso come guadagnarsi da vivere e
non sembra averne l’urgenza. Dopo neanche una settimana dalla singolare proposta, si ritrovano
tutti agli Olympic Studios di Londra per registrare As Tears Go By, una delle prime composizioni
originali a firma Rolling Stones, fino a quel momento rinomati soprattutto per le cover di standard
blues. Pubblicato nello stesso anno, il singolo diventa un grosso successo per la giovane Marianne
e in pochi mesi accresce fama e reputazione del gruppo di capelloni.
As Tears Go By è il principio. All’inizio del 1966 Mick Jagger e Marianne Faithfull diventano
ufficialmente il re e la regina della scena di Chelsea. Hanno il loro regno, il loro inno e qualche
vittima da buttarsi alle spalle. Mick si libera della fidanzata Chrissie Shrimpton, la Stupid Girl di
AFTERMATH che per tre anni lo ha sostenuto dall’anonimato al successo, mentre Marianne lascia
Dunbar a pochi mesi dalla nascita del loro bambino. La fama è lì per essere colta e all’orizzonte
si intravedono eventi di proporzioni immani. Nel frattempo, all’interno dell’alcova, due amanti
ventenni si scambiano libri, quadri, film e idee politiche. La musa questa volta non è soltanto il
grazioso involucro di un pacco regalo. Marianne è colta ed è un ottimo passepartout per
quell’aristocrazia che un medio borghese come Jagger ha potuto sbirciare solo dal buco della
serratura.
In piena Swinging London, Mick e Marianne condividono un appartamento a Cheyne Walk
arredato con tappeti, arazzi, cuscini, oggetti di antiquariato e incenso ovunque. Nelle strade
manifestazioni, cortei e repressioni sono all’ordine del giorno, ma solo in seguito al pasticcio di
Redlands la coppia si ritrova suo malgrado al centro di un linciaggio mediatico che punta il dito
su lascive rockstar fradice di droghe. Se Mick e Marianne vengono incriminati ufficialmente per
possesso di pasticche acquistate legalmente in Italia, è evidente agli occhi dell’intera società che
il consistente consumo di sostanze allucinogene è ormai abitudine negli ambienti artistici della
città. C’è chi gioca a nasconderlo e a puntare sulla facciata da bravo ragazzo, come accade ai
Beatles, e chi l’arroganza e la supponenza ce le ha cucite addosso. E dato che la parte del
giovanotto di buona famiglia è già stata presa, allora non resta che minacciare tutti i padri del
mondo al grido di «Lasceresti che tua figlia uscisse con un Rolling Stone?».
Dopo la retata di Redlands, Jagger e Richards assurgono a spocchiosi martiri ingiustamente
accusati, mentre Marianne Faithfull ne esce con la reputazione di stramba impellicciata e drogata
con tanto di barretta Mars infilata tra le gambe a uso e consumo dell’amante. E non è l’unica donna
dipinta a tinte forti tra quelle sedute sulle ginocchia di Mick. Anita Pallenberg è la fidanzata di
Brian Jones, ma quando il chitarrista perde contatto con la band e con la realtà a causa del
consumo smodato di Lsd, si rifugia tra le braccia di Keith Richards continuando a esercitare un
potere enorme sull’intero carrozzone. Nel 1968 quello che potrebbe essere visto come un saldo
rapporto tra due coppie molto legate tra loro, si trasforma in un eccentrico menage a base
ovviamente di sesso, droga e rock’n’roll.
Anita scivola nel letto di Mick, complice il film Performance che li vede entrambi
protagonisti. Keith, stordito dall’improvvisa gelosia in un tempo in cui la monogamia è ormai
vetusta, si rifugia nell’eroina. Quanto a Marianne, incinta della figlia di Mick e ormai dipendente
dalla cocaina, decide di trascorrere un periodo col primo figlio, dalla madre in Irlanda. Al
termine delle riprese del debutto sul grande schermo di Jagger, gli equilibri tra i due compagni di
band sono compromessi. La tiepida unione di una notte tra Keith e Marianne non placa veleni,
leggende ed episodi di dubbio gusto che da questo momento in poi diventeranno una costante nella
vita del gruppo più longevo del pianeta. Ma alla fine dei Sessanta, la più grossa fetta della storia
degli Stones è ancora da scrivere, e per compiere il passo successivo una prima pietra viene
sacrificata.
Il 3 luglio del 1969, a un mese dalla messa al bando dal gruppo, Brian Jones viene trovato
morto nella sua piscina. Due giorni dopo, il concerto dei Rolling Stones già programmato a Hyde
Park si trasforma in una sorta di veglia funebre. Tra le retrovie, quella più colpita dalla scomparsa
di Jones sembra essere proprio Marianne Faithfull, che dopo sette mesi di gravidanza ha appena
perso la bambina che aspettava da Mick. Per la coppia tornare indietro non sembra più possibile e
la successiva overdose della cantante porta Jagger a desiderare di avere accanto a sé una donna
più sana. L’americana Marsha Hunt, attrice e cantante pop già ex di Marc Bolan, sembra la
candidata ideale. Prende così il via un nuovo tourbillon alimentato dalla nascita di figli, quello di
Keith e Anita poco prima della bambina di Mick e Marsha, nuovi legami, quello tra la Faithfull e
l’artista italiano Mario Schifano, e tante splendide canzoni. Se non fosse per Brown Sugar,
Marsha Hunt resterebbe solo un’altra pietra senza nome rotolata sul sentiero del rock.
As Tears Go By – Marianne Faithfull (MARIANNE FAITHFULL)
Grandi vecchi e neofiti, padri e figli sotto il tendone del grande circo del rock’n’-roll, continuano
a domandarsi come mai il chitarrista dei Rolling Stones, da decenni in cima alla classifica dei vip
più accreditati alla morte, sia ancora in vita e goda di buona salute. Keith Richards non solo tiene
a farci sapere che un’esistenza l’ha conservata perché pur spingendosi oltre ogni limite non ha mai
perso del tutto il controllo, ma ci prende per mano, ci fa accomodare sulla sua chaise lounge
preferita e ci racconta aneddoti della sua vita con dovizia di particolari. Quando è il turno di
parlarci della sua storia d’amore più turbolenta si fa persino nostalgico e con lucidità mista a
franchezza ci informa che se non fosse stato per la dipendenza dalle droghe della sua donna, lui
oggi sarebbe ancora al fianco della scalmanata e seducente Anita Pallenberg. E il dispiacere di
non vedere adesso quei due settantenni avvinghiati sulla stessa amaca è enorme.
Quando Keith incontra per la prima volta l’attrice e modella Anita Pallenberg di anni ne ha
poco più di venti. Anita, anche lei appena uscita dai suoi teen, ha già vissuto in diversi Paesi,
conosce tre lingue e gli artisti più in voga in Italia e nel Regno Unito. La donna ideale, se non
fosse la fidanzata di Brian Jones, l’altro componente tutto matto dei Rolling Stones, il primo a
impelagarsi in una dipendenza che gli risulterà fatale di lì a qualche anno. Nel 1966, tuttavia, le
cose tra Brian e Anita vanno a gonfie vele e al resto della band non dispiace affatto avere attorno
una bellezza colta e raffinata con la quale apparire in pubblico. Nello stesso anno la migliore
amica di Anita, la cantante Marianne Faithfull, si unisce al leader del gruppo, Mick Jagger. Keith
Richards inizia a uscire con Linda Keith, una ragazza ebrea di West Hampsted che per sbaglio un
giorno si trova a consegnare tra le mani di Jimi Hendrix una Fender Stratocaster di proprietà di
Richards e un demo di Tim Rose che canta un pezzo intitolato Hey Joe.
In seguito Linda concederà a Jimi molto di più, e di fatto è la prima donna a spezzare il cuore
di Richards. La storia le frutta un lasciapassare per gli annali del rock chiamato Ruby Tuesday.
Naufragata la relazione con Linda, Keith passa sempre più tempo nell’abitazione londinese di
Brian e Anita. Non c’è nulla di sconveniente a scambiarsi qualche occhiata o a divertirsi tutti
assieme, ma all’inizio del 1967 la sola compagnia che Brian gradisce è quella degli acidi, che lo
inducono a comportamenti violenti e sopra le righe soprattutto in direzione di Anita. Un viaggio
nel sud della Spagna alla volta del Marocco è la cornice che avvicina Keith e Anita e consente
loro di scoprirsi molto più simili di quanto non abbiano mai pensato. Brian viene liquidato con
garbo e sveltezza, ma essendo considerato il più intrigante degli Stones non tarderà a consolarsi.
Keith e Anita aprono le danze di quello che sarà un lungo idillio rock di suoni, immagini e mode.
A partire dall’estate del 1967, decine e decine di fotografie eternano la coppia. Anita è
semplicemente splendida. Il suo stile ha un’influenza enorme sull’epoca; per quanto eccentrico,
qualunque capo sembra starle d’incanto e crea tendenza. Shorts, tutine, pellicce, enormi cappelli,
camicie trasparenti: Anita non passa inosservata. La notano fotografi come Mario Schifano, con il
quale ha già avuto una relazione, registi come Roger Vadim, che la sceglie per Barbarella, e attori
del calibro di Marlon Brando. La ragazza scivola da un ambiente all’altro con la stessa facilità
con la quale si fa riprendere. Per il mondo sono le istantaneee di un’epoca intera quelle che la
colgono sui sedili di un’automobile circondata dalla band; per Anita è soltanto l’ennesimo ritratto
di un’altra giornata trascorsa con gli amici a parlare di musica e cinema e a sballarsi un po’. Un
po’ troppo.
Alla fine degli anni Sessanta per Anita si profila il ruolo più importante della carriera.
Performance è il titolo di un film destinato a far discutere, anche perché il protagonista maschile
sarà Mick Jagger, per la prima volta attore di cinema. Nel lungometraggio Anita e Mick sono
amanti, e le lunghe scene in cui giacciono nello stesso letto e nella stessa vasca da bagno non
funzionerebbero così bene se non si cercasse l’intimità anche al di là della macchina da presa.
Keith non verrà a sapere dell’accaduto se non dopo molto tempo, ma le basi per un muro di
diffidenza tra lui e Jagger sono ormai gettate. Quanto alla volontà di scacciare fantasmi e
insicurezze, tra tutti gli alleati possibili è con l’eroina che sceglie di stringere un patto. Lo stesso
che Anita ha siglato già da qualche tempo. Gelosia e assuefazione spingono Keith a comporre un
altro hit per gli Stones, Gimme Shelter.
Dopo la nascita di Marlon, Keith e Anita sembrano carburare alla stessa velocità. Al primo
figlio viene dato il nome di quell’amico attore, il primo a congratularsi per il lieto evento. Un
intero decennio se ne va sulla dipartita di Brian Jones; un sipario di disagio cala dopo l’esibizione
di Altamont, dove un diciottenne viene pestato a morte da un Hell’s Angel. I Rolling Stones si
rifugiano nel sud della Francia a causa dei problemi col fisco inglese. La scusa è restare un po’
lontani da casa, ma l’esilio dorato si trasforma presto in uno dei periodi più eccessivi dell’intera
storia del rock’n’roll. Jagger ha una nuova compagna che non vede di buon occhio il suo
soggiorno a Nellcôte, la residenza di Keith e Anita. Anche per gli altri membri della band non è
facile lavorare in un luogo dove ogni tentazione è a portata di mano a qualunque ora del giorno e
della notte. Bambini, spacciatori, musicisti e amanti convivono a stretto contatto per diversi mesi
e l’eco di quel baccanale compare nel 1972 nei solchi di EXILE ON MAIN ST.
Tutto è amplificato. Da una sostanza, da una passione, da un microfono. Ci sono i problemi con
la giustizia, certo, ma a quelli pensano gli avvocati. Poi c’è l’eroina, che a quanto pare Richards è
l’unico a poter controllare anche assumendone in quantità smodate. Non ce la fa invece Anita, che
si ripulisce appena durante la gravidanza della secondogenita Angela. Una casa in Giamaica dove
trascorrere lunghi periodi non è esattamente il posto giusto per iniziare a disintossicarsi. Il tuo
uomo, poi, è in tour per il mondo e la sola certezza che hai è che non se ne starà da solo in
camerino o in una stanza d’albergo ad aspettare le tue telefonate. Ma se la relazione sembra
superare anche questo distacco, la scomparsa prematura del terzo figlio a un paio di mesi dalla
nascita è una frattura irreparabile.
Eppure Keith Richards ci prova, a modo suo. Non rinuncia alla musica, ovviamente, ma stacca
dall’eroina. Mentre Anita non ha la forza e probabilmente neanche l’intenzione di uscire da un
tunnel di paranoia e routine consolidata, Richards fa marcia indietro. Direzioni opposte, fine della
corsa. I due sono separati da un pezzo quando Anita, nell’estremo tentativo di ingelosire il padre
dei suoi figli, accende una relazione con Scott Cantrell, diciassettenne che il 20 luglio del 1979, in
preda ai fumi di chissà quale sostanza, si fa saltare le cervella giocherellando alla roulette russa
nel letto di Anita.
Keith Richards ha sempre saputo che la donna della sua vita era un po’ matta e forse l’ha
amata anche per questo. Peccato solo per quel finale così macabro e per tutta quella droga che non
ha permesso agli amanti più sinceri della storia del rock di contarsi le rughe a vicenda senza
smettere mai di sorridere.
È la fine del 1968 e sul tradizionale CHRISTMAS RECORD dei Beatles, Lp con messaggi natalizi
registrati dai Fab Four e destinati al loro fan club inglese, compare questa piccola poesia di
Lennon che ora si firma John Ono Lennon. In realtà, John non è ancora ufficialmente il signor Ono
così come Yoko non è ancora la signora Lennon; bisogna attendere i rispettivi divorzi prima di
ufficializzare l’unione. In poche righe John si unisce per la vita alla compagna, conosciuta due
anni prima, ma accanto a sé da qualche mese appena. L’8 dicembre del 1980, poche ore prima di
morire assassinato, Lennon si fa ritrarre dalla fotografa Annie Leibovitz completamente nudo
avvinghiato a Yoko, che invece compare vestita e rigida come spesso siamo abituati a vederla.
Anche in quest’ultimo caso John non è intimorito dall’intimità esibita. Tra alti e bassi, il gioco
dura fino alla fine dei suoi giorni.
La prima volta che si incontrano, John e Yoko mettono in contatto per pochi istanti due mondi
lontani. Il 9 novembre del 1966 all’Indica Gallery debutta la mostra londinese dell’artista fluxus.
Due giorni prima dell’inaugurazione, però, l’esposizione apre solo per John, che se ne va in giro
per le sale bianche di Mason’s Yard meravigliato e divertito. Lennon è invitato da John Dunbar,
marito di Marianne Faithfull e comproprietario della galleria, con lo specifico intento di
presentargli la giapponese già sulla bocca di tutti negli ambienti artistici. La reciproca curiosità
tra John e Yoko si manifesta immediatamente, ma passeranno diversi mesi prima che entrambi
decidano di approfondire una conoscenza tenuta inizialmente a freno dai rispettivi mestieri e
matrimoni.
Il 19 maggio del 1968 Lennon è solo nella sua grande casa a Kenwood. La moglie Cynthia e il
figlioletto Julian non ci sono e, dopo fiumi di inchiostro spesi in lettere, John invita Yoko
proponendole due alternative: passare la notte in bianco a chiacchierare oppure componendo
musica. Yoko propende per la seconda ed emette le sue grida caratteristiche fino al mattino mentre
John accorda strumenti, si perde in loop, sperimenta suoni e voci. Quella notte nasce il primo
disco della coppia e quella stessa notte John e Yoko capiscono di non poter fare a meno l’uno
dell’altra. Quando esce UNFINISHED MUSIC NO.1 – TWO VIRGINS, il capitolo Beatles non è ancora
concluso, e un disco che in copertina raffigura due amanti nudi non è una buona pubblicità per il
quartetto piuttosto ligio alla forma.
Il disco ha un seguito, l’anno successivo. Il secondo volume testimonia che i due fanno sul
serio e si producono ancora in urla e laceranti feedback. Il lato b contiene registrazioni effettuate
durante il ricovero di Yoko per il suo primo aborto. La foto di copertina raffigura l’episodio –
raccontato anche in No Bed For Beatle John – di Lennon costretto a dormire sul pavimento
dell’ospedale per mancanza di letti. La traccia Baby’s Heartbeat è la registrazione del battito del
cuore del bambino mai nato. John e Yoko rendono in questo modo pubblico il privato. C’è la loro
musica, ci sono le loro discutibili intenzioni, ma ciò che chiaramente attrae il pubblico è l’intimità
della coppia.
Tramontata l’era Beatles, John si libera di obblighi e costrizioni. Se prima doveva mostrarsi
sempre sorridente, ora può indossare la maschera che preferisce. Se per i primi tempi del
matrimonio con Cynthia doveva nascondere moglie e figlio, adesso sfoggia con fierezza la
compagna e ostenta il disperato desiderio di una nuova paternità.
John Lennon e Yoko Ono si sposano il 20 marzo del 1969 alla Rocca di Gibilterra. Il 7
novembre dello stesso anno regalano ai fan il WEDDING ALBUM, composto da due sole tracce
della durata complessiva di oltre quaranta minuti. Nella prima John & Yoko si chiamano a vicenda
sul tappeto dei loro battiti cardiaci, mentre nella seconda, Amsterdam, si può ascoltare un
resoconto della loro luna di miele, un singolare bed-in tenuto nella capitale olandese per discutere
di pace con i giornalisti invitati nella suite nuziale all’Hilton Hotel. Naturalmente la copertina
presenta gli sposi vestiti di bianco, mentre all’interno compaiono fotografie della cerimonia e
della torta nuziale, copia del certificato di matrimonio, commenti della stampa, un fumetto di John
e una cartolina. Se non si può ancora definire “reality”, l’esposizione Lennon-Ono vi si avvicina
molto.
Di John e Yoko giorno dopo giorno pediniamo movimenti, desideri, stati d’animo. Perfino la
loro crisi è di dominio pubblico. Nel 1973 la coppia decide di separarsi per un po’ di tempo.
Yoko resta a New York mentre John se ne va a Los Angeles a lavorare ad alcune registrazioni in
compagnia di May Pang, sua amante-assistente su specifico incarico di Yoko. Più che l’estro
creativo è la dipendenza dall’alcol a prendere il sopravvento nella vita del musicista in queste
“settimane perdute”. John definirà poi questo periodo come un esilio imposto da Yoko affinché
l’effettiva distanza contribuisse a dipanare i dubbi di ciascuno. Le settimane si trasformano in
mesi. John tornerà a casa soltanto all’inizio del 1975. Il 9 ottobre dello stesso anno, come regalo
di compleanno, riesce finalmente ad abbracciare il figlio tanto atteso.
John e Yoko cambiano nuovamente registro. Il primo sparisce dalla vita pubblica per fare il
padre, mentre la seconda resta attiva a salvaguardare nome e patrimonio comune. John e Yoko
sono tornati insieme e le celebrazioni per una nuova vita non si spegneranno più. Per cinque anni
perdiamo l’immagine dell’artista e acquistiamo quella di un padre che accompagna il figlio al
parco, gli insegna a disegnare e a tempo perso impara a cucinare il pane nel forno di casa. È un
quadro totalmente inedito anche per il primo figlio, Julian, il quale un padre che osservasse la sua
crescita non l’ha mai avuto. John questa volta fa le cose sul serio, si raccoglie i capelli in una
coda di cavallo, indossa un kimono e decide di liberarsene soltanto molto tempo dopo per le
prime uscite in sala prove.
Abbiamo delle nuove immagini, centinaia di fotogrammi che ritraggono la famiglia serena.
Certo, Kyoko, la prima figlia di Yoko, è scomparsa insieme al padre; certo, ci sono le
recriminazioni di Julian e di sua madre Cynthia; ma ancora una volta ci viene venduto il ritratto
dell’unione perfetta. Il 9 ottobre del 1980, nel cielo di Manhattan, tutti i newyorkesi possono
leggere a chiare lettere il messaggio di auguri rivolto da Yoko a John e Sean per i loro
compleanni. Il 17 novembre esce DOUBLE FANTASY, primo album d’inediti dal ritorno sulle scene
di John, che ora è pronto a riconcedersi alla vita pubblica. In questa nuova collaborazione tra
marito e moglie il contributo di Yoko appare meno concettuale, le grida vengono sostituite da
ispirazione, testi, cori. Ci sono brani d’amore che la coppia si autodedica e ci sono splendidi
affreschi dedicati a Sean.
Quando Lennon viene ucciso si ha la sensazione di assistere a una narrazione brutalmente
interrotta. È impossibile intuirne il finale, provare a immaginare sviluppi artistici e sentimentali di
una coppia che sembrava destinata a restare per sempre insieme, ma adagiata in un letto di mine.
Con la morte, inizia un culto che non permette al ricordo di sbiadire e alle persone di dimenticare.
Yoko preferisce ricalcare quel ritratto a matita, ingentilirlo dove occorre, colorarlo e stamparne
copie su copie per chiunque ne faccia richiesta. Per se stessa, ma soprattutto per il mondo intero,
assume il ruolo di vedova come si assumerebbe quello di un incarico aziendale al livello più alto.
Una missione incredibilmente redditizia e dannatamente toccante. Sean non ce la fa, per lui è
troppo doloroso parlare sempre del padre e dividerlo con chi ha avuto molto più tempo per stargli
accanto. Persino l’album di famiglia è condiviso da mezzo mondo. A Sean bastano i ricordi e
quegli abbracci destinati a lui soltanto.
Yoko è inarrestabile nella costruzione e nella difesa del proprio culto. Un culto con regole
strette, scadenze da rispettare, piani da vagliare e ogni singola parola da approvare, se legata a
John. Sei mesi dopo la morte del marito, Yoko Ono pubblica un nuovo album: SEASON OF GLASS.
In copertina sono ritratti gli occhiali insanguinati di Lennon indossati la sera del suo assassinio. È
il documento postumo di un amore che non c’è più e che Yoko tenta di salvaguardare e mantenere
vivo nel solo modo che conosce: attraverso la condivisione di umori, scelte, condizioni
impacchettate a puntino e recapitate spesso in maniera brutale, ma estremamente efficace a
giudicare dai risultati ottenuti. Poi all’orizzonte si profila un altro matrimonio per Yoko, con un
certo gallerista di origine ungherese, Samuel Havadtoy, sposato nel 1981 e lasciato ventidue anni
più tardi. Ma a questo, nella storia d’amore rock più importante del secolo, verrebbe da dare la
stessa importanza che si riserva alla forfora su una giacca di velluto nero.
Miss Pamela’s First Conversation With The Plaster Casters Of Chicago – The GTOs
(PERMANENT DAMAGE)
Il protagonista maschile di questa storia è probabilmente la stella del rock più eccitante che abbia
mai brillato su un palcoscenico. Una luce costante e un’energia sessuale direttamente
proporzionale al volume della sua emissione vocale hanno catalizzato per oltre un decennio
l’attenzione di migliaia di uomini e donne tra Europa e Stati Uniti. La sex machine risponde al
nome di Robert Anthony Plant, dal 1968 al 1980 voce stridula eppure seducente dei Led Zeppelin.
Il cantante non è però l’unico a esercitare fascino e turbamento sul pubblico. Di fianco a lui, il
chitarrista Jimmy Page è dotato di un’aura che non ha pari nel panorama rock del periodo, un
misto di innocenza e ambiguità, un giovane dall’aspetto angelico sulle cui passioni è calato un
velo di mistero.
La carriera dei Led Zeppelin è punteggiata da una miriade di voci e aneddoti. Sui
comportamenti di almeno tre dei quattro componenti del gruppo esistono strane e degeneri
leggende. C’è la passione per l’occulto di Page, la follia e l’alcolismo del batterista John Bonham,
conosciuto anche col nomignolo di Bestia per la propensione a perdere il controllo, e poi c’è
Plant il doppio, che ha in sé due personalità distinte. Se da una parte è il poeta visionario intriso
di tradizioni celtiche, il suo contraltare è rappresentato da un uomo brusco che non rifugge i vizi
concessi alla sua professione, a cominciare dalla parata di giovani fanciulle che ogni sera, a
margine del concerto, lo ricoprono di promesse d’amore e favori sessuali, ai quali Plant e il resto
della band conferiscono una nuova e mitica liturgia.
Robert Plant si affaccia all’olimpo come dio del rock e del sesso appena ventenne e tutto
quello che fa è assecondare la propria natura di mortale a cui sta per schiudersi un mondo
incantato. L’anno è il 1968 e subito dopo la pubblicazione dell’album di debutto, i Led Zeppelin
partono per un tour negli Stati Uniti. Sarà il primo di una lunga serie che vedrà la formazione
britannica osannata oltreoceano e accolta da un tiepido interesse al ritorno in patria.
Un’ambivalenza che non può fare a meno di riflettersi anche sulla vita di Plant, il quale, prima di
prendere il volo per l’assolata California, sposa quella che da due anni è la sua compagna e che
da poche settimane lo ha reso padre. Maureen Wilson conosce Robert a un concerto di George
Harrison, è di origini indiane e può mantenere Plant in attesa che questi inizi a portare a casa
qualche sterlina. Si sposano il 9 novembre del 1968, ma la notte di Natale dello stesso anno Plant
è già abbagliato dalle bionde californiane che, grazie a temperature tutt’altro che rigide, si
concedono abiti leggeri e trasparenti.
Comincia qui la doppia vita di mister Plant: devoto padre di famiglia al rientro dai lunghi tour
e principe della depravazione sui palchi e nei backstage. Mentre Maureen se ne sta in una fattoria
nelle campagne del Galles insieme alla figlioletta, dall’altra parte dell’Atlantico c’è un uomo che
indossa pantaloni sempre più attillati e camicie sempre più sbottonate e agita i lunghi riccioli
biondi come un indemoniato. Dopo ogni show di tre ore, un altro tipo di spettacolo contribuisce ad
alimentare la leggenda della band. Maratone di sesso, feste orgiastiche, lunghe notti votate allo
stordimento con droghe, alcol e groupie di tutte le età che aspirano a diventare le elette per entrare
dall’ingresso principale sotto al tendone dei Led Zeppelin.
È forse la nostalgia di casa a provocare tutto questo. Pare che Plant si lasci spesso andare a
confidenze riguardo l’effettiva mancanza della propria compagna in tournée, ma è anche cosciente
di come le cose riescano a funzionare così bene al suo ritorno proprio in virtù delle lunghe pause
di piacere. Maureen è il molo sicuro a cui attraccare. Il frontman dei Led Zeppelin ritorna nella
sua proprietà bucolica e compone Thank You, suo primo brano integralmente autografo, e lo
dedica alla moglie. È una dichiarazione di devozione incondizionata, rigonfia di frasi zuccherose
per incartare un pacchetto pieno di scuse, una romantica ballata che inneggia all’amore coniugale
e rappresenta a pieno titolo la dicotomia di Plant. Nello stesso disco trova posto Whole Lotta
Love, il manifesto carnale della band, messo in scena ogni sera dallo stesso Plant tra mugugni,
versetti e posture sul palco che lasciano poco all’immaginazione.
Il sentimento per Maureen non è mai messo in discussione per tutta la durata del matrimonio e
dell’unione della band, che incredibilmente collimano. Nel mese di giugno del 1973 il cantante
dichiara al «New Musical Express» che non desidera la presenza della moglie in tour perché non
è quella la vita che si sente di offrire a una signora con un pargolo dato alla luce da pochi mesi.
Gli orari non coincidono e non riuscirebbe ad assicurare alla moglie un giro di shopping. Plant
sacrifica la famiglia in cambio di amore mercenario, basta solo che la stampa non ci ficchi il naso.
Occorre metodo, e così l’intero gruppo, dopo l’abbuffata dei primi tour, si circonda di ragazze
fisse. Sono le cosiddette mogli americane, donne rassegnate a pazientare in attesa di potersi
immolare all’altare della propria concupiscenza.
La moglie americana di Robert si chiama Michele Overman. È una modella dai lunghi e sottili
capelli d’oro. È dedicato a lei il brano più soleggiato e meno aspro del quarto album dei Led
Zeppelin, il capitolo più oscuro della discografia della band, conosciuto tra i fan con il nome di
Zoso; in Going To California filtra qualche raggio, tanto per ricordarsi della giovane groupie che
assolve il suo compito con gioia, occhi pieni di tenerezza e un fiore tra i capelli. Solo che
Maureen non ce la fa più ad aspettare l’estate, e quando decide di andare alla ricerca del suo
uomo lo trova coinvolto in un’altra storia clandestina ben più ardita. Questa volta Robert Plant è
rapito dalla sorella minore di Maureen, sottaciuto idillio in corso da diverso tempo e siglato fin
dalle prime note di un altro brano dei Led Zeppelin, What Is And What Should Never Be. Michele
se ne torna in America e aspetterà oltre vent’anni per vedere nuovamente Robert in tour con Page,
alla fine dei Novanta.
Il matrimonio tra Robert e Maureen si piega ma non si spezza. Prosegue nel 1975 dopo un
terribile incidente stradale che porta la donna tra la vita e la morte e l’uomo sulla sedia a rotelle
per settimane. Supera il decesso del figlio maschio nel 1977 per un arresto respiratorio e passa
indenne anche attraverso l’ultimo tradimento di Plant, consumato platealmente e immortalato in
un’altra canzone, Hot Dog, dall’album del 1979 IN THROUGH THE OUT DOOR. Robert presenta il
brano come un omaggio al Texas e in particolare alla sua amante texana Audrey Hamilton. La vera
luce alla fine del tunnel porta comunque il nome del terzo figlio di Robert e Maureen: Logan
Romero. Ai Led Zeppelin, però, manca il felice epilogo: la morte in un sonno alcolico del
batterista John Bonham sigla di fatto la fine della band. I titoli di CODA, ultimo capitolo
discografico, sfilano nel 1982. Lo stesso anno, anche le strade di Maureen e Robert si dividono.
Je t’aime… Moi non plus – Jane Birkin / Serge Gainsbourg (JANE BIRKIN / SERGE
GAINSBOURG)
Quando Patti Smith arriva a New York di vite se n’è lasciata alle spalle almeno un paio. Ha già
conosciuto il sapore delle promesse non mantenute. Se cresci con in mano una Bibbia e pochi
spiccioli nell’altra ti convinci che la fede possa essere l’eterna risorsa. Ma non è così se hai
vent’anni nei Sessanta, sei incinta e sola. Le Sacre Scritture non ti dicono come comportarti in una
situazione del genere, ma qualcosa di ben radicato dentro di te ti dirà di portare alla luce tua
figlia, di regalarle una famiglia; esattamente quello che non puoi darle, almeno per ora. E poi via,
lontano, perché quella voce ti sta dicendo che è arrivato il momento di lasciarsi tutto alle spalle.
La nuova vita di Patti Smith inizia a New York alla fine degli anni Sessanta. Le hanno
raccontato che qui tutto è possibile, che la città è un concentrato di menti, poeti e scrittori. È qui
che la ragazza di Chicago vuole mettere radici e se occorrerà fare la fame, vestirsi di stracci e
centellinare le docce per riuscirci, poco importa. Questo è il luogo giusto, il solo dove una voce
per nulla convenzionale può sfruttare l’eco.
Quando Patricia Lee Smith arriva nella Grande Mela non ha con se né dollari né idee certe
riguardo alle proprie aspirazioni. Ci sono i libri, però, quelli che l’hanno accompagnata nelle vite
precedenti e quelli che immagina di dover conoscere al più presto infilandosi nelle biblioteche nei
ritagli di tempo e accettando impieghi saltuari per continuare a coltivare questa passione. Ed è
proprio in una libreria che un giorno fa il suo ingresso Robert Mapplethorpe, l’uomo con il quale
Patti intreccerà subito una delle relazioni più romantiche, vere e bohemienne di tutti i tempi.
Patti e Robert si incontrano nella primavera del 1967. Lei è una giovane e spiantata ragazza
col pallino della poesia, mentre lui ha le tasche vuote e chiari gli obiettivi. Robert vuole fare
l’artista e ha capito che per riuscirci deve tessere una fitta rete di relazioni, il resto verrà da sé. I
due decidono presto di andare a vivere insieme in un appartamento di Hall Street. Per entrambi è
subito evidente che il collante della relazione è l’amicizia che, non subirà contraccolpi quando
Patti si ritroverà a fare i conti con l’omosessualità latente del compagno. La condivisione di idee,
progetti e sogni sarà sempre più forte di tutto.
Di questa parte di vita di colei che verrà poi universalmente riconosciuta come la
sacerdotessa del rock, conserviamo diverse immagini, polaroid, quadri e pagine di diario, un
racconto ben dettagliato che soltanto molti anni più tardi impareremo a conoscere nella biografia
dedicata proprio al fotografo americano. Nel volume – Just Kids – pubblicato nel 2010 è la stessa
Smith a ricordare con nostalgia e infinita devozione quanto gli anni antecedenti all’esordio
discografico hanno contribuito alla sua formazione. Grazie a Robert, uno degli uomini più
importanti della sua vita.
È Robert a iniziarla all’ambiente artistico della città. È lui a spingerla a scrivere e declamare
pubblicamente le sue poesie, che magari con un accompagnamento musicale adeguato potrebbero
diventare canzoni. Il posto è giusto, il momento anche. Ogni sera, musicisti, scrittori e
drammaturghi si ritrovano in locali come il Max’s Kansas City e il CBGB’s e non vedono l’ora di
confrontarsi e condividere lo stesso palco. Sono le relazioni, che contano: Robert lo ha sempre
saputo e non esiterà a imbastire un legame col suo mecenate Sam Wagstaff per iniziare a esporre le
proprie opere nelle gallerie emergenti della città.
Di denaro se ne vede ancora poco, quando Patti e Robert decidono di lasciare il loro freddo
appartamento per trasferirsi ancora più al centro della scena artistica newyorkese. Magari non se
lo possono permettere, ma per entrare nel giro giusto non puoi non avere una stanza al Chelsea
Hotel. È qui che hanno vissuto a lungo Dylan Thomas e Arthur C. Clarke, è qui che hanno
soggiornato Leonard Cohen e Bob Dylan, ed è qui che è più facile imbattersi in Jimi Hendrix o
Allen Ginsberg.
La scelta si rivela felice. Tra il 1969 e il 1974 Patti e Robert cominciano a lavorare a diversi
progetti. Arti visive, performance, poesia. Il rapporto sentimentale tra i due inizia a sfumare, nuovi
partner entrano ed escono nella piccola stanza tra la Settima e l’Ottava Strada, ma al reciproco
sostegno non rinunciano. Robert e Patti continuano a mostrarsi come due innamorati. Gli scatti di
lui e i dipinti di lei. Mapplethorpe e la sua ambiguità emergono in ogni ritratto; l’attenzione per il
dettaglio, per l’accessorio, è rigorosa, quasi maniacale. La sua musa ispiratrice appare sempre
sgualcita, i vestiti stropicciati, come se non le importasse nulla di farsi trovare in ordine. Quando
hai un obiettivo puntato addosso che ti guarda per come sei davvero, non hai bisogno di uno
shampoo prima di metterti in posa.
Nel 1971 Patti Smith incontra il futuro drammaturgo Sam Shepard e se ne invaghisce
perdutamente. Sam è un ragazzo di una bellezza viva, fresca. Eppure il rapporto con Robert non
viene compromesso. Sono anni in cui altri uomini contribuiscono a connotare l’universo artistico
della futura cantautrice, che sempre di più pare attratta anche dai suoni, oltre che dalle parole, e le
collaborazioni con riviste come «Rolling Stone» e «Creem» ne sono testimonianza. Durante le
prime, incerte esibizioni in pubblico, Patti Smith conosce anche Tom Verlaine, leader dei
Television e altro cultore dei poeti maledetti francesi che tanto la ispirano, e Lenny Kaye, futuro
membro a vita del Patti Smith Group.
Con Lenny, Patti dà vita alle prime note di Piss Factory, brano che ritroveremo nel primo
singolo pubblicato dalla Arista Records, a cui farà presto seguito l’album di debutto, HORSES. È il
1975 e Robert Mapplethorpe ha ancora un braccio sulle spalle di Patti, come in quella fotografia
in bianco e nero che li ritraeva al Greenwich solo qualche anno prima. Per la copertina di
HORSES, Robert scatta una serie di polaroid all’amica, che come sempre si fa consigliare su look,
espressione, posa. Sono scatti veloci, naturali. Abiti maschili, niente trucco, Patti si fa ritrarre
appena sveglia, subito dopo colazione, perché la luce del mattino è più bella, e pazienza se un po’
di zucchero resta incollato alla giacca: «Levatela, falla scivolare lungo la schiena, così nessuno lo
noterà».
Finisce così la terza vita della signora Smith. La quarta ha inizio all’incirca col successo di
HORSES e la pubblicazione di altri tre album nel giro di appena tre anni. Anche la carriera di
Mapplethorpe prende il volo: grazie all’influenza di Wagstaff, raffina la tecnica senza intaccare un
gusto teso tra arte e pornografia che non gli riserverà soltanto critiche positive eppure lo porterà a
essere formalmente riconosciuto come uno degli artisti più influenti della sua generazione.
Mapplethorpe muore di Aids il 9 marzo del 1989. A tenerle la mano è l’amica di sempre, che
si trova a dover superare la scomparsa di amici e familiari nell’arco di un paio di stagioni appena.
Ma alzare lo sguardo con aria di sfida all’obiettivo è l’insegnamento più prezioso che Patti eredita
da Robert. E allora avanti, incontro alla luce del mattino, e chi se ne frega dello zucchero sulla
giacca.
Henry Lee – Nick Cave and The Bad Seeds (MURDER BALLADS)
Lei è una delle modelle più belle di sempre. E questa è una verità, mica un’opinione. Se a distanza
di oltre vent’anni dal primo concorso di bellezza i magazine ancora scalpitano per averti poco
vestita in copertina, sai bene di sedere al tavolo di un privé con altre quattro o cinque come te, e
l’accesso è severamente vietato al resto del mondo.
Confrontando le copertine di oggi con quelle del 1991, solo la moda sembra essere superata.
Lei no. Lei è ancora come quando l’abbiamo scoperta, a ventitré anni, mentre sdraiata su un
bagnasciuga in bianco e nero si divertiva a sedurci. Pose, ammiccamenti, scorci senza tempo.
Dove siamo? Che anno è? Chi se ne importa, se alla fine uomini e donne non riescono a staccare
gli occhi dai corpi avvinghiati di Helena Christensen e Chris Isaak.
In realtà, sapevamo riconoscere quella canzone dalle prime note. All’inizio degli anni Novanta
Wicked Game arrivava al tramonto, d’estate, quando il caldo ti aveva già azzerato la salivazione
ma avresti continuato a sudare volentieri su quegli accordi. Il maestro David Lynch, che
naturalmente aveva già previsto ogni cosa, scelse Wicked Game per la colonna sonora di uno dei
suoi film più belli. Di quelli in cui musica e inquadrature sono più espressive di qualunque
dialogo o sguardo. Per quanto in stato di grazia, quando in Cuore selvaggio irrompe la voce di
Isaak, Nicolas Cage ha perso la partita.
Più di ogni altra immagine, però, è il corpo di Helena Christensen a restare impresso. La sua
pelle insabbiata, il suo incarnato scuro e gli occhi trasparenti comunque intuibili nonostante
l’assenza di colori. Capelli nell’acqua, labbra e mani ovunque. Tutto perfetto. La donna più bella
del mondo e un uomo più grande di lei straordinariamente in forma e con una voce così profonda
da farti domandare: dove ho vissuto finora? Perché hanno lasciato che per anni mi concentrassi
solo su Morten Harket o Tony Hadley? Se c’è un uomo che prende il controllo della situazione più
bollente, quello è Chris Isaak, e ascoltandolo cantare si ha la sensazione di voler restare per
sempre su quella spiaggia, mentre d’inverno si potrebbe aspettare un abete anche delle settimane
se fosse proprio Chris a trascinarlo nella neve sulle note di una christmas song qualsiasi.
Ma in California non è mai stagione per maglioni a tricot. Che peccato, dobbiamo
accontentarci di vederlo in canottiera, o anche senza, mentre accaldato sfiora il corpo statuario
della modella danese che, prima di Kate Moss, tradisce una sfrenata passione per musica e
musicisti. Helena Christensen è colta, intelligente e sa come attirare l’attenzione. Non bastassero
le misure perfette, si può sempre rilasciare ai cronisti qualche segreto di bellezza. Helena è tra le
prime a farsi portavoce di dubbie verità: nessuna dieta, adoro il formaggio. Esercizio fisico?
Poco, sono così pigra. Quanto dedico alla cura del mio corpo quando non lavoro? Esco di casa
struccata e m’infilo in una pasticceria.
Ce ne sarebbe a sufficienza per gettare bilance e amor proprio dal balcone, ma Helena fa di
più. All’apice della carriera si fidanza con uno degli uomini più affascinanti del rock: Michael
Hutchence. Il leader degli australiani Inxs è uno dei pochi ad avere stile a cavallo di un decennio
che vede avanzare in classifica cantanti pop dalle mise fluorescenti e rocker malvestiti. Hutchence
ha carisma, personalità e diversi hit all’attivo, come Need You Tonight, Never Tear Us Apart,
Suicide Blond, brani che nei video di lancio anima con movenze terribilmente sexy.
Nel 1991 Helena e Michael si incontrano grazie al fotografo di moda Herb Ritts, regista
proprio di quel videoclip che lancia la carriera della modella scandinava a livello mondiale. I
flash dei fotografi immortalano sempre più spesso i due insieme. Hutch ha una compagna la cui
carriera non ha bisogno di essere alimentata dal gossip: Kylie Minogue se la cava benissimo con
la sua musica e la sua avvenenza. Per questo si fa da parte, non sta al gioco e preferisce cedere il
posto a un’altra che sembra a proprio agio sotto ai riflettori.
Ora i corpi statuari che ci fissano dalle copertine sono due. E spesso l’uno è intrecciato
all’altro. Alla prima edizione europea degli Mtv Music Awards a Berlino, la coppia si presenta
insieme. Introdotti da Tom Jones, spetta a Helena e Michael il compito di premiare la canzone
migliore del 1994. L’attenzione è però altrove e, non appena la camera ruota su di loro, ci
sorprendono con un bacio appassionato. Subito dopo tocca a scherzi e divertissement tra fidanzati.
Tutto sembra ancora una volta idilliaco. Alla fine del 1994 si parla di matrimonio, ma dopo pochi
mesi le cose tra i due raggiungono una posizione di stallo.
Nuovi rumors alimentano voci di crisi tra una delle coppie apparentemente meglio assortite
degli ultimi tempi. E un’altra unione vacilla. Entra prepotentemente in gioco la relazione di lunga
data tra Bob Geldof e la giornalista televisiva Paula Yates. Pare che Michael e Paula si siano
conosciuti in occasione di un’intervista nel programma The Tube condotto da Paula negli anni
Ottanta, lo stesso che le fece incontrare Geldof. A distanza di dieci anni, un nuovo incontro
compromette definitivamente gli equilibri e ancora una volta i giornali ci arrivano prima dei
diretti interessati.
A Helena non viene risparmiata la stessa sorte toccata a Kylie Minogue quattro anni prima.
Come fece a suo tempo l’interprete australiana, anche Helena sfuma da quei ritratti che la
coglievano al centro dell’obiettivo. Ma c’è qualcuno che non ha la minima intenzione di mandare a
monte la propria famiglia. Bob Geldof apre inaspettatamente un dialogo a tre e testardamente
proverà a non chiuderlo più.
Nel mese di maggio del 1996, quando il divorzio tra Bob e Paula viene ufficializzato, la Yates
aspetta già una figlia da Hutchence. Tiger Lily nasce il 22 luglio dello stesso anno e per un breve
periodo vive insieme a due genitori che si dicono follemente innamorati. E con Helena? Non era
forse amore quello che brillava come un diamante sotto a ogni luce? No, non lo era. Prima uno e
poi l’altra confessano alla stampa la propria svista madornale: Michael e Paula sono fatti per
restare uniti. Solo che l’unione si rivela tale anche nel baratro che li attende.
Il 22 novembre del 1997 Hutch viene trovato senza vita in una stanza d’albergo. Un gioco di
asfissia autoerotica finito male pare sia l’origine del soffocamento che ha portato alla morte il
cantante degli Inxs. Paula crolla, entra ed esce dalla clinica, e perde la battaglia legale contro l’ex
marito per l’affidamento delle figlie. Dopo un primo tentativo di suicidio, il 17 settembre del 2000
un’overdose le risulta fatale nel decimo compleanno della sua terza figlia. La quarta, Tiger Lily,
poco dopo viene affidata a Geldof e nel 2008 assume definitivamente il doppio cognome
Hutchence Geldof.
I’ll Never Find Another You – Ben Gibbard & Zooey Deschanel (youtube.com)
Quando nel mese di aprile del 2008 vennero ritratti insieme per la prima volta i giornali
pensarono a uno scherzo. Una delle giovani attrici statunitensi più promettenti se ne andava in giro
a New York abbracciata a uno strano tizio che indossava il suo stesso cappotto femminile. Non
solo. Stessi occhialoni a coprire l’intero volto e capelli sciolti sulle spalle per entrambi. Il
misterioso ragazzo allampanato a fianco dell’attrice esibiva anche una folta barba da far invidia al
più vecchio dei saggi. È una pagliacciata. È evidente che si sono camuffati tutti e due per
nascondere una relazione alla stampa. E invece.
L’attrice si chiama Natalie Portman. Ad aprile del 2008 non ha ancora compiuto ventisette anni
eppure ci è già familiare da oltre un decennio. Ce la ricordiamo persino bambina, quando nel
1994 se ne andava in giro per Little Italy in compagnia di una piantina e di un sicario
semianalfabeta interpretato da Jean Reno nel suo primo film, Léon. Il regista Luc Besson,
all’epoca, la preferì all’adolescente Liv Tyler e mai scelta si rivelò più azzeccata a giudicare dal
successivo curriculum della Portman.
Una pioggia di ruoli, commedie romantiche, fantastiche, drammatiche. Un recitazione misurata,
un aplomb calibrato per ogni parte. Natalie Portman sembra sempre soppesare le parole dentro e
fuori dal set, mai una sbavatura, mai una copertina forzata, di quelle che ti ritraggono barcollante
all’uscita di un bar a notte fonda o mentre scendi dall’auto sbadatamente senza slip.
Le altre colleghe sembrano abbonate a tutto questo. Natalie, invece, ci ha abituato a credere
che su quelle spalle ci sia una testolina con tante cose a posto. Potremmo scommettere sulla sua
capacità di mangiare e respirare allo stesso tempo. È dunque inusuale vederla passeggiare
tranquillamente in compagnia di un ragazzo pressoché sconosciuto ma tutt’altro che anonimo,
almeno stando a quel look che gli vale la vittoria nella rubrica Freak of the Week sulle pagine del
tabloid «National Enquirer».
Il giovane freak si chiama Devendra Banhart e quando conosce Natalie Portman è già un
musicista di culto su scala nazionale. La sua musica cavalca l’onda neofolk che da qualche tempo
sta riscoprendo le radici di un’America cresciuta nelle praterie, a contatto con natura e terreni
incolti. Devendra vive a Topanga, dove molti altri artisti prima di lui hanno coltivato il sogno
psichedelico: Jim Morrison, Joni Mitchell, Neil Young. Topanga Canyon è conosciuta per essere
un’enclave bohemienne, una delle poche che a quanto risulta dai nomi sulle buche delle lettere ha
resistito fino a oggi. La presenza di musicisti a Topanga fu così massiccia che nel 1982 venne
fondata la Topanga Simphony Orchestra.
Ma nel 1982 Devendra ha solo un anno e vive ancora in Venezuela con la madre. Un
immaginario che gli resterà dentro, così come la lingua che lo porta a comporre alcuni brani in
spagnolo. Ed è proprio per il videoclip di Carmensita che il musicista convoca Natalie Portman.
Non è chiara la divinità rappresentata dall’attrice sul set, e i testi spesso surreali di Banhart non
aiutano. L’alchimia tra i due invece è evidente, tanto che decidono di uscire allo scoperto
dimenticandosi almeno per una volta di quello che scriveranno i giornali.
E i giornali all’inizio non sembrano scommettere molto sulla liaison. Poi però gli scatti si
moltiplicano e diventa quasi impossibile vederli separati. Li incontriamo al parco mentre si
scambiano effusioni, sulla porta di casa mentre portano a passeggio il cane, in un ristorantino della
Croisette, il viso di lei tra le mani di lui. Li vediamo al caldo e al freddo, mentre arrancano con le
buste della spesa, fanno shopping e sorseggiano cappuccino. Se la salute di una coppia dipendesse
dal fascino che esercitano sull’obiettivo, allora potremmo stare certi di non doverci preoccupare
di niente.
Per la prima volta Natalie decide di vivere una relazione alla luce del sole e lo fa con
nonchalance. Non cerca i fotografi e nemmeno si nasconde; semplicemente, le sono indifferenti.
Ancora una volta ha vinto lei, che non attira l’attenzione con un dito medio e nemmeno si concede
alle riviste in cambio di pubblicità benevola. Natalie Portman non è Lindsay Lohan, non è una
Olsen e non ha intenzione di perdere la testa per un uomo. Quello lo lascia a Winona. A proposito,
che fine ha fatto la Ryder?
Una volta ci sarebbe stata lei al posto di Natalie. Ma gli anni Novanta sono solo un ricordo e
ora alle cerimonie è lei la stella, e le nomination sono tutte sue. Teen Choice, Golden Globe,
Bafta. Natalie fa incetta di premi, non inciampa sul tappeto rosso e non rivela nulla del suo
amorevole quadretto folkloristico.
Dal canto suo, Devendra ci mette i quadri e le canzoni. Scrive There’s Always Something
Happening, un’occasione per duettare con l’amata. Il brano verrà inserito in una compilation di
beneficenza per l’organizzazione statunitense no-profit Finca, un apparato che promuove il
microcredito per aiutare le aziende possedute da donne nei paesi in via di sviluppo, di cui Natalie
è ambasciatrice.
È ancora il 2008. Natalie Portman si è trasferita a Los Angeles per dividere il quotidiano con
il compagno, ma a settembre già si parla di separazione. Impegni di lavoro, vite troppe diverse, la
giovane età. Gli amici parlano, parlano sempre, ci informano della decisione consensuale e di
quanto Natalie e Devendra ci tengano a restare amici. Gli interessati tacciono, pare non abbiano
nessuna voglia di rilasciare comunicati ufficiali. Non c’è poi molto da aggiungere: così come ci
siamo abituati in fretta a vederli insieme, altrettanto celermente ce ne dimenticheremo.
Di Banahart, forse. Della stella di origine israeliana, invece, non sarà facile scordarsi. Subito
dopo la fine della relazione, si comincia a parlare di uno di quei rari ruoli cinematografici che
un’attrice passa un’intera vita a desiderare. Quando arriva la chiamata del regista Darren
Aronofsky, di anni Natalie ne ha ancora ventotto e non le mancano le energie per stare ore e ore
alla sbarra cercando di apprendere i rudimenti di una disciplina nella quale potrebbe servire un
secolo solo per capire come allacciare quelle terribili scarpette da punta.
Natalie Portman non è sola in questo cammino. La accompagna un ballerino francese e
coreografo di fama internazionale. Benjamin Millepied insegna all’attrice a danzare e lei lo
trascina con sé davanti alla macchina da presa per Il cigno nero, il film che le varrà il Premio
Oscar. Alla cerimonia di consegna della statuetta Natalie si presenta con Millepied e un figlio in
arrivo. L’altra attrice nota del film non ha ottenuto alcuna nomination dall’Academy, ma almeno
ora sappiamo che fine ha fatto. Sdilinquirsi per amori passati, Winona, non aiuta.