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CAPITOLO 6: L’AGGRESSIVITA’

Gli esseri umani sono “naturalmente” buoni o cattivi?


Freud (1929): La Teoria Psicodinamica
Eros vs thanatos: istinto di vita vs istinto di morte
Desiderio sessuale<= istinto di vita
Aggressività <= istinto di morte
L’aggressività permette di indirizzare l’energia distruttiva verso l’esterno consentendo all’energia vitale, espressione
dell’istinto di autoconservazione, di prevalere
Teoria dell’evoluzione:
non solo presuppone per l’aggressività una base innata, ma ipotizza anche un fondamento biologico per tutto il
comportamento sociale. L’aggressività è adattativa, in quanto deve essere collegata a una vita abbastanza lunga da
permettere la riproduzione; per questo è utile all’individuo e alla specie.
Approccio etologico:
I comportamenti aggressivi sono funzionali alla sopravvivenza individuale ed al mantenimento della specie.
L’aggressività è una disposizione comportamentale innata che ha origine nella selezione naturale.
Istinto: impulso innato, trasmesso geneticamente.
- È spontaneo
- È rivolto ad un obiettivo e termina quando quest’ultimo è stato raggiunto
- È vantaggioso per l’individuo e per la specie
- Condiviso dai membri di una specie
- Si sviluppa quando l’individuo matura.
Importanza di stimoli esterni: catalizzatori
Sia l’approccio freudiano che quello etologico considerano dunque l’aggressività come “naturale” ed inevitabile
Modello idraulico: l’energia istintuale deve essere scaricata. Se si accumula può esplodere. Si può controllare
attraverso forme di «scaricamento» socialmente accettabili (gare sportive) L’ipotesi alla base del modello idraulico
non trova conferma empirica: chi ha la possibilità di scaricare la propria carica aggressiva (vs. chi non ce l’ha) non è
successivamente meno aggressivo.
TEORIE SOCIALI DELL’AGGRESSIVITA’
Gli scienziati sociali: mettono in dubbio l’adeguatezza di una spiegazione dell’aggressività basata totalmente sul
fondamento dell’istinto.
Ipotesi frustrazione-aggressività e segnale-stimolo :
Teorie che, nel contesto dell’aggressività, enfatizzano una componente innata, sebbene non l’esistenza di un istinto
vero e proprioDollard et al. (1939): Ipotesi della “frustrazione - aggressività”
L’aggressività è indotta dall’esperienza di frustrazione La frustrazione: condizione che si produce quando si
frappongono degli ostacoli tra l’individuo e il raggiungimento dei suoi obiettivi.
Rapporto biunivoco frustrazione - aggressività: alla frustrazione segue sempre una risposta di aggressività,
l’aggressività è sempre causata da una frustrazione. Può rivolgersi alla causa stessa della frustrazione, o a oggetti/
persone esterni (capro espiatorio) frustrazione aggressività.
Da notare: l’ipotesi frustrazione-aggressività prende decisamente le distanze da una concezione di aggressività come
prodotto di un istinto innato. Tuttavia l’azione aggressiva è comunque un modo di scaricare pulsioni negative prodotte
dalla frustrazione.
Critiche: la frustrazione può indurre risposte diverse dall’aggressività (es. pianto o la fuga), così come non sempre i
comportamenti aggressivi sono causati da frustrazioni individuali (es. omicidi su commissione, oppure ruolo di stimoli
aversivi come per esempio temperature particolarmente elevate).
La collera è un predittore della successiva aggressività più affidabile rispetto alla frustrazione.
Rielaborazione di Berkowitz: Teoria del segnale-stimolo
La frustrazione non provoca immediatamente una risposta aggressiva, ma suscita uno stato di attivazione emotiva:
Rabbia. Affinché si verifichi una azione violenta è necessario che nella situazione siamo presenti stimoli che siano
associati alla espressione della rabbia.
L’aggressività è solo una delle risposte possibili ad un sentimento negativo; diventa dominante quando nella
situazione sono presenti stimoli a cui la persona ha associato (condizionamento classico) una connotazione aggressiva,
per esempio associazione presenti e passate di un gruppo (capro espiatorio) con il conflitto o l’antipatia.
Non è la frustrazione oggettiva, ma la sensazione soggettiva di essere frustrati ad istigare comportamenti aggressivi.
Studio sull’ “effetto arma”: in presenza di uno stato d’animo negativo, la presenza di un’arma rende saliente una
risposta aggressiva (Berkowitz e LePage, 1967)
Disegno 2x4
VI 1 senso di frustrazione preliminare: presente vs assente
VI 2 stimolo nel contesto: nessuno vs racchetta da badminton vs arma vs arma associata al complice dello
sperimentatore.
VD  comportamento aggressivo: numero di scosse elettriche somministrate ad un altro soggetto sperimentale
(complice).
Risultato: Nelle condizioni in cui era presenta l’arma vi fu un aumento di scosse elettriche.
LA SPIEGAZIONE DEL COMPORTAMENTO ANTISOCIALE
La psicologia delle folle (LeBon, 1895; Tarde, 1904):nelle situazioni collettive, il controllo individuale risulta inibito;
l’imitazione e la suggestione spingono le persone a comportamenti socialmente riprovevoli. Ma l’evidenza:
l’aggressività rivolta a oggetti ben precisi (per esempio i black blocks)
Teoria dell’apprendimento sociale (Bandura et al., 1961; 1963):
aggressività come comportamento sociale acquisito e mantenuto a certe condizioni: associazione con conseguenze
negative o positive, appresa mediante l’esperienza diretta o l’osservazione del comportamento (modellamento)
altrui. Apprendimento: Esperienza diretta e esperienza vicaria.
Esperimento di Bandura, Ross e Ross (1961):
Fase 1: bambini osservano un adulto che gioca con una bambola ‘sempre in piedi’.
• Normalmente (condizione di controllo)
• Insultandola e picchiandola (condizione sperimentale)
Fase 2: l’adulto lascia la stanza e i bambini sono lasciati liberi di giocare, osservati tramite uno specchio unidirezionale.
Mass media e violenza
Secondo Comstok e Paik (1991), la violenza aumenta il comportamento aggressivo degli spettatori se:
1. è presentata come efficace: uno strumento utile per raggiungere i propri scopi;
2. è presentata come un comportamento normativo: come comportamento giustificabile senza mostrare le
conseguenze per le vittime;
3. chi agisce ha caratteristiche simili allo spettatore, il quale può immedesimarsi in lui/lei;
4. Lo spettatore osserva la rappresentazione in uno stato di eccitazione emozionale, che gli/le impedisce di assumere
un atteggiamento più distante e critico.
Oltre le variabili individuali: Il contributo di Milgram
Le norme sociali
1960-63: Stanley Milgram studi sull’obbedienza all’autorità. Studio del comportamento sociale attraverso il metodo
sperimentale e un approccio fenomenologico (attenzione all’osservazione diretta di un certo fatto sociale).
Il concetto di obbedienza all’autorità
Obbedienza = risultato di due forze che agiscono in modo congiunto, la disponibilità all’obbedienza che la specie ha
sviluppato nel corso dell’evoluzione e le influenze esercitate dal sistema sociale.
Obbedienza all’autorità = risultato di un processo che si sviluppa quando l’individuo, entrando a far parte di un
sistema gerarchico, viene a trovarsi in uno “stato eteronomico”, cioè si concepisce come strumento che esegue ordini,
non come soggetto autonomo e responsabile di ciò che fa.
Stanley Milgram (1960-63): esperimenti sull’obbedienza all’autorità
Paradigma sperimentale: induceva i partecipanti in uno stato eteronomico stato in cui nella percezione
dell’individuo prevale la norma dell’obbedienza ad una autorità
• 3 tipi di attori: sperimentatore, vittima (complice dello sperimentatore), soggetto ignaro (nel ruolo dell’insegnante)
• VD: livello di obbedienza (misurato in base al n dell’ultimo interruttore premuto dal soggetto)
Procedura e Partecipanti: uomini tra i 20 e i 50 anni d’età, di varia estrazione sociale, reclutati tramite annuncio sul
giornale e inviti postali.
Ruolo dello sperimentatore prima della prova Lo sperimentatore spiega al soggetto e al complice il quadro teorico
(falso) dell’esperimento.
Posizione e compiti assegnati all’insegnante (soggetto ignaro) L’insegnante è davanti a un generatore di corrente
dove sono posti 30 interruttori contrassegnati da scritte che vanno dall’etichetta “15 volt: scossa leggera” all’etichetta
“450 volt: attenzione scossa molto pericolosa
I compiti dell’insegnante:
• leggere all’allievo coppie di parole (esempio: scatola azzurra)
• ripetere la seconda parola di ogni coppia accompagnata da 4 associazioni alternative (esempio: azzurra: auto, acqua,
scatola, lampada)
• decidere se la risposta fornita dall’allievo è corretta e nel caso sia sbagliata, infliggere una punizione, aumentando
l’intensità della scossa a ogni errore compiuto dall’allievo.
Posizione e compiti assegnati all’allievo (complice) L’allievo è legato a una sedia e al polso ha un elettrodo collegato
al generatore. All’aumentare dell’intensità delle scosse, reagisce in modo diverso:
Ruolo dello sperimentatore nel corso della prova
• Nozioni generali: le scariche possono essere molto dolorose, ma non producono lesioni permanenti ai tessuti.
• Pronuncia esortazioni sempre più pressanti (da “continui per piacere”, a “non ha altra scelta, deve proseguire”).
• Calma, sicurezza, esortazioni pressanti → il soggetto deve concepire l’obbedienza come normale e il solo modo per
interpretare gli eventi.
Trattamento post-sperimentale e follow-up a distanza di un anno Alla fine dell’esperimento i soggetti vengono
informati del fatto che le vittime in realtà non hanno subito scosse e che l’obbedienza allo sperimentatore rappresenta
un comportamento normale. Partecipanti stato di conflitto:
- pressioni dello sperimentatore vs. richieste della vittima
- norma dell’obbedienza vs. norma della responsabilità sociale
Gli effetti della vicinanza alla vittima
esperimento 1: la vittima colpisce la parete della stanza dove si trova l’insegnante
esperimento 2: il soggetto sente la vittima piangere e gridare
esperimento 3: soggetto e vittima sono vicini nella stessa stanza
esperimento 4: il soggetto tocca la vittima ogni volta che le infligge le scosse.
Risultati: la percentuale di obbedienza diminuisce passando dal 1°al 4° esperimento.
Risultati: il 65% dei soggetti sperimentali ha continuato a somministrare scariche elettriche fino a raggiungere il livello
massimo di voltaggio (450 volts).
La vicinanza del soggetto alla vittima è un fattore importante per controbilanciare il potere dell’autorità e per suscitare
disobbedienza. La differenza tra la I e la II condizione è molto bassa (65% - 62,5%): le reazioni della vittima nella
condizione di “reazione vocale” fanno accelerare la disobbedienza, ma non fanno abbassare il tasso di obbedienza.
Prime interpretazioni  l’obbedienza diminuisce quanto più:
• la sofferenza della vittima diventa saliente al soggetto ignaro
• le azioni del soggetto sono sotto gli occhi della vittima, si percepisce come in uno specchio => imbarazzo, vergogna, i
• il soggetto si sente responsabile delle sue azioni, ne coglie il rapporto causale con le conseguenze => forte tensione
Gli effetti della vicinanza all’autorità
Esperimento 5: soggetto e sperimentatore si trovano a un metro di distanza
Esperimento 7: lo sperimentatore è in un’altra stanza (ordini via citofono)
Risultati: la sottomissione del soggetto diminuisce dal 65% al 20% con l’aumentare della distanza tra soggetto e
sperimentatore.
Vicinanza fisica e cooperazione fra insegnante e sperimentatore ⇒ sentimento di gruppo (obblighi e solidarietà) dal
quale è esclusa la vittima.
Minore distanza soggetto-vittima Minore obbedienza (minore intensità scosse)
Maggiore distanza soggetto-sperimentatore Minore obbedienza (minore intensità scosse)
Le basi del potere dello sperimentatore derivano dai contenuti del comando o dall’autorità di chi emana l’ordine? Gli
effetti dello status di chi ordina e di chi riceve le scosse
Esperimento 12: la vittima chiede di ricevere le scosse e lo sperimentatore lo proibisce
Risultati: nessun soggetto somministra la scossa di 165 volts se a chiederlo è la vittima.
Esperimento 13: un soggetto “qualunque” dà gli ordini all’insegnante
Risultati: quando è uno qualunque a dare gli ordini il livello di obbedienza diminuisce molto (20%)
Esperimento 14: lo sperimentatore prende il posto della vittima, una comparsa impartisce gli ordini
Risultati: nel momento in cui lo sperimentatore-vittima chiede di interrompere le scosse, tutti i soggetti si fermano,
anche se la comparsa ordina di continuare . ⇒ La disobbedienza aumenta al diminuire dello status dell’autorità. Il
fattore decisivo nel produrre l’obbedienza è la risposta all’autorità (e non la risposta all’ordine). 18 Gli effetti del
conflitto di autorità
Esperimento 15: 2 sperimentatori simili fra loro dopo la scossa di 150 volts danno ordini diversi: continuare vs. non
continuare. Risultati: i soggetti smettono di dare scosse. Ordini incongruenti ridimensionano il potere dell’autorità e
favoriscono la ribellione. Esperimento 16: uno dei 2 sperimentatori diventa vittima Risultati: lo sperimentatore-vittima
perde la sua autorità (65% soggetti obbedienti). Esperimento 17: 2 collaboratori si rifiutano di continuare
l’esperimento, mentre lo sperimentatore continua ad esortare Risultati: 10% di soggetti obbedienti => I soggetti
trasgrediscono più probabilmente all’autorità quando si confrontano con altri che non obbediscono: sostegno e
influenza sociale.
Gli effetti di variabili disposizionali e del contesto
Sesso dei soggetti sperimentali: le donne obbediscono quanto gli uomini, ma è minore il massimo livello delle scosse
inflitte.
Caratteristiche personali dello sperimentatore e della vittima (sperimentatore brusco / vittima mite e viceversa):
obbedienza diminuisce ma non in modo rilevante.
Ambiente: livelli di obbedienza inferiori ma non in modo significativo.
Confronto fra aspettative e risultati ottenuti e misure relative all’attribuzione di responsabilità  Aspettative: secondo
110 persone, interpellate da Milgram, per ottenere una previsione circa il comportamento dei soggetti sperimentali
solo 1 su 1000 avrebbe somministrato la scossa massima e la maggior parte non sarebbe andata oltre i 150 v.
Attribuzione di responsabilità
Attribuzione di responsabilità dello sperimentatore, dell’insegnante e della vittima da parte di soggetti obbedienti e
soggetti disobbedienti
disobbedienti: più responsabilità all’insegnante (se stessi) della sofferenza provocata, meno allo sperimentatore e poca
alla vittima.
obbedienti: meno responsabilità all’insegnante, più allo sperimentatore. Conferiscono un’alta responsabilità (il doppio
rispetto agli altri) alla vittima che ha partecipato di sua iniziativa e non è stata all’altezza del compito.
Norma di obbedienza all’autorità vs Norma di responsabilità verso la vittima
Prevalenza della norma di obbedienza si suppone che l’autorità si assuma la responsabilità del comportamento di
cui ha impartito l’ordine
I processi che generano l’obbedienza e la disobbedienza all’autorità
1. Condizioni che favoriscono uno stato eteronomico
•esperienze di educazione all’obbedienza (genitori, insegnanti, istituzioni giuridiche, religiose...) non si possono
controllare sperimentalmente, ma non inducono di per sé stati eteronomici.
•FATTORI CHE RIGUARDANO IL RAPPORTO FRA SOGGETTO E AUTORITÀ:
- percezione di un’autorità legittima: lo sperimentatore influenza il soggetto in virtù della sua posizione nella struttura
sociale;
- adesione al sistema di autorità: l’adesione volontaria del soggetto porta a sentimenti di impegno e obbligo;
- coerenza degli ordini e della funzione di autorità: ordini coerenti con il contesto e sperimentatore competente;
- giustificazione ideologica: fine legittimo del proprio comportamento: opera utile alla scienza.
2. Conseguenze dello stato eteronomico sulle condotte e sul funzionamento personale
L’adesione a tale sistema di autorità modifica l’identità del soggetto che acquisisce alcune caratteristiche:
a. Sintonizzazione (o attenzione selettiva):
•il soggetto è molto ricettivo ai segnali provenienti dallo sperimentatore vs poco ricettivo ai segnali emessi dall’allievo
•attenzione verso il compito
•punizione della vittima come elemento di sfondo
•rapidità dell’esperimento → il soggetto non riflette sulle sue azioni
b. Ridefinizione del significato della situazione :
•ogni situazione ha una sua ideologia, essa fornisce una prospettiva che attribuisce coerenza agli elementi presenti.
•Il soggetto si adatta alla situazione poiché accetta la definizione che l’autorità le ha conferito.
c. Perdita di responsabilità:
•il soggetto si sente responsabile nei confronti dell’autorità, ma non delle azioni che compie
•la moralità è definita della situazione: il soggetto prova vergogna od orgoglio in base al modo in cui svolge i compiti
•soggetto come esecutore del volere di un’autorità esterna
d. Immagine di sé:
•l’azione non deriva da motivazioni personali => non si riflette sull’immagine di sé del soggetto, non ha conseguenze
sul giudizio che il soggetto dà di sé
•Il soggetto considera l’azione distruttiva che compie estranea alla sua natura.
3. Principali fattori che consolidano lo stato eteronomico
a. Il concatenarsi degli eventi
Nel corso di un’azione sequenziale l’attore è influenzato dalle proprie azioni precedenti:
•se il soggetto decide che non è accettabile somministrare la scossa successiva (più forte della precedente), come può
giustificare quella che ha appena somministrato?
•se il soggetto interrompe, deve ammettere che quello che ha fatto fino a quel momento è “male”.
b. Le pressioni sociali
L’accordo fra due persone si basa su norme. Per i soggetti sperimentali disobbedire allo sperimentatore significa:
•negare la sua autorità e competenza
•tradire gli impegni presi
c. L’ansia
l’idea di ribellione all’autorità produce ansia => ostacolo alla messa in atto di tale azione.
4. Processi che generano la disobbedienza a un’autorità
Disobbedienza in termini di risoluzione di un conflitto: il soggetto smette di somministrare scosse elettriche perché
risolve un conflitto, uno stato di tensione tra se stesso e lo sperimentatore, non perché considera il suo
comportamento immorale. Nel setting sperimentale esistono situazioni conflittuali che creano tensione:
•insofferenza per le grida della vittima
•fare del male a una vittima innocente è in contrasto con i valori morali del soggetto
•timore di rappresaglie da parte della vittima o il pensiero di trovarsi al suo posto
•le suppliche di smettere della vittima sono incongruenti con le esortazioni a continuare dello sperimentatore
•somministrare delle scosse è incompatibile con l’immagine che il soggetto ha di sé come persona non violenta
MECCANISMI CHE RIDUCONO LA TENSIONE:
Meccanismi che lasciano invariati i rapporti con lo sperimentatore riducendo i conflitti a un livello tollerabile:
 isolamento (es: girare la testa per non vedere)
 diniego (es: negare che le scosse siano dolorose e che la vittima soffra)
 eseguire gli ordini in modo leggero (es. ridurre la durata delle scosse)
 ricorrere a sotterfugi (es. suggerire)
 ridurre il senso di responsabilità personale (es. l’allievo è incapace)
 convertire la tensione in sintomi psicosomatici (es: sudore, tremiti, risa isteriche)
 esprimere dissenso (senza però tradurlo in azione)
Meccanismi che modificano in modo radicale la relazione con lo sperimentatore:
DISOBBEDIENZA = mezzo estremo per far cessare la tensione. Si accompagna ad incertezza e paura della reazione
dell’autorità. Deriva da una successione di eventi:
1. dubbio interno
2. espressione del dubbio (apprensione, evidenzia le sofferenze della vittima)
3. dissenso (bisogna modificare il corso degli eventi)
4. minaccia (rifiuta di obbedire)
5. disobbedienza
Critiche agli esperimenti di Milgram
•Problemi etici: potenziali danni arrecati ai soggetti sperimentali. L’esperienza traumatica vissuta dai soggetti
potrebbe avere avuto conseguenze sulla rappresentazione di Sé, sulla fiducia verso le figure di autorità e sul generale
benessere soggettivo.
•Credibilità del disegno sperimentale (soggetti atipici, realismo, ambiguità dell’intensità delle scosse, generalizzabilità
dei risultati…).
•Impiego dell’inganno piuttosto che di strategie di role-playing, non si ricorre a certe forme di violenza
•Ricorso a un tipo di violenza arcaico. => Approvazione da parte di commissioni etiche e necessità del consenso
informato
Considerazioni conclusive Gli studi di Milgram:
•hanno sfatato l’idea che le azioni dannose dipendano dalla psicopatologia delle persone coinvolte e non dalle
specifiche situazioni in cui si trovano gente normale può rendersi complice di un processo distruttivoconferma
della ‘banalità del male’ (Arendt, 1963)
•mostrano che i processi di obbedienza sono collegati alla struttura delle relazioni sociali in un determinato contesto
•sottolineano il ruolo delle norme sociali nei processi di obbedienza
•mostrano che l’obbedienza si associa a un decentramento all’esterno di sé della fonte del controllo e della
responsabilità nelle azioni personalmente intraprese
Le ricerche successive hanno confermato i risultati di Milgram, ma hanno rivalutato il ruolo dei fattori disposizionali:
- Autoritarismo ,Responsabilità sociale , Sviluppo morale ,Ostilità
Prospettiva interazionista: persona x situazione.
• Genere: uomini più obbedienti delle donne solo quando somministrano gli shock personalmente.
• Locus of control: individui con locus esterno più obbedienti di quelli con locus interno e più influenzati da
manipolazioni dello status dello sperimentatore
• Religiosità: autorità scientifica e religiosa più efficace di quella neutra per i partecipanti religiosi
Uso di tecniche di role-playing (vs inganno) => risultati in linea con quelli di Milgram (per i soggetti coinvolti)
Violenza psicologica (vs fisica): livelli di obbedienza maggiori (> 90% dei soggetti)
Contributo conoscitivo del lavoro di Milgram: Comportamenti particolarmente aggressivi e distruttivi non sono
necessariamente la conseguenza di disposizioni di personalità di singoli attori sociali, ma sono spiegabili in base a
pressioni situazionali e condizioni del contesto. Spesso in una stessa situazione coesistono norme in contrasto: la
probabilità di messa in atto di un comportamento aggressivo sarà influenzata dal tipo di norma percepita come
pertinente nel contesto.
LA DINAMICA DEL COMPORTAMENTO AGGRESSIVO
Il processo inizia con l’interpretazione che l’attore dà della situazione in cui si trova e dell’evento (ogni situazione
include un margine più o meno ampio di ambiguità). Nella fase di definizione dell’evento , un ruolo cruciale è dato
dall’attribuzione di intenzionalità di ciò che sta avvenendo. La scelta della risposta è influenzata dalla percezione
delle conseguenze , dal livello di attivazione emotiva negativa che il colpo ha provocato e le norme che sembrano
pertinenti al contesto
L’ALTRUISMO E LE VARIABILI SITUAZIONALI: IL CONTRIBUTO DI LATANE’ E DARLEY
l’omicidio di Kitty Genovese Nel 1963, a New York, un evento di cronaca destò molto scalpore: una ragazza venne
aggredita e uccisa sotto gli occhi di almeno 38 persone che si trovavano alle finestre delle loro abitazioni. Perché
nessuno intervenne? Perché nessuno chiamò la polizia?
Latané e Darley studio dei comportamenti prosociali
• Quali sono gli aspetti culturali condivisi e le motivazioni profonde che spingono le persone a offrire il proprio aiuto? •
Quali sono le variabili esterne che incidono sulla probabilità che un intervento d’aiuto sia effettivamente offerto?
Latané e Darley (1968): l’attuazione di comportamenti altruistici non è legata solo a fattori individuali, ma anche a
fattori situazionali. L’intervento di soccorso a qualcuno in difficoltà è molto più probabile se l’individuo ritiene di
essere l’unica persona presente nella situazione. La numerosità dei presenti influisce sulla decisione di aiutare: più
sono le persone che assistono alla richiesta di aiuto, minore è la probabilità che l’individuo intervenga in soccorso della
“vittima”.
L’ALTRUISMO
L’altruismo come caratteristica individuale-Che cosa è il comportamento pro-sociale?
Le azioni compiute a vantaggio di un’altra persona sono indicate con i termini comportamento pro-sociale,
comportamento di aiuto o altruismo. Il comportamento pro-sociale comprende un’ampia categoria di azioni valutate
positivamente dalla società.
Wispé:
-comportamento volontario e finalizzato all’altrui benessere fisico e psicologico;
-Include sia l’aiuto sia l’altruismo oltre a atti di beneficienza, amicizia, soccorso.
Il comportamento d’aiuto: azioni compiute intenzionalmente a favore di qualcun altro.
Altruismo: speciale forma di comportamento di aiuto, talvolta dispendiosa caratterizzata dall’interesse per i propri
simili e compiuta senza aspettative di ricompensa.
Quali sono i fattori genetici o ambientali nel determinare il comportamento pro-sociale?
Le teorie evoluzionistiche sottolineano l’importanza dei fattori biologici e genetici: Comportamenti pro-sociali e
altruistici sono funzionali alla conservazione della specie dato che facilitano la sopravvivenza e la trasmissione
genetica.
Livelli di spiegazione dei comportamenti prosociali
L’altruismo è una caratteristica individuale?
 Secondo alcune ricerche, la personalità altruistica sarebbe associata a tratti come: alta stima di sé, alta
competenza morale, locus of control interno, basso bisogno di approvazione esterna, forte senso di
responsabilità sociale
 Penner e al. (1995) strumenti per la rilevazione dell’altruismo. 56 item distribuiti in due fattori: “empatia
verso gli altri” e “propensione all’aiuto”
 Secondo altri studi, il fattore che meglio permette di predire il comportamento di aiuto è la percezione della
propria efficacia. (ES differenza tra fare corsi di nuoto e buttarsi per salvare qualcuno)
Tuttavia la dimensione di personalità spesso non è sufficiente per prevedere la messa in atto di comportamenti
altruistici; è necessario considerare anche altri livelli, quali ad esempio le caratteristiche del contesto e i fattori
culturali.
IL RUOLO DELL’EMPATIA Hoffman (1975):
Empatia= attivazione emotiva: compassione, tenerezza, simpatia verso una persona in difficoltà + processo cognitivo:
l’osservatore assume la prospettiva dell’altro => prova emozioni simili. La percezione di somiglianza facilita l’empatia
L’empatia rende più probabile l’attuazione di una risposta di aiuto.
•Tuttavia, l’osservazione della sofferenza altrui può attivare due emozioni:
– disagio personale
– reale preoccupazione per l’altra persona
Quale di queste emozioni motiva il comportamento di aiuto?
Sofferenza empatica: la persona è spinta nei propri comportamenti da una motivazione interna ad aiutare gli altri.
Tale spinta è tanto più forte quanto più le persone avvertono che la sorte altrui dipende dal loro intervento. La
sofferenza empatica richiede:
1) consapevolezza metacognitiva, ossia la consapevolezza che lo stato d’animo provato, in questo caso la sofferenza,
è la risposta alla sofferenza sperimentata da qualcun altro che si trova in difficoltà.
2) le persone sono in grado di calarsi nei panni altrui, provando quello che la persona sperimenta in quella specifica
situazione di difficoltà.
3) la capacità di andare oltre le apparenze: in altre parole le persone sono consapevoli che sofferenza altrui può
essere celata nel comportamento esteriore.
Cialdini et al. (1973): Ipotesi del sollievo dallo stato negativo
I comportamenti di altruismo derivano da una motivazione fondamentalmente egoistica: rimuovere l’angoscia
causata dall’osservazione della sofferenza altrui. La percezione di diffusione di responsabilità rende la fuga una
risposta funzionale alla riduzione dell’angoscia.
Batson et al. (1989): Modello dell’empatia – altruismo
Anche quando la fuga è possibile, se prevale l’interesse genuino per l’altro, le persone decidono di aiutare. Se le
persone provano empatia perchè percepiscono la vittima simile a sé, decidono di aiutarla anche se potrebbero
sottrarsi alla vista delle sue sofferenze.
Esperimento: i partecipanti osservano una ragazza «Elaine» che riceve delle scosse elettriche in relazione alla
prestazione ad un compitoVI manipolate: escape (2 prove) vs stay (10 prove)
Percezione di somiglianza (=> empatia) alta vs bassa
VD: possibilità di sostituire la ragazza.  quanti avrebbero preso il suo posto?
Secondo Hudson dovrebbero rimanere, secondo Cialdini scappano.
•Critica di Cialdini et al. (1997): Se la somiglianza percepita è forte, si crea un senso di unità interpersonale che causa
una certa sovrapposizione sé - altro: risulta difficile distinguere motivazioni altruistiche ed egoistiche.
Il ruolo delle norme sociali
Le norme sociali Norme che regolano la solidarietà verso le persone in difficoltà:
- norma di reciprocità: bisogna restituire l’aiuto a chi ce l’ha offerto o potrà farlo in futuro (universale, funzionale) cfr.
teoria dell’equità.
- norma di responsabilità sociale: dobbiamo aiutare chi dipende da noi, soprattutto se appartenente alla nostra
famiglia (bambini, malati), ma anche i membri deboli della società.
Tuttavia ci sono norme che non promuovono l’aiuto: norme di protezione dalla privacy: in alcuni casi (es. nelle
dispute familiari), intervenire in aiuto significa intromettersi. Per esempio: «tra moglie e marito non mettere il dito»
Buunk e Schaufeli (1999) teoria dell’altruismo reciproco di Dawkins attraverso il metodo della simulazione al
computer , ha dimostrato che individui incondizionatamente altruisti sono destinati a soccombere ben presto a favore
di individui egoisti.
Affinché una norma influenzi il comportamento, deve:
- essere stata appresa e interiorizzata, nel corso dello sviluppo del senso morale = rielaborazione personale del
sistema normativo durante la socializzazione
- essere percepita come pertinente nella specifica situazione => dipende dall’interpretazione che si dà all’evento
osservato.
Tre forme di altruismo (Moscovici, 1994)
Altruismo partecipativo: comportamenti che favoriscono la vita collettiva nella comunità Esempio: volontariato
Altruismo fiduciario: comportamenti finalizzati a stabilire un legame di fiducia con l’altro, creando vincoli di
reciprocità Esempio: relazioni di vicinato
Altruismo normativo: aiuto alle persone in difficoltà da parte delle istituzioni sociali, regolato da sistemi di norme
formali Esempio: sussidio di disoccupazione
LA DINAMICA DEL COMPORTAMENTO ALTRUISTICO
L’offerta d’aiuto è un fenomeno complesso, per spiegarlo occorre un modello in più fasi:
1. il potenziale soccorritore deve rendersi conto che un qualcosa di anomalo sta succedendo attorno a lui.
2. l’evento dev’essere interpretato come una situazione di emergenza.
3. assunzione di responsabilità: il potenziale soccorritore deve stabilire se tocchi a lui intervenire oppure se altri
possono farlo al suo posto. (Rischio personale, porsi al centro dell’attenzione di altre persone).
4. decidere come intervenire (Emergenza = situazione inusuale → non sapere come agire )
5. la decisone presa dev’essere attivata, trasformandola in un’azione dotata di senso (valutazione dei costi)
La verifica empirica
1. Definizione dell’evento
Esistono norme che regolano il comportamento interpersonale. La presenza di altre persone può:
1. La consapevolezza di un evento anomalo
2. L’interpretazione di tale evento come emergenza
3. L’assunzione di responsabilità
Le persone sono più altruiste se attribuiscono la causa della situa di bisogno a fattori non controllabili dalla vittima.-->
errore fondamentale di attribuzione(si sopravvalutano le case interne dei comportamenti altrui)+ credenza in un
modno giusto la causalità ha un ruolo limitato.--> ti meriti le brutte azioni.
Esperimento i soggetti (studenti universitari) compilavano un questionario in una stanza
• manipolazione del n°di persone presenti nella stanza: nessuno / 2 complici / altri 2 soggetti ignari.
• da una feritoia usciva un denso fumo
Quanto la presenza di altre persone influenza la percezione del fumo?
 soggetti da soli: 75% avvisava della presenza del fumo
 soggetti con altre persone: 38% avvisava della presenza di fumo
2 L’interpretazione di quanto sta accadendo: i processi di influenza sociale
Come la presenza di altre persone influisce sulle interpretazione di situazioni ambigue

Influenza maggioritaria: influenza informativa per comprendere e giudicare quello che ci circonda ci basiamo in larga
misura sulle risposte delle altre persone presenti. (Risposte di apparente tranquillità → nessuno dà segnali di allarme).
Ignoranza pluralistica: anche perché in pubblico è prescritto un comportamento controllato, nessuno offre chiari indizi
su come interpreta la situazione. Si conclude che la situazione non è drammatica altrimenti qualcuno si sarebbe
certamente preoccupato.
II parte dell’esperimento:
• intervista ai soggetti circa possibili problemi durante la compilazione del questionario e tutti menzionavano la
presenza di fumo
• I partecipanti che non erano intervenuti interpretano il fenomeno riconducendolo a cause che non implicano rischi
e pericoli, per esempio gas della verità (giustificazione del non-intervento).
• durante l’intervista, i soggetti negano che la presenza di altre persone abbia influito sulla loro interpretazione
dell’evento, che viene invece ricollegata a scelte personali autonome.
• Le persone sono inconsapevoli dell’influenza che le situazioni contestuali possono esercitare sui loro
comportamenti. Le persone continuano a ritenersi razionali e indipendenti esecutori dei propri comportamenti.
• In situazioni ambigue la presenza di altre persone influisce sull’interpretazione che viene fornita e quindi sulla
probabilità che si intervenga a risolvere l’emergenza. Interviene il processo di influenza sociale.
L’intervento delle componenti motivazionali nella fase di interpretazione
Variabili di tipo motivazionale possono incidere nella fase di interpretazione dell’evento?
- rischi per la propria incolumità
- mettere in pratica comportamenti mai eseguiti prima
⇒Strategia cognitiva più semplice: escludere le interpretazioni in termini di emergenza che richiede un intervento.
1°Esperimentosoggetti lasciati soli in una stanza rispondono a un questionario e viene fatto credere ai soggetti che
nella stanza a fianco ci siano 2 bambini intenti a giocare. i soggetti sentono i bambini (una registrazione) litigare in
modo violento.
Risultati solo 1 soggetto su 12 interviene a sedare la lite molti soggetti giustificano il mancato intervento
sostenendo di aver capito che non era una situazione reale poiché i bambini in realtà non litigano a quel modo
solo il 25% dei soggetti ha creduto a un vero litigio I soggetti risolvono il conflitto tra l’intervenire e il non
intervenire auto-convincendosi che non esiste alcuna situazione di emergenza.
2°Esperimento: Procedura sperimentale identica alla precedente ma ai soggetti è fatto credere che insieme ai
bambini è presente un adulto. I soggetti si sentono sollevati dalla responsabilità di intervenire. => l’88% dei soggetti
ha creduto veramente a un litigio fra i bambini prima hanno preferito trovare una giustificazione
1. L’individuazione di chi deve intervenire:
Latané e Darley: diffusione di responsabilità come meccanismo in grado di bloccare gli interventi di soccorso.
Ipotesi: le persone in situazioni di emergenza sono propense a ritenere che la responsabilità di intervenire ricada su
qualcun altro => inazione generalizzata. (es. torta)
Esperimento: Ogni soggetto era posto in un cubicolo (i soggetti non potevano comunicare tra di loro)(no diseg. Long)
• Cond. 1: i soggetti credevano che solo un’altra persona partecipasse all’esperimento(85% dei soggetti interveniva
), Cond. 2: i soggetti credevano che altre 2 persone partecipassero all’esperimento(62% dei soggetti interveniva
) Cond.3: i soggetti credevano che altre 4 persone partecipassero all’esperimento(: 31% dei soggetti interveniva
)Solo un partecipante alla volta poteva parlare Simulazione di un attacco epilettico (registrazione).
(anche la tempestività dell’intervento variava a seconda della condizione sperimentale) In una chiara situazione di
emergenza, la credenza che altre persone stiano assistendo fa diminuire la responsabilità che ogni individuo si sente
di dover assumere, rendendo meno probabile un reale aiuto. La relazione tra i tratti di personalità e il comportamento
risultò nulla. Inoltre i soggetti che non erano intervenuti erano visibilmente scossi al termine dell’esperimento.
La valutazione del modello
Meno ricerche sulle ultime 2 fasi del modello, ma è emerso che gli individui con competenze specifiche
• Non sono più propense ad intervenire ma intervengono in modo più efficace.
Meriti del lavoro di Latané e Darley:
•ha mostrato il verificarsi di un determinato fenomeno in particolari condizioni - il mancato intervento in presenza di
altre persone - definendo anche gli specifici processi psicologici implicati:
 processi di influenza sociale incidono sulle interpretazioni avanzate
 la diffusione di responsabilità fa sì che le persone tendano ad attribuire ad altri l’onere dell’intervento
•nei loro esperimenti hanno riprodotto situazioni reali e indagato l’effettivo comportamento dei partecipanti
•Hanno mostrato che spesso la spiegazione del comportamento umano non va cercata all’interno del singolo
individuo ma nella situazione contingente.
• hanno dato vita a nuove ricerche che esaminano aspetti più specifici del fenomeno, ad esempio è più probabile che
le persone intervengano in aiuto:
 Quando si conoscono tra loro (Latanè e Rodin, 1969);
 Quando la persona da aiutare è fisicamente attraente;
 Quando la persona da aiutare è simile al soccorritore in termini di caratteristiche sociali, in particolare
l’appartenenza etnica.
Critica: limiti di generalizzabilità ad ogni situazione di emergenza a volte la necessità di un intervento risulta evidente
e il potenziale soccorritore è chiamato direttamente in causa, MA non sempre l’aiuto viene fornito. Stimolo per altre
ricerche che hanno definito in quali condizioni il modello proposto è applicabile.
Il modello di Latanè e Darley non considera il fatto che le persone valutano i pro e i contro connessi alle proprie
azioni: •non intervenire ha dei costi in termini di riprovazione sociale
•anche intervenire può comportare seri rischi (esempio: incolumità).
Esperimento di Allen (1969) nella metropolitana di New York. Il ricercatore chiede indicazioni a una persona in attesa.
Un complice si intromette dando informazioni palesemente sbagliate. VI manipolata: reazione precedente del
complice urtato da un altro (1.non reazione, 2.insulti, 3.minacce di aggressione fisica).
VD: % di soggetti che correggevano il complice, più la persona è aggressiva, meno i partecipanti decidono di corregere

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