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Storia dell'arte contemporanea appunti lezioni

Storia Dell'Arte Contemporanea (Università Cattolica del Sacro Cuore)

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Storia dell’arte contemporanea


20 sett. 21

1. INTRODUZIONE
L’immagine è particolare, l’interno del museo
di Porto, le persone guardano verso questo
cerchio nel pavimento. Questo cerchio in
realtà è uno spazio che l’artista ha creato sul
pavimento con un pigmento particolare che
non lascia intravedere immediatamente ciò
che c’è al di sotto del pavimento, sembra
quindi dipinto (qualcuno c’è caduto dentro).
L’arte contemporanea ci pone spesso di fronte
alla classica domanda questa è arte? Lo scopo
delle opere di Anish Kapoor è giocare sul
concetto di percezione, valorizzare le
potenzialità visive dell’osservatore per
suscitare in lui un senso di curiosità, di interrogazione, interrogarsi su ciò che si ha di fronte, trasformando
un luogo (un museo, una piazza) in un luogo (Norbert Shultz) che ha una caratteristica ben precisa. Shultz
spiega come ci sia una differenza tra spazio e luogo, gli spazi non hanno caratterizzazione (es. sale di attesa),
invece i luoghi hanno una loro personalità e caratteristica, suscitano curiosità.

Questa domanda sul significato dell’arte se la pone Arthur Danto in un saggio che si intitola Dopo la fine
dell’arte, l’arte contemporanea e il confine della storia: il concetto di fine dell’arte è legato alla
contemporaneità, l’arte contemporanea chiude con un certo tipo di arte e apre tutta una serie di
sperimentazioni che rivoluzionano questo mondo. Le avanguardie (prima Avanguardia 1905) sono un punto
di partenza imprescindibile anche quando noi parliamo della crypto-art.
Quest’opera di Christopher Sperandio, presentata alla mostra Culture in
Action, mostra che anticipa la forma d’arte relazionale, è semplicemente la
realizzazione di alcune barrette di cioccolato, che sono state anche
commercializzate e si potevano mangiare; questo mette veramente in crisi il
concetto di arte. Danto si chiede perché questa barretta si possa considerare
un’opera d’arte? È stata accettata come opera d’arte ed è stata addirittura
esposta in un museo.

I parametri dell’arte iniziano ad


essere rivoluzionati a partire dallo scolabottiglie di Duchamp.
Il ready-made è un oggetto comune che viene prelevato da un
contesto quotidiano e ne viene mutata la funzione originaria
portando in un altro contesto (quello del mondo dell’arte). È
un nome che Duchamp conobbe negli USA nell’ambito della
moda ed è una provocazione, l’opera non è stata subito presa
in considerazione dal mondo dell’arte quando è stata esposta
per la prima volta a NY nel 1915 (è stata rifiutata e perduta).

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Nell’epoca contemporanea cambia il concetto di arte. Anche gli espressionisti tra cui Roger Fry,
rivoluzionano completamente il modo di fare arte precedente. Abbiamo le Avanguardie all’inizio del 900
(1909 futurismo, 1907 cubismo)

Ci sono tutti i concetti dell’arte contemporanea:

1) l’arte non è ricerca di bellezza (come già i pittori


artisti avevano compreso)
2) non descrive semplicemente ciò che c’è nel
mondo, ma esprime l’emozione dell’artefice
3) l’artista può esprimersi con i suoi mezzi specifici:
linea, composizione, colore. Se la pittura antica
cercava di velare la mano dell’artista (perché si
cercava perfezione e bellezza), nel Novecento si
cerca altro (emozione)

Quest’opera dimostra che l’arte può essere anche solo


l’impressione dell’artista di fronte a un paesaggio che può essere colorato con colori non necessariamente
verosimili ma che rappresenta la sensazione e l’emozione dell’artista. Fry esprime anche un po’ di
inquietudine con questi neri.
Gli impressionisti non sono pittori moderni come i pittori delle Avanguardie, è l’ultima pittura realista, in
quanto una pittura descrittiva che non descrive l’emozione, il loro interesse è un interesse visivo (percezione
visiva della luce) e non emotivo. Il vero salto nella modernità è il momento in cui i pittori dipingono quello
che non vedono, ecco perché partiamo dal simbolismo e dal postimpressionismo. Non si descrive più quello
che si vede ma quello che si sente.

Un primo momento di cesura tra l’epoca moderna e l’epoca contemporanea è quindi quello delle
Avanguardie. Una seconda cesura nel mondo dell’arte contemporanea avviene nella seconda metà del
Novecento con le neoavanguardie, gruppi di artisti e movimenti artistici meno organizzati che raccolgono lo
spirito dell’avanguardia. Attorno al 1963-1964 si riprende quello spirito di ricerca sperimentale e si punta
l’attenzione sull’aspetto concettuale del fare arte (esiste un movimento che si chiama conceptual art), che
sta in tutte le neoavanguardie.

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Non soltanto si cambiano completamente i parametri tradizionali del fare arte (colori, materiali, oggetti che
non si usavano prima), ma si può fare arte anche con l’idea: non modello, non disegno, non dipinto,
semplicemente un’installazione. Non è importante la forma di cui è fatta l’opera ma è importante il
concetto. Molti artisti delle neoavanguardie prediligono il progetto piuttosto che la realizzazione manuale
fatta dall’artista. Sol Lewit è partecipa a gruppo della minimal art, presentava il progetto delle mostre e
faceva realizzare l’opera da degli assistenti o dai giovani dell’accademia.

Dobbiamo accettare l’idea che il modo di fare arte è diverso dal modo di fare arte nel passato. Dino
Formaggio, importante storico dell’arte, ci dà una risposta sintetica ma che fa capire: arte è ciò che gli
uomini chiamano arte; non esiste una definizione univoca che dica ciò che arte e ciò che non è, è arte
quando è accettata dal sistema dell’arte, accettata dagli altri artisti, dalla critica d’arte, dai musei, dai
collezionisti, dalle gallerie, da tutto ciò che costituisce il sistema dell’arte (in primis la critica).

J. Michel Basquiat è importantissimo


per la street art e vediamo se
utilizzassimo le categorie classiche
dell’arte sarebbe pieno di errori. Cosa
differenzia la creatività di un
bambino dall’artisticità?
L’intenzionalità dell’artista e il
riconoscimento da parte del mondo
dell’arte.

Non si può dare una definizione di arte, ma quello che studiamo è quello che a una certa distanza storica è
rimasto nel mondo della storia dell’arte. L’opera d’arte non è un oggetto o dipinto che ha una breve durata
ma ha un valore che prevale nel tempo non soltanto economico, ma artistico, culturale che supera la
contingenza. Il giudizio di valore è stato formulato per dare un giudizio alle opere, l’arte non definisce
categorie di cose, ma ne attesta il valore e quindi l’artisticità. Il giudizio è necessariamente soggettivo, ma si
basa sull’estetica e sulla conoscenza della storia dell’arte (arte è storia dell’arte, come diceva Giulio Carlo
Argan).
Giudicare o valutare l’artisticità di un manufatto, un oggetto, un’operazione di comunicazione linguistica,
significa tenere presenti:

1) il periodo storico e la società che la interpreta.


2) Il suo valore di astanza, cioè di forma, che è ciò che differenzia la linguistica dall’opera d’arte visiva,
insieme al suo essere al di sopra della temporalità. (Cesare Brandi, Teoria generale della critica,
1974). Un’opera d’arte deve avere un valore universale per il modo in cui è fatta.
3) La finalità dell’opera, del manufatto: secondo George Kubler (La forma del tempo, 1962): l’opera
d’arte è tanto inutile quanto un attrezzo è utile.

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Una delle avanguardie che ha provato a valorizzare l’aspetto manuale del fare arte è stata il costruttivismo,
attività materialistica durante la Rivoluzione russa (non è stato mai né accettato né capito). Hanno
un’estetica della forma che non ha un’utilità, la Rivoluzione russa non ha accettato il costruttivismo perché
era inutile.

Bruno Munari ci mostra come dal Rinascimento l’arte abbia via via assunto delle forme molto diverse,
questo perché cambia il concetto stesso di arte, Munari si ferma al monocromo (adesso si potrebbe
proseguire).

22 sett. 21

Carateri dell’arte contemporanea


Questo tipo di arte, sicuramente
particolare rispetto a quella
tradizionale, si può spiegare solo
se prendiamo in considerazione il
periodo delle avanguardie
storiche, chiave di lettura di tutta
la contemporaneità.

A partire dall’inizio del


Novecento cambia il modo di fare
pittura e scultura, c’è una
rivoluzione nelle forme più

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tradizionali dell’arte. Maurizio Catelan usa oggetti ma ha fatto lavori anche utilizzando la pittura; ad
esempio, in Senza titolo, Cattelan richiama il taglio di Lucio Fontana rivisto alla luce di un altro aspetto del
mondo dello spettacolo e della comunicazione, Zorro. L’artista ha fatto un’operazione che ha preso avvio
negli anni Novanta come riconoscimento critico, un’operazione di arte post-mediale: ha unito la storia
dell’arte con il cinema, i telefilm, un tipo di arte diversa e più popolare (arte alta e arte bassa). Arte post-
mediale ma anche di post-produzione, corrispondente all’epoca che parte dagli anni Novanta con opere
d’arte che riprendono l’arte precedente e la uniscono con forme di cultura più bassa, citando qualcosa di già
fatto (sorta di evoluzione del ready-made di Duchamp); questo tipo di arte arriva fino a noi (es. Douglas
Gordon).
Nell’opera sulla destra, che potrebbe sembrare un’installazione fatta con un manichino, Cattelan unisce la
performance con la pittura perché il gallerista è veramente un gallerista (azione performativa, Massimo De
Carlo) che viene messo sulla parete con lo scotch facendolo diventare quasi una pittura, esponendo la
persona sulla parete invece di un quadro. Allo stesso tempo è un riflettere attorno al ruolo del mercato
dell’arte che negli anni Novanta era all’apice (esplosione negli anni Ottanta, ma ancora negli anni Novanta
era molto importante).
Le operazioni di Cattelan si possono
effettuare grazie a una sorta di azzeramento
della pitura tradizionale che è avvenuto a
partire dalle Avanguardie, comincia già con
l’arte astratta dove non si vede più il soggetto
narrato attraverso l’immagine ma si fa un
lavoro più di tipo riflessivo sul fare pittura, sui
meccanismi del fare arte (passando
attraverso Lucio Fontana per Cattelan). È
chiaro che anche il ready-made era un punto
importante per l’arte.

Un’altra trasformazione importante


riguarda la scultura. Per scultura, oggi,
in senso lato non si intende solo il
bronzo, il marmo, il legno scolpito o
modellato ma è anche l’assemblaggio,
cioè tutto quello che è terza
dimensione, opere che hanno una
tridimensionalità.
L’opera di Stokholder, una degli artisti
che per prime hanno riflesso sul fare
scultura, è fatta mettendo insieme
oggetti e materiali in plastica,
soprattutto del mondo della cucina, e
gioca sia sul colore del materiale
plastico utilizzato sia sulla forma.

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Il primo artista che utilizza l’assemblaggio è


Picasso; gli assemblaggi di Picasso erano sculture
che univano materiali tipo carta, cartoncino, pezzi
di legno (una sorta di corrispettivo del bricolage).
L’assemblaggio è l’utilizzo di materiali che hanno
una forma tridimensionale.
Sulla sinistra, invece, si vede Michelangelo
Pistoleto che negli anni Settanta crea una delle
opere più iconiche dell’arte povera (1967), che
unisce più artisti italiani caratterizzati
dall’utilizzare materiali “poveri”, ad esempio degli
scarti. La Venere degli stracci è un’unione della
copia di una scultura iconica, la Venere di Milo,
messa in mezzo a un mucchio di stracci e rifiuti
della società dei consumi. L’arte povera nasce
come rifiuto della società consumistica e anche come modo per sensibilizzare le persone alla sostenibilità:
attenzione nei confronti del consumo e anche dell’arte del passato.
Per poter spiegare gli assemblaggi è necessario riflettere e conoscere quello che è avvenuto prima: già nel
1915 Picasso usava materiali diversi per fare scultura e poi le neoavanguardie riprendono quel tipo di
modalità.

Nuovo modo di fruizione dell’opera d’arte


Gli artisti non si accontentano più di appendere i quadri o di
mettere sculture sul piedistallo ma ci invitano a fruire in modo
diverso dell’opera d’arte; fruire come sperimentare un’opera
d’arte non soltanto con la vista, si vive quasi l’opera come
esperienza.
Olafur Eliasson è stato chiamato a realizzare l’opera che ha
inaugurato la Tate Modern di Londra, museo ricavato
all’interno di uno spazio industriale (ex-turbina elettrica);
proprio nell’atrio centrale Eliasson ha riprodotto l’esterno
all’interno della galleria, riproducendo un sole, una luce
artificiale fatta con dei led che dà l’effetto luminoso del sole, ha
ricreato anche una delle caratteristiche di Londra che è la
nebbia. Anche qui c’è una componente citazionista: in realtà
Eliasson cita un grande pittore inglese famoso per le nebbie di
Londra, William Turner.

Quali sono le sperimentazioni che


hanno portato a creare questo tipo di
installazioni?
Negli anni delle Neoavanguardie
possiamo notare che negli anni
Settanta gli artisti hanno cominciato a
creare degli ambienti, delle opere in
cui si poteva entrare e percepire un
nuovo modo di sentire lo spazio in cui
ci si trovava, come ha fatto Gianni
Colombo, artista del gruppo T
(gruppo di arte cinetica -amplifica
l’aspetto percettivo - o processuale –
ha un tempo lungo di processione).
Questi ambienti, le topoestesie, sono

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scuri, con luci stroboscopiche che creano effetti particolari, tutto finalizzato a rendere questa esperienza
unica e irripetibile. Queste sono opere che non sono semplicemente visibili ma hanno bisogno di essere
sperimentate.
Si entrava anche nel Mertz Bau, creato da Kurt Schwiters, appartenente al Dadaismo, che è uno degli artisti
più sperimentali e ha inventato un tipo di arte che nessuno aveva inventato prima: un ambiente creato
all’interno del proprio studio in cui inseriva oggetti, materiali che incontrava per strada durante la sua
giornata quotidiana. Lui riempie questo spazio con biglietti del treno, tram, oggetti e frammenti, ecc. Anche
qui entrando ci si trova avvolti dall’ambiente.
Anche i futuristi hanno fatto questi ambienti ma li hanno fatti non sempre in modo consapevole, ad
esempio hanno creato questo tipo di ambienti per le scenografie del teatro a partire dal 1915-16 oppure
balla ha creato un ambiente simile nel suo studio.

Contaminazione di forme diverse di espressione


Marina Abramovic è un’artista che mostra nelle
sue opere forme di contaminazione con altre
espressività creative, ad esempio contaminazione
con il teatro (performance e body art), con il
cinema e con l’architettura. Si tende sempre di più
nel corso del Novecento a uscire dai confini di
un’unica arte, a slittare verso altre forme creative
tanto è vero che adesso molto spesso gli studi su
Marina Abramovic vengono fatti anche dal teatro;
è chiaro che in primis ella sia un’artista
performativa.
Questa è una delle performance più importanti
degli ultimi anni, che ha realizzato al Moma a NY in
occasione di una sua mostra in cui erano esposte
molte sue performance ripresentate da performer
più giovani; lei stessa ha creato una performance apposita per questa occasione che consisteva nel sedersi
per la durata di tutta la mostra davanti a un tavolo con il pubblico, una persona per volta, che doveva
sostenere il suo sguardo. L’artista mette alla prova sé stessa o nel sopportare il dolore o nell’equilibrio, in
questo caos nella sua capacità di mantenere il proprio viso immobile e senza espressione davanti a un’altra
persona; lei ha avuto una reazione solo di fronte al suo compagno di viaggio che rivedeva dopo tantissimi
anni.

Questi possono essere dei precedenti della


performance nell’arte. Negli anni in cui lavorava
Marina Abramovic molti artisti facevano
performance, tra cui Pino Pascali che qui usa una
grande scultura di una vedova nera fatta con
materiali domestici. Con cui i ragazzi ci potevano
giocare (scultura da vivere in modo performativo).
In particolare, Hugo Ball (uno dei fondatori del
Dadaismo) è un poeta che realizzava azioni
performative: in questa azione in particolare, al
Cabaret Voltaire, a Zurigo, ha letto un documento
che decretava la morte della borghesia, era una
ribellione nei confronti di tutto ciò che la borghesia
rappresentava.

Uso di oggetti tratti dalla quotidianità

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L’uso di materiali quotidiani lo troviamo


anche in altre opere, come quella di
TORRES, che si po' inserire nell’arte di
postproduzione o nell’arte relazionale: non
solo utilizzo di materiali preesistenti ma
anche coinvolgimento del pubblico, non
soltanto come negli ambienti in cui il
pubblico entra nello spazio ma
coinvolgimento in cui il pubblico è invitato a
fare qualcosa.
Pochi anni fa all’hangar Bicocca c’era una
mostra chiamata “Take me”, dove si entrava
e si poteva prendere quello che c’era lì
dentro, con lo scopo di coinvolgere lo
spettatore in un’azione. È chiaro che il valore di queste opere, come Aparicion, è basso; non è il poster
l’opera d’arte ma l’opera d’arte è l’operazione che l’artista ha immaginato: il pubblico prende e porta a casa i
poster, l’opera è l’atto che il visitatore fa nel portarsi a casa un pezzo di opera. Il messaggio che ci vuole dare
l’artista è quello di comunicare qualcosa, in questo caso l’operazione e la comunicazione che vuole dare
l’artista è il fatto che il mercato dell’arte non è sempre necessario ed è troppo invadente, a suo parere, nel
mondo dell’arte contemporanea e quindi, anziché vendere le sue opere, lui preferisce che le sue opere si
possano portare a casa; il punto di partenza dell’artista è quello di superare il sistema di mercato dell’arte,
fare delle opere che possano avere tutti perché l’arte è per tutti.
Nel caso dell’installazione sulla destra del 2000 il messaggio è più complesso: c’è sempre il messaggio che
l’opera d’arte funziona con l’azione di chi visita la mostra e si può fare con oggetti che costano poco; in
questo caso, però, si tratta di un mucchio di caramelle colorate che son ola
rappresentazione della diffusione di una malattia che ha sconvolto il mondo
negli anni Novanta, l’Aids. L compagno di Felix Gonzales Torres era appena
scomparso per l’Aids e quindi lui ha voluto in qualche modo rappresentare il
contagio che può avvenire tramite una cosa bella e dolce come la caramella ma
che in realtà poi provoca dei danni e la morte.

Con le Brillo box, Andy Warhol si serve di riproduzione di scatole del


supermercato, usando una forma bassa di comunicazione. Nonostante le opere
di Warhol cotino tantissimo sono in realtà fatte con materiali poveri, queste
sono scatole ricreate con il compensato serigrafato. Questo livello più popolare
dell’arte lo ritroviamo anche nell’operazione di Gonzales Torres.

Contaminazione: tra arte e architetura


Un altro ambito in cui c’è la contaminazione è quello
dell’architettura; ci sono architetti come Zaha Hadid che
realizzano edifici che sembrano culture e ci sono artisti che
ambiscono a creare opere quasi architettoniche.
Si trasforma il concetto di struttura monumentale creando delle
sculture pubbliche che non sono celebrative di un personaggio
da mettere sul piedistallo.
Anish Kapoor ha creato a Chicago questa grande scultura che è
stata poi battezzata “beans” dia cittadini della città, ma che lui
chiama Cloud gate perché riflette attraverso il suo specchio il
cielo: ha portato il cielo dentro una piazza anonima di grattacieli

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trasformando quella piazza. La scultura monumentale funziona quando riesce a trasformare l’ambiente e a
renderlo unico e irripetibile.

Un utopista dell’avanguardia come Vladimir Tatlin,


artista del Costruttivismo, aveva già cercato di
portare l’arte nella città, di contaminare l’arte con
l’architettura. Questo è un edificio che avrebbe
voluto costruire per celebrare la Rivoluzione russa
(non è stato realizzato).
Questo edificio voleva rappresentare la limpidezza
della rivoluzione e soprattutto degli uffici
amministrativi della Russia creando un edificio
trasparente, realizzato con il vetro e il ferro in modo
tale che si potesse vedere dentro dall’esterno e che
ruotava su sé stesso.

Uso delle nuove tecnologie


Qui si vede il videogioco come modo per fare arte; ci
sono degli artisti che utilizzano il linguaggio del
videogioco per fare arte, si tratta di videogiochi che
rimangono all’interno dell’ambito artistico.
Uno di questi è Feng Mengbo, un artista cinese che
ha realizzato il primo videogioco entrato all’interno
di un museo (quest’opera si trova al Moma) ed è
un’opera d’arte in forma di videogioco posta su due
grandi schermi ispirati alla lunga marcia dell’esercito
delle truppe rosse durante la rivoluzione cinese. È
anche un videogioco interattivo, si usano occhiali
particolari.

Anche qui possiamo trovare degli incipit di questo


tipo di indagine in artisti che sono sempre stati
attratti dalla tecnologia e che hanno dato il via alla
video-arte, una delle prime forme tecnologiche di
arte; la pima sperimentazione della video-arte, di
Nam June Paik che creava il televisore e dei magneti
disturbando l’immagine del tubo catodico e
realizzando delle forme astratte; un altro artista come
Luigi Veronesi creava delle pellicole con un video in
movimento (dipinti astratti in movimento).
Concludendo con una frase di Bruno Munari:

La gente quando si trova di fronte a certe espressioni


di semplicità o di essenzialità dice inevitabilmente:
“Questo lo so fare anch’io” (…)
In realtà quando la gente dice quella frase intende dire che lo può Rifare, altrimenti lo avrebbe già fatto
prima.

Munari dice che di fronte alla semplicità di espressioni artistiche ci si stupisce della definizione di arte, ma
non si può veramente rifare quello che hanno già fatto gli altri.

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27 sett. 21

2. LA SCOPERTA DEL MONDO INTERIORE. GAUGIN E I NABIS


Il Simbolismo è il punto di partenza delle novità che ritroveremo nelle avanguardie. Simbolismo significa
parlare di un tipo di ricerca artistica che mette al centro degli aspetti della realtà che i pittori e gli scultori
non avevano preso in considerazione. Uno degli aspetti chiave è la scoperta di una dimensione inconscia,
nel 1899 viene pubblicata L’interpretazione dei sogni di Sigmund Freud e questo significa che ciò che noi
vediamo delle persone non è la dimensione completa della persona ma solo una parte; a metà
dell’Ottocento c’è un’invenzione di tipo tecnologico che è l’invenzione della fotografia che cambia il
mestiere del pittore. La corrente simbolista o ideista coinvolge non solo la pittura ma anche la letteratura.
Proprio dalla letteratura comincia ad emergere questo linguaggio particolare che poi viene esteso alla
pittura. Il linguaggio simbolista non descrive completamente tutto ma lascia spazio ad un’allusione,
pensiamo alla poesia di Mallarmé, Verlaine, Edgar Allan Poe, utilizzano termini che si aprono a più letture.
Ciò significa rifiutare il naturalismo per ridurre il linguaggio artistico in modo più sintetico, valorizzando la
linea e il colore, aspetti specifici della pittura. Questo modo di dipingere è esemplare in autori come Puvis
de Chavannes e di Paul Gauguin (che getta il ponte tra simbolismo e avanguardia espressionista). È Gauguin
che è al centro del manifesto del marzo 1891 Le Symbolisme en peinture: Paul Gauguin del critico Albert
Aurier che distingue l’Ideismo dall’arte realista,
evidenziando come non ci sia la realtà al centro ma l’idea. I
pittori simbolisti dicevano che le idee devono essere
rivestite di forme sensibili. Il pittore simbolista ottocentesco
non può staccarsi da un’immagine sensibile e usa queste
immagini come delle parole e oggetti che hanno questa
apertura e sfuggono ad un’identificazione ben precisa,
aprendosi al mistero. La pittura realista è funzionale al vero,
la pittura ideista è espressione di idee attraverso un
linguaggio particolare che fa riferimento al mito o alla
letteratura carolingia. Ideismo non è idealismo, il quale è
assimilabile al realismo; il quadro simbolista di Segantini rappresenta donne appese all’albero (forse
congelate) che hanno rifiutato la maternità, la neve rappresenta la morte; quella donna non è una figura
realistica, non si potrebbe ritrovare nella realtà ma è un’idea del pittore rappresentata in forme sensibili.
Questa è la strada che ci porterà verso l’astrazione (Kandinskij non avrà più bisogno delle figure per
rappresentare la dimensione non visibile della realtà).

Interpretazioni critiche del simbolismo


Vengono pubblicati diversi manifesti per descrivere il simbolismo

1) Jean Moreas pubblica il Manifesto del simbolismo nel 1886 su Le Figaro, dove scrive il termine
simbolismo è il solo capace di designare l’attuale tendenza dell’arte basata sul carattere simbolico.
Questo movimento caratterizza tutta l’Europa;
2) Joris-Karl Huysman in A Rebours (1884) dà l’idea di cosa significhi scrivi in chiave simbolista,
interpreta il periodo in termini di decadenza e indica come padri della nuova estetica Baudelaire,
Verlaine, Mallarmé: una poesia che non descrive, non declama, non insegna, ma cerca di rivestire
l’idea di una forma sensibile. Scopo dell’arte è la conoscenza delle idee attraverso gli aspetti della
natura, le umane azioni, tutti i fenomeni concreti. All’idea non ci si accosta direttamente, ma
attraverso simboli, oggetti e immagini che sanno evocare magia o mistica, segni che si riferiscono al
mondo invisibile attraverso allusioni e analogie.

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I letterati descrivono queste idee attraverso forme che interpretano come fossero dei segni; i letterati
parlano di arte, non esistevano critici o curatori.

Il linguaggio pittorico simbolista è composto solo da linee, forme e colori utili a tale scopo. Quindi è
ammissibile anche una alterazione delle componenti formali, cromatiche o grafiche dell’opera. Il pittore
simbolista non è bloccato dalla realtà ma in un certo senso è un po’ più libero rispetto ad un pittore realista,
può portare innovazioni rispetto alla tradizione, una fra tutte quella di Gauguin che rifiuta la prospettiva
appiattendo l’immagine e i colori sono antinaturalistici, non aderenti al vero.

I simbolisti francesi: Moreau, Redon, Puvis de Chavannes


Tra i primi autori simbolisti abbiamo pittori francesi, preceduti dai
preraffaelliti inglesi (soprattutto quelli di seconda generazione). Gustave
Moreau è un pittore che afferma di credere solo a ciò che non vede e
unicamente a ciò che sente (emozioni, sensazioni, idee); decide di dipingere
soprattutto soggetti letterari (non paesaggi né ritratti specifici di persone
specifiche), c’è una pura evasione attraverso la letteratura per indagare temi
che sono centrali per la vita dell’uomo. Edipo e la Sfinge (1864) rappresenta
l’uomo che contrasta l’irrazionalità, la Sfinge, metà donna metà animale (la
donna descritta come più vicina all’animale, opposta alla visione dantesca,
più vicina a Dio). È un dipinto minuzioso, dal punto di vista tecnico è ancora
vicino al realismo, ma tutti quegli oggetti presenti nel dipinto alludono a

Edipo e la sfinge (1864) Downloaded by Thai Lotus (zhengtai2017@gmail.com)


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qualcos’altro. Ad esempio, se osserviamo in primo piano in basso abbiamo un piede che fuoriesce dalla
terra, inserito perché la rappresentazione del Golgota e della morte di Cristo, tematica religiosa all’interno
del dipinto. Ci sono aspetti legati alla classicità, l’urna sopra la colonna, qui vediamo ancora l’evocazione del
tema della morte; si coglie l’eco della morte dell’uomo. Il paesaggio è puramente accessorio, con rocce cupe
e nere, ma non è vero, sembra una scenografia senza alcun tipo di vitalismo.

Un’altra opera molto conosciuta di Moreau è L’apparizione (1874-76) con


Salomè che danza con questi veli davanti al re e chiede la testa di Giovanni
Battista, rappresentata come un’apparizione, con una corona di luce che la
circonda. Il soggetto della Salomè è molto dipinto dai pittori simbolisti
(Klimt), proprio perché rappresenta la donna malvagia e demoniaca,
l’irrazionalità che sfida la ragione dell’uomo. Molto particolare è il modo in
cui rappresenta l’ambientazione, sembra una cattedrale, scalfendo e
incidendo con un punteruolo nel colore e come se fosse un graffito disegna
prospetticamente lo spazio. Questo modo di dipingere e di disegnare lo
spazio dell’architettura è estremamente evocativo e per nulla descrittivo,
evoca un palazzo senza descriverlo e anche in questo caso è non vero,
mentre il corpo di Salomè è dipinto con una pittura ancora antica, non
molto diversa dalla pittura di Tiziano quando fa i nudi.
L’apparizione (1874-1876)

L’altro pittore tra i protagonisti nella seconda metà dell’Ottocento in Francia è Odilon Redon, famoso per le
illustrazioni della Divina Commedia, della Bibbia, di Edgar Allan Poe. È un grandissimo inventore di
immagini, di creature. Huysman racconta come il protagonista aveva dipinti di Redon, scrive che questi
disegni erano al di fuori di tutto, andavano oltre i limiti della pittura, introducevano un fantastico molto
particolare, un fantastico di malattia. Questo Ragno che piange (1881) ha un senso forte di malattia e in
realtà più che un ragno è la testa del Battista su un piatto con delle zampe per farlo diventare un ragno, una
vedova nera, drammatica e molto forte; ispirato ad Ovidio, dalle Metamorfosi.
È meno legato alla pittura antica, usa questo sfumato, la pittura non dettagliata, evocativa, dipinge in modo
molto più moderno, dipinge direttamente col pennello. Ne il Buddha (1905) cogliamo l’esotismo, indice di
evasione e allontanamento dalla vita quotidiana, dalla vita Occidentale, da una religiosità cristiana e
un’apertura, un sincretismo religioso che ritroviamo spesso in questi autori.

Ragno che piange (1881) Il Buddha (1905)


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Il terzo autore francese è Pierre Puvis de Chavannes, pittura ancora


diversa in quanto il Simbolismo non è un movimento artistico è una
corrente artistica: non sono pittori che dipingono insieme, sono pittori
che condividono un clima, che magari non si conoscono neanche e
hanno un linguaggio diverso gli uni dagli altri, ma sono accomunati dal
modo di sentire; le Giovani fanciulle sulla sponda del mare (1879) sono
delle ragazze classicheggianti, Puvis de Chavannes guarda alla tipologia di
donna angelicata definita dai preraffaelliti e da Dante Gabriel Rossetti.
Richiamano il tema del bagno della pittura antica, ma qui c’è comunque
un senso di mistero e ambiguità perché non si capisce bene cosa fanno.
C’è un appiattimento del paesaggio ma anche delle stesse figure,
sembrano un po’ sintetizzate e semplificate.

Un affresco che ha realizzato per il Giovani fanciulle sulla sponda del mare
Pantheon di Parigi (ha realizzato un ciclo di (1879)
questi affreschi sulla storia della città)
mostra Sainte Genevieve veglia su Parigi addormentata. Non c’è una
prospettiva centrale come quella dei pittori antichi, lo sfondo è molto piatto, la
luna e il mare sono piattissimi ed è tutto molto semplice e sintetico, non ci sono
orpelli né particolari inutili, tutto è scelto accuratamente, dal velo della santa al
vaso di fiori in primo piano, quell’ara dentro la casa illuminata dalla luce che
rappresenta la santità. Si percepisce il silenzio e la quiete della notte che
pervade l’immagine. La luna è un soggetto molto praticato dai pittori simbolisti,
di giorno si vede tutto, di notte tutto si trasforma e anche le ombre sembrano
dei fantasmi; quando arriveranno i Futuristi scriveranno il Manifesto contro il
chiaro di Luna, che vuole condannare in toto questa pittura di mistero.

In tutta Europa ci sono pittori


che dipingono in questo
modo, abbiamo un pittore
belga Fernand Khnopff, La
sfinge o la carezza (1886),
dipinto con tante componenti,
la testa della sfinge era la testa della sorella di cui il pittore è innamorato.
Addirittura costituisce una specie di tempio
dedicato alla sorella. Felicien Rops è un pittore
che funziona benissimo per la pubblicità,
abbiamo in Pornocrates (1896) la dea
bendata che ricorda una prostituta
francese guidata da un maiale, rappresenta il dominio della
fortuna su quelle persone che non aprono gli occhi verso la realtà
affidandosi agli altri.

Sempre parlando di autori belga, allora in stretto contatto con gli autori
francesi, Jean Delville con L’amore delle anime del 1900 ha
rappresentato Paolo e Francesca, con slancio vengono trascinati verso

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le fiamme dell’Inferno. Sulla sinistra vediamo un’opera insospettabile di Piet Mondrian, L’evoluzione (1910),
prima di essere astratto, lui comincia proprio come simbolista; è ispirata alla teosofia, scienza religiosa
fondata da Madame Blavansky, che ha dato vita a tutta una serie di seguaci che indagano una religiosità
sincretista che unisce oriente e occidente; i due dipinti sono debitori di questa scienza (anche Kandinskij e
Malevic hanno praticato questa scienza).

Paul Gauguin (1848-1903)


Apice di questa corrente simbolista, naturalmente molto interessato alla religiosità e sebbene si formi con
gli impressionisti ben presto sente stretta questa dimensione borghese parigina e lascerà non solo Parigi ma
la moglie e il figlio e si dedicherà in modo mistico alla pittura, dapprima recandosi in regioni limitrofe a
Parigi, in Bretagna e in Provenza.

È la frase di un pittore che si sente al centro del mondo e che ha la forza di portare messaggi al mondo, di
creare qualcosa al pari di Dio, di avere delle capacità divine perché riesce a creare qualcosa che non c’è in
natura.
Gauguin raggiunge un linguaggio e un colore antinaturalistico,
ne La visione dopo il sermone (1888) abbiamo una scena reale
che raggiunge una scena di fantasia. Abbiamo donne in
preghiera vestite con l’abito tradizionale bretone (aderente alla
realtà), la scena è biblica, dopo aver sentito il sermone del
sacerdote vedono come una
visione questa scena
immaginata: la lotta
dell’angelo con Giacobbe. Al
di là del tema, quello che
possiamo notare di nuovo è
che lo sfondo è
completamente rosso, che ricorda la lotta, la violenza e il sangue; il rosso

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evoca la drammaticità della lotta, ma coinvolge tutta la scena, compreso lo spettatore che sta guardando. Il
colore rosso è un colore simbolico e l’apparente serenità delle donne non è tale, il dramma dell’uomo è
comune a tutti. Anche lo stile pittorico è importante, non c’è prospettiva, è piatto. Se vogliamo dare un’idea
di vicino e lontano, lo abbiamo lungo la linea segnata dall’albero che fa vedere grandi le figure in primo
piano, piccole quelle in fondo, mediane quelle in mezzo, ma la prospettiva è verso l’alto e non verso il fondo:
è un’idea che Gauguin trae dalla pittura giapponese.

Altro dipinto importante è La belle Angèle (1889), figlia del proprietario di casa del pittore; quello che
interessa è il modo con cui viene rappresentata, c’è uno spazio reale all’interno, mentre all’esterno abbiamo
elementi che alludono all’evasione verso altri popoli e nazioni, questo sfondo è molto simile alla pittura
giapponese (japonisme) e questo idolo di legno allude a popoli oltreoceano: qui ci sono già i primi sintomi
di questo suo desiderio di cercare luoghi ancora più contaminati (isole Oceano Pacifico).

Il Cristo giallo (1889) ha la particolarità di avere lo stesso colore dei campi alle
sue spalle, è un’immagine panteistica che vuole unire la religiosità cristiana e
cattolica ad una religiosità della natura.
In questi anni anche Van Gogh dipinge insieme a Gauguin, vediamo un
Autoritratto (1888), con l’orecchio bendato dal taglio che si è inflitto dopo aver
litigato con Gauguin, è ancora più libero di Gauguin stesso, è già verso
l’Espressionismo, ha meno la dimensione simbolica. Van Gogh NON è
un’espressionista, non partecipa al movimento del 1905, ma mette sulla tela
quello che sente, in una dimensione molto espressiva ed estremamente
sintetica, come vediamo in Campo di grano.

L’ultimo dipinto di Gauguin è


Da dove veniamo, chi siamo,
dove andiamo (1897) vede
un’unione di tutti i temi che
hanno riguardato la propria
vita, dalla religiosità e
formazione cristiana con la
figura di Adamo al centro che
coglie la mela, a sinistra della
Da dove veniamo, chi siamo, dove andiamo? (1897) popolazione delle isole di
Tahiti dove lui aveva pensato
di poter trovare un’estrema libertà, una comunione di uomo e natura; dietro c’è un idolo che ricorda il
buddismo e l’induismo ma ci sono anche due ragazze a destra che ricordano molto i Nabis, gruppo che lui
fonda che seguono le sue orme rimanendo in Europa e molti altri elementi che ricordano le sue opere.
Abbiamo una sintesi di tutti gli aspetti della sua pittura e una religiosità sincretista che riunisce diverse
componenti.

29 sett. 21

I Nabis
Importante è la presenza in Occidente di testimonianze delle culture orientale e delle culture primitiviste,
corrente che va a toccare molti aspetti delle ricerche sia dei pittori simbolisti sia delle avanguardie. Gauguin
apre a Parigi il Museo del Trocadero, dove vengono raccolte forme di arte e artigianato artistico provenienti
da culture orientali; queste sculture attraggono e colpiscono l’immaginazione degli artisti che scoprono un
modo di fare arte e di rappresentare una cultura che non appartiene all’Occidente. Il dipinto di Gauguin
vorrebbe rispondere alle grandi domande dell’uomo, all’interno ci sono figure che comunicano e si parlano,

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abbiamo chi comunica o chi non ascolta (come l’anziano a sinistra che rappresenta la vecchiaia). Sulla
sinistra abbiamo quindi la vecchiaia, sulla destra la giovane coppia che parla con un neonato. Gauguin,
diversamente da altri simbolisti e da Van Gogh, figura che rimane chiusa nel suo mondo, fa scuola,
nonostante se ne vada negli anni Ottanta a Tahiti, dal 92 si trasferisce definitivamente nel Pacifico, lascia
dietro di sé una scuola dando vita al gruppo di artisti che seguono il suo credo, di raggiungere una maggiore
armonia con la natura, questi artisti daranno vita al movimento dei Nabis. Questi artisti creano un circolo
pseudoreligioso, sono sicuramente vicini alla filosofia, ma sono un gruppo chiuso; il critico che accoglie
questi artisti è Paul Ranson, disegnato con cultura Nabis come un sacerdote mistico in Ritratto di Paul
Ranson (1890). Questi pittori scelgono di vivere in un ambiente naturale, di vestirsi in un certo modo, di
seguire uno stile alimentare. Emile Bernard è molto vicino allo stile di Gauguin, forse quello più vicino
(prendi)

Il pittore più famoso è Serusier,


Il Talismano (1888) rappresenta
un passaggio dalla pittura
impressionista alla pittura
espressionista. L a pittura
impressionista è tonale, tutti i
toni e i colori sono armonici,
nella pittura espressionista ci
sono dei contrasti; quindi,
questo rosso contrasta
decisamente con questo azzurro
che dovrebbe rappresentare i
tronchi dell’albero; poi c’è
questa grossa massa nera sulla
Il L’incanto
Talismanoal(1888)
bosco sacro (1892/93) destra che è un’ombra vicina al
verde scuro con all’interno altri colori che contrasta con il resto
della composizione, contrariamente all’equilibrio della pittura
impressionista.

La pittura di questi artisti è simile a quella di Gaugin, ma sono tutti


diversi gli uni dagli altri. In L’incanto al bosco di Serusier vediamo un
sacerdote che celebra una funzione di tipo mistico con due donne vestite con degli abiti lunghi, fluenti e il
movimento è interessante anche da un punto di vista della moda perché le donne non sono vestite come
nel 1892, nel segno della libertà, facendo riferimento a come si vestivano in Oriente.

Maurice Denis è più simile allo stile liberty (art nouveau), stile che punta
l’attenzione sulla linea, sull’aspetto decorativo. In Le Muse (1893) sono
queste ragazze nella foresta con questi abiti lunghi, c’è un aspetto in
questo dipinto che lo rende particolare per il t ema della decorazione, in
primis il vestito della donna, principalmente abbiamo questo elemento
della decorazione nel tessuto, decorazione di tipo fitomorfo, ispirata agli
elementi vegetali della natura (proprio come nel liberty). Il terreno del
bosco fa proprio pensare ad un tappeto, ma anche nelle piante c’è una
semplificazione delle linee dei tronchi abbiamo tanto decorativismo.

Le Muse (1893)

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3. LE SECESSIONI
Nel resto d’Europa (Germania e Austria) nascono le Secessioni, correnti e movimenti che precedono
l’Avanguardia, ma hanno già aspetti che si ritroveranno nell’avanguardia, che si allontanano dalla pittura
dell’accademia. La prima Secessione nasce a Monaco nel 1892, si forma in questo ambito Kandinskij come
molti altri artisti. La seconda Secessione è viennese e nasce nel 1896, la terza secessione è di Berlino nel
1898. Sono pittori che non raccontano più quello che vedono ma vogliono dare letture più complete della
realtà, raccontano della dimensione dell’inconscio, della dimensione non visibile del reale.

La prima secessione
Il primo di cui parliamo è Franz Von
Stuck, della secessione di Monaco, fa
un tipo di pittura con una componente
simbolista; rappresenta un tema, Il
peccato (1893), utilizzando una donna
che porta l’uomo alla perdizione,
Cleopatra circondata da un grosso
serpente attorcigliata, potrebbe essere
Eva, che fa riferimento all’origine del
peccato. Il viso è completamente
oscurato, è nell’ombra per dare l’idea del senso malefico di quest’ombra,
mentre il corpo è chiaro, mostra il contrasto tra la bellezza esteriore della
donna e la bruttezza del suo animo interiore. La pittura è ancora
accademica, la novità sta soprattutto nei temi che vengono affrontati, non tanto nel modo di dipingere. C’è
un aspetto importante che riguarda tutte le secessioni, la cornice è considerata parte dell’opera. L’opera era
collocata all’interno di una villa progettata da Von Stuck per vivere. È un pittore che appartiene alla corrente
decadente, queste figure di artisti o letterati creano un mondo artificiale attorno alla propria vita ed
esistenza perché l’artificio è un luogo in cui si vive meglio rispetto alla società in cui sono (prendi foto). Per la
Secessione questo significa anche riprendere le arti decorative, che per l’ambito tedesco significa
recuperare molti aspetti della classicità (le colonne), importante la collocazione, sopra una specie di tempio
nella sala della sua casa; anche solamente l’esterno della Villa è molto classicheggiante, ha queste statue
che ricordano le statue michelangiolesche. I tedeschi sono tra i maggiori artefici degli scavi archeologici, per
questo c’è una grande attenzione alla classicità.

Le Secessioni si presentano come gruppi che curano tutti gli aspetti della propria attività, non curano solo
dipinti ma curano anche tutti gli aspetti della comunicazione, danno vita a delle collane di libri oppure delle
riviste come Jugend (Giovinezza), perché questo tipo di arte dal
loro punto di vista è un’arte giovane, nuova, si vedevano come dei
rivoluzionari rispetto al passato. Il tema della secessione di
Monaco è lo stesso tema della donna preraffaellita, donna
angelicata.

Von Stuck in Salomè rappresenta la danza sfrenata della donna,


con un corpo molto bello, accattivante e luminoso, la testa è
inclinata indietro come in una danza orgiastica, rimane

La Salomé (1906)

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nell’oscurità ed è l’identificazione della crudeltà della donna. Sulla destra abbiamo un mostro che porta la
testa del Battista.

Ne La pietà si coglie molto bene il


senso del dolore dalle mani di
Maria sul volto, dal freddo e
realistico corpo di Gesù, si vede
molto l’aspetto umano di Cristo
(come nel Mantegna che mostra i
piedi in primo piano); abbiamo più
che il senso della spiritualità, si
coglie soprattutto il senso della
morte.

La seconda secessione
La pietà (1891)
La
secessione più famosa è quella viennese, che si identifica con la figura di
Gustave Klimt; è quella che rivoluzione in modo maggiore lo stile, si
distanzia abbondantemente dall’ambito accademico, abbiamo una vera e
propria rivoluzione nel modo di dipingere. Questi artisti si formano in
accademia ma se ne allontanano perché troppo descrittiva e narrativa, si
sentono più vicini al clima simbolista. Le prime mostre della secessione
viennese si svolgono in due palazzi della città e negli studi d’artista, poi si
crea un luogo che diventa una specie di tempio della secessione, che si trova
a Vienna in una strada (Friedrichstraße) dove si possono vedere palazzi costruiti in uno stile eclettico
(insieme di più stili). L’edificio è più geometrico e razionale, con meno presenza di decorazioni in stile
barocco o rinascimentale, c’è una decorazione vicina al liberty.
Klimt progetta tutte le parti decorative dell’edificio e la
magnifica cupola dorata in modo floreale. All’ingresso di questo
tempio della secessione campeggia la scritta Ver Sacrum, una
primavera sacra; c’è quindi un rinnovamento (la primavera), ma
anche un elemento sacro, perché questi pittori si sentono degli
annunciatori, investiti di un messaggio addirittura di tipo divino.
La secessione ha una sua rivista, che si intitola Ver Sacrum,
progettata con una grafica molto specifica, abbiamo ispirazione
alla primavera ed elemtni classici.

Lo stesso Klimt dipinge il manifesto per la prima mostra


secessionista del 1898, nella parte alta abbiamo una scena
mitologica, Teseo e il Minotauro, in chiave simbolica; Teseo
rappresenta l’arte nuova che lotta contro l’arte vecchia; sulla
destra vediamo la dea Atena che osserva e protegge tutta la
secessione, la classicità e la forza del nuovo stile; poi vediamo al
centro il vuoto, in cui si scriverà il futuro dell’arte

Gustave Klimt (1862-1918)

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Gustave Klimt nasce nell’ambito dell’Accademia e nasce come


decoratore, la sua prima attività è proprio nella pittura decorativa, è un
allievo di Hans Mackart, decoratore
della strada di Vienna; sviluppa uno
stile che parte dalla sua formazione
accademica, unisce elementi decorativi
in oro puramente geometrici. Klimt
sviluppa un tipo di decorazione diverso
dal florealismo che si vede in
architettura e negli elementi
architettonici perché è più
geometrizzante.

Continua a fare affreschi ma portando il suo nuovo stile, lo fa per


l’Università di Vienna, naturalmente non viene capito e questa
commissione pubblica farà una brutta fine, non piacque all’università. Era
troppo innovativo, la secessione viennese rimane un tipo di arte abbastanza
ristretto, loro stessi non si aprono al mondo.

La XIV Esposizione della Secessione è una delle prime mostre indipendenti, nello stesso tempo una mostra
dove c’è un allestimento creato ad hoc, fino a questo momento i dipinti venivano esposti secondo il sistema
della quadreria, andavano a riempire completamente le pareti. Con la Secessione viennese si studia
esattamente dove mettere l’opera e lo spazio circostante, c’è uno studio proprio dell’allestimento della
mostra. Si raggiunge l’idea di una esposizione come opera d’arte totale, la mostra stessa è un’opera d’arte
studiata nella sua totalità. Il punto di riferimento quando si parla di arte totale è la musica di Wagner; nella
mostra lo spettatore vive un’esperienza, per allora era assolutamente innovativo. Il valore della pittura per
sé stessa, la decorazione è arte per l’arte, non è finalizzata a qualcosa.

Il Fregio di Beethoven si trova nel Palazzo della Secessione, rappresenta l’arte matura di Klimt,
estremamente sintetica, essenziale, geometrizzata, le figure sono valorizzate, il fregio racconta la storia, un
viaggio dell’artista alla ricerca della poesia, dell’arte, per arrivare ad abbracciare la poesia, con aspetti molto
misticheggianti, con i piedi nell’acqua (nascita e rinascita). Ci sono elementi come sole e luna che
rappresentano il tempo, la luce emanata dall’abbraccio. Ci sono poi delle figure femminili angelicate che
rappresentano il coro dell’Inno alla Gioia di Beethoven, cui è dedicata tutta la XIV Secessione.

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Il viaggio del poeta passa attraverso delle prove, le figure che si vedono
all’interno di questo fregio sono anche donne che vogliono rallentare
questo viaggio verso la poesia e l’arte. Quella in primo piano è Cleopatra,
rappresentata nella sua bruttezza; eccezionali sono i dettagli, elementi del
dipinto non funzionali a descrivere qualcosa, è arte moderna (art pour
art). Klimt riempie di particolari puramente decorativi che impreziosiscono
l’opera, questo è importante perché preannuncia l’astrazione, arte fine a
sé stessa che non descrive né racconta ma usa il colore e la linea per
esprimere qualcos’altro. La statua di Beethoven di Max Kingler è un po’
pesante perché il trono è tutto colorato e dietro abbiamo un fregio sulla
parete che richiama al fatto come la mostra sia arte totale in cui ogni
elemento decorativo ha un ruolo ben preciso.

Il suo stile evolve sempre di più in chiave espressiva; Giuditta


I, il cui corpo è rappresentato in modo ancora accademico, si
distanzia da Giuditta II (che si trova a Pesaro, acquistata alla
Biennale nel 1907) il cui corpo è dipinto in un modo molto più
sintetico e in modo più espressivo. Non vuole rappresentare in
modo mimetico il corpo femminile, ma anche il volto è
caricaturato, abbiamo una deformazione sia del volto che del
corpo, si allontana sempre di più dal vero
L’allontanamento dalla realtà trova l’apice nelle opere seguenti
(1904) come in Le tre età della vita, dove le figure hanno tutte
un corpo forzato, c’è uno stile che si allontana dal vero, ed è
qui la modernità di Klimt. Nei Ritratti di Adele Bloch Bauer
vediamo come il corpo scompare lasciando prendere il
sopravvento alla decorazione, ha preso il sopravvento il fare
arte per l’arte, gli aspetti tecnici del fare arte.

La terza secessione (1898)

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L’ ultima secessione di Berlino (1898) vede il confluire di pittori di diverse nazioni di area nordica, dove la
figura di spicco è Arnold Böcklin, che nel suo autoritratto con la morte che suona il violino si ritrae con lo
stesso atteggiamento di Von Stu ck e Klimt, come depositario di una nuova religiosità e di un nuovo modo di
guardare al mondo. Il pittore in questo caso sconfigge la morte, il pittore va oltre la morte stessa perché
l’opera d’arte dura per sempre. Il tema della morte domina il suo capolavoro L’isola dei morti (1890),
commissionato da una nobildonna tedesca che voleva un dipinto per sognare e lui gli presenta un’opera del
genere, una rapprese ntazione quasi dantesca che trasporta le anime dei morti in quest’isola cimiteriale
(cipressi, Cimitero degli inglesi in Toscana). Per lui il sogno è guardare oltre la morte per questo ha
immaginato un dipinto del genere. Il dipinto venne poi replicato in più versioni. La Risacca mostra una
sirena imprigionata su una roccia, avvolta dalla paura e dal
mistero.

Edvard Munch (1863-1944)


L’altro pittore importante per la
terza secessione è Edvard
Munch, incontra il tema della
morte nella sua esistenza (la
sorella prima e poi la madre per
malattia). Lui dipinge molto
spesso la sorella malata, come in
La fanciulla malata, si sente già sotteso il dolore dell’esistenza, Munch
rappresenta il male di vivere e la difficoltà dell’esistenza, da mettere in
vicinanza con il teatro di Ibsen (anche lui norvegese). In Pubertà vediamo il
momento della vita di una donna che incontra inevitabilmente le difficoltà, perde la spensieratezza della
condizione di bambina, questo senso di inquietudine è dato dal gesto della ragazza che nasconde il pube e
da quell’ombra inquietante che incombe sulla parete: quello è il suo destino, non solo della sorella ma della
donna nel momento in cui affronta una fase della sua vita. La pittura di Munch è sicuramente più moderna,
non è accademica, è molto più sommaria, c’è una semplificazione della forma.

In Passeggiata sul corso vediamo una


folla di persone che cammina sul lato
sinistro della strada, sembrano dei teschi,
c’è il senso dell’isolamento della folla;
vediamo di spalle l’artista isolato rispetto
alla folla che cammina in modo contrario.
Vediamo Ragazze sul ponte, con vestiti
colorati ma sempre avvolte da ombre
scure che danno inquietudine, non c’è alcun aspetto realistico, l’ombra non è naturale (sarebbe un errore
per la pittura accademica); c’è una luce ambigua.

L’urlo è proprio la rappresentazione del senso di isolamento e del


malessere di Munch, si rappresenta nel corso di una
passeggiata con gli amici, nel momento in cui è isolato sente
tutto il peso della solitudine dell’essere umano nel mondo e
anche di fronte alla morte, il volto diventa quasi un teschio: la
morte è il momento in cui l’uomo è completamente solo e
quel momento lì appartiene a tutti indipendentemente da
ceto sociale, provenienza. L’uomo è solo e deve affrontare
questo grande enigma dell’essere umano; non solo l’essere
umano lo sente, ma il paesaggio stesso è espressione di

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questa inquietudine dell’uomo, resa accademicamente tramite l’invenzione del fluire della pennellata sulla
tela. Siamo di fronte ad un’opera che può essere considerata pre-espressionista, questo dipinto è del 1906
probabilmente lo conosceva ma Munch non è considerato un avanguardista.

4 ott. 21

L’Espressionismo
La conseguenza della pittura di Gauguin, Van Gogh e Munch (autori con forte componente simbolista) data
da una componente espressiva della loro pittura (aspetto non visibile che riguarda le proprie emozioni di
fronte al paesaggio o ad un ritratto) è la corrente espressionista. Questo allontanamento da un’arte
mimetica e rappresentativa si esprime in modo esplicito attraverso le Avanguardie storiche, che prendono
avvio nel 1905 con la fondazione di due gruppi di espressionisti: i Fauves in Francia e il gruppo Die Brucke,
fondato in Germania a Berlino.
Questi movimenti artistici stanno davanti agli altri, guardano verso il futuro ed oltre la tradizione della
pittura ottocentesco, sono gruppi ristretti dell’arte che sono un po’ più avanti rispetto agli altri. Questo
comporta conseguenze, questi artisti non hanno un successo dal punto di vista popolare, non vengono
acclamati dal pubblico, dalla critica o dal mercato dell’arte; riescono ad imporsi nel mercato grazie a
collezionisti che comprendono (Kahnweiler, mercante dei Cubisti), a scrittori come Baudelaire, a poeti e
sono tutti caratterizzati da novità da un punto di vista stilistico, non è una pittura basata sull’equilibrio
tonale dei colori, neppure una pittura impressionista, ma viene studiata a tavolino dall’artista; nel caso degli
Espressionisti, nel dipinto di Henri Matisse Lusso, calma e volontà non c’è uno scopo di cercare la tecnica
adatta a rappresentare gli effetti della luce sulla tela
(indagine che parte da un bisogno visivo), ma è una
pittura che usa quella tecnica come espediente
stilistico per rappresentare altro, un aspetto più
interiore, si serve dei colori che esprimono
l’emozione e i sentimenti. Di fatti, il soggetto di
questo dipinto famosissimo non è di vita quotidiana,
ma è una rappresentazione tratta dal mito, bucolica
con queste donne sulla riva del mare: un tema molto
comune della storia dell’arte, la fuga dalla realtà
della città verso luoghi incontaminati;
quest’immagine arcadica è un voler fuggire in
un’altra dimensione, qui l’esperienza di Gauguin è
fondamentale. Matisse prende la tecnica del puntino
da Seurat, i cui soggetti sono ancora però vicini all’impressionismo (come vediamo in Le chahut). Abbiamo
nel dipinto di Seurat un’immagine raggelata, quasi più simile ad un’illustrazione, mentre in Matisse abbiamo
una maggiore forza espressiva, data da questi colori antinaturalistici e dalla fuga dalla città.

L’apice della ricerca di Matisse è La


danse (1909) perché crea qualcosa di
estremamente moderno che ancora non
si era mai visto ed estremizza l’uscire
dalla vita quotidiana e dai canoni
tradizionali dell’arte precedente
stravolgendo completamente l’idea di
spazio, rendendo sempre più sintetica la
forma, è un disegnare con una linea
imprecisa e non finita i corpi; c’è poi una
deformazione dei corpi finalizzata non a

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rappresentare qualcosa che si vede lì davanti ma rappresentare qualcosa che si immagina. Se vediamo
questa donna in primo piano sembra quasi trascinata dai danzatori che non toccano quasi terra, è una
danza immaginata dall’artista; una danza che è ritmo, musicalità. Questa pittura è moderna anche perché
non ha ancora raggiunto l’astrazione, ma è già in qualche modo un’opera che va verso l’astrazione perché
non ha la finalità di descrivere qualcosa che si vede ma di evocare qualcosa che si pensa (armonia, bellezza,
musica).

Insieme a Matisse abbiamo altri pittori del gruppo dei Fauves (Dufy, Marquet) che dipingono guardando al
paesaggio dei piccoli centri nel nord della Francia (Trouville), dove si vive in armonia con la natura e il mare;
il che non vuol dire rifiuto della contemporaneità e della modernità, come notiamo dai manifesti
pubblicitari, nuova frontiera dell’applicazione dell’arte, della pratica e del disegno per l’industria; sono gli
anni in cui Signac si dedica all’immagine pubblicitaria, nasce questa corrente che applica l’arte visiva alla
pubblicità. I colori sono vivaci, mostrano la gioia di vivere della società.

Questi artisti applicano il linguaggio espressivo anche le figure ritratte. L’opera di sinistra è della Die Brucke,
mentre l’altra è del gruppo dei Fauves: la differenza che salta all’occhio è di tipo coloristico, nel dipinto di
Van Dongen i colori sono più aspri, tonalità più scure e colori stridenti tra di loro, mentre nel dipinto di
Derain i colori sono più luminosi ed equilibrati; questi pittori usano il pennello per disegnare, tanto è vero
che i contorni sono evidenziati e messi in luce i difetti della pittura.

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Il maggior espressionista della Die Brucke


di Dresda è Ernst Ludwig Kirchner in
Bagnanti riprende il tema del nudo,
rappresentato con questo stile sprezzante e
aspro, queste figure sembrano quasi
ritagliate con delle linee quasi
schematizzate all’interno della natura. Un
precedente è Le bagnanti di Cezanne, in cui
abbiamo i nudi all’interno di un paesaggio
naturale, ma con uno scopo diverso, la
rappresentazione dei nudi è volta a
rappresentare un modo di vivere libero
immersi nella natura. La natura sopperisce
al malessere che si vive nella città moderna, questi pittori rifiutano la città e la modernità che ingabbiano
l’uomo, è vista sempre con dei colori piuttosto scuri, come vediamo in Torre rossa ad Halle, con questo
squilibrio privo di armonia, c’è quasi un voler insistere sullo squilibrio. Tutto sembra precipitare verso il
basso, il tram è un mezzo di trasporto che dà un senso di isolamento e di chiusura, le persone non si vedono
neanche, c’è soltanto un grande silenzio, queste nuvole sono inquietanti e
sembrano una bomba.

Il dipinto di Ludwig Meidner, Io e la città ci mostra il pittore in un groviglio di case


che sembrano quasi accartocciarsi l’una sull’altra. Vediamo i tratteggi neri che
rappresentano l’invasione della produzione industriale dalla quale l’uomo non può
altro che essere travolto.

Nel caso dei francesi c’è un rifiuto e una fuga nei luoghi idilliaci, nel caso degli
espressionisti tedeschi c’è un contrastare e un condannare l’invasione dell’industria
nella società moderna.

4. ANTILLUSIONISMO DA CEZANNE A PICASSO

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Antillusionismo significa rappresentare la realtà non con i canoni della visione ma con canoni diversi,
un’interpretazione più mentale e concettuale.

Leggendo questa frase di Clement Greemberg capiamo come il punto di attenzione dell’arte non è tanto la
rappresentazione di qualcosa ma è l’arte stessa. Quelli che i pittori vedevano una volta come limiti quali
imperfezioni della pittura, superficie piatta, proprietà del pigmento, configurazione del supporto, diventano
cose positive. Il caso limite è Il grande vetro di Marcel Duchamp, l’opera fatta con un vetro caduto subito
dopo la sua realizzazione inclinandosi ma l’artista lo volle lasciar così sostenendo che anche l’incrinatura del
vetro era essa stessa un’opera d’arte.

Uno dei quadri più grandi dell’Avanguardia è Les


Damoiselles D’Avignon (1907) poiché dà l’avvio al
cubismo, anche se si tratta di un’opera proto-cubista,
precede il cubismo perché ancora non c’è un
raggiungimento della produzione frammentata
dell’immagine che ci sarà successivamente. Questo è
un quadro che ha una storia importante, un soggetto
riconoscibile di una casa di appuntamenti di
Avignone; in un primo momento aveva pensato di
inserire degli uomini che poi ha escluso. Il dipinto ha
avuto una lunga preparazione da parte di Picasso, ci
sono moltissime prove e precedenti, prima di
arrivare al dipinto che troviamo al MoMa di New
York (quadro molto grande). Nonostante sia
all’apparenza completamente moderno ha delle
fonti iconografiche che lo conducono al passato. Una
delle fonti è Il giudizio di Paride di Peter Paul Rubens
(1632-1635) che utilizza figure e posizioni che
Rubens prenderà come esempio; mentre un’altra è Le grandi bagnanti (1898-
1905) di Cezanne (pittore di passaggio per le avanguardie), la cui
citazione è palese sia nel soggetto rappresentato sia il richiamare ad uno spazio
aperto (non ha senso che ci sia questo colore azzurro, è proprio una citazione di
Cezanne come la natura morta in primo piano). Queste damoiselles non sono
proprio realistiche ma sono la rielaborazione a posteriori lungo molti mesi
prima di arrivare alla realizzazione finale e all’interno del dipinto ci sono altri

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elementi che sono citazioni importanti, ad esempio quelli più innovativi sono la presenza della maschera,
maschere africane. Questo aspetto è decisamente importante per Picasso ed è la citazione della maschera
grebo che Picasso aveva visto al Museo Trocadero qualche anno prima, la cui vista fu un qualcosa di molto
significativo: la maschera in realtà è utilizzata da Picasso per veicolare un messaggio attraverso l’immagine
vivida e potente ma non naturalistica; la maschera non è naturalistica diversamente da un viso o un corpo,
veniva utilizzata nelle culture africane per rappresentare ciò che non è rappresentabile in natura. Picasso si
serve della maschera come strumento: scrive che gli spiriti, l’inconscio e le emozioni sono tutte la stessa
cosa. Nel Novecento, infatti, la grande scoperta è quella dell’inconscio, finalmente si comprende che l’essere
umano è molto complesso ed è fatto da una parte che non si comprende (le emozioni possono essere
comprese solo dal pittore). I pittori di avanguardia sentono di avere in mano le armi per poter offrire una
lettura di come è fatto l’uomo. Il dipinto di Picasso è un dipinto esorcismo, perché traduce visivamente
come delle maschere tutta quella parte dell’uomo che non si vede (le emozioni). Ne Le damoiselles
d’Avignon c’è tutto questo aspetto dell’essere umano, è una rappresentazione di questa complessità e
frammentazione umana.

Per capire come si è arrivati a questo esito dell’arte dobbiamo capire che c’è un enorme cambiamento
causato dalle scoperte scientifiche, tecniche, tecnologiche e filosofiche che vengono fatte tra fine Ottocento
e inizio Novecento; tra le prime scoperte scientifiche c’è la fotografia, già con Courbet entrata all’interno
della composizione, come vediamo nei Funerali di Ornans, in cui si capisce che c’è un taglio fotografico (con
più di una figura tagliata); Courbet ha voluto sfruttare le potenzialità di una visione fornita dalla fotografia.

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Altro aspetto importante della pittura precedente a Picasso è quello del realismo impressionista di Manet,
in cui si mostra con un taglio fotografico un’estrema semplificazione della forma; non c’è descrizione di
particolari, ma il corpo dell’Olympia è privo di qualsiasi sentimento o emozione, non particolarmente
accurato dal punto di vista pittorico. Questo soggetto viene anche re-interpretato da Paul Cezanne con
un’immagine più simbolista dove emerge il senso di inquietudine della figura, diversamente a quanto fa
Manet. Del resto, Cezanne nella prima fase della sua carriera ha uno stile simbolista, che vediamo anche nel
Il Ratto (1867)

Cezanne comincia poi a guardare gli


impressionisti, senza mai accontentarsi di
rappresentare la luce nello spazio e nella
natura: il suo impressionismo vuole costruire
lo

spazio e gli
oggetti che il
pittore vede, si parla proprio di pennellata costruita. Possiamo già
vederlo in Piscina Jean Bouffan (1876), con una pennellata molto materica tale da costruire la forma, ed è
molto diversa dall’opera di Monet.

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Il superamento dell’impressionismo avviene con questo


dipinto del 1878-79, La route tournante, in cui vediamo come
il pittore non è più interessato a tracciare l’atmosfera e tutte le
costruzioni e la strada sono dipinte come se fossero elementi
rigidi, semplificati e seguono quella teoria secondo cui la
realtà è fatta di forme solide (cubo, cilindro, sfera). Crea l’idea
della prospettiva senza applicare una teoria come quella
rinascimentale ma rendendo solide le singole figure: la casetta
che sembra un cubo con un tetto in modo molto sintetico.
Questo lo vediamo meglio nelle opere mature come Donna
con caffettiera dove la struttura è proprio squadrata, le braccia
sembrano cilindriche, si percepisce una spazialità e una
tridimensionalità, lo capiamo benissimo guardando la tazza e
la caffettiera confrontandola con la porta sullo sfondo che sembra assolutamente piatta, perché non gli
interessa descrivere bene la realtà; il tavolino sembra quasi scolpito nel legno, la tovaglia stessa sembra
essere solida. Anche ne I giocatori di carte possiamo vedere gli uomini resi in modo cilindrico: la capacità di
saper dare quest’effetto di tridimensionalità è dovuta alla sua bravura pittorica.

Le ultime opere di Cezanne sono relative al suo periodo in Provenza, dove dipinge ossessivamente Mont
Saint Victoire (1904-1906) ed è ossessionato dall’idea di saper rendere con un effetto visivo come l’occhio

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vede lo stesso paesaggio. Usa questa pennellata costruttiva, non c’è assolutamente il disegno ed è la fase
che interessa molto a due pittori come Braque e Picasso.

Quest’immagine rappresenta tre opere di Cezanne, Picasso e Braque. In Cezanne c’è una riduzione
geometrica che verrà esasperata nelle opere di Braque e Picasso, in cui le case diventano proprio dei cubi.
Queste sono opere che possiamo considerare del primo periodo del cubismo, il cubismo analitico, momento
in cui i pittori Braque e Picasso cominciano a pensare che la realtà è molto più complessa, grazie alla lezione
di Cezanne.

Il cubismo
Con il cubismo si giunge a una radicale trasformazione del
linguaggio artistico: certamente gli
aspetti delle scoperte scientifiche
sono determinanti; in primo luogo,
grazie alla pubblicazione de L’origine
della specie di Charles Darwin si crea
una crisi della religiosità, c’è un
modo nuovo di comprendere com’è
nata la specie umana. Due anni
prima che Picasso dipingesse le
damoiselles, Einstein pubblica la
teoria della relatività (1905),
interpretazione del reale che ribalta il
mondo precedente, secondo la quale

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la nostra visione del mondo non può essere concepita secondo una tridimensionalità perché esiste una
quarta dimensione, il tempo, che si ripercuote sulla nostra concezione dello spazio, che è instabile, tutto
quello che conosciamo è in continua mutazione perché subisce l’influenza del tempo. Questa scoperta
mette in crisi tutte le certezze che per secoli si erano portate avanti e complicano notevolmente la
percezione della realtà. Crollano le certezze della religione cristiana, nascono le filosofie e le teosofie, esiste
un modo più complesso di valutare la realtà. Sostanzialmente si passa da un’idea statica del mondo a una
concezione dinamica della materia e di un mondo in costante mutamento (1896, pubblicazione di Materia e
memoria di Henri Bergson che influenzerà i futuristi; 1895 invenzione del cinematografo dei fratelli
Lumière).

Questa complessità della realtà verrà applicata da George Braque e Pablo Picasso quasi come una teoria
filosofica, applica l’idea che è possibile rappresentare la verità della realtà attraverso la pittura ma per farlo
non ci si può accontentare di una rappresentazione basata su una visione ma deve essere vista da ogni
punto di vista. Quindi, sia quello che vediamo ma anche quello che sta dietro la figura umana e quello che
sta dentro di noi, quella parte immateriale e psicologica dell’uomo, tramite la sfaccettatura della forma.
Il nome Cubismo è dispregiativo dato dalla critica del tempo, non è semplicemente vedere tutte le facce
della realtà ma è anche vedere ciò che sta dentro la realtà; il cubismo analitico è il momento in cui i pittori
cominciano a rappresentare la realtà da tutti i punti di vista Picasso fa un Ritratto di Ambroise Voillard
(1910), con una complessità della figura nello spazio, i colori sono molto pochi perché danno troppa
emotività. Nella fase più sintetica e avanzata del cubismo inseriscono la realtà dentro la composizione,
inseriscono dei pezzi di tappezzeria, fanno un trampe d’oil della materia di cui è fatta la sedia, citano il
giornale attraverso il carattere tipografico di journal. In altre opere vediamo proprio la materia, faranno
delle opere tridimensionali, degli assemblaggi e sculture fatte non modellando la materia ma unendo
insieme pezzi di materiali.

Abbiamo poi il cubismo eretico o orfico, coniato da Apollinaire,


critico d’arte, facendo riferimento al mito di Orfeo perché vede in
questi cubisti un aspetto più emotivo che non c’è in Braque e
Picasso, che sono molto più razionali. Robert Delaunay e il
giovane Marcel Duchamp sono pittori che hanno componenti di
tipo più emotivo e psicologico: La Tour Eiffel di Delaunay è una
rappresentazione della Parigi con la torre Eiffel rossa, c’è il voler
rappresentare il senso dell’emotività dell’uomo che vive nella società contemporanea, che viene quasi
fagocitato dalla voracità della città contemporanea. I colori sono scomposti secondo l’insegnamento cubista.
Egli è interessato alla rappresentazione della città, mette in gioco il dialogo tra osservatore e città attraverso
il filtro della finestra, che diventa progressivamente un elemento portante del linguaggio stesso. Questa è
una delle vedute della Torre Eiffel, trasfigurata in un modo simile a quello che ha fatto Boccioni, e la matrice
è chiaramente il confronto tra Picasso e Braque, arrivati ad un punto in cui non si distingueva un soggetto in
maniera chiara. Il punto di vista scelto è questo della casa del poeta Blaise Cendrars, aveva il privilegio di
abitare in una posizione dalla quale godeva della visione della Torre Eiffel, è una descrizione che tiene conto
del punto di vista alla maniera dei quadri di Pizarro. Sottoponendosi a questa trasformazione cubisteggiante
vediamo come la torre Eiffel sia rossa, dai caratteri nuovi, dirompenti, meccanici, quasi come frantumata da
queste luci. Luce che produce movimento, modificazione del colore e della linearità delle cose. Non
sappiamo bene se ci sia un inganno ottico costruttivo compositivo, nel lato destro del campo del quadro
troviamo degli edifici fantasmagorici, vediamo delle finestre aperte che si sovrappongono a quella specie di

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filtro tra bianco e rosso della torre tra le case, questi aspetti di cambiamento di stato sono dovuti ad una
ripresa della percezione ottica della trasformazione della rivelazione della scomposizione del colore
attraverso le trasparenze

Fernand Léger, tra i fondatori del movimento del machinisme, movimento che contrastava l’invasione delle
macchine e dell’industria meccanica, in Partita di carte, identifica gli uomini quasi come macchinari. Anche
Marcel Duchamp nel Nudo che scende le scale sembra un po’ una figura meccanica, abbiamo una
contestazione dell’invasione della meccanicità nella società di inizio Novecento.

ott. ’21

5. LA VISIONE DINAMICA NELL’ARTE. IL


FUTURISMO
È un’avanguardia che nasce cronologicamente subito dopo il Cubismo, nel 1909 quando esce il Manifesto
Leterario del Futurismo scritto da Filippo Tommaso Marinetti. I principi che si leggono sono quelli di porre
al centro della vita il dinamismo, l’accettazione entusiastica della modernità, l’interesse per il mondo
industriale, per l’automobile. Questa esaltazione non è una questione puramente sociale e politica ma
riguarda le invenzioni tecnologiche e il pensiero filosofico di questi anni; in particolar modo il filosofo a cui
fanno riferimento molti pittori del Futurismo è Henri Bergson, che si legge in controluce dei manifesti del
futurismo perché in loro si riflettono molte idee sulla fluttuazione di energia e sulla concezione del mondo
dinamico teorizzata da questo filosofo: l’idea di un mondo dinamico e non statico è colto in modo più
esplicito dai futuristi rispetto ai cubisti. Alcuni scritti di Bergson vengono tradotti in italiano e pubblicati nel
1909, lo stesso anno della pubblicazione del manifesto; nel 1911, un anno dopo la pubblicazione del
Manifesto del 1910, Bergson partecipò a Bologna ad un convegno di filosofia parlando dell’intuizione,
queste idee già presenti nella cultura della fine del secolo sono certamente importanti e decisive per capire
questa visione dinamica della realtà. Bergson teorizza in Materia e memoria (1896) che la memoria fa sì che
la nostra percezione del mondo associ continuamente la comprensione del presente con il passato: quando
noi vediamo qualcosa la nostra memoria interviene a farci comprendere meglio che cosa abbiamo di fronte.
In questo modo, la nostra percezione del presente è in continuo movimento e influenzata dalle nostre
immagini mnemoniche: questo rende la realtà un po’ più imprendibile, per questo Bergson piaceva ai Nabis.
Bonara: “Ogni esperienza cambia la nostra percezione della cosa in divenire, Bergson dice che l’intuizione
improvvisa è l’unico modo per accedere alle memorie dell’esperienza passata, immagazzinate
nell’inconscio. Quando guardiamo le opere dei futuristi capiamo che le immagini sono immagini quotidiane
(paesaggi, volti, persone), cercando di dare una nuova intuizione che fa sì che emergano i ricordi di

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esperienze passate.” Il Manifesto del 1910 unisce l’idea della persistenza della memoria nel momento in cui
si osserva la realtà insieme alla visione molto più complessa e mai univoca e si traduce in pittura con la
moltiplicazione di un soggetto che si muove nello spazio. Il pensiero di Boccioni rispetto al movimento è un
pensiero permeato delle idee di Bergson, c’è una dimensione più psicologica e filosofica. Questi due dipinti,
La signora Massimino e La strada entra nella casa, mostrano come Boccioni tra il 1908 e il 1911 sviluppo un
tipo di stile molto diverso, il soggetto è la donna alla finestra: nell’opera del 1908 la tecnica con cui è
rappresentato il soggetto all’interno è la tecnica divisionista (quella di Segantini e Previati, maestri di
Boccioni). Questa tecnica era considerata la tecnica moderna allora, ma nel dipinto del 1911 c’è una
scomposizione della forma, tra il primo e il secondo dipinto c’è qualcosa che interviene a far cambiare la
tecnica con cui il soggetto viene rappresentato. Tra l’8 e l’11 nella pittura a livello internazionale abbiamo il
Cubismo, nel 1910-11 Boccioni insieme a Carrà e a Severini (che viveva a Parigi, punto di riferimento per i
futuristi) vanno a Parigi e vedono la pittura cubista, assimilano quel linguaggio, non tanto quello di Braque e
Picasso, in quanto i colori sono molti accesi, ma il cubismo orfico. Tanto è vero che i cubisti accuseranno i
futuristi di emulare il loro stile.
I futuristi trasmettono un tipo
di contenuto diverso da quello
dei cubisti, velocità non solo
fisica ma un elan vital della
società e del mondo
contemporaneo. Questo
dinamismo è rappresentato ne
La strada entra nella casa dalla
donna sul balcone, nel punto
liminare tra interno ed esterno.
Riusciamo a cogliere i cantieri,
le persone che lavorano, si
intravedono luci e mezzi di
trasporto, le case che quasi
incombono e sprofondano con l’idea di una dinamicità e compenetrazione delle forme per cui addirittura il
corpo della donna viene penetrato da immagini del dinamismo della città; la donna è circoscritta e
circonfusa da questo dinamismo, c’è addirittura un cavallo che cammina sulla schiena di questa donna.
Questo preannuncia quelle sculture in cui si compenetrano una testa e una finestra.

Altro esempio, nel caso di Boccioni abbiamo


anche qui la presenza della luce, ma non dà
soltanto luminosità all’opera, crea delle direzioni
e degli elementi dinamici all’interno dell’opera,
vediamo i fasci di luce che vanno dall’alto verso
il basso e tagliano la figura. C’è un’idea
prospettica in cui vediamo le mani molto grandi
e il viso più piccolo, i futuristi sono interessati ad
altre invenzioni di tipo tecnico, la fotografia e
soprattutto il cinema. Questa sproporzione è un
errore proprio dello schermo cinematografico,
che enfatizza ciò che sta davanti rispetto a ciò
che sta dietro.

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Abbiamo in Rissa in galleria una pittura


divisionista, mentre in Forze di una strada
un soggetto concreto, realizzato con questa
scomposizione cubista. Le linee di forza
della luce diventano dei fasci dando senso
del dinamismo, questi sono i fari delle
automobili (non è luce naturale); i futuristi
hanno già pubblicato il loro Manifesto
contro il chiaro di luna, contro la pittura
che amava la luce della natura, la luce dei
futuristi è una luce elettrica (fari,
lampioni); anche in Rissa in galleria
vediamo la luce che esce dal caffè della
galleria e il momento che si coglie è un
istante premiante, quello di una rissa, in
cui il dinamismo è ancora più enfatizzato.

Un dipinto estremamente importante è La città che sale, sullo sfondo vediamo la città che sale in altezza e
l’estremo dinamismo degli uomini, del cavallo. Il cavallo idealmente rappresenta la velocità, spesso viene
avvicinato e associato al tram, mezzo di trasporto più moderno.

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Della serie Gli stati d’animo di Boccioni, trittico che si trova al


Museo del Novecento fa parte questo quadro. Boccioni vuole
rappresentare il saluto di persone che prendono il treno e
persone che rimangono in stazione. Queste scene non sono
rappresentate in modo descrittivo, ma viene rappresentato tutto
il dinamismo fisico e psicologico. Fisico nel senso che c’è il treno
che parte, vediamo il segno in diagonale che si ripete, ma anche
un dinamismo psicologico perché vuole rappresentare in
qualche modo l’emozione che le persone provano nel momento
in cui si salutano. Si colgono alcuni particolari, persone immerse
in quest’atmosfera che mette insieme corpi, spazio, oggetti,
nebbia, fumi delle locomotive.

Gino Severini interpreta a suo modo il


futurismo, c’è una frammentazione della
forma in Boulevard (1911) ma un colore
vivace e un taglio che dà un senso del
dinamismo, è il punto di raccordo tra i
pittori italiani e la Francia; egli viveva a
Parigi dal 1906, ha assistito al nascere
dell’avanguardia e del cubismo. Ciò che
sappiamo su Severini lo sappiamo per la
sua autobiografia Vita di un pittore, dove
parla dell’influsso che hanno avuto i pittori
della stagione precedente,
l’impressionismo, il fauvismo, il simbolismo
sul futurismo, tutte queste correnti
precedenti vanno a confluire dentro il
futurismo: dice “questa è l’atmosfera creata da Cezanne”. Cominciavano a circolare tra gli artisti le idee di
Bergson, si parla di ritmo, volume, spazio, colore e disegno in sé stessi e non in confronto alle cose reali.

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L’invito ufficiale della mostra dei futuristi, già nel


1912 avevano capito che quando si propone un
nuovo pensiero artistico al pubblico, bisogna
mettere al centro la comunicazione e l’immagine
che si dà di questo evento, la compattezza di questo
gruppo. Nel 1912 decidono di studiare
strategicamente e di presentarsi non in Italia ma a
Parigi dove c’era il centro dell’arte in quel momento,
di sfidare i Cubisti che avevano l’attenzione della
critica più all’avanguardia. Si presentano nella
galleria Bernheim-Jeune curando la veste grafica del
loro invito, senza mettere i loro dipinti, ma la loro
faccia. Manca Balla perché ancora non era convinto
di essere futurista. Non si propongono
semplicemente come pittori ma proprio come dei
veicolatori di idee e pensieri nuovi. Curano non solo
la mostra ma anche gli eventi collaterali e le serate futuriste. La
mostra viene presentata anche al di fuori della Francia, in
Germania dove viene curato meno l’aspetto promozionale e poi
anche a Londra avranno grandissimo successo. Il Futurismo ha
questa specificità che il Cubismo non sempre ha, quella di
propagandare attraverso la presentazione della pittura futurista
questo stile in vari paesi, addirittura in Russia si sviluppa a
partire dal 1914 un cubofuturismo russo che è un mix tra
cubismo e futurismo.

Nel Futurismo abbiamo il riferimento ogni


tanto a dei soggetti o a delle situazioni
contemporanei dell’epoca (BIFFI, famoso
ristorante in galleria di Milano). Carrà è il
principale fautore dell’interventismo, la
partecipazione alla guerra, molti futuristi
moriranno in guerra, avevano fondato il
gruppo ciclisti futuristi (tra questi Antonio
Sant’Elia, Boccioni morirà cadendo da
cavallo durante un’esercitazione). Nella
Manifestazione intervista vediamo
l’esaltazione del re e della partecipazione
alla guerra, all’interno del collage abbiamo la
presenza di scritte inneggianti al re e alla
guerra (anche attraverso il tricolore). Il
collage futurista ha un corrispettivo anche
nel cubismo, abbiamo visto in Boccioni che
anche nel futurismo si usa il collage, con una differenza: il collage cubista non ha riferimenti alla
contemporaneità e non trasmettono contenuti che riguardano la contemporaneità, invece nel collage
futurista quello che viene inserito nel collage racconta qualcosa della contemporaneità, sono propositivi e
da leggere in parallelo con le parolibere, componimenti poetici visivi che vengono realizzati dai poeti e
artisti futuristi.

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Il dinamismo di Giacomo Balla è un dinamismo leggermente diverso da quello di Boccioni perché molto più
legato alla questione tecnica della fotografia, che in questi anni è pienamente sviluppata e comincia ad
essere sperimentata dagli artisti non solo come strumento per dipingere, ma sviluppano tecniche
fotografiche nuove (foto dinamica dei fratelli Bragaglia). Balla studia il movimento da un punto di vista
proprio tecnico, in questo dipinto vediamo una bambina, la figlia di Balla (Luce) che corre sul balcone: per
rappresentare questo passaggio da sinistra a destra moltiplica il corpo della ragazza. La tecnica ancora non è
cubista, Balla ancora non accetta le altre avanguardie, usa la tecnica del puntinismo allargata simile a quello
di Matisse. Questa moltiplicazione del corpo era rappresentata anche dalla cronofotografia inventata da
Eadweard Muybridge, specializzato in fotografia di corsa di cavalli.

Vediamo come la fotodinamica possa contribuire a


moltiplicare l’immagine creando l’effetto dello
sfumato, viene realizzata con un’ampia apertura
del diaframma in modo tale che la pellicola assorba
e si impregni della luce che emana dai soggetti
fotografati per un tempo lungo, come se si facesse
una fotografia muovendo la macchina fotografica
(sfocatura). Questo modo di fare fotografia è
messo in relazione agli studi di raiografia,
fotografie del raiogramma che riescono a far
percepire ciò che è all’interno del corpo umano
come se fosse qualcosa di misterioso e insondabile.
Le opere più matura di Balla sono molto più
grafiche di quelle di Boccioni e lasciano percepire
questa scansione del movimento nello spazio. Vediamo il volo di una rondine, non solo c’è la scansione del
volo ma la sintesi di questo attraverso le linee andamentali, come se ricostruisse graficamente il volo di
queste rondini. La Fusione di testa e di finestra è una scultura in cui si vede bene questa compenetrazione.

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Come si risolve dal punto di vista scultoreo questo problema? Prima di


arrivare a Forme uniche nella continuità dello spazio si passa dalla
scultura che aveva iniziato a intuire la possibilità di unire l’atmosfera
con la figura umana era stato Medardo Rosso, scultura in cera fatta
con una struttura in creta; rappresenta l’Ecce Puer (1906), un bambino
dietro la tenda, è una compenetrazione tra corpo e ambiente, il fatto
che uno scultore riesca a mettere nella stessa scultura la tenda e il
bambino è estremamente importante. Boccioni cita Medardo Rosso
come l’esempio da imitare per creare la propria scultura.

In Forme uniche della continuità dello spazio abbiamo un corpo di un uomo che si muove nello spazio, e
dallo spazio viene assorbito e modificato. È chiaro che non è una questione visiva o fisica, è una questione
psicologica, ciò che trasforma l’essere umano è il dinamismo della società che permea la vita dell’uomo. In
questo dinamismo della società c’è anche tutta quella componente di conoscenza scientifica che ha portato
a far capire che l’essere umano e tutta la realtà non è statica ma è dinamica. Quindi un soggetto che
appartiene alla storia dell’arte, L’homme qui marche (1884-85), Rodin aveva iniziato a inserire la dimensione
dello spazio nella scultura in modo meno innovativo di Medardo Rosso, creando delle basi che vogliono
ambientare.

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Certamente c’è la citazione di quest’opera importante di Rodin, ma ci sono artisti come Duchamp che
rappresenta il Nudo che scende le scale con una componente leggermente diversa perché c’è una riduzione
dell’uomo a macchina, una meccanicità dell’uomo (discorso diverso da quello futurista, Duchamp è critico
dell’invasione della macchina), abbiamo la presenza dell’uomo che cammina, soggetto della storia dell’arte.

Alberto Giacometti nel 1961 in un clima filosofico completamente diverso, quello dell’esistenzialismo,
rappresenta un uomo scarnificato, questo senso di desolazione è quel senso di desolazione che deriva da
chi ha vissuto il dramma della Seconda Guerra Mondiale, questo fa capire come nella storia dell’arte tutto è
legato e ci sono riferimenti che ricorrono dal passato al presente al futuro.

11 ott. ’21

6. RAPPRESENTARE L’INVISIBILE. ASTRATTISMO LIRICO


L’astrattismo
Affrontiamo l’astrattismo, altra avanguardia, derivazione delle sperimentazioni delle avanguardie
precedenti. Generalmente le ricerche si dividono in due grandi macroaree: lirico e geometrico. Il primo è
legato alla figura di Kandinskij e alla figura di Paul Klee, il secondo è legato ai costruttivisti russi e a
Mondrian. è un approdo radicale di quanto le avanguardie stavano sperimentando in quegli anni. L’arte era
sempre stata figurativa, comunque rappresentazione di qualcosa che si comprendesse fino in fondo. L’arte
astratta, come sostiene Paul Klee in questa sua famosa frase, non rappresenta il visibile, ma rende visibile
ciò che non sempre lo è. Solitamente i manuali suddividono le ricerche dell’astrattismo in due grandi
macroaree: l’astrattismo lirico e astrattismo geometrico. Quello lirico nasce per primo ed è legato
soprattutto a Kandinskij e Klee, quello geometrico, invece, è quello di Mondrian, Malevic e Costruttivisti
russi.

L’astrattismo è un approdo radicale di quanto le avanguardie stavano sperimentando in quegli anni perché
fino ad allora l’arte era sempre stata figurativa, era rappresentazione di qualcosa che si comprendesse fino
in fondo o meno ma non si era mai pensato di poter usare solo linee e colori per la pittura. L’arte astratta è
un tipo di arte che non rappresenta il visibile ma rende visibile ciò che non sempre lo è. Gli stessi cubisti e lo
stesso Picasso è un artista che cerca id mostrare la realtà in toto e in tutti i suoi aspetti, anche quelli che non
si vedono; il passo successivo è quello di farlo senza neppure tentare di alludere alla realtà che ha di fronte,
semplicemente usando i colori e le forme. Lo scopo è raggiungere la forma pura, il che si può fare in due
modi:

- astrarre dalla realtà (quello che fanno agli inizi i pittori astrattisti), che è quello che succede anche
nella musica, Kandinskij esprime la necessità interiore con dei colori e delle forme, anche il dipinto
riesce ad evocare emozioni in chi lo osserva

- un’altra astrazione nasce senza riferimento alle esperienze dell’artista, è un’astrazione puramente
inventata dalla mente dell’artista, è detta astrazione concreta (o concretismo) e si sviluppa in area
tedesca dopo al nascita delle avanguardie storiche (dalla metà degli anni 40 e poi negli anni 50). In
Italia c’è un gruppo, MAC (Movimento Arte Concreta), che negli anni 50 darà vita a questa indagine.
Si tratta di arte astratta che è molto più razionale perché dà origine alle forme sena alcun
riferimento al reale

L’astrazione di Kandinskij è il primo raggiungimento di questo livello privo di figurazione dell’arte. Egli
raggiunge il primo acquerello astratto tra il 1911 e il 1913, lui lo data nel 1911 ma probabilmente è del 1913
perché prima si data un’opera più valore ha: nel 13 anche altri artisti facevano già delle indagini abbastanza
astratte.

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L’astrattismo geometrico, invece, è quello di Mondrian, van Doesburg, avanguardie russe, Bauhaus e Gruppo
del Milione (importante perché è in contatto con i gruppi che nascono in Francia negli anni 30 che fanno già
un’indagine di tipo più concreta).

Si definisce arte astrata o non-figurativa l’arte che non riproduce o rappresenta immagini riconoscibili, ma
ne fa appunto astrazione per giungere alla forma pura. L’artista può partire dalla realtà astraendone la
forma, oppure si ispira a immagini mentali che di per sé costituiscono già astrazioni di un mondo oggettivo
ed esteriore. L’arte non ha bisogno di imitare la realtà per evocare sentimenti o emozioni (come la musica),
o per avere valori espressivi e teorici (come l’architettura). Deve cercare una realtà più ampia e più vera di
quella apparente.

La consapevolezza dell’autonomo
valore creativo del linguaggio visivo
non è stata una scoperta
dell’astrattismo.

Già la cultura artistica romantica


distingueva tra imitazione e
creazione valorizzando quest’ultima;
già il simbolismo considerava
compito dell’arte indagare ciò che è
oltre il sensibile; già il
neoimpressionismo studiava il
segno, la pennellata divisa, i rapporti
tra i colori indipendentemente dalla rappresentazione: Gauguin scoprì che si poteva dipingere il mare di
rosso! Tutte queste ricerche erano segnali di un processo di distacco dalla raffigurazione del reale.

L’elemento decorazione che nasce in ambito liberty e simbolista è senz’altro un aspetto che porta verso
l’astrazione; già nel Romanticismo si parla di creatività, il potere che l’artista ha di creare qualcosa di nuovo.
Il Simbolismo aveva portato l’attenzione su qualcosa di non visibile, si parlava di invisibilità della realtà
anche in quell’ambito; il neoimpressionismo comincia a raffreddare l’immagine e ad analizzarla da un punto
di vista pittorico, degli aspetti tecnici dell’arte e non con finalità puramente rappresentativa, il puntino
diventa la macchia nelle opere degli espressionisti (di Matisse ad esempio), viene usato come un modo per
cambiare la pittura, per renderla più autonoma nei valori del colore e della linea. Tutte queste ricerche
portano ad un distacco dalla raffigurazione della realtà visiva.

Alla fine dell’800 si diffonde la teoria della pura visibilità, elaborata da Conrad Fiedler, secondo la quale
l’arte è un linguaggio specifico con leggi proprie, che ha come fine la visione. L’artista ha la capacità di
trasformare l’attività conoscitiva in espressione artistica. Il purovisibilismo diffuse e impose inoltre il
concetto di forma come creazione visiva originale: “l’arte non elabora forme preesistenti e indipendenti da
essa; principio e scopo dell’attività artistica è la creazione di forme che esistono solo grazie all’arte”.

Le qualità espressive e i valori simbolici delle forme elementari sono stati attentamente indagati anche in
relazione agli studi di psicologia della percezione che proprio agli inizi del 900 ricevono nuovo impulso
grazie agli esponenti della Gestaltpsicologie.

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Nell’ambito delle avanguardie ci sono diversi artisti che sperimentano e arrivano quasi a degli esiti astratti,
Robert Delaunay, artista cubista orfico, interessato all’uso del colore, comincia a sperimentare insieme alla
moglie, un uso del colore per trascrivere gli effetti della luce, si serve di dischi di alluminio, di materiale
riflettente che mette in posizioni tali che venga colpito dalla luce, e comincia ad indagare l’effetto della luce.
L’esito sarebbe del tutto astratto, in realtà non si può definire un’opera astratta, è la rappresentazione di
qualcosa che il pittore sta guardando, ovvero la luce: è ancora un problema visivo.
Anche Giacomo Balla prende un telescopio e osserva gli astri celesti, nel tentativo di rappresentare gli astri
nel movimento cosmico arriva a degli esiti vicini all’astrazione, le linee verticali e curve sono un tentativo di
rappresentare il movimento degli astri visti attraverso il telescopio. Rappresenta gli effetti della luce solare
che colpiscono le lenti del telescopio. Già che nel titolo spieghino di cosa si parla è un’indicazione del fatto
che questi artisti raccontano qualcosa che vedono. Sempre Balla nelle Compenetrazioni iridescenti che
applica anche sui mobili della sua casa, completamente dipinta con queste forme astratte, che sono sempre
il riflesso della luce, studio sistematico della luce che si riflette su prismi e specchi su cui faceva riflettere la
luce.

Vasilij Kandinskij
Kandinskij giunge a rappresentare un’astrazione puramente il riflesso non di ciò che vede ma di ciò che
sente. Questo fa capire che per lui sarà molto importante l’esperienza dell’Espressionismo (lo
rappresentano però sottoforma riconoscibile). Kandinskij progressivamente si allontanerà da qualsiasi forma
che ricordi qualsiasi realtà vista. Nel 1906 Kandinskij (comincia a dipingere a quarant’anni) era un giurista,
viaggiando per tutta la Russia, rimane affascinato dalle case russe che erano completamente decorate con
raffigurazioni estremamente dai colori vivaci. D’altro canto, ha una passione anche per le tradizioni russe.
Nel 1906 si trasferisce in Germania a Monaco dove incontra i pittori della Secessione, era una città che
esercitava una grande attrazione per i pittori periferici che arrivavano dalla Russia dove la pittura era ancora
molto tradizionale. Dà vita ad un piccolo gruppo di secessionisti dentro la secessione, i phalanx, il tipo di
pittura non è simbolista ma richiama l’evasione verso i racconti delle favole;

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Sicuramente in Coppia a cavallo Kandinskij guarda alle ricerche del post-impressionismo di Seurat e di
Signac, probabilmente ha visto anche le opere dei puntinisti e di Matisse. Nel 1909 la sua indagine comincia
ad essere rivolta alla pittura espressionista, in Quadro con arciere c’è sicuramente ancora della figurazione;
in questi anni Kandinskij lascia la città di Monaco per rifugiarsi nella natura alle porte di Monaco, a Murnau
e ad un’altra coppia di pittori Alexei Javlenskij e Marianne Vereskina. In Paesaggio a Murnau riconosciamo
un soggetto, ma i colori sono irrealistici, è importantissima l’emozione. Javlenskij e Vereskina si trasferiranno
dopo questa esperienza ad Ascona in Svizzera ed entreranno a far parte della comunità di Monte Verità,
comunità di artisti, musicisti, creativi, che vivevano secondo delle regole molto libere.

Kandinskij comincia ad abbandonare la figurazione nel 1911, Ognissanti rappresenta una processione, si
intravede una croce e si vedono delle persone che camminano all’interno di un paesaggio, ma si sta
perdendo la descrizione dei particolari, i colori sono molto vivaci e molto vivi e fonda in questo momento il
famoso Der blaue raiter (il cavaliere azzurro) insieme a Franz Marc (che dipinge animali). Questo è un
gruppo che segue un tipo di pittura espressionista, come i Fauves che cercavano l’armonia con la natura. La
copertina del Blaue Reiter è l’unione dell’amore di Kandinskij per i cavalieri e le storie della Russia e il cavallo
che invece è la passione di Marc. è un gruppo allargato anche a musicisti e a letterati, soprattutto l’aspetto
della musica diventa un ambito importante all’interno di questo gruppo, in particolar modo per Kandinskij
che si porta dietro l’amore per la musica e anche alcune amicizie che sono state molto importanti (Scriabin)
e la musica di Wagner intesa come opera d’arte totale, coinvolgente ed emozionante. All’interno del
cavaliere azzurro coinvolgerà anche un altro musicista che è Schoenberg e alcune sue opere nasceranno
dall’ascolto della sua musica.

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Nel 1910 scrive nel suo saggio Lo spirituale


nell’arte della necessità per l’artista di
esprimere sentimenti attraverso colori e
forme, lui spiega che per rappresentare le
emozioni che si provano davanti al paesaggio,
davanti alla vita o ad una persona, qualunque
tipo di emozione che lui chiama necessità
interiore, sono sufficienti i colori, che devono
essere associati a delle forme e a delle
emozioni: il giallo è ovale e dà gioia. In genere
davanti a Kandinskij si ricevono delle
emozioni forti, indubbiamente riesce a
trasferire quello che sente attraverso forme e
colore. Altro esempio, il rosso che è un colore
che ricorda il sangue, l’energia, la drammaticità, viene associato al quadrato, a delle forme spigolose,
all’angolo retto, diversamente il blu, che è un colore che dà un senso di quiete e di pacificazione (il blu fa
pensare al mare e al cielo), è associato al cerchio, simbolo dell’infinito; il suo lavoro è davvero sistematico, è
stato messo in relazione proprio anche con gli studi di Skrjabin che associava le note e il suono di uno
strumento ad una certa sensazione. L’esempio di una musica è stato molto importante per Kandinskij per
arrivare a questo tipo di opere.

Schoenberg fa un tipo di musica basata sulla dissonanza, le note


sono molto più isolate l’una dall’altra, magari suoni lunghi e
improvvisi. Kandinskij riesce ad interpretare attraverso colori e
forme questo tipo di musica, si ha un sottofondo di note che
creano una composizione e ogni tanto note isolate rappresentate
da questi fasci neri e dal segno rosso che sembrano definire dei
momenti precisi all’interno della composizione. Quest’opera è
un’improvvisazione, generalmente hanno una dispersione di
colori e forme su tutta l’area del dipinto, le composizioni invece
in genere hanno un punto focale al centro dal quale si organizza

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tutta la composizione. L’improvvisazione è molto più dispersiva. Kandinskij non dipinge mai davanti al
paesaggio, nello studio magari ricorda un’emozione che ha provato.

Nel 1917 succede qualcosa di dirompente nell’est, è l’anno della rivoluzione russa, i pittori che si erano
dispersi nel resto d’Europa sentono di tornare in patria
per supportare la rivoluzione, Kandinskij torna e gli viene
affidato dai soviet un incarico di tipo amministrativo nel
dipartimento didattico; l’esperienza che avrà sarà molto
deludente, anche perché la Rivoluzione Russa non dà
particolare sostegno al mondo della cultura e delle arti
(quando arriverà Stalin le priorità saranno di tutt’altro
tipo). Kandinskij quando va in Russia torna a
rappresentare i soggetti tipici della tradizione russa, le
favole reinterpretate e addirittura talmente legato alla
tradizione russa fa anche della pittura su vetro come
nella tradizione russa.

Ne I due ovali si osserva qualche ricordo figurativo, ad esempio i triangoli aguzzi ricordano le cupole delle
chiese ortodosse russe, il bianco per lui è la neve, è la Russia, ricorda la sua terra, siamo in una
rappresentazione astratta. Kandinskij è costretto poi a lasciare la Russia e torna in Germania perché viene
chiamato ad insegnare al Bauhaus, fondato da Walter Gropius a Dessau e poi a Weimar. La caratteristica di
questa scuola è quella di insegnare ai professionisti dove c’erano una serie di insegnamenti teorici e una
serie pratici, c’erano laboratori di architettura, di artigianato artistico, tessile tutto femminile dove insegnava
Klee. Kandinskij insegna teoria della pittura in questa scuola, venendo a contatto con pittori più astratti
geometrici, la sua pittura si raffredda, le emozioni vengono un po’ congelate dalla geometria, e scrive un
altro libro che si intitola Punto, linea, superficie in cui analizza gli aspetti legati alla composizione,
un’attenzione alla geometrizzazione della forma.

Giallo, rosso, blu è un dipinto del 1925 ispirato alla musica di


Bach, Kandinskij spiega giallo e blu in rapporto al rosso, sole e luna si ritrovano fra giorno e notte come
l’aurora e il tramonto, nascita misteriosa del rosso dalla tendenza simultanea all’allontanamento e
all’ascensione del giallo e del blu. Giallo e blu se si mettono insieme danno vita infatti al verde, l’unione dei
vari colori tra di loro dà vita agli altri colori, in questo dipinto teorizza la nascita del colore dai colori primari,
c’è un punto in cui si incontrano i vari colori, nascono il viola, il verde, tutto l’insieme della tavola cromatica.

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Skrjabin lega le note ai diversi colori (probabile punto di


partenza per le indagini fatte da Kandinskij) crea una
cartella in cui mette colore - effetto umore- equivalente
strumentale.
Nero  eterno silenzio, il silenzio della morte
Azzurro  pace, tristezza non umana – flauto
Blu scuro  contrabbasso
C’è un’attenzione per riuscire ad evocare attraverso la
musica e uno strumento particolare un certo colore; egli
addirittura aveva creato dei tubi collegati al pianoforte e da
questi usciva un suono collegato al colore.

Kandinskij ha avuto un rapporto molto stretto con lui, sia in


Russia che dopo, e non solo con la musica ma anche con la
danza: tra le sperimentazioni che facevano insieme talvolta
il musicista suonava, Kandinskij rappresentava il suono
della musica con la pittura e il danzatore danzava sul dipinto di Kandinskij senza sentire la musica.

Composizione VIII è un dipinto rappresentativo di questo periodo. Non c’è più lo sconvolgimento di linee,
colori, orme dei periodi precedenti.

Negli ultimi anni della sua vita, quando si trasferisce a Parigi, una serie di episodi drammatici lo portano ad
essere sempre meno colorato e meno espansivo nell’uso delle linee. Il dipinto trenta è ispirato ai vetrini
delle analisi biologiche, è un riferimento alla biologia. Gli storici dell’arte ci hanno visto però anche una
vicinanza a Mirò.
I surrealisti cercheranno di portare anche Kandinskij nella loro scuderia, senza riuscirci (lo faranno anche
con De Chirico).

Paul Klee

Paul Klee è un pittore di origine svizzera, dopo la formazione a Zurigo decide di raggiungere Kandinskij a
Monaco ed entra a far parte del cavaliere azzurro, ed è lì che sperimenta le sue prime opere pre-astratte,
un’essenzialità della forma che preannuncia un astrattismo.

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Diversamente da Kandinskij, che è guidato


dall’emozione, da questo sentire forte della
natura, Klee è molto più riflessivo, più vicino
alla poesia, molto meno immediato. Egli non fa
delle improvvisazioni, le sue opere sono
sempre molto organizzate, costruite ed
equilibrate, con però una grande componente
fantasiosa e poetica. Egli era molto interessato
all’esperienza dei disegni per bambini, a
raggiungere un tipo di raffigurazione
elementare. l’astrazione di Klee è anche più
contenuta rispetto a Kandinskij dal punto di
vista cronologico: lo fa solo in alcune opere e
addirittura in parallelo porta avanti due tipi di
pittura. Questa è una visione di un paesaggio,
non uno qualsiasi ma il paesaggio del Marocco
al quale Klee è molto legato: ci farà più viaggi,
il primo con la zia, rimane colpito dai paesaggi colpiti dal sole ma soprattutto dall’astrazione e
dall’organizzazione quasi geometrica del paesaggio, sia quando guarda il paesaggio costruito (case) sia dal
territorio, dai colori bruni della terra.

Il monumento al paese fertile è un dipinto astratto, messo qui a confronto con una fotografia: la suggestione
che lui vedeva nel paese rientra poi nella composizione.
Questa è un’opera astratta e non figurativa perché già dal titolo si nota che non è un riferimento diretto a
qualcosa che si vede ma è già un’astrazione.
Strada principale e strade laterali è un’astrazione, qualcosa di visto ma reinterpretato, non quello che lui
vede in quel momento.

L’attività che Klee fa al Bauhaus non è di tipo teorica ma è di tipo


più pratico perché lavora nel laboratorio di tessitura, lavora
insieme ad una serie di artiste donne che sono rimaste
dimenticate dalla storia e qui trova un grande riconoscimento da
parte di queste artiste. Studia le composizioni in modo
estremamente geometrico, perdendo un po’ quella poesia che si
torva spesso nelle opere di Klee

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Questi disegni vengono utilizzarti per realizzare i primi studi di disegni su tessuto astratti. Questi tessuti
sono puramente astratti (v. disegno Benita Otte Koch). Anche nei disegni di Grete Reichard si vede
l’ispirazione ai dipinti di Klee. Ci sono anche interpretazioni innovative.
Il Bauhaus si prefiggeva di portare questa nuova estetica nella vita quotidiana, di realizzare mobili, tessuti e
oggetti da immettere nel mercato; in realtà non sfonderanno nel mercato, rimarranno prodotti elitari
destinati per una gran parte all’arredamento della stessa Bauhaus.
(v. Cameretta del Bambino) c’è una corrispondenza tra l’architettura di Gropius insegnata al Bauhaus e
questa ricerca sul colore e la forma geometrica portata avanti dagli artisti. È importante sottolineare il
legame tra l’architettura razionalista e la ricerca astratta nel momento in cui la pittura diventa matura, dal
momento in cui subentra la geometrizzazione.

18 ott. ’21

7. RAPPRESENTARE L’INVISIBILE. ASTRATTISMO GEOMETRICO


È l’altra anima dell’astrattismo, raggiunge degli esiti decisamente geometrici, più freddi e meno emotivi,
quasi per niente, nel realizzare le proprie opere. Confluirà poi nell’astratto concreto dagli anni 30 e 50 che è
quel tipo di astrattismo che fa nascere le forme nella mente dell’artista. Si passa dall’esperienza della realtà
ad una pittura che apparentemente è lontanissima dalla realtà, come sarà la griglia elaborata da Piet
Mondrian.

Piet Mondrian
Pittore che si occupa di temi consueti come
paesaggi, ritratti, ma nelle sue prime opere già
si osserva un’attenzione alla dimensione
esperienziale della realtà, non puramente
visiva, che lascia immergere l’esperienza
dell’artista davanti alla realtà. Lo vediamo bene
in questo Paesaggio del 1907 che è
rappresentato con uno stile e una pittura
espressionista di area tedesca, un paesaggio
che dà senso di malinconia nell’osservazione
dello stesso. I colori sono virati, sicuramente
non quelli del paesaggio reale e naturale.

La formazione di Mondrian prende il via anche dal proprio interesse culturale nei confronti della teosofia,
scienze che riguardano la spiritualità, la meditazione, che si erano diffuse molto nell’ambito della pittura
simbolista. La matrice simbolista subentra quindi nella prima fase dell’attività di Mondrian. Questo trittico,
Evoluzione rappresenta questo momento della meditazione e della contemplazione, un’opera che ha una
forte componente spirituale, nel primo pannello vediamo una giovane donna rappresentata in modo
estremamente sintetico, che guarda verso l’alto con gli occhi chiusi, questo rappresenta la prima fase della
contemplazione legata alla materia. I capezzoli della donna sono rappresentati sottoforma di triangoli che
guardano verso il basso. Nel secondo pannello la donna ha gli occhi completamente sbarrati, momento
della contemplazione e meditazione, dietro di lei c’è questo giallo che è proprio emblema della spiritualità; i
capezzoli dei suoi seni guardano verso l’alto, il cielo, lo spirituale. L’ultima fase è quella dell’equilibrio
rappresentato dalle due stelle gialle e dai capezzoli che hanno forma di rombi proprio a rappresentare
l’equilibrio tra cielo e terra, rappresentazione che raggiunge l’equilibrio della meditazione.

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Mondrian, attorno al 1911-1912 conosce altri movimenti d’avanguardia, attraverso il cubismo raggiungerà il
proprio stile con tutte le componenti: spirituale, simbolica e costruttiva. Fonderà nel 1917 insieme a Van
Doesburg, Van der Leck e altri architetti, fonderà il neoplasticismo, organo di comunicazione nella rivista De
Stijl, dando importanza alla composizione.

Nel pensiero di Mondrian c’è questa forte componente


spirituale legata ai suoi interessi per la filosofia.
Mondrian si confronta con tutte le avanguardie, nel
dipinto Dune usa la macchia che riprende il divisionismo
alla maniera di Matisse, fino ad attraversare il cubismo in
Albero rosso e Albero grigio, il primo in stile
espressionista e simbolista, il secondo è un albero che
comincia a distendere questi rami contorti ma quasi
compenetrati come nelle opere dei cubisti soprattutto, i
colori non sono più espressionisti, è interessato alla
componente costruttiva del cubismo (sintetico). L’immagine va poi perdendosi in Melo in fiore, stilizzato a
tal punto da generare linee curve e linee rette; il punto centrale di Mondrian è proprio la linea retta, si
comincia ad intravedere l’ortogonale, l’incrocio tra la linea retta orizzontale e la linea retta verticale; questo
è a parere di Mondrian la chiave per capire la costruzione del mondo, dirà che il mondo parte da questo
incrocio. In questi anni Mondrian vive in Francia a Parigi e vede da vicino gli esiti del cubismo.

Il momento in cui si identifica la fase matura di Mondrian è il


1914, la sua ricerca è già pienamente astratta; nello spiegare
questo tipo di opere Mondrian fa riferimento alla teosofia, in
particolare alcuni elementi geometrici che nella teosofia
vengono presentati in maniera simbolica: l’ovale è la

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rappresentazione dell’universo, all’esterno dell’ovale non c’è composizione, la tela rimane grigia come se
volessi rappresentare la complessità dell’universo; i bordi inoltre non sono finiti, l’ovale non è perfettamente
inscritto dentro la tela, i bordi sono tagliati, questo modo di dipingere lo porta avanti anche nelle griglie
dove si nota spesso la mancanza della fase terminale della composizione perché Mondrian vuole
circoscrivere ed identificare bene all’interno della tela una realtà che è quella immaginata dall’artista; al di
fuori c’è la realtà della vita e in alcuni punti immagina che questo stile si possa estendere anche ad altri
settori della vita, ad esempio nelle case, nelle architetture, nelle abitazioni, uno stile che può estendersi
oltre la tela.

Nel 1921 arriva ad altre Composizioni, si vede che è un non


finito, con l’idea che la composizione possa estendersi anche
al di fuori della tela, essere un frammento di una realtà più
grande che è quella dell’universo. Facendo riferimento alla
teosofia, anche l’incrocio di verticali e orizzontali è
importante, la verticale rappresenta il principio maschile e
l’unità, l’orizzontale il principio femminile e rappresenta la
diversità, la componente meno razionale. Dall’incrocio di
maschile e femminile nascono le cose, immagina che questa
griglia possa estendersi a tutto, da qui il neoplastico, una
nuova costruzione della realtà. Questa griglia permette di
comprendere veramente com’è il mondo, dare una
spiegazione di come sia costituito, perché non permette di
evadere con emozioni, con individualità da una nozione
chiara, certa, sicura e definita. La griglia permette di muovere
la conoscenza del mondo da nozioni comuni. Ogni incrocio è simbolo di generazione, il colore di Mondrian è
primario, arriva all’essenza del colore, come all’essenza della forma grazie a verticali e orizzontali. Dai colori
primari si generano tutti gli altri colori, sono il nucleo generatore degli altri. Le composizioni più mature di
Mondrian sono una sorta di dimostrazione, il raggiungimento di uno scopo puramente filosofico da parte
dell’artista. Mondrian dice che lo scopo dell’arte è quello di eliminare il tragico dalla vita (complessi di
colpa, di inferiorità), non deve commuovere, suscitare sentimenti, ma dimostrare la verità a tutti ed essere
chiara, per questo è sufficiente che ci siano pochi elementi affinché si abbiano nozioni di base per spiegare
la realtà del mondo.

Il pensiero di Mondrian è talmente rigido che anche nell’ambito


dello stesso Neoplasticismo si creano incomprensioni perché gli
altri artisti inseriscono nelle loro opere la linea obliqua, Theo Van
Doesburg inseriva le diagonali all’interno delle opere, questa però
inserisce all’interno della composizione una dimensione dinamica
che Mondrian non poteva tollerare. Questi dipinti partono da
equazioni matematiche, sono molto mentali e di fatti, se
Mondrian rimane isolato, Van Doesburg in Francia negli anni 30
darà vita ai movimenti astratti, tra questi Astration et creation.

Nel Neoplasticismo ci
sono anche velleità costruttive, di estendere questo linguaggio
astratto, geometrico, oltre la tela. Ad esempio, nella

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progettazione architettonica di Casa Schroeder ad Utrecht si costruisce con gli stessi criteri della pittura di
Mondrian, all’interno della casa non c’è una linea obliqua, eccetto la Sedia rosso-blu di Rietvelt. Le porte
sono tutte scorrevoli e l’architettura è chiaramente già razionalista (linee essenziali, geometriche, senza
tetto).

Le avanguardie russe: il Suprematismo

Malevic così come


Mondrian e Kandinskij
ha interesse per la
spiritualità e per la
filosofia, anche lui
frequenta ambienti
teosofici; l’estrazione
sociale di Malevic è
molto diversa rispetto a
quella degli altri due,
egli arriva alla pittura
come autodidatta ed è
un grande pittore,
arriva dalla Polonia e si
trasferisce a Mosca alla ricerca di quell’ambiente artistico che non poteva vivere nella sua terra. Prima della
Rivoluzione del 1917 in Russia si diffonde il futurismo di
Marinetti, che si unisce alle prime ricerche astratte dando luogo
a quello che viene definito cubofuturismo russo, i pittori
all’avanguardia uniscono cubismo al futurismo e portano verso
l’astrazione. Questa ricerca dei cubo futuristi russi trova un
primo gruppo nel Manifesto del Raggismo, Malevic li raggiunge e
realizza opere molto vicine a questi raggisti. In Contadini del
1912 vediamo un soggetto (lavoratore) rappresentato secondo
una forma che deriva dal cubismo orfico di Fernand Léger, come
notiamo in Nudi nella foresta, dove vediamo la forma tubolare
per alludere al mondo dell’industria che stava sovrastando e
cambiando la vita degli uomini allontanandoli dalla serenità
dell’ambiente naturale. Questo stesso tema in chiave socialista
dell’appoggio alla vita dura dei lavoratori lo troviamo anche in
Malevic che aveva vissuto in zone rurali, i contadini vengono
ridotti come macchinari, sfruttati a tal punto da fargli perdere
l’umanità per diventare ingranaggi all’interno del mercato produttivo della Russia.

Nel 1915 la pittura di Malevic cambia completamente, dopo un


periodo di crisi personale il pittore si chiude nel proprio studio
e per alcuni anni non mostra a nessuno quello che sta facendo;
quando porterà le sue opere nella Mostra 0.10, ultima mostra
del futurismo russo, la sala di Malevic non ha niente a che
vedere col cubofuturismo. Presenta una serie di opere
puramente astratto-geometriche, una sintesi assoluta delle
forme che definisce suprematismo. Nel caso di Malevic
abbiamo diversi testi la cui scrittura è di difficile comprensione.

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Il suprematismo ha le sue radici nel pensiero orientale e nella spiritualità orientale, non a caso
nell’installazione delle sue opere mette un’opera in alto nell’angolo, posizione in cui i russi mettono le loro
icone (opere sacre), come a dire che l’opera suprematista è una nuova religione, ha una valenza addirittura
spirituale; aspira ad un sapere cosmico, ad una visione universale dell’arte. Secondo Malevic la realtà non è
nella natura ma nella sua superficie figurativa e la pittura è tale solo quando in essa le cose rappresentate
hanno perso mobilità, natura reale, spazio e tempo. La pittura, quindi, è un mondo autonomo rispetto alla
realtà, suprematismo, un mondo che sta sopra, l’arte è distante dal mondo e lo spiega, è nello stato della
coscienza dell’uomo e non nello stato della realtà. Individua una serie di molteplici combinazioni di forme
che sembrano galleggiare sul fondo dell’opera per creare incastri e sovrapposizioni, abbiamo un rettangolo
che va sopra ad un triangolo, i colori non sono solo primari ma è come se le forme si organizzassero sulla
tela a dare conto della complessità della realtà. Malevic aspira a spiegare il mondo e l’essenza del mondo in
cui viviamo.

In quadrato nero e triangolo le forme vengono combinate in modo tale che danno vita a qualcosa. Il
triangolo è come se squarciasse e attraversasse il rettangolo nero. L’apice di questa sua idea di forme che si
organizzano all’interno dello spazio è Quadrato bianco su fondo bianco, il raggiungimento di un mistico
tutto che ha portato all’azzeramento del bianco (azzerare qualsiasi emozione), raggiungimento del
misticismo. Dà un senso di squilibrio che serve per dar l’idea di una cosmogonia, di un movimento bloccato
nell’immagine bidimensionale; secondo Malevic è un quadrato che sfuma nel nulla, nel vuoto, nel tutto
pieno di una dimensione che non si può cogliere coi sensi ma solo con lo spirito.

Costruttivismo
L’ultima ricerca che poi è l’altra avanguardia russa è il
costruttivismo. Questo è vicino allo spirito materialista
della Rivoluzione russa, questi artisti cercheranno di
collaborare alla rivoluzione proponendosi come braccio
armato della cultura russa, nel senso di lavoratori e
artigiani piuttosto che artisti: un’arte proletaria, attivista
e concreta. Le opere si costruiscono sulla base dei
materiali che vengono utilizzati cono lo scopo di creare
una nuova estetica, una nuova idea di bellezza che è
contraria all’idea di bellezza dell’artista borghese (che
rispecchia i processi culturali di produzione creativa della
bellezza), l’artista proletario rappresenta la bellezza che
nasce dal materiale
nel momento stesso
in cui si crea la forma.
I materiali vengono
infatti utilizzati e
modellati a seconda
della specificità stessa di questo materiale. Si usa la trasparenza, il legno
è un materiale rigido, si utilizza per le basi, per gli elementi strutturali, il
cartoncino si piega. Il principio base del costruttivismo è quello di
rispettare la natura dei materiali e far emergere la bellezza dai materiali
stessi. Vladimir Tatlin inventa questo tipo di opere che sono a metà
strada tra pittura e scultura, è posta in verticale ma è tridimensionale,
come se fosse un altro rilievo, ci sono elementi che vengono uniti alla
superficie di legno che è la base. Sarà proprio Tatlin che dà vita a forse la
prima opera che si può definire installazione in un ambiente, quando realizza il Rilievo d’angolo (1915),

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un’opera che esiste perché collocata in un determinato spazio, è qualcosa che è stato posto dentro uno
spazio ben preciso (installazione site specific è ancora più specifica per quel determinato spazio). Questo
rilievo si potrebbe mettere in qualsiasi angolo, è un’installazione non site specific. Per esistere ha bisogno
dell’angolo, quella corda altrimenti non potrebbe essere posta di fronte a quella scultura, ha bisogno di uno
spazio vuoto davanti a sé, essa attraversa la struttura tramite dei fori. Qui la corda è stata scelta perché
funzionale per realizzare il telaio.

La dimostrazione che i costruttivisti ambivano a rappresentare il braccio della rivoluzione è il Monumento


alla Terza Internazionale del 1919-20, a livello solo progettuale, non è mai stato realizzato perché ambiva ad
essere un edificio piuttosto alto che doveva essere realizzato con materiali moderni quali ferro e vetro
affinché mostrasse dall’esterno tutto ciò che avveniva all’interno; doveva essere la sede dei soviet, la gente
comune poteva vedere con limpidezza quello che avveniva in quegli edifici. La cosa particolare è che questo
edificio ruotava secondo tre movimenti, nel giro di 24 ore ruotava la prima parte e il secondo e terzo settore
nel giro di 1 anno e 1 mese.

Non abbiamo soltanto Tatlin, ci sono altri artisti come Naum Gabo che costruisce Column con materiali
estremamente innovativi per l’arte, ancora di più rispetto a quelli di cubisti e futuristi, ci sono materiali tratti
dall’industria e non dall’artigianato. Gabo è importante perché sarà uno dei maestri del Bauhaus e sarà
importante per la scuola di scultura e progettazione del Bauhaus. Queste costruzioni spaziali di Aleksandr
Michailovic Rodcenko sono estremamente leggere, ha lasciato un’impronta decisiva per la scuola del
Bauhaus soprattutto come scuola di design, nel progetto di edicola per la diffusione dei giornali. Questi
artisti non vengono presi in considerazione dei soviet, sotto Stalin verranno addirittura perseguitati perché
ritenuti troppo borghesi (arte degenerata). L’unico contributo che riescono a dare alla rivoluzione è
nell’ambito della comunicazione; nell’ambito del costruttivismo nasce la prima forma di pubblicità moderna
in manifesti, progetti per le fiere, studiano l’uso del fotomontaggio con la grafica; questa è una delle matrici
della nascita della Scuola di Weimar del Bauhaus.

La ricerca astratta se in Francia nasce nel ventennio del Novecento, in Italia viene recepita soltanto agli inizi
degli anni 30. Si sviluppa un piccolo gruppo di pittori astratto-geometrici alla Galleria del Milione a Milano.
Al Milione viene organizzata nel 1934 la prima mostra di Kandinskij in Italia: c’è il Fascismo, era difficile che
si potesse presentare l’arte europea causa autarchia, ma in qualche modo questa galleria fa da volano per
molti artisti italiani all’estero e di conseguenza fa conoscere le esperienze fatte soprattutto dal Bauhaus. Il
libro teorico che sostiene la pittura di questi artisti è Kn, formula matematica per spiegare come quest’arte
fosse basata sulla geometria. Osvaldo Licini è molto importante perché ha lasciato il segno nella ricerca
contemporanea, si ha la matrice del costruttivismo soprattutto non quello dell’installazione e delle opere
scultoree ma quello di pittori come ad esempio Morinaghi. Le prime opere di Lucio Fontana negli anni 30
presentava le sue opere astratto-geometriche realizzate su una tavoletta di masonite con il gesso, oppure
sculture che ribaltavano qualsiasi opera scultorea tradizionale. Luigi Veronesi ha sperimentato anche il
cinema astratto, cinema disegnato e dipinto direttamente sulla pellicola. C’è un gruppo anche comasco
sotto il nome di Giuseppe Terragni, architetto razionalista tra i più importanti italiani e in particolare
interprete del razionalismo. Riconosciamo dei pannelli fotografici in alluminio sui quali venivano riprodotte
immagini dello squadrismo fascista e di Mussolini. I pittori comaschi che ruotano attorno a Terragni
prendono spunti dalla sua architettura, come Mario Radice e Manlio Rho. Le ricerche dell’astrattismo
geometrico si protraggono fino alla Seconda guerra mondiale, negli anni 50 la ricerca sarà diversa, in un
gruppo in Italia MAC di cui fanno parte Gillo Dorfles o Bruno Munari.

20 ott. ’21

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8. SURREALISMO E DADAISMO: OGGETTI REINVENTATI


Il dadaismo
Molti artisti del dadaismo confluiscono nel surrealismo. Il dadaismo è indubbiamente l’avanguardia che
sperimenta di più l’aspetto tecnico del fare arte, sia nell’uso degli oggetti che nell’uso di tecniche nuove,
come un certo tipo di assemblaggio, lo spaziare alla performance. Il Dada nasce durante la Prima guerra
mondiale e ha luogo di origine la Svizzera proprio perché questa è neutrale. Molti artisti che provengono da
Germania e dai paesi francofoni confluiscono a Zurigo nel Cabaret Voltaire dove nel 1916 viene inaugurato
questo gruppo che ha una matrice anarchica, insofferente di qualsiasi regolamentazione anche da un punto
di vista artistica e di conformazione di un gruppo. La società zurighese è una società multietnica proprio per
il fatto che qui si rifugiano molti dissidenti, il fondatore è Tristan Tzara, dopo un’esperienza sperimentata ad
Ascona, nella Svizzera del sud, con una comunità di artisti e letterati che vivevano insieme (filosofia ispirata
ad un rapporto diretto con la natura). Il principio cardine di questo gruppo dadaista è la casualità, il caso
come una sorta di regola che determina anche l’origine dell’opera d’arte stessa. Tzara ha scritto una famosa
ricetta per comporre poesia e spiega che per comporre una poesia bisogna prendere delle lettere da una
rivista, metterle dentro un sacco, scuoterlo, rovesciarlo e da questo gesto nascerà una poesia. Alcuni artisti
dadaisti, come Jean Arp, utilizza questa tecnica. La principale novità da un punto di vista tecnico e poetico è
il gesto di Marcel Duchamp, che realizza il ready-made. Duchamp assiste ad uno spettacolo teatrale
impressions d’Afrique, nel quale vede utilizzare marchingegni che non hanno nessuna utilità pratica, ma
semplicemente per inserire all’interno della scena un aspetto meccanico. La visione di questo spettacolo
porterà alla realizzazione del ready made. Nel 1913 Duchamp fissa una ruota di bicicletta su uno sgabello da
cucina guardandola girare, ready made è una parola che gli arriva dal pret a porter, la scelta era fondata su
una reazione di indifferenza visiva, unita al tempo stesso ad una assenza totale di buono o cattivo gusto, di
fatto un’anestesia totale. (sua citazione). Ruota di bicicletta è un ready made assistito, l’oggetto è costituito
dall’assemblaggio di due oggetti diversi, mentre lo Scolabottiglie è un ready made puro perché non prevede
alcun intervento da parte dell’artista.

Perché creare un’opera d’arte con oggetti già pronti e che non hanno nessun tipo di significato rispetto al
mondo dell’arte, sono oggetti banali, non oggetti particolari, anche non particolarmente belli da un punto di
vista estetico-formale, la scelta non gli fu mai dettata da qualche diletto estetico (sua citazione). Il suo ready
made è un oggetto banale, che crea anestesia totale, non dare valore emozionale o emotivo all’opera.
Questi oggetti vengono presentati in una mostra a New York nel 1913 per la prima volta, precedono la
nascita del gruppo dadaista a Zurigo. In questi oggetti noi non dobbiamo cercare un significato, il vero senso
del ready made è l’azione artistica che c’è dietro, questi oggetti sono il frutto di un’azione fatta dall’artista
che dichiara che quell’oggetto è un’opera d’arte. Ovviamente sono provocazioni che vogliono contrastare
l’invadenza del mercato dell’arte (le opere non hanno valore economico), molte opere sono state distrutte,
quelle che oi abbiamo sono ricostruzioni di questi oggetti volute dall’artista stesso a partire dagli anni 30.

Il Ready made suscita una


domanda nello spettatore: perché quell’oggetto è esposto in una mostra? Questo è il vero significato del

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ready made, è creare il tempo dell’enigma, il tempo speculativo e filosofico, fa interrogare lo spettatore sul
concetto di fare arte. Lo scolabottiglie non ha nessun significato nascosto. In advance of the broken arm è
invece una pala per spalare la neve, decontestualizzata, questo titolo inserisce qualcosa di leggermente
diverso, cioè una sorta di narrazione, poiché richiama ad un’azione che si potrebbe fare con la pala o che
non si potrebbe fare se si avesse il braccio rotto, gioca con le parole e con le immagini. Queste opere di
Duchamp in realtà sono pietre miliari per quanto riguarda la nascita dell’arte concettuale che si servirà solo
di fotografie e scritte per fare arte (questo negli anni 70 del 1900). In questo momento l’agire dell’artista e
l’artista stesso diventano protagonisti dell’opera d’arte, mentre materialità e forma hanno molta meno
importanza. Duchamp gioca molto su queste opere, un po’ come Cattelan, erede di Duchamp, gioca molto
sull’ironia. Fountain del 1917 è un gabinetto rovesciato, con la filma R. Mutt, pseudonimo dell’artista che si
nasconde sotto un’identità diversa per creare domande nello spettatore.

L’indagine di Duchamp negli anni 10 evolve in oggetti che hanno una


funzione diversa, cioè quella di essere dei macchinari, dei sistemi
attraverso i quali creare un nuovo modo di fare arte. Rotoreliefs è una
specie di cerchio in cartone, sul quale sono poste delle immagini che
vengono inserite all’interno di un marchingegno costruito dall’artista,
questi ruotano su sé stessi creando spirali psichedelici, arte che si
muove e viene filmata, diventa tra i primi esperimenti del cinema
astratto.

Il Grande Vetro di Duchamp è l’evoluzione del ready made, non più


prelavato dall’artista ma creato mettendo tra due metri elementi di
carta pittorici che vanno a costruire il tema dell’opera. Il titolo allude
ad una sposa messa a nudo dai suoi stessi pretendenti. La domanda
che lo spettatore si pone è che rapporto c’è tra l’essere femminile e
l’essere maschile: l’essere femminile è quel macchinario in alto che
vola, che rappresenta il mondo della sposa, mentre sotto abbiamo il
mondo dei pretendenti rappresentato sottoforma di un’immagine
sintetica di macchine per il cioccolato che Duchamp aveva visto nella
vetrina di un negozio. Non ci sono significati nascosti, semplicemente
l’idea che il mondo delle macchine sta diventando nella società
contemporanea sempre più invasiva, porta alla trasformazione di
uomo e donna come macchina. Il protagonista è macchina, il
marchingegno, l’oggetto costruito dall’uomo; l’invadenza di macchina
e mercato portano a distogliere l’attenzione dal vero valore dell’opera
d’arte. Immediatamente dopo l’esecuzione il vetro si è rotto e
Duchamp ha inserito nell’opera questo accidente proprio del valore
del caso, proprio della poetica dadaista.

L.H.O.O.Q. è un’ironia nei confronti del dipinto di Leonardo, l’aspetto


interessante è che questo è un ready made fatto con la riproduzione della
Gioconda. Capiamo che in questo lavoro del 1919 c’è già Andy Warhol, c’è già la
riproduzione dell’immagine iconica che farà poi negli anni 60. Warhol accanto al
Cenacolo mette figure iconiche del mondo della società americana, Kennedy,
Marylin, icone e immagini che hanno perso la loro umanità dalla riproduzione,
intuizione che già ha Marcel Duchamp.
Una delle ultime opere è Etant Donnès, un’installazione che l’osservatore è

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obbligato a guardare attraverso lo spioncino di una porta, quadro omaggio a Courbet, immagine
provocatoria, modo per testare il voyeurismo dell’essere umano.

Duchamp conosce Man Ray, fotografo che aderisce al dadaismo, con un punto di vista molto diverso: se
Duchamp sosteneva l’idea di un oggetto banale, di anestesia totale, cogliere questo gesto progettuale, Man
Ray concepisce ogni oggetto per divertire, irritare, intrigare, stimolare una riflessione, ma non per suscitare
l’ammirazione. Cerca l’aspetto emotivo, che Duchamp negava ai suoi ready made. Obstruction del 1920 è
un’installazione fatta con grucce di legno, appese al soffitto e sotto al quale le persone camminano.
Trasmette un senso di precarietà, passandoci sotto si ha l’impressione che possa cascare e crea nello
spettatore qualcosa di emotivo. Inoltre, esprime un senso di assenza, c’è il vuoto. Cadeau è del 1921
(significa regalo), l’artista applica al ferro delle punte acuminate che intanto cambiano completamente la
funzione dell’oggetto, diventa qualcosa di inutilizzabile, contrario al ruolo che avrebbe dovuto avere il ferro
da stiro, c’è un senso di ostilità dell’oggetto. Le punte danno proprio l’idea di qualcosa che laceri, che ferisce,
che dà una sensazione non piacevole. Lo stesso può valere per l’Oggetto indistruttibile del 1923, un
metronomo, appeso a quest’oggetto c’è la riproduzione di un occhio (ricorda molto il cinema surrealista,
Man Ray andrà sempre più verso il surrealismo), Man Ray è interessato all’aspetto dell’interiorità e alla
dimensione inconscia dell’uomo, per questo andrà verso il surrealismo; quest’occhio è di Dora Maar, attrice
di alcuni film surrealisti, ex-compagna di Man Ray, l’artista ha maturato l’idea di tenere per sempre l’amore
di lei per sé; il metronomo segna un tempo praticamente infinito e l’occhio è l’emblema dell’amore che
all’infinito rimane nel tempo.
La Venere restaurata è già in una dimensione surrealista, siamo nel 1936, c’è l’idea che l’antico possa essere
restaurato attraverso l’intervento dall’artista, non in modo tradizionale ma nella memoria, nel ricordo e
anche nella storia dell’arte stessa. L’enigma di Isidore Ducasse del 1920 è un’opera dedicata a un giovane
poeta morto suicida, Isidore Ducasse, molto conosciuto nell’ambito del dadaismo francese. Durante la
Prima guerra mondiale, il dadaismo è legato a Zurigo, ma finita la guerra ognuno torna a casa propria,
ognuno darà luogo ad un dadaismo diverso. Per omaggiare il poeta crea un’opera che mostra un enigma,
che identifichi il tema dell’enigma; il suicidio è sempre
un mistero, chi ne sta fuori si chiede perché.

Oggetti surrealisti

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L’oggetto surrealista è, diversamente dall’oggetto dada di Duchamp, è un’oggettivazione delle forme


dell’inconscio che libera l’artista dall’atto della produzione, senza quindi correre il rischio di cadere in banali
e facili rappresentazioni dell’irrazionale. Gli oggetti surrealisti sono stati esposti per la prima volta nel 1936
alla mostra nella galleria Clares Ratton in vetrina dove ci sono oggetti di altro tipo, idoli, sculture, messe
insieme ad oggetti surrealisti, per porre sullo stesso piano tipologie diversi di oggetti, molto spesso raccolti
dagli artisti e dotati di un significato nascosto. Il Cucchiaio-scarpetta di André Breton è un oggetto trovato in
un mercatino, portato in un contesto artistico la cui ambiguità è determinata dall’appoggio con una forma
un po’ particolare. Poème-objet di Breton mette insieme scritte e oggetti che tra di loro hanno una certa
assonanza, non c’è una corrispondenza diretta, vengono messi lì per invocare un’associazione da parte
dell’osservatore. L’oggetto invisibile di Giacometti riprende l’immagine ispirata alla figura primitiva, un idolo
che fa un gesto come se volesse indicare qualcosa che ha in mano, Giacometti vuole stimolare l’osservatore
ad immaginare qualcosa, a riempire questo vuoto con qualcosa che può venire a lui in mente. In Giacometti
spesso, come avviene generalmente nella poetica surrealista compare il tema della sessualità, il rapporto
maschile-femminile lo vediamo in Sfera sospesa, la mezzaluna vuole evocare l’organo femminile, c’è
l’evocazione dell’idea del contatto sessuale.

Dalì si è cimentato negli oggetti surrealisti, che chiama


oggetti a funzionamento simbolico. La Venere di Milo a
cassetti è una scultura riprodotta che si può aprire
come se l’artista volesse invitare a scoprire cosa c’è
dentro quest’immagine della bellezza.

La sessualità per i surrealisti è importante per l’inconscio, prevale l’inconscio durante l’atto
sessuale. Per i surrealisti è tutto un mondo di indagare. Abbiamo poi un’altra citazione della Venere, con
altri elementi che si trovano nei suoi dipinti, in Busto di donna del 1933 vediamo una donna con del pane
sulla testa, al collo un collare con Mickey Mouse, mentre sul pane c’è la costruzione in scultura del dipinto
della preghiera di Millet, insieme di cultura alta e bassa, elitaria e popolare. Le veston aphrodisiaque si pone
nella ricerca di Dalì sulla moda.

Meret Oppenheim effettua Colazione in pelliccia del 1936, una delle prime artiste che emergono, nel suo
lavoro c’è l’evocazione della sessualità, questo da intendersi come una pelliccia che vorrebbe evocare la
donna. La mia governante è creato con due scarpe a forma di pollo arrosto; la dimensione del ready made
ha avuto un valore importante anche nella storia dell’arte più recente, Jeff Koons, artista molto conosciuto

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che presentava gli oggetti della società del consumismo, ha fatto la stessa azione del ready made,
presentando oggetti del consumismo (aspirapolveri in vetrine), vengono idolatrati inserendoli in un museo,
in una teca che conferisce un valore ancora maggiore. Tom Sachs, artista del 2006, riprende oggetti del fast
food firmate con Prada e Tiffany, ecco un altro modo per utilizzare l’oggetto, per dare un valore artistico
utilizzando degli oggetti comuni.

25 ott. ’21

9. METAFISICA E RITORNO ALL’ORDINE. VALORI PLASTICI, NOVECENTO E REALISMO


MAGICO
Nasce nel periodo delle Avanguardie, ma non è un’avanguardia, anziché proiettarsi verso il futuro è come se
guardasse indietro, come se facesse un rewind verso quella che è l’arte precedente e soprattutto l’arte
classica. Il pittore che si identifica con la Metafisica è Giorgio De Chirico, pittore che inventa la metafisica
isolato nel 1910-1911, primi dipinti delle piazze. Egli viveva a Ferrara, pur essendo di origine greca e gran
parte del suo lavoro lo inventa a Ferrara. Pur avendo iniziato a lavorare da solo, sviluppa e dà vita al Gruppo
della Metafisica solo qualche anno dopo, attorno al 1916-1917, nel periodo della Prima guerra mondiale,
quando ricoverato in un ospedale a Ferrara con il fratello Savinio, vede arrivare anche altri artisti provenienti
dal Futurismo che erano rimasti sconvolti dallo scoppio della guerra e delusi da quella spinta verso il futuro
e da quel desiderio di interventismo proprio del primo Futurismo, tra questi Carlo Carrà, Giorgio Morandi,
Filippo De Pisis e Mario Sironi. Tutti questi artisti vengono interessati attorno al 1917-1918 da quello che si
definisce Ritorno all’ordine, attraverso la Metafisica ma anche attraverso altri gruppi che si
contraddistinguono per un ritorno alla figurazione, ad un’arte più tradizionale realizzata sulla tela e non con
le sperimentazioni delle Avanguardie: Valori Plastici, Novecento e Realismo Magico sono i gruppo di ritorno
all’ordine in Italia.

Valori plastici (1918-1922)


De Chirico si sposta nel 1918 a Roma, dove promuove la rivista Valori plastici, pubblicata tra il 18 e il 22,
subito dopo la guerra, alla quale collaborano in prima fila molti artisti d’avanguardia come Carlo Carrà, o
anche Ardengo Soffici (importante per il futurismo toscano). Questa rivista ha quale artefice De Chirico e
come teorico Savinio che pubblicano testi molto importanti per capire il ritorno all’ordine. In un’importante
copertina della rivista vediamo un pittore come Pablo Picasso, tra il 1916 e il 1920 molti artisti
internazionali affrontano il ripensamento e ritornano alla tela, abbandonando ogni sperimentazione
avanguardistica; si tratta di una corrente apertamente antimodernista che sostiene il classicismo e
l’arcaismo per arrivare a definire una pittura tranquilla, solida e plastica, distaccata dai problemi
appariscenti della vita moderna e più tradizionalista. Picasso in quegli anni ha un ritorno all’ordine, questo è
un ritratto di Olga Koklova che Picasso conosce a Napoli quando viene invitato a realizzare una scenografia
per i balletti russi di Djagilev e durante questo suo pernottamento conosce la ballerina che ritrae in modo
più figurativo in Parade (1917), Picasso è in
Italia in questo periodo, viene colpito
dall’ambiente italiano e si ispira in queste
sue opere al paesaggio napoletano e alla
tradizione napoletana, in particolare la
tradizione delle immagini delle cartoline
napoletane per promuovere il paesaggio.
In Parade vediamo la presenza sullo
sfondo del Vesuvio, e un arco che richiama
l’arte classica. Di richiamo all’italianità

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vediamo anche le maschere della commedia dell’arte, motivo che Picasso affronta in questo momento di
ritorno all’ordine, lui stesso si rappresenta come Arlecchino, il buono e il furfante, il buono e il cattivo,
rappresenta la complessità dell’anima umano, Picasso vuole indagare questo aspetto interiorità senza usare
maschere africane e deformazioni, ma si serve delle maschere della commedia dell’arte, facendo citazioni
del passato, perché è cambiato il suo modo di fare ricerca.

Un altro artista interessato a questo ritorno alla solidità è anche Giacomo Balla, pittore che porta avanti il
futurismo più di tutti gli altri insieme a Depero, con il Secondo Futurismo (Manifesto della ricostruzione
futurista dell’universo del 1914), più illustrativo e volumetrico come vediamo in questo dipinto preparatorio
per una scenografia, Feu d’artifice, un balletto russo. Questo ritorno all’ordine avviene in Andrè Derain.

Il periodo ferrarese di de Chirico


Questa rivista, alla quale collaborano De Chirico e Savinio (due
dioscuri) producono una pittura che va verso il ritorno all’ordine.
La pittura di De Chirico è diversa rispetto a quella degli anni 10,
negli anni ferraresi introduce degli elementi nuovi, tra questi ci
sono le citazioni dell’arte classica che non ci sono nelle prime
opere. Inserisce l’ermafrodito, scultura classica di epoca ellenistica
e la introduce all’interno di un paesaggio che presenta degli
aspetti metafisici, quello di creare delle immagini enigmatiche,
delle immagini misteriose, che rappresentano una sorta di realtà
parallela a quella della vita quotidiana e attraverso la quale il
pittore interroga l’osservatore sul senso dell’esistenza, sul senso
delle cose. Lo pone di fronte a degli enigmi, ad esempio il fatto che
nelle sue opere ci sono errori prospettici, ci sono allusioni alla
prospettiva rinascimentale ma sbagliata, le linee di fuga
convergono su più punti, effetto che crea spaesamento. Un altro
effetto è quello delle ombre che si proiettano davanti agli oggetti, queste ombre non sono mai realistiche. In
realtà De Chirico vuole indagare il mistero della drammaticità moderna in ogni suo aspetto, dalla sua forma,
alla sua natura, alla sua utilità, per farlo è come se volesse andare al di là dell’oggetto stesso, mettere a
nudo l’anatomia metafisica del dramma della vita moderna. L’artista si pone un po’ nella posizione di colui
che si trova in solitudine, che vede la propria arte come una missione, perché in grado di penetrare il
mistero della realtà ma che inesorabilmente non viene capito e accusa tutta l’avanguardia (Cubisti e
Futuristi in particolare) di essere rimasti all’aspetto dei sensi, alla dimensione dei sensi. Il suo invece è un
approccio puramente intellettivo, per questo non c’è bisogno di cercare novità a tutti i costi, ma questa
dimensione metafisica si può indagare anche nell’arte del passato. Questi aspetti vengono appunto
teorizzati all’interno delle proprie opere da De Chirico e nei testi teorici dal fratello Savinio su Valore
Plastici, riflessione sul periodo in cui è nata la Metafisica.

In Canto d’amore (1914) abbiamo diversi oggetti, le architetture ispirate alla città di Ferrara, ritroviamo i
porticati che delle volte presentano uno stile più vicino a quello rinascimentale, non soltanto classico.
Abbiamo una copia di un busto di un Apollo, un guanto, sullo sfondo il treno che passa, motivo molto
presente nelle opere di De Chirico, il treno è qualcosa che dà l’idea del movimento ma è bloccato nelle sue
opere, questi fumi che vorrebbero dare l’idea di qualcosa che sta avvenendo in realtà sono congelati in cieli
con colori molto vitrei, piatti, non c’è assolutamente atmosfera nelle opere di De Chirico, perché tutto è
sospeso; abbiamo poi la sfera in primo piano. Nella lettura di quest’opera viene citato un racconto di Edgar
Allan Poe, Il Guanto, illustrato da Redon, certamente qua non è così esplicito il riferimento. Un altro
esempio è Interieur metaphisique a la grand usine del 1916, il voler indagare l’oggetto lo affascina, vediamo
un dolce, delle squadre, si vede chiaramente un quadro con la cornice appoggiata per terra, fa da sfondo

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come se fosse una finestra e dietro la stanza c’è una finestra dove si vede un palazzo rosso con un’ombra
improbabile che crea un’ulteriore apertura.

Tra gli oggetti che usa De Chirico ci sono i manichini, che sono quelli che vengono usati in sartoria che
rappresentano una sorta di proiezione dell’umano nell’oggetto, un lato nascosto delle cose, come se fossero
dotate di vita umana. Sono ispirati al classico, ad esempio Ettore e Andromaca (1917) sono in un paesaggio
molto misterioso, con questa luce
che nasce sullo sfondo, le ombre
sono tutte sbagliate, se la fonte di
luce è unica non si capisce perché
sono tutti in direzioni diverse,
come se le cose fossero evocate
ma non descritte. Ne Il grande
metafisico del 1917, abbiamo
questo grande manichino
composto da tutta una serie di
squadre e oggetti mentre
vediamo l’architettura sullo
sfondo che è meno classica e
meno anonima dei paesaggi visti
fin ora. C’è sempre il senso di
mistero nelle ombre e poi notiamo la piazza che sembra evocare il legno, quasi un palcoscenico, altro modo
per mettere in scena la metafisica allontanandosi dalla realtà vera e propria fatta da De Chirico.

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Questo De Chirico viene indagato da Valori Plastici e dagli artisti che daranno vita al gruppo della Metafisica.

Si è classici quando
si riesce a trovare la modalità giusta per veicolare il proprio pensiero attraverso l’arte.

La dimensione che va oltre la fisica si raggiunge con l’ironia. De Chirico e anche Savinio indagano il senso
nascosto delle cose e lo fanno cercando il mistero delle cose semplici, attraverso l’ironia e il fantastico.

Vediamo un confronto tra due opere:

- Enigma di un pomeriggio d’autunno (1910), i colori sono molto freddi, sono abbastanza piatti. Le
figure sembrano molto abbozzate, diversamente da quanto accade nel secondo quadro. La statua
sovradimensionata, la vela di un veliero, la facciata vuota del palazzo e le tende sono elementi
estranianti e danno un senso di mistero, ricordando un po’ il palcoscenico.

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- Partenza degli argonauti (1922), ci sono le nuvole, danno un senso di atmosfera, diversamente dal
primo dipinto, per raccontare ancora di più la dimensione atmosferica. Vediamo qui le figure
umane. Si perde un po’ il senso di mistero che c’era nell’opera del 1910; si vede l’acqua e il mare, si
vede il luogo in cui si trova il veliero.

Il periodo del rappelle à l’ordre (1918)


Vediamo Le muse
inquietanti, sempre i
manichini e le forme
geometriche ma ora
cominciamo a vedere
architetture con una
connotazione
contemporanea, il
castello di Ferrara, le
industrie. Nel ritorno
all’ordine c’è un ritorno
alle immagini più
riconoscibili. L’opera che
meglio di tutte spiega
questo cambiamento è Il
figliol prodigo, dove
abbiamo l’incontro tra il
manichino (il figlio),
rappresentato da questa
figura volumetrica, e la scultura classica, vestita non come un imperatore romano ma è vestita in modo
contemporaneo. Sullo sfondo il paesaggio è abbastanza descritto, fa vedere delle montagne e un’atmosfera,
ci sono le nuvole striate, attraversate dalla corrente e dai venti, il palazzo richiama uno stile rinascimentale e
non una struttura puramente classica. De Chirico scalda e porta un po’ di realtà nelle sue opere, è meno
cerebrale. Nel 1919, su Valori Plastici scrive Il ritorno al mestiere:

Carlo Carrà ha invece cominciato a guardare la pittura primitiva, nel 1915 dimentica e rinnega il Futurismo
proprio perché non vede più quel desiderio di novità in lui che lo aveva portato al Futurismo. Comincia a
fare opere metafisiche nel 1918, vediamo in L’ovale delle apparizioni un’attenzione alla modernità, vediamo
un palazzo molto alto delle periferie della città, due manichini, il primo molto nello stile di De Chirico, il
secondo molto curioso, una donna vestita alla greca con in mano una racchetta da tennis; abbiamo il
teatrino, tagli tipici alla De Chirico, la formina di pesce che richiama le formine per i dolci che troviamo in
molte opere di De Chirico. Altra opera di questi anni è La musa metafisica (1918), c’è un’allusione alla Prima

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Guerra mondiale, l’Istria con la forma del bersagio, come ad indicare la meta e la preda della guerra;
abbiamo poi il manichino vestito come tennista di quegli anni, dietro vediamo un dipinto con un palazzo e
poi questa struttura non ben definita che ricorda le tende degli indiani di un dipinto di De Chirico; tutto
molto volumetrico.

Carrà

arriva poi a nuove opere, Le figlie di Loth (1919), cita la città ideale nel suo tempietto, ci sono elementi di De
Chirico e poi le figure invece con una matrice diversa, è la pittura italiana del primo Rinascimento, anzi,
quella precedente di Giotto. Egli scrive parecchie cose, Parlata su Giotto e Paolo Uccello nel 1918, in questo
testo che si sofferma sulla pittura della scuola italiana fino al primo rinascimento, lui spiega appunto che la
pittura deve prendere ispirazione ai valori della pittura antica, vediamo che i cieli di Carrà sono molto vicini
ai cieli degli affreschi di Giotto e anche le figure di profilo ricordano figure di Giotto e di Piero Della
Francesca. Il tema è biblico, c’è un richiamo a tematiche ancestrali. Pino sul mare (1921) ci dà un effetto di
mistero, come nella caverna buia, ma c’è anche una sottile poesia struggente, che dà il senso di solitudine e
desolazione, di qualcosa di antico.

L’altro pittore che attraversa il ritorno all’ordine è Giorgio Morandi, che è a Ferrara nel 1917, nel 1918 fa una
Natura Morta con oggetti che sembrano rimanere sospesi nell’aria con un taglio da palcoscenico. Egli passa
tutta la vita a dipingere nature morte dentro queste squadrature metafisiche, cercherà sempre il mistero
degli oggetti che ritrae nel proprio studio, ancora vagamente metafisici, rispetto a quelli precedenti nelle
nature morte del 1919 e del 1929 gli oggetti cominciano ad avere una volumetria, siamo nel periodo in cui si
torna ad una pittura meno grafica e meno avanguardista, più tradizionale e
volumetrica.

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Morandi racconterà gli


oggetti polverosi, come se si depositasse il tempo sugli
oggetti che ne cambiano la forma e le caratteristica.

Tra gli altri pittori


che ritornano
all’ordine
attraverso la
metafisica
abbiamo Filippo De Pisis, in Natura morta isterica del 1919
gioca sul tema della prospettiva portando quel gioco fatto da
De Chirico con le ombre, è un quadro sbagliato
volutamente per creare spaesamento in chi osserva. Questo
tipo di pittura piaceva al Fascismo, quando comincerà a
diventare invasivo farà di questa arte la propria arte, tanto
è vero che questi artisti (a Roma Valori Plastici e a Milano
Novecento, guidato da Margherita Sarfatti, famosa amante di
Mussolini) avevano
un vantaggio. Il punto
di partenza era un
contrasto artistico
con le avanguardie, ma piacevano al fascismo perché erano
comprensibili, non rimandavano ad altro, non come le
avanguardie che venivano condannate come bolsceviche perché
non si capivano. Hitler era molto interessato alle arti ed era lui
stesso un collezionista di opere, porta attenzione all’arte; in Italia
Mussolini era disinteressato, ma Bottai portava avanti una politica
a favore anche delle avanguardie italiane. Farinacci invece prevale
durante gli anni più bui del fascismo, la linea figurativa, questo
non preclude che nasca comunque l’astrazione degli anni 30 in
Italia.

Felice Casorati fa parte del gruppo Novecento, sono tutti diversi


all’interno del gruppo, in lui prevale la dimensione di realismo
magico, c’è sì una figurazione, una volumetria e una plasticità
(tutti elementi del ritorno all’ordine) e in più di particolare c’è
questo senso di mistero, di magia e realismo magico, così definito

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in Italia da un letterato che è Massimo Bontempelli, scrittore di racconti un po’ strani, dove c’è qualcosa che
non funziona fino in fondo, un elemento magico ma non cerebrale, c’è più sentimento ed emotività, cosa
che manca in De Chirico; in Ritratto di Silvana Cenni del 1922 c’è un senso di spiritualità evocato dagli occhi
chiusi della donna e dall’edificio religioso alle sue spalle. In L’attesa del 1918 c’è un senso di mistero ma
anche di misticismo.

Arturo Martini, grandissimo scultore degli anni 20, in Busto di


Ragazzo, si rifà ai bronzi di Donatello, c’è un richiamo alla
geometrizzazione e alla semplificazione donatelliana; oppure
anche L’amante morta del 1921 presente in Villa Necchi,
che richiama alla scultura del 300/400, non è un’opera funeraria,
ma è l’amante abbandonata ed è morta nell’amore, non si specchia
più ma guarda verso l’alto, c’è un grande senso di mistero e
di solitudine, di angoscia addirittura.

La convalescente richiama la
scultura in pietra, Il figliol
prodigo del 1926 richiama ai temi biblici, come aveva fatto anche De
Chirico. Negli anni 30 questi artisti collaborano molto con l’architettura
di regime per realizzare affreschi, decorazioni, sculture, le commissioni
pubbliche per loro sono vitali e importanti; di Martini, ad esempio,
molte sculture sono state fatte dentro il
Palazzo di Giustizia, sculture e anche pitture
murali.

Martini con altri come lo stesso Casorati,


partecipa alla metà degli anni 20 al gruppo
Novecento: fondato da
Margherita Sarfatti. Posizione vicina al Duce, una delle amanti, ha partecipato in
prima linea al dibattito culturale in Italia e ha condotto una serie di artisti che
vedeva accomunati da amore per l'arte del passato. Il Novecento italiano
rappresenta gran parte della produzione artistica degli anni 20 e 30. Nasce nel
1923 con sette pittori e una mostra presso una galleria privata milanese.

15 nov. ’21

10. ARTE DEL DOPOGUERRA: L’INFORMALE EUROPEO


Informale è un termine applicato a molti gruppi di artisti di nazioni diverse, si ha uno spostamento del
centro dell’arte contemporanea (Parigi) verso gli USA, coinvolti nel conflitto ma non sul proprio territorio.
Negli anni 40 il centro dell’arte si sposta definitivamente dall’Europa agli USA: l’informale è la prima grande
corrente globale, si ha un tessuto comune che coinvolge diversi artisti e diversi gruppi di artisti. Le
definizioni elaborate da Rosalind Krauss, storica dell’arte americana che ha studiato il modernismo e

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l’informale nel libro Informe, che trova quattro definizioni identificative di tutti questi artisti che siano
europei, americani o orientali (gutai = gruppo informale giapponese):

1) orizzontalità, significa che la tela o il supporto dell’opera non ha più una dimensione verticale, ma
può essere lavorata a terra; gli artisti nel momento in cui realizzano l’opera esercitano una sorta di
atto performativo perché si muovono sull’opera. Pollock si muoveva facendo sgocciolare il pennello
sulla tela, danzando secondo i ritmi delle danze degli indiani d’America (tecnica del dripping).
2) basso materialismo, riduzione a una figura elementare regressiva, talvolta addirittura infantile o a
materiali primari; si utilizzano forme creative che non hanno sovrastrutture, tutte basate su istinti. I
materiali possono essere naturali, animali.
3) pulsazione, l’opera si definisce come un campo nel quale e sul quale l’artista agisce; non disegna o
descrive ma agisce sull’opera.
4) entropia, termine usato in fisica, nell’ambito della teoria dell’informazione indica la trasformazione
dell’ordine in disordine. L’entropia indica uno stato di confusione, di complessità che impedisce la
chiarezza e l’univocità del messaggio; le opere caratterizzate dall’entropia hanno molteplici
messaggi, possono dialogare continuamente con lo spettatore; mai prima di questo momento
l’opera d’arte è acefala, autonoma, vive per sé stessa al di là di quello che l’artista avrebbe voluto
dire e comunica direttamente con ciascuna delle persone. Spesso quando ci troviamo di fronte alle
opere informali percepiamo qualcosa di diverso ognuno dall’altro.

Troviamo definiti tre ambiti in cui gli artisti informali si esprimono:

1) il segno, nel campo dell’opera prevale il segno a volte anche sottoforma di scrittura inventata;
2) il gesto, a prevalere in altre opere è la gestualità del segno tracciato dall’artista con il pennello o
direttamente con il colore;
3) la materia, l’opera è realizzata con spesso strato di pittura, mista a terra e cola o con materiali non
tradizionali; la tela può essere talmente carica di materia da diventare molto pesante.

Da un punto di vista
cronologico, i primi artisti
che fanno questo salto
oltre la geometria e
figurazione sono i francesi
Jean Fautrier e Jean
Dubuffet, si rifanno
all’espressionismo, ma
diversamente da questo
che proiettava sul soggetto
qualcosa derivante
dall’esterno (Matisse proietta sul paesaggio lo stato d’animo), questi
artisti proiettano un qualcosa all’interno della visione per arrivare quasi ad una fase embrionale. Partono
dall’esterno e rappresentano qualcosa che fa parte degli elementi che appartengono al proprio corpo, ci
sono forme che ricordano embrioni, cellule, l’embrione della materia. Gli alberi del 1943 di Fautrier ci dà
un’immagine di qualcosa che è interna, una specie di caverna o parte interna del corpo dell’artista, c’è
questo voler andare a rappresentare una parte materica e non psicologica dell’uomo. Ciò che interessa a
questi artisti sono i fenomeni organici e cellulari, sono l’origine della materia di cui è fatto l’uomo. Durante
la guerra c’è una grande sfiducia nella tecnologia e nelle capacità dell’uomo, per questo gli artisti vanno
verso una sorta di regressione a rapporti più elementari e alle funzioni primarie dell’uomo. Non sono
problemi di carattere etico, ma esistenziale, problema primario. Il pensiero filosofico che interpreta questo
periodo è quello legato a Sartre che spiega come la realtà è spiegabile attraverso il vissuto, attraverso i
rapporti primari tra le persone, soprattutto attraverso i rapporti fisici tra le persone (Marlo Ponti). L’aspetto

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della corporalità diventa fondamentale in questi artisti. Esempio concreto è rappresentato da Testa
d’ostaggio del 1944. Fautrier viveva vicino ad un campo di ostaggi, per descrivere la crudeltà descrive la
materia del loro cervello, la materia che accomuna tutti gli uomini, allo stesso tempo esprime la
drammaticità di questa condizione di ostaggio, dove i pensieri sono ridotti agli elementi fisici del cervello e
del corpo.

Altro esempio di come diventa importante la materia ce lo mostra Jean Dubuffet in Paesaggio biondo del
1950, che inserisce frammenti di natura e di colla. Dubuffet, che dà vita ad una tendenza art brut, è come se
volesse ricominciare da capo: la guerra ha distrutto tutto, ha eliminato prospettive positive nei confronti
delle conquiste tecnologiche dell’uomo, si regredisce ad una fase infantile, elementare, non culturale e
anche dal punto di vista di opere più figurative, come Supervielle del 1945, si ispira agli errori fatti dai
bambini, si serve di questo linguaggio che ritiene come l’unico per ricominciare.

Usa poi materiali naturali per realizzare Jardin mouvementé ,


collage realizzato con le ali delle farfalle, è un dipinto molto
macabro perché realizzato con animali morti, mostra un senso
di tristezza, delusione e sconfitta dell’uomo. Gli Young British
Artists prenderanno spunto da queste tematiche. Dagli anni 60,
quando il clima della guerra si placa, Debuffet diventa
importante per l’arte ambientale, arte che crea spazi su cui si
può camminare. L’installazione ambientale ad Otterlo presenta
delle strutture labirintiche disegnate con una riga nera, tutto in
cemento, anziché dipingere l’opera la costruisce nello spazio.

Ci sono anche altri artisti che vengono coinvolti, ad esempio Oto Schultze Wols, artista di Berlino che in
Gennaio nel 1946 si ispira ai segni tracciati dagli uomini primitivi, crea una superficie materica sulla quale
interviene con dei punteruoli e graffia la superficie. Su questa tela non c’è soltanto pittura ma ci sono diversi
materiali sperimentali. C’è un voler fare una sorta di racconto primario, germinale, ci si ispira ad un tipo di
raffigurazione istintuale, una sorta di espressione originaria. In quest’opera prevale la materia (potrebbe
anche essere a metà strada con il gestuale).

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Altro autore è Hans Hartung, Composizione del 1950 è più gestuale, si coglie la forza e l’energia distruttiva
del segno nero. Antoni Tapies è un autore spagnolo, fondatore di una rivista neodada, Dan al set, nei primi
anni 50 guarda soprattutto a Dubuffet, questa pittura materica, regressiva ed elementare, ed è
estremamente interessato alla pittura materica, disposta sulla superficie e poi graffiata. Vediamo delle crepe
create dagli staccamenti della colla vinavil (importante la casualità, nel momento in cui si essicca può creare
una cosa diversa dall’originale). Si ispira ai graffiti rupestri e lo ritiene un’espressione anche della ritualità
dell’uomo primitivo, un modo per esprimere alcuni concetti a livello elementare.

In Italia, Lucio Fontana diventa il maestro di tanti giovani, durante la


guerra è in Argentina, dove insieme ai suoi allievi scrive il Manifesto
blanco del 1946, manifesto con il quale si dà avvio allo Spazialismo,
interesse per lo spazio Fontana lo ha fin da quando è giovane. Negli
anni 30 era astrattista, c’era un’attenzione alla dimensione spaziale.
Nel 1948 torna nel suo studio in Italia, completamente bombardato

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ed entra in contatto con gli artisti milanesi, che negli stessi anni facevano un tipo di ricerca informale: gli
artisti nucleari. Il Concetto spaziale del 1952 è vicino a questi artisti come Dova, D’angelo, che hanno
interesse per il nucleo, la materia e l’origine della materia, ovviamente suggestionati dalle scoperte
scientifiche del tempo. Fontana fa una serie di opere in cui lo spazio è quello dell’infinitamente piccolo,
sono opere materiche, in cui ci sono anche i buchi, che rappresentano l’idea di andare oltre la superficie
della tela. I buchi rappresentano la prima volta in cui l’artista rompe la tela per mostrare ciò che sta dentro
la tela, ciò che sta intorno all’opera d’arte, diventa un oggetto da aprire. L’idea di spazio di Fontana è da
intendersi in tante sfumature, l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande (tutte date dalle scoperte
tecnologiche: la scoperta di essere parte di un universo diventa parte di ricerca scientifica che si concretizza
nella storia dell’arte), per essere spiegati hanno bisogno dello sfondamento della tela.

Del 1949 è anche la realizzazione del primo ambiente, l’Ambiente spaziale a luce nera alla Galleria del
Naviglio, realizzazione tridimensionale di quei buchi che faceva nelle sue opere che si proiettano verso in
uno spazio cosmico e infinito; per fare questo utilizza materiali da effetti speciali, la cartapesta per realizzare
la struttura informale, dei colori fosforescenti che si illuminano grazie alla luce di Wood, che fa esaltare i
bianchi; era una sorta di immersione dello spettatore nello spazio. Non ha avuto possibilità di fare altri
ambienti fino agli anni 60, quando dei collezionisti gli hanno permesso di fare i lavori; aveva però esposto i
suoi ambienti in America negli anni 50, gli americani hanno inventato l’environmental art. Arabesco
fluorescente è proprio un’idea di cosmo.

Naturalmente Fontana è conosciuto per i tagli che fa nel monocromo della


tela, a cui arriva all’inizio degli anni 60 ( i primissimi sono del 1958), che
rappresentano una sorta di gesto demiurgico, come se creasse un universo
sulla superficie della tela, queste sono opere gestuali, dove il gesto è
ponderato, ieratico, germinale e demiurgico, apre in modo molto chiaro la
tela verso uno spazio altro che non è banalmente il muro dove si trova
l’opera, Lucio Fontana mette sempre dietro una tela nera dietro il taglio.
Fino ad arrivare alla fine degli anni 60, quando si interessa all’aspetto più
spirituale con la serie di fine di Dio, idea di infinito e tempo infinito: Attese
dà un’idea di rappresentare un tempo dilatato che va dal presente verso
l’infinito. Il concetto di eternità per Fontana è un’idea di presente
illimitato, un equilibrio statico. La massima espressione della spiritualità si
ha nel 1966 quando realizza alla Biennale di Venezia totalmente bianca. Il
buco è una prima apertura della tela, più relativa all’infinitamente piccolo (fase nucleare), il taglio invece ha
una dimensione più cosmica e anche spirituale.

Alberto Burri ha una matrice completamente diversa, se Fontana è interessato alla dimensione dello spazio
e al gesto demiurgico, Burri è interessato alle potenzialità che ha la materia di comporre, esprimere e creare
qualcosa di nuovo. Questi artisti non riproducono, creano oggetti nuovi, opere molto fisiche che si aprono,
che si sfondano verso lo spazio; Burri inventa un modo di dipingere con la materia, pochi colori, molti
pigmenti e materiali; conosce Dubuffet a Parigi, Burri cerca il grezzo, in lui l’uso della materia porta anche a
comporre una struttura, cosa che non c’è in Dubuffet, tutta creata dall’assemblaggio della materia. Non è
gettata in modo casuale ma molto più costruttivo. All’inizio Burri fa i catrami, opere realizzate con colate di
colore che sembrano dei crateri, danno l’idea di essere macchie di catrame, usa poi una specie di collage
fatti coi sacchi di iuta, usa il cellotex, i sacchi sono uniti insieme dal legno. La materia scartata acquista vita,
la materia di poco valore diventa una vera e propria composizione. Grande rosso è cellotex bruciata con la
fiamma ossidrica (combustioni), molto drammatico, sembra un lamento e un pianto, il rosso ha un
significato di violenza e sangue. La fiamma ossidrica buca e brucia il materiale facendolo fondere in un
modo impreciso, c’è uno squarcio dentro la materia, è la rappresentazione di quella che definisce bellezza
ferita, la materia che acquista un valore esistenziale. Usa anche legno

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Cretto G1 del 1975 è caolino esaltato con il vinavil, è un lavoro meno controllato rispetto ad altri, fa superfici
che vengono fatte essiccare per dare l’idea di una superficie crepata. Il Grande Cretto di Gibellina del 1985 è
un’idea di arte ambientale, immersa della natura.

Gibellina era stato distrutto da un terremoto ed è stato costruito più in basso, Achille Bonitoliva ha ideato
una sorta di progetto di arte pubblica stimolando degli artisti a creare delle opere per questo ambiente
distrutto. Burri ha ricoperto le rovine del paese distrutto con del cemento, creando una grande zona di
cemento bianco, dove le linee che separano i vari pezzi sono le strade del paese, che dà un senso di
desolazione.

Abbastanza vicino alla matericità del lavoro di Burri è anche quello di Leoncillo che si specializza nella
terracotta e nella ceramica, plasma la materia creando delle sculture di creta, creando tagli che non sono
mai perfetti, nascono in modo spontaneo, all’interno del forno, dando un senso drammatico alla materia.
Giuseppe Capogrossi è un autore segnico, la forchetta non ha un significato simbolico, è un segno che
identifica la sua composizione e che va a coprire completamente la superficie. Non c’è un sopra e un sotto,
idealmente queste opere possono essere messe da tutti i punti di vista, questa composizione ripete sempre
segni identici a sé stessi ma diversi per una serie contigua di varianti.

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Carla Accardi inventa un arabesco che ripete in tutte le sue opere, Negativo-positivo gioca sul contrasto tra
bianco e nero, negli anni 60 usa altri materiali, acetati per creare trasparenze, tutte le tele identificate da
questo segno. Carla Accardi fa parte della Forma 1, ricerca più geometrica. Ci sono pittori più gestuali-
pittorici, Afro, di origine romana, si trasferisce negli USA, infatti fa opere vicine all’action painting, pittura
gestuale. Emilio Vedova in Composizione vediamo una grande tensione, costruisce spazi lacerati, che si
attorcigliano e aggrovigliano su sé stessi, da dove sembra nascere la forma, si stia creando una forma in una
fase caotica. In lui c’è molta gestualità, forza e veemenza. Ha fatto opere tridimensionali tagliando le forme
nello spazio colorandole con dei neri.

17 nov. ’21

11. L’INFORMALE NEGLI USA


Dobbiamo fare una premessa sui principali movimenti artistici americani nel periodo fra le due guerre per
capire come il contesto americano ha una sua specificità pur non essendo ancora il centro dell’arte.
L’informale negli USA è definito anche espressionismo astrato o action painting. Nel periodo tra le due
guerre ci sono gruppi di artisti che sviluppano una pittura americana, distinguendosi da quella europea che
aveva preso piede nel resto del mondo artistico. Questi artisti appartengono alla cosiddetta American
Scene, un gruppo di artisti che dipingono secondo uno stile figurativo, uno stile abbastanza vicino a quello
degli anni 20-30 del ritorno all’ordine, di quel tornare alla pittura dopo la sperimentazione dell’avanguardia,
lo fanno con un preciso scopo di tipo politico e sociale, di mettere in evidenza uno stile e un modo di vivere
americano; tra gli autori che spiccano in questa scuola abbiamo Grant Wood in Gotico Americano, manifesto
della scena americana, non l’America internazionale ma quella delle località di confine. Rappresenta due
contadini con questa fierezza e orgoglio dell’essere parte del territorio e dell’essere parte del modo di vivere
americano, sono gli eredi dei colonizzatori dell’America. Tra questi autori abbiamo anche John Steuart Curry,
con una pittura più espressiva rispetto a qeulla di Grant Wood in una rappresentazione di una tipica

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condizione atmosferica dei territori interni dell’America, il tornado, con la rappresentazione della famiglia,
della casa e del lavoro, tutti aspetti che vengono raccontati dagli autori per raccontare la condizione tipica
degli americani.

Thomas Hart Benton effettua affreschi che invece affrontano il


tema dell’attività della città, il tema della gioia di vivere, il
dinamismo, la musica, il pugilato, i primi mezzi di trasporto, il
dinamismo della città americana. Nell’ambito dell’american scene
l’autore più conosciuto è Edward Hopper, che adotta uno stile
molto personale che lo distingue da tutti gli altri, si nutre della
conoscenza delle avanguardie europee tanto è vero che questi
artisti cercano di individuare soggetti americani, ma dal punto di
vista stilistico sono vicini al contesto europeo, quello del ritorno
all’ordine. Di fatti, nella matrice della pittura di Hopper indubbiamente c’è la pittura di De Chirico, questi
luoghi silenziosi, questo clima metafisico che racconta sì la realtà ma la racconta in modo ovattato, come se
fosse vista da una certa distanza. Hopper racconta molto il senso di solitudine, il senso di isolamento di
molti americani, soprattutto degli americani che vivono lontano dalle città e dai centri più dinamici e
internazionali. Gas del 1940 è una tipica rappresentazione di una stazione di servizio con questa luce
crepuscolare, si vede anche una matrice surrealista, in modo particolare Magritte, quel surrealismo molto
figurativo, pur essendo delle opere realiste. Altro famoso dipinto è i Nottambuli del 1942, si sofferma a
descrivere questi momenti di comunità piccole, isolate, le città silenziose, la luce abbastanza suggestiva va a
colpire alcuni particolari, il bancone del bar ad esempio. Sole mattutino del 1952 ha un’impostazione stessa
che ricorda molto De Chirico, la finestra con all’esterno l’edificio industriale, la donna ritratta sul letto in una
stanza spoglia enfatizza un senso di solitudine e isolamento e questa luce tiepida che riscalda l’ambiente
fino ad un certo punto crea e trasmette un senso di solitudine dell’uomo e della donna e di grande
intimismo.

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Altro tipo di pittura più espressiva è quella di Ben Shahn, La passione di Sacco e Vanzetti, rappresentazione
del momento dei funerali solenni di questi due passionari che hanno tentato un’azione anarchica e
sovversiva nei confronti del governo, oppure in Le donne dei minatori abbiamo un’indagine di carattere
sociale; in Shahn è più esplicito il contenuto sociale del suo lavoro.
Sia Shahn che Jack Levine sono definiti pittori dell’ash can group, pittura spazzatura, tipo di pittura non
particolarmente curata che si sofferma su aspetti degradanti della società, sulle condizioni delle persone
marginate, scene nei sobborghi delle città.

In America la Seconda guerra mondiale segna una cesura e porta alla nascita di una corrente che nasce
all’interno della New York School che ha lo scopo di valorizzare l’arte e il linguaggio americano. I pittori
americani cercano di affrancarsi da questa pesante eredità dell’avanguardia europea, che penetra negli USA
a partire da una famosa mostra del 1913, l’Armory Show, vengono portati in America gli espressionisti, i
cubisti, molte collezioni americane sono state create in quegli anni. Clement Greemberg, storico dell’arte
che più si sofferma sull’arte della New York School, definisce questa pittura come una pittura spontanea
basata sulla dimensione di libera creazione. Meyer Shapiro in Il valore liberatorio dell’avanguardia scrive:

la rivendicazione di questo carattere personale e spontaneo stimola inoltre pittori e scultori a inventare
nuove tecniche realizzative, sia per quanto riguarda la manualità che il “trattamento dell’opera”, atte a
esaltarne la dimensione di libera creazione. Da qui la grande importanza attribuita al segno, alla pennellata,
al tratto, alla goccia di colore, alla matericità, alla superficie della tela come texture e campo operativo,
anche in quanto tracce e impronte dell’intervento più personale dell’artista. L’opera d’arte diventa così un
universo dotato di un ordine particolarissimo, che è possibile cogliere a partire da qualsiasi prospettiva.

L’informale è una specie di campo, un luogo su cui l’artista agisce, questo consente
di fare qualsiasi cosa si voglia sulla tela, il legame fra invenzione di nuove tecniche e
la libera creazione è molto stretto. La definizione di Shapiro è molto chiara per
l’arte americana ma adattabilissima anche all’arte europea.

Questo gruppo dell’action painting nasce dall’iniziativa di alcuni artisti, Pollock in


prima linea, insieme ad Hoffman, Baziotes, Rothhko, Motherwell. Grazie a questa
mostra che si intitolava Art of this Century che si tiene a New York nel 1942, mostra
omonima alla galleria di Peggy Guggenheim, figura chiave per la nascita
dell’espressionismo astratto americano. Peggy Guggenheim apparteneva
ad una famiglia abbiente, il padre era un collezionista, la collezione è
relativa all’avanguardia europea; la figlia invece si interessa della sua
generazione, quelli della New York School. Cresciuta in mezzo alle opere
degli artisti dell’avanguardia europea, sposa Max Ernst. La sua idea è
quella di promuovere i giovani artisti americani proponendoli nella sua
galleria insieme ad i maestri dell’avanguardia europea, in particolar
modo i Surrealisti, la Metafisica e Kandinskij, accosta a questi artisti più
conosciuti gli artisti americani: tutto in uno spazio molto particolare,
l’installazione realizzata da Duchamp consisteva in una specie di visore che permetteva di guardare la Boite
en valise, valigia con all’interno riproduzioni in miniatura di opere che lui aveva fatto. Tutta la mostra aveva
un allestimento molto particolare realizzato da un architetto, Kiesler, che aveva creato un allestimento semi
movibile, si potevano anche spostare i quadri appesi come se galleggiassero e fossero sospesi a mezz’aria.
La sala dedicata ai surrealisti aveva delle pareti curve, vediamo come questo tipo di istallazione era resa
ancora più complessa dalla presenza di luci intermittenti, molto spettacolare più che funzionale: la mostra
ha fatto storia e ha portato alla conoscenza dell’ambiente americano e internazionale dell’arte della New
York School.

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Tra gli artisti dell’Avanguardia Storica sono punto


di riferimento per gli artisti della NY School
proprio i surrealisti. Nello stesso anno avevano
esposto a New York in un’altra mostra importante
in cui Marcel Duchamp aveva creato un
allestimento molto particolare: una specie di
reticolo di fili che Duchamp aveva inserito per
creare un effetto ragnatela. Gli artisti sono
surrealisti ma anche astrattisti geometrici. Mirò è uno degli autori che vengono esposti in queste mostre, è
uno degli artisti più astratti del surrealismi, molto meno figurativo; gli espressionisti astratti americani
guardano proprio alla pittura surrealista astratta, non possono non rimanere impressionati e interessati a
questo tipo di ricerca, in particolare a quella di Mirò. Un altro autore del gruppo dei surrealisti è Sebastian
Matta che ha questa sorta di pittura diluita, con riferimenti figurativi ma tende anche lui verso l’astrazione.

Arshile Gorky, compagno di strada di Pollock, è un artista di


origini armene, si era trasferito negli USA, in questo dipinto Il
fegato è la cresta del gallo ci sono molti riferimenti alla pittura
di Mirò e di Kandinskij, sia nell’uso dei colori che nel ricordo di
alcune forme, di alcune sfumature; il titolo è molto curioso
perché vorrebbe in qualche modo alludere ad un qualcosa di
inconscio, vuole aprire la dimensione inconscia
dell’osservatore. Siamo già di fronte ad un’opera dell’action
painting.

Le opere degli
artisti
americani
generalmente
sono molto più
grandi rispetto
a quelle degli
artisti europei,
anche per
motivi di
committenza,
perché i
committenti americani hanno case logisticamente più grandi, hanno lo spazio per ospitare opere più grandi
dimensioni, Blue (Moby Dick) di Jackson Pollock è una delle prime opere, quando ancora non ha raggiunto il
dripping, ricorda molto la pittura di Mirò e Kandinskij, con questi elementi di un’astrazione lirica che si
organizzano all’interno della superficie, ma allo stesso tempo hanno questa forza espressionista. C’è
qualche riferimento al surrealismo ma non vogliono essere opere surrealiste, si avvicinano come stile a
quello dei surrealisti. Pollock studia la pittura europea, in Pittura scenografica del 1942 guarda a Picasso, se
guardiamo i particolari della mano vediamo che fa riferimento al Picasso del 1937, di Guernica, presentata
all’Esposizione Universale, con questa sua opere influenza moltissimi artisti negli anni successivi. Questi
elementi sono picassiani del periodo delle metamorfosi, surrealisteggiante, in cui modifica le forme del
corpo dei suoi personaggi, in particolar modo della compagna Marie Terese, si intravede anche un aspetto
figurativo. Anche questi segni sono molto importanti perché non derivano dalla tradizione della pittura
dell’avanguardia europea ma sono ispirati ai disegni che gli indiani d’america facevano nella sabbia con dei

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bastoni durante cerimonie sacre. Questo tipo di segno diventerà prevalente nella pittura di Pollock, anche
quando arriverà il dripping, le sue sgocciolature sono segni che partono da questo tipo di immaginario.

Un altro dipinto del periodo della Scuola di NY di Pollock è Guardians of the Secret in cui si intravedono delle
figure ieratiche ai lati e all’interno una specie di tela, una sorta di tessuto dove ci sono soltanto dei segni che
poi lui svilupperà con la tecnica che ancora non ha cominciato a praticare. In She-Wolf vediamo come
l’artista lasci libero sfogo alla propria creatività, non nel descrivere qualcosa ma nel porre sulla tela dei
segni, dei colori che possono alludere a qualcosa ma non descrivono nulla.

Vediamo gli altri artisti che in questo momento


dipingono nella NY School: William Baziotes usa una pittura più liquida, più diluita di forme cellulari, si
intravede la matrice surrealista con questa specie di finestra che dà sulla notte, c’è un senso di mistero, di
ambiguità e sospensione del tempo; Adolph Gotlieb fa riferimento all’elemento dei totem degli indiani
d’america in questa suddivisione dello spazio in caselle in cui sono inserite maschere tribali e rituali degli
indiani; il titolo ha però un riferimento di tipo mitologico (gli occhi di Edipo), unisce la mitologia classica ai
racconti mitici degli indiani.

A seguito di una crisi intensa, Pollock


abbandona NY e si trasferisce a nord sul mare, in una casa dove vive con la compagna pittrice, cambierà
completamente il proprio stile e raggiungerà il dripping, tecnica molto istintuale, basata su una ritualità di
esecuzione e addirittura performativa: Pollock si muoveva sulla tela e attorno alla tela. Alchemy del 1947 è
un tipo di lavoro apparentemente casuale, in realtà ha dei ritmi molto specifici. Non tutto è casuale, c’è
anche una certa composizione che deriva dall’atto performativo che il pittore fa nel realizzare l’opera. La
pittura non respinge ma coinvolge e avvolge lo spettatore anche grazie alla matericità di Pollock, basata

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sulla sovrapposizione di più strati di valore nei quali si riesce a cogliere sempre un certo ritmo: i bianchi
segnano un movimento che va dall’alto verso il basso oppure circolare, c’è una parte più bianca al centro,
più scura ai bordi, un creare di una struttura che trasmette e non respinge lo spettatore, è possibile cogliere
un certo ritmo. Pali blu del 1953 ci mostra delle righe blu che tagliano verticalmente il dipinto, vorrebbero
rappresentare dei pali, c’è un’evocazione di una situazione di un paesaggio, un ritmo dato dalla presenza dei
pali all’interno dello spazio della tela. Una caratteristica della pittura di Pollock è anche l’all over, termine
con cui si indica la copertura totale della superficie della tela, non ci sono spazi vuoti ma c’è un tutto pieno.

Quando si trasferisce da NY rimane un punto di riferimento per molti artisti, tra


questi Willem De Kooning, altro pittore che è di origine europea ma che si
trasferisce giovanissimo in USA, ha una forte espressività, rimane molto
influenzato dal Picasso di Guernica, non soltanto per una questione stilistica:
questo interesse è anche politico, un autore che si impegna e dà una sua lettura
della realtà, contrasta i soprusi, le violenze e le guerre. De Kooning è quello più
impegnato di tutti. Due donne in campagna del 1954 mostra molto bene il suo
legame con la pittura di Picasso, agisce sul corpo delle donne quasi con violenza,
con questi segni neri che tagliano e confondono le forme distruggendole,
abbiamo una forte componente espressiva. C’è una posizione di De Kooning nei
confronti delle condizioni sociali del tempo, in questo caso è un dipinto che
indaga la violenza sulle donne e lo sfruttamento delle donne nei lavori nei campi, che abbruttiscono i corpi e
le persone. In altre opere è più astratto, come in Interchange, dove non abbiamo un ricordo figurativo ma
una pura astrazione, un movimento interno all’opera che dà una forte energia ed espressività.

Ci sono
autori che
inventano stili molto personali, meno
all over e invasivi dal punto di vista
del segno sulla tela, tra cui Franz
Kline che ha una fortissima
gestualità, che evoca lo skyline della
città di New York e la struttura del
ponte, è una suggestione per dare
questa energia del segno e del gesto. Questi non sono dipinti piccoli ma molto
grandi, alti anche due metri, sono delle vere porte entro le quali lo spettatore
entra e si confronta, è veramente difficile riuscire a reggere con pochi segni delle
grandi dimensioni, ma qui sta proprio nell’abilità dell’artista nel saper collocare
segni nel punto giusto e dosare gli equilibri nella composizione. Kline è meno impegnato, il suo è un
discorso di ricerca del linguaggio pittorico. Anche qui possiamo vedere che c’è un voler uscire verso

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l’esterno, c’è però una minore copertura totale della superficie col colore. Il monocromo è un all over,
perché va a coprire completamente tutta la tela.

Abbiamo anche Barnet Newman, c’è una composizione, usa monocromo dove si intravedono anche delle
piccole sfumature che si guardano molto da vicino. Non è una pittura uniforme, fa una base di un certo
colore (marrone chiaro), poi va a coprire i lati e lascia scoperta soltanto la parte centrale dell’opera o
soltanto più di una linea; dà questo senso ieratico del segno, come se fosse una soglia verso la quale si può
andare oltre. I quadri di Newman sono messi in numero ampio a coprire intere pareti o a creare degli spazi.

Questo tipo di opere sono realizzate anche con dei


rituali, gesti ripetuti e
ritmati, hanno una forte
performatività. L’altro
grande artista di questa
scuola è Mark Rothko,
non definibile come
action painting (così come
Newman), ma è una
pittura molto meno
espressiva, è una pittura
che invece nasce non da
una forte gestualità ma da dimensioni più spirituali. Nel Sacrificio di Ifigenia abbiamo suggestioni surrealiste
ed elementi ancora figurativi, presto la sua ricerca però comincia a presentarsi sottoforma di un colore più
diluito, più diffuso sulla tela, per realizzare questo tipo di opera lascia che le forme si distribuiscano sulla
superficie muovendo e inclinando la tela, le sfumature sono definite soltanto attraverso il movimento della
materia pittorica sulla superficie. Fino ad arrivare nel 1949 alle opere che lo distinguono, cioè queste forme
geometriche di una geometria che sfugge alla precisione, 0una geometria implicita e non segnata dai
contorni, ma dalla sfumatura e dall’effetto sfumato. Le opere di Rothko andrebbero viste dal vero, è una
pittura che invita ad entrare e crea degli spazi immaginari, per questo è un lavoro molto spirituale:
famosissima la cappella realizzata ad Houston, spazio della preghiera con cui ci sono questi monocromi.

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Clifford Still usa il


colore in modo
diluito, per creare
queste forme
muove la tela in
modo tale che si
creino questi
effetti non precisi,
sembra di
osservare un
paesaggio visto dall’alto. Sam Francis non usa il pennello e lo fa sgocciolare dall’alto come Pollock ma getta il
colore sulla tela, caratteristica del gruppo gutai (gettavano direttamente con i secchi). La cosa particolare di
questi autori è che pur non avendo un disegno preciso e uno stile identificato i loro lavori sono
estremamente riconoscibili l’uno dall’altro; nel caso di Sam Francis avremo sempre lo spazio vuoto al centro
e una massa di colori che lascia sgocciolare sulla tela. Robert Motherwell ha un altro tipo di stile di tipo
segnico, è un tipo di forma che si ripete in tutte le sue opere, non c’è gestualità, c’è questa definizione di un
segno. Questo lavoro si intitola La danza, fa pensare a La danse di Matisse, nonostante questi autori
cerchino un linguaggio americano però non possono non tener presente anche l’eredità dell’avanguardia e
dei grandi maestri.

29 nov. ’21

12. NEW DADA. NOUVEAU REALISME. POP ART


Superamento della pittura informale. New Dada e Nouveau Realisme
L’arte che segue la Seconda guerra mondiale, negli USA si comincia a pensare alla rinascita della società,
anche e soprattutto dal punto di vista economico. In questo momento gli artisti si mettono in relazione con
questo tema della società dei consumi che coincide
con il boom economico degli anni 60. I movimenti
che portano al superamento della pittura informale
sono il New Dada in America e il Nouveau Realisme
in Francia: sono gruppi che possiamo definire già di
neoavanguardia, recuperano molti aspetti
dell’avanguardia, soprattutto l’aspetto della
sperimentazione dei linguaggi, dei materiali e delle
tecniche artistiche. Diversa è la poetica, siamo nel
momento in cui si diffonde il mercato, si espande la
produzione industriale. Il gruppo che emerge per
primo è quello americano: nel nome stesso riprende
l’avanguardia Dada, questo tipo di tendenza viene concretizzata dal punto di vista ufficiale dalla mostra: Art
of Assemblage al Museum of Modern Art nel 1961, questa presentava opere realizzate con l’assemblaggio
(Picasso è il primo, estensione del collage nella terza dimensione, uso di materiali per realizzare opere
d’arte). Uno dei principali esponenti di questo gruppo è Robert Rauschenberg.

William Chapin Seitz conferisce nella mostra The Art of assemblage una definizione specifica per
l’assemblaggio: opere assemblate piuttosto che dipinte, modellate o scolpite, è una via di mezzo tra pittura
e scultura. - interamente o in parte, gli elementi che le costituiscono sono eseguiti con materiali naturali o
fatti a mano, oggetti o frammenti extra artistici

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Rauschenberg dipinge dei monocromi inizialmente, nei white paintings si avvicina a quella pittura che in
America si definisce astrazione post-pittorica, è un tipo di pittura monocroma, che fa seguito alla tendenza
dell’informale e dell’action painting. Queste opere d’arte fanno capire che la stessa
tela diventa oggeto, mette insieme 4 tele, crea una specie di quadrato bianco nel
quale inserire le tele. Sta già cominciando a sperimentare nuove tecniche, come farà
anche in questo lavoro Double, è un’impronta del corpo dell’artista realizzata con la
tecnica a spruzzo, anziché spargere il colore col pennello si spruzza il colore sulla tela
mettendo il corpo dell’artista steso per terra, succede che le parti dove c’è il corpo
rimangono bianche, le parti scoperte si colorano, c’è un effetto fluo. Vediamo già una
dimensione performativa del modo di dipingere. Le opere che definiscono la sua
poetica New Dada sono proprio gli assemblaggi della fine degli anni 50, Canyon
propone su una tela la presentazione di pigmento steso in modo molto veloce che va
a coprire un collage fatto di ritagli di giornale, copertine di riviste, fotografie di un
piccolo indiano d’America e addirittura la presenza di un’aquila imbalsamata. In Bed
presenta non la riproduzione del letto, ma inserisce sulla tela delle vere e proprie
coperte, lenzuola e cuscino, vi dipinge sopra: ecco ancora una volta l’uso
dell’oggetto. Il modo in cui utilizza l’oggetto può essere simile e allo stesso tempo
diverso:

- il new dada porta con sé un messaggio di tipo simbolico al contrario


dei ready made
- utilizza la pittura e altri materiali al contrario dei ready made
- sono comunque oggetti estrapolati

In Monogram l’autore vuole richiamare la cultura americana, la cultura


antropologica di un’America centrale di una pastorizia e dell’agricoltura, anziché
raccontarla con la pittura e la descrizione usa degli oggetti che possono richiamare
a quel tipo di cultura.

Retroactive è un’opera più politica, vediamo Kennedy, una


navicella spaziale/satellite che rimanda ai primi viaggi nello
spazio, c’è ancora un’aquila, celebrazione dell’americanità,
della politica americana protesa verso le tecnologie, c’è anche un
po’ una sottile critica dell’aspetto tecnologico e soprattutto
dell’invadenza del mondo dei consumi nella società
americana di quegli anni. Lo vediamo un po’ meno in
Rauschenberg, ma lo vediamo più chiaramente in
Jasper Johns, in Flags usa non solo la pittura, ma anche
una vera e propria bandiera americana, con la tecnica
dell’encausto, tecnica di riproduzione che si serve
della cera che viene stesa sulla superficie e grattata via. Mettendo la cera si scava in questa e in questo
modo poi si toglie completamente e il colore rimane solo dove non c’è la cera stessa, si serve della tecnica
dell’incisione per realizzare l’opera. Johns è molto interessante perché non lavora solo sul tema della nuova
società dei consumi, vediamo chiaramente ispirarsi ad un prodotto da supermercato in Two Cans, la lattina
di birra che anticipa Andy Warhol, ma gioca anche sulla sottile ambiguità di vero e verosimile: gli artisti
hanno un’attenzione alla società della comunicazione di massa e alla veicolazione di notizie false che la
comunicazione di massa può portare attraverso un mezzo a cui tutti possono accedere, porta l’attenzione
sull’ambiguità dei mezzi di comunicazione di massa. Le sue opere sembrano una cosa ma non lo sono: le
bandiere non sono tre vere, una è vera, due false, nel caso di Two cans abbiamo la riproduzione di due
lattine, non sono veramente due lattine, sono realizzate con la tecnica tradizionale del bronzo, l’oggetto di

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consumo è citato, riprodotto con una tecnica artistica anche antica, tecniche prese dalla storia dell’arte per
riprodurre oggetti di consumo che si possono vedere anche sui mezzi di comunicazione di massa. Fool’s
House del 1962 si può mettere a confronto con In advance of a broken arm, in Jasper Johns la scopa è scelta
con un significato specifico, collocata all’interno di un’opera dove c’è della pittura, la presenza di cornici
rovesciate per far vedere che la pittura è una riproduzione della realtà, non è veramente la realtà, la tela è
rovesciata, fa vedere il telaio, lavoro che viene continuato da Giulio Paolini. La tela rovesciata è un mostrare
la falsità della pittura, ci vuole far vedere che dietro c’è un telaio.

Molti artisti riflettono sul tema dello scarto, in anticipo su tematiche attuali come di sostenibilità e
accumulo di rifiuti, conseguenza della voracità del mercato dei consumi. Con grande lungimiranza il gruppo
francese del Nouveau Realisme, che ha sempre questo interesse per l’oggetto in arte punta quest’attenzione
sull’accumulo dell’oggetto. In Arman vediamo Accumulation de brocs, brocche buttate via, oggetti scartati
perché vecchi che però potrebbero ancora funzionare, che lui mette dentro le teche in vetro, lo farà anche
con strumenti musicali o con i pennelli e colori e dapprima li mette in queste teche, poi negli anni 70 li
inserisce in delle strutture di resina trasparente. César nelle sue Compressioni propone dei materiali di
alluminio o di ferro presi da contesti anche industriali e li fa impacchettare con questa struttura cubica o
parallelepipedi a denunciare lo scarto della società di consumi, dall’altro che si può costruire qualcosa con
questi scarti: arte. Cosa che fa anche Jean Tinguely, in Fontana Stravinsky al Centre Pompidou è una
fontana, sculture che si muovono e fanno rumore con degli spruzzi d’acqua, sono fatte con pezzi recuperati
da motocicli vecchi che lui metteva insieme questi pezzi vecchi per creare le sculture estremamente
colorate perché collaborava con la sua compagna Niki de San Falle che creava queste creature giocose su
disegno. Hommage a New York è stata presentata al Museum of Modern Art e durante l’inaugurazione si è
autodistrutta. L’ultimo autore è Yves Klein, negli anni 60 inventa il Blue klein, colore che brevetta con il
quale va a coprire alcuni oggetti, Vittoria di Samotracia del 62 oppure anche Accord bleu sulla cui superficie
ci sono pezzi di pane colorati di blu. In virtù di questo gesto trasforma un oggetto banale in opera d’arte,
sentiamo l’eco di Marcel Duchamp e del suo gesto creativo. Inventa le Antropometrie, è un’operazione
contraria a quella di Rauschenberg, in questo caso Klein copre di colore blu delle modelle e le fa stendere
sulla tela facendo talvolta delle performance trascinandole per le gambe lasciando la scia sulla tela, dipinge
con i corpi delle modelle.

Pop art inglese


Il passo da queste ricerche alla nascita della Pop art è molto breve. Questi altri artisti diventeranno molto
più conosciuti dei New Dada. La Pop art vede i suoi primi vagiti in Europa, in particolar modo a Londra negli
anni 50 e 60, nasce in occasione della mostra This is tomorrow del 1956, la guerra è ormai finita e questi
autori sono chiamati a rispondere a questa domanda: questo è il futuro? Oggi siamo n el futuro? Ci sono
quelli più ottimisti che vedono nel futuro grandi conquiste della tecnica, vedono soltanto il lato positivo e ci
sono quelli che invece hanno visioni apocalittiche del futuro. La mostra è organizzata dall’Indipendent
group del quale fanno parte Richard Hamilton, Nigel Henderson, Eduardo Paolozzi, guidati dal critico
Lawrence Allowey. Lo scopo della mostra è:

- mostrare il futuro dell’arte


- evidenziare come scienza e tecnologia abbiano condizionato la cultura e l’arte.

Edoardo Paolozzi fa parte della versione pop nel senso di propositivo del futuro dell’arte in rapporto alla
tecnologia e alla comunicazione di massa, in questo lavoro del 1947 vediamo che usa i manifesti pubblicitari

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dove, tra l’altro, si vede la parola pop, il marchio coca cola, conosciuto già a livello internazionale. Il famoso
collage realizzato da Richard Hamilton è Just What is it that makes? è uno specchio della società inglese
moderna che schiaccia l’occhiolino a quella americana, lo si capisce dai personaggi presenti, la donna è una
pin up, fanno capire che c’è una consapevolezza di come la tecnologia abbia invaso le case degli inglesi, la
presenza del registratore, il televisore acceso su una pubblicità, l’aspirapolvere. Ci sono elementi che
richiamano la comunicazione di massa, i manifesti del teatro/cinema, il giornale, il fumetto, un dipinto che
richiama l’antico (linguaggio moderno e linguaggio antico che contrastano). Sopra c’è la presenza di
quest’immagine che incombe, sembra quasi cadere su questo interno, questo pianeta sembra precipitare, è
una delle prime immagini di Marte, da una parte c’è un’attenzione alla società moderna, all’altra c’è un
certo timore per quello che è la tecnologia.

Pop art americana


La pop esplode in America dove il consumismo è ancora più esasperato rispetto all’Europa, una delle opere
simbolo del lavoro di Andy Warhol è Brillo box, scatole di detersivo. In realtà non si tratta di scatole vere e
proprie, sono scatole riprodotte con del compensato sul quale viene applicato attraverso la tecnica della
serigrafia il marchio brillo, questo è un aspetto importante: non si tratta di portare una scatola da un posto
ad un altro ma di riprodurre la scatola, questo risente sicuramente del lavoro dell’opera di Jasper Johns
(Two cans); Johns metteva in luce l’aspetto del vero-verosimile, non usa una tecnica antica della storia
dell’arte come il bronzo ma usa una tecnica che appartiene al mondo dei consumi e della pubblicità, perché
con la serigrafia si realizzavano i manifesti pubblicitari. Eleva la serigrafia a tecnica per fare arte. C’è poi
un’altra modalità propria del linguaggio della comunicazione di massa ed è la serialità. Andy Warhol, come
quando si allestiscono le cose sui supermercati, colloca le opere in modo non casuale, ripetendo l’oggetto
più volte, la marca più famosa o più in alto o più in basso; anche i manifesti sono seriali. Warhol moltiplica in
modo seriale gli oggetti, da una parte fa riflettere l’osservatore sul mondo dei consumi e sulle tecniche dei
consumi di massa, ma in modo più ambiguo rispetto ai New Dada perché si serve delle stesse tecniche della
riproduzione di massa. Campbell’s Soup del 1962 è una lattina riprodotta con la serigrafia, tecnica a stampa,
per evitare che ci sia la manualità dell’artista, vediamo proprio la moltiplicazione. Altro aspetto interessante
è il gioco sul cambio dei colori, sulle varianti del colore, usa soggetti da supermercato o soggetti che sono
delle icone del mondo della moda, del cinema, della politica, dello spettacolo, che hanno lo stesso ruolo
dell’oggetto del supermercato, sono immagini di consumismo, di massa, che sono voracemente utilizzate
dai mezzi di comunicazione di massa (televisione, giornali) per entrare nella vita delle persone comuni.
Queste immagini possono essere anche opere d’arte famosa, Warhol nel 73 ha fatto dei lavori derivanti
dall’Ultima Cena o La Gioconda, sono quelle delle opere d’arte che non gli interessano per il linguaggio degli
artisti, gli interessa l’immagine di quell’opera d’arte che è stata inglobata nel mondo della comunicazione di
massa, immagine consumistica che perde di valore artistico.

Roy Lichtenstein indaga il linguaggio del fumetto, è interessato ai nuovi linguaggi della comunicazione, usa
in realtà la pittura polimerica (acrilico, pittura della contemporaneità), spesso attraverso questi suoi dipinti
veicola dei messaggi sulla società contemporanea. In alcune opere si vede anche bene il pixel della
televisione o con cui si stampano i fumetti, viene ingrandito per mostrare la verità della riproduzione
dell’immagine attraverso la comunicazione di massa. In Italia, Mario Schifano fa parte della pop art
romana, non arte popolare, è un’arte elitaria, si intende un’arte che parla della società popolare, della
cultura bassa e non alta, abbiamo il marchio della Coca Cola come emblema della cultura consumista.

13. IL CONCETTO IN ARTE. NEOAVANGUARDIE: MINIMAL ART E CONCEPTUAL ART


Si comincia a dare peso all’idea che sta dietro all’opera più che alla manualità dell’opera. Questo porta ad
altre neoavanguardia che valorizzano l’aspetto concettuale dell’opera d’arte rispetto alla dimensione
realizzativa. Sono tendenze che nascono negli anni 60, a seguito di una serie di riflessioni sulla perdita
dell’aura dell’opera d’arte che aveva avuto nel periodo precedente. Lo scultore Arturo Martini, figurativo,

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plastico negli anni 30, nel 45, anticipando questo processo parla di scultura e lingua morta sostenendo che
la scultura è finita, la scultura della statua, si parla di un tipo di scultura diversa, aperta, non plasmata nella
materia e scolpita, ma si apre allo spazio e non è più tradizionale; le scatole di Andy Warhol si possono
capire perché si arriva ad un processo che supera il concetto di statua. Col Secondo dopoguerra non si può
più parlare di opera d’arte come pittura o scultura ma si deve parlare di realizzazione oggettuale o visiva che
ha quasi una componente filosofica. L’arte contemporanea è vicina alla filosofia perché riflette su se stessa,
delle volte è più significativo del realizzare materialmente l’oggetto.

Il minimalismo
Il Minimalismo è questo superamento della scultura intesa come plastica e come statua, vuole trovare
l’energia originaria della tensione estetica nella diretta fisicità delle cose, riducono ai minimi termini l’idea di
scultura, nella concreta dimensione oggettuale, in correlazione con il contesto ambientale. I minimalisti
creano oggetti unitari, dalla struttura immediatamente percepibile nel suo insieme, puntano al diretto
impatto fisico e percettivo dell’opera. Fondamentale per l’affermarsi di questa tendenza è stata la mostra
Primary Structures tenutasi nel 1966 al Jewish Museum di New York. Le sculture minimaliste richiamano la
geometria ma non sono uno studio della geometria, mettono in relazione la scultura con lo spazio
circostante e anche con lo spettatore. Ci aiuta anche la lettura del minimalismo che ne dà Rosalind Krauss:
l’uso da parte dei minimalisti di “una sorta di oggetto trovato suscettibile di intervenire come elemento base
in una struttura ripetitiva è un tratto distintivo del loro modo di procedere”. Puntano sulla ripetizione
dell’oggetto citando la ripetizione dei pop, ma l’oggetto è anonimo, anche se costruito dall’artista: i
minimalisti traducono il ready made di Duchamp in un concetto astratto  si concentrano sulle modalità
del suo utilizzo. Scelgono materiali che non danno l’impressione di aver subito una manipolazione:

 sono nati per un altro uso, generalmente industriali (plastica, alluminio, rame, piombo)

 opacità naturale: non sono veicoli di espressione.

Forme geometriche semplici, l’artista non forgia l’opera, spesso la fa costruire in fabbrica e le colloca nello
spazio in modo tale che ci sia una relazione con lo spettatore, non deve soltanto guardare queste opere, ma
ci si riflette, ci può camminare dentro, sopra, attraverso. Nel caso di questi elementi di Robert Morris lo
spettatore ci può passare sopra o sotto. Sono grosse strutture in compensato, che sono identiche ma
variano il loro impatto visivo in base alla loro collocazione nello spazio. La forma non è data a priori: nasce
dall’esperienza, la forma nasce dal modo in cui sono collocate. Quando Morris prende i pezzi di feltro, sono
sempre parallelepipedi (le sculture minimaliste sono sempre geometriche) appesi alla parete che vengono
fatti cadere per terra facendo agire la forza di gravità. Con l’azione della forza di gravità si creano queste
masse, dal modo in cui si colloca l’opera. Questo lavoro di Morris apre a tutta un’altra serie di lavori che non
sono rigidi ma sono molli, non c’è la rigidità del minimalismo. Nel Labirinto lo spettatore dovrà trovare
l’ingresso dell’opera, non guarda semplicemente, sta dentro l’opera. Nel caso di Carl Andre, lo spettatore
cammina sopra l’opera, realizza delle opere pavimento, Equivalente, mattoncini posati per terra, lo
spettatore è chiamato a camminarci sopra. Esse mettono in rilievo:
- l’azione della forza di gravità
- espressività dei materiali (nel caso dello zinco, è un metallo che si usa spesso anche per apparecchi
elettronici perché è conduttore, allude anche a quella natura di conduzione di energia, è anche traslucido,
se ci si cammina sopra si vede il riflesso)
- l’idea della fruizione come esperienza sensoriali, non come contemplazione

Donald Judd è famoso per le strutture con il metallo industriale riflettente, non sono degli specchi, vediamo
soltanto delle ombre, c’è un riflesso e un’interazione molto sottile, c’è spesso la ripetizione. È il più rigoroso
dei minimalisti. Crea strutture tridimensionali elementari con materiali industriali. Organizza le sue forme in
sequenze seriali, senza gerarchie. La non illusorietà e la non espressività della forma portano alcuni

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minimalisti a realizzare oggetti d’uso comune. Crea anche oggetti di design, diventa un linguaggio di forme
essenziali, geometriche, non particolarmente espressive ma molto anonime. Nelle sculture di Sol Le Wit si
può entrare, sono realizzate con il modulo del quadrato ripetuto, c’è questa serialità e ripetizione.

Dan Flavin è famoso per l’uso del neon, materiale molto particolare, non è allo stato solido ma liquido, per
essere fruito deve essere inserito all’interno di un tubo di vetro, emana luce, lo usa non tanto per illuminare
lo spazio ma per creare delle forme o dei moduli che si ripetono nello spazio, in questo caso è dedicato a
Tatlin, si intravede la forma del monumento, è dedicato ad un costruttivista, che aveva dato valore al
materiale. L’ultima opera è l’installazione luminosa commissionata dalla Fondazione Prada quando ha
realizzato la mostra su Flavin, è inserita in una chiesa degli anni 30, è realizzata con i neon. Se vogliamo
vedere opere minimaliste bisogna andare a Villa Panza di Biumo, collezione tutta di opere minimaliste.

Conceptual Art

L’origine dell’arte concettuale è stata molto discussa e sembra risalire all’artista Flexus Brecht oppure al
minimalista Sol Lewit. Riguarda un greppo di artisti di NY che hanno assunto un atteggiamento analitico nei
confronti dell’arte. Sol Lewitt in Paragraph on Conceptual Art scrive “L’idea in se stessa, anche se non
realizzata visualmente è un lavoro d’arte tanto quanto un prodotto finito... Le idee possono essere espresse
con numeri, fotografie o parole o in qualsiasi modo scelto dall’artista, dato che la forma non è importante”.

Si assiste ad un maggior valore dell’aspetto progettuale, ossia concettuale, dell’opera d’arte. L’opera d’arte
ha la sua validità non tanto per il modo in cui è realizzata, quindi per il linguaggio con cui si esprime una
certa ide , ma proprio per l’idea che l’arsitsta ha o ha avuto: la componente progettuale è un’opera d’arte
tanto quanto un’opera d’arte finita.

Questa definizione è poi porta di ingresso per le ricerche del concettuale. Legittimazione della concezione
dell’opera stessa, che è autonoma in modo completo. Si arriva al concetto di arte per l’arte.
[In questa fase ri - vediamo anche il pensiero di Duchamp e il lavoro in cui aveva raccolto tutti i suoi studi
(anche per il grande vetro ecc) e considerava anche quegli stessi fogli un’opera d’arte. ]

Il problema centrale era mettere sotto una lente di ingrandimento cosa era l’opera, come si era formata,
secondo quali procedimenti e consuetudini, e anche cosa è possibile trattenere della tradizione e cosa
occorre abbandonare. Queste posizioni, che condussero l’arte visiva a diventare poco comunicativa con il
pubblico e sempre più adatta a un circolo ristretto di amatori, si capiscono solo se si pensa che l’invenzione
delle immagini dirette al popolo, per intrattenimento o altri fini, era già passata nelle mani di tv, cinema ecc
e quindi gli artisti non avevano più il dovere di decorare o descrivere. Il loro fare divenne sempre più vicino
al pensare della filosofia, centrato sui problemi generalissimi dell’uomo e del suo linguaggio.
La critica dei mezzi tradizionali si legò a un dubbio più generalizzato sulle capacità comunicative dell’arte e
sulla sua tendenza alla conservazione di valori.

Aspetti del concettuale:


- l’idea dell’opera è più importante della sua esecuzione  Arte concetuale analitica
- L’opera puoi dilatarsi fino a raggiungere dimensioni ambientali  Land art
- L’opera può essere priva di materiali e ridursi al corpo dell’artista  Performance e body art
- L’opera può essere fatta di materiali generalmente considerati anti - artistici: composti minerali, animali
vivi e vegetali  Arte povera

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Il maggiore esponente dell’arte concettuale è Kosuth. Tra i protagonisti di questo gruppo c’è Joseph Kosuth,
grande ammiratore di Duchamp, e il quale opere sono partite soprattutto dai dubbi
espressi da Duchamp stesso ma anche da Freud.Ha esordito nel 1965 con la sua opera
più famosa: one and three chairs.Non è esposto un manufatto ma un’idea, cioè una
riflessione sul linguaggio e sui diversi significati che il inguaggio comporta a seconda
del modo in cui viene visualizzato l’oggetto descritto da questo linguaggio (siamo
nell’ambito della tautologia). La sedia fisica è messa a fianco ad una fotografia, la
definizione dell’oggetto è espressa da una definizione data dla vocabolario: fa
riflettere sulle diverse modalità con cui è possibile esprimere questo ogetto. Per lui è
importante mettere in discussione la natura dell’arte. Compie un passaggio in più: la riflessione si fa
analitica, è un’investigazione sulla natura del linguaggio dell’arte. Per lui le opere sono delle proposizioni
analitiche: se le si considera nel loro contesto in quanto arte, non portano a nessuna considerazione su delle
questioni di fatte. L’opera d’arte è per lui una tautologia, cioè una presentazione dell’artista. E’ l’artista che
dichiara che quell’opera è dell’arte, e quindi definisce l’arte stessa. Analizza un rapporto tra un oggetto, la
sua immagine, e la sua descrizione concettuale come si vede bene in una delle sue opere più famose ovvero
One and three chairs: una riflessione sull’oggetto sedia. Oggetto in quanto tale, una fotografia e la
definizione tratta dal vocabolario. Il punto centrale è mettere in evidenza le riflessioni che scaturiscono alla
formulazione di un concetto, il quale deriva inevitabilmente dalla cosa, dalla sua immagine e dalla sua
rappresentazione verbale. L’opera fa riflettere su come si formano le idee, si come l’arte può rappresentare
questo
processo e su quali limiti invalicabili si trovino nell’esprimere le idee. La presentazione di tre sedie e non una
indica una sfiducia in qualsiasi forma singola di rappresentazione.

E’ il momento dell’”arte idea” e quello in cui si iniziano a usare mezzi diversi dal solo museo, come anche
giornali, cartelloni o striscioni. Infatti Kosuth stesso lavora anche in luoghi come strade, sottopassaggi,
giornali, mettendo in evidenza come qualsiasi testo, e quindi anche qualsiasi opera, non è mai dato una
volta per tutte, ma è destinato a slittare continuamente in relazione al contesto.

[Fernando de Filippi è un artista che ha realizzato una mostra con artisti che hanno usato le definizioni per
fare affissioni sui muri (a volte politiche, altre no). Non è sempre chiaro che provengano da un ambito
artistico, ma d’altronde è proprio una caratteristica di questo tipo di arte. Emerge in modo più ufficiale nel
contesto artistico Documenta 5: una mostra periodica che si tiene ogni 5 anni in una località svizzera. Uno
degli appuntamenti più conosciuti e che costituisce momento imperdibile per i cultori di arte
contemporanea perché è una sorta di riassunto dell’evoluzione dell’arte contemporanea degli ultimi 5 anni.
Nel 1972 la mostra propone tutta una serie di Kosuth e un gruppo che lavorava sul tema del linguaggio:
definizioni, fotografie che documentavano condizioni sociali (spesso sono opere quasi sociologiche). Un
esempio è l’installazione Documenta Intex del gruppo Art and Language: delle specie di classificatori, di
mobili. Nasce l’interesse per gli archivi d’artista che oggi sono uno degli elementi più indagati dell’arte
contemporanea.]

Uno degli artisti italiani più conosciuti che si può inserire all’interno di questa corrente
anche se in realtà proviene da altre tendenze è Piero Manzoni (rivista Azimuth che si
proponeva di contrastare il concetto tradizionale di opera d’arte).

Uno dei suoi lavori più̀ espliciti del concetto della possibilità di fare arte con le idee è
Linea di lunghezza infinita (1960). Allude all’infinitezza dei numeri. Idea di far
conferire all’interno di un barattolo una linea infinita, quindi non fisica. Il lavoro di
Piero Manzoni ha una forte componente concettuale; questo aspetto è rilevante in
tutta l’arte contemporanea fino ad arrivare ad oggi.

Anche Socle du monde (1961): parallelepipedo in ferro con una scritta


rovesciata col titolo (zoccolo del mondo). Il globo terrestre dovrebbe essere

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appoggiato sulla struttura, su un piedistallo. È un’idea, non certamente una realizzazione vera e propria. È
una provocazione intellettuale: mettere lo spettatore nella condizioni di porsi domande, cercare riposte e
leggere significati al di la della breve frase presentata dall’artista.

Questi aspetti propri dell’arte concettuale si ritrovano anche nell’anti-form.

GLI ANNI SETTANTA E LE TENDENZE ANTI-FORM

Body art

Le Anti-Form si reinseriscono nelle neoavanguardie (da cui riprendono lo stesso spirito). Abbiamo parlato
della dimensione progettuale del minimalismo e dell’importanza e del valore del materiale. Proprio il
materiale è al centro delle tendenze degli anni ’70, raggruppate sotto il nome Anti - form perchè volevano
essere una reazione, un cambiamento rispetto al concetto di forma rigida esistente.

Abbiamo visto Robert Morris essere molto attento alla forma e all’uso di materiali
industriali, ma anche alla dimensione fisica, oggettuale, materiale. Lo stesso Morris
minimalista si specializza poi sulla riflessione della materia e va verso la tendenza dell’Anti -
form.
In Felt pieces del 1968 usa il feltro lasciando che la forza di gravità agisca sul materiale.
Afferma che l’ordine modulare è imposto e non è inerente alla fisicità dei materiali, e per
questo abbandona la forma pura fondata sulla geometria in favore di un’arte che concentra
l’attenzione sul principio costitutivo degli oggetti, sulla materia e sul suo aspetto formale. In
questo lavoro vediamo presentata un’installazione fatta con il feltro (materiale industriale
ma molle) che possa mostrare gli effetti della gravità che vanno ad agire su quest’opera. Lavoro che apre alle
tendenze anti-form  è la gravità che porta d una anti-forma, che impedisce chele strisce rimangano rigide
e invece le rende molli.

In questo modo passa da un’idea di operare artistico indirizzato alla realizzazione di oggetti finiti e di forme
ben precise e rigide come quelle di Donald Judd, a lavori invece caratterizzati dal libero gioco dei
materiali con lo spazio, o con lo spazio fisico dello spettatore.

Morris inseriva spesso il proprio corpo all’interno di strutture geometriche minimali,


come si vede in Neo classic del 1971 o in Senza titolo del 1958: in questo modo si
sottolinea ancora di più l’interazione tra opera e spettatore nell’arte. Egli sperimenta
molto con la forma geometrica e l’anti-form utilizzando il proprio corpo; sono oggetti
minimalisti ma l’artista si colloca nel proprio corpo dentro la struttura (oppure usa
una modella) e mette in luce questa contrapposizione tra rigidità minimalista e anti-
form. Da questo tipo di sperimentazioni allo sviluppo di nuove ricerche come il body art e la land art
il passo è piccolissimo.

A questo punto il corpo umano diventa un oggetto dell’arte stessa. Alcuni artisti danno il via alla body art.
Tra i primi italiani a sperimentare questo modo di fare arte, Vito Acconci: “Quando ci si trova in una
situazione stressante si ha immediatamente una reazione d’allarme, quindi si passa ad una fase
d’adattamento e si comincia a resistere e a poter sopportare le sollecitazioni”.

 La body art mette in primo piano il corpo del performer o dell’artista e, allo stesso tempo, chiama in
causa in modo più diretto anche lo spettatore che è invitato ad assistere alle
performances in presenza. Perché gli artisti iniziano ad usare il corpo? Vogliono
dimostrare le potenzialità e la capacità di sopportazione, e anche la variazione

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dell’aspetto psicologico, del loro corpo e della loro presenza davanti al pubblico mettendosi in condizioni
particolari. Allo stesso tempo stimolano lo spettatore.

Anche tra le protagoniste della body art al femminile, come Gina Pane o Marina Abramovic, il corpo
diventa luogo di sperimentazione della propria capacità di sopportazione a condizioni estreme.

Gina Pane: “Vivere il proprio corpo vuol dire allo stesso modo scoprire sia la propria debolezza, sia la tragica
ed impietosa schiavitù delle proprie manchevolezze, della propria usura e della propria precarietà. Inoltre,
questo significa prendere coscienza dei propri fantasmi che non nient’altro che il riflesso dei miti creati dalla
società [...], il corpo (la sua gestualità) è una scrittura a tutto tondo, un sistema di segni
che rappresentano, che traducono la ricerca infinita dell’Altro”.

 il nostro corpo è sempre in relazione con l’altro.

In Azione sentimentale, Gina si presentò al pubblico vestita completamente di bianco, con


jeans bianchi e un bouquet bianco (attributi della sposa) che servivano a sottolineare il
dono di sé, reso dalla metafora del tagliuzzarsi i polsi come una lametta (donare il sangue)
e dalla sopportazione di varie spine di rosa infilzate nell’avambraccio. Faceva queste azioni
per sottolineare il tema della violenza sulle donne. Si chiama azione sentimentale perché
la violenza viene perpetrata nell’ambiente domestico e in termini sentimentali. Pian piano
la fuoriuscita del sangue andava a intaccare l’ambiente completamente bainco in cui si trovava.

In Hand and Mouth di Acconci lo vediamo usare la propria bocca per infliggersi morsi
sulla pelle e creare una situazione di tensione. Vito Acconci nelle sue prime
performance cercava di spingere i propri gesti più semplici, per esempio l’emettere
saliva il più a lungo possibile, verso il limite estremo delle esperienze fisiche e delle
relazioni interpersonali. In altri casi ha cercato di indagare le distanze di sicurezza tra
una persona e l’altra, cioè oltre quale vicinanza si provoca irritazione, o fino a che
punto egli sopportava di esibire in pubblico i suoi stessi comportamenti privati.
Questa attenzione alle relazioni interpersonali è poi sfociata in una serie di opere che
si collocano tra la scultura e l’architettura (ad es. scuole esplose, librerie
labirintiche ..). Di solito il performer agisce davanti a un piccolo pubblico, ma altre volte realizza le pratiche
nel suo studio e allora questo tipo di lavoro viene registrato attraverso la fotografia o il video: apertura
dell’arte alla tecnologia fotografica e video. Egli infligge un morso a parti del proprio corpo, lo fa con uno
scopo che comporta una certa malattia (modo per infliggersi dolore quando si è in crisi), è consapevole e
vuole puntare l’attenzione di ch iosserv asul gesto e dell’artista stesso sul proprio corpo. Vuole esplorare il
proprio corpo e la violenza che si può far esul proprio corpo, riflettendo anche sulla violenza che gli altri
fanno sul corpo delle persone.

Anche Bruce Nauman si serve della fotografia per dare conto di alcune pratiche
realizzate col proprio corpo, come si vede in Senza titolo del 1970. Nauman era
passato dal realizzare opere fondate sopratutto sull’impiego del linguaggio, con
frasi scritte prevalentemente con luce al neon, al creare sculture, video,
ambientazioni e ologrammi. Il suo obiettivo era mostrare la vita dell’individuo in
tutti i suoi momenti salienti, partendo dalle difficoltà di ogni comunicazione. Lui
non faceva performance di fronte a tutti ma nel proprio studio, fotografa il
proprio corpo per creare una sorta di scultura con esso.

La pratica della fotografia si è diffusa anche in Europa, non solo negli USA: nel nostro
ambito è famoso Joseph Beuys (tedesco ma che ha realizzato molto anche in Italia). Fu l’artista tedesco che
più diede corpo alla crisi della cultura europea e alla necessità di intervenire a salvarla. Per comprendere il
suo lavoro bisogna conoscere la sua biografia e rifarsi alla tradizione del pensiero romantico tedesco. Beuys

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fu reclutato come aviere nella Seconda Guerra Mondiale e cadde dal suo veicolo: fu salvato da un gruppo di
nomadi che lo curò secondo una sapienza antica, cioè avvolgendo il suo corpo semi congelato nel grasso e
poi avvolto in coperte di feltro. Alla ricerca di una guarigione anche spirituale, Beuys iniziò a credere che
l’arte dovesse essere un mezzo di salvezza non solo personale ma collettiva. Partiva infatti dal presupposto
che la cultura occidentale fosse malata e bisognosa di cure, avendo portato gli individui e la natura stessa al
punto di rottura dell’equilibrio. Ecco che oltre al grasso e al feltro usò spesso anche elementi che servivano a
testimoniare la preziosità della natura come oro, miele, rame come metallo conduttore di energia vitale.

In Coyote, I like America and America likes me: si fa chiudere in una gabbia insieme a un coyote. Protetto
solo da un panno di feltro, Beuys attese che si generasse tra lui e l’animale una reciproca
confidenza. Il suo mezzo simbolico di dialogo fu un bastone di rame che definì eurasiatico. Il
bastone è segno di guida del gregge: nel contesto cristiano è attributo del buon pastore e
quindi del sacerdote, in molti culti orientali è segno del potere del mago e dello sciamano.
Cerca id creare un dialogo con il coyote, usando il bastone per proteggersi e usando questa
coperta di feltro. Lavora su pochi materiali che però sono molto importanti e interessanti
anche dal punto di vista politico; infatti, i suoi lavori mirano a contrastare la società dei
consumi e a proporre temi come l’ecologia (fonda il Partito dei Verdi in Germania). Usa
materiali non convenzionali per l’opera d’arte appunto come il feltro, che qui serve come
protezione per l’artista dal mondo esterno; il rame e il grasso che sono materiali conduttori e
danno senso di morbidezza e organicità̀, elemento naturale. L’artista si rende profeta di una
nuova civiltà e di un modo più̀ umano; si era fatto portare negli Usa, senza toccare il suolo,
fino alla galleria dove ha fatto questa azione per poter entrare in contatto con il territorio degli Usa in modo
più autentico, con un animale che è il simbolo degli Usa. Non contaminarsi con la società contemporanea, il
traffico di NY, ma arrivare direttamente in galleria (prima aereo e poi ambulanza). Il tema
della cura, dell’assistenza, è un tema sempre molto presente nelle opere di Beuys perché
tutto il suo lavoro nasce dall’episodio con le popolazioni nomadi. Egli è stato uno die
fondatori del partito dei Verdi in Gemrania (ecologici).

La diffusione della pratica dell’uso del corpo è presente anche nelle opere d’arte viventi di
Piero Manzoni, che non sono altro che la firma dell’artista sul corpo di alcune modelle (non
vengono più dipinte sulla tela). Questo lavoro ovviamente unisce il tema del concettuale e
dell’artista come demiurgo e quello della performance attraverso il corpo. Firmando le
modelle fa diventare il loro corpo un’opera d’arte.

L’Azionismo Viennese è il primo vero e proprio gruppo organizzato che mette al centro la
pratica teatrale e si relaziona con l’aspetto antropologico dell’uomo. È un gruppo di artisti che negli anni
Settanta fanno delle azioni estremamente violente e drammatiche, utilizzando il proprio corpo, il corpo
delle modelle e delle assistenti e spesso degli animali squartati per ricreare quegli aspetti della mitologia,
del teatro classico ma rendendolo più espressivo e drammatico (arrivano dall’espressionismo viennese che
era molto intenso). Ne facevano parte: Gunter Brus, Arnulf Rainer, Oto
Muhl, Hermann Nitsch, Rudolf Schwarzkogler.Questi artisti misero al
centro il proprio corpo per testare la propria forza di sopportazione.

La Settimana della Performance che si svolse a Bologna nel 1976 fu la


prima volta che l’Italia si trovò davanti a questo tipo di arte performativa.
Nella foto, l’Azione 56 di Hermann Nitsch all’O.M. Theater a Bologna con
al centro la carcassa di un corpo di animale attorno a cui si svolge la scena.
Ci sono tutti gli elementi del teatro. Al centro di questa chiesa sconsacrata
di Bologna, n mezzo al pubblico, c’è un animale squartato e il performer,
vestito con una specie di camice bianco, ha cominciato a fare azioni di tipo
performativo. Le azioni così violente venivano effettuate per coinvolgere il pubblico, creare in esso una

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condizione di disgusto, di disagio, di difficoltà; è finalizzato ad esplorare i vari aspetti dell’uomo, del suo
corpo e della sua psiche.

Si tratta di un gruppo molto radicale che concede totalmente il suo corpo all’arte e che mette il pubblico
(non lavorano nello studio) in situazioni di disagio. Schwarzkogler muore suicida nel 1969 all'età di 28 anni
(durante una performance?). La leggenda lo vuole suicidatosi in pubblico a seguito di una
prova di castrazione, o ancora, toltosi la vita strappandosi la pelle lembo dopo lembo. In
realtà Rudolf Schwarzkogler muore suicida, gettandosi, o cadendo, dalla finestra della sua
camera da letto.

Gunter Brus si dipinge il volto di bianco e poi traccia una pennellata al centro del volto di
colore rosso a dare un senso della ferita.

Oto Muhl in Materialaktion avvolge la performer nel cellophane. Circonda il corpo di una
ragazza con del cellophane, la lega e le impedisce il movimento. Durante la performance si
vede le iche ha difficoltà a muoversi (riflessione sul tema della violenza femminile).

E’ uno dei gruppi che più forzano il corpo umano davanti al pubblico che è a sua volta chiamato a
sopportare la visione. Pubblicavano le immagini di dolore e violenza anche su giornali ecc, portandole nelle
case delle persone. Volevano anche sollecitare la capacità di comprensione e consapevolezza del dolore.
Raccontavano le guerre su riviste ecc. (ad esempio guerra del Vietnam). Riferimento ai miti antichi violenti.

Ana Mendieta, artista di origine cubana, (meno forte e violenta nelle sue opere rispetto
agli Azionisti) in Silhouetas coinvolge direttamente il corpo della donna. Il suo corpo è
coperto completamente di fango e, appoggiandosi all’albero, è come volesse diventare
parte della natura. Molte donne sono coinvolte in questi movimenti, e ci sono tante
artiste definibili femministe che con i loro lavori evidenziano le problematiche della
donna (che dopo il boom economico viene definita come casalinga ed impossibilitata ad
entrare nel mondo produttivo maschile). Ana mette il proprio corpo in stretta relazione
con l’ambiente perché la donna è colei che attraverso il proprio corpo, anche dal punto
di vista costitutivo, è maggiormente legata alla dimensione naturale (cicli natura legati al
ciclo mestruale ecc). Eccola quindi creare un rapporto con l’ambiente circostante
naturale. Sono gli anni del femminismo, gli anni in cui si comincia a riflettere sull’identità della donna e il
modo in cui la società trattava la donna negli anni; è un modo per mostrare come la donna partecipa più
dell’uomo ai ritmi della natura e, allo stesso tempo, non è visibile, è nascosta, gli uomini non la vedono (lei
fa riflettere in particolare sulla condizione delle cubane).

Lo stesso lavoro è quello di Marina Abramovic nell’azione realizzata alla galleria


Lucio Amelio di Napoli ne 1972 in cui consente al pubblico di fare quello che si
vuole col proprio corpo, presentandosi nuda al pubblico. In Italia lei ha fatto
diverse performances e diverse mostre. Ci sono reazioni diverse: alcune sono
tenere altre sono invasive (ferirla con le spine di una rosa o pensare di
accoltellarla). L’idea dell’artista è quella di fare leva sulla parte più profonda
dell’uomo, dell’aspettare e di far emergere i suoi lati più profondi. Le sue azioni
poi saranno molto meno violente rispetto a quelle di questi anni, in cui era
necessario per le donne stesse mettere in primo piano la violenza perpetrata nei confronti dell’anima, della
personalità delle donne da parte della società maschilista. Altri esempi sono infatti: assunse farmaci per
epilettici attendendone l’effetto; si fece scorrere sul viso un serpente; lavò un mucchio di ossa di bovino per
otto ore al giorno nel sotterraneo della Biennale di Venezia nel 1997, come a mondare il suo popolo dalle
colpe di cui si era macchiato. Tutte azioni fondate sull’esibizione del massimo auto - controllo, della capacità
di tollerare ogni sorta di paura, umiliazione e fatica. In certe situazioni l’uomo può far emergere il peggio di
sé. E questo avviene generalmente di fronte a persone indifese e specialmente quando si è in gruppo

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(situazione del branco). Lei ha così testato sia la sua forza di sopportazione sia quanto l’uomo si possa
spingere oltre.

In Balkan Baroque (Biennale di Venezia), nel 1997, Marina


Abramovic si era messa per tutto il periodo della mostra su un
mucchio di ossa di animale sanguinolente a lavarle. L’odore che si
percepiva era sgradevole, lo stare lì fisicamente dava fastidio. Lo ha
fatto perché erano gli anni delle guerre nei Balcani e voleva portare
l’attenzione occidentale nei confronti di questa situazione che la
sua patria d’origine stava vivendo. Nelle azioni performative di
Marina Abramovic, nel corso degli anni, è cambiato l’approccio: le
performances delgi anni Settanta mettevano il suo corpo alla prova
in termini fisici, in quelle più recenti invece si vedono azioni più
psicologiche. Negli anni ha anche amplificato la sua capacità di concentrazione.

 differenza con il teatro: Nel teatro contemporaneo prevale al narrazione sulla scena
mentre nelle opere dei performer degli anni 70, quando fanno delle azioni artistiche,
non creano una vera e propria narrazione ma le azioni sono molto lunghe, ripetitive,
noiosissime perché hanno uno scopo diverso. Non è lo scopo di narrar euna storia ma di
far provare un’esperienza anche a chi assiste agli spettacoli.

Gilbert and George, The singing sculpture (1971). Essi si presentavano come delle statue
e, presentando la propria vita (anche nella quotidianità si presentano in questo modo,
vestiti bene ecc.), quando arrivavano i ngalleria si mettevano sul piedistallo e cantavano
creando una scultura che canta, una scultura vivente. In altri casi ballano con un ritmo
ripetittivo, presentando sé stessi come se fossero delle sculture.

Land Art

In questi anni all’interno delle tendenze Anti Form,


che hanno una loro consacrazione pubblica, a una
mostra che si intitola proprio Anti Form e che si tiene
alla Gibson Gallery di New York nell'ottobre del 1968,
ci sono anche degli artisti che cominciano a lavorare
mettendo al centro del proprio lavoro la terra, da qui
appunto il nome Land art. Land Art è il titolo di un
film che Gerry Schum realizzò nel 1969 per
documentare gli interventi artistici di un nutrito
gruppo di autori tra cui Walter De Maria, Michael Heizer, Richard Long e Robert Smithson. È un’arte del
territorio, nel territorio. Il video di Schum è realizzato d aun aereo e riprende dall’alto le opere nell’ambiente
americano realizzate dagli autori.

Si tratta di operazioni che si sviluppano a partire dal 1967 e che rifiutano di chiudersi nei tradizionali spazi
espositivi, per mettersi in relazione invece con l'ambiente e con lo spazio dei grandi territori americani,
abbandonando anche la città e quindi abbandonando gli spazi urbani in gran parte e lavorando invece in
territori sconfinati. Vengono fatte in luoghi deserti, con dei mezzi anche impegnativi dal punto di vista fisico
(si tratta di spostare la terra, creare sculture) che vogliono lasciare un segno artistico nel territorio, mostrare
che l’uomo può intervenire nel territorio senza creare problemi di natura ecologica
(sono gli anni in cui si inizia a parlar edi questo problema). È chiaro che anche in
questo caso riconosciamo una matrice minimalista soprattutto nell’aspetto
concettuale del minimalismo e tuttavia i materiali sono materiali non industriali ma

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prettamente naturali. Si comincia a pensare che la natura può inglobare l’opera dell’artista, la può
trasformare e creare dei problemi.

Michael Heizer in Displaced - replaced mass crea un classico parallelepipedo minimalista scavato nel
terreno, in cui pone un masso. Mostra come l’artista possa lascare dei segni sul territorio, e l’invasività
dell’azione dell’uomo sul territorio. Le Land Arts si sviluppano soprattutto perché legate ai nuovi rischi
ecologici: alcuni artisti mettono proprio l’ecologia al centro del loro lavoro. Egli si ispira alle forme del
minimalismo ma invece che costruire dei parallelepipedi li scava nel terreno.

Heizer in Doppio Negativo: sei tratta di un’installazione ambientale nel deserto del
Nevada, lato Sud. Un canyon in cui l’artista ha creato degli scavi sui due lati con l’idea
di immaginare un collegamento tra i lati. Visti dall’alto sembrano dei graffi fatti da delle
dita gigantesche. È un’opera che come la Spiral Jetty, si inserisce nel solco degli
interventi umani a modica di territori non antropizzati, imitando la grandiosità delle
forme create dalla natura della terra. Crea sempre un parallelepipedo ma in entrambi i
lati di un canyon, lui dà l’impressione che si poss aocntinuare da una sponda all’altra
del canyon.

Queste operazioni, molto spesso, con il passare del tempo, con l’erosione trasformano
queste opere fino ad inglobarle all’interno del paesaggio  aspetto ecologico.

Questi artisti lavoravano con costi elevatissimi e le azioni diventano quasi dei progetti e delle organizzazioni
di carattere tecnico. In alcuni di questi artisti prevale anche la dimensione antropologica, cioè il richiamarsi
ai principi e alle origini della società umana.

Ad esempio, Robert Smithson realizza Spiral Jetty (1970) sulla costa del
lago salato nello Jutah. Si
tratta di una passerella gigantesca a forma di spirale, realizzata con
materiale prelevato da una collina vicina. La spirale è stata scelta come
forma primordiale ed evocativa dei primi processi di vita: ricorda i vortici
nell’aria, i gorghi d’acqua, le chiocciole e le lumache (figura
antropologica, la stessa con cui gli africani costruiscono le prime
abitazioni?), l’avvolgersi dei corpi celesti. La spirale cambia colore a
seconda del periodo temporale; qiuando il lago è arido e c’è poca acuqa tende al bianco, quando ci sono i
“funghi” marini tende al rosa. La grande scultura è un omaggio alla natura e alla natura ritorna: infatti subito
dopo il termine della sua creazione, la superficie materiale della passerella iniziò a essere abitata da
microrganismi che ne fecero il proprio habitat; poi la concentrazione di sale salì al centro rendendo l’acqua
al centro rosa e poi gradualmente viola attorno fino a tornare al colore naturale dell’acqua. Negli anni, la
spirale è stata coperta da un innalzamento del livello del lago, rendendola sempre più abitata da sale, alghe
ecc. Spesso è sommersa e visibile solo da elicottero. Ecco che queste opere hanno anche appunto carenza
economica perché l’ambiente a un certo punto riassorbirà i segni. Sono opere non permanenti ma effimere.

Walter de Maria, The lightning Field: nel deserto del New Mexico colloca una serie di 400
pali di acciaio alti circa sei metri ciascuno (parafulmini), lucide aste verticali che si ergono dal
terreno orizzontale: al caos della natura sottostante si oppone l’ordine dei pali, destinati a
diventare appariscenti quando la luce del giorno o di una notte di luna o di lampi li metta in
particolare evidenza. De Maria registra poi con la fotografia il momento in cui il fulmine
colpisce il terreno e modifica l’ambiente. L’uomo sfrutta anche qui l’ambiente naturale come
elemento estetico.

Due aspetti peculiari:


 Questi interventi non possono essere visti da tutti

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 Possono durare fino ad un certo momento poi scompaiono


Questo fatto, da un punto di vista concettuale, funziona bene, ma per testimoniare queste operazioni
artistiche gli artisti possono fotografare queste operazioni, vendere le fotografie o i progetti (disegni
progettuali) o ancora le registrazioni. Questo vale sia per la land art che per la body art. questo ha
comportato che negli anni Settanta i New Media sono stati riconosciuti come oepre d’arte a tutti gli effetti;
fino a questo momento la fotografia veniva usata dagli artisti ma sempre in modo sperimentale e il mondo
dell’arte non aveva mai accettato come opere d’arte finite le fotografie. Proprio dagli anni Settanta la
fotografia e i lvideo diventano delle vere e proprie opere d’arte.

Questa e quella di Hezier (Double Negative) sono opere che possono considerarsi mai finite, in quanto
accettano di porsi in balia delle modificazioni che la natura imporrà loro.
Christo ha adottato fin da subito il principio di “rinchiudere”, che lo condusse alla sua tipologia di lavori più
nota: impacchettare oggetti rendendone il contenuto al tempo stesso misterioso e valorizzato. L’artista
aveva iniziato a impacchettare oggetti e poi ad ampliare le sue opere nello spazio. Nel 1968 ricoprì il primo
edificio pubblico con corde e fogli di plastica.

Spesso le sue coperture suscitarono scandalo, perché venivano viste come


oltraggio ai luoghi prescelti. Nel 1964 iniziò a lavorare con la moglie Jeanne Claude
ad aumentare la dimensione degli oggetti fino a giungere a territori naturali.
E’ il caso di Valley Courtain in cui ricopre con una sorta di tenda il lato di una
montagna del Colorado. Ha avuto la durata di una notte, perché smantellato dalle
forze dell’ordine. Lui chiude questa grande valle cercando di bloccare i venti che la
caratterizzavano; è durata solo una notte percHé i venti erano talmente forti da
distruggere questa barriera.

Altro lavoro di Christo è stata la Porta delle mura Aureliane a Roma nel 1974: era
stato invitato a Roma a una mostra in quell’anno nel parcheggio di Villa Borghese.
E’ intervenuto impacchettando le mura. Il significato non era quello di togliere alla
comunità la visione di alcuni luoghi della città, ma al contrario di sottolinearli,
destare l’attenzione intorno a certi edifici che si vedono ma non si guardano.
Spesso infatti venivano sottovalutati. È la stessa operazione che fanno gli artisti
della body art che portano sul palco la violenza della società
contemporanea.

Christo e Jeanne-Claude hanno impacchettato anche un tratto di scogliera dell’Australia, a Little


Bay, che era stato colpito da una perdita di petrolio (Wrapped Coast). È staot quindi fatto per
portare l’attenzione su un disastro ecologico che aveva comportato la morte delal fauna e della
flora della costa per diversi mesi. Nel corso di questi mesi, come un gesto di ttenzione nei
confronti della costa, la ricopre con un telo bianco.NB: Sono tutti interventi impegnativi che
necessitano di molta manodopera. Tutti questi interventi cambiavano l’ecosistema del periodo
in cui erano fatti, infatti sono stati più volte criticati. In questo caso il finanziamento
dell’operazione era stata sostenuta da un’azienda australiana che produceva tessuti.

Il metodo di Christo tocca nodi problematici riguardanti il modo di concepire opera e autore:
 E’ difficile stabilire quale sia l’opera: se il risultato finito o il processo che l’ha determinata:
 L’artista progetta strutture raffinate ma effimere, sfidando le modalità tipiche della produzione artistica
 l’opera si propone come un’happening che coinvolge migliaia di persone. Vanno considerate parte
dell’operazione complessiva persino la realizzazione della rassegna stampa o la produzione di corde. Chi
è quindi l’autore? Il concetto di autore slitta da una singola persona a un’intera
collettività.

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Ecologic Art è stata una mostra del 1969 che ha visto protagonisti diversi autori della Land art, a cura di Lucy
Lippard. Se oggi il tema ecologico è sotto gli occhi di tutti, negli anni 70 era un tema nuovo!

Coinvolto in questa mostra anche Peter Huitchinson con il suo Paricutin Colcano Project:
intervento per nulla invasivo ma delicato in cui ha steso molliche di pane lungo il cratere così da
lasciare che il pane fermentasse e cambiasse colore, anche al vulcano stesso. La fermentazione
produce vita, su un luogo come il vulcano in cui non ce ne è. Egli ha portato a spalla in cima al
vulcano tutti gli scarti di pane che sono stati depositati sul cornicione e poi ricopeti sulla plastica
per crear eunas orta di serra (per far creare nell’ambiente una sorta id condensa dell’acqua) e
facendo in modo che si creassero delle muffe che colorassero di giallo il cratere del vulcano.

Agnes Denes, artista che ha realizzato un’azione su uno degli isolotti di Long Island
di fonte e Manhattan (Wheatfield - a confrontaton). Ha portato la coltivazione di un campo di
grano dove c’erano gli scarti dei materiali della costruzione di Manhattan. Da segnale di
speranza in un luogo che era stato abbandonato ed era scarto della società industriale. Era
un’isola artificiale altamente inquinata, realizzata con i resti degli scavi che erano serviti per
costruire grandi grattacieli di Manhattan (terreno arido e inadeguato alla vita). Denes ha
piantumato su di esso un campo di grano fino a fare una mietitura.

Joseph Beuys fu uno dei più interessanti dal punto di vista


dell’ecologia: in 7000 Eichen (7000 querce), in occasione della mostra
Documenta 7, a Kassel (mostra periodica che ogni 5 anni raccoglie la
sintesi delle ricerche fatte in quel moemnto) inizia nel 1982 a portare di fronte al
palazzo dove si svolge la mostra 7000 pietre di basalto. Sono le pietre che servono
per fare l’olio, le ha vendute e per ogni pietra venduta ha piantato una quercia,
creando un bosco. L’azione è conclusa nel 1987 dal figlio Wenzel, ma si tratta in
realtà di un’opera temporalmente indefinita, infatti la sua durata si spingerà
potenzialmente fino a quando sarà viva l’ultima delle 7000 querce di cui parla il
titolo (potenzialmente fino alla fine dell’ecosistema). I 7000 steli di basalto in forma
di prisma, proveniente dalla regione mineraria di Kassel, vengono scaricati nel parcheggio della piazza.
Ciasuna quercia dovrà essere accompagnata da una degli steli e dunque lo spazio in cui sono accumulate le
pietre verrà liberato secondo il ritmo della piantagione degli alberi. Le pietre vengono acquistate dai
collezionisti privati, che quindi finanziano la messa a terra di una piccola quercia nell’area urbana di Kassel:
si tratta di un luogo estremamente simbolico, poichè la città è stata centro di produzione di armi belliche
per la Germania. Per questo motivo viene rasa al suolo durante la Seconda guerra mondiale. In questo
modo, Beuys parla della necessità di una nuova e duratura alleanza tra uomo e natura, ma anche della
necessità di eliminare le guerre e trasformare le energie distruttive in occasioni di costruzione per la società.
Oggi sono tutte state piantate. Beuys in Italia, in Basilicata realizza In difesa della natura.

Tra gli italiani anche Giuliano Mauri che in un’azione del 1975 ha esposto una serie
di teli bianchi lungo un filario nelle campagne lodigiane: voleva ripotare
nell’estetica dell’arte le immagini del lodigiano in cui le donne stendevano al sole le
lenzuola. Realizza anche molte opere usando materiali trovati sul territorio come gli
scarti della natura (rami caduti ecc) come, ad
esempio, in una grande cattedrale (fa parte
dell’operazione Montesella a forte impronta
ecologica a cui partecipano più artisti).

In la cattedrale vegetale (realizzata per Arte Sella, operazione di arte


ambientale) ha creato una cattedrale usando solo i materiali trovati
nella zona.

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Arte povera

La corrente dell’Arte povera è la più importante che si è sviluppata in Italia nei tardi anni
’60. Il nome è stato dato dal critico Germano Celant, in riferimento al Teatro Povero
inventato da Jerzy Grotowsky, in occasione della mostra Arte Povera del 1968 alla galleria
de’ Foscherari. È il gruppo italiano che ha avuto riconoscimento internazionale fin da
subito. Celant intuisce che alcuni artisti italiani in quel periodo facevano lavori utilizzando
materiali poveri.
Aspetti principali sono: insistenza sull’energia primaria come fonte di ogni creatività, sulle
attitudini individuali, sulla riflessione delle condizioni prime dell’esistenza di cui le opere
risultano lo specchio. In questo modo si intendeva condurre una guerra contro l’estetica,
ma anche contro l’etica e la politica dominanti.

La corrente ha riunito artisti che usano materiali industriali ma non tipici, anzi innovativi per la storia
dell’arte, che si occupano di temi legati all’ambiente e alla politica, si mettono in relazione con la società. Ci
si apre alla realtà della vita quotidiana. Questo tipo di apertura in realtà poi non è compresa completamente
dalla società contemporanea e rimane a livello elitario, ma lo scopo era proprio quello di mettersi in
rapporto con la gente comune che non andava a vedere i musei. Ecco che il nome nasce dall’unione degli
artisti nell’uso di materiali poveri e semplici, della vita quotidiana.

Le origini si possono riscontrare nelle ricerche di Lucio Fontana, Piero Manzoni e Pino Pascali; nel tema
dell’abitare come esigenza esistenziale messo a fuoco di Carla Accardi o nella ricerca di semplificazione di
Francesco Lo Savio.

Il clima che vediamo qui e apparitene anche ad altri artisti - come Morris, Beuys - si riassume tra il 68/69 in
alcune grandi mostre internazionali a cui partecipano anche gli artisti dell’arte povera italiana. E’ il primo
movimento artistico dopo il futurismo a livello internazionale.

Importante la mostra che si tenne nel 1969 al museo di Berna, "When Attitudes became form”, a cui
partecipano tutti i protagonisti anche della Conceptual Art e Land art, fu curata da Harald Szeemann,
uno dei primi curatori nel senso moderno del termine. Nello stesso anno Germano Celant pubblica il libro
Arte Povera in cui gli artisti italiani sono affiancati ai colleghi europei e americani. Successivamente altre
mostre importanti celebreranno questi artisti a livello internazionale.

Come si vede nella foto, sullo sfondo della mostra Arte Povera c’è un’opera di Pino Pascali realizzata in terra
alla quale è sovrapposto un lavoro di Luciano Fabro in ferro (ne deriva una struttura appesa con aspetto
precario).

Mario Merz, torinese, è partito da una formazione pittorica. Rapidamente superata la sua fase informale, ha
iniziato a lavorare sui fondamenti della vita come processo sia biologico
che storico. Tra questi, l’abitare, che è stato rappresentato nelle diverse
varianti dei suoi igloo, scelti da lui per la loro essenzialità:
architettura infatti semplice, auto - portante, che a parità di superficie
necessita della copertura meno estesa ed è comunque più facile da
riscaldare.

Qui vediamo l’igloo Ezra Pound del 1983 (omaggio al poeta Pound),
realizzati con materiali poveri. Gli igloo non sempre possono essere
conservati con i materiali originari e quindi vengono spesso ricostruiti. La
superficie è di carta pesta e sopra ci sono dei versi del poeta, all’esterno

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invece lastre di plexiglass bloccate da dei morsetti.Merz riprende le prime forme d’abitazione dell’uomo,
aspetto antropologico; vuole sottrarsi e contrastare il potere economico della società dei consumi,
esaltando la manualità delle lavorazioni e le imperfezioni in contrasto al processo produttivo industriale.
Ecco che questi lavori, evocano il minimalismo in un certo senso ma in realtà lo contraddicono perché sono
creati con materiali non industriali o al massimo artigianali.

Oltre a Mario Merz anche Alighiero Boetti che usa l’ironia per fare arte e attirare
l’attenzione dello spettatore.
In Io che prendo il sole a Torino il 19 gennaio 1969, richiama la Land art. Egli rende
minima l’azione dell’artista. L’artista ha costruito il proprio corpo con una serie si
pallottole di cemento fatte a mano su cui ha lasciato le impronte delle dita: un corpo
intero viene fatto da innumerevoli atomi identici. L’artista ha sempre lavorato su
operazioni ossessive come la moltiplicazione, lo sdoppiamento, la disposizione
simmetrica di elementi identici e standard. Sagoma realizzata con semplici sassi
prelevati da un fiume lì vicino: provocaizone ma crea anche legame tra il corpo
dell’artista e la natura di cui fa parte.

Lavora molto sulla sua figura, usa spesso anche il suo volto e le sue foto ecc; lavora molto anche sulla
dimensione della mappa (altri lavori in cui da una visione del mondo mettendo in luce lo sfruttamento del
capitalismo delle grandi potenze di allora (USA e URSS), del mondo occidentale sul terzo mondo). Nelle
mappe la natura geologica si incontra con quella politica, infatti ogni nazione è rappresentata con i colori
della sua bandiera.

Jannis Kounellis è giunto in Italia a 20 anni ed è noto per la sua attitudine e bravura a disgregare i segni
grafici e a ridurli alla massima semplicità. Cercando nei fondamenti della pittura un linguaggio che sintetizza
la civiltà e dunque l’epica collettiva, egli si è dedicato a forme e materiali che costituiscono immagini basilari
nella vita di tutti i giorni del contesto occidentale.

In Sacchi e semi del 1969: sacchi e semi di popolazioni del terzo mondo
che vengono sfruttate dalla pratica di coltivazione dei grandi capitalisti
americani. Egli fa riflettere sulla sperequazione tra mondo occidentale e
terzo mondo, facendo delle installazioni in cui utilizza sacchi di materie
prime alimentari fondamentali che arrivano dai territori dell’Africa sfruttati
dai capitalisti,

Michelangelo Pistoleto, La venere degli stracci (1969) evidenzia il tema del rifiuto,
collocando la venere di Milo di spalle che guarda una massa di stracci.
NB: Pistoletto condanna la società dei consumi: i primi segnali di un qualcosa che non va
(oggi è molto peggio la situazione) vengono dati dagli artisti, che spesso ci vedono lungo e
soprattutto in modo spontaneo. Nel consumismo c’è anche lo scarto della storia dell’arte.
Questo lavoro di Pistoletto ancora oggi suscita delle domande, in realtà è molto
intelligente e mette in luce un problema della contemporaneità. Il calco di una venere
bianca e ordinata da un canone proporzionale e preciso, si contrappone a un cumulo di
stracci disordinato. Il passato formato dalla figura si relaziona al presente, il neutro al
multicolore, l’eterno al transitorio. Pistoletto ancora oggi è molto attivo con la sua
fondazione a Biella, che ha una forte componente sociale e si occupa di problemi riguardanti la società
contemporanea. Nella fondazione, diversi uffici si occupano di varie tematiche, anche coinvolgendo i giovani
e lasciando segni forti nelle nostre città.

Ad esempio, la mela di fronte alla stazione centrale di Milano: è la mela di Apple, rattoppata da Pistoletto
dove c’è il morso. E’ una metafora che indica il voler contrastare la violenza non tanto del marchio specifico
(un marchio come un altro in realtà) ma del capitalismo sulla contemporaneità; ed è un po’ come se

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Pistoletto volesse proteggere l’uomo con quella toppa. Gesto anche di carattere politico. Invece che lasciare
il morso, lo richiude mettendo una toppa: idea di andare a ricostruire l’identità dell’uomo contrastando lo
strapotere del consumismo. La stazione centrale è il luogo dove meglio emerge il problema a cui porta il
capitalismo (presenza di persone emarginate9.

I fondamenti dell’atto artistico (linguaggio, autore, tradizione, metodi) sono stati sondati da Giulio Paolini,
che è forse l’arista più concettuale tra questi, perché il suo lavoro è relativo soprattuto al potere
dell’immagine. Alla Biennale di Venezia ha esposto delle tele bianche rovesciate per svelare la falsità della
pittura, mettere in luce come in realtà dipingere sia una falsificazione del reale. Per lui lo è anche l’uso di
altri mezzi di riproduzione dell’immagine come la fotografia.

In L’invenzione di Ingres del 1968, mostra un ritratto di questa donna fotografato e


posizionato falsato cosi da rilevare una sorta di sovrapposizione di ombre: immagine non
veritiera. Critica il concetto di veridicità della fotografia. Egli sovrappone due fotografie: la
fotografia del ritratto di giovane di Lotto con la fotografia della copia del ritratto di Lotto fatta
da Ingres; egli mostra lo scarto che c’è tra uno e l’altro.

Giulio Paolini, Mimesi, 1974: sullo sfondo delle tele rovesciate e di fronte, in mezzo alla
stanza, due copie di statue antiche poste una di fronte all’altra che si guardano.
Concettualmente è l’idea dell’arte antica che guarda se stessa. Il riflettere dell’arte di se stessa, che è centro
di molte riproduzioni artistiche di molti di questi protagonisti degli anni 60/70.

Giuseppe Penone, Trattenere 7 anni di crescita: lavoro più ecologico e attento all’aspetto della
vita del contadino e delle sue pratiche di coltivazione. Usa matrici della propria mano fuse nel
bronzo per inserirle in degli alberi, e fa ciò che con la tecnica dell’innesto (che i contadini usano
per migliorare la qualità della pianta). In 7 anni di crescita la matrice viene inglobata sempre di
più e simboleggia l’intervento dell’uomo, la violenza sulla vita della natura. Ispirandosi
all’innesto che si fa in coltivazione, inserisce il calco della propria mano in un albero in bronzo;
per realizzare quest’opera ci vogliono 7 anni. Penone lavora molto sul tema della natura e su
come l’uomo la possa modificare.

Luciano Fabbro ha indagato sulla capacità dell’uomo di plasmare il suo ambiente. In Italia d’oro
(1971) evidenzia il tema della questione meridionale: Nord Italia che sfruttava le risorse del sud
ma senza potenziarle, e il processo di trasferimento di molte persone dal sud al nord. Per
mettere in luce questi problemi, sensibili al momento nella società italiana, mostra un’Italia
rovesciata dove il nord diventa il sud e viceversa, e di sfondo una tipica periferia torinese in cui
le persone del sud si trasferivano in cerca di lavoro e per costruirsi una nuova vita. L’Italia d’Oro
è ‘Italia dell’economia verso la quale tendono le popolazioni meridionali per non trovare poi
grande fortuna.

 da fare fino al postmoderno (anni Otanta).

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