Sei sulla pagina 1di 4

NASCITA, EVOLUZIONE, VALORIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI.

Al giorno d’oggi si discute molto sul patrimonio culturale di un Paese o di una nazione, ma è
complicato cercare di definire un concetto che si è evoluto nel tempo abbracciando ambiti
differenti.
Il patrimonio culturale corrisponde all’eredità di un popolo, alla memoria tangibile ed intangibile di
ciò che l’uomo ha creato e trasmesso ai posteri; in altre parole è l’insieme dei beni culturali di un
paese.
Come afferma Alibrandi (1998), la nozione di bene culturale «non ha valore puramente
nominalistico. Per un verso, infatti, in quanto rappresenta una istanza di reductio ad unitatem di
diversificate nomenclature, essa esprime anche e, dialetticamente, convalida una spinta concettuale
alla considerazione il più possibile unitaria della materia».
L’elenco dei beni culturali è molto lungo: esso infatti comprende una notevole quantità di “oggetti”
come quadri, statue, manoscritti, ma anche di edifici e persino centri urbani o aree archeologiche.
Sul versante dei beni culturali il codice, all’art. 2 comma 2, li qualifica come «le cose immobili e
mobili che, ai sensi degli art. 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico,
etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla
legge quali testimonianze aventi valore di civiltà».
Infine vi sono beni che non appartengono alle categorie precedenti: auto d’epoca, navi, mezzi di
trasporto che abbiano più di settantacinque anni; strumenti scientifici che abbiano più di 50 anni;
lapidi, tabernacoli, iscrizioni (categorie speciali).
Fin dall’antichità Greci e Romani credettero nell’importanza della tutela delle opere artistiche ed
architettoniche; tuttavia a partire dal XVI secolo si avviarono i primi veri e propri interventi per la
salvaguardia del patrimonio artistico ed archeologico, grazie agli interventi dello Stato pontificio.
Nel 1945 è stata istituita l’Organizzazione delle Nazioni Unite (UNESCO) al fine di promuovere la
cooperazione nel campo culturale ed educativo. Per realizzare questi obiettivi, l’UNESCO si
propone di dare nuovo impulso, da un lato all’educazione popolare e, dall’altro alla diffusione delle
conoscenze scientifiche e culturali assicurando la conservazione di libri, opere d’arte, monumenti e
lo scambio internazionale di specialisti e scienziati.
Nel 1974 il governo italiano istituì il Ministero per i Beni culturali e Ambientali (d. P.R. 805/1975)
su iniziativa del senatore Giovanni Spadolini, che ne fu anche il Primo Ministro riunendo sotto la
propria competenza alcune funzioni prima divise fra il Ministero della Pubblica Istruzione
(Direzione delle Antichità e Belle Arti, accademie e biblioteche), il ministero degli Interni (archivi
di Stato) e la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Il tema dei beni culturali è stato oggetto nel corso degli ultimi vent’anni di riforme che vanno dal d.
lg. 169/1998 con cui il ministero di settore è stato rinominato come Ministero per i Beni e le
Attività Culturali al 1999 con l’avvento del Testo Unico (d. lg. 490/1999) che riunisce in 166
articoli tutta la legislazione in materia di beni culturali e ambientali, offrendo un quadro ampio,
chiaro e coerente che razionalizza provvedimenti disomogenei e contraddittori. Inoltre, esso ha
dedicato particolare attenzione ai temi della conservazione e del restauro e ha individuato i ruoli e le
competenze che Stato, enti locali e privati, devono dividersi per la salvaguardia, la valorizzazione e
la conoscenza dei beni culturali.
Tuttavia, non si può fare a meno di considerare le predette valutazioni alla luce dell’attuale contesto
in cui versa la società dei consumi in quanto le testimonianze della civiltà sono ben lontane da una
logica di comprensione e di fruizione da parte di una società consumista dove il valore mercantile
ha sostituito il godimento estetico.
Non si tratta di ignorare il valore testimoniale del patrimonio-artistico-paesaggistico-ambientale, ma
di qualcosa di più devastante ovvero l’incapacità di rapportarsi alle manifestazioni più elevate della
spiritualità creativa e di assimilare i contenuti al fine di migliorare la qualità dell’esistenza.
Pertanto Morin (2005) ricorda come «L’immaginario si struttura secondo alcuni archetipi: ci sono
dei modelli guida dello spirito umano, che ordinano i sogni, e particolarmente quei sogni
razionalizzati che sono i temi mitici o romanzeschi (…) L’industria culturale persegue la
dimostrazione a suo modo, riducendo gli archetipi in stereotipi».
In sede di formulazione del Trattato costituzionale europeo non si possono non considerare le
“radici cristiane” dell’Europa in quanto sono considerate parte integrante della storia geopolitica
europea.
L’ordinamento italiano, oltre alle varie istanze per la tutela dei beni, ha accolto un’accezione
teleologica esaltando le potenzialità in termini di fruizione e di sfruttamento.
L’art. 2 comma 4, sancisce che «I beni del patrimonio culturale di appartenenza pubblica sono
destinati alla fruizione della collettività, compatibilmente con le esigenze di uso istituzionale e
sempre che non vi ostino ragioni di tutela». Una scelta che pone rimedio al rischio che la
frammentazione delle competenze formi un differenziale in seno all’apparato delle responsabilità e
dei meccanismi di controllo, da parte dei soggetti preposti alla conservazione dei beni.
Quanto alla valorizzazione, secondo l’art. 6 del Codice, consiste nel qualificare tanto l’esercizio
delle funzioni quanto della disciplina delle attività dirette alla promozione della conoscenza del
patrimonio culturale, definisce sotto un versante funzionalistico, il coacervo di attività volte ad
assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio. In risposta ad
una viva vox costitutionis diretta a rispondere all’art. 9 della Carta che, nel declinare un ruolo attivo
della Repubblica in sede di tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione, mira ad esaltare la
capacità del valore culturale ad influire sul sistema Paese.
Tutto ciò delinea un modello basato sulla rilevanza storica e sociale, prima ancora che economica,
dei beni culturali, che consente un rapporto biunivoco tra comunità identitarie di riferimento e
società, ingenerando un riequilibrio dei rapporti di collaborazione tra gli entri e società civile.
In conseguenza di ciò, secondo Porter (1999), la promozione e la gestione del patrimonio culturale
possono assumere le vesti di fattore utile per determinare una differenziazione per gli enti il cui
territorio presenta un’offerta quantitativamente e qualitativamente rilevante di questi beni, con un
effetto consequenziale sulle economie di scala.
Nella prospettiva descritta, le politiche di promozione territoriale paiono volte a captare tutte le
realtà culturali e le specificità locali ponendole in un quadro di sistema.
Ciononostante, dinanzi ad un bene culturale inteso nel termine di risorsa/servizio da rendere fruibile
al consumatore/utente di cultura, la ponderazione degli interessi dell’attività amministrativa nel
settore della cultura deve perseguire l’interesse generale ad una diffusione concreta e funzionale
della conoscenza esaltando le testimonianze storico/artistico/architettoniche e che importa un
contemperamento con il versante valorizzativo.
Tutto ciò al fine di fornire una possibile soluzione alla eventuale incapacità di intervento delle
amministrazioni che spesso ha portato a relegare le dotazioni di particolare pregio in una sorta di
limbo in termini di fruibilità da parte del grande pubblico.
Dall’analisi emersa scaturisce, dunque, l’immagine strutturale di una valorizzazione che, dinanzi
alla propria attitudine dinamica e connotata si radica rispetto ad un fine certo e determinato dal
legislatore del codice, vale a dire la tensione di queste attività per garantire la fruizione pubblica del
patrimonio culturale.
Pertanto, nel presente lavoro appare chiara la tensione normativa a dare del bene culturale una
lettura, oltre che ammantata dalle istanze di conservazione, altresì compendiata dalle esigenze di
valorizzazione.
Tuttavia, tale istituto, nella sua complessità e ricchezza di contenuti si scontra con le istanze sociali
o per lo meno con quelle che sono le tendenze in atto a livello sociale, posto che secondo D’addino
(1993), «le ragioni prime delle nostre difficoltà sono da ricercarsi in più generali aspetti della vita
moderna crisi di civiltà e di cultura».
Il nostro patrimonio artistico e culturale ci permette di rimanere connessi a tutto ciò che ci ha
preceduto anche perché come scrive Tommaso Montanari «Il patrimonio artistico e il paesaggio
sono il luogo dell’incontro più concreto e vitale con la generazione dei nostri avi».
Bibliografia

Alibrandi T. (2002), “Il bello della tutela” Il Manifesto


Alibrandi, T., & Ferri, P. (1978), “I beni culturali e ambientali”, Milano: Giuffrè.
G. Nifosì ed E. Tommasi (2010), “I beni culturali e ambientali”, Laterza&Figli, Roma.
M.E. Porter, Il vantaggio competitivo delle nazioni, Milano 1991; ed. orig., The Competitive
Advantage of Nations, New York 1986. Sul versante della valenza economica dei beni culturali si
vedano ex multis, F. Forte e M. Mantovani, Manuale di economia e politica dei beni culturali,
Soveria Mannelli 2004.
Morin, E. (2005).
MORIN, Lo spirito del Tempo, Roma: Meltemi.
P. Serravalle D’Addino, “I beni culturali: la tutela italiana nel contesto europeo”, Napoli, 1993.
P. Serravalle D’Addino, “I beni culturali: la tutela italiana nel contesto europeo”, Napoli, 1993.
R. Rolli e D. Siclari, Codice dei beni culturali e del paesaggio, Roma 2016.
Tomaso Montanari, “Istruzioni per l’uso del futuro. Il patrimonio culturale e la democrazia che
verrà”.

Potrebbero piacerti anche