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Allegra Colombo
Beatrice Mascheroni
Monica Faini
Veronica Naccari
Editoria
“Non solo la progettazione grafica
della copertina di un libro o
di un serie di libri, ma anche
la progettazione del libro stesso
come oggetto e quindi:
il formato, il tipo di carta, il colore
dell'inchiostro in rapporto al colore
della carta, la rilegatura, la scelta
del carattere tipografico secondo
l'argomento del libro, la definizione
della giustezza del testo in rapporto
alla pagina, la posizione della
numerazione delle pagine, risguardi,
il carattere visivo delle illustrazioni
o fotografie che accompagnano
il testo, e via dicendo."
Creative Consultants
Prof. Daniela Calabi
Prof. Cristina Boeri
Prof. Raffaella Bruno
“L’insostenibile leggerezza di
una matita”
U. Eco
pag. 28
INDICE
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Immagini in trasformazione
3
Ingannare il tempo
4
Superare i limiti
“Intorno alle invenzioni “Con mio padre a Panarea” “La libertà è il limite”
plastiche di Munari” A. Munari M. Meneguzzo
C. Cerritelli pag. 52 pag. 70
pag. 34
“I fossili del 2000” “Munari e il suo metodo”
“Macchine inutili” R. Pinto F. Agrifoglio
L. Zaffarano pag. 56 pag. 73
pag. 40
“Orologio tempo libero” “Le macchine aritmiche”
“Nello spazio” A. Mendini L. Zaffarano
M. Hàjek pag. 58 pag. 76
pag. 43
“Sveglia ora X” “Illeggibile leggibile”
“Mostre in baule” A. Pigionatti E. Mussani
F. Vaccari pag. 60 pag. 80
pag. 46
“Scritture illeggibili di popoli “Il dizionario dei gesti italiani”
“Arte programmatica e sconosciuti” M. Gentili
cinetica” G. Lussu pag. 83
B. Munari pag. 62
pag. 47
“Volto degli antenati”
“Negativo-positivo” R. Grensci
M. De Giorgi pag. 65
pag. 48
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Segni nello spazio fatti con la luce, primi anni ‘50, tratta da Omaggio a Bruno Munari, 1999
AUTOBIOGRAFIA
Quello nato a Milano nel 1907
Quello delle Macchine inutili del 1930
Quello dei nuovi libri per bambini del 1945
Quello dell’Ora X del 1945
Quello delle Scritture illeggibili di popoli sconosciuti del 1947
Quello dei Libri illeggibili del 1949
Quello delle Pitture negative-positive del 1950
Quello delle Aritmie meccaniche del 1950
Quello Proiezioni a luce polarizzata del 1952
Quello delle fontane e dei giochi d’acqua del 1954
Quello delle Ricostruzioni teoriche degli oggetti immaginari del 1956
Quello del Portacenere cubico del 1957
Quello delle forchette parlanti del 1958
Quello delle Sculture da viaggio del 1958
Quello dei Fossili del Duemila del 1959
Quello delle Strutture continue del 1961
Quello della Lampada di maglia del 1964
Quello delle Xerografie originali del 1964
Quello degli Antenati del 1966
Quello del Corso di design alla Harvard University USA del 1967
Quello della Flexy del 1968
Quello dell’Abitacolo del 1971
Quello dei Giochi didattici di Danese
Quello dei colori delle Curve di Peano del 1974
Quello dei Messaggi tattili per non vedenti del 1976
Quello dei Laboratori per bambini al museo del 1977
Quello dell’Olio su tela del 1980
Quello dei Vilipesi del 1981
Quello degli Ideogrammi materici del 1993
Quello premiato col Compasso d’oro, con una menzione onorevole della
Japan Design Foundation per l’intenso valore umano del suo design
Quello del premio Andersen per il miglior autore per l’infanzia
Quello del premio Lego
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Design in movimento
L’arte e il design di Munari hanno conquistato il mondo, dopo essere stati esposti
in tutta Italia. Ci sono però dei paesi che a loro volta hanno conquistato lo stesso
Munari, primo tra tutti il Giappone.
La mappa qui di lato rappresenta i principali paesi in cui Munari ha esposto e
attraverso l’applicazione AURASMA si è voluto renderla viva, aggiungendoci dei
contenuti multimediali (attraverso marcatori rossi).
Segui le quattro semplici ISTRUZIONI qui di seguito per poter accedere ai con-
tenuti speciali:
1) scarica l’app AURASMA sul tuo smartphone o su un dispositivo mobile
dotato di connnessione internet;
2) accedi ad essa ed iscriviti al canale “design in movimento - Munari”;
3) inquadra la mappa sopra i marcatori rossi;
4) goditi la straordinaria cultura di Munari!
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Legenda
COMO
VENEZIA
Mu-nari: creare dal nulla
Il fatto che Munari in giapponese significhi "fare dal nulla" mi sembra una bella
coincidenza.
Conoscevo bene Munari; ci vedevamo spesso in tempi antichi, quando parlavamo
di astrattismo e cose del genere, e Munari, sempre, con quel suo permanente sorri-
so un po' da bambino, cercava, appunto, di cominciare da zero; cercava sempre di
capire che cosa potevano essere i simboli, le suggestioni, l'alfabeto sul quale poter
poi impostare, forse, discorsi lunghi.
Partire da zero era un po', secondo me, la sua ossessione e lo zero cercava di trovar-
lo un po' corrodendo con il suo sorriso perplesso, con il suo humor estatico, tutto
quello che non era zero, e un po', questo zero, lo cercava stando con i bambini,
osservandoli anche osservando se stesso nel momento in cui si confrontava con quel
tanto di germinale che l'infanzia possiede nei confronti dell'esistenza e dell'universo
intero.
Credo proprio che Bruno Munari fosse un po' il signor Mu-nari: quello che cerca
di "fare qualche cosa dal nulla" .
Ettore Sottsass
Su Munari, 1999
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CREATIVITÁ
COME METODO
CREATIVITÀ COME METODO
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Bruno Munari nella sua casa-studio a Milano seduto sulla poltroncina
realizzata per un night club, 1975, da arcchivio fotografico online
re più inventivo, più gaio. Non ha ceduto alla no- ti: tutti coloro, dice con ironia Munari, che oggi
stalgia del passato, ma si è immerso nel presente comprano e consumano, e che vanno quindi sot-
«cercando di estrarre un po’ d’ordine dal caos». to l’antipatico nome di “fruitori”.
Ma soprattutto s’è convinto che la caratteristica C’è, per esempio, una lampada bianca che pende
della nostra epoca non è più la soggettività, ma dal soffitto con la naturalezza d’una fresca colata
l’oggettività pura: vale a dire la ricerca di un’im- di neve. Ci sono manifesti dove le scritte hanno
magine il più possibile chiara, semplice e acces- caratteri vividi, color turchese o amaranto, d’un
sibile a ognuno. bel rilievo corposo. Ci sono oggetti d’arte cineti-
La sua casa-studio, del resto, è la dimostrazione ca che, una volta avviati, compongono bizzarri
più eloquente di questo atteggiamento. È alta sui giochi di luce per la delizia dei «fruitori».
tetti, chiara, con le nuvole che passano leggere Ci sono piccole sculture componibili, in serie,
oltre le finestre, e un terrazzo pieno di ciuffi ver- per nulla «seriose», ma dall’allegro aspetto di
di, vasi, alberelli. Ha pochissimi mobili, e nes- gioco. C’è infine una poltroncina molto como-
sun visibile strumento di lavoro, come cavalletti, da, che presenta un giusto alternarsi di pieni e
tele accatastate, tubi di colore, pennelli, pacchi di vuoti, cosicché il corpo vi s’adagia nel modo
di materiali. Non ha quadri alle pareti, né pezzi migliore e riposa.
unici che decorino gli angoli. Ha, invece, disposti Fermiamoci alla poltroncina, tanto per capir
qua e là, certi oggetti creati da lui che portano meglio il metodo di lavoro di Munari. «Per me
il suggello di un discorso semplice, rivolto a tut- una poltroncina», spiega subito col suo umore
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CREATIVITÀ COME METODO
gaio, facendomela delicatamente ruotare su se che io giudico una delle mie cose più riuscite».
stessa, «può avere lo stesso valore di una cosa Questo, in poche parole, è il metodo di lavoro
d’arte. Purché sia progettata secondo un certo del moderno designer: creare nel rispetto degli
metodo. Purché raggiunga una forma di natu- altri, nell’osservazione dei bisogni di oggi, sia in-
ralezza dettata dalla semplicità e dall’economia dividuali che industriali. Evitare di dar corda al
costruttiva. Come ho fatto in pratica? Ecco: proprio capriccio, alla propria aspirazione segre-
quando quel certo night-club me la ha commis- ta di artista deluso, e mettersi, invece, al servizio
sionata, io mi sono preoccupato prima di tutto della comunità.
di fare un progetto che andasse incontro alle esi- Per meglio puntualizzare il suo metodo, Bruno
genze del pubblico, dei camerieri e del proprie- Munari ha progettato addirittura una sorta di
tario del locale. Così ho fatto un’inchiestina dalla scherzoso libriccino, per metà grigio e per metà
quale è risultato che il cliente voleva una poltron- rosa-salmone, dove da un lato sono allineate le
cina comoda e girevole, i camerieri la volevano virtù dell’artista e dall’altro quelle del designer.
leggera, sovrapponibile e lavabile, e il padrone la Veniamo così a sapere che le prerogative dell’ar-
voleva più piccola possibile e di un costo limita- tista sono, ad esempio, l’ispirazione soggettiva,
to. Allora ho messo insieme queste varie esigenze il disprezzo del pubblico, la cultura classica, il
e ho cominciato a lavorare, scegliendo del ferro divismo, i giudizi di bello e di brutto, la produ-
cromato e un colore grigio per il rivestimento. per trarne fuori forme utili e soluzioni giocose.
Così è nata questa sedia, che è comodissima e Nessuno, infine, sembra più immune di lui dai
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Bruno Munari nella sua casa-studio a Milano con scultura multiplo
Aconà Biconbì, 1988, da arcchivio fotografico online
vizi tipici dell’artista odierno: l’inquietudine, la insignificanti come forbici, il righello, le matite,
nevrosi, l’insoddisfazione di sé. Come mai? Che i quadratini di plastica o di latta), significa che
cos’è che lo rende diverso dagli altri? «La verità la lunga fase dell’osservazione è già avvenuta e
è che io mi sono sempre preoccupato molto di che il frutto è pronto per saltar fuori: perfetto e
muovermi nel modo giusto», spiega allegro Mu- in un attimo. «Io direi addirittura che la maggior
nari. «E così, invece di barare facendo dell’arte fatica che ho fatto è stata quella d’allenarmi a
pura (che poi diventa commerciale), ho prefe- questa immediatezza. Sono come un acrobata
rito mettermi a fare addirittura della vera arte che salta sul filo e non si vede lo sforzo che fa.
commerciale: cioè del disegno industriale, della L’impressione di freschezza che danno i miei la-
grafica». vori nasce proprio da qui». E subito aggiunge:
Ha quasi sessantadue anni, ma ne dimostra «Crearsi un hobby che faccia da contrappeso al
molti di meno perché è rimasto fresco com’era lavoro secondo me è una sciocchezza. Bisogna
prima, un po’ mimo e un po’ fanciullo. Dice alle- invece fare il contrario: trattare il proprio lavoro
gramente: «Io credo che uno che vive di progetti come un hobby».
resti giovane». Lui, appunto, ha scelto la perenne
gioventù dei progetti. Lavora molto, ma il suo la- Grazia Livi
voro ha una strana particolarità, che non si vede Epoca Epoca, 1968
se non nei risultati. Quando Munari si mette al
suo tavolo (ed è un tavolo piccolo con strumenti
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un libro.”
760, 1994
“Ogni libro è letto ma
ogni letto non è anche
Bruno Munari nella sua casa-studio a Milano seduto sul letto del sua Abitacolo mentre legge uno
del suoi Prelibri indossando gli Occhiali Parasole, da arcchivio fotografico online
La realtà va
presa in giro
Bruno Munari mi ha insegnato che il progetto è devono riferirsi, sono cose di cui il contenuto in-
una cosa che nasce nella testa, è una cosa legge- trinseco, la materia, la preziosità dei metalli, la
ra impalpabile, area ma molto concreta, molto levigatezza delle superfici, la forma non contano
tangibile, molto comunicabile, tremendamente niente.
contagiosa. Perché sono altre le cose che contano, sono le
Con le sculture da viaggio, le macchine inutili, i idee, sono gli entusiasmi, le speranze e i desideri
libri, le forchette che parlano, gli occhiali di carta e Bruno Munari sapeva mettere queste cose den-
e poi di seguito tutto il suo lavoro, mi ha insegna- tro tutte le sue cose che non sono cose. È la forza
to che la realtà non serve a niente, non è per nul- di chi sa pensare diverso.
la funzionale né alcuno riuscirà a renderla tale,
la realtà va pesa in giro, può a malapena servire
a riderci un po’ su.
Mi ha insegnato che i progetti non necessaria- Michele de Lucchi
mente si riferiscono a cose o che anche, se a cose Su Munari, 1999
Forchette Parlanti, Bruno Munari, 1964, da Leforchette di Munari
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CREATIVITÀ COME METODO
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Schema: dal problema alla soluzione, Bruno Munari , da Da cosa nasce cosa
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CREATIVITÀ COME METODO
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CREATIVITÀ COME METODO
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CREATIVITÀ COME METODO
L’insostenibile leggerezza
di una matita
Questo è un ricordo, il ricordo di quando ho la- fatto impaginando libri illustrati. In quegli anni
vorato con Bruno Munari, tra la fine degli anni si era fatta una “Storia figurata delle invenzio-
Cinquanta e buona parte degli anni Sessanta, ni”, poi prodotta in nove lingue, alcuni volumi di
alla casa editrice Bompiani dove io ero redat- storia delle civiltà per i giovani, e altre cose del
tore e lui consulente grafico parziale, nel senso genere. Il libro aveva testo, illustrazioni e dida-
che non si occupava dell’immagine globale della scalie, è naturale, ma tutto doveva procedere in
casa, ma di alcune cose, per esempio gli Alma- parallelo, ogni pagina doveva essere una macchi-
nacchi. na comunicativa particolare, diversa dalle altre,
Le copertine fatte da Munari per la Bompiani dove la disposizione delle figure doveva riflettere,
non sono così identificabili come quelle fatte per o anticipare, quello che chiamerei il ritmo con-
la Einaudi, per una semplice ragione. Munari cettuale del testo. Munari non leggeva il testo,
sapeva che alla Einaudi gli prendevano la coper- se lo faceva rapidamente raccontare per cogliere
tina così come l’aveva fatta, e invece Bompiani il concetto centrale, poi metteva le mani in uno
(che di copertine ne aveva azzeccate molte in vita scatolone in cui, per lo stesso soggetto, avevamo
sua) ci metteva il naso, prendeva le forbici e la preparato almeno una ventina di immagini pos-
colla, ci radunava in quattro per discutere due sibili. Lavorava rapidamente, scartava delle foto,
ore sull’abbassamento di un titolo, insomma una ne teneva ferme delle altre sotto il raggio dei suoi
copertina da Bompiani costava, in tempo, lucro occhialini quasi mongoli. Diceva “tagliamo qui,
cessante e stipendi, come la produzione di un prendiamo solo questo particolare, e lo mettia-
volume Treccani (però ci si divertiva). E quindi mo qui”. Poi segnava un punto sul foglio con la
Munari che conosceva il suo uomo, le copertine matita, esilissimo.
le schizzava giù, pronte per la modificazione, con Munari faceva tutto in un secondo, oggi si direb-
gaio scetticismo. Il vero lavoro con Munari l’ho be virtualmente, a occhio, posava la matita sul
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foglio e la pagina era già perfetta. Per rendere Quella matita si muoveva con una straordinaria
più evidente il risultato talora schizzava il sog- leggerezza e rapidità, sembrava che tracciasse
getto, specie se doveva poi essere scontornato, e nel vuoto la danza delle api. E uso termini come
questi suoi abbozzi erano più belli della pagina “leggerezza” proprio pensando alla lezione ame-
stampata che ne sarebbe uscita fuori. Tracciava ricana di Calvino (chissà perché ho sempre visto
altri puntini dietro alla foto, come promemoria Munari come un personaggio calviniano). Mi
per il tecnico, che lo seguiva con gli occhi spa- piace ricordarlo così, danzante e leggero perché
lancati e non sempre riusciva a tenergli dietro. lavorando accanto a lui ho capito molte cose
Se qualcuno di noi faceva un’obiezione (del tipo sul ritmo, sul vuoto, su come si può “vedere” al
“ma non rimane troppo spazio vuoto qui a de- millimetro, da un semplice schizzo, come sarà il
stra?”) Munari, che certamente non aveva orrore lavoro finito – virtù rarissima.
del vuoto, ma era di buon carattere, guardava di Molte volte, con i libri illustrati o con gli alma-
sotto in su (chiunque era più alto di lui), sorride- nacchi, dopo che Munari aveva interpretato il
va indulgente, e diceva “allora allarghiamo un testo (che non conosceva) attraverso una dispo-
poco qui sul lato destro”, guardava la foto contro sizione dei blocchi tipografici e delle immagini,
luce, spostava il margine del rifilo (altro piccolis- si era obbligati a cambiare il testo stesso, per
simo segno di matita), un colpo di gomma, una renderlo, come dire, più coerente con il concetto
correzione allo schizzo, e la pagina cambiava fi- espresso dall’impaginazione. Quei puntini a ma-
sionomia. Ci guardava di sguincio e diceva sor- tita erano idee.
ridendo: “Vedete, è peggio”. Aveva ragione lui.
Lavorava sulla pagina come se accordasse un Umberto Eco
violino. Lo guardavo incantato, e capivo che non L’Espresso, 15 ottobre 1998
avrei imparato mai.
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CREATIVITÀ COME METODO
Un Quadrato rosso
Molti anni fa apparve il primo esaltare l’immagine dell’Einau- solo una foglia di bambù, me-
libro bianco con il quadratino di, una delle case editrici più diata per anni, dipinta in un
rosso e, nelle vetrine dei librai, sensibili al disegno della comu- attimo”. Lo scrive con la poe-
fu come una rivoluzione. In nicazione visiva. tica di un Maestro che, raccon-
quella proliferazione di imma- Tutti i lavori di Munari appa- tando favole sulla natura delle
gini aggressive, che sgomita- iono come gesti elementari, e cose ai bambini, ha saputo tro-
vano per farsi notare, si notò sempre generati da una pro- vare parole chiare anche per i
soltanto il libro bianco con il digiosa invenzione. Quando li grandi.
quadrato rosso. Opera inequi- guardi ti domandi perché non
vocabile di Munari per la sem- siano venuti in mente, a tutti Pierluigi Cerri
plicità del gesto e la “misura” noi, con la stessa naturale feli- Su Munari,1999
del progetto, quella geniale cità: ”È come avviene per certi
invenzione seppe ancor di più dipinti giapponesi dove si vede
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“Complicare è facile,
semplificare è difficile.
Per complicare basta
aggiungere tutto quello che
si vuole. Tutti sono capaci di
complicare. Pochi sono capaci
Il piacere del testo, Roland Barthes, 1975, da archivio fotografico online
di semplificare.”
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IMMAGINI IN
TRASFORMAZIONE
IMMAGINI IN TRASFORMAZIONE
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Sculture da viaggio, Bruno Munari, 2014, mostra Munari politecnico, Museo del Novecento di Milano
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IMMAGINI IN TRASFORMAZIONE
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Nella grande dimensione Munari conserva la della vita; inventa dunque delle aritmie mecca-
dinamicità e l’essenzialità del progetto e della niche le cui vibrazioni sonore ricordano il cin-
piccola misura, la sua fantasia non è commen- guettio degli uccelli, e lo fa usando meccanismi
surabile a una regola intoccabile, ma alle ragioni di sveglie, metalli, plastiche, strani congegni che
della forma come organismo vivente, apparte- hanno emissioni incomprensibili che risaltano
nente al luogo in cui si colloca. Al di là del di- nel silenzio.
scorso sui formati il compito dell’arte è quello di Inseparabile dalla temperatura ambientale in
essere viva, dunque i vivere lo spazio dato come cui è collocata, nasce nel 1968 l’idea di Flexy,
luogo di sensibilità, qualunque esso sia. un modulo flessibile di acciaio inossidabile ret-
Basate su un diverso principio, ma sempre ricon- tificato (un filo di una lunghezza di un metro)
ducibili all’uso del quadrato, sono le forme “con- che si comporta nello spazio come un gesto co-
cavo-convesse” che fin dal 1947 Munari espone smico che congiunge quattro punti equidistanti
come oggetti da appendere al soffitto in modo attraverso i sei elementi uguali della sua struttu-
che ruotino nell’aria. Con la proiezione di una ra. Munari gioca con le molteplici posizioni che
luce puntiforme esse continuamente mutano e si quest’oggetto può assumere e sembra interessato
trasformano attraverso il gioco di ombre portate alla natura della flessibilità come coinvolgimento
sulla parete o sul soffitto, con straordinari effetti, fisico e mentale dello spettatore. Il carattere di
“un gioco ottico continuo con combinazioni ca- rigorosa ricerca tipologica si sposa con l’aspetto
suali legate all’aria in quel momento”. ludico, dove l’osservatore non solo guarda ma
Partendo da un quadrato di rete metallica l’arti- tocca e commisura il proprio corpo all’estensio-
sta ne fissa alcuni punti sperimentando le forme ne mutevole di Flexy. La fisionomia di questo
nel momento stesso in cui nascono, ora determi- oggetto sottolinea soprattutto il fatto che ogni
nate da misure armoniche, ora semplicemente punto di congiunzione rilancia immediatamen-
inventate nella loro libera articolazione. La rete te lo sguardo oltre sé stesso, in un andirivieni
è curvata, modellata dalla mano fino a costituirsi spontaneo, dinamico, inarrestabile: una forma
nella forma plastica desiderata, trasparente mu- che l’utente può manipolare facendola propria.
tevole e leggera. In questa ricerca di movimenti Quando l’ampiezza di Flexy raggiunge maggio-
reali e virtuali Munari persegue la conoscenza ri dimensioni, per esempio oltre i due metri, la
delle forme mentre su trasformano sia nell’a- strutturazione mutevole dello spazio si muove tra
spetto plastico sia in quello cromatico, attraverso vuoto e leggerezza; con un senso smaterializza-
l’esplorazione dei momenti di passaggio. Altret- zione del fatto plastico che è difficile incontrare
tante mutazioni aeree sono raggiunte con l’uso nella storia della cultura contemporanea.
di materie plastiche colorate e trasparenti che so- Altrettanta bellezza estetica sprigionano opere di
stituiscono l’uso del metallo e del legno creando opposta natura, vale a dire le composizioni de-
combinazioni cromatiche legate al movimento e nominate Alta tensione o Tensostrutture (1991),
alla sovrapposizione tra un colore e l’altro. Effetti dove fili sottili creano percorsi intorno a pezzi di
di leggerezza e di smaterializzazione sono perse- rami secchi che si animano nel dialogo con la-
guiti da Munari in ogni ricerca che dialoga con geometria fantastica dell’autore. Il meccanismo
il campo indefinito dell’aria, con il movimento immaginativo avviene tra le forme interessanti
rapido della percezione, con i ritmi di una linea dei rami e i tragitti che congiungono punti di-
che si articola nel vuoto. stanti oppure punte ravvicinate, con uguale ten-
Singolari sono le ricerche di “aritmia”, con la sione e forte attrazione. Si tratta di un sogno spa-
rottura del funzionamento regolare ritmico di ziale di fragilissimo equilibrio di un’esperienza
una macchina, attraverso l’uso di parti elastiche artigianale che rivela i palpiti della mano cha ha
con pesi che determinano squilibri. Munari vuol condotto il gioco con fare attento, pur rischiando
sottrarre la percezione alla noiosa uniformità di rompere il magico meccanismo con una mos
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IMMAGINI IN TRASFORMAZIONE
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“Nate nel bel mezzo del Novecento italiano, clas-
sico, monumentale, eroico e “granitico”, le mie
“macchine inutili” sono sempre state considerate
come scherzie o meglio “giochini”, neanche giochi
(i giochi sono cose serie) ma giochini proprio roba
da poco. Infatti non erano nè di bronzo come deve
essere un vera scultura, nè di marmo, nemmeno
dipinte a olio ma a tempera, non si appendevano
al muro come i quadri, ma al soffitto come i lampa-
dari, insomma non si sapeva come catalogarle: non
erano pitture, non erano sculture, che cosa erano?
Erano i giochini di Munari. A quei tempi le pitture
e le sculture erano gli unici mezzi consentiti, dalla
cultura ufficiale, agli artisti per esprimersi. Tutti gli
altri modi e le altre materie non rientravano nel
catalogo ufficiale dell’arte: erano giochi o scherzi
di tipi strani non ben definiti.
[...] Anche oggi la gente è più pronta ad accettare
come opere d’arte oggetti enormi di bronzo dorato
che piccole sculture da viaggio di cartoncino, da
usare e buttare via.”
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IMMAGINI IN TRASFORMAZIONE
Macchine inutili
“Personalmente pensavo che [...] sarebbe stato interessante liberare le forme
astratte dalla staticità del dipinto e sospenderle in aria [...] E così feci: rita-
gliai queste forme, le progettai in rapporti armonici tra loro, calcolai anche le
distanze e le dipinsi dall’altra faccia (quella che nei quadri non si vede mai) in
modo diverso così che ruotando nell’aria presentassero combinazioni varie. Le
feci leggerissime e usai il filo di seta per favorire la rotazione massima”.
Bruno Munari arriva diciannovenne a Milano "delle nature morte di forme geometriche dipin-
nel 1926, in fuga dall’attività alberghiera dei te in modo verista". Allo stesso modo le pitture
genitori gestita nella zona del polesine a sud-o- di Kandinskij sono per lui riconducibili ad una
vest di Venezia. descrizione verista di un mondo reale non diret-
Entra immediatamente in contatto con gli am- tamente osservabile ad occhio nudo, ma grazie ai
bienti futuristi e verso la fine del 1927 parteci- moderni mezzi di osservazione scientifica, come
pa alla sua prima collettiva dal titolo: Mostra di il microscopio.
Trentaquattro Pittori Futuristi organizzata dalla Nello studio di Kandinskj ("comperai un suo
Galleria Pesaro, attorno alla quale si raccoglie il quadro alla Galleria Il Milione a rate per 1.000
gruppo futurista milanese. lire", unico quadro venduto nella mostra mila-
Munari viene notato quasi subito da Marinetti nese del 1934) e nella descrizione disincantata
che, in occasione della mostra alla Galleria del suo lavoro (pitture veriste) ritroviamo l'intel-
Pesaro del 1929 intitolata Trentatrè futuristi – ligenza di colui che sa metabolizzare e, allo stesso
Pittura, scultura, arte decorativa, osserva, nel tempo, andare oltre i risultati raggiunti, per quan-
suo intervento in catalogo, come "Il Gruppo dei to importanti, delle generazioni di maestri a lui
pittori futuristi Milanesi guidato dal giovanisssi- precedenti.
mo e genialissimo Bruno Munari si presenta in Per Munari la questione teorica fondamentale
piena efficienza". diventa quella di liberare le forme dalla staticità
Il giovanissimo Bruno Munari (nel 1930 ha solo del dipinto cercando di sospenderle in aria, fa-
22 anni) si accorge ben presto di non essere cendole vivere spazialmente nell'ambiente circo-
completamente in sintonia con la retorica del stante, passando dalle tradizionali due dimensio-
movimento futurista, cercando di evidenziarne ni (pittura) o tre dimensioni (scultura statica) alle
con leggerezza i limiti intrinseci, logici. Per quattro dimensioni dello spazio-tempo.
Munari è un controsenso esaltare la velocità e Solo con l'introduzione della dimensione tempo-
la dinamicità restando nei limiti di una pittura rale si possono avere forme mutevoli, plastiche
bidimensionale. La pittura astratta con le sue dinamiche, proprio come era nelle intenzioni
forme geometriche, i fondi colorati, sono per lui del futurismo, che nel manifesto del 1915 Rico-
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Bruno Munari nascosto dietro una sua Macchina inutile, 1956,
da Omaggio a Bruno Munari
struzione futurista dell'universo a firma di Balla da le pitture cosmiche tipiche di molte composi-
e Depero, parla di complessi plastici in rotazio- zioni futuriste del periodo, in particolare quelle
ne che scompongono volumi o a trasformazioni di Prampolini e di Munari stesso che in quegli
successive. anni è fortemente attratto da letture scientifiche,
L'oggetto mobile, leggero, appeso al soffitto, li- astronomiche e leonardesche.
bero di muoversi nello spazio, introducendo la Quasi contemporaneamente Munari realizza
variante temporale, libera l'oggetto d'arte dalle Macchine inutili, ovvero mobiles, oggetti sospesi,
catene della forma statica, immodificabile. dove ciascun elemento della macchina, grazie ad
Per certi versi l'operazione di Munari è una un equilibrio di pesi, a differenza di quanto av-
conseguenza delle teorie formali del dinamismo viene con la Macchina aerea, è libero di muover-
di Boccioni e di Balla ed è precursore di molte si con rotazioni casuali attorno all’asse verticale
istanze spaziali e cinetiche. Munari nel 1930 è del filo di sospensione, fornendo alla macchina
solo un giovane di belle speranze, forse il miglio- un aspetto cromatico mutevole e di sorpresa.
re all'interno del gruppo milanese; lo spaziali- Le macchine inutili rispetto alla macchina ae-
smo di Fontana è ancora lontano dall'arrivare (il rea hanno un grado di libertà aggiuntivo, dato
manifesto blanco è del 1946); mentre il giovane che non è tutta la macchina nella sua interezza
Calder a Parigi incontra Mondrian e ne viene a ruotare nello spazio, ma ogni elemento può
folgorato, negli stessi anni in Munari matura l'i- muoversi autonomamente rispetto agli altri.
dea di sculture mobili, di composizioni con for- Pertanto le macchine inutili rappresentanto una
me geometriche in movimento, e si fa largo la realizzazione più avanzata delle idee teoriche di
consapevolezza del superamemto della vecchia una pittura astratta fluttuante nello spazio.
pittura da cavalletto. […] O forse la vera importanza di Munari è stata
Munari dunque è uno dei padri teorici dell'idea quella, benché giovanissimo e con a disposizione
di una pittura in movimento, le cui forme sono un'idea forte, di non cedere alle lusinghe del già
in funzione del tempo. noto, vendendo in un numero elevato di varianti
La prima realizzazione di forme geometriche la stessa idea, continuando invece ad alimentare
libere nell'aria avviene con la macchina aerea la sua straordinaria creatività che ci ha regalato,
e con le macchine sensibili e con le macchine nel corso di tutto il '900, dopo le macchine aeree,
inutili costruite a partire dal 1930. La macchina molte altre idee, invenzioni visive e opere d'arte
aerea viene distrutta durante un trasloco e Mu- fortemente orientate verso un tipo di forma mu-
nari la ripropone nel 1971 in un multiplo d'arte tevole, leggera, aerea, immateriale.
a tiratura 10 esemplari per le edizioni Danese di
Milano. Luca Zaffarano,
Ad una attenta analisi la macchina aerea ricor- Munart.org, 2006
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IMMAGINI IN TRASFORMAZIONE
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IMMAGINI IN TRASFORMAZIONE
“[...] Ma più che altro io penso che quello da considerare sia il passaggio di
una forma, che ha delle dimensioni, attraverso una metamorfosi, come fluida,
per diventare un’altra, allora non si ha più una forma definita ma un momento
di passaggio da una forma ad un’altra, e questo è soltanto riconoscibile attra-
verso il movimento ed attraverso l’azione del farlo e non tanto nell’oggetto
finito in sé. L’oggetto è una conseguenza di uno strumento per creare questa
situazione.[...]”
M.H.: Tu sei forse l’unico, tra quelli che sono B.M.: No, erano molto macchinose e molto,
considerati i padri dell’arte cinetica, che ha come dire… Come grossi giocattoli.
esplorato il movimento non meccanico.
M.H.: Allora guardandole pensavi già: si potreb-
B.M.: E’ anche un movimento illusorio. be far meglio.
M.H.: Tu usi vari tipi di movimento, ad esem- B.M.: Quello sì, perché erano blocchi di legno
pio nelle “Aritmie” spezzi il movimento ritmico, tagliati, capisci, mentre quello che interessa di
usi il movimento dato dal soffio dell’aria, usi lo più è la presenza di qualcosa che magari non
spettatore come motore, che è anche interessan- conserva la forma ma muta.
te quando lo spettatore comincia ad usare il tuo
oggetto. M.H.: Adesso nella storia dell’arte sta avvenen-
do un grosso recupero del primo Futurismo.
B.M.: Vedi sono cose su cui bisognerebbe pen-
sare e vedere come si possono manifestare senza B.M.: Ma quello è, credo, un fatto puramente
materializzarsi storico e documentario di un periodo, ma c’è
sempre alla base la costruzione di qualche cosa
M.H.: Già, perché tu usi pochissimi materiali che poi resta lì.
nelle tue opere.
M.H.: In ogni modo tu sei stato, forse, nel secondo
B.M.: Anche il retino è un materiale impercetti- futurismo, l’unico che ha veramente fatto un’ar-
bile, perché quello che percepisci è l’effetto del- te totale, che ha superato pittura e scultura, per-
la proiezione e del movimento di queste cose. Forse ché quando si fanno le mostre collettive di quel
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periodo spiccano le tue opere con quest’eresia modo di realizzare le cose che era artigiano. An-
rispetto a quel tipo d’arte tradizionale che si che la pittura e la scultura sono modi artigiani di
è cristallizzato nell’immaginario della piccola produrre le cose.
borghesia.
M.H.: E qui tocchiamo anche l’argomento del
B.M.: Questa cosa è molto delicata, molto dif- tuo uso di prodotti anche industriali nell’opera
ficile. Questa cosa sconfina dal mondo plastico d’arte. A volte, addirittura, non è importante che
tridimensionale a quello inesistente del suono. sia tu a produrre l’oggetto, perché è tua l’idea.
Bisognerebbe proprio considerare questi vari
settori della comunicazione, che può essere sia B.M.: Beh, adesso che sia più o meno impor-
visiva che di vario tipo, dove tu ti rendi conto tante quello è da vedere, in rapporto a che cosa?
che esistono certe cose che hanno una natura
particolare, che non sono classificabili come le M.H.: In rapporto alle installazioni.
arti statiche, tipo la pittura o la scultura, con le
quali puoi rappresentare un momento del di- B.M.: E’ un po’ come entrare in un settore come
namismo di un segno che è passato di li ma è quello della danza dove ci sono immagini che si
sempre una cosa che non risponde alla realtà. formano e si disfano e non ha importanza che ci
Quello che hanno fatto i primi futuristi è stato sia il corpo.
quello di bloccare questo movimento, che per
loro era una scoperta, e fermarlo facendolo diven- Miroslava Hájek,
tare un oggetto. Questo secondo me è contropro- Su Munari, 1999
decente perché manca l’argomento che è quello di
questo momento quasi impercettibile ed incor-
poreo di questa comunicazione.
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IMMAGINI IN TRASFORMAZIONE
Mostre in baule
Il mio primo vero incontro con l’opera di Munari fu detto avere proprietà polarizzatrici, qualche
è avvenuto al castello di Klenovà, poco distante apparecchiatura per flebo e poco altro. Impas-
da Praga. Certo, avevo avuto altre occasioni di sibili, gli organizzatori incominciarono a piegare
vedere i suoi lavori, ma erano opere singole e la rete metallica fissando alcuni angoli e punti
non raccolte in modo da darne un’immagine che erano stati segnati in precedenza dallo stesso
panoramica. Mi ero aggregato agli orgnizzatori Munari. La strana forma fu poi sospesa al soffitto
della mostra, che la trasportavano a Klenovà con mediante il filo da pesca. Un faretto fu fissato a
un camper. Se non fosse stato per i Flex, che an- una parete orientato verso la rete. A questo pun-
che smontati occupavano molto spazio a cau- to furono spente tutte le luci e fu acceso il fa-
sa della lunghezza, il resto delle opere avrebbe retto. La sagoma metallica, che stava lentamente
potuto essere trasportato con una bicicletta. I ruotando per conto proprio, sorpresa dalla luce
Flexyi, fatti entrare a forza nel camper, ci ten- proiettò la sua ombra ingigantita sulle pareti.
nero per tutto il viaggio sotto la minaccia dello L’ambiente fu saturato da quest’immagine che
stato di tensione cui erano costretti. Arrivati al assumeva forme imprevedibili: l’effetto sorpresa
castello, mi colpì la dimensione degli ambienti era accentuato dall’apparente esiguità della cau-
destinati all’esposizione: mi sembrava impossibi- sa, un po’ di rete incurvata. La presa di posses-
le che il materiale che avevamo portato - conte- so degli spazi fu altrettanto perentoria e sempre
nuto in uno scatolone - sarebbe stato sufficiente a attuata con un dispiegamento di mezzi minimo,
prendere possesso, dignitosamente, di tutto quel- al limite dell’evanescente. Un bell’esempio di
lo spazio. Quella impressione si accentuò quan- proporzionalità inversa fra mezzi impiegati e ri-
do fu estratto tutto il contenuto: qualche faremo, sultati ottenuti.
una rete metallica di un metro per un metro, tre
scatole di diapositive, un rotolo di filo da pesca di Franco Vaccari,
nylon, una scatola di pellicole di plastica che mi Su Munari, 1999
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Arte programmatica e
cinetica
Dichiarazione di principio e di metodo anche l'aspetto cinetico dato che la gente non sta
(sul lavoro dell'artista) ferma ma si muove a sua volta. Cambiano i vo-
Da molto tempo io opero senza alcun schema lumi, i rapporti tra i volumi, i colori e i rapporti
preconcetto, non penso mai a priori, di fare della tra i colori.
pittura o della scultura o del cinema, e nemme- La giostra può essere esteticamente ripetitiva
no di evitarli a tutti i costi. Se una informazione nella parte costante, con i soliti fregi e decora-
estetica deve essere comunicata, cerco tra i mezzi zioni e quindi non si può considerarla come og-
che la mia epoca mi può mettere a disposizione getto d'arte. Una nuova giostra con movimenti e
quelli più adatti a dar corpo a una cosa, sia come decorazioni e programmazione completamente
materia che come tecniche. Nascono così degli inventati sarà certamente più interessante.
oggetti (come Flexy) che hanno una tale intensità La ragione e il calcolo verranno usati per dar cor-
di informazione estetica e una tale immediatezza po a questo oggetto a quattro dimensioni (cinque
di comunicazione che vengono immediatamente con i suoni), ma l'idea globale nasce dal caso, dai
capiti e usati. recettori sensoriali, dalle condizioni ambientali,
Penso inoltre che il periodo romantico dell'arti- dal cibo, dalla luce, dalla temperatura.
sta incompreso sia superato dalla realtà, poiché L'arte vien fuori quando uno non sa quello che
oggi un operatore visuale ha tutte le informazio- fa.
ni che desidera se vuole veramente farsi capire e L'unica costante della realtà è la mutazione (an-
se ha qualcosa da dire. tica regola cinese).
La scienza ha esplorato anche il settore dell'in-
formazione visiva, per cui non è veramente più il Arte cinetica e programmata oggi
caso di usare tecniche artigiane troppo limitate. L'esperienza dell'arte cinetica e programmata ha
L'industria è al punto che può produrre e diffon- contribuito alla formazione di un pensiero più
dere oggetti a funzione estetica a basso prezzo elastico e più preciso, pronto alle mutazioni della
senza che scada il valore; per cui la cosiddetta realtà, attento alle trasformazioni delle forme, di
«arte» può veramente essere consumata come il come una cosa si trasforma in un'altra.
pane. Prima dell'arte cinetica una mela era una mela e
i pittori la dipingevano tale e quale. Nel pensiero
Dichiarazione di poetica cinetico una mela è un momento della trasfor-
Una giostra è un oggetto di arte cinetica e pro- mazione dell'albero delle mele, da seme a seme.
grammata. Cinetica perché si muove, gira, ma L'arte cinetica e programmata segna il passaggio
ad ogni giro si ripete e questa è una costante. Le dal pensiero meccanico a quello elettronico.
varianti sono le persone che salgono e scendono
a ogni giro e cambiano la composizione dell'in- Bruno Munari,
sieme. La programmazione consiste nel disporre Estratto dal catalogo della mostra “Arte programmata e
degli spazi nell'oggetto, dove la gente, sempre di- cinetica 1953-1963 – L’ultima avanguardia”, 1983
versa, si può disporre a caso e quindi modificare
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IMMAGINI IN TRASFORMAZIONE
Negativo-positivo
Tutti i mezzi per costruire dei tranci di spazio preoccupandoci della definizione del campo, del
sono ben accetti, ma che piacere quando qualcu- margine, della percezione del colore, alla fine di
no è già in grado di farlo maneggiando solo due spazio se ne produce un po’ poco? Munari pen-
dimensioni e senza passare necessariamente dal- sa a una linea che muovendosi semplicemente
la rappresentazione iconica! Nella serie Negati- disegna da due parti e che ritaglia nel piano il
vi-positivi, tambureggiante tra il 1950 e il 1953, positivo e il suo negativo, il maschio e la sua fem-
si troverà una ricetta o un “passo” teorico ben mina, i recto e il suo verso, piuttosto che andare
più importanti di quanto fino a oggi non abbia- da qualche parte per produrre profondità. Per-
no registrato le varie storie dell’arte. A matita, su ché si produca spazio basta fare un gesto sem-
un disegno ben temperato dal rosso e dal nero, plicissimo: come da una fessurazione delineare
Munari annota con la sua proverbiale souples- due settori praticamente omologhi, come da una
se: la vecchia linea disegnava solo da una parte. piegatura articolata o da una forbice che ritaglia
E infatti la questione non è proprio secondaria: il suo negativo metterli in una opposizione bina-
il rapporto che si origina nella marcatura, della ria dotandoli di colori. Se l’uno sarà bianco, l’al-
produzione del segno, nelle fasi di costruzione di tro sarà nero. Oppure più sottilmente: se l’uno
una linea e nella elaborazione del contorno va a sarà bianco matt, l’altro sarà bianco lucido. Così
tutto vantaggio della figura, alimentando un’in- facendo lo spazio si produrrà istantaneamente.
solubile e secolare gerarchia fra figura e sfondo. Con un minimo di sforzo da “ritaglio” i Negati-
Dai fondi oro toscani o dalla pittura rupestre in vi-positivi di Munari riveleranno squarci e pro-
avanti la regola sembra scolpita nella roccia. Qui spezioni spaziali inattese, mentre per noi resterà
sta la figura: troneggiante, punto di massima dimostrata in economia la legge geometrica di
rappresentazione, traino concettuale. Lì sta lo come si possa produrre spazio anche a due di-
sfondo: decorativo, gregario, al massimo un sup- mensioni senza il salvagente di un’icona.
porto. Un po’ la Gestalt ci ha provato a prendere
a cuore il problema con la sua figura di Rubin Manolo De Giorgi,
che effettivamente disegna qualcosa da una par- Su Munari, 1999
te e dall’altra.
Nel più noto bianco e nero della storia della per-
cezione riconosceremo il profilo bianco di un
vaso o i due profili neri dei due volti? Alla fine è “La linea dei negativi-positivi disegna
dimostrato, come sempre quando ci sono com- dai due lati
ponenti dello sfondo con le stesse caratteristiche è un confine tra le forme
di quelle della figura, che il riconoscimento av-
viene agganciandosi a elementi guida di ordine
è un confine tra figura e fondo.
strutturale, che sono poi le icone. Munari, che Qual è la figura? Qual è il fondo?”
pure verrebbe da una cultura ottico-visiva non
troppo distante dalla Gestalt, diffida giustamente Bruno Munari, appunti
dalle icone che vogliono “guidare” la rappresen-
tazione, che vogliono prendere il sopravvento.
Non sarà che occupandoci troppo della figura,
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Negativo-positivo a tre dimensioni, Bruno Munari, 1955, Courtesy Galleria dell’Incisione Brescia
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INGANNARE
IL TEMPO
INGANNARE IL TEMPO
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Bruno Munari a Panarea, 1955, da Adulti e bambini in zone inesplorate
pezzo di legno e disegnarci intorno l’intera gam- naturale l’idea di invitare all’inaugurazione del
ba di legno, e poi anche tutto il pirata con tanto Museo immaginario delle isole Eolie il gruppo
di benda sull’occhio sinistro (l’occhio di un pirata di amici che ci avevano accompagnato alla sco-
non può che essere sinistro!). E quell’insieme di perta di quell’isola stupenda che allora, nel 1955,
macchie di salnitro che avevano fiorito sulla pa- era ancora un angolo incontaminato di paradiso
rete nord della camera da letto, così ben disposte mediterraneo. Qualche fiasco di malvasia e un
l’una accanto all’altra ma a diverse distanze, po- po’ di mandorle del giardino bastarono per quel
teva diventare la mappa di un possibile arcipela- vernissage che verso il tramonto divenne assai
go eoliano scomparso da diversi milioni di anni? affollato, di amici cari come Fulvio Bianconi,
Bastò allora incollare a fianco ad ogni macchia Piero Di Blasi, e altri ancora, così come di vicini
un piccolo cartellino con un nome inventato, per stupiti e di estranei incuriositi, tutti però affasci-
trasformare di incanto quell’insieme di macchie nati dal quel gioco di para - archeologia che sicu-
in un’antica mappa geografica. Quasi ogni og- ramente contribuì a modificare il nostro modo di
getto di quella semplice casa bianca e azzurra, pensare i rapporti tra passato e presente.
quasi ogni pietra e radice secca del mandorlo, si
prestò a questo appassionante gioco, tant’è che Alberto Munari,
ben presto le tre stanze e la terrazza assomiglia- Ginevra, 2007
rono sempre di più ad un museo archeologico
che ad una casa di vacanza.
Una volta compiuta, quasi inconsapevolmen-
te, quest’imprevista mutazione, venne allora
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INGANNARE IL TEMPO
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Ricostruzione teorica di oggetti immaginari
Questa è l’esatta definizio- base a Precise Documentazioni non rigorosamente scientifiche
ne della serie di “tavole” che ma in quel periodo l’arcipela- ma liberamente suggerite dallo
espongo in questa mostra. go era molto bello, piacevole e stesso frammento e completate
Cominciai scherzando l’anno impressionante, le piccole isole scrupolosamente dalla fantasia,
scorso a Panarea dove, assieme cambiavano colore ogni ora del fino a rendere visibile l’intero
a mio figlio, inventai un Museo giorno, non arrivavano i gior- oggetto immaginato.
Immaginario delle Isole Eolie nali, non c’era acqua potabile, A Milano trovai altri oggetti e
nel quale si poteva vedere, fra le vecchi fichi d’India mostravano altri frammenti e continuai il
altre cose, un intero pirata rico- le loro bellissime nervature sec- piacevole lavoro delle ricostru-
struito in base a una scheggia di che, migliaia di lucertole zioni teoriche di oggetti imma-
legno di gamba da pirata, tro- fuggivano in tutti i sensi al no- ginari.
vata a Drautto (piccola spiaggia stro passaggio, i sassi erano di
deserta e nascosta, nella quale, tutti i colori e di tutte le forme, Bruno Munari,
si dice, nei tempi antichi anda- di zolfo, di allume, bianchi, neri Bruno Munari inventore, scrittore,
vano i pirati a nascondere i loro di lava, gialli, ruggine, grigi, designer, architetto, grafico, 1995
tesori). Facemmo anche mol- non c’era luce elettrica, Strom-
te altre ricostruzioni in base a boli lanciava nella notte chia-
frammenti di oggetti e alla fine ra ogni dieci minuti un punto
ne erano piene due stanze della rosso luminoso, l’aria odorava
magnifica casa eolia dove abi- di zolfo e di mare e alla sera
tavamo. Si sa, nei Veri Musei si aprivano, profumatissimi, i
queste Ricostruzioni vengono fiori dei capperi. Fu così che
fatte col Massimo Rigore e in pensai a queste ricostruzioni
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INGANNARE IL TEMPO
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Fossili del 2000, Bruno Munari, 1996, collezione provata, Mantova, da archivio fotografico online
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INGANNARE IL TEMPO
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"Lui pensò a dodici piccoli dischi con i numeri delle
ore che, posti trai due vetri sul quadrante, possono
muoversi liberamente ad ogni movimento del pol-
so. Munari, con la sua proverbiale ironia, si prese
gioco del concetto di tempo frenetico e inesorabile
dei giorni nostri, e di chi lo considera solo “denaro”.
I dodici dischi indisciplinati ci fanno riflettere che
forse non è importante sapere esattamente che
ora sia, bensì riuscire a sforzarci di fare del nostro
un Tempo Libero, e non una Schiavitù. "
Fabrizio Capasso
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INGANNARE IL TEMPO
Sveglia “ora x”
Ecco l’“Ora X” di Bruno Munari, un orologio milanese dedicò anche una poesia, i cui ultimi
“a variazione cromatica” presentato nel 1945 versi recitano così: La regola da sola è monoto-
e riproposto nel 1963 dalla Danese, storica na / il caso da solo rende inquieti. / La combi-
fabbrica del design italiano. nazione tra regola e caso / è la vita è l’arte è la
“Ora X” è una “macchina inutile”, un oggetto fantasia / l’equilibrio.
di “arte cinetica”, un orologio “esistenzialista” Un'opera che porta a riflettere sull'importanza
– è stato definito anche così –, in cui le lancet- del tempo, della fatidica ora x, della freneticità
te sono in realtà dei semi-dischi che ruotano, del mondo contemporaneo.
mediante un sistema di movimento a molla di
sveglia, su un quadrante senza cifre.
Una di quelle opere in cui a tema sono la regola Achille Pigionatti,
e il caso, due fattori ai quali il grande designer Munart.org, 2006
Sveglia “Ora X”, Bruno Munari, 1963, Danese, da archivio fotografico online
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“MA CHE COSA È QUESTA ORA X?
Bruno Munari
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INGANNARE IL TEMPO
Scritture illeggibili di
popoli sconosciuti
Era inverno, sarà stato il 1981, quando Livio Ah! le scritture! Quando si guarda una scrittu-
Morzot mi ha portato a far visita a Munari. ra anche strana, ideogrammi cinesi o tavolette
Destino voleva che avessimo entrambi lunghi rongo-rongo dell'Isola di Pasqua, gioca sempre
impermeabili neri abbottonati, col grande bave- un ruolo il pregiudizio alfabetico che associa le
ro rialzato, diversi nella taglia, ma identici nel lettere (o glifi o ideogrammi) alla lingua parlata
modello: erano quelli pesantissimi della Marina piuttosto che all'universo dei segni grafici. Risuo-
Americana che allora si trovavano all'usato, del- na comunque invadente la parola. Le scritture
lo stesso tipo che indossava Robert Redford in inventate sono invece configurazioni strutturate
"Come eravamo". che vivono di relazioni interne e,se risuona qual-
Fermi davanti alla porta, quando Munari ci cosa, sono remote sfere cosmiche oppure risa,
aprì, formavamo una coppia dall'aspetto un po' gesti o silenzio. Questa è l'introduzione del gran-
inquietante e tenebrosa, emersa dal buio della de artista del design che era Munari: la scrittura
sera. appare quella che prima di tutto è, immagine.
Avevo con me qualcosa da far vedere, che avevo
fatto io, e una delle emozioni più intense della Giovanni Lussu,
mia vita è associata alla reazione gioiosa di Mu- Su Munari, 1999
nari.
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Scritture
Insomma, le scritture di tutti ma per la sequenza delle lettere lizzata, secondo i materiali e
i popoli sono belle da vedere, e degli ideogrammi). le funzioni, variando lo stesso
piacevoli, hanno un senso de- Studiai anche tutte le scritture carattere, scrivendo con segni
corativo dato dai ritmi dei se- di tutti i popoli esistenti per ca- sottili o con segni molto grossi,
gni e dalla natura dei segni, se pire come costruivano i segni rendendolo, come diciamo noi,
sono scritti con inchiostro su comunicanti e come erano le corsivo. O addirittura stilizzan-
carta o su papiro o su pelle, se "gabbie" che davano forma ai do o ricamandolo come fanno
sono incisi su pietra, se sono re- segni. gli arabi.
alizzati in altri modi. La scrittura araba (e derivati) Quindi si viene a sapere che ci
Belli anche se non li possiamo è piena di piacevoli svolazzi e sono abbastanza possibilità di
leggere. Pensai quindi di pro- punti volanti. base per inventare altre scrittu-
gettare qualche alfabeto sco- La scrittura etiopica sembra re che non raccontano niente
nosciuto, di un popolo ignoto fatta col pennino da gotico. (forse) ma che hanno un fascino
come quello del computer, La scrittura della Sri Lanka è misterioso proprio perché sono
stabilirne le regole grafiche per piena di ricciolini e di curve. illeggibili.
costruire i caratteri, stabilire il La scrittura cuneiforme è fatta
materiale di supporto (carta, con cunei che sembrano i chio- Bruno Munari,
legno, tessuto, pietra..), stabili- dini dei calzolai. Codice Ovvio, 1971
re il senso di lettura, se si legga La scrittura fenicia è piena di
da destra a sinistra o viceversa spigoli acuti.
(questo serve non tanto per la Come se questo non bastasse,
lettura del testo nel nostro caso, ogni scrittura può essere rea-
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INGANNARE IL TEMPO
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INGANNARE IL TEMPO
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SUPERARE
I LIMITI
SUPERARE I LIMITI
La libertà è il limite
Munari, l’arte, il metodo
L’atteggiamento di Munari nei confronti dell’ar- attività artistica, ma se i primi due punti - scopo
te, e quindi anche dei proprio prodotti artistici, dell’azione e definizione di una forma adegua-
è stato sempre estremamente coerente, e inti- ta - possono rientrare nel processo tradizionale
mamente legato a quel suo metodo d’azione nel e “moderno”, persino “didattico” di definizione
mondo, applicato a tutte le sue attività. dell’arte, è nella costante “esperienza del limi-
Se si volesse concettualizzare questo atteggia- te” che l’attività di Munari trova la sua attualità
mento (cosa che Munari non avrebbe mai fatto, teorica. Infatti, se l’azione artistica (parliamo di
ma che la critica può fare…), si potrebbe ridurre arte, ma potremmo anche parlare di design o
il suo pensiero a poche prescrizioni: definire lo di pedagogia, vista la base comune del metodo)
scopo, del fine della propria azione; sperimen- deve darsi uno scopo, e se il raggiungimento di
tazione di una forma o di un’azione in base alla questo scopo passa attraverso il classico rapporto
funzione e alla funzionalità allo scopo individua- “forma-funzione”, anzi, attraverso la forma che
to; valutazione dell’efficacia della propria azione segue la funzione e ne è da essa determinata, il
attraverso l’esperienza del limite - linguistico, risultato potrebbe essere un buon lavoro sulla
tecnico, ecc. - dell’oggetto o del comportamento scorta del concretiamo classico, di vaga deriva-
messi in atto. Tutto il progetto di Munari, ad- zione bauhasiana, e di fatto il lavoro di Munari
dirittura il progetto della sua stessa vita, si basa è stato spesso confuso con questo (per certi versi,
su questa sequenza ideale, e quindi anche la sua confusione comprensibile, se si pensa al MAC -
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Bruno Munari, Ada Ardessi e Atto, 1966, da arichivio fotografico online
Movimento arte concreta -, all’arte programma- quando vasto , nell’azione artistica: la funzione
to o alle più recenti opere sulle Curve di Peano); dell’arte è la bellezza. Questo assunto comporta
ma se, al contrario, si pensa che tutto questo non una totale libertà espressiva, che Munari vedeva
è che una parte del lavoro, e che la serie delle nell’intuizione razionale e universalistica delle
Macchine inutili, delle Macchine aritmiche, forme, ma che non gli impediva affatto di ab-
delle Sculture da viaggio, degli Oli su tela, delle bandonarsi talvolta a fattori emotivi (soprattutto
azioni per “far vedere l’aria”, non costituisce af- negli ultimi anni di attività) e che, soprattutto,
fatto il versante ludico, ironico, e antagonista a attribuisce una funzione all’arte che la preserva
quello, ma che obbedisce invece allo stesso pro- da ogni possibile dubbio esistenziale. Si fa arte
cesso, con la sola variante che di questo processo perché non si può rinunciare a sperimentare la
manifesta più apertamente il metodo d’approc- bellezza nella sua forma più libera: Munari si
cio, ecco allora che l’opera artistica di Munari fermava qui, non intendeva definire la bellezza,
cade sotto una luce affatto diversa. Le considera- ma semplicemente perseguire lo scopo, e per fare
zioni da fare sono almeno due. questo tentava un’azione maieutica nei confronti
Per cominciare, è importante notare come Mu- dell’oggetto della sua azione, cercava cioè di in-
nari non abbia voluto affermare la fine dell’arte durlo a svelarsi, di condurlo verso quel limite che
come esperienza espressiva necessaria, ma che ancora gli apparteneva, ma che tuttavia era poco
anzi abbia individuato uno scopo preciso, per conosciuto. Questa è la seconda considerazione
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SUPERARE I LIMITI
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Bruna Munari e il suo
“metodo”
Milano, Fiera Campionaria. E’ più o meno la F.A.: Metodologia che fa di suo padre una figura
fine degli anni Cinquanta e nello stand della unica nel nostro panorama artistico…
Rank Xerox viene presentata al mercato italiano A.M.: «L’attività di mio padre era molto diversa
una delle prime macchine fotocopiatrici. Bruno da quella di un artista “tradizionale”, perché ciò
Munari si avvicina e chiede al rappresentante di che gli interessava era, sopratutto, sperimentare
poterla provare. Questo, ovviamente, acconsen- tutte le possibilità che uno strumento può offrire,
te, ma incuriosito chiede: «Scusi per cosa le in- che sia una semplice matita, una fotocopiatrice
teressa, ha un ufficio?». «No – risponde Munari o qualunque altro dispositivo. Lui partiva dalla
– sono un artista». Una risposta che spiazza l’ad- sperimentazione concreta, non da un progetto
detto il quale, perplesso, replica: «Ma questa è estetico. Questo veniva poi fuori da solo, sug-
una macchina da ufficio, non è qualcosa che può gerito dalle caratteristiche stesse dei materiali
servire a un artista, non è mica un pianoforte!». esplorati. Un approccio che mio padre, peral-
Munari forse non lo sente neanche, è troppo tro, ha spiegato molto bene in uno dei suoi libri:
intento a fare le sue prove e ad un certo punto Artista e designer, pubblicato per la prima volta
appoggia sul vetro della macchina una texture nel 1971 e tuttora in commercio. In questo libro,
e inizia a muoverla… «No, no, non si può muo- che si rivolge principalmente alla figura del desi-
vere – interviene prontamente il rappresentante gner, mio padre sostiene che l’oggetto di design
– perché…». Il ragazzo si ferma di colpo e ve- deve, in primo luogo, rispondere alle caratteri-
dendo il risultato esclama: «Ah… ecco, adesso stiche precise di un determinato materiale. Pri-
sta diventando un pianoforte!». ma ancora che a determinati criteri estetici. Per
Nascono così le famose Xerografie che Bruno fare un esempio molto banale e semplice: con
Munari inizierà a produrre tra il 1962 e il 1963 il vetro soffiato, è molto giusto e coerente fare
e che presenterà al pubblico, per la prima volta, un fiasco di vino, perchè il fiasco è la forma che
nel 1965 in una mostra a Tokyo. Ma questo di- viene fuori quasi spontaneamente quando si sof-
vertente aneddoto, che mi racconta Alberto Mu- fia nel vetro incandescente. Non si può fare una
nari, figlio di Bruno, la dice lunga anche sull’ap- bottiglia quadrata con il vetro soffiato, perché la
proccio creativo e sperimentale di quello che è forma quadrata è innaturale rispetto al processo
stato uno dei nostri più grandi artisti del secondo di espansione di questo magma incandescente
Novecento. che è il vetro. E’ per questo che i laboratori per
bambini concepiti con il Metodo Bruno Munari
si concentrano sul fare, sullo sperimentare mate-
riali e strumenti. Sperimentando le caratteristi-
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SUPERARE I LIMITI
Fabio Agrifoglio,
collezionedatiffany.com, 2016
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Xerografia originale, Bruno Munari, 1980, da Xerografia
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Le macchine aritmiche
Nel caso delle aritmie l’energia elastica di una sono molte, ma queste opere d’arte testimoniano
molla, soprattutto se consunta e logorata dall’u- un lungo processo intellettuale teso al raggiun-
so, serve a generare un movimento incostante, gimento di una sintesi teorica tra la necessità di
casuale, necessario a rompere la monotonia di darsi delle regole generative e, dall’altra, l’esi-
una rigida programmazione cinetica. genza contrastante di rompere la regola, intro-
La macchina di Munari infatti è costruita a par- ducendo come elemento aleatorio una elemen-
tire dal recupero di reperti tecnologici che ven- tare forza elastica.
gono trasformati (un meccanismo di sveglia, un Il dualismo degli opposti compare molte volte
filo di acciaio inossidabile, una pallina di bache- nel pensiero munariano, persino nella denomi-
lite, una molla, ecc), ed è resa un poco umana dal nazione stessa delle opere, si pensi ai negativi/
comportamento buffo, ottenuto dal movimento positivi, al concavo/convesso, ai libri/illeggibili,
casuale di alcuni suoi componenti. alle xerocopie/originali.
La macchina aritmica quale opera d’arte unica Munari utilizzerà lo schema duale regola/caso
è un oggetto che implica l’interazione attiva del anche nella progettazione industriale.
pubblico; in particolare è previsto il caricamento Chiamato in qualità di consulente da una azien-
di un meccanismo a molla, necessario a genera- da produttrice di tessuti Munari si imbatte in un
re quella forza elastica, che una volta rilasciata errore che non solo non corregge (lo sgocciola-
secondo un opportuno dosaggio di irregolarità, mento casuale di un acido che fuoriesce a causa
è in grado non solo di mettere in movimento di una rottura da un tubo), ma che al contrario
l’opera stessa, ma anche di renderne unico e, introduce in modo organico in un ambiente di
tramite appositi ostacoli frenanti, casuale il com- produzione, allo scopo di decorare in modo mai
portamento. ripetitivo rotoli di stoffe. In questo modo la pro-
Un comportamento caratterizzato da un movi- duzione industriale viene resa unica introducen-
mento agitato e goffo che consente alla macchi- do nel sistema, anziché eliminarlo come difetto,
na-oggetto di offrire di sè uno spettacolo che non una anomalia.
è esagerato definire, fino agli ultimi sussulti fina- L’idea, in apparenza banale, nasce dalla com-
li, quasi vitale. Ai fini di una comprensione del prensione teorica che solo dall’equilibrio tra
comportamento delle macchine aritmiche è utile l’evento casuale (in altri contesti intellettuali, lo
e didattica la visione di un cortometraggio, della stimolo della fantasia) e la programmazione (la
durata di 5 minuti, realizzato dall’artista fotogra- razionalità del pensiero) si ottiene il massimo di
fo Davide Mosconi nel 1986 dal titolo Aritmie espressività, quel dinamismo di forze opposte
meccaniche in cui, nelle immagini che scorrono che è forse la costante di maggior rilievo in tutta
e nei suoni catturati, c’è ben rappresentata tutta l’opera dell’autore fin dai tempi della sua giova-
la poetica, la leggerezza, lo humor del pensiero ne partecipazione al futurismo.
munariano. In una intervista rilasciata a Claudio Cerritelli
Le macchine aritmiche create negli anni ‘50 non (Dialogo a proposito del rapporto tra arte e scien-
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“La regola e il caso
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za, in Catalogo della mostra Elettronica, Uni- flessioni e rifrazioni, effetti antropomorfi, sonori
versità di Bologna, 1992) Munari chiarisce che ed umoristici.
“[...] quello che fa scattare la scintilla credo che Dal testo: La posizione di Munari nei riguardi
sia in molti aspetti la casualità perché quando la dell’arte moderna appare più significativa se si
casualità incontra la cultura allora possono na- pensa che il “Movimento Arte Concreta”, di
scere cose nuove sia nella scienza che nell’arte. cui egli è animatore, si propone di far diventare
Per esempio: di tante mele cadute sulla testa del- qualsiasi macchina un’opera d’arte.
le persone, soltanto la mela caduta sulla testa di Lo humor diventa per l’autore non solo il mezzo
Newton ha incontrato un tipo di cultura che ha attraverso il quale suscitare il sorriso nello spet-
fatto nascere una domanda precisa, (perché le tatore e allo stesso tempo stimolarne il pensie-
mele cadono verso il basso e non di lato) e quindi ro, ma anche lo strumento per mezzo del quale
s’è scoperta la legge di gravità. verificare sul campo la riuscita delle proprie in-
Il caso è dunque una condizione per molti aspet- tenzioni poetiche. Mentre la tecnologia diventa
ti indispensabile perché è fuori dalla logica. Con sempre più invasiva del nostro modo di essere
la logica, e quindi con la tecnologia, si può pro- nel mondo e di interagire con la natura, attraver-
vare qualche cosa che già si pensa che ci sia, so un rapporto sempre mediato da strumenti tec-
mentre con l’intuizione, con la fantasia e con la nologici, Munari teorizza, non senza la consueta
creatività, grazie anche a questa casualità che ironia, che bisogna fare arte con le macchine, ed
gli orientali chiamano zen, c’è un contatto con allo scopo redige, attraverso una formula in cui
la realtà diverso che permette di scoprire altre l’aspetto ironico non è facilmente separabile dal-
qualità che non portano ad un risultato pratico le posizioni teoriche, una serie di Manifesti.
ma conoscitivo.” Si ricordi a latere che Munari Su uno dei bollettini pubblicati dal M.A.C. (il
concepisce le sue macchine sempre in rapporto bollettino n. 10 del 1952) Munari pubblica il
all’ambiente, analogamente a quanto avviene Manifesto del Macchinismo, Manifesto dell’Arte
con le macchine inutili; allo stesso modo anche Totale, il Manifesto del Disintegrismo, il Manife-
la macchina-aritmica è da intendersi sempre sto dell’Arte Organica.
come installazione, collocata in uno spazio che è Queste posizioni teoriche vanno lette, come ha
spesso popolato di movimenti reali e virtuali, ri- sostenuto recentemente Gillo Dorfles in una
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Foto di sinistra: Macchina a giostra, Bruno Munari, 1940-1953, da Su Munari
Foto di destra: Macchina aritmica, Bruno Munari, 1951, da Su Munari
intervista (in Giorgio Maffei, MAC Movimen- intelligenti, quasi dotati di vita propria. Anche
to Arte Concreta Opera Editoriale, Sylvestre nelle macchine aritmiche, come nelle opere d’ar-
Bonnard, 2004) attraverso il filtro de-potenzian- te denominate fossili del 2000, dove alcuni com-
te dell’ironia. I manifesti con la loro retorica ci ponenti tecnologici sono affondati in una resina
ricordano il fervore futurista, ma ci aiutano an- sintetica di colore giallastro (analogamente a
che a sorridere ed ironizzare della moda dei ma- quanto avviene per certi insetti fossilizzati e con-
nifesti teorici, così frequenti fino alla fine degli servati nell’ambra), i residui del nostro mondo
anni ‘60 nel mondo dell’arte, e alla cui redazione tecnologico sono assemblati ed utilizzati come
spesso si contrappone un esercizio di stile mol- metafora della obsolescenza e della velocità delle
to differente da quanto espresso nelle intenzioni mutazioni tecnologiche dei nostri tempi sempre
programmatiche. Ho già detto altre volte (sono più accelerati.
l’unico a dirlo, ma credo di poterlo dire) che que- Le macchine aritmiche ballano, si scuotono, sus-
sti “manifesti dell’arte” sono una presa in giro, sultano, sembrano vivere e morire, ci divertono
assolutamente. e allo stesso tempo ci sorprendono ricordandoci
Munari li ha fatti espressamente per prendere in che le macchine a cui dedichiamo quotidiana-
giro la seriosità dei vari manifesti nucleari, spa- mente tutte le nostre attenzioni, hanno vita finita
ziali, ecc. Non per inimicizia ma proprio per il sempre più breve, consumate in un attimo, rese
suo spirito un po’ goliardico e irriverente. precocemente inutili dalla velocità dei cambia-
Lui ha fatto personalmente i manifesti come pre- menti che l’era dell’informazione ci impone:
sa in giro. Poi naturalmente, come sempre succe- umanizzate ci ricordano che siamo anche noi,
de, c’è chi li ha presi un po’ troppo sul serio e ha almeno in parte, in questa condizione.
costruito sugli stessi delle ipotesi che non hanno
nessuna verosimiglianza. (Gillo Dorfles) Luca Zaffarano,
L’obiettivo di Munari non è tanto quello di Munart.org, 2006
trasformare le macchine in uno strumento di
produzione estetica, ma quello di fornire uno
sguardo divertito sul nostro futuro tecnologico
che si delinea sempre più animato da strumenti
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Illeggibile leggibile
l libro è nato con la funzione di contenere paro- I libri non contengono una “storia” né servono
le per trasmettere pensieri idee concetti storia e per spiegarla: i Libri illeggibili e i libri prodotti
storie. Se togliamo questa funzione, non rimane nei laboratori sono stimoli all’azione, ad agire,
altro che un pacco di carta da sfogliare, a meno a sperimentare tutte le possibilità combinatorie
che non si vogliano trasmettere sensazione im- dell’arte come tale. SE POI una storia nasce,
pressioni emozioni stupore e sorpresa. L’ironia di questa non è l’unica, ognuno troverà all’interno
Bruno Munari ha portato i libri a essere illeggibi- del libro a sua storia: il testo dipende da chi os-
li. Il concetto di catasta di fogli viene mantenuto, serva il libro, ed è un testo immaginario e per-
ma si stravolge la funzione del libro; se ne man- sonale. Nei libri prodotti dai bambini si trovano
tiene il concetto tecnico, il come-si-fa-un-libro, tutte le azioni che Bruno Munari ha espresso nei
ma lo scopo della pubblicazione del libro viene suoi Libri illeggibili: dalle pagine tagliare e strap-
completamente sconvolto. Non più la lettura o pate ai vari cromatismi che diventano essi stessi
l’immagine, ma l’impossibilità di leggere qual- racconti, dai materiali più inusuali usati come
siasi cosa sia pubblicata, sia essa parola o illu- fogli-supporto, o come vere e proprie storie che
strazione. La vera lettura avviene attraverso ogni si rincorrono da una pagina all’altra, all’uso delle
senso e non solo attraverso la vista. Il libro non è trasparenze e della grafica tridimensionale come
altro che un oggetto da sfogliare, la parola viene azioni imprevedibili che si inseguono di foglio in
esclusa e così pure l’immagine tradizionale: l’il- foglio. Ogni tecnica viene usata per ampliare, ri-
lustrazione. Un contenitore a sorpresa nel quale elaborare, sfruttare i temi già impostati e svilup-
ognuno trova la propria storia, scopre sensazioni pati da Munari. Le regole per costruire Libri il-
personali, usa la propria fantasia per trovare so- leggibili sono semplicissime, sono anche facili da
gni abbandonati; un contenitore che, se aperto, rompere per trovarne altre, poi molto si lascia al
ci porta a percepire messaggi non espressi. caso che mette un poco di scompiglio all’interno
I Libri illeggibili, comparsi in vari momenti fra della regola: prima si manipola un foglio con le
il 1949 e il 1992, sono il tema di uno dei più im- tecniche tradizionali, poi si piega e si taglia sia il
portanti laboratori che ancora oggi suscita nei foglio sia l’intervento eseguito su di esso, e come
bambini, ma anche più negli adulti, lo stupore questo finisca sulle pagine è, per un non esperto,
di poter produrre piccole opere d’arte in un’ora, imprevedibile e sempre suscita stupore. Quando
perché tale può essere la durata di un laboratorio si è compreso il concetto di libro possono nascere
sul libro. I libri, per la loro stessa natura, permet- Libri illeggibili dai formati speciali: ad armadio,
tono di elaborare ogni tema possibile. a fisarmonica, a teatro, a calendario, a giostra,
Si trovano quindi nei Libri illeggibili le varie circolari, a traforo… tutti caratterizzati dalla
tematiche sviluppate da Munari nel corso degli semplicità di realizzazione, tutti ispirati al con-
anni: dalle tavole tattili (sino al Messaggio tattile cetto di Libro illeggibile. Basta un’ora per vedere
per una bambina non vedente, 1976) ai Nega- i bambini allontanarsi sfogliando un Libro illeg-
tivi-positivi, dalla grafica bi- e tridimensionale gibile e spiegarlo ai genitori.
all’uso di materiali diversi, sino ai vari tipi di car-
ta colorata o con vari gradi di trasparenza. Da Enrico Mussani,
tutta l’attività di Bruno Munari si ricava, attra- Su Munari, 1999
verso i Libri illeggibili, il concetto del fare.
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Libro Illeggibile, Bruno Munari, 1949-52, da topipittori.blogspot.it
“Forme, colori, spazi, accordi, ritmi, possono essere usati come linguaggio per
esprimere delle sensazioni, degli stati d’animo, per “raccontare” qualcosa. (...)
Colori allegri, colori tristi, drammatici, pesanti, vaporosi, forme lievi, fragili,
decise o accennate, angolose o morbide, pagine sottilissime, pagine rigide,
molli o dure, opache o trasparenti, intatte o strappate, possono diventare un
linguaggio comune ad ogni essere umano.”
Bruno Munari, Libri senza parole, in R. Pittarello, Per fare un libro, 1993
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Il dizionario dei gesti
italiani
Munari, in questa mappa gestuale dell’essere
umano, corre tra i comportamenti semplici del
vivere quotidiano, quelli muti, fotogenici, appli-
cati abitualmente alla nostra vita di ogni giorno
ormai condotta senza più badare ai valori della
comunicazione ordinaria, diretta e istintiva, tipi-
ca forse di un mondo infantile, ancora allegra e
innocente.
Un Dizionario fotografico dei gesti che è anche
una carta geografica in grado di rivelare la nostra
appartenenza alla specie animale, gattopardesca
Dall’alto: “Eccellente”; “Sparare”; “Insisto”, Bruno Munari, 1963, da Il dizionario dei gesti italiani
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Moreno Gentili,
Su Munari, 1999
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“Silenzio”, Bruno Munari, 1963, da Il dizionario dei gesti italiani
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