La costruzione della relazione è un obiettivo educativo in cui la dimensione temporale è la variabile più significativa che determina la qualità della relazione e che delinea questa realtà come impegno reciproco dei soggetti in causa. La persona intrattiene molte relazioni, ma non tutte sono educative. Ciò che caratterizza la relazione è il proposito di costruire un rapporto di reciprocità significativo tra due persone. L’educatore deve essere disponibile verso il soggetto in-formazione. Costruire la relazione significa disporsi a percorrere un cammino con l’altro i cui tempi non sono sempre prevedibili. Ogni educando ha i propri ritmi, in alcuni casi bisogna saper attendere, in altri è fondamentale cogliere l’attimo. La relazione cambia nel tempo, infatti è vista come un processo, perché porta trasformazioni in entrambi i partner. Ogni relazione in cui è in gioco l’affettività della persona segue alcune tappe di sviluppo: 1. Il pre-contatto; 2. La conoscenza dell’altro; 3. Il contatto; 4. L’impegno; 5. L’intimità; 6. Il deterioramento; 7. La dissoluzione. La relazione educativa è investita anche dall’evolutività del soggetto in crescita e dai suoi silenzi, in cui è necessario sapersi mettere da parte. Questo accogliere è diverso dal fagocitare, significa lasciar spazio alla libertà dell’altro, per far costruire l’identità soggettiva, personale e originale dell’altro. La relazione educativa si costruisce con l’altro e per l’altro. L’essere per l’altro si traduce in ascolto, accoglienza, stima, rispetto, amore. La costruzione della relazione richiede l’esercizio della parola. La persona è parola. Prima di ogni altra cosa è il volto dell’altro che ci parla e costruisce l’interazione. Costruire una relazione significa anche rompere gli schemi dell’ovvietà per vivere l’avventura con l’altro. Le motivazioni alla relazione Come tutte le realtà umane anche la relazione si basa su alcune motivazioni che spingono i soggetti alla ricerca di contatto con figure significative. Le relazioni possono essere motivate da: - Bisogno: è la relazione dipendente dall’educatore, condizionata ad esempio dalle esigenze del bambino molto piccolo e del soggetto malato; - Gratificazione: la gratificazione è essenziale per il soggetto in-formazione, perché da questa dipendono la strutturazione della sua identità e maturazione. La gratificazione è necessaria per sviluppare fiducia verso sé stesso e verso gli altri; - Normatività: la relazione viene gestita dall’adulto che impone vincoli non sempre ritenuti utili dal soggetto in formazione, ma di cui ha bisogno per strutturare la propria identità. Le regole sono necessarie; - Autoaffermazione: nella relazione l’educando sperimenta la necessità dell’autonomia per la sopravvivenza ma anche per l’esigenza di rompere norme e vincoli. L’adulto in questo caso deve saper gestire gli spazi richiesti dall’adolescente, dimostrandosi disponibile al dialogo; - Condivisione: dal confronto nascono ragioni condivise, inoltre, il rispetto per la libertà e l’identità personale e dell’altro orienta la proposta valoriale di ogni relazione educativa; - Preferenza: la relazione viene ricercata anche dal soggetto in formazione, per l’apertura che offre alla conoscenza e al mondo adulto. L’adulto sarà il modello di ispirazione del minore. Queste motivazioni sono come un percorso evolutivo della relazione educativa, necessario per l’emancipazione del soggetto in formazione orientato alla realizzazione di sé e della costruzione di relazioni mature, fondate anche sulla donazione, sul confronto, collaborazione ecc. La gestione della relazione La gestione della relazione comporta l’attuazione di atteggiamenti educativi che appartengono alle diverse dimensioni della relazione: - La gestione dell’asimmetria: intorno alla relazione si presentano le antinomie pedagogiche: autorità/libertà, autoritarismo/permessivismo ecc… Negli anni 60/70 le correnti del permessivismo hanno messo in crisi il concetto di autorità educativa, mettendone in discussione la sua valenza educativa. L’educazione fu fatta coincidere con l’autoeducazione, concepita come “autogestione di sé”. Negli anni 80 è tornato il tema dell’autorità dell’adulto, ma non ispirandosi al passato. L’asimmetria tra adulto e soggetto in formazioni persiste, con l’adulto come polo forte, ma si svolge su un piano di reciprocità. La gestione del controllo esprime al meglio il problema autorità/libertà. Nel controllo si annida l’idea del dominio/potere. Ma la gestione del controllo dell’educatore è volta alla costruzione dell’umanità del soggetto. L’autorità è concepita come cura educativa nella prospettiva della crescita dell’altro. quindi l’autorità ha una duplice funzione: come guida all’apertura della conoscenza e sapienza e come testimone dell’arte di vivere. La condizione di superiorità si manifesta come generatrice della responsabilità dell’altro, e non come inibitrice. Nella gestione del controllo possiamo individuare sia l’azione del dirigere, sia quella del seguire e accompagnare. Seguire è lasciare che soggetto si apra da solo la strada, interrogandosi sul senso della propria esistenza e giocandosi liberamente tra l’essere, il poter essere e le costrizioni dell’essere. Come modalità di azione c’è anche l’accompagnare, cioè camminare a fianco al soggetto in formazione. Quindi l’adulto diventa un compagno di viaggio. Questo richiede all’educatore di avere umiltà, pazienza, autenticità e spontaneità. Accompagnare significa lasciare che l’altro si misuri con il mistero della vita e che scopra nella sua interiorità la propria progettualità. L’autorità in questo caso è concepita come responsabilizzante. In questo caso la comunicazione si adegua a uno stile aperto, disponibile all’ascolto, al confronto e all’accettazione delle diversità. La dialogicità orienta la relazione verso forme di congestione, così la progettualità educativa viene assunta da entrambe le parti per una reciproca accettazione. La dialogicità è impegno etico e culturale dell’educatore, perché chiede disponibilità a mettersi in discussione ed accettare il pensiero divergente.
- La gestione delle dinamiche affettive:
l’affettività accompagna l’esperienza umana e nella relazione può essere più o meno marcata a seconda del significato che assume. Le relazioni affettive vanno studiate anche sotto l’aspetto affettivo, queste per essere solide hanno bisogno di un ricco legame affettivo tra educatore e educando. Quindi l’educatore deve saper gestire la qualità affettiva della relazione. Molte variabili entrano in gioco in questo momento. Possiamo parlare di input (variabili che interferiscono sulla relazione e la rendono complessa) e di output (trasformazioni che scaturiscono dalla relazione affettiva). Le relazione risentono molto dell’ambiente sociale, culturale, economico, valoriale, familiare ecc.. La tonalità affettiva delle relazioni non si può improvvisare, richiede un lungo lavoro di presa di coscienza delle proprie emozioni e della variabilità umana. Bisogna sintonizzarsi con il mondo interiore dell’altro e lasciar esprimere liberamente le proprie emozioni all’altro. Se l’educatore non ha un buon equilibrio psicologico può mettere in pericolo la relazione educativa. Questo perché l’atteggiamento emotivo dell’adulto si traduce in messaggi di conferma o disconferma che hanno potere sulla costruzione dell’identità del soggetto in formazione. Tali atti non sono mai neutri, si polarizzano sempre in negativo o positivo, in questo modo possiamo evidenziare alcune coppie di opposti che caratterizzano i comportamenti affettivi e emotivi: Accettazione incondizionata/rifiuto: questa polarità segna il processo di percezione di sé da parte dell’altro e il suo sentirsi come valore. L’adulto deve stare attento a tutti quei segnali che possono svalorizzare o valorizzare l’altro. Il soggetto in formazione ha bisogno di sentirsi accettato nella sa diversità e originalità. L’educatore gli garantisce la costruzione di un’immagine positiva di sé attraverso un approccio relazionale volto a restituirgli dignità e stima. Stima e Rispetto/disprezzo: il giudizio sui comportamenti può incidere sulla struttura dell’identità, bloccandola in una visione eccessivamente positiva o troppo negativa. È necessario che quando si evidenzia l’errore ci sia comunque stima e conferma di affetto da parte dell’educatore. Gentilezza cordialità/ scortesia mancanza di tatto: i due soggetti della relazione sono partner nell’interazione ed entrambi devono rispettare le stesse regole. Ottimismo/pessimismo: educare implica avere fiducia, senza la quale non è possibile immaginare né una relazione né un percorso di crescita. Questa polarità esprime al meglio l’azione dell’adulto volto a responsabilizzare il soggetto in formazione. Bontà/reattività: tale polarità indica che il soggetto in formazione richiede un giudizio equilibrato sul proprio agire, ma anche la necessità di essere compreso e aiutato.
- La gestione dei vissuti:
Ogni relazione umana più è improntata sulla trasparenza, sulla congruenza e autenticità, più è vera. Queste dimensioni richiamano la complessa gestione dei vissuti. L’agire educativo intenzionale è segnato da comportamenti improntati su queste tre dimensioni. Per trasparenza si intende quel comportamento con cui l’educatore si impegna a rendere il più possibile nota la situazione educativa. Essere trasparenti significa adottare atteggiamenti che non portano l’educando ad interpretazioni ambigue. La trasparenza garantisce un agire educativo libero da manipolazioni e una comunicazione efficace. La congruenza è connessa alle libere scelte e alle molteplici esperienze personali che innervano la relazione e che si vedono nello stile di vita dell’educatore. Essere congruenti significa adottare nella relazione un comportamento e un modo di essere che coincidono con le proprie scelte, co i propri valori, assumendosi la responsabilità delle proprie imperfezioni e dei propri limiti. L’autenticità esprime la fedeltà al ruolo educativo. Questa dimensione indica per l’educatore la necessità di rivestire il proprio ruolo, ponendosi in visto dei fini dell’altro e non come strumento per la propria autorealizzazione. Essere autentico significa che l’educatore deve saper trascendere sé stesso per far sperimentare all’educando la relazione centrata sulla sua realizzazione. L’autenticità è il fine dell’educazione stessa. Nel rispetto della trasparenza, congruenza e autenticità, si evitano i rischi di una relazione routinizzata e spersonalizzante e si creano le condizioni per non portare l’altro ad indossare una maschera o a clonare l’identità dell’adulto. L’empatia. Concetto approfondito da Rogers, secondo cui è “sentire l’ira, la paura, il turbamento del cliente, come se fossero nostri”. Bertolini definisce l’entropatia come “l’autentico modo di entrare in relazione con l’altro” ed è un “atteggiamento spirituale che permette di penetrare nell’intima esperienza altrui, non è un inserirsi intellettuale; piuttosto è un modo simpatetico di con-sentire con l’altro”. L’atteggiamento empatico consente di percepire la somiglianza con l’altro e di cogliere quelle diversità da valorizzare invece che da reprimere. L’empatia è indispensabile e permette di costruire una relazione educativa sulla fiducia, sulla comprensione e sull’accettazione. Non intrusività. L’educatore è chiamato a fare proposte, ad orientare l’individuo alla cultura e alla socializzazione. Quindi ha un’autorità sapienziale che apre l’altro alla vita e agli interrogativi su di essa. La responsabilità in questo processo ha molti rischi, uno è la percezione del proprio potere nel ruolo di educatore. Non intrusività significa che il potere non viene utilizzato per possedere l’altro. l’educatore non intrusivo sa rispettare il mondo interiore e intimo dell’altro. l’intrusività non è giustificata neanche dalla presunta volontà di agire per il bene dell’altro. l’intrusività è una violenza, sottile e subdola, che colpisce l’altro senza consentirgli difesa. La necessità di conoscere va commisurata con la disponibilità della persona a farsi conoscere. L’atteggiamento di intrusività è svalorizzante, perché riduce l’altro ad oggetto di formazione e non soggetto, e conduce l’educando a un atteggiamento di sottomissione e dipendenza. Accettare l’esistenza di una sfera intima dell’altro, alla quale non si può accedere, è la condizione indispensabile per un rapporto ricco di significati e una vera relazione perché liberamente accettata e ricercata. Il silenzio e i silenzi La relazione educativa è il risultato di comunicazioni verbali e non verbali, ma anche di silenzi carichi di significato. Anche il silenzio è eloquente. Il silenzio lascia spazio all’altro. saper fare silenzio è premessa di ascolto, significa saper stare accanto ed attendere. Il silenzio è il luogo dell’interiorità e della riflessione. Educare al silenzio e in silenzio rientra nella logica del rapporto autentico e trasparente. Soprattutto in adolescenza il soggetto ha bisogno di silenzio, e va lasciato nel silenzio per farsi spazio nella ricerca di significato della vita. Il silenzio e la solitudine sono angoli di intimità preziosa nella quale si configura la propria progettualità. Divenire uomini e donne significa care i conti con la propria dimensione ontologica ed esistenziale che si trova tra l’essere, il dover essere e il poter essere. In questa ricerca sorge anche il disagio dell’essere davanti la propria inadeguatezza e ai problemi del mondo come l’egoismo, l’ingiustizia e le tragedie. Gli interrogativi diventano tanti nel soggetto e l’educatore deve rispettare il bisogno di far chiarezza dentro di sé. Non sempre questo percorso è lineare, a volte l’adolescente si ritrova intrappolato nel silenzio. In questo caso l’educatore deve rompere il silenzio, e con pazienza e delicatezza cercare il contatto con l’altro per apire un dialogo pregno di senso. L’adolescente lancia sfide fatte di lunghi silenzi, è una normale transizione evolutiva nota nella letteratura psicologica. Tuttavia il silenzio è l’anticamera della chiusura patologica o espressione di disagio, questo rischia di diventare permanente e di portare l’adolescente al disadattamento. Il silenzio può essere segnale di: - Disagio psicologico: l’origine è rintracciabile in problemi psicologici non affrontati adeguatamente dal minore o dal contesto; - Disagio culturale o cognitivo: sorge da bisogni di sapere e di risposta alle proprie domande. È il disagio tipico del soggetto superdotato o di quello normodotato che vive in un contesto culturalmente chiuso; - Disagio sociale: condizioni di povertà o emarginazione chiudono la persona nel silenzio perché socialmente annullata dal peso della propria condizione; - Disagio affettivo: l’assenza di relazioni soddisfacenti porta la persona ad un bivio, da una parte cerca infiniti contatti e dalla parte opposta lo chiude in sé stesso per proteggersi dalla frustrazione di ulteriori rapporti insoddisfacenti. Ascoltare ed accettare i silenzi dell’altro significa sostenere i propri. La gestione del conflitto I momenti di incomprensione sono inevitabili. La diversità di ognuno, il desiderio di autoaffermazione di ogni soggetto e i differenti bagagli culturali creano difficoltà nella comunicazione che possono portare a divari, rotture e fine del dialogo. Evitare il conflitto è come bloccare l’espansione della coscienza del soggetto in formazione, perché il conflitto nasce quando il soggetto sente il bisogno di sganciarsi dalla relazione educativa. Il conflitto con l’adulto si manifesta già nella prima infanzia e questo desiderio di affermazione accompagna il soggetto in tutta la sua evoluzione. Ma l’autonomia e l’autoaffermazione devono fare i conti con la diversità dell’altro. il conflitto non va aggirato o sfuggito, non deve essere considerato un elemento disturbatore della relazione. Deve essere serenamente gestito. In realtà devono essere temuti quei rapporti dove non c’è conflitto. Il conflitto fa raggiungere alti livelli alla coppia, perché questo fa uscire allo scoperto l’interiorità dei soggetti. Con il conflitto emergono nuovi bisogni all’interno della relazione. Nella gestione del conflitto l’educatore non deve minimizzare o rifiutare ciò che sta accadendo. La genesi del conflitto è rintracciabile anche nel bisogno di confrontarsi con il mondo adulto. La ricerca esasperata del conflitto però è indicatore di disagio a cui l’educatore deve stare attento. Il conflitto non deve rimanere aperto, ma deve dare luogo a un punto di incontro alla diversità dell’altro. il soggetto si oppone alle regole anche per sperimentare sé stesso e le proprie capacità di autogestirsi. non bisogna perseguire l’adattamento passivo del singolo ma è necessario prendere coscienza della possibilità di cambiare le regole se queste non consentono un processo di umanizzazione. Se i conflitti vengono risolti positivamente, nella persona si favorisce una maturazione importante degli atteggiamenti alla costruttività e alla valorizzazione della diversità di ognuno. Il transfert pedagogico o educativo La nozione di transfert viene dalla psicoanalisi freudiana e indica un particolare processo tra paziente e terapeuta nella relazione che viene a crearsi. Il transfert è un processo inconsapevole nel quale il paziente trasferisce le proprie emozioni vissute in passato sul suo terapeuta. Questo è un momento chiave della terapia perché consente la risoluzione di conflitti o traumi psichici non ancora risolti. L’investimento affettivo nel terapeuta fa nascere fiducia tra i due soggetti. Alcuni studi pedagogici hanno messo in evidenza che nel rapporto educativi avviene un fenomeno simile e per questo chiamato transfert pedagogico. Anche Freud aveva messo in evidenza come il transfert si verificasse nella relazione alunno- maestro. Questo termine in pedagogia assume un altro significato, indica l’attaccamento affettivo del soggetto in formazione verso l’educatore. L’attaccamento è la condizione necessaria per l’instaurarsi di una relazione efficace ai fini della promozione del soggetto. Il transfert pedagogico comporta un investimento emotivo orientato al futuro. Il transfert in educazione consente il riconoscimento della figura adulta come modello positivo per la propria crescita, da parte dell’educando. Così si inizia un processo di identificazione con l’adulto. Attraverso il legame che si crea l’adulto riesce a raggiungere il soggetto in formazione e può aiutarlo nell’elaborazione del progetto personale di vita. L’educatore deve saper gestire le dinamiche che il processo di transfert fa scattare. C’è il rischio che l’adulto può innescare un meccanismo di distorsione delle componenti affettive ed emotive del rapporto, con il pericolo di plagiare l’educando o di erotizzare eccessivamente il rapporto. La componente erotica è ineliminabile e serve anche per la crescita del soggetto, soprattutto per quanto riguarda l’identità sessuale. Il controtransfert richiede una personalità equilibrata, in grado di gestire le emozioni e i sentimenti dell’altro. Un controtransfert troppo autoritario o troppo permissivo vanifica la positività del rapporto e porta il soggetto in formazione a concepirsi in modo sbagliato. La gestione del transfert pedagogico deve andare verso alcune direzioni: - Condivisione dei progetti con l’altro attraverso un rapporto fondato sull’individualità e sull’originalità di ogni partener; - Attenzione del soggetto ad essere ottimista nei confronti delle risorse del singolo; - Inserimento della relazione educatore-educando in una dimensione più ampia di socializzazione. Il potenziale educativo insito nel transfert pedagogico responsabilizza l’educatore e richiede una personalità matura e una formazione culturale e scientifica in grado di fornire una buona strumentalità.