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FAMIGLIA E MATRIMONIO

MATRIMONIO

Partiamo da un tentativo di definizione antropologica del matrimonio, che possa adattarsi a contesti
più vasti possibili. Diciamo per cominciare che il matrimonio prototipico è una istituzione che:
1. trasforma lo status di un uomo e di una donna;
2. stabilisce il grado di accesso sessuale reciproco dei coniugi, che può variare dall’esclusività alla
preferenza;
3. istituisce la legittimità dei figli nati dalla moglie;
4. crea relazioni tra i parenti del marito e quelli della moglie.

Cominciamo dal punto finale, per segnalare che il matrimonio instaura nuove relazioni, dette di
affinità, in contrapposizione con le relazioni di parentela dette di consanguineità. Il che lo
differenzia dall’accoppiamento o dalla semplice unione sessuale, che non crea affini di sorta; ma al
tempo stesso, per la sua funzione riproduttiva il matrimonio genera nuovi rapporti di consanguineità
e (come si precisa nel punto 3. della nostra definizione) conferisce legittimità alle relazioni di
parentela tra genitori e figli. Per ciò stesso:

1. modifica i rapporti tra i parenti dei coniugi, che condivideranno relazioni di consanguineità (zii,
nonni) o di affinità (suoceri, nuore, generi);
2. perpetua i modelli sociali garantiti dalla procreazione della prole, con tutti gli obblighi e i diritti
che ne conseguono;
3. ma soprattutto determina il cambiamento della posizione sociale dei contraenti agli occhi della
comunità che riconosce come legittima la loro nuova unione.

Esogamia ed endogamia

Entriamo a questo punto nel lessico antropologico di questa istituzione, a partire dal fatto che in
ogni cultura esistono norme che definiscono i criteri di opzione nella scelta dei coniugi. Un primo
criterio riguarda l’opzione verso l’endogamia o l’esogamia:

- nel modello endogamico, la preferenza va verso nozze contratte all’interno di determinati confini
o gruppi sociali, etnici, religiosi, di casta (mogli e buoi dei paesi tuoi...)
- in quello esogamico si privilegiano nozze contratte fuori dal gruppo di appartenenza ed esistono
specifiche interdizioni: ad esempio non si possono sposare membri del proprio lignaggio.
In conformità con il modello esogamico, in tutte le culture si osserva la proibizione dell’incesto con
parenti stretti.

Criteri di residenza

Nella scelta esogamica o endogamica si situano indirettamente i criteri derivati dei modelli
residenziali che vengono adottati dopo il matrimonio. Possiamo dividerli in quattro modelli
principali:

il modello neolocale (il più diffuso in contesti occidentali urbani), che prevede la scelta di una
residenza per così dire “libera”, svincolata dalle sedi di residenza familiari;

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il modello patrilocale – il più seguito nel mondo contemporaneo – che prevede che la coppia di
neosposi vada a vivere con la famiglia del padre del marito. Si determina così un raggruppamento
familiare di uomini imparentati: padre, fratelli e figli maschi con rispettive mogli vivono e lavorano
assieme. La diffusione del modello patrilocale va ricondotta al fatto che in contesti pre-industriali
(pastorali o agrari) uomini abituati a lavorare insieme producono al meglio;
il modello matrilocale, correlato con un sistema di parentela matrilineare, dove il nucleo del gruppo
sociale si compone di una donna, le sorelle e le figlie con i rispettivi mariti e che è diffuso in
contesti in cui si pratica l’orticoltura.
il modello avuncolocale, nel quale la coppia va a vivere assieme (o vicino) al fratello della madre
del marito, il parente matrilineare più importante, che trasmette l’eredità familiare.

Modelli meno consueti sono quelli ambilocali, nei quali la coppia sperimenta la convivenza con
entrambe le famiglie, anche se a un certo punto deve sceglierne una definitiva; o quelli duolocali,
che si attuano laddove il sistema lignatico è così importante che marito e moglie seguitano a vivere
ciascuno nel proprio lignaggio: è il caso degli Ashanti del Ghana.

Il numero di coniugi varia da cultura a cultura, pertanto vanno distinte le forme di matrimonio che
consentono nozze con una sola persona (monogamia) da quelle che ne prevedono diverse
(poligamia). La poligamia prevede due sottocategorie: la poliginia (pluralità di mogli) e la
poliandria (pluralità di mariti). Il sistema più diffuso al mondo è la poliginia.

La monogamia è il modello matrimoniale lecito nella maggior parte delle società industrializzate.
Prima del XX secolo e dell’introduzione del divorzio, in Europa occidentale la monogamia
contemplava una sola possibilità di nozze, salvo che il coniuge non morisse. Oggi la diffusione del
divorzio induce gli antropologi a parlare di monogamia seriale, il che prevede più nozze, ma solo
con una persona per volta.

La poliginia contempla un numero di mogli che varia da società a società. L’Islam permette
all’uomo fino a 4 mogli, ma solo a condizione che sia in grado di garantire loro e alla loro prole lo
stesso livello di sostentamento; nel tempo, nelle prescrizioni religiose ha prevalso un principio di
equità non solo finanziaria ma anche emotiva e affettiva, il che orienta la cultura islamica verso una
regola preferenziale di tipo monogamico. In altri contesti religiosi il limite alle unioni poliginiche è
più flessibile, ma ovviamente deve fare i conti con squilibri demografici e con i costi oggettivi di
una condizione poliginica, che impone al marito spese non indifferenti per mantenere mogli e figli.

La poliandria è la forma più rara di matrimonio e merita un esame più attento: è diffusa in Tibet,
Nepal, India meridionale, Sri Lanka, Nigeria e Camerun settentrionali e a seconda del contesto
assume forme differenti, che ci inducono a classificarla secondo tre criteri: la poliandria fraterna, la
poliandria associata e la poliandria secondaria:

La poliandria fraterna (diffusa soprattutto in Nepal e in Tibet) rappresenta il prototipo classico: qui
un gruppo di fratelli sposa un’unica donna. Formalmente funge da sposo un solo fratello
(solitamente il maggiore), ma tutti gli altri (compresi i nascituri) sono uniti in matrimonio con la
sposa, hanno pari accesso sessuale e fanno da padri ai figli. La residenza è di solito patrilocale, il
sentimento di gelosia fra gli uomini è neutralizzato dal forte senso di solidarietà tra fratelli. Se la
moglie si rivelasse sterile è consentito contrarre nuove nozze, preferenzialmente seguendo un
criterio di poliginia sororale, ovvero prendendo in nozze una sorella della sposa sterile. Un simile
sistema matrimoniale necessita di specifici rafforzamenti culturali, per cui la mitologia locale ne
fornisce lo statuto sociale (antenati leggendari poliandrici), il sistema interno di parentela si fonda
sulla solidarietà dei fratelli, la famiglia corporata è la forma di base della più ampia corporazione

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dei villaggi, organizzati su un numero ristretto di famiglie su cui si concentrano le risorse della
comunità.

La poliandria associata (diffusa nello Sri Lanka e in alcune regioni dell’India meridionale), a
differenza di quella fraterna, prevede un avvio monogamico: il secondo marito entra a far parte
dell’unione in seguito e solitamente non si possono contrarre nozze con più di due mariti. Il primo è
il più autorevole, la proprietà delle risorse resta distinta, ma entrambi i mariti si considerano padri
dei figli partoriti dalla moglie. Anche i mariti possono decidere di prendere un’altra moglie,
solitamente secondo il sistema sororale; il che determina l’espansione del sistema poliandrico in
senso poliginico: si parla in questo caso di poliginandria.

Il vantaggio in termini economici di questo tipo di matrimonio è che si riduce drasticamente la rete
potenziale di vincoli imposti dalle regole matrimoniali, specie se la poliandria fraterna si correla alla
poliginia sororale: in questi casi si parla di intensificazione dell’alleanza, in quanto la forma
poligamica praticata rafforza i rapporti di affinità con una sola famiglia.

La poliandria secondaria (diffusa solo in Nigeria e Camerun settentrionali) prevede che la donna
sposi uno o più mariti secondari, restando comunque sposata ai mariti precedenti, vivendo con un
solo marito per volta ma conservando il diritto di tornare da uno dei precedenti e averne figli
legittimi. Il divorzio non è ammesso e anche gli uomini sono poliginici: l’uomo più convivere con
una o più mogli, mentre le mogli proseguono ciascuna la propria “carriera matrimoniale”. Il
matrimonio secondario, in realtà, non è né poliginico né poliandrico, poiché si origina dal
sovrapporsi di matrimoni plurimi e – a differenza del matrimonio poliandrico – tende a produrre
una proliferazione delle alleanze, che consente di costruire reti di legami estesi su intere regioni.

Mentre nei sistemi monogamici e poliginici la separazione (almeno a matrimonio contratto) tra
libertà sessuale e destino riproduttivo della donna non è ammessa, nei sistemi poliandrici lo è: in
questo caso i favori sessuali della donna possono ripartirsi fra un numero anche illimitato di uomini,
ma le sue finalità riproduttive sono soggette a un attento controllo e in alcuni casi (ad es. tra i
Nyinba del Nepal) sono riservate a un marito per volta.

Matrimonio e scambio economico

Ovunque il matrimonio è accompagnato dal trasferimento di beni economicamente e


simbolicamente rappresentativi della transazione e delle alleanze che ne conseguono. Le due
categorie principali di scambio sono classificabili come ricchezza della sposa e dote.
La ricchezza della sposa è il sistema di scambio più diffuso nelle società patrilineari a economia
agricola e pastorale e a residenza patrilocale. I beni scambiati rivestono notevole valore simbolico e
comprendono ornamenti, oggetti rari, animali. In Africa orientale e meridionale prevalgono gli
animali, stante il loro valore simbolico ed economico. Il padre (o il patrilignaggio) dello sposo dà un
certo numero di capi al patrilignaggio della sposa, a titolo di risarcimento per la perdita di forza
lavoro e di capacità riproduttive della figlia, dal momento che andrà a vivere con il marito e il suo
lignaggio e lavorerà e procreerà per loro. Tali transazioni possono alimentare i rapporti di affinità
tra i parenti dei due coniugi, perché spesso, con la ricchezza della sposa ricevuta, i parenti della
sposa potranno trovare moglie a un suo fratello, magari nello stesso lignaggio nel quale è confluita
la sorella. In questo sistema va da sé che la donna acquista potere e ascendente sul fratello, che può
contrarre nozze e perpetuare il lignaggio grazie alla ricchezza ottenuta con le sue nozze: non è un
caso che Jack Goody abbia descritto la ricchezza della sposa un capitale sociale circolante, mentre i
Bantu dichiarano che il bestiame genera figli.

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Diversamente dalla ricchezza della sposa, la dote è un trasferimento di beni familiari riservata alla
figlia femmina al momento delle nozze. È diffusa nelle società agrarie dell’Europa e dell’Asia, ma
anche nell’Africa islamica, dove è sancita dalle norme religiose. Può essere considerata una forma
di eredità o un contributo della sposa alla costituzione della nuova famiglia; la sua entità varia da
cultura a cultura e può includere o meno la terra.
Nelle società stratificate la dote consente alla sposa di mantenere uno stile di vita abituale, ma in
alcuni casi (ad esempio tra i Rajput della regione di Khalapur, nell’India Settentrionale) le donne si
sposano in gruppi di casta di status superiore, il che comporta che vadano a vivere in casa del
marito come estranee e per di più di rango inferiore: in questi casi il trattamento riservatole dipende
dall’entità della dote. Fino agli anni Cinquanta in questo gruppo etnico la sposa veniva sottomessa
alla ferrea autorità della suocera, che ne controllava dote e vita sessuale e pretendeva nuovi doni a
ogni viaggio presso la residenza dei parenti. I problemi generati in India dalla dote comportarono la
sua abolizione nel 1961, anche se fu arduo fare rispettare la legge. A metà degli anni ’70 donne con
un alto livello di istruzione, ritenendo la dote la loro legittima eredità, iniziarono a rifiutare di
cederne il controllo alle suocere.

Dote e ricchezza della sposa rendono esplicito il carattere strategico dell’alleanza matrimoniale ai
fini delle relazioni tra gruppi sociali: il che ci fa porre attenzione su altre due pratiche diffuse dopo
l’eventuale morte di uno dei coniugi, il sororato e il levirato.

Il sororato si attua quando, in caso di morte della sposa, il marito prenda in moglie una sua sorella:
è un sistema che esiste sia in società patrilineari che matrilineari e ha il vantaggio di consentire al
vedovo di rimanere con il gruppo di sua moglie (se la residenza è matrilocale) o di non dover
rendere la dote della sposa, rendendo continuativa l’alleanza stipulata con il matrimonio.
Il levirato è la pratica reciproca, che prevede la possibilità per la moglie di sposare un fratello del
defunto: la funzione è analoga, le implicazioni variano a seconda dell’età della sposa, che a volte
può preferire organizzarsi diversamente, specie in contesti poliginici. Va segnalato che entrambe le
pratiche erano diffuse nell’Italia pre- e post-unitaria, sia a Nord che a Sud, in contesti
prevalentemente contadini e fino al secondo periodo postbellico.

Epiclerato
Era in vigore nell’antica Grecia. Un uomo sposato senza figli maschi, ma solo con figlie femmine,
poteva far unire legalmente una di queste a un uomo e diventare poi a tutti gli effetti il padre del
figlio della figlia.

Matrimonio con fantasma


Praticato presso i Nuer del Sudan (allevatori e agricoltori basati sulla discendenza patrilineare).
Avere dei figli maschi per un uomo è un fattore di grandissima importanza tra i Nuer, al punto che
si ritiene opportuno procurare ad un uomo dei figli, anche quando egli muoia prima del matrimonio
o senza prole. A tale scopo un uomo di discendenza del defunto (possibilmente un fratello o un
cugino) contrae matrimonio con una donna a nome dello scomparso, i figli che nascono da tale
unione sono considerati a tutti gli effetti figli del defunto.

Matrimonio tra donne

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Praticato in Africa soprattutto (es. Igbo della Nigeria)
Non si tratta di un istituto di tipo omosessuale, ma risponde alla necessità, avvertita da tutte le
donne delle società in cui vige, di avere figli per raggiungere la piena identità sociale. A tal fine, in
caso di sterilità del marito le donne ricorrono spesso, d’accordo con i loro sposi, all’adulterio dove
gli eventuali figli sono poi considerati a tutti gli effetti figli della coppia.

 In caso di sterilità della donna, la stessa può divorziare, poiché, da sterile, viene considerata
come “un uomo”. Poi può contrarre matrimonio con un’altra donna, scegliere un uomo a sua
discrezione e farlo accoppiare con colei che è la propria moglie di diritto. I figli che nascono
da questo rapporto sono figli legittimi della “donna-marito”.

Fratelli e sorelle in prospettiva comparativa

Ai fini di uno sguardo comparativo su famiglia e matrimonio, la relazione tra fratello e sorella si
carica di significati che nella società occidentali hanno perduto progressivamente efficacia. Non può
essere disattesa invece l’importanza diffusissima in diverse culture della relazione tra fratelli di
sesso opposto: né è casuale che Lévi-Strauss abbia incluso il fratello della madre nell’atomo di
parentela insistendo sul fatto che, specie in società matrilineari, i vincoli più stretti con la
generazione successiva sono quelli tra un uomo e i figli di sua sorella.

Cosicché, in una società matrilineare il rapporto giuridico fondamentale e l’investimento sulla


prole è dato dal legame tra fratello e sorella (vedi Ashanti del Ghana). È lo zio materno che esercita
l’autorità sui figli della sorella, la quale a sua volta rappresenta per lui la sola fonte di continuità del
lignaggio. E se in contesti patrilineari la continuità di un uomo è data dalla capacità di generare
figli, in contesti matrilineari è data dalla capacità della sorella di generare figli. Su tale presupposto,
Meyer Fortes ha costruito la sua teoria in merito alla grande intimità che esiste tra sorelle e fratelli
nella cultura matrilineare (leggere p. 258). Tale intimità può essere ulteriormente rafforzata da
situazioni in cui vige il modello residenziale duolocale (vedi sempre Ashanti) e ovviamente può
generare conflitti tra cognati, soprattutto da parte delle mogli nei confronti di cognate ai quali i
mariti riservano attenzioni e confidenze del tutto omesse con le mogli.

Anche in società patrilineari, senza esclusione di contesti urbani, specie se liminari (Belmonte,
Napoli), il fratello conserva sulla sorella un potere morale che il marito non ha. Qui la forza della
relazione dipende dall’organizzazione del gruppo di parentela e di residenza: se la donna non è
costretta a condizioni di rigida adesione al lignaggio dello sposo, i fratelli avranno un controllo
diretto di questioni economiche, politiche, religiose legate alla sfera domestica della sorella. Questo
sistema, come lo stesso Thomas Belmonte constatò per Napoli, ha funzionato in tutto il meridione
d’Italia fino al secondo dopoguerra e oltre.
Vi sono poi contesti meno prossimi (altipiani Nuova Guinea) nei quali le donne, pur sposate e
residenti fuori dal proprio lignaggio, restano sotto il dominio degli spiriti del proprio clan e dopo la
morte si riuniscono ad essi. Ma se la sua partecipazione al lignaggio e al clan del marito si protrae
per anni, dopo la morte, oltre che sul proprio clan come “spirito della sorella” eserciterà influenza
anche su quello dello sposo come “spirito della madre”.

FAMIGLIA

La famiglia nucleare è quella con la quale si ha maggiore dimestichezza in Occidente e che si situa
in contesti monogami e neolocali. Vi coesistono due generazioni: i genitori e figli non sposati. Ogni
membro ha rapporti soggetti a variabili interne con ciascun altro membro: marito e moglie, genitori
e figli, fratelli. Su queste linee principali trovano sede sentimenti di gelosia, dissidio e affetto nella
famiglia monogama nucleare. Una famiglia nucleare sussiste fin quando genitori e figli rimangono

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insieme, per questo in antropologia si usa distinguere la famiglia nucleare di origine da quella di
procreazione, che si viene a creare quando un individuo adulto si sposa e ha figli.

La famiglia poliginica si espone a dinamiche diverse e più complesse. Ogni moglie è in rapporto
con le comogli e tutte interagiscono singolarmente o collettivamente con il marito. Tali relazioni
cambiano significativamente con il tempo e si modellano all’interno di altre dinamiche interne,
prima tra tutte la relazione tra figli di una stessa madre e figli di madri diverse. Di norma, fratelli e
fratellastri sono designati con lo stesso termine, ma quando si voglia sottolineare la stretta
connessione e intimità, si usa dire «fratello di stesso padre e di stessa madre». Ogni madre tende a
proteggere gli interessi dei propri figli a spese di quelli delle comogli, il che genera diverse ragioni
di competizione: una delle prime ragioni è legata a chi tra i figli debba ricevere il privilegio
dell’istruzione.
Le mogli hanno peraltro uno status diverso: la prima moglie è dominante e ha autorità sulle altre,
ma una ragione di dominanza può essere anche il rango di provenienza di una moglie, ad esempio di
status sociale più elevato. Talora è la prima moglie a orientare il marito a un secondo o a ulteriori
matrimoni, orientandolo anche sulla scelta delle comogli. L’istruzione dei figli ne determina
posizioni di leadership, il che incoraggia le mogli a promuoverla per i loro figli: ma spesso
l’opzione comporta il sacrificio di altri due figli (per uno che va a scuola due devono attendere a un
mestiere), il che scatena aspre contese tra le comogli, che possono dare luogo al divorzio o a
pratiche di stregoneria ai danni dei figli delle loro rivali. Non a caso in contesti poliginici spesso si
preferisce affidare alcuni figli a parenti (tanto più se sprovvisti di prole) che provvedano a pagare le
spese scolastiche.

Non insolita, in contesti non occidentali, è la struttura della famiglia estesa: estensione che può
avere carattere verticale (genitori, figli sposati e nipoti) oppure orizzontale (fratelli sposati in
regime patrilineare), o ancora congiunta, che contempla una abitazione a corte, dove ciascuna
famiglia nucleare dispone di un’unità abitativa minima (stanza da letto) mentre diversi ambienti,
oggetti domestici o indumenti vengono utilizzati da tutti i membri della famiglia (è un sistema
vigente in Senegal, specie tra i wolof). Quando un nucleo familiare basato su famiglie estese
include tre o più generazioni parliamo di famiglie consanguinee, composte dai genitori, dalle loro
famiglie di origine e dai loro discendenti. La struttura della famiglia estesa è stata molto diffusa
nelle classi contadine dell’Europa di prima metà del Novecento (vedi film Novecento di Olmi) e ha
conosciuto recenti riattualizzazioni nelle fasce più povere della popolazione occidentale
contemporanea, come forma di adattamento a condizioni di indigenza.

La classificazione della famiglia nelle categorie qui elencate non esclude che vi possano essere nel
tempo variazioni significative in una stessa categoria di famiglia: ad esempio,

«mettiamo che in una società poliginica con famiglie estese una coppia di neosposi metta su casa.
Con la nascita di un bambino diventano una famiglia nucleare monogama, ma se e quando gli
anziani genitori vanno a vivere con loro si trasformano in famiglia estesa verticale. Il marito si
risposa e la famiglia diventa poliginica, i genitori muoiono e cessa di essere una famiglia estesa.
Dopo qualche tempo arriva un fratello minore dell’uomo con moglie e figli e si crea una famiglia
congiunta. Intanto una moglie divorzia e il marito diventa monogamo. Il fratello se ne va con la
famiglia e l’uomo si risposa: la famiglia ridiventa poliginica. Intanto si sposa il figlio maggiore,
porta la moglie in casa ed ecco nuovamente la famiglia estesa […]» Shultz-Lavenda p. 261

Come si è visto, la famiglia è soggetta a notevoli variazioni nel tempo, e si può dar luogo a
formazioni di nuove famiglie che si originano dalla scissione di una famiglia estesa, come ad
esempio quando la morte di un padre in una famiglia congiunta può determinare l’insofferenza dei
fratelli minori rispetto alla posizione di capofamiglia ereditata dal maggiore, e dare luogo a una

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frantumazione temporanea in famiglie nucleari. Analogamente, se in famiglie poliandriche un
gruppo di fratelli prende una seconda moglie, con l’andare del tempo si possono formare due gruppi
con alcuni fratelli che preferiscono la prima e altri la seconda. In questo caso può aver luogo la
divisione della famiglia in due famiglie congiunte.

Divorzio

La separazione dei coniugi è ammessa nella stragrande maggioranza di società: in alcune il processo
è lungo e difficoltoso, specie se si deve restituire la “ricchezza della sposa” alla famiglia del marito,
il che spesso richiede che i fratelli della donna divorziata divorzino a loro volta per farsi ridare dagli
affini la ricchezza ceduta per l’acquisizione della moglie, necessaria a rifondere i parenti della
sorella divorzianda. La condizione migliore si ha quando è il nuovo marito a pagare la famiglia
dell’ex marito, evitando la catena di divorzi obbligati nella famiglia della nuova moglie.
Vi sono invece società dove il divorzio è più semplice, specie se il matrimonio è stato contratto per
onorare regole familiari non più funzionali, come per esempio dare in sposa la figlia al proprio
fratello o sposare una figlia giovanissima con un uomo molto più anziano: in questi casi il
matrimonio si interrompe dopo pochi mesi. In alcuni contesti coranici (es. musulmani di Guider, in
Camerun) il divorzio è consentito solo agli uomini e si espleta con una formula essenziale: ripetere
tre volte la frase “io divorzio da te” al cospetto di due testimoni. La donna abbandona la casa e può
portare con sé solo un figlio neonato (o non ancora deambulante), che renderà al padre all’età di 6-8
anni; se è incinta deve attendere tre mesi prima di ricontrarre nuove nozze.
In assenza del diritto al divorzio, le donne che vogliono sfuggire a un matrimonio infelice adottano
sistemi indiretti di resistenza: trascurano le faccende domestiche, bruciano il cibo, disertano il letto
coniugale o infine vanno a vivere a casa del padre o del fratello, finché non è il marito a optare per
il divorzio.
In contesti tradizionali, uno dei motivi principali di divorzio è la sterilità, prima ancora che la
litigiosità, le vessazioni, l’adulterio: spesso la separazione richiede solo il mutuo consenso e talora
(vedi !Kung del Kalahari) i rapporti rimangono cordiali e gli ex coniugi continuano a frequentarsi
serenamente, anche con i nuovi compagni.
Vi sono poi casi nei quali il divorzio non è consentito (vedi Inuit dell’Artico), ma è possibile la
separazione ed è possibile contrarre nuove nozze, nel qual caso gli uomini diventano comariti, le
donne comogli e i figli di primo o secondo letto fratelli.

Famiglia e migrazioni internazionali

La migrazione e la recente globalizzazione hanno avuto effetti importanti sulle forme tradizionali di
famiglia. Anzitutto il fenomeno migratorio dà luogo a una frammentazione significativa, dal
momento che alcuni membri partono e altri restano: se la prospettiva è quella della permanenza
temporanea, la moglie rimane a casa e il marito può talora farsi raggiungere da figli
prevalentemente maschi. In casi di ricongiungimento, la procedura prevede una progressione nella
richiesta di visti che vede in progressione prima i figli in età lavorativa e poi, in ultimo la moglie e
le figlie femmine. Può anche darsi che dopo anni di permanenza nel paese straniero, la coppia che
ha dato inizio al ciclo migratorio torni in patria con i risparmi accumulati: in questo caso spesso i
figli rimasti nel paese ospitante continueranno a inviare denaro a casa, anche per garantire gli effetti
visibili di una ascesa sociale.
In condizioni migratorie, il marito assente mantiene un ruolo attivo nella vita familiare, nonostante i
costi della separazione: prende decisioni importanti, segue l’andamento della famiglia a distanza
(attraverso lettere, telefonate, recentemente social...) e talora delega alcune funzioni ai fratelli
rimasti. L’incidenza di divorzi in condizioni migratorie è molto bassa. Va da sé che i margini di
libertà e autorità della donna il cui marito è emigrato possono essere molto più ampi che in
condizioni di coabitazione

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