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OMIM 105650

Anemia di Blackfan-Diamond
L’anemia di Blackfan-Diamond è una patologia da difetti dei meccanismi di controllo della traduzione, legata
ad un depauperamento dei globuli rossi, che rientra nella macrocategoria delle ribosomopatie, ossia le patologie
legate ad una disfunzionalità ribosomiale. Tale patologia si manifesta in seguito a mutazioni a carico di geni che
codificano per le proteine che compongono la subunità maggiore e minore del ribosoma; altre malattie, invece,
sono legate ad disfunzioni di momenti diversi della traduzione, ad esempio:
 la Shwachman Diamond Syndrome è legata a un difetto dell’assemblaggio delle due subunità del
ribosoma durante l’inizio della traduzione;
 la Dyskeratosis Congenita è associata a difetti nel binding dell’RNA;
 la Treacher Collins Syndrome, dovuta alla maturazione degli RNA ribosomiali.

Quadro sintomatologico
Jack nasce nel 2008 ed apparentemente è un bambino sano, ma a 12 settimane
inizia a manifestare le prime problematiche quali pallore, difficoltà
nell’alimentazione e a livello respiratorio. Un prelievo ematico rivela che il
sangue ha il colore di una limonata rosa, chiaro sintomo di un consistente
depauperamento della popolazione eritrocitaria. Viene predisposta una
trasfusione immediata per contrastare l’anemia, che comportala difficoltà di
approvigionamento di ossigeno, che soprattutto nella fase post-natale può
essere critica.
I test più disparati non rivelano alcunché, e le analisi microbiologiche
non rivelano la presenza di un’infezione virale. Infine, gli screening genetici
portano alla diagnosi di una malattia ultra-rara, un’anemia estremamente
acuta di cui sono stati descritti solamente 1000 casi al mondo, nota come
anemia di Blackfan-Diamond (DBA).

La gestione di tale patologia richiede una serie di trattamenti invasivi come


continue trasfusioni accompagnate dalla chelazione del ferro (possono durare
12h) e trattamenti con corticosteroidi che portano ad una massiva ospedalizzazione del bimbo.
Le trasfusioni, per altro, generano un sovraccarico di ferro il quale, quindi, si accumula, determinando la
necessità di mettere in pratica trattamenti con chelanti per sottrarlo dal circolo ematico, e di dialisi per
eliminarlo dall’organismo. L’accumulo di ferro infatti determina una tossicità per gli epatociti e porrebbe a rischio
di cirrosi il bambino, oltre che di massiva morte degli epatociti.

L’anemia di Blackfan-Diamond è
quindi inizialmente diagnosticata
tramite la presenza di sintomi quali la
difficoltà nell’alimentazione, il pallore e
la dispnea, e successivamente tramite il
prelievo ematico è possibile constatare
l’aplasia dei globuli rossi, e quindi la
ridotta popolazione eritrocitaria.
All’aplasia si possono accompagnare
anche altre problematiche, legate a
tutt’altri tessuti:
 Malformazioni cranio-facciali;
 Anomalie a livello scheletrico, per esempio il pollice trifalangeo;
 Anomalie congenite come palatoschisi, malformazioni cardiache e urogenitali.
Quindi, la patologia si presenta in maniera molto diversificata, con sintomi che possono colpire vari tessuti, quali
quello ematopoietico, cardiaco oppure scheletrico. Il fatto che la DBA colpisca più popolazioni cellulari
rappresenta la discriminante rispetto alle classiche anemie (esempio falciforme, mediterranea ecc..) che, al
contrario, determinano solo un problema legato alla popolazione eritrocitaria, ma non intacca ulteriori tessuti.

I soggetti affetti da DBA hanno un elevato rischio di incorrere in leucemie entro i 45 anni.
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Questa patologia fu descritta per la prima volta nel 1938 da due pediatri, Luis K. Diamond e Kenneth Blackfan,
che individuarono casi rarissimi di bambini affetti da queste malformazioni e, in particolare, da questa
ingravescente anemia.

I casi descritti sono circa un migliaio, ma negli ultimi anni il numero di diagnosi è in aumento. Nonostante
l’aumento di casi in letteratura, l’incidenza resta molto bassa, cioè si tratta di una malattia piuttosto rara, infatti
l’incidenza annuale l’incidenza annuale nell’intera popolazione europea è circa 1 caso su 150.000 nati vivi.

La DBA colpisce ugualmente entrambi i sessi ed è caratterizzata da un esordio precoce, infatti si manifesta entro i
2 anni. Si presenta sia in forme ereditarie (10-20%) sia in forme sporadiche (80-90%), caratterizzate dal fatto
che i genitori sono sani mentre i figli risultano affetti dalla patologia.
Le forme ereditarie sono più rare (10-20 %) in primo luogo perché la comparsa della leucemia rende più
difficile avere figli e inoltre per via delle continue trasfusioni che costringono ad una severa ospedalizzazione.

Patogenesi
I geni candidati alla comparsa della malattia
codificano tutti per proteine costituenti le subunità
ribosomiali, che codificano quindi per proteine RPL
(ribosomal protein large subunit) e RPS (ribosomal
protein small subunit). I geni che codificano queste
proteine si collocano in maniera varia lungo i bracci
dei cromosomi 1, 3, 6, 15, 19, perciò risulta difficile
fare diagnosi mirate. La maggior parte dei casi (25%),
comunque, è dovuto alla mutazione del gene RPS19,
collocato nel braccio lungo del cromosoma 19 (19q) e
nella regione 13.2

Grazie al miglioramento delle tecniche avanzate di


screening, si è arrivati ad analizzare massivamente tutti i geni per le subunità ribosomiali e a diagnosticare
efficacemente nel 92% dei casi, che è un livello piuttosto consistente.

Il 60-70% dei casi descritti in letteratura sono determinati da mutazioni nei geni che codificano per le proteine
ribosomiali, mentre la restante parte è costituita da casi idiopatici, cioè senza una causa ben determinata, che
probabilmente saranno dovuti anch’essi a qualche proteina ancora ignota riguardante le subunità ribosomiali.

Il processo di differenziamento cellulare è determinato da un cambiamento del programma trascrizionale delle


cellule, le quali passano da una condizione di staminalità ad una situazione di maggiore specializzazione per
acquisire una specifica funzione. Il cambiamento del programma trascrizionale causa un cambiamento anche nel
tipo di proteine prodotte, di conseguenza la trascrizione ha
un ruolo predominante anche nel differenziamento
cellulare, oltre che nella riproduzione cellulare. Nei
soggetti affetti da DBA, infatti, sorgono problemi a livello
di maturazione dei precursori eritrocitari.

I precursori degli eritrociti (CFU-E), nei soggetti malati,


presentano difetti nella propria maturazione in eritrociti a
causa delle mutazioni a carico dei geni che codificano per
le proteine ribosomiali. Il processo di traduzione, perciò,
non adempie correttamente alla sua funzione e, pertanto,
gli eritroblasti restano immaturi, in quanto le proteine
necessarie per il proprio differenziamento verranno
espresse in numero molto ridotto.
Considerato il danno al ribosoma, anche le proteine coinvolte nella risposta allo stress ossidativo saranno
carenti, quindi aumenta molto lo stress ossidativo a cui è sottoposta la cellula. Quando le cellule entrano in una
fase di stress, viene aumentata la concentrazione intracellulare della proteina p53, coinvolta nei processi di
segnalazione di condizioni di stress o danni al DNA. In risposta a questi stimoli, la p53 aumenta e la cellula prova
a riparare il danno; qualora non vi riuscisse, la p53 raggiunge un livello soglia e la cellula entra in apoptosi.
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Questo spiega perché l’anemia è ad alto rischio di morte, infatti oltre al calo della popolazione differenziata degli

eritrociti, si ha la morte degli eritroblasti.


L’anemia non è l’unico aspetto sintomatico, infatti i soggetti affetti da questa patologia possono presentare anche
altre problematiche come malformazioni facciali e pollice trifalangeo, difetti collegati alla traduzione che
avviene durante lo sviluppo embrionale.
Quando il tubo neurale si costituisce, alcune cellule mesenchimali dotate di staminalità dette cellule delle
creste neurali migrano all’interno del corpo e si differenziano in vari tipi di popolazioni cellulari, le quali a loro
volta necessitano per il loro differenziamento di una attività ribosomiale corretta, quindi i difetti della traduzione
facilmente si trasducono in difetti della migrazione e del differenziamento di queste cellule.

Terapia
Attualmente, la prima terapia si preoccupa di curare l’anemia mediante trasfusione (10-15mL/kg ogni 4
settimane), la quale, come già detto, ha come effetto collaterale l’accumulo di ferro. La trasfusione deve quindi
deve essere accompagnata dalla chelazione, un trattamento con una molecola che lega per coordinazione atomi di
ferro, sequestrandoli dal torrente sanguigno. L’ipersideremia (sovraccarico di ferro) causata da eccessive
trasfusioni non accompagnate dal trattamento chelante, è responsabile di alterazioni cardiache, ipotiroidismo,
cirrosi epatica, diabete e ritardata crescita puberale. I ferrochelanti più usati sono la Deferoxamina, che però
necessita di somministrazione continua, o il Deferiprone per via orale.
Vengono somministrati anche glucocortcoidi che aumentano la proliferazione dei precursori eritrocitari,
nonostante la difficoltà nel differenziarsi in eritrociti permanga, e leucina, che aumenta la traduzione e la sintesi
di emoglobina e sembra favorire la crescita degli eritrociti.

Infine, si può ricorrere al trapianto di midollo che, però, implica la ricerca di un donatore istocompatibile.

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