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Trofeo Laigueglia:

50 edizioni che insegnano


Quando una località votata al turismo, sceglie il ciclismo come veicolo promozionale, fa una scelta vin-
cente, perché il mezzo spinto a motore umano, sa entrare davvero dentro le menti e le proietta a svilup-
pare simpatia, nonché quell’oralità conseguente che penetra, quando magari, il tema, verte sulle vacan-
ze. È così da sempre, anche se molti lo dimenticano.
Certo, il ciclismo nelle sue varie forme e variabili, fra le quali, e qui chi lo dimentica giunge a numeri mol-
to gravi, compresa quella agonistica, d’elite, come ormai siamo abituati a dire. È giusto predisporsi verso
il nuovo mondo, ormai di massa, definito “delle granfondo”, che restano un primario filone sociale, ma è
altrettanto giusto, ed impagabile, per i richiami internazionali che sa dare e muovere, puntare su un e-
vento dichiaratamente competitivo nelle sue valenze sportive, capace di interessare oltre i confini nazio-
nali e creare aloni che valgono sempre la spesa per la sua posa in opera.
La piccola Laigueglia, è la più vecchia minuscola e graziosa località italiana che ha fatto sue queste
semplici constatazioni.
Ci si chieda, almeno una volta: quanti, da Francia, Germania, Spagna, Belgio, Olanda, Svizzera ecc. co-
noscevano la località, prima della nascita del Trofeo ciclistico? Pochi, pochissimi, forse una nicchia degli
appassionati di geografia esistenti nel mondo. Una località, dunque, che va applaudita, per averci inve-
stito risorse, attenzioni e, perché no, sentimento.
Oggi, il Trofeo a lei intitolato, festeggia la cinquantesima edizione, ma è giovane come mezzo secolo fa.
In questo lungo lasso attorno all’idea e alla volontà di Pino Villa e degli appassionati laiguegliesi del
1964, sono cambiati operatori ed animatori, perfino il sodalizio organizzatore, ma sono rimasti su questa
corsa, e ciò che significa, come due roccheforti peculiari, le Istituzioni, stavolta davvero maiuscole: il
Comune di Laigueglia, indipendentemente dal testimone passato fra sindaci e giunte e quell’Azienda di
Soggiorno, che deve sempre avere un’anima, altrimenti diverrebbe uno dei tanti carrozzoni eufemistica-
mente inspiegabili, esistenti in questa nostra derelitta, ma bellissima, Italia.
Sono loro, mi si permetta, i veri campioni di questa storia. E sono loro l’espressione viva e sentita delle
poco più di 1800 anime che abitano nel luogo. Piccoli numeri che hanno scavato un solco profondo, in-
segnando alle altre località ben più grandi, nonché agli stessi dirigenti del ciclismo, quanto sia enorme il
potenziale di “vita” che gravita attorno a quel mezzo, che non inquina e che ci fa provare, sempre, quel
fascinoso segmento che qualcuno ci donò mettendoci al mondo.
Morris
1a edizione: 23 febbraio 1964

Altimetria del percorso


Circuito da percorrere tre volte

Km 0 21,4 35,3 43 46,4


Testico C. Mele

Con un cast che rappresentava il meglio del panorama nazionale, salvo il loquace abruzzese Vito Tac-
cone (Salvarani), fermato per un problemai ai denti, partì la prima edizione di una corsa che fece capire
subito di avere le carte in regola per diventare una classica del panorama internazionale. Tra l’altro, in
quel lontano 1964, non s’era ancora svolto il Giro di Sardegna, ovvero una corsa dallo start eccelso, e
ben si capì quanto il “Laigueglia” potesse divenire, insistendo la convinzione, come la classica di apertu-
ra del calendario italiano e non solo. La gara venne molto presto animata da un corridore romagnolo,
Guido Neri, che s’era trovato “non accasato”, causa la chiusura della San Pellegrino per le vicende della
querelle sul Tricolore ’63 e pure l’azienda di elettrodomestici ligure, ovvero la Firte, che aveva rilevato la
squadra diretta da Gino Bartali alla fine della stagione viste la propria disastrosa condizione economica,
aveva lasciato il ciclismo. Tanto è vero che le ultime mensilità dei corridori, furono pagate attraverso la
cessione di prodotti dell’azienda e gli atleti si erano ritrovati a fungere da “costretti” venditori, per incas-
sare…. Neri, che pure si era messo in luce all’esordio con la Torpado, partecipò dunque la “Laigueglia,
con la maglia del Dopolavoro Masone, la sua squadra da allievo, ed aveva una motivazione in più per far
bene e convincere qualche squadra ad assumerlo. Fatto sta che le sue accelerazioni sul Testico, provo-
carono selezione nonché la fuga di sei uomini: lo stesso Neri, Adirni e Minieri della Salvarani, Fontana
della Lygie, Zancanaro della Carpano e l’irpino trapiantato in Belgio, tornato in italia per correre con la
ligure Cite, Salvatore Miele. Il drappello in poco tempo accumulò un vantaggio di alcuni minuti, poi, nel
corso del secondo giro del lungo circuito di corsa, Neri, approfittando dello scompiglio che seguì la cadu-
ta senza conseguenze di Miele e Zancanaro se ne andò da solo verso un’avventura che pareva impos-
sibile, visti i chilometri che ancora mancavano al traguardo. Gli ex compagni di fuga non trovarono
l’accordo per inseguire come si doveva, anche perché taluni, erano davvero a corto di preparazione. Fat-
to sta che vennero riassorbiti dal gruppo. Nel finale il battistrada si trovò a dover respingere, prima un
tentativo portato da Adorni e Zilioli (Carpano), indi il
ben più pericoloso affondo operato da un terzetto par-
tito dal gruppo su Capo Mele, composto da Bailetti
(Carpano), Meco (Cite) e Casati (Carpano. Il vantaggio
di Neri si ridusse, ma fu sufficiente per fargli percorrere
l’ultimo chilometro con la convinzione di aver messo a
segno un gran colpo. Arrivò al traguardo a breccia al-
zate con 20” su Bailetti che, nel finale, aveva staccato
i due compagni d’avventura. Dopo le premiazioni, il
meritevole corridore cesenate tornò in albergo e qui
ricevette la telefonata di Giorgio Albani, direttore spor-
tivo della Molteni. Quella vittoria, alla fine, gli diede la-
voro e gli cambiò la vita.
Guido Neri coi fiori del trionfo (foto Sirotti)
Sul vincitore.
Nato a Cesena il 27 gennaio 1939. Passista scalatore. Alto 1,70 m. per kg 61. Professionista dal 1962
al 1970, complessivamente ha ottenuto 3 vittorie. Con Guido, è d’obbligo non guardare al palmares. Ne
uscirebbe un quadro distorto e mediocre, quando, invece, ci troviamo di fronte ad un atleta che ha inciso
non poco nella sua epoca e nelle squadre in cui ha militato. Il fatto poi di esser stato considerato alla fine
degli anni sessanta come uno dei migliori
gregari del mondo, la dice lunga sulle sue fa-
coltà. Non dotato di mezzi eccezionali, ma
nemmeno da comprimario, ben presto fece
una scelta: incentivare al massimo le sue mi-
gliori qualità, ovvero l’intelligenza e la furbizia,
al fine di rendersi possibile una presenza nel-
lo sport, palpabile e di lungo corso, anche su-
periore ai confini di carriera. Dire che c’è riu-
scito, rappresenta una lettura fedele. Ancora
oggi, riflettendo sulla sua ellisse, c’è da chie-
dersi quanto abbia inciso sui suoi capitani:
non era un gregario classico, portaborracce
ecc., la sua presenza possedeva i connotati
del consigliere, del tattico, del capitano na-
scosto. Nessuno dei compagni d’un tempo lo
ha dimenticato e tanti di quelli che non hanno
mai convissuto con lui nelle medesime squa-
dre, lo hanno stimato e lo stimano tutt’oggi. Mi
son chiesto, più volte, perché non ha scelto di
fare il direttore sportivo, avrebbe potuto esse-
re un top driver, ne aveva pienamente le ca-
pacità. Poi, forse una prima risposta mi viene
dalla constatazione che Guido, quel ruolo, lo
ha svolto per anni, proprio mentre correva e,
forse, pur rimanendo nell’am-biente dello
sport che ha amato e che ama, ha capito che
poteva essere ugualmente gratificante divenire commerciante nel settore. La stima per Neri, viene così
ancor più spontanea, perché, oltretutto, le sue scelte han dimostrato poco narcisismo. Lo dico alla luce
dei modesti corridori (tanto più di Guido) che poi han trasferito eguale reale modestia sull’ammiraglia,
pur cercando d’apparire tecnici o sapienti nocchieri. Con simili personaggi, era fin troppo ovvio che fos-
sero i dottori a farla da padroni. La carriera di Neri iniziò nel ’56 da allievo con la “Bagnolese”, squadra
d’un paesino del reggiano dove la famiglia di Guido s’era trasferita. Anche quando il nucleo famigliare
ritornò in quel di Martorano di Cesena, il neodilettante Neri, continuò a militare in un sodalizio emiliano: il
G.S, Burro Giglio. Con questa squadra consumò tutta la sua permanenza fra i “puri”: un segmento denso
di successi (ben 22) fra i quali il Giro del Frignano, il Giro del Casentino, due volte il Giro dell’Alta Luni-
giana, il Giro delle Tre Province, il Trofeo Ponsacco e il G.P. Marsili. Nel 1962, il salto fra i professionisti
in seno alla Torpado, dove si mostrò subito intraprendente, finì il Giro d’Italia al 24° posto, dopo esser
stato protagonista in particolare nella tappa di Castrocaro Terme, assieme ad un certo Rik Van Looy. Nel
1963 dopo l’ottimo 4° posto alla Sassari-Cagliari, pagò non poco le vicissitudini che portarono la sua
nuova squadra, la San Pellegrino, a sciogliersi per una delle tante dispute poco eccellenti che hanno
spesso costellato la storia della Federazione Ciclistica Italiana. Finì la stagione in maglia Firte, ma alla
fine dell’anno si trovò, al pari di altri, non accasato. Da isolato iniziò alla grande il 1964, vincendo per di-
stacco il Trofeo Laigueglia e questo successo gli valse un contratto con la già blasonata Molteni. Iniziò lì,
la fama di grande gregario e luogotenente di Guido Neri. I vari Motta, Altig e Dancelli sfruttarono al me-
glio l’abilità del cesenate di vedere e capire la corsa, nonché tracciare pungenti piani tattici. Nel 1966, al
Tour de France, Guido, dopo i tanti piazzamenti colti, ritrovò la gioia del successo sfilando al Parco dei
Principi per aver vinto la classifica dei “Punti Caldi” (Traguardi Volanti), superando un mostro sacro dei
francesi: Dedè Darrigade. Nel 1967, passò nell’ambiziosa Max Meyer, dove fu la chioccia per un cam-
pioncino in erba, tanto taciturno quanto tormentato, Claudio Michelotto. Continuò ad incentivare la sua
fama di coequipier di valore, nonché cogliere i soliti piazzamenti. Nel 1970, passò alla Scic di Vittorio
Adorni, portando con sé anche Michelotto. Vinse il Trofeo Treossi e si confermò un luogotenente di
spessore raro. Alla fine dell’anno però, decise di chiudere l’attività agonistica e divenne artigiano e com-
merciante nel settore ciclistico.
Ordine d’arrivo:
1° GUIDO NERI (Non Accasato) Km 138,1 in 3h57'44" alla media di
34,869 kmh; 2° Antonio Bailetti (Carpano) a 20"; 3° Vincenzo Meco (Cite) a
41"; 4° Guido Carlesi (Gazzola) a 54"; 5° Mario Minieri (Salvarani); 6° Fran-
co Cribiori (Gazzola); 7° Vittorio Adorni (Salvarani); 8° Italo Zilioli (Carpa-
no); 9° Silvano Ciampi (Springoil-Fuchs); 10° Carlo Azzini (Carpano); 11°
Vittorio Casati (Carpano); 12° Felice Adami (Le-gnano); 13° Aldo Moser
(Lygie); 14° Enzo Moser (Lygie); 15° Nino Defilippis (I.B.A.C.); 16° Grazia-
no Battistini (I.B.A.C.); 17° Alberto Marzaioli (Cite); 18° Franco Balmamion
(Cynar-Frejus); 19° Danilo Grassi (Lygie) a 1'21"; 20° Vendramino Bariviera
(Carpanoi); 21° Giovanni Fabbri (Cite); 22° Guerrando Lenzi (Springoil-
Fuchs); 23° Walter Martin (Carpano); 24° Franco Panicelli (Cite); 25° Gian-
piero Pancini (Lygie); 26° Roberto Nencioli (Ignis); 27° Alberto Assirelli (Salvarani); 28° Arnaldo Di
Maria (Carpano); 29° Diego Ronchini (Cynar Frejus). Partiti 57, arrivati 29.

2a edizione: 21 febbraio 1965

Fra i 93 partenti fecero il loro ingresso gli stranieri, in massa, e fortissimi. Allo start, infatti, il francese
Jacques Anquetil (Ford Gitane), che veniva dalla doppietta Giro-Tour, dell’anno precedente, che venne
in Liguria con compagni di squadra fortissimi come Graczyk, Lebaube, l’ex iridato dei dilettanti Jourden e
l’irlandese Elliott, indi Poulidor (Mercier), ovvero il più amato in terra transalpina e già vincitore della
“Sanremo”, nonché i belgi, con l’ex iridato Beheyt (Groene Leuw) ed il coiquipier Gilbert Desmet, e la
Flandria coi vari Reybroeck, Bocklandt, Molenaers e Planckaert Tra gli altri stranieri pure corridori di va-
lore come l’olandese Zilverberg e lo svizzero Maurer. La La gara visse i suoi momenti cardine nel terzo
passaggio sul Testico, dove un’iniziativa dell’olimpionico Toni Bailetti (Carpano), creò una forte selezione
che portò in avanscoperta un drappello di dodici uomini, fra i quali però, non faceva parte l’iniziatore, a
cui si aggiunsero in discesa un altro olimpionico, il milanese Marino Vigna e il piemontese Giorgio Zan-
canaro. Il drappello dei 14, andò al traguardo. A mezzo chilometro dal termine Anquetil cerco di anticipa-
le i più veloci, ma sbagliò i tempi dell’affondo e si piantò a 150 metri dalla linea. L’acuto vincente, invece,
fu di Marino Vigna (Ignis), che anticipò con discreto margine il piemontese Galbo della neonata Sanson.

Sul vincitore.
Nato a Milano il 6 novembre 1938 passista veloce, alto 1,80 per 71 kg. Professionista dal 1961 al 1967
con 8 vittorie. Ai suoi tempi era davvero una rarità: quando lo si ascoltava in Tv, sembrava uno finito nel
ciclismo per caso, tale era la sua capacità di esprimersi con dizione e lessico perfetti. Sembrava un intel-
lettuale, niente a che vedere col metro d’un ambiente che veniva definito quello del “ciao mama son con-
tento di essere arrivato uno”. Ed era così evidente, che anche la mia maestra, ligia a combattere su ogni
poro per l’affermazione della lingua italiana, in una Romagna dove il dialetto imperava, mi faceva notare
ogni volta quel distinguo, aggiungendo: “Caro Maurizietto, se i corridori fossero come Vigna, che pare il
maestro Manzi del ciclismo, questo sport sarebbe da proporre ai bambini”. Che tempi!
Marino, dunque, era un ciclista atipico, anche nella gentilezza e correttezza, pur essendo un velocista.
Ma era pure bravo, non certamente un super, bensì un buon corridore che ha saputo raccogliere forse
meno di quel che valeva, per il suo essere così a modo. Nato nelle vicinanze del Vigorelli, la pista tempio
(che tonfo vergognoso per Milano e la spesso presuntuosa Lombardia, quel pressapochismo che ha le-
so immagine e sostanza di quel monumento!), Vigna crebbe ciclisticamente acquisendo tutti quei cro-
mosomi che la scienza del ciclismo che si distribuisce sugli anelli, dona: colpo di pedale, destrezza, ca-
pacità di scelta negli affondi e grande scioltezza. Divenne ben presto un fulcro del movimento giovanile e
dilettantistico italiano, sia su pista che su strada. Sui velodromi, vinse il Tricolore allievi nella corsa a
punti nel 1956 per poi divenire un gigante nella specialità dell’inseguimento a squadre, dove le sue quali-
tà di passo e di velocità emergevano copiose: vinse due volte il Titolo Tricolore nel 1958 e nel 1960. Di-
venuto un punto fermo del quartetto d’inseguimento azzurro, vinse la Medaglia d’Oro alle Olimpiadi di
Roma, assieme ad Arienti, Testa e Vallotto, nel gran tempo di 4'30"9: una performance per le bici e le
conoscenze di quei tempi, davvero incredibile. Su strada, nella favolosa annata olimpica, conquistò fra
gli altri successi, due classicissime della categoria, quali la Milano Tortona e la Coppa d’Inverno. Indi,
assieme assieme a Fezzardi, s’impose nel Trofeo Baracchi, ottenendo un tempo migliore di quello di
Ronchini-Venturelli, vittoriosi tra i professionisti. Nel 1961, passò fra i professionisti nella fortissima
“Philco”, ma i suoi risultati stentarono a decollare: solo nel ’62 si
segnalò col secondo posto nel Trofeo Moschini ed il 4° nella Milano
Torino. Nel ’63 passò alla Legnano dell’Avocatt Eberardo Pavesi e
raggiunse la ribalta conquistando la tappa di Cremona al Giro
d’Italia ed i Circuiti di Villafranca ed ancora di Cremona. Nel 1964,
finì in Gazzola e fu una buonissima annata: fece sua la Tre Valli
Varesine, la tappa di Losanna al Giro di Romandia e il Gran Pre-
mio Camucia. Buon anche taluni piazzamenti: 5° nel Giro del Lazio
e 7° nel Tricolore. Ancora un cambio di squadra nel ’65, con
l’approdo all’Ignis del Commendator Borghi. Un’ottima annata con
la vittoria nel Trofeo Laigueglia e bei piazzamenti: 2° nella Milano
Torino, 5° nel Giro dell’Emilia, 12° nella “Sanremo” ed il primo Giro
d’Italia concluso (73°). Nel 1966, arrivò alla sua ultima equipe pro-
fessionistica, la Vittadello. Vinse nel 1966 quella Milano-Torino che
gli era sfuggita un paio di volte, fu 2° nel GP di Camaiore e chiuse
60° il Giro d’Italia, Nel ’67 solo piazzamenti: 4° nel “Campania”, 9°
nel “fedele” Milano Torino, 11° nella Milano Sanremo, 12° nel Giro
di Lombardia e 63° nella Vuelta di Spagna. A fine anno lasciò il ci-
clismo pedalato per salire in ammiraglia della “grande” Faema di
Merckx e Adorni. Passo poi a mettere a disposizione le sue doti di
intelligenza e di abilità tecnica, nel ruolo di Commissario Tecnico
della pista, indi come Presidente della Commissione Tecnica della Lega e di Consigliere in seno
all’Associazione Corridori Professionisti. Divenne poi uomo immagine della Bianchi, con l’incarico di se-
guire i sodalizi ciclistici sponsorizzati da quella grande casa ciclistica. Senza dimenticare mai l’amore
verso quel Vigorelli che, negli ultimi anni è stato solo un’occasione di ritrovo per lui e per tanti grandi ex
azzurri, fra i quali l’indimenticabile “cittì” del calcio, Enzo Bearzot.

Ordine d’arrivo:
1° MARINO VIGNA (Ignis) Km 158 in 4h20', alla media di 36.561 kmh;
2° Luciano Galbo (Sanson); 3° Vito Taccone (Salvarani); 4° Renzo Fontona
(Ignis); 5° Aldo Moser (Maino); 6° Francis Blanc (Sui-Salvarani); 7° Jacques
Anquetil (Fra-Ford France); 8° Vittorio Adorni (Salvarani); 9° Bruno Peretti
(Legnano); 10° Romeo Venturelli (Bianchi-Mobylette); 11° Giorgio Zancanaro
(Maino); 12° Flaviano Vicentini (Ignis); 13° Raymond Poulidor (Fra-Mercier
BP); 14° Jean-Louis Quesne (Fra-Ford France); 15° Franco Cribiori (Ignis) a
1'08"; 16° Dino Zandegù (Bianchi Mobylette); 17° Arnaldo Pambianco (Salva-
rani); 18° Gianpiero Macchi (Ignis); 19° Michele Dancelli (Molteni); 20° Bru-
no Fantinato (Salvarani). Partiti 93, arrivati 59.

3a edizione: 20 febbraio 1966

A dare il via della terza edizione, Marina Coppi, figlia del grande Fausto. Dopo una manciata di chilome-
tri se ne andarono in 14. Sembrava un’azione alla ricerca della gamba per qualcuno, di necessità per al-
tri e di velleità per altri ancora, invece fu la fuga decisiva. Il gruppo coi big, pur dandosi da fare, certo in
maniera un po’ tardiva nulla poté: davanti filarono per davvero, nonostante la giornata non proprio ideale
ed il vento, spesso contrario.
Fatto sta che sul lungomare di Laigueglia, quei 14 si presentarono in otto. Tre ciclisti della Legnano, Vi-
centini (iridato dilettanti ’63), Sambi e Passuello. uno della Molteni, l'ex-campione d'Italia De Rosso (il
principale animatore), uno della Vittadello, il ligure Battistini, uno dei giovani della Salvarani, Battista
Monti, terzo l’anno prima ai Mondiali per dilettanti, Pasquale Fabbri, alla ricerca di un accasamento e
Toni Bailetti, della Bianchi Mobylette. Lungo i tanti chilometri di fuga, avevano ceduto per un grave guaio
meccanico, Carmine Preziosi (Bianchi Mobylette), vincitore l’anno prima della Liegi Bastogne Liegi e, per
esaurimento delle forze, Galbo (Salvarani),
Casati (non accasato), Casalini (Legnano),
Campagnari (Mainetti), Scandelli (Molteni)
e Drago (non accasato). Nello sprint decisi-
vo, favoriti, in virtù della superiorità numeri-
ca, i tre della Legnano, ma Bailetti, che a-
veva sfiorato il successo nelle due edizioni
precedenti giocò il tutto i per tutto. Scattò
come una furia ai seicento metri, pigiando
sui pedali senza mai voltarsi indietro. Alle
sue spalle si accese la mischia, cercarono
di farsi luce prima Battistini, poi Monti e poi
Vicentini. Nella confusione del momento si
videro sgomitate e sbandate, senza conse-
guenze, di De Rosso. Bailetti però, sembrò
davvero quello dei bei tempi che gli resero
l’Oro olimpico, ed il suo sforzo, fra la gran-
dezza del finisseur e quella del velocista
dalla volata lunga, fu vincente. Al posto
d’onore Vicentini, con Battistini a completa-
re il podio.

Sul vincitore.
Nato il 29 settembre 1937 a Bosco di Nanto (VI). Passista veloce. Alto 1,82 m. per 78 kg. Professionista
dal 1961al 1969 con 17 vittorie. Atleta alto e possente, con una spiccata sensibilità verso il ritmo. Ne u-
sciva una potenza di pedalata che lo portò ben presto, quando militava fra i dilettanti, a fungere da treno
della cronosquadre. Proprio col quartetto della 100 chilometri, dominò la gara olimpica ai Giochi di Roma
nel 1960 (gli altri erano Cogliati, Fornoni e Trapè). Coriaceo, con la velocità nel sangue fin dalle catego-
rie minori, seppe divenire velocista, in virtù di progressioni che facevano maledire le pedivelle. Un dilet-
tante di pregio dunque, ed un professionista, dal 1961, che per un lustro recitò un ruolo di grande evi-
denza, in sincronia con ciò che aveva fatto vedere da puro. Il suo esordio
nella massima categoria, in maglia Bianchi, fu davvero col botto. In poche
settimane vinse la tappa di Sassari al Giro di Sardegna, quindi la frazione di
Caserta al Gran Premio Ciclomotoristico, il Circuito di Nyon, il Circuito di
Turbigo e la tappa di Campobasso nella “Tre Giorni del Sud”. Ancor più im-
portante il suo 1962, il primo dei tre passati con la Carpano di Vincenzo Gia-
cotto. In quella stagione s’aggiudicò due tappe del Giro di Sardegna, indi la
Nizza-Genova ed andò a segno sia al Giro d’Italia, mettendo la sua ruota
davanti nella frazione di Perugia che al Tour de France, dove trionfò a Ber-
deaux. Sempre in terra francese s’aggiudicò poi i Criterium di Haurs e Chia-
rite sur Loire. Tutto questo gli valse l’azzurro ai Mondiali di Salò, dove chiuse
al 33° posto. Anche il ‘63 confermò la sua firma al Giro e al Tour, in quanto
vinse le tappe di Milano e di Rennes. L’anno successivo, ancora un sigillo in
Sardegna, a quei tempi corsa a tappe d’apertura di stagione e dal cast che
oggi farebbe invidia allo stesso Tour de France. Nel ’65, la Carpano lasciò il
passò alla Sanson e “Toni”, come tutti lo chiamavano, continuò ad animare
diversi arrivi, ma il successo lo colse solo alla Ronda di Monaco. Il suo canto del cigno, anche se nel
momento in cui si consumò era ben lungi dall’apparire come tale, si determinò con la maglia della Bian-
chi Mobylette, nel Trofeo Laigueglia ’66, già divenuta classica iniziale per eccellenza del calendario ita-
liano. Continuò a correre con la Salvarani nel 1967, ma la flessione e la voglia di provare la pista, lo por-
tarono nel 1968 e nel ‘69, in seno alla prestigiosissima Faema. A tramonto avviato da tempo, proprio la
pista magica del Vigorelli di Milano, lo vide vittima di una rovinosa caduta, che pose fine al suo romanzo
d’atleta. In carriera ha concluso cinque volte il Giro d’Italia e due volte il Tour, ed ha colto diversi piaz-
zamenti di prestigio. In successione: 1961, 2° nella tappa di Quarto dei Mille al Giro d'Italia; nel 1962, 2°
nella frazione di Aix-en-Provence al Tour de France; nel 1963, 3° nella tappa di Treviso al Giro, nel
1964, 2° nella Tre Valli Varesine, 2° nel Trofeo Laigueglia; nel 1965, 2° nella frazione di Maratea al Giro
e, sempre nella “Corsa Rosa”, i terzi posti nelle tappe di Viareggio e Trieste dell’edizione 1966.

Ordine d’arrivo:
1° ANTONIO BAILETTI (Bianchi Mobylette) Km 159 in 4h17' alla
media di 37,120 kmh; 2° Flaviano Vicentini (Legnano); 3° Graziano Batti-
stini (Vittadello); 4° Adriano Passuello (Legnano); 5° Guido De Rosso
(Molteni); 6° Battista Monti (Salvarani); 7° Pasquale Fabbri (Non accasato);
8° Luciano Sambi (Legnano); 9° Mario Drago (Non accasato) a 4'20"; 10°
Emilio Casalini (Legnano) a 6'12"; 11° Luciano Galbo (Salvarani); 12° Vit-
torio Casati (Non accasato); 13° Dino Zandegu (Bianchi Mobylette) à 8'15";
14° Carmine Preziosi (Bianchi Mobylette); 15° Vito Taccone (Vittadello);
16° Luciano Armani (Salvarani); 17° Vittorio Adorni (Salvarani); 18° Guido
Neri (Molteni); 19° Michele Dancelli (Molteni); 20° Gianpiero Macchi (Le-
gnano); 21° Francis Blanc (Sui-Tigra); 22° Carlo Chiappano (Sanson); 23°
Franco Balmamion (Sanson); 24° Romeo Venturelli (Bianchi Mobylette);
25° Raymond Poulidor (Fra-Mercier BP); 26° Felice Gimondi (Salvarani); 27° Pietro Scandelli (Molte-
ni); 28° Pietro Campagnari (Mainetti) a 12'30" segue il gruppo. Partiti 88, arrivati 65.

4a edizione: 19 febbraio 1967

Un mossiere di nota per l’edizione numero quattro, il Ministro Corona, che diede il via alle 11 del mattino.
Risposero all’appello degli organizzatori 112 atleti, fra i quali tantissimi stranieri. La corsa si mosse
spedita e registrò la fuga di un folto gruppo composto da 24 corridori, con diversi molto attesi davanti ed
altri altrettanto attesi dietro ad inseguire. In avanscoperta si distinse Dancelli e dietro il toscano Bitossi
che, fu pure costretto a fermarsi, nei pressi di Albenga, per uno dei suoi famosi attacchi di tachicardia.
Sulla terza scalata al Testico i 24 vennero riassorbiti ed in contropiede partirono in 10: l’ex iridato Jan
Janssen (Ned-Pelforth Sauvage), Felice Gimondi (Salvarani), Carmine Preziosi (Molteni), Italo Zilioli
(Salvarani), Battista Monti (Germanvox Wega), Franco Bodrero (Molteni), Roberto Ballini (Filotex), Lu-
ciano Armani (Salamini Luxor), ed i due galli in battaglia, ovvero l’attaccante per antonomasia Michele
Dancelli (Vittadello) e “Cuore matto” Franco Bitossi (Filotex). La rappresentatività del drappello, unita alle
gambe dei suoi componenti furono decisivi. Quando tutti si attendevano la volata, anche perché pure il
Capo Mele ad un tiro di schioppo dal traguardo non aveva sortito nulla, a circa mille metri dalla linea il
colpo di scena. Bitossi si fece sfilare iun ultima posizione e di lì partì al fulmicotone con una grandiosa
azione da finisseur, dimostrante la sua gran classe e per gli altri, non resto altro che la volata per il posto
d’onore, che fu di Armani.

Sul vincitore.
Nato a Camajoni di Carmigliano (FI) l’1 settembre 1940. Fondista, velocista, corridore completo. Alto m.
1,74 per kg. 67. Professionista dal 1961 al 1978, con 147 vittorie.
Il corridore che più mi è piaciuto, fra gli italiani dell’era Merckx, dopo la fine della carriera di Adorni. Bi-
tossi, era un virtuoso che cercava di vincere, tanto veloce, quanto con sparata da finisseur e capace di
tenere in salite di ogni tipo e poi era onesto in tutto. In sostanza in possesso di tutte le variabili del gran-
de corridore. Avesse avuto le capacità fisiche di Gimondi, avrebbe battuto il belga in maniera assai più
tangibile, rispetto al bergamasco. Professionista dal settembre del 1961 al 1978 nel palmares del corri-
dore fiorentino ci sono 147 vittorie. Molte delle quali bellissime e colte col fare del campione di razza.
Purtroppo, manca solo la perla dell’iride, ma ci andò davvero vicino nel 1972. Uscito nel finale, la sua a-
zione da finisseur parve dargli quella soddisfazione che meritava, ma poi, sul traguardo in leggera salita,
il tentativo di rinvenire su di lui per vincere dell’amico Eddy (certo perché i due lo erano veramente), fu
sufficiente per lanciare i, per Merckx, odiati succhia ruote: Cyrille Guimard e Marino Basso. Il primo giun-
se terzo, per una gomma dietro Bitossi, ed il secondo andò a conquistare l’iride. Quel successo sfumato
rappresenta, purtroppo, un’immagine distorta di un Campione che, anche senza l’arcobaleno, è stato ta-
le. I primi anni della carriera di Franco furono stentati, soprattutto per un disturbo (in gran parte psicolo-
gico) che gli diede il perenne appellativo di "cuore matto", ovvero un’ipertrofia cardiaca che lo costringe-
va, durante la gara, a fermarsi e a ripartire, quando il battito s'era un po' calmato. Fu poi il dottor Falai a
risolverglielo, con un intervento più psicologico che medico. Le caratteristiche di
completezza che consentivano a Bitossi di correre anche di rimessa, si esaltarono
a metà degli anni sessanta e furono capaci di superare, sovente, anche le stagioni
non più verdi. Franco infatti, è stato uno dei corridori più longevi in assoluto. Alcu-
ne sue giornate di vena rimarranno memorabili, come quella che lo portò alla pri-
ma vittoria nei suoi due “Lombardia”, colta dopo una lunghissima fuga solitaria.
Dotato di un guizzo al fulmicotone, nel suo palmares anche la maglia verde al
Tour ’68 (chiuso 7° e che, forse, con una maggior spregiudicatezza, poteva vince-
re), due Campionati di Zurigo, il Giro di Svizzera, la Tirreno Adriatico, tre Campio-
nati Italiani su strada, oltre a decine di classiche nazionali, tappe dei grandi giri.
Un grande corridore, che oggi sarebbe un super e mi permetto di dire, sarebbe un
vincente anche nelle grandi corse a tappe. Secondo Jacques Anquetil, il più forte
italiano di quella generazione.

Ordine d’arrivo:
1° FRANCO BITOSSI (Filotex) Km 160 in 4h21'55" alla media di
36,435 kmh; 2° Luciano Armani (Salamini Luxor) a 3"; 3° Jan Janssen
(Ned-Pelforth Sauvage); 4° Carmine Preziosi (Molteni); 5° Italo Zilioli
(Salvarani); 6° Franco Bodrero (Molteni); 7° Michele Dancelli (Vittadello);
8° Battista Monti (Germanvox Wega); 9° Roberto Ballini (Filotex); 10° Fe-
lice Gimondi (Salvarani); 11° Georges Chappe (Fra-Mercier BP) a 1'12";
12° Ole Ritter (Den-Germanvox Wega) a 1'30"; 13° Cees Haast (Ned-
Televizier-Batavus); 14° Gianpaolo Cucchietti (Non accasato); 15° Vito
Taccone (Germanvox Wega); 16° Marino Vigna (Vittadello); 17° Jacques
Anquetil (Fra-Bic); 18° Mario Di Toro (Germanvox Wega); 19° Adriano
Durante (Salvarani); 20° Emilio Casalini (Salamini Luxor); 21° Guerrino
Tosello (Molteni); 22° Guido De Rosso (Vittadello); 23° Fernand Etter
(Fra-Pelforth Sauvage); 24° Lucien Aimar (Fra-Bic); 25° Romeo Venturelli (Salamini Comet) a 5'03",
seguono altri a distacchi vari. Partiti , arrivati 72.

5a edizione: 11 febbraio 1968

La rilevanza internazionale del Laigueglia trovò conferma nel lotto dei 117 partenti fra i quali diversi assi
stranieri. La corsa entrò presto nel vivo con le fughe di Wladimiro Panizza (Pepsi Cola) e del forte pistard
Carlo Rancati che diedero spago all’azione di un drappello di sei corridori. Chiuso quel tentativo, partiro-
no in sedici, fra i quali grandi nomi come Gimondi (Salvarani), Adorni (Faema) e Dancelli (Pepsi Cola).
La corsa, praticamente, sembrò tracciare l’episodio decisivo. Ma ad Andora, un mezzo colpo di scena: la
strada era sbarrata da un passaggio a livello abbassato per un treno fermo in stazione. Gimondi, tentò il
colpaccio salendo sul treno con la bici in spalla, attraversandolo letteralmente, ma fu imitato da altri sette
corridori, che lo presero e lo staccarono.
E quei sette battistrada andarono a disputarsi il traguardo del Trofeo. Dancelli era dato come favorito,
ma Armani (Faema) appariva un osso davvero duro e c’era sempre quel gran pedalatore olandese, Leo
Duyndam (Smith’s), a fungere da incognita. Ma il pronostico fu rispettato. Michele partì ai 150 metri e
seppe contenere il ritorno del parmense, mentre l’olandese, che era partito lungo, riusci a conquistare il
terzo posto. Gimondi finì poi ottavo.

Sul vincitore.
Nato a Castenedolo (Brescia) l'8 maggio 1942. Alto 1.74; peso forma kg. 68. Campione Italiano dilettanti
nel 1963, pochi mesi dopo debuttò tra i professionisti. Due volte Campione Italiano, ed una prestigiosa
affermazione nella Freccia Vallone. Due volte terzo ai Campionati del mondo, nel ‘68 a Imola e nel ’69 a
Zolder. Nel ‘70 pose orgogliosamente fine alle tradizionali disfatte italiane nella Milano-Sanremo.
Compì una grande impresa e dopo aver tagliato solitario il traguardo di via Roma, scoppiò in lacrime (fo-
to accanto). Altri 3 anni di gare con modesti risultati, indussero Dancelli ad abban-
donare l’attività agonistica a soli 32 anni. Prof con 73 vittorie. La sintesi dei suoi
successi: 2 Campionati Italiani (1965-’66); 3 Giri Appennino (‘65-‘66-‘67); Parigi-
Lussemburgo (1968); 2 Trofei Laigueglia (’68-’70); 2 Giri Lazio (‘66-‘70); 3 Giri
Provincia Reggio Calabria (‘66-‘67-‘68); 3 GP Prato (‘64-‘65-‘67); 2 Giri Veneto
(‘65-‘66); 2 Giri Emilia (‘65-‘67); Freccia Vallone (1966); Milano-Sanremo (‘70);
Coppa Placci (‘65); Coppa Sabatini (‘67); Giro Campania (‘65); Giro d'Abruzzo
(‘64); GP Mirandola (‘69); Giro delle Marche (‘72). Trofeo Cougnet (‘64); 21 tappe
di Giri (fra le altre, 11 al Giro d'Italia, 3 al Romandia, 2 al Giro Svizzera); 15 Crite-
rium; un San Silvestro d'Oro (‘67).

1° MICHELE DANCELLI (Pepsi Cola) Km 160 in 4h13'50" alla


media di 37,705 kmh; 2° Luciano Armani (Faema); 3° Leo Duyndam
(Ned-Smith’s); 4° Ercole Gualazzini (Max Meyer); 5° Vittorio Adorni
(Faema); 6° Wladimiro Panizza (Pepsi Cola); 7° Mino Denti (Faema); 8°
Felice Gimondi (Salvarani) a 18"; 9° Carlo Brunetti (Kelvinator); 10°
Bruno Vitttiglio (Germanvox Wega) a 50"; 11° Luciano Soave (Faema);
12° Flaviano Vicentini (Filotex); 13° Roberto Poggiali (Salvarani) à 52";
14° Graziano Battistini (Pepsi Cola) a 1'15"; 15° Victor Van Schil (Fae-
ma a 1'48"; 16° Alfio Poli (Filotex); 17° Roberto Ballini (Max Meyer);
18° Gianpaolo Cucchietti (Max Meyer); 19° Luigi Zuccotti (Faema) a
6'38"; 20° Giuseppe Grassi (Filotex); 21° Valere Van Sweevelt (Bel-
Smith’s); 22° Ole Ritter (Den-Germanvox Wega); 23° Vincenzo Manto-
vani (Germanvox Wega); 24° Giuseppe Milioli (Germanvox Wega); 25°
Damiano Capodivento (GBC); seguono altri a distacchi vari. Partiti 117, arrivati 75.

6a edizione: 15 febbraio 1969

Dopo giornate di gelo e di maltempo, il sole, forse per onorare, appunto, la “baia del sole” di Laigueglia,
fece qualche timido assaggio. Alla partenza dei 113 corridori però, l’aria restava gelida e le incognite su
ciò che avrebbero trovato lungo il tracciato anche. La corsa fu animata agli inizi dal suo primo vincitore,
Guido Neri (Max Meyer) e dal belga Joseph Spruyt (Faema), che scattarono dopo il primo passaggio
sulla salita di Testico, rimanendo al comando per una trentina di chilometri. Raggiunti i due fuggitivi, sot-
to rincalzante controffensiva di Bitossi (Filotex), controllato da Conti (Faema) e dallo stesso Merckx (fa-
ema), se ne andarono in nove, ma il tentativo non ebbe lunga durata. Dopo il ricongiungimento con tre
corridori che apparivano in gran palla, ovvero Bitossi, Michelotto (Max Meyer) e il solito Merckx, si poté
assistere ad una veloce ultima ascesa sul Testico, che sgretolò ulteriormente il gruppo in vari gruppetti.
Ma fu la discesa verso Andora, col ghiaccio ancora presente, a mettere le ali al trentino di Roverè della
Luna, Claudio Michelotto. Con un’azione che ne testimoniava tanto il coraggio quanto la classe, l’alfiere
della Mayer andò al traguardo in solitudine, lasciando al grande Eddy Merckx un ruolo che non amava:
quello del posto d’onore.

Sul vincitore.
Nato a Trento il 31.10.1942. Passista scalatore, alto 1,75 per 72 kg. Professionista dal 1966 al ‘73 con
10 vittorie. Un corridore che pareva destinato a grandi traguardi, ma che non è mai riuscito a concretiz-
zare completamente ciò che si credeva possibile per lui. Sfortunato, ma anche non dotato di quel carat-
tere che di solito ha contraddistinto i corridori trentini. Lo si voleva destinato ai GT, ma alla fine s’è de-
terminato in quelle classiche nazionali che lo han visto vincente, anche se non su numeri d’evidenza. La
maturazione di Michelotto si concretizzò nel 1963, quando colse bei traguardi per numeri e qualità.
L’anno seguente fu azzurro al Tour dell'Avenir, vinto da Gimondi, s’aggiudicò con la Padovani il Tricolore
a squadre, ed un giro a tappe in Ungheria. Passò tra i prof nel ’66, con la Sanson. Fu una stagione tri-
bolata e con poche corse (fu 9° alla Tirreno Adriatico), causa una grave caduta al Campionato di Zurigo,
che gli impose un lungo stop. Alle corse tornò nel ’67, in maglia Max Meyer e la sua pedalata stilistica-
mente ineccepibile, s’evidenziò. Arrivò 2° nella tappa di Cortina al Giro d’Italia, ma con sfortunato, per-
ché raggiunto dal gruppetto inseguitore causa caduta alle porte della località e poi superato allo sprint da
Adorni. Chiuse il Giro 26° ed il buon ruolino gli valse la squadra Nazionale “Primavera” per il Tour de
France, che chiuse 61°. Nel finale di stagione fu 5° nel Giro
dell’Emilia. Nel ’68, ruppe il ghiaccio con un gran bel successo alla
Tirreno Adriatico. Vinse poi la prova di Castiglion del Lago del
“Cougnet” (che chiuse 2°) e trionfò nella Coppa Agostoni. L’ottima
stagione si testimoniò anche nei piazzamenti: 3° all’Emilia, “Cam-
pagnolo”, “Ticino”, 4° al “Lazio” e “Campania”, 5° al “Sardegna”.
Non bene al Giro d’Italia: solo 21°. Aprì il ‘69 col botto: vinse il Tro-
feo Laigueglia, il Giro di Sardegna e la Milano-Torino. Andò alla
Vuelta di Spagna per fare la gamba per il Giro d’Italia, chiudendola
43° con un 3° di tappa. Nella “Corsa Rosa”, fu finalmente protago-
nista. Vinse il tappone di Cavalese, fu 3° a Folgaria e chiuse il Giro
col successo nella Classifica dei GPM, ed il 2° nella Generale, die-
tro Gimondi. Chiusa la Max Meyer, passò nel ‘70 alla Scic, ma non
fu un’annata felice. Finì 31° il Giro, abbandonò il Tour. Solo due
quarti alla Milano-Torino e nella Genova-Nizza. L’anno seguente,
dopo la vittoria al Giro di Campania, partì per la Corsa Rosa, pun-
tando alla vittoria e, per 10 giorni vi riuscì. Conquistò la Maglia Ro-
sa nella tappa di Casciana Terme e la mantenne per le 9 successi-
ve, fino alla Lienz-Falcade. Qui, fu vittima di una crisi che si vide sul
Pordoi e si concretò lungo la discesa del Valles, complice una ca-
duta nella quale su ferì seriamente al capo. Vinse lo svedese Gosta
Pettersson, mentre Claudio si ritirò. La Scic non gli rinnovò il contratto e nel ’72 corse con la GBC.
Nell’anno vinse la tappa di Morel al Tour de Suisse e sovente si piazzò, ma ormai non c’era più. A fine
’73, dopo aver fatto il gregario di Gimondi alla Bianchi, chiuse col ciclismo.

1° CLAUDIO MICHELOTTO (Max Meyer) Km 160 in 4h10' alla media


di 39,330 kmh; 2° Eddy Merckx (Bel-Faema) a 49"; 3° Franco Bitossi (Filo-
tex); 4° Ottavio Crepaldi (Sanson); 5° Raymond Poulidor (Fra-Mercier BP);
6° Roger Swerts (Bel-Faema); 7° Adriano Durante (Scic) a 1'03"; 8° Giuseppe
Grassi (Folotex); 9° Flaviano Vicentini (Folotex); 10° Franco Vanzin (Sagit);
11° Luigi Sgarbozza (Max Meyer); 12° Giuseppe Milioli (Germanvox Wega);
13° Mario Bettazzoli (Eliolona); 14° Luciano Armani (Scic), seguono, sempre
al 14° posto: Mino Denti (Scic); Ambrogio Portalupi (Scic); Wainer Franzoni
(Scic); Ernesto Jotti (Scic); Pierino Primavera (Scic); Valere Van Sweevelt
(Bel-Faema) ed altri.
Partiti 113, arrivati 62.

7a edizione: 15 febbraio 1970

Che l’inverno potesse essere un’insidia per una gara con simile collocazione nel calendario era stato
messo in conto fin dagli inizi. Ma nell’edizione del 1970, le preoccupazioni raggiunsero l’apice. Gli orga-
nizzatori furono eccezionali nel presentare la corsa si strade praticabili e, comunque, pericolose
all’interno della fascia di tolleranza, ma la corsa col freddo e le insidie ne risentì, ed infatti Tommaso De
Pra (Salvarani) cadde e fu ricoverato all’ospedale con un trauma cranico e sospetta commozione cele-
brale. Ciononostante i 119 partenti, onorarono il duro mestiere, anche se lo vissero a lungo all’insegna
del “pedalare insieme”. La corsa visse gran parte sulla fuga di un drappello di sei uomini. Battistrada che
si chiamavano: Pierino Primavera (Scic) il famoso Franco Balmamion (Salvarani), Arturo Pecchielan
(Molteni), Francesco Desaymonet (Faemino), il belga Willy Monty (Faemino) e lo svedese Erik Petter-
sson (Ferretti). Costoro furono raggiunti solo nel finale e sul traguardo di Laigueglia si poté assistere a
quel volatone che era una novità per l’ormai clasdsica d’apertura laiguegliese. Qui, Michele Dancelli, a-
bilmente condotto dai compagni della Molteni, ed in gran forma (vincerà poi un mese dopo una storica
“Sanremo”), svettò su tutti.

Sul vincitore. (di Mario Silvano)


Si è scritto che cercava nel ciclismo un riscatto dalle sue origini sociali: lui stesso ha dichiarato che, tra i
dilettanti, si divideva tra gli allenamenti ed il duro lavoro di muratore. Si fa subito notare, all’inizio della
carriera. Passa professionista alla fine del 1963, dopo aver vinto il titolo di campione nazionale tra i dilet-
tanti, e conclude al terzo posto il Giro di Lombardia: non male per un debuttante.
Nel 1964 vince la sua prima corsa nel circuito di Col San Martino e, al debutto al Giro d’Italia, ottiene una
bell’affermazione nella tappa di Brescia, indossando la maglia rosa. Dopo essersi imposto nel Giro
d’Abruzzo e nel G.P. Industria e Commercio di Prato, conclude la stagione aggiudicandosi la Torino-
Castellania, altrimenti conosciuta come la Corsa di Coppi. Nel 1965 si pone alla definitiva attenzione de-
gli appassionati con un’annata ricca di successi, tra i quali spiccano, oltre al Campionato Italiano, due
tappe al Giro, il G.P. di Montelupo e, nel mese d’agosto, tre successi in altrettante classiche del calenda-
rio nazionale: G.P.Industria e Commercio di Prato, Giro dell’Appennino e Coppa Placci. Senza contare il
Giro del Veneto ed il Giro di Campania. Altra annata d’oro è il 1966: dopo una vittoria di tappa alla Pari-
gi-Nizza, rischia di vincere la Sanremo, arrivando sesto in una volata che vede il successo di Merckx.
Comincia bene quell’anno e Michele lo dimostra nelle classiche del Nord. Dopo aver trionfato nel Giro
della Provincia di Reggio Calabria, alla Parigi-Roubaix è l’ultimo a cedere a Felice Gimondi: una stupen-
da foto li ritrae sul pavé, entrambi ricoperti di fango. Non si fa attendere il sigillo del bresciano: trionfa
nella Freccia Vallone, davanti ad Aimar, il futuro vinci-
tore del Tour, ed a Rudy Altig, ed è sesto alla Liegi.
Una sola tappa nella corsa rosa, ma il suo finale di
stagione è straordinario. Nel mese di settembre, infatti
si aggiudica per la seconda volta consecutiva il Giro
dell’Appennino, trionfa nel Giro del Lazio (conquistan-
do la sua seconda maglia tricolore) e bissa il successo
nel Giro del Veneto. La vittoria all’Appennino merita
una menzione particolare, perché lo stesso Michele la
considera la sua vittoria più bella: fuga di 215 chilome-
tri, di cui un centinaio percorsi in solitudine. Nel 1967
passa alla Vittadello, continuando a mietere successi
nelle corse di un giorno: ancora a Reggio Calabria e
ancora a Prato. In una settimana, dall’1 al 7 ottobre, si
aggiudica nell’ordine il Giro dell’Appennino, il Giro
dell’Emilia e la Coppa Sabatini, e il 14 dello stesso me-
se si aggiudica nuovamente la corsa di Coppi. Le vitto-
rie, oltre a numerosi piazzamenti, gli valgono la con-
quista del San Silvestro d’oro. L’anno successivo pas-
sa alla Pepsi-Cola, diretto da Gino Bartali. Vince a Lai-
gueglia e disputa un bel Giro d’Italia, indossando la
maglia rosa per 9 giorni. Nella giornata del mondiale di
Adorni completa il successo azzurro con la conquista
del terzo posto. Vince anche la Parigi-Lussemburgo,
corsa a tappe di 4 giorni. Il 1969, con la casacca della
Molteni, lo vede protagonista al Tour: una vittoria di tappa e 20° posto nella classifica generale, ma trop-
po spesso si dimentica che, nella tappa pirenaica vinta da Merckx, Michele arriva secondo ed avrebbe
potuto anche restare con il Cannibale, se non avesse dovuto sacrificarsi per un suo compagno di squa-
dra. Forse è per questa corsa che Eddy ne riconobbe il valore assoluto.
E’ terzo al mondiale di Zolder, dopo una fuga che avrebbe meritato miglior fortuna. Aveva già un ottimo
palmarès, Michele, costellato non solo di significative vittorie, ma anche di piazzamenti importanti nelle
corse di un giorno. Deve attendere la vittoria alla Milano Sanremo per ottenere un posto nella storia del
ciclismo.
Il 19 marzo 1970, dopo il trionfo nella corsa del sole (ottenuta grazie ad una fuga solitaria di 70 chilome-
tri), in lacrime sul palco, intervistato da Nando Martellini si lascia andare ad uno sfogo: ”sono contento
particolarmente perché…non mi hanno mai calcolato un campione”. Quella vittoria , oltre a smentire i più
scettici, lo proietta verso il suo miglior Giro d’Italia, concluso al quarto posto, con quattro successi di tap-
pa ( splendida la vittoria sulla Marmolada) ed il secondo posto (per pochissimo!) nella classifica a punti,
battuto da Franco Bitossi dopo duelli spettacolari. Una vittoria in volata su Zilioli nel Giro del Lazio del
centenario di Roma capitale conclude quella bell’annata.
All’inizio del 1971, una brutta caduta durante una tappa della Tirreno-Adriatico gli provoca la frattura del
femore: da quel giorno Dancelli non è più lui. Ci sono, è vero, altre vittorie ed altri piazzamenti in maglia
Scic, ma il corsaro ha smarrito lo spunto di un tempo. Mai domo, cerca ancora di lasciare il segno. E’
terzo al Giro della Svizzera del 1972, dove vince anche la classifica a punti, ed è sesto al mondiale di
Gap. Al Giro dell’Appennino del 1972, prova unica per l’assegnazione del titolo di campione d’Italia, si
lancia nella discesa dei Giovi, in un tentativo di acciuffare il quarto successo nella corsa della Bocchetta
e di indossare per la terza volta la maglia tricolore. Viene raggiunto, e deve accontentarsi del terzo po-
sto, dopo Gimondi e Bitossi. Dopo un’altra annata senza particolari acuti, conclude la carriera nel 1974.

Il “mio” Dancelli (di Mario Silvano)


Se il ciclismo è fatto di emozioni, con Michele ne ho vissute tante. E’ stato il primo ciclista per cui ho fatto
il tifo, contagiato probabilmente da mio padre, che ne apprezzava lo spirito battagliero. “Nei primi dieci,
Dancelli c’è sempre”, mi diceva. Forse non era del tutto vero, ma è certo che se si scorrono gli ordini
d’arrivo di quegli anni , Dancelli compare con una frequenza impressionante.
Fu al Giro dell’Appennino che lo vidi per la prima volta. Era il primo ottobre del 1967: una giornata piovo-
sa, nebbia sulla Bocchetta. Attendemmo il passaggio in località Baracche, un breve falsopiano prima
degli ultimi tornanti. Ricordo che, nell’attesa della corsa, i miei conversavano con una coppia di Nizza
Monferrato: la signora era tifosissima di Gimondi ed era certa che Felice avrebbe trionfato. La sua insi-
stenza m’infastidiva, anche perché sminuiva il valore di Dancelli, difeso a spada tratta da mio padre. Mi
sembra di rivedere Michele sbucare dalla nebbia, seguito da Gimondi, ed è un ricordo vivissimo. Furono
subito inghiottiti dalla foschia, che impediva di vedere le ultime rampe della salita. “Ha visto Gimondi!”,
disse la signora, certa del successo del suo idolo. Ritornammo verso Pontedecimo, nella speranza di
assistere alla fase finale della corsa. Purtroppo la Bianchina “panoramica” di mio padre non riuscì ad ar-
rivare in tempo. A Pontedecimo la strada era chiusa, perché i primi erano già passati. Ci fermammo di
fronte al vecchio dazio e chiedemmo subito di Dancelli.
“Ehhh, Dancelli l’è pe cuscì cu l’è passou… u primmu!” Non mi pareva vero! Aveva vinto di nuovo Miche-
le!” Ben gli sta”, pensai della signora di Nizza. E persino la Bianchina, quella sera, mi parve più bella.
Alla Sanremo lo aspettavamo sempre tra i protagonisti.
Il 19 marzo del 1970, contrariamente alle abitudini, mio padre ed io ci appostammo in una curva nella di-
scesa del Turchino. “Qui li vediamo meglio”, mi disse, “perché frenano!” Come contraddirlo? Avrei prefe-
rito andare in cima alla salita, dove due anni prima avevo visto Merckx in maglia iridata, ma non osavo
chiederlo. La giornata era bellissima, come sanno esserlo solo certe giornate liguri di inizio primavera:
sole pieno, aria frizzante, persino un po’ di neve sui prati. Nell’attesa le solite discussioni di ciclismo, alle
quali mio padre non si sottraeva.
“Coppi era quasi mio compaesano, ma io preferivo Bartali: arrivava sempre” .”Ma non si ricorda di quan-
do Coppi staccò tutti nella Sanremo del 1946?” Tra un batti e ribatti , arrivava il momento più emozionan-
te: il silenzio che precede il passaggio dei corridori. Quegli attimi erano magici e, per me, lo sono rimasti
a distanza di tanti anni. Passarono le staffette e, non ricordo come (forse la radio?), arrivò la notizia che
in fuga c’era un drappello di fuggitivi: tra questi Dancelli. Mi emozionai, sperando di riuscire a vederlo
bene. I corridori, in fila indiana, impostarono la curva. “Michele!!!!!” urlai a squarciagola mentre, vicinis-
simo, tagliava la curva. Era concentrato e masticava un chewing-gum. Poi la corsa verso casa e l’attesa
della diretta televisiva. La sigla dell’Eurovisione e la notizia più bella: Dancelli era solo al comando! “Non
lo prendono più, non lo prendono più!” dissi, mentre saliva sul Poggio. Poi, finalmente, via Roma, il trion-
fo, e le sue lacrime furono le mie. Neppure mi scalfì il commento caustico di mia zia (“lo hanno lasciato
vincere, è vecchio!”): che fosse anche lei tifosa di Gimondi? Nulla mi importava, io pensavo al mio eroe.
Che giornata, quel 19 marzo: Dancelli primo a Sanremo! Ho sempre pensato che il mio grido di incorag-
giamento lo avesse sospinto verso la città dei fiori…..
Negli anni sessanta la diretta televisiva non era un fatto scontato. Non erano rare le prolungate attese:
sullo schermo il famoso monoscopio della Rai e musica di sottofondo intervallata, di tanto in tanto, dalla
voce di una gentile signorina che ripeteva: ”Siamo in attesa di collegarci con… per trasmettere in diretta
le fasi finali e l’arrivo della tappa…E rivedo Michele in certe tappe del Giro del ‘68 su strade sterrate
(tappa del lago di Caldonazzo) nella difesa caparbia della maglia rosa, le cronometro che lo respingeva-
no, le volate appassionanti, il trionfo alla Marmolada nel 70, la delusione per una sconfitta nella sua Bre-
scia. Eccolo alla tappa al Tour ed al mondiale di Zolder: una fuga iniziata troppo presto, un terzo posto
che era quasi una beffa, le critiche di alcuni azzurri per la sua condotta di gara. E ancora: la fuga ed il
trionfo di Sanremo, i Laigueglia e le classiche in linea, i successi ed i piazzamenti, gli inseguimenti rab-
biosi, la sconfitta ad opera di Panizza nel Giro di Romagna del 73. E poi una telecronaca che non dimen-
ticherò mai: quella del Giro dell’Appennino del 72. Sabato 24 giugno, San Giovanni Battista, Patrono di
Genova. Avevo appena finito gli esami di terza media. Solo l’attesa del promesso motorino (avrei com-
piuto 14 anni dopo pochi giorni) rendeva meno amara l’impossibilità di essere sul percorso. Per fortuna
c’erano le telecamere mobili, entrate in funzione nell’ultimo tratto della Bocchetta. Tra il gruppetto dei
fuggitivi, neanche a dirlo, il “corsaro”. In cima ai Giovi parte all’attacco, lanciandosi da solo nella discesa
verso Mignanego, in un ultimo, disperato tentativo di dimostrare a tutti di essere ancora il Dancelli degli
anni migliori. Luciano Armani, intervistato da De Zan, spera nel buon esito della sortita. Non è così: Dan-
celli viene ripreso e Gimondi, approfittando di un attimo di incertezza, parte al contrattacco, arrivando da
solo in piazza Arimondi. Michele è terzo, battuto da Bitossi nella volata dei piazzati. Quel giorno, capii
che Michele non sarebbe più stato il corridore che avevo conosciuto, e che un epoca si stava chiudendo.
Il tempo è passato ma io, pur sulla soglia dei cinquant’anni, quando penso a Michele Dancelli mi emo-
ziono sempre. In ogni foto o filmato di quegli anni i miei occhi “corrono” a cercare il “mio” campione. Me
lo sono chiesto più volte: perché sempre e ancora Dancelli? Perché Dancelli è la mia “recherche” : la fi-
gurina della raccolta “I campioni dello sport”, i friscieu di San Giuseppe, l’odore dei glicini in fiore , i gio-
chi al Castello d’Albertis, le corse in bici a Montaldeo e le ginocchia sbucciate, il mare di Vesima e la fo-
caccia di Voltri, il salame di Sant’Olcese sulla Bocchetta, le sfide a cirulla con mio nonno e tanti, tanti altri
ricordi di un’età lontana….

1° Michele DANCELLI (Molteni) Km 160 in 4h02'09" alla media di 39,644


kmh; 2° Cyrille Guimard (Fra-Fagor Mercier) 3° Emilio Casalini (Scic); 4° Ole
Ritter (Den-Germanvox Wega); 5° Davide Boifava (Molteni); 6° Luciano Armani
(Scic); 7° Gerben Karstens (Ned-Peugeot BP); 8° Italo Zilioli (Faemino); 9° Victor
Van Schil (Bel-Faemino); 10° Carlo Brunetti (Civitanova Marche); 11° Joseph
Spruyt (Bel-Faemino); 12° Gosta Petterson (Swe-Ferretti); 13° Jozef Huysmans
(Bel-Faemino); 14° Giancarlo Polidori (Scic); 15° Oliviero Morotti (Sagit); 16°
Derek Harrison (Gbr-Fagor Mercier), seguono, sempre al 16° posto: Franco Mori
(Molteni); Loris Vignolini (Ferretti); Mino Denti (Scic); Etienne Antheunis (Bel-
Faemino), seguono altri di questo gruppo e altri a distacchi maggiori.
Partiti 119, arrivati 77.

8a edizione: 21 febbraio 1971

Sole e colori vivaci, brillanti per un paesaggio davvero luminoso furono la cornice d’accoglienza per i 125
partenti. La corsa appena lasciata l’Aurelia, vide andare in avanscoperta Swerts (Molteni), raggiunto ad
Ortovero da Ballini (Dreher), Spruyt (Molteni), Selvino Poloni (Cosatto), Castelletti (Molteni), Campagnari
(Ferretti), Tosello (Molteni) e Polidori (Scic). Tanti uomini Molteni dunque a dimostrazione che Merckx
voleva vincere, come sempre del resto. Il drappello rimase in avanscoperta pur con qualche cedimento
fino a 40 km dall’arrivò. Ne seguì una fase densa di tentativi ma nessuno coi connotati dell’episodio pe-
sante. Sull’ultimo passaggio sul Testico, attaccò Merckx (Molteni), a cui rispose Motta (Salvarani), indi
un terzetto di uomini della Ferretti: Tomas e Gosta Pettersson ed uno spumeggiante Zilioli. I cinque fece-
ro un vuoto sufficiente per dichiararlo “fuga”. Il torinese Italo, in gran forma, attaccò verso la cima, della
salita cuore del Laigueglia e si lanciò in discesa, dove era uno specialista che poi la storia sancirà come
uno dei più evidenti fra gli italiani. Zilioli picchiò duro sui pedali in pianura, mentre dietro i compagni sve-
desi, misero la morsa a Merckx e Motta. Italo giunse così sul rettilineo finale in gran solitudine, ad urlare
una volta tanto, di essere un grande atleta e di avere tanta classe, come l’amico Merckx gli ha sempre
riconosciuto. Dietro, i grandi sconfitti di giornata crollarono psicologicamente, al punto di essere ripresi e
di mescolarsi coi rientranti. Secondo, infatti, fu un altro Ferretti, Mauro Simonetti che completò la grande
giornata del team di Alfredo Martini.

Sul vincitore.
Un grande talento giovanile che si è progressivamente involuto fino a determinarsi tanto minore rispetto
al prevedibile. Un signore che ha vissuto la sua ellisse e l'incompiutezza siamese con dignità, ed una
grande disponibilità nel mettersi in discussione. Lo ascoltai a lungo nel dopo carriera, a margine delle
corse dilettantistiche dove fungeva da direttore sportivo, ed ebbi la riprova di quanto fosse uomo in gra-
do di dare dimensione ai ragionamenti, di proiettare le essenze della sua disciplina su quadranti più am-
pi. Alla fine, parlando con personaggi come Italo, si ha una riprova di quanto lo sport sia cultura.
Alzò il suo sipario ciclistico vincendo come un navigato corridore il titolo italiano allievi nel 1959. Da dilet-
tante il suo stile e la facilità con la quale dipingeva le strade raccogliendo successi a iosa, portò il suo
padre ciclistico Vincenzo Giacotto, a tenerselo stretto come un prediletto. E quando proprio costui lo fece
debuttare fra i professionisti nella sua Carpano, per il giovane Italo era già stata forgiata e scolpita l'eti-
chetta di "nuovo Coppi". Era la tarda estate del 1962, giusto in tempo per consentire a Zilioli di meritare
quel paragone su una corsa da sempre fedele alle verità sui valori, il Giro dell'Appennino. Qui, il giovane
piemontese dalla faccia dove nemmeno il sorriso sapeva cancellare un velo di tristezza, del grande Fau-
sto diede echi visibili affondando l'onesta e ter-
ribile Bocchetta, da solo, in mezzo ad un ura-
gano. Poi, quando il sapore del trionfo stava
entrando sul corpo del giovane, una caduta gli
impose di rimandare, ma tutti, dietro quella
tenda d'acqua, avevano potuto vedere una fi-
gura allontanarsi verso un terreno alato. L'anno
dopo il ragazzo tornò ed annichilì ogni avversa-
rio, compresa la calura che aveva preso il po-
sto dell'acqua scrosciante. Non fu quello l'unico
successo del fantastico Italo nel '63. Con ca-
denza quindicinale s'era costruito un poker
pronto a giurare sulle sue qualità, le carte si
chiamavano Tre Valli Varesine, Giro del Vene-
to, Giro dell'Emilia e, appunto, Giro dell'Appen-
nino. Un poco più distanti altre carte di pregio
come il Gran Premio di Nizza, la frazione di
San Gallo nel Giro di Svizzera e il circuito di
Rimaggio . E poi tanti piazzamenti nelle tappe
più dure del Giro d'Italia, la sua prima vera cor-
sa a tappe. Illudersi era una dimensione ovvia.
Ma il lancio finì lì. Zilioli, evidentemente, era
destinato ad essere un campione incompiuto.
Nel '64, puntò dritto al Giro d'Italia, ma giunse
secondo dietro un Anquetil non irresistibile. Al-
tri lampi di classe nel Gran Premio di Monaco,
nella Coppa Sabatini, nel Giro del Veneto e
nella Coppa Agostoni, ma l'anno successivo si
materializzò un altro bruciante secondo posto:
teatro ancora una volta quella corsa rosa che
cominciò a suonare come troppo melodica.
Consolazione forzata per Italo, la consapevo-
lezza di essere stato sconfitto da un avversario troppo forte che lo aveva lasciato distante: Vittorio Ador-
ni. Nell'anno però, alcune belle giornate Zilioli le aveva avute: su tutte le vittorie nella Nizza Mont Angel,
nel Giro del Ticino e nel Gran Premio di Bilbao. Quando ormai l'etichetta di "nuovo Coppi" si vedeva lon-
tana ed in soffitta, la beffa di un abbonamento al secondo posto al Giro continuò, ed anche nel 1966 rac-
colse un nuovo posto d'onore, stavolta dietro Gianni Motta. E dire che l'inizio di stagione, con la vittoria
nel Campionato di Zurigo, già classica di ottimo livello, aveva dato morale ad Italo. A consolazione per il
terzo secondo posto nella corsa rosa, la vittoria nel Gran Premio Industria e Commercio. L'epopea di Zi-
lioli eterno secondo al Giro finì lì, e della faccia triste piemontese le cronache ciclistiche parlarono ancora
a lungo, ma con obiettivi diversi dall'olimpo rosa. Nel '70 provò l'ebbrezza di una prestigiosa maglia in-
dossando per quattro giorni quella gialla, dopo aver vinto la tappa di Angers al Tour (era in squadra con
Merckx). Continuò a raccogliere regalmente tante corse, comprese diverse tappe del Giro e di altre ma-
nifestazioni a frazioni. Nel '71, vinse la Tirreno Adriatico e nel '73, a 32 anni, rivinse due lustri esatti dopo
il primo successo, quel Giro dell'Appennino che gli aveva dato notorietà da sangue blu. Continuò a cor-
rere fino al 1976, dimostrando quanto il non raggiungimento di quel raggio a cui pareva destinato, non gli
avesse tolto signorilità e classe. Italo Zilioli si ritirò a testa alta. A fine carriera è stato per alcuni anni di-
rettore sportivo di squadre professionistiche e poi della Fiat dilettantistica. Oggi lavora all'Organizzazione
del Giro d'Italia.
1° ITALO ZILIOLI (Ferretti) Km 168 in 4h05'30" alla media di 41,080
kmh; 2° Mauro Simonetti (Ferretti) a 1'39"; 3° Wladimiro Panizza (Cosatto
Marsicano a 1'40"; 4° Eddy Merckx (Bel-Molteni) a 1'51"; 5° Tomas Petterson
(Swe-Ferretti); 6° Gianni Motta (Salvarani); 7° Gosta Petterson (Swe-Ferretti);
8° Enrico Maggioni (Cosatto Marsicano); 9° Aldo Moser (GBC-Zimba); 10°
Albert Van Vlierberghe (Bel-Ferretti) a 2'04"; 11° Sture Petterson (Swe-
Ferretti); 12° Antoon Houbrechts (Bel-Salvarani); 13° Herman Van Springel
(Bel-Molteni); 14° Erik Petterson (Swe-Ferretti); 15° Lino Farisato (Ferretti);
16° Michele Dancelli (Scic) a 2'24"; 17° Marcello Bergamo (Filotex); 18° An-
tonio Salutini (Filotex); 19° Mario Anni (Ferretti); 20° Giampaolo Cucchietti
(Ferretti); 21° Franco Balmamion (Scic); 22° Gennaro De Novellis (Non acca-
sato); 23° Davide Boifava (Scic); 24° Franco Partiti 125, arrivati 82.

9a edizione: 20 febbraio 1972

Col maltempo che infuriava anche nella mattinata del “Laigueglia”, dopo una settimana di pioggia sulla
Liguria, partirono in 127. Pino Villa fu costretto a tardare di un’ora lo start e ad annullare la scalata all'A-
quila d’Arroscia (c’era il pericolo di smottamenti e la sede stradale era ridotta ad un torrente di fango e
detriti). Il tracciato fu così ridotto di 40 chilometri: 135 anziché 175.
Gruppo compatto fino al ritorno su Alasslo. All’annunciarsi delle rampe del Testico, partì all'attacco
Van Schil (Molteni) ed il gruppo si spaccò. Un plotone forte di trenta unita alzò subito bandiera bianca e
tornò in albergo. Poi entrò in scena Eddy Merckx a cui risposero Luis Ocana (Bic), De Vlaeminck (Dre-
her), Bergamo (Filotex) e Labourdette (Bic). Nella ripida e pericolosa discesa, il grosso del gruppo si ri-
compone. Nel press! di Andora, presero il largo, Pintens (Magniflex), Pecchielan (Dreher) e Lievens
(Molteni), che racimolarono un vantaggio massimo di 20". I tre vennero però riassorbiti ad Alassio. Il ri-
torno sul tempio del Testico, mise le ali a Joseph Spruyt (Molteni) che ben protetto da Merckx, passò in
cima con 30” di vantaggio, ma a Stellanello, iniziò a sentire il fiato degli inseguitori. Ricongiungimento
generale a Capo Mele, dove De Vlaeminck tentò il colpo di mano, ma Merck e il ligure Perletto portarono
prontamente sotto un gruppetto composto con Roger da undici elementi. Il botta e risposta fra De Vlae-
minck e Merckx continuò anche nello sprint finale, ma i due non fecero i conti con Wilmo Francioni che
andò a vincere a braccia alzate, portando nuovamente la Ferretti di Martini al Trionfo nel Laigueglia.

Sul vincitore.
Nato a Empoli (FI) l'8 novembre 1948. Passista veloce. Alto 1,75 m. per 60 kg. Professionista dal 1970
al 1978 con 13 vittorie. Un corridore che non era alto eppure, così filiforme e con un collo lunghissimo,
che ti spingeva a chiamarlo appunto “Collo lungo”, appariva almeno per chi lo poteva vedere solo o qua-
si in Tv, come uno dei più longilinei. La realtà era diversa, ma non quella tangibilità che pone Wilmo fra i
corridori più interessanti degli anni settanta, in piena era Merckx. Non un fenomeno, ma un campioncino,
allora considerato un buon corridore, oggi con la penuria ciclistica, checché ne dica qualcuno, sicura-
mente un campione. Forte sul passo, più che buono nelle volate ristrette, discreto in salita. Il resto lo fa-
ceva il confronto con avversari che oggi starebbero tutti sulle bocche dello stupore, semplicemente per
grandezze. Insomma, di Francioni, chi scrive, ha un gran bel ricordo, nella più piena convinzione che
l’empolese lo meriti per ciò che ha fatto e che non ha potuto fare perché vissuto su un’epoca dove i forti
erano innumerevoli. Wilmo fu portato al professionismo da Alfredo Martini, quando il guru del ciclismo
italiano costruì i contenuti e la gestione della Ferretti, una squadra anch’essa tra le più belle del periodo.
Era stato un buon dilettante l’allora ventiduenne Francioni, soprattutto uno che non aveva speso tutto
nella categoria che non fa ciclismo, ma solo anticamera. Un primo anno di rodaggio, con un 3° posto nel-
la Roma-Tarquinia ed una conclusione del Giro al 74° posto e, poi un ’71 sugli scudi, per il ciclismo di
quei tempi. Vinse una gran gara quale era allora il Trofeo Matteotti, fece sia il Giro che il Tour, corsi e fi-
niti entrambi al 64° posto con un paio di podi di tappa e tanto lavoro per i compagni, nonché significativi
terze piazze alla “Bernocchi” e nell’oggi defunto GP di Montelupo. Fu poi selezionato in azzurro per i
Mondiali di Mendrisio, che chiuse al 31° posto. Davvero non male per un ragazzo che consumò tutta
quella stagione a 22 anni. Nel ’72 migliorò tantissimo, diventando un evidente anche a chi sbirciava ogni
tanto le pagine ciclistiche. Vinse il Trofeo Laigueglia, due tappe del Giro d'Italia nel '72, a Foggia e Sa-
vona (terminò la “Corsa Rosa” 66°) ed i Circuito doi Cecina e di Fucecchio. Tantissimi i podi: 2° al “Ca-
maiore” e al “Montelupo”; 3° nella “Bernocchi”,
al “Romagna”, al “Cougnet”. Fu poi 5° nella
“Sabatini”, 7° nei “Tricolori” e 8° nella “Placci”.
Si ritirò dopo aver fatto il suo lavoro ai Mondia-
li di Gap, quelli di Bitossi e Basso. Nel ’73,
passò alla GBC e fu protagonista, o meglio,
vincitore morale, della “Sanremo”. Qui andò in
fuga nel finale con Roger De Vlaeminck, con-
ducendo l’iniziativa praticamente da solo, e fu
poi beffato nella volata a due. Il risultato così
avverso, generò un impatto molto forte sulla
mente di Wilmo che, un po’ per vari acciacchi,
nell’anno, colse solo un altro piazzamento a
Montelupo, 3° e non concluse nemmeno il Gi-
ro d’Italia. Nel ’74 passò alla Sammontana, ri-
trovando Alfredo Martini, ma Wilmo stentò a
riprendersi. Ciononostante vinse la Coppa
Sabatini ed i Circuiti di Altopascio e di Valva-
sone, finì 2° nella Sassari Cagliari e 8° ai Tri-
colori. Chiuse 66° il Giro d’Italia. Nel ’75, sta-
gione corsa in seno alla Magniflex, confermò
lo smarrimento: nessuna vittoria, fu 3° al
“Montelupo”, 6° agli Italiani, 47° alla Vuelta di
Spagna e 63° al Giro. Idem nel ’76, dove fu 2°
nella tappa di Porretta Terme al Giro (chiuso
43°) e 3° nella Coppa Sabatini, poi solo grigio-
re. Nel ’77, senza acciacchi e, forse come re-
azione, alle voci di un suo prossimo ritiro,
Wilmo tornò quello che si conosceva. In pri-
mavera corse la sua seconda Vuelta di Spa-
gna che chiuse 36°, esplose poi al Giro
d’Italia, dove vinse le tappe di San Giacomo Roburente e di Varese, fu 2° in quella di Isernia e 3° a
Santa Margherita Ligure, chiudendo la Corsa Rosa a Milano, con un significativo 10° posto finale. In e-
state rivinse il Trofeo Matteotti e fece suo il Circuito do Briscolla. Fu azzurro ai Mondiali di San Cristobal
dove finito il suo lavoro, si ritirò. Con animo sereno e sempre in maglia Magniflex, si preparò alla stagio-
ne ’78, ma non si presentò al via. Un’epatite virale lo aveva debilitato al punto di spingerlo a porre fine
alla carriera a soli 29 anni. Entrò poi a lavorare in una fabbrica di pellami ebbe due figli ed oggi, per sua
scelta, è un operatore di ciclismo solo a livello giovanile. Un uomo vero, Wilmo. Davvero una bella figura.

1° WILMO FRANCIONI (Ferretti) Km 135 in 3h20'03" alla media di


40,496 kmh; 2° Harry Jansen (Ned-Rokado)*; 3° Eddy Merckx (Bel-
Molteni); 4° Roger De Vlaeminck (Bel-Dreher); 5° Marcello Bergamo (Filo-
tex); 6° Leif Mortensen (Den-Bic); 7° Julien Van Lint (Bel-Dreher); 8° Geor-
ges Pintens (Bel-Van Cauter-Magniflex-De Gribaldy); 9° Gilbert Bellone
(Fra-Rokado); 10° Giuseppe Perletto (Zonca); 11° Sid Barras (Gbr-Bantel) a
10"; 12° Michele Dancelli (Scic); 13° Davide Boifava (Scic); 14° Jean-Pierre
Berckmans (Bel-Rokado); 15° Marino Basso (Salvarani); 16° Arnaldo Caver-
zasi (Folotex); 17° Franco Mori (Scic); 18° Karl-Heinz Müddemann (Ger-
Rokado); 19° Piero Spinelli (Filotex); 20° Antoon Houbrechts (Salvarani),
seguono altri in gruppo.
Partiti 127, arrivati 45.
*Harry Jansen (Ned-Rokado) tolto dall’ordine d’arrivo per positività all’antidoping. Note: Il 5 marzo
1972 fu disputato un Trofeo Laigueglia anche per dilettanti, vinto da Aldo Parecchini, poi Tricolore nella
categoria prima di passare prof, con la Molteni di Eddy Merckx.
10a edizione: 18 febbraio 1973

Ed alla decima edizione arrivò il primo successo straniero…di Eddy Merckx, e chi se non lui! Una buona
giornata, quasi primaverile, dopo tanto tempo, ma con tanto vento, per i 143 partenti.
Nella cronaca della corsa, condotta non ad eccessivi ritmi, i nomi che si rincorsero con maggior fre-
quenza sono quelli di Gaetano Juliano (Magnoflex), famoso soprattutto per essere omonimo di un gran-
de calciatore dell’epoca, di Marcello Bergamo (Filotex) di Poggiali (Sammontana), Caverzasi (Filotex),
Paolini (Scic) e Spruyt (Molteni). Sul secondo assaggio del Testico, Zilioli (Dreher) tentò un allungo, as-
sieme a Gósta Peltersson (Scic) e altri, poi, raggiunto, tentò ancora, ma senza successo. Anche France-
sco Moser (Filotex) provò un paio di scatti, ma senza molta convinzione. Merckx rimase a guardare, si-
curo che qualcun altro avrebbe fatto il lavoro che abitualmente era suo. Ed ebbe ragione, visto che poté
entrare in azione solo nel finale, sulle ceneri di una fuga che aveva visto protagonisti Simonetti (Sam-
montgana, Marchetti (Filotex) e Crepaldi (Zonca). Quando ad una ventina di chilometri dal termine scatto
“il Cannibale”, solo in cinque riuscirono a portartsi alla sua ruota: il grande avversario e connazionale
Roger De Vlaeminck (Brooklyn), Marcelle Bergamo (Filotex), il danese Leif Mortensen (Bic),
l’Olimpionico di Città del Messico Pierfranco Vianelli (Dreher) e Pietro Mingardi (Bianchi). I sei andarono
anno al traguardo per disputarsi la volata finale che vede Merckx stroncare nettamente la resistenza di
De Vlaeminck.

Sul vincitore.
Nato a Meenzel-Kiesegen-Brabante (Belgio) il 17 giugno del 1945. Alto 1.83 peso forma kg 75. Sposato
con Claudine, due figli Sabrina e Axel. Nome difficile da scrivere ma facile da pronunciare, un campione
che ha suscitato entusiasmo in tutto il mondo. Per dieci anni di seguito, Merckx, è stato il protagonista
assoluto di tutte le corse; i suoi stessi colleghi di carovana lo hanno chiamato l'invincibile e “Il Canniba-
le”. Se partiva per vincere (e lo faceva sempre) non falliva quasi mai il bersaglio. E se lo falliva, era solo
per colpa di vicende particolarmente sfor-
tunate e per colpa di improvvisi complotti
di strada. Qualche volta ha pianto. Ma non
di commozione, bensì di rabbia. Quando lo
hanno espulso dal Giro d'Italia per una pu-
nizione dovuta ad un controllo medico po-
sitivo. E quando Gimondi vinse il "mondia-
le" a Barcellona; non perché fosse geloso
di Felice, ma perché aveva sbagliato stra-
tegia, affidandosi incautamente a Maer-
tens che lo aveva in qualche modo in-
gannato. Però, dopo le lacrime ai box, fu
capace di un gesto generoso andando a
stringere la mano a Gimondi. Lui peraltro,
campione del mondo lo è stato tre volte da
professionista e una da dilettante. L'italia-
no è stato il suo avversario più credibile e
importante, perché lo ha inseguito sempre,
ma non il più forte in termini assoluti. In un
certo senso Felice, con la sua difesa coc-
ciuta e la sua naturale vocazione al sacrifi-
cio, ha comunque contribuito a dare mag-
gior splendore alle imprese di Merckx,
campione di potenza straordinaria, di su-
periorità schiacciante e talvolta, unico di-
fetto, persino monotona. Ha vinto tutto, dalle gare a tappe, a quelle in linea, a cronometro, in salita,
compreso quel tentativo riuscito alla grande, sulla pista di Città del Mes-sico, quando stabilì il record
mondiale dell'ora. Ha abbandonato nel maggio del 1978 dopo aver disputato 1800 gare e guadagnato
circa cinque miliardi di lire. Da debuttante ha disputato 69 gare vincendone 24; da dilettante (1963-64)
149 gare con 56 successi, compreso il Campionato del Mondo. Da professionista (esordio il 29 aprile
1965 nella Freccia Vallone, vinta da Poggiali e ritiratosi a 13 km dall'arrivo, quando capì che non poteva
vincere), ha chiuso il 19 maggio 1978 con 1852 gare disputate. Professionista dal 1965 al 1978 con 426
vittorie. 5 Giri d'Italia (1968-1970-1972-1973-1974); 5 Tour de France (1969-1970-1971-1972-1974);
Vuelta di Spagna (1973); Gi-ro della Svizzera (1974); 2 Giri Belgio (1970-1971); Giro Romandia (1968);
Giro Catalogna 1968); 4 Giri Sardegna (1968-1971-1973-1975); 3 Parigi-Nizza (1969-1970-1971); 2 Set-
timane Catalane (1975-1976); Midi-Libre (1971); Giro Delfinato (1971); Giro Morbihan (1966); Giro Le-
vante (1969); Giro Lussemburgo (1969); 3 Campionati del Mondo (1967-1971-1974); Campionato belga
(1970); 7 Milano-Sanremo (1966-1967-1969-1971-1972-1975-1976); 5 Liegi-Bastogne-Liegi (1969-1971-
1972-1973-1975); 2 Giri Lombardia (1971-1972); 2 Giri delle Fiandre (1969-1975); Parigi-Bruxelles
(1973); 3 Parigi-Roubaix (1968-1970-1973); 3 Freccia Vallone (1967-1970-1972); 3 Grand-Wevelgem
(1967-1969-1972); 2 Het Volk (1971-1973); GP Escaut (1972); 2 Amstel Gold Race (1973-1975); GP
Francoforte (1971); Tre Valli Varesine (1968); Coppa Agostoni (1970); GP Camaiore (1970); Giro
dell'Emilia (1972); Giro del Piemonte (1972); 2 Laigueglia (1973-1974); Gran Premio Nazioni (cronome-
tro-1973); GP Lugano (cron. 1968); 3 Trofeo Baracchi (con Brake nel 1966-67; con Swerts nel 1972); 7
Trofei Superprestige (1969-70-71-72-73-74-75); Record Mondiale dell'ora (Mexico City 25-10-1972 con
km 49.431). 133 tappe di Giri (51 crono): 35 tappe Tour de France (96 giorni in Giallo); 25 tappe Giro d'I-
talia (76 giorni in Rosa); 6 tappe Vuelta di Spagna; 6 tappe Giro Belgio; 5 tappe Giro di Svizzera; 21
tappe Parigi-Nizza; 11 tappe Giro di Sardegna; 17 Sei Giorni. Sportivo mondiale dell'anno (1969-71-74).
Riepilogo: 3 Campionati del Mondo; 32 Classiche; 32 gare a tappe; 37 gare in linea; 10 gare a cronome-
tro (escluso le tappe); 33 gare in salita; 133 tappe di Giri (51 a cronometro); 146 gare in Circuito.

Ordine d’arrivo:
1° EDDY MERCKX (Bel-Molteni) Km 167 in 4h27' alla media di 37,528
kmh; 2° Roger De Vlaeminck (Bel-Brooklyn); 3° Leif Mortensen (Den-Bic);
4° Marcello Bergamo (Filotex); 5° Pietro Mingardi (Bianchi Campagnolo);
6° Pierfranco Vianelli (Brooklyn); 7° Francesco Moser (Filotex) a 20"; 8°
Marino Basso (Bianchi Campagnolo); 9° Franco Bitossi (Sammontana); 10°
Willy In't Ven (Bel-Molteni); 11° Michele Dancelli (Scic); 12° Italo Zilioli
(Dreher Forte); 13° Charles Rouxel (Fra-Peugeot BP); 14° Enrico Paolini
(Scic); 15° Lino Farisato (Scic); 16° Gosta Pettersson (Swe-Scic); 17° Walter
Riccomi (Sammontana); 18° Guerrino Tosello (Scic) a 38"; 19° Ludo Van
der Linden (Bel-Molteni) a 39"; 20°. Wladimiro Panizza (GBC-Sony-Furzi),
seguono altri. Partiti 143, arrivati 101.

11a edizione: 20 febbraio 1974

“Era una bella giornata, stavo bene e cosi mi sono divertito” – dichiarò anni dopo Eddy Merckx. Qui si
potrebbe riassumere tutta l’edizione del 1974. Alla partenza in 149, poi ci pensò Eddy a farne ritirare 89,
andando in fuga dopo una quarantina di chilometri. Al leggendario belga rispose il solo commuovente e
grandioso pesarese Enrico Paolini (Scic), il Campione d’Italia, giunto ad una delle sue migliori corse di
sempre. E come poteva non esserlo, visto che tenne la ruota del suiper asso della Molteni per 135 chi-
lometri. Certo in mezzo a grampi e pene d’ogni tipo. Forse Eddy non se lo volle togliere di ruota, ma il
valore dell’impresa di Paolini restò intatto. Già perché dietro inseguirono eccome, da Gimondi a tutti gli
altro. Sta di fatto che la coppia arrivò a giocarsi il Laigueglia allo sprint e qui, ovviamente, Merckx non fe-
ce sconti e vinse. Gimondì fu terzo ad una cinquantina di secondi.

Sul vincitore.
Eddy Merckx, a 30 anni da un punto che mai ci sarà… di Maurizio Ricci - Morris
Lo ricordo oggi perché ieri e l’altro ieri mi è mancato il tempo. Lo vorrei fare come merita, ma le lancette
mi sono ancora tiranne. Lo farò così in maniera anomala, nella consapevolezza che ogni giorno che ver-
rà sarà sempre prodigo, se insisterà a monte il potere della riflessione, per capire quanto l’ammirazione
e il tifo per le gesta di quest’uomo, si possano sublimare in una incancellabile base di grandiosità. Chi lo
conosceva bene, lo dava per scontato, chi, come me, cresciuto sui percorsi dei suoi successi e di quelle
essenze che rasentavano la perfezione agonistica, non si dava pace: era un primo segno del tempo che
passava inesorabile, anche per un giovane che si avviava ai ventitré anni. Il 18 maggio 1978, Eddy
Merckx, non potendo più essere il simbolo concreto e tridimensionale della corsa in testa, del dominio,
dell’impronta sulle proiezioni, metteva fine alla sua carriera, per entrare imperioso ed imperiale
nell’olimpo ristrettissimo dei leggendari dello sport. Quel giorno era un giovedì, conobbi la notizia attra-
verso la radio, mentre in automobile tornavo a casa dopo otto ore di fabbrica, già frastornato al pensiero
di dovermi sobbarcare la lettura di quella “palla” di Talcott Parsons, per un esame di Sociologia che avrei
dovuto sostenere il lunedì seguente.
La vita dello studente universitario e dell’operaio era sostenibile, bastava solo concepire gli studi con la
convinzione dell’arricchimento che viene della lettura, senza la pretesa, sempre “cefala” (come diciamo
in Romagna), del trenta e/o della lode a tutti i costi, e senza snaturare o uccidere se stessi scansando le
passioni, nonché quella voglia di vivere la gioventù, che non è solo la comunque basilare componente
dettata dalla mente e dal corpo di una bella donna. Vivevo così, ero nel mio massimo fisico e intellettua-
le, un leader senza saperlo, ed anche se dopo, giunsi a quei successi per lunghi tratti proporzionali ai
chili in crescita costante: mai mi sono sentito sazio e vivo come allora. Vissi, come detto, l’abbandono di
Eddy come una rasoiata in faccia, nonostante
avessi per settimane e mesi preparato me
stesso a quella possibilità. La mia reazione si
dipanò per giorni sul filo conduttore della ri-
cerca di emozioni con lo scopo di attenuare il
dolore di quella ferita, senza dimenticare gli
appuntamenti ed il convivio. Sostenni l’esame
senza riaprire quel libraccio, mi lanciai su al-
be, dì e sere d’amore fisico, con le ragazze
con le quali insisteva il reciproco richiamo a
darsi senza abbracciare l’ipocrisia di chiama-
re amore quegli amplessi. Certo, anche con
colei che veniva definita fidanzata, per accon-
tentare senza vivere l’imbarazzo ed il fastidio
dei sempre presenti (puntualmente evasi)
bacchettoni sermoni dell’anima cattolica di
mia madre. Ripassai i fotogrammi della car-
riera di Merckx: quegli scatti, quelle progres-
sioni, quella determinazione, che erano parte
fondamentale della mia crescita sportiva. Sì,
proprio quella pazzia che mi aveva aiutato a
capire anche le volèe ed il rovescio di Ken
Rosewall, gli acuti di Tommie Smith, lo scivo-
lamento sull’acqua del crawl di Don Schol-
lander, il dorso di Roland Matthes, il coraggio
e l’abilità al volante di Jim Clark, il supremo
equilibrio e la sensibilità sul mezzo di Mike
Hailwood. Tutti grandi, tutti artisti per me, che
avevo visto e concepito fin da piccino lo
sport, come una forma espressiva evidente,
passionale, persino più profonda ed onesta
delle altre. Insomma, una cosa seria per la mia vita, perlomeno sufficiente a parare i colpi, sempre pre-
senti, di un resto su cui l’errare ed il dispregio delle azioni umane, si confondevano con le polveri
dell’ipocrisia, nell’illusione di non illudere, o di cambiare l’ordine convenzionale dei colori. Lo sport era il
mio pane, il deterrente quotidiano ad un crepuscolarismo crescente che viveva nella politica un lumicino
di speranza ulteriore. Eddy, nel mio piccolo universo, s’era dunque eletto a faro, anche nella contempo-
ranea crescita di un’altra figura icona del mio vagare interessato su queste espressività, come Gilles Vil-
leneuve. Per quest’ultimo, quattro anni dopo, nella tragedia di un mito che imprimeva sugli orizzonti co-
me nessuno la poetica del rischio, piansi copiosamente. Non fu così per Merckx: in fondo, per quanto a
lui legato, il suo abbandono era nelle cose e, di mezzo, non c’era una vita perduta. Restava l’amarezza,
la rabbia del tempo che scorreva, il punto di un supremo che si doveva sciogliere per abbracciare il ri-
cordo, e fu proprio col ritiro di Eddy che capii, quanto fosse importante, anche per me, dare spago al vi-
sto attraverso la bicicletta del racconto.
Oggi, a 30 anni di distanza, mi sento di dire che son stato coerente con quella genesi e mi posso lascia-
re andare al ringraziamento per aver visto e vissuto il massimo e l’impareggiabile dell’universo del cicli-
smo: la perfezione agonistica e tecnica di Eddy Merckx, l’intelligenza e la forza di Laurent Fignon, la po-
esia di Marco Pantani. Niente è stato come loro. Tre poli insuperabili ed ineguagliabili che non oscurano
o azzerano le qualità e grandiosità degli altri, di cui ho pure scritto e mi sono esaltato. Ma quei tre erano
diversi, unici, anche considerando il pingue mazzo di corridori inespressi potenzialmente da leggenda,
che molti, soprattutto giornalisti, ignorano, oppure omettono. Tre supremi, punto.
Ma due giorni fa, era l’anniversario dell’abbandono del belga, ed è a lui che mi voglio riferire. Fra le tante
discipline sportive che ho seguito e che ancora mi emozionano, un atleta come Eddy Merckx non l’ho
mai visto. Più volte mi sono chiesto da dove partire in un confronto interdisciplinare e ad ogni scelta, il
finale dava sempre lo stesso risultato: Merckx non è stato solo il ciclista più forte di tutti i tempi, ma il più
forte d’ogni sport. Anche qui si levano i metri soggettivi, ma i numeri di questo atleta e le morfologie
stesse del ciclismo, non possono tradire: non c’è niente di simile o di paragonabile. Quanto basta per di-
re che se non fosse stato corridore, anche in altre discipline, magari in maniera meno evidente sarebbe
stato protagonista. E le premesse, scomodando la leggenda, nell’adolescenza di Eddy c’erano tutte. Era
imbattibile nel podismo, abile nel tennistavolo, fortissimo nel calcio, perlomeno quando la poca volontà di
ragionare di squadra riusciva a determinarne la calzatura di scarpe bullonate. Provò per scherzo la boxe,
quanto basta per salire sul ring e vincere, in Belgio, l’equivalente italiano di un titolo novizi, o cadetti co-
me oggi si chiamano. Insomma, le stimmate c’erano e pure la sua faccia da cinesino, per i neri e fittissi-
mi capelli sempre tenuti cortissimi ad ornamento di una bocca che esprimeva la smorfia della grinta, aiu-
tavano a caratterizzarne un distinguo agonistico superiore, da predestinato. Poi, l’incontro con la biciclet-
ta, per vincere chiaramente, ma anche seguire più da vicino colei che il ciclismo dovrebbe ringraziare
per essere stata decisiva nella permanenza sulla disciplina di un simile fuoriclasse: Claudine Acou. Cer-
to, perché la ragazzina era la figlia di Lucien, un buon corridore dei primi anni del dopoguerra, più bravo
su pista che su strada, giunto all’epoca del Merckx ragazzino, al ruolo di Commissario Tecnico della Na-
zionale belga dei dilettanti. Farsi vedere o interessare Acou, significava per Eddy incontrare più da vicino
colei che poi diverrà la sua moglie e la madre dei suoi figli, eletta a quel tempo, come traguardo perlo-
meno pari a quelli che via via il futuro enorme campione macinava ad ogni spinta di pedali. Diciamolo
pure: grazie Claudine! Ricordo quando gli dissi dei meriti grandiosi che andavano alla moglie: lui mi
guardò con gli occhi che brillavano, ed il suo faccione s’allargò in un sorriso che non dimenticherò mai.
Poi, aggiunse quel “sì”, che, per me, proveniente da anni di studi, osservazioni e ammirazione sul suo
pianeta, significava una laurea. Quando aggiunsi che stimavo suo figlio Axel, come uno degli sportivi più
significativi del presente, per quella dignità con la quale svolgeva la professione del corridore, sottopo-
nendosi ogni giorno ad abissali ed impietosi confronti con l’inimitabile padre, il brillio degli occhi di Eddy,
lasciò posto a quella patina lucida che anticipa sempre le lacrime. Sì, il “cannibale sportivo”, che la su-
perficialità dei giudizi tinti pure dei per me stupefacenti idiotismi del nazionalismo, aveva eletto tale, è un
uo-mo buono, cordiale, generoso; un uomo che non dimentica i valori su cui ha fondato il suo segmento
di vita, nonché quei compagni che lo hanno aiutato, i gregari nel gergo ciclistico, con gli atti di un distin-
guo solidale che sarebbe impossibile, per egoismo e valenza umana, a taluni suoi avversari, superfi-
cialmente coperti di giudizi positivi da una sempre grossa fetta di quell’osservatorio capace di diventare,
specie se italiano, insipiente popolino. Sì, Eddy Merckx, fuoriclasse lo è stato e lo è anche fuori dalla bi-
cicletta: molti lo sanno, ma l’odio sportivo fa ancora novanta, al punto che in troppi non lo vogliono am-
mettere. L’Italia, strano e per nulla “Bel Paese”, anche qui, si distingue in negativo.

Ordine d’arrivo:
1° EDDY MERCKX (Bel-Molteni) Km 173 in 4h24' alla media di 39,310
kmh; 2° Enrico Paolini (Scic); 3° Felice Gimondi (Bianchi Campagnolo) a
56"; 4° Frans Mintjens (Bel-Molteni); 5° Giancarlo Polidori (Dreher Forte);
6° Knut Knudsen (Nor-Jolly Ceramica); 7° Renato Laghi (Scic); 8° Josef
Fuchs (Sui-Filotex); 9° Wladimiro Panizza (Brooklyn); 10° Walter Riccomi
(Sammontana); 11° Marcello Bergamo (Filotex) a 3"27"; 12° Jozef Huys-
mans (Bel-Molteni); 13° Giancarlo Bellini (Brooklyn); 14° Celestino Vercelli
(Scic); 15° Luciano Conati (Scic); 16° Giuseppe Perletto (Sammontana) a
5'15"; 17° Michele Dancelli (Dreher Forte); 18° Gosta Pettersson (Magni-
flex); 19° Giovanni Cavalcanti (Bianchi Campagnolo); 20° Francesco Moser
(Filotex); 21° Pietro Mingardi (Furzi) a 6'03" seguono altri a distacchi mag-
giori. Partiti 149, arrivati 60.
12a edizione: 20 febbraio 1975

Non ci fu Merckx, ma la strada del Laigueglia ’75 disse che c’era un giovane che lo poteva sostituire: Gi-
bì Baronchelli. Il ragazzino della Scic, forse alla prima corsa in linea percorsa coi connotati della prova
vera, ottenne la sua prima vittoria. E per distacco, naturalmente, perché lui sin dai dilettanti, sapeva im-
porsi soprattutto così. Una corsa-capolavoro, la sua: una corsa fatta di continui allunghi, senza econo-
mizzare le forze, senza nascondersi dietro la ruota di qualcun altro, per tirare il fiato. Allo start in 107.
Dopo un attacco di Perletto (Magniflex) sul colle di Nava, subito neutralizzato, Baronchelli cominciò la
sua lunga serie di attacchi fino a quando restò al comando in compagnia di Zilioli (Magniflex), Panizza
(Brooklyn), Lora (Magniflex) e De Buyschere (Molteni). Il gruppo, staccato di un minuto, vide Gimondi
guidare la caccia, Bitossi, invece pedalava in coda, si disinteressava della corsa: davanti c'era Baron-
chelli e “cuore matto” sapeva che il suo compagno ce l’avrebbe fatta, ne era sicuro. Ma per riuscirci, Gibì
non poteva aspettare lo sprint e ad Albenga, a trenta chilometri all'arrivo, riscattò e soltanto De Buysche-
re riescì a riagganciarsi alla sua ruota. Il tandem fece il vuoto. A dieci chilometri dall'arrivo, in una curva
in salita, De Buyschere perse dieci metri, poi cinquanta, poi mollò. Ma non era ancora finita, perché Ba-
ronchelli scivolò sulla ghiaia e finì a terra. Sanguinante e senza medicazioni, perché non c'era certo il
tempo, ed il belga era vicino. Gibì rilanciò ancora l’andatura ed arrivò solo e trionfante. Una corsa mo-
struosa. Poi De Buyschere e De Vlaeminck che batte un gruppetto comprendente anche Bitossi e Zilioli.

Sul vincitore.
Nato a Ceresara (Mantova) il 06.09.1953. Completo. Alto m. 1,84 per kg. 75. Professionista dal 1974 al
1989, con 89 vittorie (più 2 cronostaffette). Gian Battista "Gibì" o "Tista" Baronchelli è passato, o si cerca
di farlo passare, alla storia, come un incompiuto, quando in realtà, semmai, può essere considerato un
corridore dal quale ci si aspettava di più. Ogni giudizio, aldilà degli errori e della sfortuna di questo co-
munque stupendo atleta, non può non partire dall'analisi dei tempi in cui Gibì ha corso, e dalle non po-
che storture e contraddizioni del ciclismo italiano di quel periodo. Le ragioni oggettive che hanno pesato
in quel contesto storico si muovevano, dapprima, nell'esigenza ossessiva tipicamente italiana di trovare
un indigeno in grado di mettere alle corde Eddy Merckx, poi, nello stravalutare le corse della penisola a
danno di quel Tour per anni dribblato malamente dai nostri migliori ciclisti, indi, nell'esagerazione di ve-
dere il dualismo Moser Saronni come un chiasma che, di fatto, bruciava tutto il resto, ed infine nel non
considerare nel giusto merito chi giungeva secondo dietro Bernard Hinault. Se analizziamo passo su
passo questi aspetti, Baronchelli, esce più cospicuo e il suo comunque ottimo palmares, assume ben al-
tri significati.
Gibì, aveva vinto nel 1973, a vent'anni, il Giro d'Italia per dilettanti e il Tour de L'Avenir, nonostante in
questa corsa avesse dovuto superare una caduta che gli aveva reso un ginocchio gonfio come un melo-
ne. Quanto basta per essere atteso al professionismo con molto interesse. Nel 1974 però, il suo compor-
tamento eccezionale nel Giro d'Italia d'esordio fra i prof, fu tale da stravolgere la ragionevolezza dell'os-
servatorio italiano. Si dimenticava che i 12" secondi che alla fine separarono Baronchelli da Merckx, po-
tevano creare eccessivo peso nella tempra di Gibì e sottovalutavano il peso della forma del belga che
non superava l'80%. Già, perché se un Eddy in quelle condizioni è sempre bastato per superare Gimon-
di in una grande corsa a tappe, sempre l'80% rimaneva. E che Baronchelli avesse potuto superare l'uo-
mo di Sedrina, ci stava, semplicemente perché andare più forte di Gimondi in salita, non era impresa da
marziani. Invece di covare e tutelare il ragazzino, certo pieno di qualità, gli si buttò addosso l'attesa di
una nazione. Arrivò poi il '75 e l'esordio vincente di Gibì a Laugueglia, confermato da un successo di
tappa al Giro di Sardegna, diede ulteriore fiato alle trombe in vista del Giro d'Italia. Qui però, Baronchelli,
contrasse una malattia virale che ne limitò il rendimento in corsa e che forse non fu mai completamente
superata. La sottovalutazione del fatto da parte di un osservatorio che vedeva quel Giro disegnato per
lui, pose Gibì (che finì la corsa rosa al decimo posto), già sull'alone di una certa delusione. Nel frattem-
po, il comportamento di Francesco Moser al Tour di quell'anno, dove fu maglia gialla nelle frazioni di
pianura per poi essere seppellito di minuti in salita, portò l'osservatorio a incentrare sul trentino attese
esagerate su corse, come quelle a tappe, dove, checché se ne dicesse, difficilmente poteva essere un
evidente. E fu così che il Giro d'Italia, cominciò a proporre percorsi che per troppi anni incrinarono la tra-
dizione di manifestazione legittimamente equilibrata.
L'edizione della corsa rosa del '76, una delle più scarse della storia, quasi tutta vissuta sul rallentatore,
con anziani in evidente declino e giovani poco adatti all'attacco o di scarsa personalità, provocò un ver-
detto che il nostro Gibì pagò a lungo. Vinse il vecchio Gimondi, Moser arrivò 4° e Baronchelli solo quinto.
Poco importava se non stava bene: era ormai un normale per quell'osservatorio che stava ingigantendo
Moser su corse le cui qualità erano contrarie a quelle che dimostrava nelle classiche e che esaltava a
dismisura un vecchio come Gimondi, che aveva vinto senza brillare come del resto tutti gli altri. Gibì poi,
fece un errore grave: andò al Tour senza condizione e concentrazione uscendone distrutto e ritirato, fino
al punto di considerare, in cuor suo, la Grande Boucle come una manifestazione da evitare. E ciò fu di-
sastroso per la sua carriera limitatamente alle corse a tappe. Nel '77, in un Giro che si distingueva per il
suo "piattume" e per il tanto crono, Gibì si difese bene, vinse il tappone di Pinzolo, ma non poté evitare
di finire terzo, dietro a Pollentier e, ancora, Moser: un fatto capitale nella già poca lucidità dell'osservato-
rio. Dietro l'angolo, c'era proprio nella sua medesima squadra, il piccolo fenomeno Saronni e poco im-
portava se, in quel '77, Baronchelli aveva vinto, fra le diverse corse, il Giro dell'Appennino (una gara vin-
ta sempre da campioni), il Giro di Romandia e, soprattutto, alla grande, il Giro di Lombardia, grazie ad
un arrivo solitario e dopo aver seppellito di minuti il
miglior cast del ciclismo mondiale. Col '78 si alza-
rono i sipari del dualismo Moser-Saronni e Gibì,
pur vincendo 11 corse, tra le quali una sfilza di
classiche nazionali come il Giro dell'Appennino (la
sua corsa), il Giro del Piemonte, la Coppa Placci, il
Giro dell'Umbria, facendo cilecca al Giro d'Italia, si
giocò le residue speranze, in chiave nazionale, per
la giusta considerazione dei suoi mezzi. Certo, a
Milano giunse secondo a 59" dalla maglia rosa De
Muynck e vinse la difficile tappa di Canazei, ma
quel Giro, pur considerando che qualcuno doveva
riparare verso il belga la scorrettezza di un attacco
dopo una caduta che gli costò la corsa rosa di due
anni prima (frazione di Bergamo), doveva essere
suo. Altro errore, che ripeteva il già fatto nel '77 e
che poi rappresentò una costante, fu quello di non
andare al Tour. Col '79, stagione per Gibì davvero
tribolata per acciacchi vari (ciononostante colse di-
versi traguardi compreso nuovamente l'Appennino
e il Giro di Romagna) esplose il dualismo fra Moser
e Saronni e per gli altri, in Italia, fu notte fonda. Ba-
ronchelli, tra l'altro, cominciò a dover pagare sulle
strade l'ostracismo dei tifosi di Moser (i più calcisti-
ci mai visti sulle strade) che non disdegnavano di
seppellirlo di insulti e di ....tutto il resto del corredo
calciofilo. La stessa cosa capitò a Visentini poco
dopo e, mi si permetta, considero queste idiote e-
scandescenze, come un segmento tra i più tristi
che abbia vissuto o letto nello sport. Nel 1980,
quando il mondo fu costretto a sancire lo spessore
di un similare di Merckx, nelle vestigia del francese
Bernard Hinault, Baronchelli fu il primo degli uma-
ni. Non solo perché nella gara crogiolo dell'anno, una volta tanto coincidente col campionato mondiale,
in quel di Sallanches, fu l'ultimo a piegarsi al marziano bretone, ma per le vittorie raccolte nell'anno: ben
ventuno, fra le quali l'Henninger Turm, il Giro dell'Appennino, il Giro della Provincia di Reggio Calabria, il
Giro dell'Emilia, la Coppa Sabatini, il Giro del Piemonte, il GP di Montelupo, la tappa di Campotenese al
Giro (dove finì 5°), una tappa del Giro del Trentino ed una di quello di Puglia. Insomma quanto bastava
per essere qualcosa di più nella considerazione tutta per gente come Moser e Saronni che, ai mondiali
di Sallanches, quando Hinault decise di fare sul serio, non poterono far altro che andare in albergo a far-
si una doccia. Ed il mondiale, Gibì, lo avrebbe vinto l'anno dopo a Praga, se gli italiani in una delle gior-
nate più nere dell'era Martini, non avessero inseguito con veemenza il duo Millar-Baronchelli, con l'az-
zurro sicuro vincente allo sprint. Furono ripresi a seicento metri dall'arrivo e Gibì, che nella fuga non a-
veva tirato per rispettare le consegne, fece il suo lavoro nello sprint decisivo a favore di Saronni, per poi
prendersi gli improperi dei soliti imprecisi, per aver lasciato al vento troppo presto il Beppe nazionale. In
realtà, quando Baronchelli si spostò, dietro ci doveva essere Moser per completare il lavoro per Saron-
ni.....ma i due dovevano essere immuni da critiche. La lapidazione del "Tista" per quel mondiale sfumato,
da parte dei tifosi saronniani, rappresenta un'altra pagina triste di quel periodo del nostro ciclismo. Nel
1981, le sue belle corse per dimostrarsi iridato degno, Gibì, come al solito, le aveva vinte. Solo per citar-
ne alcune: il Giro del Lazio, il Giro dell'Appennino, il Giro di Toscana e la dura tappa di Cascia al Giro d'I-
talia (chiuso al 10° posto). Anche nel 1982, il suo ruolino fu positivo grazie a nove successi fra i quali il
GP Industria e Commercio, il Giro dell'Umbria e il suo siamese Giro dell'Appennino. Non vinse tappe al
Giro d'Italia, dove si piazzò al quinto posto.
Col 1983, iniziò la lenta flessione del "Tista": solo due successi in gare di secondo piano. Idem l'anno
successivo, ma stavolta nell'ambo di vittorie ci stava il Giro di Toscana. Nel 1985 provò la Vuelta di Spa-
gna e prima di abbandonare per un'indisposizione, vinse la tappa di Santiago. Tornò a ruggire nella sta-
gione '86, quando a Nicotera, rivinse una tappa del Giro d'Italia (si ritirò poi qualche giorno dopo) e, so-
prattutto, trionfò nuovamente in una classica monumento, come il Giro di Lombardia. Nell'occasione, fu
ancora capace di staccare tutti. Anche nel 1987, il suo spunto in salita, ebbe modo di farsi vedere: vinse
infatti la Cronoscalata del Ghisallo, valevole per il Trofeo dello Scalatore. Passò ancora due anni fra i
professionisti prima di abbandonare l'attività e vinse ancora gare minori. Lasciò i giudizi dell'osservatorio
a fine '89. Campione mancato? Direi proprio di no, perché campione lo è stato eccome, viste le 94 vitto-
rie, i piazzamenti di prestigio e, soprattutto, il modo di giungere al successo. Poteva essere più grande?
Per quanti si può dire la stessa cosa nella storia del ciclismo? Tanti! Per me, che non sono mai stato suo
tifoso, "Tista" Baronchelli è la figura italiana più bella del segmento del ciclismo che mi è piaciuto di me-
no, nonché l'uomo di quell'epoca che più mi ha ricordato i valori dei decenni precedenti.

Ordine d’arrivo:
1° GIANBATTISTA BARONCHELLI (Scic) Km 173 in 4h26' alla
media di 39,400 kmh; 2° Christian De Buysschere (Bel-Molteni) a 58";
3° Roger De Vlaeminck (Bel-Brooklyn) a 1'37"; 4° Franco Bitossi
(Scic); 5° Aldo Parecchini (Brooklyn); 6° Roland Salm (Zonca Santini);
7° Antoon Houbrechts (Bel-Bianchi Campagnolo); 8° Italo Zilioli (Ma-
gniflex Torpado); 9° Giuseppe Perletto (Magniflex Torpado); 10° Willy
De Geest (Bel-Brooklyn); 11° Marino Basso (Magniflex Torpado) a
1'45"; 12° Luciano Borgognoni (Zonca Santini); 13° Alfredo Chinetti
(Furzi F.T.); 14° Jean-Pierre Berckmans (Bel-Molteni); 15° Frans Ver-
beeck (Bel-Maes Pils Watney); 16° Marcello Bergamo (Jollj Ceramica);
17° Ludo Delcroix (Bel-Molteni); 18° Jozef Huysmans (Bel-Molteni);
19° Alessio Antonini (Jollj Ceramica); 20° Gianni Di Lorenzo (Magni-
flex Torpado). Seguono altri. Partiti 107, arrivati 70.

13a edizione: 22 febbraio 1976

Un’edizione tutta vissuta sul traguardo finale dove si presentarono in 18, in quanto selezionati dalla co-
munque grande andatura. Partiti in 111 e senza particolari note di cronaca, la corsa arrivò a vivere
l’episodio “di selezione” sulla discesa del Testico, quando appunto in testa rimasero in diciotto che anda-
rono a disputarsi il successo finale. Lo sprint fu lanciato da Cavalcanti (Bianchi), in una delle sue rare
giornate di libertà, che partì deciso sorprendendo tutti gli avversari, fra i quali alcuni quotati velocisti. Una
grave scorrettezza di De Vlaeminck (Brooklyn), fece però succedere il finimondo. Il belga si attaccò ai
calzoncini di Bitossi (Zonca Santini) facendolo sbandare. A farne le spese fu Vicino (Furzi) che perse il
controllo della bici e cadde agganciando la ruota posteriore di Cavalcanti, ancora in testa al gruppo. L'a-
tleta romagnolo volò per aria e finì all'ospedale senza tagliare il traguardo. Anche a Vicino che il traguar-
do lo tagliò diverso secondi dopo, ci fu l’appendice ospedaliera. Per fortuna, nonostante il tremendo volo,
entrambi se la cavarono con poco. De Vlaeminck e Bitossi che erano rimasti in piedi, affondarono il col-
po di reni sulla linea quasi contemporaneamente. La spuntò il belga di un’inezia, ma il reclamo della
Zonca Santini, fu accolto dalla giuria e Roger De Vlaeminck fu tolto dall'ordine, A tavolino il successo
sancì il bis di Bitossi al Laigueglia.

Sul vincitore.
Cuore matto, matto da... spiegare: Franco Bitossi e la Cuneo-Pinerolo '64
di Lorenzo Cuomo e Carlo Ristori
Qualche giorno prima della disputa della 10a tappa del Giro, la Cuneo-Pinerolo, già disputata nel 1949,
nel 1964 e nel 1982, abbiamo incontrato Franco Bitossi, vincitore solitario di quella del 1964 e, visto che
quella del 1982 si risolse senza troppa battaglia in una volata tra i migliori vinta da Saronni, l'unico che
possa fornirci in prima persona il resoconto di una impresa di altri tempi. Ci ha raggiunto in una simpati-
ca trattoria alle Porte di Empoli, insieme al figlio Massimiliano. Il clima informale e un menu basato sui
piatti forti della tradizione toscana, tra cui una notevole "Fiorentina", hanno presto trasformato l'incontro,
che programmaticamente già non voleva essere un'intervista classica, in una conversazione tra appas-
sionati che, prendendo lo spunto dall'impresa del 1964, ha potuto anche ripercorrere gli aspetti principali
di una carriera per molti versi strepitosa ed indimenticabile.
Gentilissimo e disponibile, giovanile e dotato di una
memoria quasi prodigiosa nei dettagli, Franco esordi-
sce ricordando che, come noto, la sua attività soprattut-
to nei primi anni fu fortemente condizionata dal pro-
blema legato alla sua aritmia cardiaca: troppe volte si
dovette fermare durante le corse, ed è intuibile che da-
re simili "vantaggi" ad avversari forti non sarà stata cer-
to un'esperienza piacevole.
Caratteristica più psicologica che fisica, che generò il
soprannome più conosciuto di "Cuore matto": gli amici
di lunga data amano ricordare invece quello di "Fale-
na", a lui dato probabilmente in virtù della sua legge-
rezza (e della sua capacità di involarsi...).
Cominciamo quindi a discorrere col campione di Ca-
maioni, un paesino sull'Arno, fra Montelupo e Signa,
dove suo padre, purtroppo mancato recentemente all'e-
tà di 95 anni, faceva il traghettatore.
Il Giro presenta per la quarta volta nella sua storia
una tappa una tappa denominata Cuneo-Pinerolo:
le variazioni di percorso hanno ormai reso impro-
ponibile un confronto tra quella di quest'anno e le
edizioni "classiche", come quella del 1964 da te
vinta: ci vuoi comunque raccontare come andò
quell'anno, e qualcosa sullo svolgimento di quel
Giro?
«In quell'anno al Giro ero al servizio di Nencini alla
Springoil-Fuchs; avevo comunque già vinto la terza
tappa a San Pellegrino, ma il ritiro del capitano mi lasciò libero, ed ebbi la possibilità di fare la mia corsa.
Vinsi in successione le tappe di Livorno e di Santa Margherita, e giunsi secondo in quella di Alessandria,
dopo aver ottenuto due secondi posti in tappe precedenti. La Cuneo-Pinerolo si svolgeva a due giorni
dalla conclusione del Giro: devo dire che la tappa non iniziò molto bene per me. Ero stato male per i soli-
ti problemi sulla Maddalena, ma già sul Vars mi ero ripreso, e passai terzo al Gran Premio della Monta-
gna. Al rifornimento, posto tra il Vars e l'Izoard, mi arrabbiai parecchio perché qualcuno tentò di andar-
sene approfittando del trambusto; allora andai loro dietro, li superai abbastanza facilmente e mi trovai da
solo. L'ammiraglia, da me rassicurata, mi disse di continuare. C'è da dire che mancavano 155 Km all'ar-
rivo! Mi sentivo bene e spingevo tranquillo un rapporto giusto, mentre la strada saliva dolcemente. C'e-
rano altri dietro di me (tra gli immediati inseguitori anche Dancelli), ma perdevano invece di guadagnare.
Scalai piuttosto bene il Monginevro, e ad un certo punto arrivai ad avere forse dieci minuti di vantaggio
(ero quasi maglia rosa virtuale). Ma sul Sestrière... improvvisa arrivò una crisi di fame: mi sentivo vera-
mente molto male. Dalla macchina, anche grazie ad alcuni parenti al seguito, mi rifocillarono con tè cal-
do e altri zuccheri. Il vantaggio nel frattempo calava vistosamente. Feci anche la discesa piuttosto in af-
fanno, ma al termine, dalle parti di Villar Perosa, mi sentivo di nuovo bene. Nel frattempo mi erano rima-
sti soltanto due minuti di vantaggio sul gruppetto degli uomini di classifica. Ebbene, da quel momento in
poi il vantaggio rimase praticamente invariato, ed arrivai fino a Pinerolo, dove vinsi con 1'58" sul gruppet-
to. Devo proprio dire che quel giorno andavo veramente forte!».
Aggiungiamo che il giorno dopo andasti in fuga con Motta ed arrivasti di nuovo secondo. Un Giro
terminato con quattro vittorie di tappa e quattro secondi posti! (C'è da dire che in quegli anni non
era prevista la classifica a punti, introdotta nel 1966; Bitossi stravinse comunque la classifica del
Gran Premio della Montagna, ndr). Le grandi vittorie di quel Giro furono la tua consacrazione de-
finitiva, ma non le tue prime vittorie; anzi, visto che ci è capitato di notare che alcuni annuari non
la riportano, vale forse la pena ricordare che la tua prima (e fino al 1964 unica) vittoria da profes-
sionista risaliva all'autunno del 1961, solo pochi giorni dopo avere operato il salto di categoria...
«Sì, ero passato professionista alla Philco il 4 ottobre di quell'anno; qualche giorno dopo si disputava
una "Tre giorni del Sud", gara a tappe con 6 semitappe: lì vinsi la prima semitappa del giorno di mezzo.
Nei giorni seguenti mi ammalai e quindi non ebbi l'occasione di disputare il Giro di Lombardia; la stagio-
ne si chiuse lì.
Nel 1962 rimasi alla Philco ad aiutare i capitani (Carlesi e Daems); l'aritmia non mi dava pace, e comun-
que non disputai il Giro. Nel 1963, chiusa la Philco, passai alla Springoil con Nencini; al Giro soffrivo ter-
ribilmente a causa dell'aritmia, e mi fermai praticamente in tutte le prime tappe. Comunque pian piano mi
ripresi, vinsi qualche traguardo volante, ma in ogni caso dovevo rimanere accanto a Nencini. La miglior
prestazione fu l'ottavo posto nella "Cavalcata dei Monti Pallidi", e cioè la tappa da Belluno a Moena, che
prevedeva nove salite e sei Gpm: battagliai con Taccone, che poi vinse la tappa e col quale ebbi qual-
che "incomprensione" quel giorno. A quel punto avevo ripreso fiducia nei miei mezzi fisici, e nella tappa
successiva, la penultima di quel Giro, arrivai secondo dietro Carlesi».
E a questo punto non possiamo fare a meno di chiederti, visti i numerosi piazzamenti tra i primi
10 al Giro (7° nel 1965 e nel 1970, 8° nel 1966, 9° nel 1968 e nel 1974, oltre al 10° del racconto del
1964, replicato nel 1969), se e quando hai mai pensato di fare "veramente" classifica al Giro.
«Mah, forse l'occasione migliore, perlomeno di un podio, la ebbi nel 1966... Purtroppo incontrai una gior-
nataccia nella Bolzano-Moena, dove persi cinque minuti. Anche nel 1965 sarei potuto arrivare più avanti
in classifica, ma forse distribuii male le forze all'interno delle tre settimane di corsa, ed alla fine in diversi
mi precedettero per pochi secondi, anche a causa del molto tempo perso nella tappa a cronometro».
E nel 1970, quando indossasti la maglia rosa nelle prime sei tappe, c'era Merckx...
«Eh, sì!...».
Nei grandi Giri hai 16 partecipazioni consecutive al Giro d'Italia (dal 1963 al 1978), nessuna parte-
cipazione alla Vuelta, e due notevoli partecipazioni al Tour (1966 e 1968, con due vittorie di tappa
in entrambi i casi). In molti dicono che il Tour del 1968 forse avresti potuto addirittura vincerlo...
«Mah, il capitano inizialmente era Zilioli, ed eravamo in molti della Filotex (si correva per squadre nazio-
nali). All'inizio non uscii mai dai primi 12 negli arrivi di praticamente tutte le tappe. Insomma stavo spen-
dendo troppo, fra l'altro battagliavo con gli spagnoli per i GPM; non curavo particolarmente la classifica,
anche se ero comunque sempre abbastanza ben messo. Nella 15esima tappa, che terminava ad Albi,
Pingeon aveva vinto alla grande; il giorno dopo, nella Albi-Aurillac "toccava" ad Aimar (c'era una certa
rivalità tra le Squadre francesi "A" e "B", la prima con Pingeon e Poulidor, la seconda capitanata da Ai-
mar, ndr). Nella nostra squadra i meglio piazzati in classifica erano Passuello e Schiavon (Zilioli si era
nel frattempo ritirato), ma dopo l'attacco del francese rimasero indietro. Io invece mi ritrovai nel gruppo di
testa, e sull'ultima salita rimanemmo in due: Wolfshohl prese la maglia ed io vinsi la tappa. A quel punto
ero terzo in classifica generale, dopo il tedesco e lo spagnolo San Miguel. Due giorni dopo, nella tappa
di Grenoble, di nuovo Pingeon all'attacco: il francese vinse la tappa con un'altra grande azione ed io for-
se commisi l'errore di volerlo seguire; se fossi rimasto almeno col gruppetto di Janssen e Van Springel
avrei sicuramente indossato la maglia gialla al termine della tappa, visto che Wolfshohl era saltato e San
Miguel alla fine avrebbe accusato un minuto circa da quel gruppetto. Invece ebbi una flessione e termi-
nai la tappa a 5'45" da Pingeon. Che non fossi in crisi, nonostante tutte le energie profuse, lo dimostrai il
giorno dopo, quando attaccò Van Springel ed io fui l'unico a stare con lui, fino a batterlo sul traguardo di
Cordon, dove comunque mi classificai secondo perché la giornata era stata caratterizzata da una fuga
solitaria dell'inglese Hoban, fuggito con la scusa di fare un "bisognino" ed eclissatosi fino a raggiungere
un vantaggio incolmabile. In definitiva, senza l'errore di Grenoble avrei potuto presentarmi alla cronome-
tro finale in maglia gialla, e anche se le forze erano al lumicino, probabilmente con una motivazione di-
versa... (Franco finì quel Tour in 8.a posizione, a 4'59" da Janssen, dopo aver perso 4'17" nella crono-
metro finale, ndr)».
Possiamo quindi dire che non eri particolarmente adatto alle corse contro il tempo?
«Per andare forte a cronometro ci vogliono caratteristiche fisiche e mentali particolari; in ogni caso mi è
capitato di disputare piuttosto bene alcune cronometro, soprattutto quelle con chilometraggio inferiore ai
20 km. Ricordo tre secondi posti, una volta dietro a Ritter, una a Merckx e l'altra dietro ad Adorni (Tirre-
no-Adriatico del 1969). Un altro risultato che mi piace ricordare, piuttosto singolare, è stato quello rag-
giunto nel Giro di Svizzera del 1974, dove in un solo giorno si disputavano tre semitappe con classifica
combinata delle ultime due. Ebbene, vinsi la tappa in linea al mattino, quella brevissima in linea nel po-
meriggio e giunsi secondo (dietro allo spagnolo Aja) nella cronometro altrettanto breve; per effetto di
questi risultati, vinsi anche la combinata. In pratica, vinsi tre corse in un giorno, sfiorando addirittura il
poker... forse un record!».
Siamo curiosi di sapere come ti definiresti e quale corridore, tra quelli degli ultimi venti anni,
pensi ti assomigli di più (qui qualcuno suggerisce Bettini...)
«Innanzitutto penso di essere stato un corridore piuttosto completo, perché non avevo dei veri e propri
punti deboli: anche nelle cronometro corte (come ho già detto) riuscivo a disimpegnarmi bene.
Per quel che riguarda il corridore... credo proprio Argentin mi assomigli più di Bettini, perché andava for-
te anche in pianura, mentre il Grillo ha avuto bisogno sempre di un qualche strappo; inoltre nelle salite
lunghe penso fosse complessivamente inferiore a Moreno».
Come mai così poche presenze alle Classiche del Nord? Non pensi che alcune sarebbero state
molto adatte alle tue caratteristiche?
«Intanto devo ribadire che ancora fino al 1967 i miei problemi legati all'aritmia non erano del tutto scom-
parsi, poi il viaggio era abbastanza lungo... in una Freccia Vallone mi dovetti fermare quattro volte! In
ogni caso, per confermare che qualche possibilità l'avrei potuta avere, posso portare l'esempio del Giro
delle Fiandre del 1969: avevo staccato Merckx sul Grammont, poi mi raggiunse, non volle più tirare,
fummo ripresi da un gruppetto con diversi italiani, da quello evase Merckx ed io fui il solo a tirare per ri-
prenderlo, poi alla fine venni battuto da Basso per il terzo posto (Gimondi era arrivato più avanti, secon-
do). Arrivai perciò quarto, ma secondo me quella fu una delle mie corse migliori ed avrei meritato di po-
termi battere da pari a pari con Eddy. Il Grammont comunque l'avevo già fatto al Tour: aveva un pavé
bruttissimo, molto peggio di quello odierno! È vero, in teoria quelle sarebbero state proprio le mie corse.
Sono tornato negli anni settanta, persino due volte alla Roubaix, ma ormai era tardi. Alla fine torna bene,
come chiosa, un discorso fatto da un corridore francese ormai defunto, abbastanza famoso per aver vin-
to cinque Tour... (per caso di nome Jacques? ndr), che una volta ebbe a dirmi: "Tutti dicono che tra gli
italiani esiste una rivalità fra Gimondi, Motta, Adorni... ma per me il migliore sei tu!"».
E infatti sei uno tra i corridori italiani più vincenti di sempre, con 147 successi "ufficiali" all'atti-
vo... Infine una curiosità: negli ultimi anni sei diventato un appassionato di bocce. Dobbiamo a-
spettarci un'altra lunga carriera da vincente anche in questo sport?
«Intanto, sul conteggio dei miei successi ciclistici ho l'impressione che qualcosina possa essere andata
persa... come saranno stati conteggiati ad esmpio i tre successi in un giorno di cui parlavamo prima?
Per quel che riguarda le bocce, già da ragazzino avevo cominciato a giocare con i compagni; negli ultimi
anni poi ho scoperto la raffa e mi sono anche tesserato. Ho ottenuto buoni risultati nelle categorie ama-
toriali, sia in singolo (tre tornei vinti), sia nel doppio (titolo provinciale e regionale, categoria "D",); secon-
do al campionato italiano di categoria, infine a giugno 2008 il colpaccio: Campione Italiano "Over 60". Da
ottobre sono passato in "C"!».
Ringraziandoti per la disponibilità e la cortesia, vorremmo chiudere con una battuta... Forse ab-
biamo creato un precedente: non devono esserci state molte interviste in cui non ti è stato chie-
sto niente dei Campionati Mondiali di Gap 1972, vero?
«Eh, sì... effettivamente è un po' difficile che succeda!».

Ordine d’arrivo:
1° FRANCO BITOSSI (Zonca Santini) Km 163 in 5h05' alla media
di 39,918 kmh; 2° Gianbattista Baronchelli (Scic); 3° Joseph Borguet
(Bel-Molteni); 4° Luciano Rossignoli (Sanson); 5° Bruce Biddle (Nzl-
Cuneo Benotto); 6° Antoon Houbrechts (Bel-Bianchi Campagnolo); 7°
Gary Clively (Magniflex Torpado); 8° Walter Riccomi (Scic); 9° Giu-
seppe Perletto (Magniflex-Torpado); 10° Remo Rocchia (Cuneo Be-
notto); 11° Alfio Vandi (Magniflex Torpado); 12° Renato Laghi (Zon-
ca Santini); 13° Joseph Bruyère (Bel-Molteni); 14° Carlo Zoni (Bro-
oklyn); 15° Roberto Poggiali (Sanson); 16° Armando Lora (Magniflex
Torpado); 17° Wladimiro Panizza (Scic); 18° Willy De Geest (Bel-
Brooklyn); 19° Bruno Vicino (Furzi Vibor) a 20"; 20° Daniele Maz-
ziero (Furzi Vibor) a 50".
Partiti 111, arrivati 75.
14a edizione: 23 febbraio 1977

L’ex portatore porta a porta di giornali, divenuto ciclista nonché Campione del Mondo in carica, il belga
Freddy Maertens, definito il “nuovo cannibale”, portò all’edizione ’77, la prima vittoria di un corridore in
Maglia Iridata. Vinse in volata, ma dominò la gara. Troppo più forte di tutti, quel giorno. Dopo la partenza
in 141, Maertens cominciò ad allungare quando la corsa affrontò per la prima volta il Teistico, poi si
guardò intorno per controllare chi aveva già il flato corto (e furono parecchi). Poi quando provarono ad
andarsene Panizza (Scic) e Vandi (Magniflex), anziché scomodarsi personalmente, inviò il mandato allo
scuduero dalla pedalata sgangherata Pollentier, poi quando su un’azione di Gialdini (Magniflex) si formò
al comando un folto gruppetto, entrò in azione giocando a mo di gatto col topo fino alla volata decisiva e
qui, sia chiaro, nonostante il già fortissimo ventenne Giuseppe Saronni (Scic) vinse abbastanza facil-
mente.

Sul vincitore.
Nato a Nieuwpoort (Belgio) il 13 febbraio 1952. Alto 1,72 m. per 69 kg. Professionista dal 1972 al 1987,
con 221 vittorie su strada.
Nei primissimi anni settanta, il Belgio, nonostante la bella generazione di campioni alla corte
dall’imperiosa stella di Eddy Merckx, cercava fra i dilettanti un tipo in grado di infastidire “il cannibale” e
rinverdire ulteriormente i fasti di un ciclismo che, in quel momento, era, per buona pace degli italiani, il
migliore del mondo. Ricordo le letture sulle dichiarazioni dei commentatori fiamminghi e lo studio sugli
ordini d’arrivo, allora tanto presenti sui giornali, nonché le visioni televisive che, soprattutto sui mondiali,
non erano certo inferiori a quelle di oggi. Aldilà del letto, soprattutto l’osservazione video, portò le mie at-
tenzioni di autentico assetato di notizie, su due dilettanti delle Fiandre, davvero più che interessanti: Lu-
do Van der Linden e Freddy Maertens. Il primo, di un anno più anziano, giunse secondo nella prova in
linea ai mondiali di Leicester nel ’70 e vinse l’oro nella “100
km a squadre” l’anno successivo a Mendrisio. Il secondo,
diede spettacolo nella prova iridata svizzera, giungendo al
posto d’onore dietro la meteora francese Regis Ovion, ed
anche alle Olimpiadi di Monaco ’72, pur non arrivando a
medaglia, fu molto bravo. A quei tempi, spinto dalla gioven-
tù, feci una scommessa con mio fratello, convinto com’ero
che da quei due, sarebbe uscito l’avversario principale, o
l’erede, di Merckx. Bèh, Van der Linden passò prof prima
dei Giochi, proprio nella Molteni di Eddy, ma a parte quattro
successi minori, pagò gli sforzi sostenuti in giovane età nel-
la massacrante cronosquadre (quante vittime ha fatto que-
sta prova!) e si lasciò trasportare in una carriera anonima e
deludente, prima che un tremendo destino se lo portasse
via a soli 32 anni, nel 1983.
Freddy Maertens, invece, mi diede a lungo la certezza di
aver visto giusto, ed ancora oggi, pur dovendo constatare
che non è diventato un Merckx, e nemmeno una copia vici-
na di questi, resto della convinzione che non fosse inferiore
a nessuno dei corridori in voga negli anni settanta e primis-
simi anni ottanta, escluso ovviamente Eddy e, limitatamente
alle corse a tappe, Hinault. Solo i campioni con la maiusco-
la, nella stagione del debutto, a soli 21 anni, vincono quindici corse, fra le quali la Quattro Giorni di Dun-
kerque, i Gran Premi della Scheda, Jef Scherens, l'Escaut, la Fleche de Leeuw St Pierre, si piazzano
secondi nel Giro delle Fiandre, quinti nella Parigi-Roubaix e….perdono la maglia iridata per venti centi-
metri. Già, quel mondiale di Barcellona ’73, meriterebbe un racconto di pagine e pagine. Resta però la
constatazione, senza essere quei nazionalisti che gli italiani sanno essere solo nello sport, che Maertens
fece perdere l’iride a Merckx, andandolo a prendere in salita con Gimondi e Ocana staccati, mentre
Eddy si prese un’immediata rivincita, giocandolo nello sprint decisivo a vantaggio di chi gli stava meglio
in maglia arcobaleno: Felice Gimondi. L’evidenza lapalissiana di quel giorno però, ci dice che il più forte
nella corsa mondiale, era il baby Freddy Maertens. Ed è anche vero che il campionato del mondo di
Barcellona, recitò sul debole carattere di Freddy un ruolo importante, facendolo sentire più insicuro e alla
completa mercé di quelle tante mezze figure che, alla lunga, contribuiranno non poco alla contrazione
della sua carriera. Ciononostante, per qualche anno, Maertens fu devastante. Nel ‘74 vinse 34 corse, 33
nel ’75, 52 nel ’76, 53 nel ’77: in sostanza solo Merckx, in quel lustro, gli era stato superiore. In quella mi-
traglia di successi, anche il titolo mondiale, conquistato ad Ostuni nel 1976, davanti a Francesco Moser.
Nel 1977, dopo aver vinto alla grande la Vuelta di Spagna, prese il via al Giro d'Italia e sbalordì tutti con
sette vittorie di tappa, ma arrivò la frazione del Mugello, proprio il giorno dopo la sua vittoria a Forlì. Sul
celebre circuito motoristico, disputò una volata a colpi proibiti con Van Linden, la vinse, ma cadde frattu-
randosi il polso. Fu il colpo di grazia, la lesione non guarì più totalmente e molti attribuirono la causa di
ciò all'uso di sostanze proibite, derivate dal cortisone. Il suo fragile equilibrio si incrinò. Tuttavia, nel 1978
riuscì ancora a vincere 18 corse, fra le quali l’Het Volk, la semiclassica di Harelbeke e la Coppa Agosto-
ni, ma la sua squadra, la Flandria, venne sciolta e Freddy cominciò a correre dove e per chi gli capitava.
In quel momento iniziò il suo declino agonistico, reso più grave e tangibile dalle crescenti difficoltà finan-
ziarie e dalle pressanti richieste di arretrati da parte del fisco belga. In sostanza, si era fidato di gente
con pochi scrupoli e ne pagava le spese. Nel 1979 e ‘80, si distinse….per i suoi ritiri, ma nel 1981, dopo
esser stato ingaggiato dalla Boule d'Or, ritrovò il grande tecnico Guillaume Driessens che lo recuperò un
poco e lo portò al Tour.
Il bilancio di Freddy nella Grande Boucle fu ottimo: cinque vittorie di tappa, la maglia verde della classifi-
ca a punti e la garanzia di poter correre i mondiali di Praga. Qui recitò il suo canto del cigno, riconqui-
stando la maglia iridata. Si trascinò ancora qualche anno per fare soldi conquistando, proprio nel suo ul-
timo anno un successo in un criterium. Freddy Maertens non è stato solo un grandissimo velocista, co-
me qualcuno ancora sostiene, ma era fortissimo a cronometro, ed in salita, se voleva, poteva stare a ri-
dosso dei migliori: quanto basta per farne un corridore in grado di vincere anche una grande corsa a
tappe. Non a caso vinse una Vuelta. D’altronde, se Moser e Saronni, erano considerati completi, Maer-
tens, aveva qualche ragione in più, almeno a livello potenziale, per esibire le stesse credenziali. Per me,
ripeto, non è stato inferiore a loro.

Le più belle vittorie di Maertens.


1973: Quattro Giorni di Dunkerque; Freccia St.Pieters Leuwe; Gran Premio Banca Roulers; Gran Premio
della Schelda; Tour du Condroz. 1974: Giro del Lussemburgo; Giro dell’Andalusia; Campionato delle
Fiandre; Giro delle Fiandre Centrali; Le XI Città; Gran Premio Scherens. 1975: Tours-Versailles; Freccia
Vallone; Gand-Wevalgem; Paris-Bruxelles, Giro del Belgio; Quattro Giorni di Dunkerque; Giro
dell’Andalusia; Gran Premio Banca Roulers; Gran Premio Scherens. 1976: Campionato del mondo;
Campionato del Belgio; Gand-Wevelgem; Campionato di Zurigo; Henninger Turm; Amstel Gold Race;
Quattro Giorni di Dunkerque; Campionato delle Fiandre; Gran Premio delle Nazioni; Trofeo Baracchi;
Freccia del Brabante. 1977: Het Volk; Trofeo Laigueglia; Vuelta di Spagna (con 13 tappe); Parigi-Nizza;
Giro della Sardegna: Settimana Catalana; Giro della Catalogna. 1978: Het Volk; Quattro Giorni di Dun-
kerque; Gren Premio d’Escaut; Harelbeke; Coppa Agostoni. 1981: Campionato del mondo, 5 tappe al
Tour de France.

Considerazioni.
Piuttosto piccolino, anzi per le misure che oggi si vorrebbero per i velocisti o i cronoman, decisamente
piccolo (1,72 x 66-67 kg). Proporzionato nel fisico e con una compattezza muscolare che nei tempi at-
tuali distruggerebbero con lavori sul fondo in grado di mortificare le fibre bianche che possedeva a iosa,
Freddy, col suo corpo da scalatore, era un winnner velocistico di dimensioni stellari. Scelta di tempo, fiu-
to, esplosività, punte di velocità degne di un pistard, lo facevano sprinter di razza come pochi. Provò a
costruire con la Flandria, fra lo scherzo e il faceto, o come semplice esperimento, quella preparazione
della volata di squadra che poi è stata definita “treno”, ma fu un carotaggio isolato, perchè il Maertens, le
volate le faceva da solo, mortificando spesso coloro che potevano avere opportunità di vittoria sull’unica
variabile dello sprint. Un Saronni, per molti aspetti, con maggiori doti sul passo, al punto di vincere il GP
delle Nazioni, quando questa gara valeva tranquillamente l’odierno mondiale a cronometro. In salita più
che la sua inadattabilità, assolutamente inesistente, fu una forma di disinteresse a fermarlo nei primi an-
ni di carriera, ma dopo la Vuelta vinta, capì che poteva stare tranquillamente al passo dei migliori
dell’epoca, anche lì. Purtroppo, la caduta al Mugello, ruppe completamente i suoi piani.
Ciò che non andava in Freddy, non stava nel fisico eccellente, raro e superiore a tanti campioni che poi
impreziosirono il loro palmares con raffiche di vittorie anche nelle corse a tappe, ma il suo carattere fragi-
le, l’intontimento che lo accompagnava con la fama crescente, ed un’incapacità pressoche totale di rico-
noscere le persone verso le quali era giusto fidarsi, furono i suoi veri limiti. Un ragazzo, che non fu mai
capace di crescere e di capire l’ambiente che lo circondava, ignaro delle distinzioni da farsi, inconsape-
vole dell’esigenza di dosare le parole al contatto con media che, nel Belgio del suo tempo, erano simili al
calcio nostrano dell’odierno. L’incapacità di vivere le tante rivalità insistenti nel ciclismo del suo paese,
spesso incentivate dal campanilismo e dalle culture delle varie zone, con quel distacco necessario per
non trovarsi schiacciato o deviato anche nei fatti di corsa. La sua esultanza tipicamente giovanile, con
quel pizzico di sbruffoneria che non guasterebbe mai in linea teorica, ma pericolosa in certi contesti,
quando a lato ci sono, nel suo caso, glorie storiche come Merckx
e campioni in grado di aprire le porte alla leggenda come Roger
De Vlaminck, o ad imprimere gli albi d’oro, potenzialmente o di-
rettamente, come Godefroot, Van Springel, Leman, Verbeeck,
Dierickx, Pintens, Walter Planckaert ecc. Aveva pochi, troppo
pochi amici in gruppo, cominciando dai suoi connazionali.
La stessa brutta e significativa giornata dell’esordio mondiale, a
Barcellona, sul circuito del Monjuich, nel 1973, evidenziò fino a
scolpirne i prosiegui, le difficoltà d’adattabilità di Maertens.
Quando Merckx attaccò in salita, scaricando Gimondi e Ocana,
Freddy, per dimostrare di esserci, di avere forza, di essere un
campione, andò a prendere Eddy. Non lo fece con spirito cattivo,
si lasciò semplicemente andare alla sua voglia di far vedere chi
era, non rendendosi conto che in quel modo rimetteva in gioco
l’italiano e lo spagnolo. Poteva starsene a ruota degli altri, era il
più veloce e se costoro fossero riusciti a riprendere Merckx, sa-
rebbero comunque stati in tre a scannarsi di lavoro e fatica, fa-
vorendo il suo già letale sprint. Non si rese immediatamente
conto che la sua azione, oltre a renderlo inviso al numero uno
del ciclismo mondiale, lo metteva nella non facile veste di corri-
dore inaffidabile, anche fra gli altri grandi belgi (che non aspetta-
vano altro…). La prova di tutto questo si ebbe dopo, quando, a
dimostrazione della sua considerazione verso Eddy, si rese disponibile a tirargli la volata (in fondo “il
cannibale” dopo di lui era il più veloce), ma costui gliela fece pagare con gli interessi, giocandogli lo
scherzetto che tutti videro. Da quel giorno, oltre a Merckx, Freddy si trovò tutti i belgi contro e se poi
seppe vincere tantissimo, con ritmi da “Cannibale”, fu solo perché la natura gli aveva dato qualità secon-
de solo a quelle di Eddy. Anche quando tornò dopo la caduta del Mugello, col polso trasformato e dolo-
rante che gli impediva di essere quello di prima, la voglia di batterlo, magari di umiliarlo, continuò a per-
sistere fra i fiamminghi. Al resto ci pensò il suo carattere, soprattutto fuori dalle corse, che non raccolse
nulla della prevedibile maturazione degli anni e delle esperienze consumate. Ma il suo talento era enor-
me, grandioso. Per me il più grande, per completezza dopo Eddy, del peculiare segmento degli anni set-
tanta. Le sue cinque vittorie di tappa al Tour e quel mondiale di Praga, certo favorito dall’empasse tragi-
co che frenava la squadra italiana, grazie all’assurdità del dualismo Moser-Saronni, gridarono quanto
fosse alato il piccolo belga dalle orecchie a sventola.
Una rinascita che si concretizzò, anche per una delle poche felici scelte nel cammino di Freddy: ritrovarsi
con un timoniere come Guillaume Driessens. Ci fosse stato costui, con continuità, accanto a Maertens,
gli albi d’oro del ciclismo di fine anni settanta ed inizio anni ottanta, sarebbero stati diversi.

Ordine d’arrivo:
1° FREDDY MAERTENS (Bel-Flandria Velda) km 157 in 4h alla media
di 37,765 kmh; 2° Giuseppe Saronni (Scic); 3° Bernt Johansson (Swe-
Fiorella Mocassini); 4° Wladimiro Panizza (Scic); 5° Vittorio Algeri (GBC
Itla); 6° Alfio Vandi (Magniflex Torpado); 7° Michel Pollentier (Bel-
Flandria Velda) a 15"; 8° Bruno Vicino (GBC Itla) a 18"; 9° Walter Riccomi
(Scic); 10° Roland Salm (Sui-Zonca Santini); 11° Gianbattista Baronchelli
(Scic); 12° Giuseppe Perletto (Magniflex Torpado); 13° Josef Fuchs (Sui-
Sanson); 14° Johan De Muynck (Bel-Brooklyn); 15° Dorino Vanzo (GBC
Itla); 16° Claudio Bortolotto (Sanson); 17° Ruggero Gialdini (Magniflex
Torpado); 18° Franco Conti (Zonca Santini); 19° Fausto Bertoglio (Jollj Ce-
ramica) a 1'07"; 20° Bernard Thevenet (Fra-Peugeot Esso); 21° Pierino Ga-
vazzi (Jollj Ceramica) a 1'51" segue il gruppo. Partiti 141, arrivati 79.
15a edizione: 21 febbraio 1978

Laigueglia non aveva mai visto tanti ciclisti. Alla partenza delle 12, si presentarono in 187, di gran lunga
record della corsa. Vento fastidioso e cielo che non prometteva nulla di buono. Per oltre due ore la gara
si consumò senza note, aldilà di qualche fiocco di neve, più intenso a tratti. Poi, a riscaldare ci pensaro-
no gli allunghi di Rossi (Bianchi) e Dusi (Intercontinentale Assicurazioni), nonché le tirate di Pollentier
(Flandria), ma niente di particolare. Fino all’ultima scalata al Testico, dove ad attaccare, ci pensò colui
che non si poteva aspettare, il norvegese Knut Knudsen (Bianchi). Conquistò duecento metri e continuò
ad insistere: trenta secondi, un minuto, poi qualcosa di più. A quel punto, il norvegese trasformò il piatto
finale del Trofeo Laigueglia, in una corsa a cronometro, la sua grande specialità. Davanti il nordico ormai
italiano, dietro il Campione del Mondo Francesco Moser (Sanson) che voleva vincere una corsa che non
aveva ancora vinto. Ad un certo punto, si pensò che il cacciatore riprendesse la lepre, ma quest’ultima
aveva ancora delle forze e reagì. Sull’italiano rientrò il drappello sfilacciato, mentre su Knudsen arrivò la
gioia del successo in grande solitudine. A 12”, Porrini, Argento l’anno prima nella “Cento chilometri a
squadre” superò Moser, Saronni e tutti i migliori.

Sul vincitore.
Un corridore alto, possente, completo, con formidabili doti sul passo, ed una naturale predisposizione
verso le corse a cronometro, nonché le corse a tappe, più brevi che lunghe. Knut era nato a due passi
dai fiordi, a Levanger in Norvegia, il 12 ottobre 1950. Un "vichingo" gentile fin dall'infanzia che, per corre-
re in bicicletta, fu costretto a non pochi sacrifici logistici.
Arrivato fra i dilettanti, cominciò a dettare legge non solo fra i
connazionali (vinse ripetutamente i titoli nazionali su strada, su
pista e a cronometro), ma al cospetto dei più forti d'Europa. Nel
'72, su strada, vinse il Giro di Norvegia e i campionati di Scandi-
navia. Su pista, vinse la Medaglia d'Oro alle Olimpiadi di Mona-
co nell'inseguimento, dominando, come fosse di un'altra catego-
ria. L'anno successivo, nella medesima specialità, si laureò
campione mondiale, ancora una volta irridendo gli avversari.
Passò professionista nel 1974, in Italia, nelle file della Jollyce-
ramica di Giovanni Battaglin. Lo si attese da subito agli acuti su
pista che, però, non arrivarono. Fu finalista ai mondiali dell'inse-
guimento nel '75, quando fu battuto da Schuiten e nel '77,
quando fu superato da Gregor Braun. Finì terzo nel '76, dietro a
Francesco Moser e, ancora, Roy Schuiten. Ma se sui velodromi
non andò come era prevedibile, si rifece su strada, grazie a bel-
le ed importanti vittorie e un'infinità di piazzamenti di pregio, par-
tendo, sempre o quasi, dal ruolo di gregario, certo di lusso, ma
pur sempre luogotenente.
Nel '75 vinse a Fiorano la prima tappa del Giro e vestì per due
giorni la maglia rosa. L'anno successivo vinse la Cronostaffetta.
Tornò a ruggire al Giro nel '77, trionfando nella tappa a crono-
metro di Pisa, dove inflisse significativi distacchi a Moser ed a
Michel Pollentier. Nel '78 vinse il Giro di Sardegna (era già giun-
to 3° nel '75), il Trofeo Laigueglia, il Giro della Provincia di Reg-
gio Calabria, il Trofeo Baracchi in coppia con Schuiten.
Grandissima e sfortunata la sua stagione '79. Vinse dapprima la
Tirreno-Adriatico (era già giunto 2° nel '74, '75 e '78!), quindi il
Giro del Trentino, dimostrando un tangibile miglioramento nelle
lunghe salite. Al Giro d'Italia, dopo aver vinto con un portentoso assolo la tappa di Portovenere, mentre
lottava per la vittoria finale con Saronni (erano divisi da pochi secondi e c'era ancora da correre la crono
finale di Milano), fu costretto al ritiro per una rovinosa caduta a soli tre giorni dall'epilogo.
Nel 1980, trionfò di nuovo nella Cronostaffetta e vinse, a Bruxelles, il Gran Premio Merckx. Nel 1981,
tornò prepotentemente protagonista al Giro d'Italia vincendo il prologo di Trieste (sui "nemici" della pista
Moser e Braun) e le altre cronometro di Montecatini e Verona. Trionfò nella Ruota d'Oro e, di nuovo, nel
G.P. Merckx. Dopo una stagione così densa di soddisfazioni e di rilevanza, a fine anno decise di appen-
dere la bicicletta al chiodo. In tanti cercarono di convincerlo a continuare, ma lui non ne volle sapere. In
fondo, l'insistenza era legittima: al mondo nessuno lo valeva nel ruolo di luogotenente o di vero e proprio
gregario, non solo per qualità, ma pure per la grande onestà che l'ha sempre contraddistinto.
Così, a trentun anni quando ancora poteva recitare pagine importanti, Knut, l'uomo dei fiordi e della sim-
patia che non puoi dimenticare, mise la parola fine alla sua onorevole carriera.

Ordine d’arrivo:
1° KNUT KNUDSEN (Nor-Bianchi Faema) km 163 in 4h05'45" alla me-
dia di 39,796 kmh; 2° Dino Porrini (Mecap Selle Italia) a 11"; 3° Francesco
Moser (Sanson); 4° Giuseppe Saronni (Scic); 5° Willem Peeters (Bel-
Ijsboerke Gios); 6° Freddy Maertens (Bel-Flandria Velda); 7° Rudy Pevenage
(Bel-Ijsboerke Gios); 8° Eric Van de Wiele (Bel-Ijsboerke Gios); 9° Claudio
Corti (Zonca Santini); 10° Johan De Muynck (Bel-Bianchi Faema); 11° Leo-
nardo Mazzantini (Zonca Santini); 12° Giuseppe Passuello (Zonca Santini);
13° Giuseppe Martinelli (Magniflex Torpado); 14° Giuseppe Fatato (Magni-
flex Torpado); 15° Pierino Gavazzi (Zonca Santini); 16° Alfredo Chinetti
(Selle Royal Inoxpran); 17° Franco Conti (Zonca Santini); 18° Willy De Ge-
est (Bel-Sanson); 19° Michel Pollentier (Bel-Flandria Velda); 20° Vittorio
Algeri (Intercontinentale Assicurazioni), segue il resto del gruppo. Partiti
187, arrivati 95.

16a edizione: 20 febbraio 1979

Una giornata di sole ma di gran vento fece da teatro ai 141 partenti. Un po' di mare poi l'entroterra con
Moser (Sanson) in evidenza sulla rampa di Boiossano, ma in sostanza fu necessario aspettare un paio
d'ore per registrare le prime fasi di lotta. Con uno scenario di campanili e di cime bianche si andò a re-
spirare l'aria fine di passo Ginestre dove ancora Moser guidò la pattuglia dei migliori che la salita aveva
evidenziato. La seguente discesa consentì tanti rientri, ma il grosso fu eliminato dal gioco per la vittoria.
Sul Capo Berta sulle ceneri di un tentativo di Vandi (Magnflex), Amadori (Sapa Assicurazioni) e Fuchs
(Scic), partirono in contropiede Saronni, Moser, Martinelli, Gavazzi Beccia De Vlaeminck e Baronchelli
ed i sette fecero il vuoto. All’ultimo chilometro De Vlaeminck cercò il colpo gobbo, Martinelli chiuse e Sa-
ronni scattò all'inizio del rettilineo finale lungo circa 200 metri. In scia all’atleta di Parabiago, Pierino Ga-
vazzi, che riuscì a rimontare il corregionale ed a batterlo. In casa Zonca si fece festa.

Sul vincitore.
Nato a Provezze di Provaglio d'Iseo (Brescia) il 4 dicembre 1950. Passista veloce. Alto 1,69 per 66/67
kg. Professionista dal 1973 al 1992 con 63 vittorie. Venti anni di carriera professionistica, intessuti su
una totale dedizione al ciclismo ed alle sue leggi non scritte, che solo i fuoriclasse possono ogni tanto
evadere, rappresentano la prima parte del biglietto da visita di Pierino Gavazzi. Il resto, si legge dalle af-
fermazioni di prestigio internazionale che ha saputo cogliere, fra i suoi sessantatre successi e dai quasi
cento secondi posti. Tutto ciò, gli ha dato popolarità e conoscenza che, non sempre, anzi poco, s’è tra-
dotta nelle pagine dei commenti di un osservatorio giornalistico esageratamente e, talvolta, anche erro-
neamente legato al duo Moser-Saronni. Il tratto di Gavazzi, contiene le carriere dei due catalizzatori, che
ha saputo anche battere su traguardi storici o da leggenda, fino a giungere agli anni del Bugno ruggente,
verso il quale, ha sempre nutrito rispetto e ammirazione. Con questo bresciano, ancora validamente sul-
la breccia, per l’ammiraglia che guida, per i figli corridori, Nicola e l’attualissimo Mattia, si apre una fetta
enorme del ciclismo italiano, ed un mare di esperienze che ci aiutano a capire le dinamiche proprie del
pedale degli ultimi quaranta anni.
Pierino, il diminutivo popolare e, potremmo dire, illustrativo del suo lungo nome anagrafico, era destinato
alla fabbrica, alla vita anonima di milioni di persone. Scelse la bici più tardi dei più e quando già aveva
provato i ritmi del lavoro, duro e sempre mal pagato, dei generici delle imprese industriali, ma fece pre-
sto a recuperare. Fu un ottimo dilettante, capace di cogliere significativi traguardi, usando il fondo e
l’iniziativa, prima ancora del suo spunto veloce: caratteristiche, che dal 1973, ha trasportato stupen-
damente nel professionismo.
Di taglia piccola, ma compatta e muscolarmente di nota, si legò alla professione del ciclista, una delle
più dure che ci siano, con lo spirito di chi si vuole arricchire di contatti, di esperienze, di viaggi, pur con
una natura caratteriale taciturna, riflessiva, sempre pronta all’osservazione e al mettere a frutto il vissuto.
Non cambiò mai da quella linea, arrivando al pedale del miglior Merckx e proseguendo fino al miglior In-
durain, senza voler dare l’impressione di essere, e di esse-
re stato qualcuno anche lui. È restato al suo posto con di-
gnità e validità, mettendo sulle strade condotte fatte di ge-
nerosità e fatiche, che non possono giustificare, in alcun
modo, la definizione che in tanti gli hanno data, di semplice
velocista. Già, perché Pierino, non ha mai aspettato egoi-
sticamente l’arrivo per portare fresco il suo indubbio spunto
di velocità e non ha mai avuto treni, o quattro o cinque
compagni a disposizione. Lui battagliava, andava in fuga,
tirava, si muoveva come un passista completo e, per que-
sto, spesso è giunto con le polveri un po’ bagnate all’arrivo,
come dimostra l’infinità di piazzamenti ottenuti. Ovvero ri-
sultanze significative dello spessore del corridore Gavazzi,
ma troppo numerose per non aprire, sovente, le trombe
dell’idiota atteggiamento che l’osservatorio ciclistico ha
sempre dimostrato verso i posti d’onore. Ed a quei “qual-
cuno”, che mettono sulle ammiraglie dilettantistiche i bollini
delle vittorie ottenute, come fossero pegni di valenze “mer-
csiane”, quando nella realtà sono piccoli gradini di un ap-
prendistato che solo i miopi possono vedere come un arri-
vo; o a quelli che sviluppano, sulla inutilità agonistica delle
odierne granfondo, i servizi destinabili ai traguardi della
leggenda del pedale, è bene ricordare che tal Pierino Ga-
vazzi, fra una marea di campioni (corridori che oggi si ve-
dono col binocolo), è stato uno che ha vinto quel che se-
gue. Le tre Maglie Tricolori conquistate nel '78 a Odolo,
nell'82 nella Tre Valli Varesine e nel ‘88 (a 38 anni) nella Coppa Placci, fanno da contorno e sintetizzano
i suoi meriti, che hanno brillato particolarmente in occasione del 1980, il suo anno di grazia, dove con-
quistò la Mila-no-Sanremo (davanti a Saronni e Raas) e la Parigi-Bruxelles (su Demeyer e Vandenbran-
de). Ma anche su classiche, come la Milano-Torino '78, il Trofeo Laigueglia '79 e ‘89, il Giro di Campania
'79, il Giro di Romagna '80 e '84, il Giro dell'Emilia '81-82, il Giro del Veneto '82, la Tre Valli Varesine '84,
il Giro di Reggio Calabria '83, il GP di Prato '84 e ‘89, la Nizza-Alassio '85, il Trofeo Matteotti '85, il Giro
di Puglia '77. Ha poi vinto 5 tappe del Giro d'Italia, una del Tour de Suisse, una del Romandia, 4 del Giro
di Catalogna e 5 del Giro di Puglia. Insomma un corridore di spessore che fa piacere ricordare.

Ordine d’arrivo:
1° PIERINO GAVAZZI (Zonca Santini) km 167 in 4h04'50" alla
media di 38,475 kmh; 2° Giuseppe Saronni (Scic); 3° Francesco Mo-
ser (Sanson); 4° Giuseppe Martinelli (Ita); 5° Roger De Vlaeminck
(Sanson); 6° Gianbattista Baronchelli (Scic) a 6"; 7° Mario Beccia
(Mecap Hoonved); 8° Vittorio Algeri (Sapa Assicurazioni-Frontini) a
2'10"; 9° Riccardo Magrini (Inoxpran); 10° Franco Conti (Zonca San-
tini); 11° Josef Fuchs (Sui-Scic); 12° Luciano Borgognoni (CBM Fast
Gaggia) a 3'00"; 13° Fiorenzo Favero (Sapa Assicurazioni-Frontini) a
3'04"; 14° Giancarlo Casiraghi (Sapa Assicurazioni Frontini); 15°
Mario Fraccaro (Mecap Hoonved); 16° Leonardo Mazzantini (Zonca
Santini); 17° Sergio Santimaria (Mecap Hoonved); 18° Bruno Leali
(Inoxpran); 19° Alfredo Chinetti (Scic); 20° Willy De Geest (Bel-Gis
Gelati) segue il gruppo. Partiti 141, arrivati 103.
17a edizione: 19 febbraio 1980

Quando si dice che i campioni hanno sempre qualcosa in più….Se avesse ubbidito più al piacere che al
dovere, Roger De Vlaeminck anziché correre e vincere quell’edizione del Trofeo Laigueglia, sarebbe ri-
masto di certo sotto le coperte. “Per farlo scendere dal letto - spiegò Guillaume Driessens, il suo diretto-
re sportivo - ho dovuto prenderlo per un braccio e tirare forte”. Il belga, che a casa sua si alza all'alba e
va a fare footing nei boschi accompagnato soltanto dal suo cane, la mattina della corsa imprecava e
sbadigliava, sbadigliava e imprecava. Non aveva quasi chiuso occhio: non perché fosse in compagnia
(almeno, non risultò da quel che s’è saputo), ma per una banale questione di insonnia. Alle due e mezzo
del mattino era ancora sveglio, poi, finalmente ce la fece, ma alle 7 c'era già Driessens, che in quel mo-
mento gli sembrò il suo nemico numero uno, a tirarlo per il braccio e ad urlargli nelle orecchie in fiam-
mingo. Continuò a sbadigliare anche in corsa, il Roger, e in salita sembrava proprio che non ce la faces-
se a tenere il ritmo, anche perché le fatiche della Sei giorni di Milano, pesavano sulle gambe come
piombo. Poi però, sentì il profumo della vittoria e, come spesso gli è capitato, si svegliò all'improvviso. A
150 metri dal traguardo era già in testa, gli altri sgomitavano e si spingevano a vicenda, ma avveniva tut-
to alle sue spalle, lui era nettamente primo e ciò che succedeva dietro non poteva vederlo, e non gl'inte-
ressava. E dietro, in diversi poi finirono alla penalizzazione della giuria. Alle spalle del belga Martinelli e
Moser.

Sul vincitore.
Nato a Eeklo (Belgio) il 24 agosto 1947. Alto 1.81 per 75 kg. Cominciò a lavorare giovanissimo. Vendeva
coperte e tovaglioli alle massaie, girando di porta in porta, ma i suoi guadagni erano modesti. Decise
quindi di obbedire al padre e venne assunto in una fabbrica di tessuti a pochi chilometri da Eeklo. Il poco
tempo che gli restava lo impiegava allenandosi in bicicletta. Trovò un amico che gli con-sigliò di correre.
Si gettò, così, con tanto entusiasmo nella mischia ed arrivano i primi successi. Tra i dilettanti centrò il Ti-
tolo Nazionale di ciclocross e, poco dopo, anche il Titolo Mondiale.
Passò tra i professionisti nel 1969, ed al debutto vinse
la Het Volk imponendosi in volata su Patrick Sercu.
Tre mesi dopo, diventò Campione del Belgio su stra-
da.
Concluse l'anno con un bilancio di 16 vittorie. Ottimo
passista, si difendeva in salita, eccellente sprinter.
Vinse 4 Parigi-Roubaix, 6 Tirreno-Adriatico; 3 Milano-
Sanremo, 2 Giri di Lombardia; un Mondiale di ciclo-
cross. Novanta tappe di Giri ed altrettanti criterium.
Padre belga, madre di origine gitana. La confluenza
delle due razze opposte, gli lasciò in retaggio un ca-
rattere pieno di slanci e di conflitti. Passava da un ot-
timismo forsennato ad autentici complessi d'inferiori-
tà. Nel ‘69, durante una manifestazione su pista a
Gand, conobbe Marlene (olandese) e se ne innamorò
a prima vista. Frequenti viaggi in Olanda e poi, il ma-
trimonio. Nacquero due femmine: Nadia e Sheila. Nel
1985 non corse, o meglio partecipò solo a delle gare
di ciclocross nazionali da individuale. Ha corso spes-
so in Italia grazie alla sua appartenenza a squadre
come la Dreher, la Broocklyn, la Sanson e la Gis.
Professionista dal 1969 al 1988 con 251 vittorie. In
sintesi: 11 gare a tappe; 6 Tirreno-Adriatico (1972-
1973-1974-1975-1976-1977); Giro Svizzera (1975);
Quattro Giorni Dunkerque (1971); Giro Sardegna (1976); Giro di Puglia (1979); Giro di Majorca (1980);
57 gare in linea: 4 Parigi-Roubaix (1972-1974-1975-1977); 3 Milano-Sanremo (1973-1978-1979); 2
Campionati Nazionali (1969-1981); 2 Giri di Lombardia (1974-1976); 2 Hel Volk (1969-1979); 2 Giri del
Lazio (1975-1976); 2 Milano-Torino (1972-1974); 2 Coppe Agostoni (1975-1976); 2 Coppe Placci (1972-
1974); due Sassari-Cagliari (1976-1978); Liegi-Bastogne-Liegi (1970); G.P. Escaut (1970); Freccia Val-
lone (1971); GP Camaiore (1972); Trofeo Matteotti (1973); Giro Toscana (1973); Giro Sicilia (1974); Gi-
ro del Veneto (1974); Campionato di Zurigo (1975); Trofeo Pantalica (1975); Giro dell’Emilia (1976); Giro
delle Fiandre (1977); Giro Piemonle (1977); Giro del Friuli (1978); Milano-Vignola (1979); Trofeo Laigue-
glia (1980); Parigi-Bruxelles (1981); 90 tappe Giri (22 al Giro d'Italia); 13 tappe Tirreno-Adriatico; 6 tappe
Giro di Sardegna; 9 Giro Svizzera; 6 Giro Puglia; 92 Criterium; Campione del mondo dilettanti di ciclo-
cross (1968); Professionisti (1975). Ha corso per: Flandria (1969-1971); Dreher (1972); Brooklyn (1973-
1974-1975-1976-1977); Sanson (1978); Gis (1979 e 1984); Boul d'or Colnago (1980); Daf (1981-1982);
Gios (1983); Eddy Merckx (1986-1987); Hitachi (1988). Anche il padre Filibert, il fratello Eric, grandissi-
mo ciclocrossista per tanti il più bravo d’ogni tempo, nonché il di questi figlio Geert, tragicamente scom-
parso nel ’93, sono stati corridori professionisti. Per chi scrive Roger De Vlaeminck è stato il miglior cor-
ridore da corse in linea dopo i connazionali Eddy Merckx e Rik Van Looy.

Ordine d’arrivo:
1° ROGER DE VLAEMINCK (Bel-Boule d’Or Studio
Casa) km 153 in 4h04’ alla media di 38,360 kmh; 2°
Giuseppe Martinelli (Mobili San Giacomo-Benotto); 3°
Francesco Moser (Sanson Campagnolo); 4° Pierino Ga-
vazzi (Magniflex Olmo); 5° Roberto Ceruti (Gis Gelati);
6° Ignazio Paleari (Magniflex Olmo); 7° Roberto Visenti-
ni (Mobili San Giacomo-Benotto); 8° Claudio Torelli
(Bianchi Piaggio); 9° Carmelo Barone (Sanson Campa-
gnolo); 10° Silvano Contini (Bianchi Piaggio); 11° Franco
Conti (Mobili San Giacomo-Benotto); 12° Tommi Prim
(Swe- Bianchi Piaggio); 13° Alfio Vandi (Famcucine);
14° Wladimiro Panizza (Gis Gelati); 15° Paul Jesson (Nzl-
Splendor); 16° Josef Fuchs (Sui-Gis Gelati); 17° Michel
Pollentier (Bel-Splendor); 18° Giancarlo Casiraghi (Magniflex Olmo); 19° Bernt Johansson (Swe- Ma-
gniflex Olmo); 20° Alf Segersall (Swe-Bianchi Piaggio), segue il resto del gruppo. Partiti 118, arrivati
72.

18a edizione: 24 febbraio 1981

Un Saronni in gran forma, tutta grinta, rabbia e potenza fece suo il Laigueglia ’81 che vide alla partenza
121 corridori. Il corridore di Parabiago vinse battendo in volata due suoi vecchi avversari: Pierino Gavaz-
zi e Roger De Vlaeminck. Una volata entusiasmante che inghiottì a cinquanta metri dal traguardo, un
tentativo del belga Daniel Willems (Capri Sonne). ex erede di Merckx, protagonista di un assolo negli ul-
timi chilometri. La corsa è vissuta tutta in questo arrivo, ed in una quasi schermaglia avvenuta sulla dop-
pia ascensione al monte Testico. dove però non accadde granché. Lì si sono distinti ripetutamente Gio-
vanni Battista Baronchelli e Silvano Contini entrambi della Bianchi, con scatti improvvisi ma privi di smal-
to a causa della preparazione ancora in ritardo. Poi la volata regale di Saronni.

Sul vincitore.
Un talento precoce e orizzontale (la sua dimensione internazionale si vide su pista, dove eccelleva nella
velocità, prima che sulla strada), potremmo dire prodigio. Nel suo palmares giovanile 127 affermazioni
con titoli e azzurro, ed una tangibilità che spinse ad aprire un caso: il passaggio al professionismo antici-
pato sull’età minima. Giuseppe, infatti, fece il salto a 19 anni e mezzo, dimostrandosi subito un vincente.
Nella stagione d’esordio, il 1977, colse qualcosa come 9 vittorie: esattamente il Trofeo Pantalica, il Giro
di Sicilia ed una tappa dello stesso, la Tre Valli Varesine, il Giro del Veneto, il Giro del Friuli e tre circuiti.
Di queste nove vittorie, ben sette furono raggiunte prima del compimento dei 20 anni. Solo il compianto
belga Frank Vandenbroucke, nel ciclismo moderno, può reggere il confronto in quanto a tangibilità prima
dei vent’anni. Il crescendo di Saronni, continuò imperioso nel ’78 e, nel ’79, vinse il suo primo Giro
d’Italia. Nel 1980, con la vittoria nella Freccia Vallone, dove staccò di ruota Bernard Hinault, mise in sac-
coccia la sua prima clas-sica…quasi monumento.
I massimi livelli di rendi-mento li raggiunse nei 14 mesi che vanno dal feb-braio '82 al giugno '83. In que-
sto favoloso lasso cen-trò una splendida collana di grandi successi. In ordi-ne di tempo: Giro di Sar-
degna, Milano-Torino, Tir-reno-Adriatico, Giro Trenti-no, Giro della Svizzera, Coppa Agostoni, Campio-
nato del Mondo a Good-wood, con la celebre fuci-lata finale che resterà pe-renne nella storia, Giro di
Lombardia e, quindi, nella nuova sta-
gione, la Sassa-ri-Cagliari, la Classi-
cissi-ma Milano-Sanremo, non-ché il
secondo Giro d'Ita-lia! A quel punto
però, la sua macchina cominciò a da-
re segni di tosse: per il resto dell’83,
solo vittorie in circuito e, nella stagio-
ne successiva, addirittura solo i suc-
cessi in due tappe del Giro di Norve-
gia. Si riprese nel 1985, dove vinse
un paio di tappe al Giro, ma per il re-
sto delle nove vittorie dell’anno, furo-
no i circuiti a sorridergli maggiormen-
te. Andò meglio nel 1986, dove rac-
colse sette successi, giunse 2° al Giro
(dietro a Visentini, ma davanti a Mo-
ser) e chiuse l’anno col terzo posto al
Mondiale di Colorado Springs, vinto
da Argentin su Mottet. La stagione
’87, con-fermò il suo calo e le rima-
nenti tre che passò nel ciclismo, non segnarono nessuna inversione. Un tramonto, dunque, repentino, ed
è stucchevole pensare, che ben 170 delle sue 195 vittorie di carriera, furono colte prima del compimento
dei 26 anni. Professio-nista dal 1977 al 1990. In sintesi le sue vittorie. 2 Giri d'Italia (1979-1983); 2 Tirre-
no-Adriatico (1978-1982); 3 Giri di Puglia (1978-1908-1988); Giro Sicilia (1977); Giro Romandia (1979);
Midi-Libre (1979); Giro di Sardegna (1982); Giro Trentino (1982); Giro di Svizzera (1982); Settimana Si-
ciliana (1986); Indre e Loire (1978); Midi Libre (1979); 2 Trofei Baracchi (con Moser nel 1979 e con Pia-
secki nel 1986); Campionato del mondo (1982); Campionato italiano (1980); Giro di Lombardia (1982);
Milano Sanremo (1983); Freccia Vallone (1980); Campionato Zurigo (1979); 5 Trofei Pantalica (1977-
1978-1980-1982-1985); 4 Tre Valli Varesine (1977-1979-1980-1988); 2 Giri di Campania (1978-1980); 2
Coppe Agostoni (1978-1982); 2 GP Camaiore (1979-1981); 2 Coppe Bernocchi (1980-1981); Giro del
Friuli (1977); Giro del Veneto (1977); GP Larciano (1980); Trofeo Lai-guieglia (1981); Giro dell’Et-na
(1981); Giro di Romagna (1981); Milano-Tori-no; (1982); Sabatini (1982); Sassari Cagliari (1983); Mila-
no-Vìgnola (1987); Giro Provincia di Reggio Calabria (1990). 85 tappe di Giri (fra le quali: 24 Giro d'Italia,
12 Giri Puglia, 8 Tirreno-Adriatico). 49 circuiti; 6 cronoscalate.

Ordine d’arrivo:
1° GIUSEPPE SARONNI (Gis Gelati Campagnolo) km 166 in 4h11'
alla media di 38,964; 2° Pierino Gavazzi (Magniflex Olmo); 3° Roger
De Vlaeminck (Bel-Daf Trucks); 4° Silvano Contini (Bianchi Piaggio);
5° Tommi Prim (Swe-Bianchi Piaggio); 6° Daniel Willems (Bel-Capri
Sonne); 7° Alfio Vandi (Selle San Marco Sidermec); 8° Alfredo Chinet-
ti (Magniflex Olmo); 9° Franco Conti (Selle San Marco Sidermec); 10°
Peter Winnen (Ned-Capri Sonne); 11° Adri Van der Poel (Ned- Daf
Trucks); 12° Alberto Minetti (Famcucine Campagnolo); 13° Fiorenzo
Aliverti (Honved Bottecchia); 14° Claudio Torelli (Famcucine Campa-
gnolo); 15° Theo De Rooy (Ned-Capri Sonne); 16° Hennie Kuiper
(Ned-Daf Trucks); 17° Ennio Vanotti (Bianchi Piaggio) 18° Gregor
Braun (Ger-Famcucine Campagnolo); 19° Wladimiro Panizza (Gis Ge-
lati Campagnolo); 20° Guy Nulens (Bel- Daf Trucks); 21° Gianbattista
Baronchelli (Bianchi Piaggio); 22° Eddy Schepers (Bel-Daf Trucks),
seguono altri a distacchi vari. Partiti 121 , arrivati 67.
19a edizione: 23 febbraio 1982

In una giornata da lupi, con neve e freddo intenso, si presentarono al via in 186, record sfiorato. E con
simili condizioni non poteva che vincere un uomo abituato a quei climi. Mancava al Trofeo Laigueglia un
successo olandese, e Theo De Rooy (Capri Sonne), non è un nome illustre del firmamento ciclistico, ma
un buon corridore ex studente universitario in Economia e Commercio, rimediò questa lacuna. Tra l’altro
il suo successo ebbe un significato particolare, perché colto a meno di un mese e mezzo da una caduta
in cui rimediò la frattura della clavicola destra. La corsa visse sulla lunga fuga dei belgi Laurens De Vos
entrambi della Daf Trucks, la squadra di De Vlaeminck: dopo aver ottenuto un vantaggio di quasi 4', i
due cominciarono a perdere terreno. La fatica era tremenda. De Vos si staccò e Laurens proseguì da
solo per un po', poi anche lui mollò Sul secondo passaggio sul Testico si formò in testa un gruppo di
trentasette corridori. Mentre De Vlaeminck e Gavazzi che erano in questo gruppo, cominciavano, men-
talmente, a preparare la volata, sul piccolo strappo prima di Marina di Andora, a circa 7 km dall'arrivo,
De Rooy ruppe gli indugi ed attaccò senza voltarsi indietro. Lo fece solo dopo aver tagliato il traguardo a
braccia alzate. Una grande azione.

Sul vincitore.
Nato il 25 aprile 1957 ad Harmelen. Passista. Alto 1,82 m. per 73 kg. Professionista dal 1980 al 1990
con 24 vittorie. Un corridore che va annotato come una delle migliori spalle, o pedine di squadra, degli
anni ottanta, in particolare nelle corse di un giorno. Non tante le soddisfazioni personali, comunque di
buon livello; enormi, invece, i suoi pesi sulle vittorie dei compagni negli squadroni in cui ha militato. Un
tattico ed in possesso di loquela e cultura rare per il ciclismo dei suopi tempi e non solo. Da dilettante la-
sciava presagire una carriera di vertice che, poi, fu tale, ma nel versante citato. Nel 1978, ad esempio,
andò a sfidare i “professionisti di stato” dell’est, vincendo il Giro di Slovacchia, poi vinse il Mondiale Uni-
versitari ed il Rheinland-Pfalz Rundfahrt, altra ga-
ra di grande livello del calendario dilettantistico,
L’anno dopo vinse il Giro dell’Olanda del nord e
la prima tappa del Giro della DDR. Come dire, un
predestinato. Nel 1980 passò professionista nella
belga Ijsboerke e fu subito vincente. Trionfò infatti
nei Campionati delle Fiandre, una semiclassica
allora forse ancor più sentita, vinse la 2a tappa
del Giro di Romandia e il GP Merelbeke. In cop-
pia con Ludo Peeters fu 2° nel Trofeo Baracchi,
dietro gli assi belgi Jan Luc Vandenbroucke e
Fons De Wolf, nonché 3° nel Campionato Nazio-
nale. L’anno seguente tornò in patria nelle file
della Capri Sonne. Ancora 3 vittorie: la 2° tappa
della Settimana Catalana, il GP Union Dortmund
e il Criterium di Benk. Tantissimi i piazzamenti e
la prima partecipazione ai 9 Tour de France della
sua carriera, chiuso 39°. Fu poi per la prima volta
nella formazione “orange” ai Mondiali, una pre-
senza che poi lo divenne, per più di un lustro, un
punto fermo. L’anno successivo migliorò marca-
tamente: vinse il Trofeo Laigueglia arrivando in
solitudine, poi trionfò nel Giro di Germania, dove
vinse pure una tappa e fece sua il tappone del
Tour de Suisse che si concludeva a Tasch. In
quella manifestazione fu costantemente in lotta
con Giuseppe Saronni che poi la vinse, mentre
Theo finì 2°. Altro 2° posto lo raccolse alla Settimana Catalana. Al Tour de France, chiuse 19°. Il 1983
segnò una svolta nella carriera e nella vita di De Rooy: entrò nello squadrone della TI- Raleigh, diretta
da Peter Post, di cui un po’ l’ambasciatore in corsa. Col nuovo sodalizio interpretò quello che era il suo
massimo distinguo: il tattico in bici. Vinse il GP Union Dortmund, il Tour dell’Hainaut Occidentale e il GP
Obbicht, ma soprattutto fu la spalla in primis di Jan Raas. Nel 1984, la TI-Raleigh si trasformò in Pana-
sonic ed al posto di Raas arrivarono tanti nomi di peso e Theo continuò a svolgere il suo riolo. A livello
personale fece suo il Profronde van Stiphout e finì 2° nella Freccia del Brabante. Nel 1985, vinse il Pro-
logo della Settimana Catalana (chiusa al 3° posto), una tappa del Giro di Norvegia e il GP Mijl van Ma-
res. Finì 2° nel Giro d’Olanda. Sempre più impegnato nel sostanzioso lavoro in Panasonic, conquistò
ancora qualche successo, come ad esempòio nel GP Elsloo nel’87, nel Criterium Kortenhoef e nella
Cronosquadre del Tour de France nel 1988, nella 5a tappa del Giro d’Olanda, nella 2a tappa del Tour de
Luxembourg, nel Profronde van Maastricht, tutti nel 1989, nonché nel GP di Haaksbergen nel ’90, suo
ultimo anno da prof. Poi passò sull’ammiraglia, nel ruolo di Team Manager per volere dello stesso Post:
nella Panasonic fino al ’92, indi alla Novemail per un biennio e dal 1996 fino al 2007 come principale di-
rigente del “progetto Rabobank”. Fino allo scandalo che coinvolse il danese Michael Rasmussen, capi-
tano della squadra, nonché dominatore in Maglia Gialla al Tour di quell’anno. Scandalo che pare avere
delle derivazioni nell’attualità, proprio mentre Theo, nel frattempo divenuto divulgatore e commentatore
al servizio del ciclismo, forte della sua cultura e delle cinque lingue parlate, pensava di aver sotterrato
quel capitolo. Comunque vada, De Rooy, resterà una figura di primo piano del pedale olandese.

Ordine d’arrivo:
1° THEO DE ROOY (Ned-Capri Sonne) km 156 in 4h05'05" alla
media di 34,599 kmh; 2° Mario Noris (Atala Campagnolo) a 32"; 3°
Wladimiro Panizza (Del Tongo Colnago); 4° Daniele Caroli (Termolan
Galli) a 51"; 5° Valerio Lualdi (Famcucine Campagnolo); 6° Rudy Pe-
venage (Bel-Capri Sonne) a 1'02"; 7° Roger De Vlaeminck (Bel- Daf
Trucks); 8° Alfio Vandi (Selle San Marco Willier Triestina); 9° Enrico
Maestrelli (Selle San Marco Willier Triestina); 10° Eric McKenzie
(Nzl-Capri Sonne); 11° Leonardo Bevilacqua (Gis Gelati Olmo); 12°
Franco Conti (Selle San Marco Willier Triestina); 13° Maurizio Bertini
(Sammontana Benotto); 14° Ludo Delcroix (Bel-Capri Sonne); 15° Pe-
ter Zijerveld (Ned-Daf Trucks); 16° Jozef Jacobs (Bel-Vermeer Thijs);
17° Per Bausager (Den-Selle Italia Chinol); 18° Benny Van Brabant
(Bel-Splendor); 19° Jean-Marie Wampers (Bel-Gis Gelati Olmo); 20°
Adri Van Der Poel (Ned-Daf Trucks), seguono altri. Partiti 186, arri-
vati 38.

20a edizione: 22 febbraio 1983

Fu una corsa di nota per i 142 partenti. Un Laigueglia combattuto, corso ad una media di 40 kmh, ed uno
scenario che presentò le due scalate al Testico, quota 470, con sprazzi di neve al bordi della strada e
tanto freddo che non segnarono negativamente la manifestazione. La decisione sulla discesa quando se
ne andarono in dieci che salvo il belga Verlinden, giunto un poco staccato, andarono a giocarsi il tra-
guardo allo sprint. Qui emerse l’uomo che non t’aspetti anche se bravo un un po’ dappertutto sprint
compreso: Claudio Torelli. Una volata che lo vide partire lungo e che poi si trovò a favore la scorrettezza
del belga Eddy Planckaert (poi retrocesso al nono posto) a danno del tedesco Gregor Braun in rimonta.

Sul vincitore.
Nato a Parma il 23 gennaio 1954. Passista veloce. Professionista dal 1978 al 1986 con 13 vittorie. Otti-
mo dilettante, categoria vissuta per gran parte nelle file di una squadra storica di Romagna, la Rinascita
di Ravenna, dove fu azzurro più volte, passò professionista nel 1978, in seno alla Zonca Santini. Corri-
dore fortissimo sul passo e per nulla fermo in volata, è subito parso come un possibile per i medio-grandi
traguardi di un giorno, ma la sfortuna e una scarsa freddezza nelle fasi decisive, glielo hanno impedito.
Ciononostante, la sua carriera è stata più che discreta. Già nella stagione d’esordio, a dimostrazione del-
la sua buona predisposizione verso le gare contro il tempo, vinse la cronometro di Urdof in Svizzera.
L’anno successivo non raccolse vittorie, ma solo un piazzamento di rilievo nel Gran Premio d’Argovia-
Gippingen, sempre “nell’amica” Svizzera. Nel 1980, in seno alla “Bianchi Piaggio”, vinse la Cronostaffet-
ta e il Circuito di Parabiago. Si migliorò nell’anno successivo (il migliore della sua carriera), dove divenne
luogotenente di Francesco Moser in seno alla “Famcucine-
Campagnolo”. Iniziò la stagione col 4° posto alla Sanremo, dove fu il
primo italiano. Vinse una tappa del Giro di Puglia, ed in un’altra giunse
secondo, quindi ancora un successo nella frazione di Cronostaffetta in
coppia col tedesco Gregor Braun, poi trionfò nella cronometro del Giro
del Trentino, nella tappa di Mantova al Giro d’Italia e nei circuiti di
Monzuno, Vogolo Marchese e Strabella. Conquistò l’azzurro ai mon-
diali di Praga dove finì 31°. Nell’82 sfiorò i successi con beffardi se-
condi posti allo sprint nella tappa di Urbino al Giro (dietro Bontempi) e
nella Tre Valli Varesine, valevole come prova unica per il Campionato
Italiano (dietro Gavazzi). Giunse 3° nel G.P. Montelupo e si consolò
vincendo il Circuito di Zambiana. Fu azzurro a Goodwad, nel gran
giorno iridato di Saronni. Aprì benissimo il 1983, vincendo la classica
d’apertura Trofeo Laigueglia, quindi il Circuito di Trento. Di nota anche
il suo 2° posto nel Trofeo Matteotti, quando regolo il drappello che a-
veva seguito invano il vincitore Marino Amadori. Nell’84 si segnalò per
la vittoria nel Circuito di Faenza, la piazza d’onore al Giro di Puglia e il
terzo posto a Laigueglia, ma si capì che la china era avviata al tramonto. Chiuse l’attività alla fine del
1985.

Ordine d’arrivo:
1° CLAUDIO TORELLI (Sammontana Campagnolo) km 160 in 4h
alla media di 40 kmh; 2° Gregor Braun (Ger-Vivi Benotto); 3° Willy
Vogouroux (Bel-Daf Trucks); 4° Adri Van Der Poel (Ned-Jacky Aeroudt
Meubelen); 5° Alessandro Paganessi (Bianchi Piaggio); 6° René Koppert
(Ned-Termolan Galli Ciocc); 7° Roberto Visentini (Inoxpran Lumenflon);
8° Jean-Marie Wampers (Bel-Splendor Euro Shop); 9° Eddy Planckaert
(Bel-Splendor Euro Shop); 10° Gery Verlinden (Bel-Splendor Euro Shop)
a 25"; 11° Claude Criquielion (Bel) a 1'; 12° Henri Manders (Ned-Jacky
Aeroudt Meubelen); 13° Claudio Corti (Sammontana Campagnolo); 14°
Ennio Vanotti (Bianchi Piaggio); 5° Franco Conti (Dromedario Alan Si-
dermec); 16° Eric Vanderaerden (Bel- Jacky Aeroudt Meubelen); 17° Je-
an-Philippe Van Den Brande (Bel- Splendor Euro Shop); 18° Eric
McKenzie (Nzl-Splendor Euro Shop); 19° Rudy Dhaenens (Bel-Splendor
Euro Shop); 20° Giuseppe Petito (Alfa Lum Olmo), seguono altri. Partiti
142, arrivati 90.

21a edizione: 21 febbraio 1984

Dopo il successo nel circuito di Cecina, il laziale Giuseppe Petlto, ventiquattro anni e un passato dilet-
tantistico di prim'ordlne, fece suo il Laigueglia ’84. Una vittoria giunta allo sprint su un folto gruppo (50
corridori), che non era considerata la sua specialità, ma importante per il rango della corsa e per
quell’Alfa Lum che aveva sacrificato il capitano Marino Lejarreta, proprio per il giovane Petito. Non a ca-
so, furono per lo spagnolo, le prime parole del vincitore dopo l’arrivo: “Ringrazio soprattutto Lejarreta, e
anche gli altri compagni di squadra che hanno sventato tutte le fughe nel finale. Il freddo stava bloccan-
domi. Mi sono ripreso nella parte conclusiva e sono scattato prima dell'ultima curva, ai 250 metri, non
avendo più problemi”. Nel gruppo tuttavia, c’erano velocisti insidiosi, tutti finiti però alle spalle di Petito.
Corsa ne troppo vivace, né troppo veloce (appena 38,700 di media): corta. Insomma, di inizio di stagio-
ne. Le due scalate al Monte Testico hanno visto il gruppo soltanto sfilato. Le scaramucce sono scoppiate
negli ultimi 30 km, ma non tali da rompere la possibilità di vedere un volatone.
Sul vincitore.
Nato a Civitavecchia il 25 febbraio 1960. Passista. Alto 1,86m. per 74 kg. Professionista dal 1981 al
1996 con 7 vittorie. Un buon corridore che ha avuto la fortuna, o la bravura, di passare presto fra i pro-
fessionisti e di accontentarsi del ruolo che poteva svolgere molto bene, senza cercare velleità o ambi-
zioni sovradimensionate. Ne è uscito un atleta che ha corso la bellezza di sedici anni nella massima ca-
tegoria lasciando un buon ricordo, indipendentemente dal fatto di essere rimasto nell’ambiente. Ed in lui
c’erano tutti i cromosomi per stare a contar bollini-vittorie (i-
nutili, aggiunge chi scrive) fra i dilettanti, perché lì già ai suoi
tempi era più facile emergere e, magari, anche guadagnare,
senza essere quasi nessuno nel romanzo del pedale. Già
perché Giuseppe era un gran dilettante, capace di vincere
belle corse come, per citarne qualcuna, il Trofeo Bianchin, la
Montecarlo Alassio, la Coppa Burci, la Ruota d’Oro, il Trofeo
Castelfidardo e laurearsi Campione Italiano nel ’79, essere
decisivo nella vittoria di Giacomini al Mondiale di quell’anno
e fare una decorosa figira alle Olimpiadi di Mosca. Passato
professionista durante la stagione 1981, già nelle prime cor-
se dell’anno seguente si mise in luce, finendo 3° nel Giro di
Sardegna, indi vincendo una tappa del Postgirot Open, cor-
sa a tappe svedese, che concluse al posto d’onore e con i
terzi posti al Giro del Veneto e al Giro dell'Etna. Nel 1983 ot-
tenne piazzamenti in tappe sia al Vuelta dei Paesi Baschi sia
al Giro di Sardegna; fu terzo al Giro della Provincia di Reg-
gio Calabria e ottenne quella che la più importante afferma-
zione della sua carriera professionistica, la terza tappa della
Vuelta di Spagna. Nel 1984 vinse ad inizio stagione il Trofeo
Laigueglia ma, vista l'attività di gregario svolta negli anni
successivi, fu anche l'ultimo risultato di rilievo fino al 1986
quando fu 3° nella classifica generale della Tirreno-Adriatico.
Tornò a vincere nel 1987, aggiudicandosi il Giro di Campa-
nia, cui seguirono ancora anni poco felici dal punto di vista
dei risultati personali. Nel 1988 fu 3° nel Giro di Calabria e,
per tornare alla vittoria, dovette aspettare il 1991, quando
s’aggiudicò una tappa alla Settimana Ciclistica Internaziona-
le. Quello stesso anno fu 2° nel Trofeo Laigueglia e nella
Settimana Siciliana, 3° alla Vuelta ad Aragon e nel Gran
Premio Industria e Commercio di Prato. Nel 1992, a Melfi,
sfiorò il successo di tappa al Giro d'Italia, battuto dalla ruota
veloce di Guido Bontempi. Col successo nella 4a tappa del Giro di Puglia ’93, chiuse il suo incontro coi
successi. Poi ancora tanto gregariato fino al ‘96. In carriera ha corso per la Santini Selle Italia, indi Alfa
Lum, Ariostea, Gis, Mercatone Uno e Cantina Tollo. Terminato l’agonismo è passato sull’ammiraglia.

Ordine d’arrivo:
1° GIUSEPPE PETITO (Alfa Lum Olmo) km 160 in 4h08' alla me-
dia di 38,781 kmh; 2° Johan Van der Velde (Ned-Metauro Mobili Pina-
rello); 3° Claudio Torelli (Sammontana Campagnolo); 4° Rudy Pevenage
(Bel-Del Tongo Colnago); 5° Mauro Longo (Supermercati Brianzoli); 6°
Frits Pirard (Ned-Metauro Mobili Pinarello); 7° Siegfried Hekimi (Sui-
Dromedario Alan Oece); 8° Benny Van Brabant (Bel-Tonissteiner Lot-
to); 9° Pierino Gavazzi (Atala Campagnolo); 10° Claudio Corti (Sam-
montana Campagnolo); 11° Gianbattista Baronchelli (Murella Rossin);
12° Alfredo Chinetti (Supermercati Brianzoli); 13° Alfio Vandi (Drome-
dario Alan Oece); 14° Jesper Worre (Den- Sammontana Campagnolo);
15° Alf Segersall (Swe-Bianchi Piaggio); 16° Gottfried Schmutz (Sui-
Dromedario Alan Oece); 17° Christopher Wreghitt (Gbr-Bianchi Piag-
gio); 18° Emanuele Bombini (Del Tongo Colnago); 19° Davide Cassani (Santini Conti Galli); 20° Mari-
no Lejarreta (Esp-Alfa Lum Olmo), seguono altri.
22a edizione: 20 febbraio 1985

In una giornata piena di sole e di gente, un intreccio di colori che dal mare portavano all'entroterra e vi-
ceversa si corse un Laigueglia in tono minore, snobbato in parte dai principali campioni del momento,
eccezion fatta per Beppe Saronni. La corsa fu combattuta sin dai primi chilometri, ma come da tradizione
che s’era consolidata, fu il Testico a fare la selezione. Sulla principale asperità della giornata, si mise in
luce un giovanotto statunitense Ron Kiefel (7 Eleven), che apparve tanto in gran forma, quanto sottosti-
mato dai colleghi. Poi quando si stava profilando un altro arrivo allo sprint tentò il colpaccio Vittorio Alge-
ri, che guadagnò qualche secondo di vantaggio. Ma su di lui piombò come un falco proprio Ron Kiefel
che lo riprese e allungò andando a vincere a braccia alzate con un paio di secondi sul lombardo e 7 sullo
svizzero Glaus che regolò il gruppo.

Sul vincitore.
Nato a Denver l’11 aprile 1960. Passista veloce e ciclocrossista. Alto 1,83 m. per 73 kg. Professionista
dal 1985 al 1985 con 35 vittorie. Corridore ardimentoso, soprattutto forte sul passo e discretamente ve-
loce, con il limite dell’incostanza sulle salite brevi e medie e l’insufficienza su quelle lunghe. Nel com-
plesso una figura comunque di spicco, ed importante per il movimento americano. Fu tra l’altro il primo
statunitense a vincere una tappa di un Grande Giro, ovvero la frazione di Perugia, nella “Corsa Rosa”
del 1985. Ottimo junior, vinse il bronzo nella cronosquadre ai Mondiali del 1978 e, poi, gran dilettante.
Nella categoria vinse ben cinque Titoli Naziona-
li: quattro dei quali contro le lancette, tre nella
cronosquadre e uno individuale, nonché quello
in linea nel 1983. Partecipò alle Olimpiadi di
Los Angeles ’84, finendo 9° nella prova indivi-
duale su strada e conquistando la Medaglia di
Bronzo nel quartetto della 100 km. Il passaggio
al professionismo avvenne l’anno seguente con
la 7 Eleven, di fatto il sodalizio nel quale raccol-
se il meglio della carriera nell’elite del ciclismo.
Nell’anno d’esordio vinse il Trofeo Laigueglia, la
citata tappa di Perugia al Giro d'Italia e il Pro-
logo della Coors Classic negli Stati Uniti. L'anno
dopo debuttò al Tour de France e fece sue due
tappe alla Coors Classic, mentre nel 1988 si
aggiudicò il Giro di Toscana, il Campionato Na-
zionale e ancora una tappa alla Coors Classic.
Fra i suoi successi in Europa anche una tappa
del Critérium International nel 1990 e una tappa
al Giro del Lussemburgo nel 1992, quando mili-
tava nella Motorola, la seconda squadra del suo
segmento professionistico. Nel ’93, Ronald
"Ron" Alexander Kiefel, passò alla Coors Light,
chiudendo la carriera nel 1985 all’interno della
Saturn: tutte formazioni statunitensi, dunque.
Ovviamente nel suo curriculum, oltre ai succes-
si citati sopra, s’aggiunsero anche altre corse
d’oltre oceano, come il Tour de Trump, la Re-
dlands Bicycle Classic, il Tour Dupont e la Fitchburg Longsjo Classic. Partecipò a sette Tour de France
(6 conclusi col miglior piazzamento nel 1988, 69°) e tre Giro d’Italia (tutti conclusi, col miglior piazzamen-
to nel 1985, 60°). Dopo il ritiro, ha svolto l'attività di commentatore delle principali corse ciclistiche per la
televisione e la radio statunitense. Oltre ai microfoni, si è poi speso direttamente verso il ciclismo, attra-
verso un’attività divulgativa e di proselitismo con tanto di insegnamenti. Persona estroversa e simpatica,
ha lasciato un gran bel ricordo in Europa e ad ogni ritorno, può riscontrare larghi consensi e buona popo-
larità. Tutte le sue vittorie da professionista. 1985 (7 Eleven) 5 vittorie: 15a tappa del Giro d'Italia;
Trofeo Laigueglia; 2a tappa Giro del Mediterraneo; 1a tappa United Texas Tour; Prix di Phoenix e di Dal-
las. 1986 (7 Eleven) 6 vittorie: Prologo Coors Classic; 17a tappa Coors Classic; 5a tappa Rocky Moun-
tains Classic; Prologo Vulcan Tour; Prix di Phoenix e di Dallas. 1987 (7 Eleven) 6 vittorie: 4a tappa Re-
dlands Bicycle Classic; Houston Tour; Prix di Atlanta, di Los Gatos, di Phoenix e di Portland. 1988 (7 E-
leven) 3 vittorie: Giro di Toscana; Campionato Nazionale su strada; 15a tappa Coors Classic. 1989 (7
Eleven) una vittoria: 10a tappa Tour de Trump. 1990 (7 Eleven) 2 vittorie: 1a tappa Criterium Interna-
tional; Criterium di Newport Beach. 1992 (Motorola) una vittoria: 1a tappa Tour de Luxembourg. 1993
(Coors Light) 5 vittorie: Classifica generale Tour of Willamette; 4a tappa Redlands Bicycle Classic; 7a
tappa Tour DuPont; 4a tappa Fitchburg Longsjo Classic; Prix di Los Gatos. 1994 (Coors Light) 5
vittorie: CoreStates Classic; 4a tappa Redlands Bicycle Classic; GP Las Vegas di Ciclocross; Criterium
di Akron e di Fountain. 1995 (Saturn Powerbar) una vittoria: 5ª tappa Redlands Bicycle Classic.

Ordine d’arrivo:
1° RON KIEFEL (Usa-7 Eleven Hoonved) km 160 in 3h56'20" al-
la media di 40,675 kmh; 2° Vittorio Algeri (Vini Ricordi-Pinarello
Sidermec) a 2"; 3° Gilbert Glaus (Sui-Cilo Aufina Magniflex) a 7"; 4°
Silvano Ricco (Dromedario Laminox Fibok); 5° Frank Hoste (Bel-Del
Tongo Colnago); 6° Orlando Maini (Alpilatte Olmo); 7° Stefan Mut-
ter (Sui-Carrera Inoxpran); 8° Claudio Corti (Supermercati Brianzoli);
9° Heinz Imboden (Sui-Cilo Aufina Magniflex); 10° Hennie Kuiper
(Ned-Varandalux Dries); 11° Ezio Moroni (Atala Ofmega); 12° Adrie
Wijnands (Ned-Kwantum Hallen); 13° Gottfried Schmutz (Sui-
Dromedario Laminox Fibok); 14° Pierino Gavazzi (Atala Ofmega);
15° Leo Schonenberger (Sui-Dromedario Laminox Fibok); 16° Sergio
Santimaria (Del Tongo Colnago); 17° Erich Maechler (Sui-Carrera
Inoxpran); 18° Gianbattista Baronchelli (Supermercati Brianzoli); 19°
Daniele Del Ben (Murella Rossin); 20° Jorg Bruggman (Sui-Malvor Bottecchia Vaporella), seguono altri.

23a edizione: 18 febbraio 1986

Nella corsa dove Moser e Saronni preferirono stare al caldo dell’albergo piuttosto che correre ci fu un e-
pilogo a sorpresa. A vincere un carneade, al quarto anno di professionismo, Mauro Longo, della Malvor
Bottecchia, diretta da Dino Zandegù. Vinse in solitudine, alzando le braccia già cento metri prima del
traguardo, dopo essere salito alla ribalta negli ultimi chilometri, quando, in discesa, si portò in testa con
una pattuglia di sette corridori. Indi riuscì a rimanere a ruota dell'olandese Lammerts (Vini Ricordi), uno
del più pericolosi, soprattutto tenendo conto delle condizioni del tempo (pioggia gelida per quasi tutti i
150 km) e non lo mollò. Con un vantaggio di 15", il tandem affrontò l'ultima asperità, Capo Mele. Qui i
due furono raggiunti dal giovanissimo Maurizio Vandelli (Ariostea). Il gruppo superstite, meno della meta
del partenti, era però vicinissimo. Sull’ascesa Lammerts mollò mentre Vandelli affondò il suo acuto.
Longo però lo raggiunse e mentre si profilava una volata fra i due, con gli inseguitori vicini, proprio il cor-
ridore veneto scatto in contropiede. Mancavano 500 metri alla linea, ma il ragazzo di Zandegù con la sua
sparata aveva non solo lasciato Vandelli, ma pure ridistanziato il gruppo. Tanto è che si potè permettere
cento di correre gli ultimi cento metri a mo’ di passerella.

Sul vincitore.
Nato a Mirano (Venezia) il 15 giugno 1960. Passista veloce. Alto 1,81 m. per 70 kg. Professionista dal
1983 al 1987 con una vittoria. Un lustro fra i professionisti, all’insegna del motto “senza infamia e senza
lode”. Una sola vittoria, peraltro bellissima, al Trofeo Laigueglia 1986, col piglio del corridore di razza e
tanta ricerca di una dimensione che mai s’è concretizzata. Un corridore che è rimasto nel limbo, prati-
camente sempre, che ha lavorato nel complesso meno di altri per capitani che tali erano poco per spes-
sore, quindi con spazi notevoli per ambizioni personali. Purtroppo per lui, non è mai riuscito a decollare.
Cercò uno sfogo su pista trovando la Nazionale ai mondiali di mezzofondo (Stayer) nel 1984, ma non
riuscì a raggiungere la finale. E dire che il suo potenziale su pista era ottimo, perlomeno in grado di
dargli una minima garanzia economica, ma i velodromi già ai suoi tempi in Ita-
lia, erano caduti nelle attenzioni della gente ed ancor più fra gli operatori di ci-
clismo. Aveva un fratello minore, Federico, per il quale s’è battuto proprio
nell’occasione di ribalta, davanti a microfoni e taccuini, dopo l’arrivo vincente
di Laigueglia. Voleva che passasse fra i professionisti perché lo giudicava più
forte di lui, ed alla fine il buon Mauro ottenne il voluto, il fratello passò nell’elite,
ma fece peggio di lui. Un generoso, insomma, il più anziano dei giovani Lon-
go. Nel percorso agonistico di Mauro ci stanno i Tricolori juniores nella corsa a
punti e, due volte, nell’inseguimento a squadre, con tanto d’azzurro, indi un bel
tratto fra i dilettanti con due vittorie di spicco nel Trofeo Zssdi nell’81 e ’82. Fra
i professionisti oltre al successo al Laigueglia ’86, ci stanno il 3° posto ai Trico-
lori stayer nel 1984 e il citato azzurro conseguente, il 4° posto nella Milano To-
rino del medesimo anno, il 3° posto nel “Chilometro del Corso di Mestre”
nell’86 e il 2° nel Criterium di Pieve di Soligo nel 1987. Partecipò e chiuse 3
Giri d’Italia nel 1984 (90°), nel 1985 (93°) e nel 1986 (94°). In carriera corse
con la Mareno Willier Triestina (‘83), la Supermercati Brianzoli (’84), la Malvor Bottecchia (’85-’86) e la
Paini (’87).

Ordine d’arrivo:
1° MAURO LONGO (Malvor Bottecchia) km 150 in 4h alla media di 37,500
kmh; 2° Giuseppe Calcaterra (Atala Ofmega) a 2"; 3° Roberto Pagnin (Malvor
Bottecchia Vaporella); 4° Flavio Chesini (Magniflex-Centroscarpa); 5° Daniele
Asti (Magniflex-Centroscarpa); 6° Franco Ballerini (Magniflex-Centroscarpa); 7°
Emanuele Bombini (Vini Ricordi Pinarello Sidermec); 8° Giovanni Mantovani
(Vini Ricordi Pinarello Sidermec); 9° Primoz Cerin (Slo-Malvor Bottecchia Va-
porella); 10° Rudy Pevenage (Bel-Del Tongo Colnago); 11° Sergio Santimaria
(Ariostea Gres); 12° Frits Pirard (Ned-Skala Skil); 13° Dag Erik Pedersen
(Nor.Ariostea Gres); 14° Alfio Vandi (Ariostea Gres); 15° Rolf Sorensen (Den-
Murella Fanini Edilcimini). Partiti 109, arrivati 47.

24a edizione: 17 febbraio 1987

Duecento partenti, che potevano essere di più, se non vi fosse stata una lunga coda alla frontiera con la
Francia, che bloccò tante ammiraglie e con esse diversi corridori stranieri (come Fignon e Golz) che fu-
rono al via. Giornata aspra, per metà con pioggia e vento (a farne le spese fu soprattutto lo svedese
Christiansson dell’Atala che cadde e si ruppe una rotula) e, l’altra metà, solo discreta. Una lunga fuga di
22 corridori che raggiunsero un vantaggio massimo di 3’15”, animò una corsa peraltro velocissima. Un
tentativo che si dipanò su 105 chilometri di avanscoperta e che si concluse ad una trentina di chilometri
dal termine. Sull’ultimo passaggio sulla salita del Testico attaccarono Bugno e Calcaterra dell’Atala, ma
non scavarono un buco sufficiente. La fuga decisiva, invece, sulla discesa del Testico, a 25 km
dall’arrivo, quando allungarono in 13 i medesimi che poi si disputarono il Laigueglia allo sprint. Qui l’ex
iridato dei dilettanti il 31enne svizzero Gilbert Glaus della Peugeot, specialista nelle volate non di grande
gruppo, uscì ai meno 100 dalla ruota di Valerio Piva e andò a vincere con buon margine.

Sul vincitore.
Nato il 2 dicembre 1955 a Thun. Passista veloce. Alto 1,74 m. per 67 kg. Professionista dal 1982 al 1992
con 41 vittorie. E' stato una stella in campo dilettantistico aggiudicandosi il mondiale del '78 sul Nurbur-
gring e ottenendo il terzo posto nell'81 a Praga (al suo attivo pure il Giro del Nord-Ovest '77, il G.P.
G.Tell a tappe nel '77, il Giro del Mendrisiotto '77, il Giro del Lemano '78 e il Gran Premio Svizzero della
strada '78). Non altrettanto autorevole da professionista anche se, per il suo spunto veloce, qualche
successo pregevole non gli è mancato, come la maglia di Campione elvetico nell'82 (la stagione del de-
butto) e come il trionfo, peraltro inatteso, nella Bordeaux-Parigi dell'86, disputata per la prima volta sen-
za allenatori sulla distanza di 588 km. Non troppo importanti, a parte una tappa del Tour de France '83,
le altre affermazioni in Francia e Svizzera, per un totale di 41 vittorie. Eccole. 1982 (Cilo Aufina) 12 vit-
torie: Campionato Nazionale su strada; Prologo, 2a e 5a tappa Giro del Mediterraneo; 7a tappa del Gi-
ro del Delfinato; 3a tappa Etoile de Besseges; Tour del Nord Ovest; 2a tappa
Tour de Picardie; GP Ginevra; Challange SRB; Criterium di Morges e Mon-
tauroux. 1983 (Colo Aufina) 8 vittorie: 22a tappa Tour de France; 7a tappa
del Giro del Delfinato; GP de Cannes; Hegiberg-Rundfahrt; 5a tappa Volta
Ciclista a Catalunya; Prologo Tour Méditerranéen; Prologo Etoile de Besse-
ges; Criterium Andwil. 1984 (Cilo Aufina) 2 Vittorie: GP Cantone di Gine-
vra; GP Cantone di Zurigo. 1985 (Cilo Aufina) 2 Vittorie: Criterium di Aar-
wangen e di Meyrin. 1986 (Peugeot Esso Michelin) 4 vittorie: Bordeaux-
Parigi; GP de Cannes; Prologo GP du Midi-Libre; Prologo Etoile de Besse-
ges. 1987 (Z Peugeot) 4 vittorie: Trofeo Laigueglia; Prologo Etoile de Bes-
seges; Criterium di Antibes e di Meyrin. 1988 (Peugeot-Pegasus) 2 vittorie:
Biel – Magglingen; Criterium di Meyrin. 1989 (Pegasus) 2 vittorie: Stausee
Rundfahrt Klingnau; 2a tappa GP Brissago. 1990 (Pegasus) 2 vittorie: 1a
tappa GP Elgg; Criterium Leimentalrundfahrt. 1991 (Pegasus) una vittoria:
Criterium Fribourg. 1990 (Pegasus) 2 vittorie: Stausee Rundfahrt Klingnau;
Criterium di Meyrin. I suoi piazzamenti più importanti. 1982: 2° nella 7a tap-
pa Tour de Suisse; 2° nel Prologo Tour de Suisse. 1983: 2° nel Campionato
di Zurigo; 2° nella 5a tappa Tour de France; 2° nella Classifica Generale
Etoile de Besseges; 3° nella 7a tappa Tour de France; 3° nel Campionato
Nazionale su strada. 1984: 2° nella 6a tappa del Giro d’Italia; 2° nella 7a
tappa Tour de Suisse; 3° nella 6a tappa Tour de France. 1985: 3° nel Trofeo
Laigueglia. 1986: 3° nel GP Kanton Aargau Gippingen. Ha finito tre Tour de
France nel 1982 (105°), 1983 (85°), 1984 (124°).

Ordine d’arrivo:
1° GILBERT GLAUS (Sui-Z Peugeot) km 170 in 3h55' alla media di
43,404 kmh; 2° Valerio Piva (Ita-Ariostea Gres); 3° Pierino Gavazzi
(Remac Fanini); 4° Rudy Dhaenens (Bel-Hitachi Marc); 5° Stefano Cola-
gè (Fibok Sidermec Muller); 6° Enrico Galleschi (Magniflex Centroscar-
pa); 7° Ezio Moroni (Ita-Atala Ofmega); 8° Franco Ballerini (Magniflex
Centroscarpa); 9° Alfio Vandi (Ariostea Gres); 10° Richard Trinkler (Sui-
Fibok Sidermec Muller); 11° Ferdi Van Den Haute (Bel-ADR Fangio
IOC); 12° Robert Forest (Fra-Fagor MBK); 13° Luigi Furlan (Paini Sidi);
14° Paul Popp (Aut-Paini Sidi); 15° Urs Freuler (Sui- Atala Ofmega) a
1'42"; 16° Benny Van Brabant (Bel-Selca Thermomec Conti); 17° Flavio
Chesini (Magniflex Centroscarpa); 18° Rolf Sorensen (Den-Remac Fani-
ni); 19° Marco Franceschini (Fibok Sidermec Muller); 20° Giuseppe Cal-
caterra (Atala Ofmega), seguono altri del gruppo

25a edizione: 26 marzo 1988

Il Trofeo Laigueglla che celebrava le nozze d'argento, disputata in data insolita, fu un’edizione “ naziona-
le”, disertata da tanti big, ma vivacizzata dai giovani. I 120 partenti partorirono una corsa movimentata,
disputata sempre a un ritmo di 41 orari. Fra i tanti episodi, la fuga più consistente fu operata da Caroli
(Alfa Lum), Mantovani (Atala), Rocchi (Selca), Cenghialta (Ariostea), Zanatta (Chateaux d’Ax) e Loren-
zon (Malvor). I sei restarono in avanscoperta per 50 chilometri pur non raggiungendo mai un vantaggio
superiore al minuto. Furono ripresi a 15 km dal traguardo sul Capo Berta, dai resti di un gruppo decimato
dai ritiri. Nel finale ai piedi di Capo Mele, ci fu un tentativo di Fondriest (Alfa Lum) che però venne ripreso
in cima a solo un chilometro e mezzo dalla conclusione. Nell’inevitabile sprint, Paolo Cimini, ben pilotato
dal compagno Alessio Di Basco, vinse nettamente bissando il successo di un mese prima al Giro
dell’Etna.

Sul vincitore.
Nato a Roma il 30.03.1964. Velocista, professionista dal 1986 al 1990 con 4 vittorie. Vincente per eccel-
lenza nelle categorie giovanili, sia su strada che su pista e subito in grado di mostrare quello spunto ve-
loce che lo ha sempre contraddistinto nella non lunga carriera. Oltre cento i suoi successi prima
dell’ingresso nell’elite del ciclismo. Tra i quali i Giochi
della Gioventù catetoria “giovanissimi”, 3 campionati re-
gionali sempre nella medesima categoria, un campiona-
to provinciale juniores, un campionato regionale
nell’individuale a punti allievi, campione regionale su
strada fra i dilettanti di 2a serie. Nelle categorie giovanili
maggiori, ha poi indossato più volte la maglia della na-
zionale italiana e, nel 1986, è passato professionista con
la Murella-Fanini. Si è segnalato qui per doti velocistiche
che lo han fatto apprezzare, anche perché capaci di e-
mergere senza quei treni che già allora contraddistin-
guevano gli sprint. Cimini sapeva produrre volate lineari,
un po’ corte, ma con gli ultimi cinquanta metri davvero al
fulmicotone. Non è stato valutato come doveva, o forse è
stata una sua scelta quella di smettere a 26 anni, resta il
fatto che il chiacchiericcio di corridore raccomandato dal-
la potenza economica della famiglia è sbagliato, anche
perché andando progressivamente all’odierno, c’è da
chiedersi quanti corridori passino al professionismo diret-
tamente con le loro forze atletiche, senza la spinta di
sponsor personali. È una delle tante miserie del pedale
di questi tempi. Nell’elite del ciclismo Paolo Cimini ha
corso fino al 1990, con le maglie di Remac-Fanini
(1987), Fanini-7Up (1988), Jollycomponibili-Club 88
(1989) e Gis-Benotto (1990), ottenendo alcuni successi significativi e piazzamenti comprovanti come di
seguito allegati. Cessata l’attività agonistica è divenuto imprenditore, ed oggi conduce l'Azienda di fami-
glia per la vendita di materiali Edili, con la quale ha costituito un "Consorzio", dirigendo personalmente il
"Reparto Convenzioni Unirec". Tutte le sue vittorie. 1987: Tappa Jesolo (Giro d'Italia). 1988: Trofeo Lai-
gueglia; Giro dell'Etna. 1990: GP di Philadelphia. Piazzamenti di rilievo: 1987 2° nel GP Lariano; 2° nella
3a Tappa della Tirreno-Adriatico. 1988: 3° nella 5a Tappa Tirreno-Adriatico. 1989: 3° Giro della Provincia
di Reggio Calabria. Al Giro. 1987: 88°. 1989: 121°. 1990: 124°.

Ordine d’arrivo:
1° PAOLO CIMINI (Murella Fanini) km 192 ien 4h36' alla media di
41,739 kmh; 2° Stefano Allocchio (Salotti Chateau d’Ax ); 3° Alessio Di
Basco (Fanini Seven Up); 4° Giovanni Mantovani (Atala Ofmega); 5°
Stephan Joho (Sui-Ariostea Gres); 6° Giuseppe Calcaterra (Atala Ofme-
ga); 7° Rodolfo Massi (Alba Cucine Benotto Sidermec); 8° Roberto
Gaggioli (Pepsi Cola Fanini); 9° Cesare Cipollini (Gis Gelati Ecoflam);
10° Luigi Furlan (Malvor Sidi); 11° Paul Popp (Aut-Malvor Sidi); 12°
Silvio Martinello (Atala Ofmega); 13° Flavio Chesini (Alba Cucine Be-
notto Sidermec); 14° Alessandro Giannelli (Alba Cucine Benotto Sider-
mec); 15° Giovanni Strazzer (Malvor Sidi); 16° Rolf Sorensen (Den-
Ariostea Gres); 17° Camillo Passera (Alfa Lum Legnano); 18° Pierino
Gavazzi (Fanini Seven Up); 19° John Baldi (Weinmann La Suisse); 20°
Luciano Rabottini (Ariostea Gres).
26a edizione: 16 febbraio 1989

Dopo le prime corse internazionali ben poco positive per gli italiani, fu il Laigueglia a recitare un “ci sia-
mo” per il ciclismo tricolore. In una giornata abbastanza primaverile, la corsa, prevista sui 170 chilometri
con tre asperità di un certo rilievo, ha visto l’episodio decisivo nella discesa di Stellanello dopo Capo Me-
le, quando se ne sono andati in dieci che hanno guadagnato inizialmente una quindicina di secondi. Poi
il loro vantaggio è salito a mezzo minuto, abbastanza per portarli al traguardo a disputare lo sprint deci-
sivo. Qui, Pierino Gavazzi, Campione d’Italia, aiutato dal compagno Chiurato è riuscito a vincere, piutto-
sto bene, su Vitali e Martinello. Dopo il traguardo il tricolore dichiarò: “ Sono particolarmente felice, mi ha
giovato la buona preparazione che ho curato nel periodo invernale e qui a Laigueglia, ho solo raccolto il
frutto di un programmazione che evidentemente è stata buona. In volata ho dovuto curare Martinello, ma
ho anche badato a non scoprami troppo”.

Sul vincitore.
Tutte le vittore di Pierino Gavazzi.
1974 (Jollyceramica) 2 vittorie: Tappa di Taranto (Giro d’Italia); Circuito Cecina. 1975 (Jollyceramica)
3 vittorie: tre tappe al Giro di Catalogna. 1976 (Jollyceramica) 2 vittorie:
Giro delle Marche, Tappa Giro di Catalogna. 1977 (Jollyceramica) 4 vitto-
rie: Tappa Conegliano (Giro d'Italia); Tappa e classifica finale (Giro di Pu-
glia); Circuito Pralboino. 1978 (Zonca Santini) 7 vittorie: Campionato Ita-
liano; Tappa di Milano (Giro d'Italia); Milano-Torino; Tappa Giro di Roman-
dia; Circuiti di Cecina, Arma di Taggia, Pianelle d'Ostra. 1979 (Zonca San-
tini) 2 vittorie: Trofeo Laigueglia; Giro di Campania. 1980 (Magniflex) 8 vit-
torie: Milano-Sanremo; Parigi-Bruxelles; Tappa Milano (Giro d'Italia); Giro di
Romagna; Tappa Giro di Puglia; Circuiti di Codogno; S. Vendemmiano;
Turbigo. 1981 (Atala) 6 vittorie: Tappa Arzignano (Giro d'Italia); GP Monte-
lupo; G.P. Lardano; Giro Emilia; Circuito di Cavo (Isola d'Elba); GP Maracai-
bo (Venezuela). 1982 (Atala) 10 vittorie: Campionato Italiano; Tre Valli Va-
resine; Giro del Veneto; Giro dell'Emilia; Tappa Giro di Puglia; Tappa Giro di
Svizzera; Circuiti: Capo d'Orlando; Palermo; Enna; S. Pietro in Belvedere.
1983 (Atala) 3 vittorie: Giro della Provincia di Reggio Calabria; 2 tappe Gi-
ro di Puglia. 1984 (Atala) 4 vittorie: Trofeo Pantalica; Tre Valli Varesine; Giro di Romagna; GP Industria
e Commercio Prato. 1985 (Atala) 4 vittorie: Nizza-Alassio; GP Larciano; Trofeo Matteotti; Circuito di
Bologna. 1986 (Atala) una vittoria: Circuito di Milazzo. 1987 (Remac Fanini) una vottoria: Tappa Al-
camo (Settimana Siciliana). 1988 (Fanini Seven Up) 2 vittorie: Campionato Italiano; Coppa Placci.
1989 (Polli Mobiexport) 3 vittorie: Trofeo Laigueglia; G.P. Industria e Commercio Prato; Circuito di Bi-
ban de Carbonera.

Ordine d’arrivo:
1° PIERINO GAVAZZI (Polli Mobiexport) km 169 in 4h19' alla media
di 39,150 kmh; 2° Marco Vitali (Atala Campagnolo); 3° Silvio Martinello
(Atala Campagnolo); 4° André Lurquin (Bel-Lotto); 5° Enrico Galleschi
(Pepsi Cola alba Cucine); 6° Jacques Decrion (Fra-Super U Raleigh Fiat); 7°
Pascal Dubois (Fra-Super U Raleigh Fiat); 8° Bruno Cornillet (Fra-Z Peuge-
ot); 9° Andrea Chiurato (Polli Mobiexport); 10° Roberto Gusmeroli (Atala
Campagnolo); 11° William Dazzani (Verynet) a 25"; 12° Maximilian Scian-
dri (Titanbonifica Benotto Sidermec); 13° Flavio Chesini (Titanbonifica Be-
notto Sidermec); 14° Christian Henn (Ger-Carrera Vagabond); 15° Ludwig
Willems (Bel-Lotto); 16° Angelo Canzonieri (Pepsi Cola alba Cucine); 17°
Patrick Verschueren (Bel-Lotto); 18° Edward Salas (Aus- Polli Mobiexport);
19° Luigi Furlan (Gewiss Bianchi); 20° Stefano Tomasini (Pepsi Cola alba
Cucine), segue il resto del gruppo.
27a edizione: 3 marzo 1990

Accadde di tutto in questa edizione. Un incendio boschivo, causato dalla siccità e ampliato dal forte ven-
to, creò rischi per il passaggio del plotone e del seguito. La corsa fu così fermata dopo una novantina di
chilometri al bivio Paravena-San Damiano, lungo la salita del Testico. Le fiamme, che arrivavano ai lati
della strada, creavano seri pericoli nonostante l'impegno della Forestale e dei volontari. Il fumo denso,
rendeva difficoltosa la respirazione. La gara venne così neutralizzata dal presidente della giuria per 45
minuti, dando modo di scendere fino a Bossaneto. Il gruppo, rimasto compatto a 33 elementi fino a quel
momento, ripartì da quella località dopo incertezze e discussioni. Diversi corridori avrebbero voluto chiu-
derla definitivamente lì. Al passaggio da Laigueglia, mentre erano in fuga Rabottini (Gis), l'australiano
Steward (Amore & Vita), il venezuelano Sierra (Selle Italia) ed il danese Sorensen (Ariostea), il gruppo
(che non comprendeva più Fondriest, Gavazzi ed altri decisisi al ritiro) restò fermo per due minuti prima
che i direttori sportivi convincessero tutti a ripartire. Intanto il terzetto (che aveva perso Sorensen rientra-
to nel plotone) aveva portato il vantaggio ad oltre 3 minuti. La decisa reazione delle squadre di Soren-
sen, Fidanza (Chateaux d’Ax) e Saronni (diana) riduceva lo svantaggio ed infine lo annullava. Dei tre in
fuga resisteva solo l'australiano, che veniva raggiunto da una trentina di corridori solo dopo lo striscione
dell'ultimo chilometro. Un capitombolo a 400 metri dall'arrivo beffò Saronni, ma non Soerensen, ben gui-
dato da Cassani. Il danese vinse a braccia alzate, davanti al giovane Fidanza ed all'anziano Leali.

Sul vincitore.
Nato a Copenaghen il 20 aprile 1965. Completo. professionista dal 1986 al 2002 con 60 vittorie. Danese
di nascita, ma italiano d’adozione, poiché si trasferì in Toscana per correre in bici all’età di 17 anni, da
juniores, e nella cui terra ancora vive. Precoce, stilisticamente molto bello, ottimo finisseur, ed un
palmares che non gli rende completamente onore, anche se è da considerar-
si di ottimo livello. L'incostanza sulle grandi salite, gli ha precluso possibilità
nei GT, ma nelle gare di un giorno s'è fatto valere e, col tempo, per vittorie e
piazzamenti nelle classiche, ha raggiunto il livello di un riferimento per l'os-
servatorio. Insomma il danese toscano, vale un posto fra i corridori d'evidenza
degli ultimi venticinque anni.
Corridore spesso imprevedibile, era capace di partorire autentici acuti, quan-
do magari si pensava ad una giornata “no”. In successione i suoi principali
successi: Tirreno-Adriatico e G.P. Cerami nel 1987, G.P. di Camaiore '88,
Coppa Bernocchi, Giro dell'Etna e Trofeo Pantalica '89, Trofeo Laigueglia e
Parigi Tours '90, Torreno Adriatico e Parigi Bruxelles '92, Milano-Torino, Cop-
pa Bernocchi, Liegi-Bastogne-Liegi, Henninger Turm Francoforte e Giro di
Romandia '93, Trofeo Laigueglia, Parigi Bruxelles e Trofeo Matteotti '94, Giro
d'Olanda e Kuurne-Bruxelles-Kuurne '96, Tirreno Adriatico e Giro delle Fian-
dre '97, Giro d'Olanda '98. A questo ruolino sono da aggiungere tappe nei più
importanti GT (Vuelta esclusa), ed in quelli di qualche giorno. Finita la carrie-
ra, dopo ben 17 anni passati nel professionismo, è divenuto commentatore televisivo e procuratore.

Ordine d’arrivo:
1° ROLF SORENSEN (Den-Ariostea) km 155 in 4h09'32" alla media di 37,269
kmh; 2° Giovanni Fidanza (Salotti Chateau d’Ax ); 3° Bruno Leali (Jolly Componibili
Club 88); 4° Enrico Galleschi (Jolly Componibili Club 88); 5° Daniel Wyder (Sui-
Selle Italia Eurocar Mosoca Galli); 6° Claudio Brandini (Jolly Componibili Club 88);
7° Davide Cassani (Ariostea); 8° Rodolfo Massi (Ariostea); 9° Piotr Ugrumov (Let-
Alfa Lum); 10° Luciano Rabottini (Gis Gelati Benotto); 11° Franco Vona (Salotti
Chateau d’Ax ) a 8"; 12° Giuseppe Petito (Ariostea); 13° Oscar Pellicioli (Diana Col-
nago Animex); 14° Scott Steward (Aus-Amore&Vita Fanini); 15° Mauro-Antonio
Santaromita (Salotti Chateau d’Ax ); 16° Ivan Mantegazza (Selle Italia Eurocar Mosoca Galli); 17° Leo-
nardo Sierra Sepulveda (Ven- Selle Italia Eurocar Mosoca Galli); 18° Sergio Carcano (Ariostea); 19°
Maurizio Vandelli (Gis Gelati Benotto); 20° Valerio Tebaldi (Salotti Chateau d’Ax ), segue il gruppo.
28a edizione: 10 marzo 1991

Il Trofeo Laigueglia numero 28 si consumò in una giornata di sole e con molta folla sulle strade. Non fu-
rono al via molti assi, probabilmente per i fatti e l’impreparazione che aveva costellato l’edizione prece-
dente. Ciononostante, fu un Laigueglia più che buono e “annunciatore”. La corsa si accese dopo un ini-
zio piuttosto fiacco, sulla salita di Vendone. Michele Moro (Italbonifica) ed Edoardo Rocchi (Jollicompo-
nibili), furono gli ispiratori della fuga di una pattuglia della quale facevano parte pure Pascal Richard
(Helvetia), Giuseppe Petito (Gis) con Bruno Leali (Gis), Massimiliano Lelli (Ariostea) e Federico Ghiotto
(Ariostea). Ricongiungimento dopo una quindicina di chilometri. Sul Testico nuovo attacco di Richard
che favorì la fuga di un gruppetto di 13 uomini con lo stesso Richard, che scattò poi ancora al successi-
vo passaggio sempre sul Testico. L'elvetico rimase in testa dal 148° al 168° chilometro con un vantag-
gio massimo di 20". Ripreso, a 7 chilometri dal termine, riscattò di nuovo e fece il vuoto decisivo. Un do-
minio, il suo.

Sul vincitore.
Nato Vevey il 16 marzo 1964. Ciclocrossista e stradista completo. Professionista dal 1986 al 2000 con
76 vittorie. Con Pascal Richard di Vevey, classe 1964, incontriamo una storia particolare. Nato per cer-
care nella tradizione svizzera del cross, il suo posto nel ciclismo, s’è trovato pian piano nelle condizioni
di eleggersi campione. La conquista, nel 1988, a 24 anni, della maglia iridata nel ciclocross, dopo due
stagioni passate fra i professionisti, svegliarono in lui consi-
derazioni e convinzioni che parevano impensabili solo qual-
che anni prima. E così, Richard, dal fango e dal freddo del
fuoristrada, provò con tutte le sue forze, ad emergere anche
dove l’asfalto risultava infinito. Già nel 1999, gli riuscirono un
paio d’acuti di peso: la conquista del titolo svizzero su stra-
da, ed una tappa niente popò di meno che al Tour de Fran-
ce. Era divenuto un corridore sul serio e non uno “stagiaire”.
Nel 1990 si confermò, con la conquista della Tre Valli Vare-
sine e, l’anno successivo, in un periodo molto vicino a quella
del cross, vinse il Trofeo Laigueglia ed una tappa della Tir-
reno Adriatico. Successi che davano tangibilità, ma non an-
cora quella notorietà che sentiva sempre più possibile.
L’esplosione nel 1993, dove, nella dozzina di successi con-
quistati, inserì quelli che non puoi mai dimenticare, come il
Giro di Lombardia. Ma la sua stagione annoverò pure il Giro
del Lazio, il Trofeo dello Scalatore, il Giro di Romandia, quel-
lo di Romagna, una tappa al Giro di Svizzera e diverse altre
di manifestazioni contenute in una settimana. Per darsi la
soddisfazione di una maglia da tenere tutto l’anno, riconqui-
stò il titolo elvetico. Anche nel 1994 dodici successi, tra i
quali il Giro di Svizzera ed una frazione dello stesso, nonché
una tappa del Giro d’Italia, arricchita dalla conquista della
classifica del G.P.M. Sei successi nel ’95, fra i quali due tap-
pe della “corsa rosa” e nuovamente il Giro del Lazio. Di
grande qualità la sua stagione ’96, che s’aprì con la conqui-
sta della sua seconda classica monumento, la Liegi Bastone
Liegi; proseguì con la conquista di una tappa al Giro, indi in-
contrò l’Oro alle Olimpiade di Atlanta, le prime aperte ai professionisti. Divenuto per questo successo un
riferimento in patria, festeggiò il nuovo ruolo, conquistando una tappa al Tour. Il 1997, un po’ per l’arrivo
di problemi fisici, un po’ per i segni dell’età non più verdissima, lo passò all’asciutto. Tornò al successo
l’anno seguente in una tappa del Giro del Trentino, mentre nel 1999 conquistò tre vittorie, l’ultima delle
quali, una tappa del Giro di Svizzera, fu anche l’ultima di carriera. Corse pure nel 2000, ma non vinse
nulla ed a fine stagione, a quasi trentasette anni, appese la bicicletta al chiodo.
Ordine d’arrivo:
1° PASCAL RICHARD (Sui-Helvetia La Suisse) km 189 in 4h42'
alla media di 40,248 kmh; 2° Giuseppe Petito (Gis Gelati Ballan) a
25"; 3° Gerard Rué (Fra-Helvetia La Suisse); 4° Rodolfo Massi (A-
riostea); 5° Marco Giovannetti (Gatorade Chateau d’Ax); 6° Daniel
Steiger (Sui-Jolly Componibili Club 88); 7° Laurent Dufaux (Sui-
Helvetia La Suisse) a 1'; 8° Michele Coppolillo (Italbonifica Naviga-
re); 9° Raimondo Vairetti (Selle Italia Selle Italia Eurocar Mosoca
Galli); a 1'05"; 10° Fabio Bordanoli (Gis Gelati Ballan) a 1'25"; 11°
Bruno Cenghialta (Ariostea) a 1'35"; 12° Stefano Della Santa (Amore
& Vita Fanini); 13° Franco Vona (Jolly Componibili Club 88); 14°
Rolf Aldag (Ger-Helvetia La Suisse) a 3'; 15° Silvio Martinello (Gis
Gelati Ballan); 16° Adriano Baffi (Ariostea); 17° Massimo Strazzer
(Jolly Componibili Club 88); 18° William Dazzani (Italbonifica Na-
vigare), 19° Gianluca Bordignon (Italbonifica Navigare); 20° Peter
Stevenhaagen (Ned-Helvetia La Suisse), segue il resto del gruppo.

29a edizione: 19 febbraio 1992

Furono 182 i partenti da Laigueglia, in una giornata con temperatura polare. La corsa si decise a una
ventina di chilometri dal traguardo. Rientrata la sortita di Sierra (ZG Mobili), Colagè (ZG Mobili), Farazijn
(Telekom) e Sorensen (Ariostea), usciti dall'anonimato a metà gara dopo che erano state annullate la
lunga sfuriata introduttiva del belga Van Den Bossche (TVM) e la coraggiosa fuga di Pierobon (ZG Mobi-
li), è venuta in superficie la verve di Davide Cassani, già brillante protagonista del finale di stagione '91.
Braccato dagli americani della Motorola, che fidavano nello sprint di Maximilian Sciandri, l'outsider ro-
magnolo dell'Ariostea si votava alla causa del guizzante coequipier Andrea Ferrigato (23 anni, il più gio-
vane prof italiano, rivelatosi l'anno scorso al Giro di Calabria), fallendo l'obiettivo per meno di mezza ruo-
ta. Ed è stato così che il belga Sammie Moreels (Lotto), sistematosi nella scia del francese Moncassin
(Castorama), s'è assicurato la prima vittoria ragguardevole della sua carriera.

Sul vincitore.
Nato a Gand il 27 novembre 1965. Passista. Professionista dal 1989 al 1996 con 13 vittorie. Un corrido-
re che ha vinto poco, ma che ha sempre goduto di una buona considerazione al punto di militare sempre
nelle migliori formazioni fiamminghe. Uno che il tempo ha trasformato
da passista veloce, in passista che sapeva tenere le salite brevi, tanto
è vero che i risultati migliori nelle classiche, li ha ottenuti nelle più dif-
ficili. Per il resto, uno che s’è naturalmente posto al ruolo di gregario o
spalla, convinto di non poter fare di meglio, nonostante la sua parten-
za nelle categorie inferiori, lasciasse intravvedere un futuro diverso.
Negli anni ha imparato, col realismo e la vicinanza di corridori più forti,
quanto poi gli è servito dopo, a fine carriera, dove è salito
sull’ammiraglia e s’è posto come riferimento per diversi giovani corri-
dori belgi. Insomma un personaggio che, alla fine, ha superato i con-
fini di un palmares che ha pure proposto qualche bella giornata. Da
dilettante, come detto, era stato uno osservato e pronosticato, anche
perché seppe cogliere podi nazionali sia su strada che su pista. Lo
stesso suo esordio da professionista avvenuto nel 1989, con la ma-
glia della Lotto, parve confermare il meglio per lui, vinse infatti il pre-
stigioso GP d'Isbergues in Francia, indi la 5a tappa del Tour du Vau-
cluse, sempre in terra transalpina, l’8° tappa del Tour della CEE, indi,
in patria, il GP Heusden O-Vlaanderen, una gara dall’albo d’oro di
gran prestigio. Soprattutto di spessore furono i piazzamenti: di nota
pure il 2° posto nella Parigi-Camembert, ma in particolare, il 4° nella Freccia Vallone, il 5° nel Giro di
Lombardia, il 6° nella Parigi Tours, il 9° nella Wincanton Classic, il 14° nell’Amsteel Gold Race che gli
valsero il 10° posto, col punteggio del 7°, in Coppa del Mondo. Ma il prosieguo di Moreels non fu degno
della stagione d’esordio. Nel ’90 vinse su strada solo la 2a tappa Vuelta di Galizia e non colse significati-
vi piazzamenti. Andòmeglio su pista, dove conquistò il Titolo belga dell’Omnium. L’anno seguente
s’impose nel GP Cholet, in Francia e, di nota maggiore, nel GP Kanton Aargau Gippingen, in Svizzera.
Si piazzò poi due volte terzo in classiche italiane, come il Giro del Piemonte e la Milano-Torino. Anche
nel ’92 due successi: il Trofeo Laigueglia e il GP Izegem, indi fu 3° nel GP di Vallonia. Nel ’93 il suo suc-
cesso maggiore, nel Campionato delle Fiandre, quando anticipò due grandi come Tchmil e Musseuw.
Nella stagione vinse anche la 4a tappa della Ruta del Sol. Fra tanto gregariato, vinse nel ’94 la Freccia
Classic, negli Stati Uniti. Fu quello l’ultimo suo successo. Si ritirò dall’agonismo dopo pochi mesi nel ’96
salendo poco dopo sull’ammiraglia.

Ordine d’arrivo:
1° SAMMIE MOREELS (Bel-Lotto) km 160 in 3h57'10" alla media
di 40,477 kmh; 2° Andrea Ferrigato (Ariostea); 3° Frédéric Moncassin
(Fra-Castorama); 4° Hans Kindberg (Sui-Castorama); 5° Adriano Baffi
(Ariostea); 6° Zbigniew Spruch (Pol-Lampre Colnago Animex); 7° Mau-
ro Gianetti (Sui-Lotus Festina); 8° Fabrizio Bontempi (Lampre Colnago
Animex); 9° Maximilian Sciandri (Motorola); 10° Dario Mariuzzo (Jolly
Componibili Club 88); 11° Marco Saligari (Ariostea); 12° Dominique
Arnould (Fra-Castorama); 13° Laurent Madouas (Fra-Castorama); 14°
Peter Farazijn (Bel-Telekom); 15° Enrico Zaina (Mercatone Uno Zucchi-
ni); 16° Beat Zberg (Sui-Helvetia La Suisse); 17° Jean-Cyril Robin (Fra-
Castorama); 18° Etienne De Wilde (Bel-Telekom); 19° Bart Bowen (Usa-
Subaru); 20° Davide Cassani (Ariostea); 21° Soren Lilholt (Den-Tulip
Computers); 22° Phil Anderson (Aus-Motorola); 23° Patrick Verschueren
(Bel-Lotto) a 30" che regola il gruppo.

30a edizione: 17 febbraio 1993

Giornata nuovamente gelida, ma piena di pubblico: in partenza, durante il tracciato e all’arrivo. Il vincito-
re della trentesima edizione, doveva essere Moreno Argentin (Mecair), almeno negli auspici della folla e
per la condotta del campione. Il vincitore del Mondiale di Colorado Springs, animò la corsa, che ha visto
(ma non poteva essere diversamente visto l'inizio di stagione) in seconda linea altri big delle due ruote.
Argentin è stato il promotore dell'inseguimento alla fuga principale della giornata che ha avuto come pro-
tagonista Redant (Coolstrop), Van Slyke (Lotto) e Deneut (La William). Il veneto, assieme ad un folto
drappello, dopo essersi riportato sul terzetto in fuga ha attaccato sul passagio finale del Testico scolli-
nando con 55” su Armstrong e Bishop (Motorola), Zen (Lampre), Della Santa (Eldor-Viner), Sierra, Re-
dant e Denuet. Quando tutto sembrava fatto, a dieci chilometri dalla conclusione il colpo di scena: l’ex
iridato raggiunto dagli inseguitori. Nel finale poi autentico show del 21enne texano Lance Armstrong, che
si accontentò di vincere allo sprint, ma dando la sensazione di potersene andare per arrivare solo. Otti-
mo secondo Stefano Della Santa.

Sul vincitore.
Nato a Plano (Texas) il 18 settembre 1971. Completo. Alto 1,78 per 72 kg. Professionista dal 1992 al
2005 e dal 2009 al 2011 con . Cresciuto con la sola madre, Lance Armstrong iniziò lo sport nel nuoto ed
approdò al ciclismo dal triathlon, in cui militava a livello professionistico già a sedici anni. Sulle due ruote
partecipò ai Mondiali juniores del 1989, a Mosca, dove arrivò 73°, staccato dal gruppo, a 4’17”. Dopo
una prima trasformazione fisica, nel ’90 partecipò ai Mondiali per “puri” di Utsonomiya, finendo 13° a
4’13” dal vincitore Mirko Gualdi e nel ‘91 divenne Campione Nazionale dei dilettanti. Il suo passaggio al
professionismo nelle file della Motorola avvenne nel 1992, dopo le Olimpiadi di Barcellona, dove non fu
selezionato per la cronosquadre e giunse 14° a 35” dall’Oro di Fabio Casartelli, nella prova in linea. Tra-
sferitosi nel comasco, s’impose agli inizi del ’93 nel Trofeo Laigueglia e all'attenzione del ciclismo inter
nazionale, conquistando una vittoria di tappa al Tour de France (il più giovane vincitore di tappa della
corsa francese), nonchè vestendo la Maglia Iridata al Campionato Mondiale su strada di Oslo, in Norve-
gia, dove partì all'attacco al penultimo giro e,
senza essere inseguito come ci si aspettava dal
“timido” Miguel Indurain, riuscì a giungere solo al
traguardo. A fargli guadagnare le prime pagine
dei giornali americani però, fu soprattutto il suc-
cesso nelle tre prove del Thrift Drug Triple
Crown, una competizione che metteva in palio
un milione di dollari (il ciclismo negli States vive-
va già florido prima di lui…). Dopo un 1994 in
sordina, ed a tratti pessimo, Armstrong tornò al
successo nel ‘95 imponendosi nel Du Pont Tour
e nella tappa di Limoges del Tour de France,
dedicata al tragico Fabio Casartelli suo compa-
gno nella Motorola. Nel mese di agosto vinse poi
la sua prima grande corsa dopo il Mondiale,
conquistando la Clasica di San Sebastian, prova
di World Cup. Nel 1996 fece sua la Freccia Val-
lone, rivinse il Du Pont Tour e corse entrambe le
prove Olimpiche, 6° a cronometro e 12° in linea.
Con la chiusura della Motorola, firmò un ricco
contratto con la francese Cofidis, ma in ottobre
la sua carriera venne però bruscamente interrot-
ta dalla diagnosi di cancro ad un testicolo che
s’era allargato al cervello. Sottoposto a due in-
terventi chirurgici e a durissimi cicli di chemiote-
rapia, riusci a guarire e dopo soli cinque mesi
tornò in bicicletta. Fondò per gli ammalati della
sua medesima malattia, una specifica Fondazio-
ne, la Livestrong. Licenziato dalla Cofidis che non credeva più in lui, firmò un nuovo contratto con la sta-
tunitense US Postal Service e stupì tutti vincendo nel giugno ’98, il Giro del Lussemburgo e conquistan-
do il quarto posto alla Vuelta di Spagna e al Campionato Mondiale di Valkenburg. Apparso trasformato
nel fisico e nel rendimento, dal 1999 al 2005 cominciò poi la serie record di sette vittorie consecutive al
Tour de France, tutte ottenute attaccando nelle tappe di montagna, dive prima della malattia e della con-
seguente trasformazione annaspava dietro decoine di concorrenti e sbaragliando la concorrenza nelle
cronometro, dive non aveva mai dato segno tangibili di essere un super. Grazie a tutti questi successi,
alla bella storia costruita attorno a lui, ha costruito un impero di contratti pubblicitari miliardari che l’hanno
fatto l'atleta più pagato nella storia del ciclismo e non solo. Poi quel ritorno che tutti sanno nel 2009 e le
ultime sulle sue vicende, che hanno confermato la poca credibilità del ciclismo e dei suoi massimi diri-
genti. In altre parole, grazie alla vicenda Armstrong, s’è letta la pagina più stonata e rovinosa della storia
di questo sport, che fu magnifico.

Ordine d’arrivo:
1° LANCE ARMSTRONG (Usa-Motorola) km 160 in 3h51'22" alla me-
dia di 41,558 kmh; 2° Stefano Della Santa (Edor Viner); 3° Leonardo Sierra
(Ven-ZG Mobili); 4° Moreno Argentin (Mecair Ballan); 5° Marco Zen (Lam-
pre Polti) a 35"; 6° Patrick Deneut (Bel-La William); 7° Hendrik Redant (Bel-
Callstrop) a 43"; 8° Andy Bishop (Usa-Motorola); 9° Rik Van Slycke (Bel-
Lotto) a 4'17"; 10° Massimo Strazzer (Jolly Componibili Club 88) a 4'47"; 11°
Stefano Zanini (Navigare Blue Storm); 12° Thierry Gouvenou (Fra-Gan); 13°
Adriano Baffi (Mercatone Uno Madeghini); 14° Gianvito Martinelli (Mecair
Ballan); 15° Gianluca Bortolami (Lampre Polti); 16° Maurizio Molinari (A-
more & Vita Galatron); 17° Wiebren Veenstra (Ned-Subaru); 18° Fabrizio
Bontempi (Eldor Viner); 19° Brian Holm (Den-Telekom); 20° Jan Goessens
(Bel-Callstrop), segue il resto del gruppo.
31a edizione: 15 febbraio 1994

Ancora una giornata con temperatura polare e conclusasi per il quinto anno consecutivo con una vittoria
straniera. La gara era stata piuttosto monotona, caratterizzata nei primi chilometri da una fuga di Coppo-
lillo (Navigare). Poi una lunga fase d'attesa, aldilà di un timido tentativo di Giucolsi (Navigare), quindi
l'episodio che ha deciso la corsa, sulla seconda scalata al Testico. Qui, se ne sono andati Sorensen
(GB-MG Boys), il giovanissimo Vandenbroucke (Lotto), Cassani (GB-MG Boys), Belli (Lampre), Bugno
(Polti), Della Santa e Chiurato (Mapei), Berzin (Gewiss) e il Campione del Mondo Lance Armstrong (Mo-
torola). I nove hanno avuto presto partita vinta e sono arrivati a disputarsi il Laigueglia allo sprint, salvo
l’iridato Armstrong, che mollò nel finale. Un tentativo di Berzin all’ultimo chilometro rintuzzato da Soren-
sen che, poi è con una gran bella volata, andò a vincere. Ma per il danese non ci fu molto da gioire, anzi.
Subito dopo aver alzato le mani al cielo, investì un tifoso che, contro ogni precauzione, aveva “invaso” la
sede stradale. Il corridore ebbe la peggio: ricoverato all'ospedale, gli fu constatata la lussazione della
clavicola destra.

Sul vincitore.
Tutte le viottorie di Rolf Sorensen. 1987 (Remac Fanini) 3 vittorie: Classifica Generale Tirreno – A-
driatico; 6a tappa Tirreno-Adriatico; GP Pino Cerami. 1988 (Ariostea) 5 vittorie: GP Città di Camaiore;
6a tappa Settimana Ciclistica Internazionale Coppi-Bartali; 6a tappa Settimana Siciliana; 4a tappa Giro
Danimarca; 2a tappa Schwanenbrau Cup. 1989 (Ariostea) 4 vittorie: Coppa Bernocchi; Trofeo dell'Et-
na; Trofeo Pantalica; Omloop van de Vlasstreek. 1990 (Ariostea) 4 vittorie: Parigi-Tours; Trofeo Lai-
gueglia; Classifica Generale Settimana Siciliana; 1a tappa Settimana Siciliana; Memorial Tinchella (cro-
nocoppie con Moreno Iacomelli), 1991 (Ariostea) 2 vittorie: 9a tappa Tour de Suisse; 2a tappa Tour de
France (cronosquadre) 1992 (Ariostea) 4 vittorie: Parigi Bruxelles; Classifica Generale Tirreno – Adria-
tico; 3a tappa Tirreno-Adriatico; 3a tappa (a) Hofbrau Cup. 1993 (Carrera Tassoni) 13 vittorie: Liegi-
Bastogne-Liegi; GP di Francoforte; Milano-Torino; 9a tappa Tour de Suisse; Coppa Bernocchi; 7a tappa
Tirreno-Adriatico; 3a tappa (a) Tre Giorni di La Panne; Prologo, 1a e 4a tappa del Giro di Romandia; 3a
e 5a tappa Giro dei Paesi Baschi; Amsterdam Rai Derny; Sei
Giorni di Copenaghen (con Jens Veggerby). 1994 (GB-MG
Boys) 5 vittorie: Parigi-Bruxelles; 3a (cronosquadre) e 14a
tappa del Tour de France; Trofeo Laigueglia; Trofeo Matteotti.
1995 (MG Technogym) 4 vittorie: 9a tappa Giro d'Italia; 1a
tappa Giro dei Paesi Baschi; 4a tappa Tour de Luxembourg; 4a
tappa (cronosquadre) Hofbrau Cup. 1996 (Rabobank) 6 vitto-
rie: 13a tappa Tour de France; Kuurne - Brussel – Kuurne; Gi-
ro d’Olanda; 4a tappa del Giro d’Olanda; 7a tappa Tirreno–
Adriatico; 4a tappa del Giro di Danimarca. 1997 (Rabobank) 4
vittorie: Giro delle Fiandre; Prologo Tirreno-Adriatico; 3a tappa
(b) della Tre Giorni di La Panne; Criterium Langelinjelopet.
1998 (Rabobank) 3 vittorie: Giro d’Olanda; 5a tappa Tirreno-
Adriatico; Prologo Regio Tour. 1999 (Rabobank) 2 vittorie: 1a
tappa del Giro di Danimarca; Prologo Regio Tour. 2000 (Rabo-
bank) una vittoria: Giro di Danimarca. 2001 (CSC-Tiscali) una
vittoria: Criterium di Allerod.
I suoi podi più prestigiosi. 1988: 2° nel Campionato di Zuri-
go; 2° nella Classifica Finale a punti del Giro d’Italia; 3° nella
Tirreno Adriatico. 1989: 3° nella Classifica Finale di Coppa del Mondo; 3° nella Gent Wevelgem. 1991:
2° nella Milano Sanremo; 3° nella Classifica Finale di Coppa del Mondo; 3° Nella Liegi Bastogne Liegi;
3° nel Giro delle Fiandre. 1995: 2° nella Classifica Finale a punti del Giro d’Italia; 3° nella Parigi-
Bruxelles. 1996: Medaglia d’Argento alle Olimpiadi nella prova su strada. 1997: 2° nella Classifica Finale
di Coppa del Mondo; 3° nel Campionato di Zurigo. In carriera ha concluso 5 Giri d’Italia (miglior piazza-
mento 30° nel ’94); 5 Tour de France (miglior piazzamento 19° nel ’94); una Vuelta di Spagna (nel ’98,
59°). Ha partecipato a 15 Campionati del Mondo (miglior piazzamento 6°, nel ’94). Note: Ha vinto l’Iride
da juniores nel 1983, nella cronosquadre.
Ordine d’arrivo:
1° ROLF SORENSEN (Den-GB Mg Boys) km 158 in 4h01'35" alla media
di 39,241 kmh; 2° Andrea Chiurato (Mapei Clas); 3° Evgueni Berzin (Gewiss
Ballan); 4° Frank Vandenbroucke (Bel-Lotto); 5° Davide Cassani (GB Mg
Boys); 6° Wladimir Belli (Lampre Panaria); 7° Gianni Bugno (Polti) a 5"; 8°
Stefano Della Santa (Mapei Clas); 9° Lance Armstrong (Usa-Motorola) à 49";
10° Johan Museeuw (Bel-GB Mg Boys) a 1'31"; 11° Adriano Baffi (Mercato-
ne Uno Madeghini); 12° Zbigniew Spruch (Pol-Lampre Panaria); 13° Sergio
Barbero (Navigare Blue Storm); 14° Steve Bauer (Can-Motorola); 15° Gio-
vanni Fidanza (Polti); 16° Hendrik Redant (Bel-ZG Mobili Selle Italia); 17°
Francois Simon (Fra-Castorama); 18° Andrei Tchmil (Ukr-Lotto); 19° Philip-
pe Gaumont (Fra-Castorama); 20° Phil Anderson (Aus-Motorola), segue il re-
sto del gruppo.

32a edizione: 14 febbraio 1995


Un’edizione iniziata sotto una pioggia copiosa e archiviata alla
presenza di un sole primaverile. La prima fuga a Loano, dopo 20
chilometri. Tre a cercare l'avventura: il francese Capelle (Gan), l'olandese Knaven (Tvm) ed il belga Feys
(Vlaanderen). Il loro tentativo giunse a registrare un vantaggio di sei minuti, poi velocemente si ridusse,
fino a chiudersi all'inizio del primo passaggio sul Testico, dove iniziò la selezione. Al primo passaggio da
Alassio, si ritirò Claudio Chiappucci. A Moglio ci provò Forconi (Amore & Vita) che alla fine si aggiudicò il
«Memorial Diego Pellegrini», riservato al corridore più combattivo. Dietro a Forconi il gruppo si spezzò in
più parti, e fu qui che Bugno (MG Technogym) dimostrò di aver ritrovato confidenza con le salite. Nell'in-
seguimento, l'ex campione del mondo fu il più attivo, insieme a Cenghialta (Gewiss), Colagè (Refin), Bal-
lerini (Mapei GB), Gelfi (Brescialat) e il vincitore uscente Sorensen (MG Technogym). Il tentativo di For-
coni si esaurì a trenta chilometri dall'arrivo. A Stellanello si formò un gruppo di una trentina di corridori:
gli uomini che poi si presenteranno al traguardo. Un timido tentativo di Gelfi e altre azioni isolate caratte-
rizzarono la fase finale. Poi, ad Andora, ci provarono Canzonieri (Mercatone Uno) e Santaromita (Ge-
wiss). Il tentativo durò lo spazio di un paio di chilometri. E a tre dal traguardo, scattò Petito (Mercatone
Uno), seguito da Bugno. Sembrava la fuga buona, ma non fu così e apoche centinaia di metri dal tra-
guardo, vi fu ricongiungimento. Volata, dunque. Qui, Museeuw, al centro della carreggiata operò
l’affondo ai meno 100 metri, ed anticipò sulla linea di un soffio, Zanini. Indi Gelfi, il francese Ledanois,
Colagè, Lombardi, Petito, Roosen, Serpellini ed Alex Merckx.

Sul vincitore.
Nato a Varsenare il 13 ottobre 1965, professionista dal 1988 al 2004, con 102 vittorie su strada. L'ultimo
grande cacciatore di classiche belga, in particolare quelle sul pavé, prima dell’avvento di Tom Boonen.
Corridore veloce, ma non velocissimo, resistente e capace di svolgere l'acuto
sempre nei tempi giusti. Per la sua capacità di concepirsi negli appuntamenti
che lo interessavano, un fuoriclasse. A livello assoluto, un corridore che nelle
graduatorie merita un posto di rilievo, pur non avendo fatto mai vedere se
stesso nella stagione calda. Nel freddo però, era un super. Di lui si ricorde-
ranno gli affondi che l'hanno lanciato verso auten-tiche imprese e… quel tra-
pianto di capelli per nascondere l'inci-piente calvizie, che gli rende un primato
fra i ciclisti.
Sono undici le prove di Coppa del Mondo che ha vinto e, se ben guardiamo,
sono quasi tutte classiche monumento: tre Giri delle Fiandre (1993, '95, '98),
tre Parigi-Roubaix ('96, 2000, 2002), due Campionati di Zurigo ('91 e '95),
una Parigi-Tours ('93), una Amstel Gold Race ('94) e una Cyclassics di Am-
brurgo (2002). La Coppa del Mondo l'ha pre-miato due volte ('95 e '96) e l'iri-
de è finito nel suo dorato palmares, quando in pochi, per non dire nessuno, lo
credeva capace di uscire vincente da quel duro circuito: Lugano '96. Nell'occasione, seppe tenere benis-
simo la Crespera resa celebre dagli affondi arcobaleno di Fausto Coppi e, con irrisoria facilità, dispose
dello svizzero Gianetti, nello sprint decisivo a due. Nelle corse a tappe ha fatto vedere di essere Mus-
seuw solo al Tour, dove comunque il suo bottino si limita a due tappe, ed a 5 giorni in maglia gialla.
Chiamato il "Leone del pavé", deve il suo nomignolo al fatto di aver vinto, come nessuno, un numero di
classiche (Fiandre e Roubaix) su quel terreno: sei. Tutti gli altri, Van Looy, Merckx e De Vlaeminck si
sono fermati a cinque. Altri successi importanti raccolti da Museeuw sono in ordine cronologico: G.P. Al-
beric Scotte '88 e '99, Campionati delle Fiandre '91 e '95, G.P. E3 Harelbeke '92 e '98, Campionato Bel-
ga su strada '92, Hengelo-Nacht van Hengelo '93, Kuurne-Bruxelles-Kuurne '94 e '97, 4 Jours de Dun-
kerque '95, Freccia del Brabante '96-'98-2000, Tre giorni di La Panne '97, Het Volk 2000 e '03. Un inchi-
no, lo merita tutto.

Ordine d’arrivo:
1° JOHAN MUSEEUW (Bel-Mapei GB) km 158 in 3h52'27" alla me-
dia di 39,440 kmh; 2° Stefano Zanini (Gewiss Ballan); 3° Fabio Baldato
(MG Technogym); 4° Luca Gelfi (Brescialat); 5° Yvon Ledanois (Fra-
Gan); 6° Stefano Colage (ZG Mobili); 7° Giovanni Lombardi (Polti); 8°
Roberto Petito (Mercatone Uno Madeghini); 9° Luc Roosen (Bel-
Vlaanderen 2002); 10° Marco Serpellini (Lampre Panaria); 11° Axel
Merckx (Bel-Motorola); 12° Ricardo Forconi (Amore & Vita); 13° Paolo
Fornaciari (Mercatone Uno Madeghini); 14° Angelo Canzonieri (Merca-
tone Uno Madeghini); 15° Simone Borgheresi (Amore & Vita); 16° Al-
berto Volpi (Gewiss Ballan); 17° Bruno Cenghialta (Gewiss Ballan); 18°
Frank Vandenbroucke (Bel-Lotto); 19° Gianni Bugno (MG Technogym);
20° Andrea Noé (Mapei GB), segue il resto del gruppo.

33a edizione: 20 febbraio 1996

Furono 200 i partenti, in una giornata che minacciava pioggia e di forte vento. La cronaca della corsa,
s’aprì con il volenteroso quanto vano tentativo di Fabio Roscioli (Refin) e Fabrizio Bontempi (Brescialat),
che raggiunsero un vantaggio massimo di 1’50”. Il loro tentativo, superò indenne la novità dell’ascesa de
Le Manie ma terminò al primo passaggio da Alassio, dove il gruppo si presentò compatto. Poi, il momen-
to tanto discusso, con il passaggio da Colla Micheli: nella discesa caddero alcuni corridori ed all'arrivo, in
mezzo alla premiazione, Stefano Della Santa, della Mapei, ebbe a dichiarare senza mezzi termini: “Il
Tour de France, con la morte del povero Casartelli, non ha insegnato niente? La sera della vigilia ab-
biamo pregato gli organizzatori di cancellare questo tratto, a nostro giudizio pericoloso, ed inoltre ininflu-
ente ai fini della gara. Invece, niente. E questa è la dimostrazione di quanto conta l'Associazione corrido-
ri, le cui parole cadono sempre nel vuoto...”. Tornando alla corsa, dopo un timido attacco sulle rampe del
Testico, di Axel Merckx (Motorola) che scatenò la molla della nostalgia (il padre Eddy però, era davvero
un'altra cosa...), si registrò a 30 chilometri dal termine l'episodio decisivo: un perentorio scatto di Van-
denbrouke (Mapei GB), con immediata risposta di Massi (Refin), Coppolillo (MG Technogym) e Colombo
(Gewiss). Ad agganciare i 4 ci provò il solo Museeuw (Mapei GB), vincitore uscente che, evidentemente,
mal gradiva un altro acuto del giovanissimo compagno, ma fu costretto a desistere, perché proprio non
la faceva. I battistrada andarono così al traguardo. Sul rettilineo d'arrivo si consumò un copione già scrit-
to: troppo forte il belga, che a 100 metri dallo striscione innestò il turbo e, per i tre italiano non ci fu
scampo.

Sul vincitore.
Nato a Mouscron (Belgio) il 6 novembre 1974. Deceduto a Saly (Senegal) il 12 ottobre 2009. Completo.
Professionista dal 1994 al 2009, con 61 vittorie.
Frank Vandenbroucke nacque a Mouscron, vicino al confine con la Francia, all’estremità occidentale del-
la Vallonia. Una zona promiscua di culture e di lingue, fra il fiammingo, il francese e l’olandese, per giun-
gere a quell’intreccio che si usa da tempo lontano definire neerlandese. Chi nasce lì, possiede una facili-
tà di apprendimento delle lingue che ne fanno un caso europeo, aspetto che poi accompagnerà la stes-
sa vita di Frank. La famiglia del piccolo Vandenbroucke, s’è costruita meno comune di quanto si pensi,
perché nell’amore della bicicletta, che forma da un secolo l’effige di quella terra, lei, quel mezzo l’ha
sempre posto come un monumento eretto vicino all’ingresso di casa. Tutti i suoi componenti di sesso
maschile, si sono cimentati nell’agonismo ciclistico. Il padre di Frank, Jean Jacques, era stato professio-
nista nell’Hertekamp-Magniflex nel 1970, ma era lo zio Jean Luc, la
gloria. Sì proprio quello che nella Sanremo del ’76, fu l’ultimo a cede-
re ad Eddy Merckx.. Ma per Frank, l’infanzia non fu piacevole, ed
ebbe persino poco tempo per sognare. A quattro anni, mentre come
tanti, grandi e piccoli, assisteva ad un rally vicino casa sua, un’auto
sbandò, uscì di carreggiata e lo travolse. Per un paio di giorni la sua
vita fu appesa ad un filo: era pieno di fratture, ed un ginocchio, in
particolare, pareva perduto. Subì quattro operazioni e per tre mesi
non si poté muovere dal letto dell’ospedale. Poi, dopo il ritorno a ca-
sa, ancora mesi di rieducazione e sacrifici, abbastanza per essere
segnati a lungo e, forse, perché mai ci si prende la briga di studiare
questi lassi così particolari, per tutto il corso della crescita mentale.
Ma il bambino superò fisicamente quel terribile impatto, anche se il
recuperato guaio al ginocchio gli lasciò una gamba più corta in ma-
niera ben più marcata rispetto a quella che coinvolge la quasi totalità
delle persone.
Frank, sognava di correre in bicicletta, ma ai suoi tempi, fino al 1990,
in Belgio, non si poteva iniziare l’agonismo su quel mezzo e l’attesa
fu costretto a consumarla facendo altro. Si dimostrò subito un prede-
stinato per lo sport, un percentile pazzesco, per chi studia questi aspetti. A 12 anni, dopo essersi mostra-
to levriero inavvicinabile, correndo a piedi su strade, campi, viottoli, sentieri e sterrati, giocando come
l’età voleva anche entro le mura domestiche, si fratturò un gomito. Ma lui aveva qualcosa di alato e
qualche settimana dopo, pur con un tutore all’arto, partecipò ai campionati nazionali di corsa campestre
e li vinse. Incredibile e significativo l’accostamento che ne derivò facendo piovere il futuro su quel fatto:
un simile caso in fascia adolescenziale su uno sport precedente il ciclismo, portava dritto ad un certo
Eddy Merckx. Frank poté finalmente diventare il “bambino d’oro” su una bici: era arrivato il 1989. Vinse e
convinse, era bello come un dipinto su quel mezzo simbolo del suo popolo. Era armonioso, anche se
dentro il corpo si nascondevano le sofferenze generate dai guai vissuti.
Era stupendo nelle progressioni, disegnava perfezione nella linearità
dello scatto. Era persino potente come nessuno, nonostante quel gi-
nocchio. Nel '91, divenne campione belga nella categoria debuttanti,
l’anno successivo, finì terzo ai mondiali juniores di Atene, vinti da un
italiano che si stava bruciando: Giuseppe Palumbo. Nel ‘94, a soli 19
anni e due mesi, dopo una sola stagione fra i dilettanti (che, per i cam-
pioni evidenti, è solo una dannosa perdita di tempo), Frank era già pro-
fessionista, nella Lotto, guidata dallo zio Jean Luc. Al Giro del Mediter-
raneo vinse una tappa, la più dura nel complesso e diede spettacolo. Il
sottoscritto, intervistando per “Il Messaggero” Davide Cassani, vincitore
di quella corsa, ricevette dal faentino uno stimolante: “E’ un fenomeno”.
La curiosità autoctona trovò subito soddisfazione e da quei giorni, Frank Vandenbroucke, divenne una
gioia della personale collezione di indimenticabili sulla bicicletta. Certo, alla faccia degli albi d’oro.
Tutte le sue perle da professionista.
1994: 6a Tappa del Giro del Mediterraneo; Criterium di Bellegem. 1995: Parigi Bruxelles; Zomergem–
Adinkerke; 1a Tappa del Giro di Lussemburgo; GP Cholet; Criterium di Wielsbeke, Oostakker e di La
Louvière. 1996: Trofeo Laigueglia; GP de l’Escaut; Giro del Mediterraneo; 5a Tappa del Giro del Medi-
terraneo; GP di Plouay (Ouest France); Binche-Tournai-Binche; Prologo, 2a e 5a Tappa del Giro di Val-
lonia; Giro d’Austria; Prologo, 3a, 6a e 8a Tappa del Giro d’Austria; Criterium di Wingene. 1997: Giro di
Lussemburgo; 4a Tappa del Giro di Lussemburgo; Giro di Colonia; Trofeo Matteotti; 2a, 4a e 8a Tappa
del Giro d’Austria; Criterium di Aalst; De Panne Beach Endurance (Mountain Bike). 1998: Gand Wevel-
gem; Parigi Nizza; 1a e 5a Tappa della Parigi Nizza; Giro di Vallonia; 3a e 6a Tappa del Giro di Vallonia;
Vuelta a Galega; 4a Tappa della Vuelta a Galega; Volta a Galicia; 4a Tappa della Volta a Galicia; Prue-
ba Villafranca de Ordizia; Criterium di Amiens. 1999: Liegi Bastogne Liegi; Het Volk; 16a e 19a Tappa
della Vuelta di Spagna; Classifica a Punti della Vuelta di Spagna; GP d'Ouverture; 7a Tappa della Parigi-
Nizza; 3a Tappa (b) della Tre Giorni di La Panne; 4a Tappa della Ruta del Sol. 2002: Criterium di Mere.
2003: Criterium di Kortrijk. 2004: Criterium di Zwevegem. 2005: Criterium di Zwevegem. 2009: 2a Tappa
Les Boucles de l'Artois; Criterium di Olen (b).
Ordine d’arrivo:
1° FRANK VANDENBROUCKE (Bel-Mapei GB) km 154 in 3h47'30"
alla media di 40,738 kmh; 2° Rodolfo Massi (Refin Mobilvetta); 3° Miche-
le Coppolillo (MG Technogym); 4° Gabriele Colombo (Gewiss Playbus); 5°
Johan Museeuw (Bel-Mapei GB) a 1'06"; 6° Andrea Peron (Motorola); 7°
Andrei Tchmil (Rus-Lotto); 8° Wladimir Belli (Panaria); 9° Edwig Van Ho-
oydonck (Rabobank); 10° Francesco Casagrande (Saeco); 11° Fabrizio Gui-
di (Scrigno Blue Storm) a 2'27"; 12° Gianluca Pianegonda (Polti); 13° Davi-
de Bramati (Panaria Vinavil); 14° Lance Armstrong (Usa-Motorola); 15°
Gianluca Bortolami (Mapei GB); 16° Alessandro Bertolini (Brescialat); 17°
Beat Zberg (Sui-Carrera Longoni); 18° Vjatceslav Ekimov (Rus-Rabobank);
19° Bruno Boscardin (Lotus Festina); 20° Fabian Jeker (Sui-Lotus Festina);
21° Gérard Rué (Fra-Gan); 22° Angelo Canzonieri (Saeco); 23° Axel
Merckx (Bel-Motorola); 24° Alexandre Shefer (Kaz-Scrigno Blue Storm);
25° Markus Zberg (Sui-Carrera Longoni) a 4'01", che regola il gruppo.

34a edizione: 18 febbraio 1997

Partenza alle 11 del mattino di una giornata davvero primaverile coi colori del mare che riflettevano i loro
aloni sulle pedalate, per rendere meno evidente il contrasto col verdeggiante entroterra ligure. Forse
proprio per quei toni che invitavano la poesia, più che per le consapevolezze di una stagione ciclistica
stressante appena iniziata, i corridori spinsero i pedali a passo di lumache per oltre metà gara. Cronaca
nulla, se non per segnalare la condizione pessima del Campione Olimpico Pascal Richard, che si stac-
cava dal fondo del gruppo ad ogni piccola pendenza. Dopo il secondo passaggio ad Alassio, sulle rampe
del Moglio, la prima vera nota che si rivelerà decisiva. Ad attaccare ed involarsi dieci uomini: Della San-
ta (Mercatone Uno), Beat Zberg e Borgheresi (Mercatone Uno), Bartoli e Coppolillo (Technogym), Noè
(Asics), Francesco Casagrande (Saeco), Massi (Casinò), Frattini (Batik) e, per la gioia dei tifosi locali,
Mirko Celestino (Team Polti). Un’azione che via via si fece decisiva perché dietro non ci fu mai sostanza
nell’inseguire, ed anche il secondo passaggio sul Testico, non ispirò reazioni. Poi, a fuga praticamente
decisa mollarono Borgheresi, Noè e Coppolillo. Nel finale tentarono prima Casagrande, poi Della Santa,
ed infine Celestino, che rimase al comando per sei chilometri illudendo i suoi tanti tifosi, ma fu ripreso
ad 800 metri dal traguardo. Poi la volata imponente di Michele Bartoli, mise tutti d’accordo.

Sul vincitore.
Pisano, della grande generazione del 1970 (27 maggio), Michele Bartoli, detto “il Leoncino”, può essere
considerato uno dei più grandi cacciatori di classiche che l’Italia abbia mai avuto. Professionista dall'a-
gosto 1992 al 2004, nella seconda metà degli anni '90, è stato davvero il numero uno delle corse di un
giorno. Inadatto alle lunghe salite, ma fortissimo in quelle brevi e dure,
quindi ideale per le gare in linea, nonché dotato di classe cristallina, in
certe giornate è parso davvero insuperabile. Ha ottenuto in carriera com-
plessivamente 57 vittorie, fra cui spiccano 7 prove di Coppa del Mondo,
ed una classica, la Freccia Vallone (1999), che, solo gli assurdi metodi
dell'UCI, potevano relegare per anni dietro ad una “San Sebastian”. Ri-
capitolando, nel palmares di Michele ci sono: 2 Giri di Lombardia (2002 e
2003), 2 Liegi-Bastogne-Liegi (1997 e 1998), il Giro delle Fiandre 1996, il
Campionato di Zurigo 1998 e l'Amstel Gold Race 2002. Al Giro d'Italia,
ha vinto due tappe (Lienz '94 e Schio '98), mentre ha sempre sacrificato
il Tour, anche quando l'ha corso, per ricercare la condizione migliore per
il finale di stagione, con la prospettiva di quel mondiale che gli è sempre
sfuggito. Nella corsa iridata, è stato due volte medaglia di bronzo (Luga-
no '96 e Valkenburg '98), ma ha pure dimostrato, in diverse occasioni, un
nervosismo che gli ha creato non pochi danni per le positive risultanze di gara. Un rapporto molto con-
trastato, e dire che in più di una occasione, era parso come il più forte in corsa. A dimostrazione delle
sue indubbie qualità, nel suo curriculum ci sono due Coppe del Mondo (1997 e '98), ed il primo posto nel
ranking mondiale dell'UCI, tra l'autunno 1998 e l'estate '99. Campione italiano nel 2000, può vantare an-
che altri successi di pregio, come diverse classiche nazionali e altre con maggiori tinte internaziozionali,
come il Giro del Lazio, Freccia del Brabante (ne ha vinte 2), l'Het Volk, il GP Plouay, il GP di Fourmiese,
il GP Cerami, il GP Gippingen e l'Henninger Turm. Nelle brevi corse a tappe ha trionfato nella Tirreno
Adriatico, nella Settimana Siciliana, nel Giro del Mediterraneo, ed in due edizioni della Tre Giorni di La
Panne. A compromettergli la carriera, un paio di incidenti molto pesanti: il primo durante il Giro di Ger-
mania '99, indi una rovinosa caduta al Giro d'Italia nel 2002. Spettacolare come pochi nelle sue punte da
campione di razza, ha pagato oltre agli incidenti, le sue pecche caratteriali e l'estrema dedizione a pro-
grammi che poteva vivere con maggiori variabili. La sua è stata una grande carriera, ma non è esagera-
to per nulla dire che le sue qualità la potevano costruire ancora migliore.

Ordine d’arrivo:
1° MICHELE BARTOLI (MG Technogym) km 169 in 4h14'47" alla
media di 39,800 kmh; 2° Francesco Frattini (Batik Del Monte); 3° Francesco
Casagrande (Saeco); 4° Beat Zberg (Sui-Mercatone Uno); 5° Stefano Della
Santa (Mercatone Uno); 6° Rodolfo Massi (Casinò C’est votre equipe); 7°
Mirko Celestino (Polti) a 6"; 8° Fabrizio Guidi (Scrigno Gaerne) a 2'49"; 9°
Biagio Conte (Scrigno Gaerne); 10° Paolo Fornaciari (Saeco); 11° Alessio
Bongioni (Asics); 12° Martin Hvastija (Slo-Cantina Tollo); 13° Giuseppe
Tartaggia (Batik Del Monte); 14° Mario Aerts (Bel-Vlaanderen 2002); 15°
Torsten Schmidt (Ger-Roslotto ZG Mobili); 16° Geert Van Bondt (Bel-
Vlaanderen 2002); 17° Marco Serpellini (Brescialat); 18° Erwin Thijs (Bel-
Vlaanderen 2002); 19° Geert Verheyen (Bel-Vlaanderen 2002); 20° Serguei
Outschakov (Ukr-Polti), segue il resto del gruppo.

35a edizione: 17 febbraio 1998

Una calda giornata primaverile e una gran folla di appassionati fecero da cornice allo start dei 189 par-
tenti e due ali di pubblico accompagnò per una buona ventina di chilometri la marcia dei corridori. A Bor-
ghetto la prima fuga, attuata dal belga Tom Stremersch (Vlaanderen-Merckx). Il vantaggio del fuggitivo,
snobbato dal plotone, arrivò a 2'05', ma diminuì poi rapidamente, complice il forcing attuato dall'Asics ed
ai piedi della salita del Testico venne riassorbito. Sull’ascesa in molti tentarino la fuga, ma nessuno vi
riuscì. Al primo passaggio da Laigueglia (percorsi 90 chilometri) il gruppo si presentò praticamente com-
patto, salvo alcuni ritardatari fra i quali anche Tonkov e Bugno della Mapei Bricobì. compatto. Dopo A-
lassio si formò al comando un gruppetto che comprendeva Bartoli (Asics), Coppolillo (Asics), Mirko Ce-
lestino (Team Polti), Mazzoleni (Saeco), Profeti (Amore & Vita), Della Santa (Ros Mary), Gougot (Casino
Equipe), Massi (Casino), Aerts (Lotto), i quali rimasero in avanscoperta fino a 50 chilometri dalla conclu-
sione. A Stellanello nuova fuga condotta da otto corridori: Malberti (Asics), Colleoni (Team Polti), Gualdi
(Team Polti), Savoldelli (Saeco), Chanteur (Casino), Saligari (Casino), Totsching (Team Deutsche),
Laukka (Lotto), ma poco prima di Capo Mele vennero riassorbiti. Sulla Crocetta il tentativo decisivo, pro-
piziato da Chanteur e Mazzoleni, che, in poco tempo raggiunsero un minuto di vantaggio. I giochi furono
fatti e nello sprint decisivo a due, a 50 metri dalla linea Pascal Chanteur (Casinò) operò l’affondo vincen-
te.

Sul vincitore.
Nato a Saint-Denis il 9 febbraio 1968. Passista. Alto 1,70 m. per 60 kg. Professionista dal 1991 al 2001
con 9 vittorie. Corridore discreto che ha saputo mettersi al servizio dei suoi capitani sfruttando al massi-
mo le giornate di libertà e le facoltà non eccelse che la natura gli aveva dato. Uno di quelli che poteva
passare inosservato ai più, ma non al mondo interno del pedale, tanto è vero che non ha mai avuto pro-
blemi ad accasarsi, salvo agli inizi, ed ha poi ereditato, a fine carriera, la considerazione che la buona
cultura e la favella di nota avevano tracciato. Nelle categorie giovanili e fra i dilettanti migliorò ogni anno
e nella stagione 1990 mise assieme un bel palmares annuale su cui spiccavano i successi nelle corse a
tappe come il Tour della Somme, Tour du Hainaut in Belgio arricchito da un successo di frazione e il 3°
posto nel Tour de la Manche, dove vinse una tappa. Abbastanza per stuzzicare l’interesse della profes-
sionistica Toshiba che lo fece passare nell’elite nel 1991. Qui però, un po’ per la sua non ancora certa
maturazione ed un po’ per la chiusura a fine anni del team, si trovò nel 1992 senza contratto. Ritornato
dilettante vinse la Parigi Roubaix della categoria, la Parigi Connerré e fu 2° nella Parigi-Fecamp ed a fine
anno trovò l’ingaggio per tornare fra i prof con la Chazal-Vetta capitanata da Eric Caritoux. Stavolta il
rendimento di Pascal fu buono, vinse la 6a tappa del Tour du Poitou-Charentes et de laVienne e parteci-
pò al suo primo Tour de France, chiuso poi al 75° posto. Continuò la sua permanenza nel team ed il suo
ruolo di gregario anche quando nella Chazal, arrivarono per sosti-
tuire Caritoux, che abbandonava, i vari Bernard, Delion, Manin,
Mengin, il veloce Kirsipuu ecc. Per vedere Chanteur tornare al
successo, bisognerà aspettare il 1996, quando la Chazal fu rileva-
ta dalla Casinò: vinse la Bol d'Air Creusois, fu 2° nella Paris-
Bourges, 2° nel Giro di Vallonia, 3° nella Bordeaux-Cauderan e
nel Tour de Limousin. Nel ’97, sempre in Casinò, migliorò ancora
vincendo una tappa della Parigi Nizza che chiuse 5° i la Bordeaux-
Cauderan. Diversi furono i suoi piazzamenti. Il 1998, fu il suo anno
d’oro. Vinse subito il Trofeo Laigueglia, indi dieci giorni dopo la
Vuelta Valenciana e in estate il Grand Prix di Rennes. Fu 2° nel
Tour de Haut-Var e in una tappa del Delfinato. Nel 1999 vinse il
Prix dela Cote Picardie, mentre nel 2000 la Casinò lasciò posto
alla AG2r Prévoyance e Chanteur continuò il suo lavoro di grega-
rio, senza trovare successi ma solo piazzamenti. Nel 2001, il lo-
quace Pascal approdò alla Festina ed il 13 agosto con la vittoria
nel GP di Vergt, chiuse il suo incontro coi successi. A fine anno
abbandonò l’agonismo. Dopo un anno sabbatico, acquistò un ne-
gozio di biciclette a Bergerac che gestisce tuttora. Da marzo del 2008 è Assessore allo Sport della locali-
tà e da giugno del medesimo anno ricopre l’incarico di Presidente dell’Associazione Nazionale Corridori
Professionisti.

Ordine d’arrivo:
1° PASCAL CHANTEUR (Fra-Casinò Ag2r) km 169,5 in 4h10'09" alla
media di 40,600 kmh; 2° Eddy Mazzoleni (Saeco); 3° Paolo Bettini (Asics
CGA) a 1'44"; 4° Gianluca Bortolami (Lotus Festina); 5° Roberto Petito (Saeco);
6° Marco Saligari (Casinò Ag2r); 7° Gabriele Colombo (Ballan); 8° Mirko Cele-
stino (Polti); 9° Rodolfo Ongarato (Ballan); 10° Joona Laukka (Fin-Lotto Mobi-
star); 11° Fabio Malberti (Asics CGA); 12° Mirko Gualdi (Polti) à 3'37"; 13°
Emmanuel Magnien (Fra-La Francaise Des Jeux) a 4'06"; 14° Alberto Elli (Ca-
sinò Ag2r); 15° Fabrizio Guidi (Polti); 16° Mario Aerts (Bel-Lotto Mobistar);
17° Christophe Detilloux (Bel-Lotto Mobistar); 18° Francesco Frattini (Tele-
kom); 19° Paolo Savoldelli (Saeco); 20° Maurizio Molinari (Ros Mary), segue il
resto del gruppo.

36a edizione: 16 febbraio 1999

In 185 allo start delle 11,02 del mattino, di una giornata più mite rispetto alle precedenti, ma molto vento-
sa. Il primo scatto fu operato da Gentimk (Cantina Tollo Alexia), in prossimità di Caso, ma il gruppo lo
raggiunse nel giro di pochi chilometri. Dopo 45 chilometri la corsa entrò nel vivo. A rompere gli indugi fu-
rono in quattro, di cui tre belgi: Wuyts (Lotto-Mobistar), Van Lancker e Stremersch (Vlaanderen 2002) e
Radaelli (Vini Caldirola-Sidermec). Al loro inseguimento si lanciò Bramati (Mapei-Quick Step). I quattro
battistrada svettarono sul Testico con 50” sul gruppo che aveva riassorbito Bramati. Al primo passaggio
da Laigueglia, i fuggitivi registrarono un vantaggio di 2'28' sul gruppo “tirato” dalla Polti (che aveva nelle
sue fila il beniamino di casa, Mirko Celestino) e dalla Lampre-Daikin. Poco dopo alle due equipe italiane
si aggiunsero altre, ed il vantaggio dei fuggitivi iniziò a diminuire. Ma al secondo passaggio sul Testico, il
quartetto vantava ancora 1’20” di vantaggio, mentre sul seguente passaggio da Laigueglia, a 50 km dal
termine, era salito di una decina di secondi. A segnare definitivamente la resa dei quattro di testa fu la
salita della Paravenna, sulle cui prime rampe il gruppo tornò compatto. Lungo l’ascesa, in contropiede,
partì il tedesco Steinhauser (Mapei-Quick Step), sul quale si portò il belga Demarbaix (Lotto-Mobistar),
ma il tentativo naufragò nel giro di due chilometri. Verso la cima della Paravenna perse contatto l’iridato
Camenzind, mentre davanti partirono Rebellin (Polti), Ferrigato (Ballan), Belli (Festina) e Savoldelli (Sa-
eco). I quattro fecero il vuoto e ad Alassio, iniziarono a preparare lo sprint, ma all'altezza dell'ultimo chi-
lometro, Salvoldelli con un colpo da gran finisseur li annichilì, andando a vincere indisturbato. Subito do-
po la conclusione, si poté assistere ad una delle prime spettacolarizzazioni del binomio “giustizia-
antidoping” a cui il ciclismo, purtroppo si abituerà con una costanza unica. Per un’indagine sul medico
Michele Ferrari, sospettato di praticare doping, furono prelevati dal Comando Compagnia dei Carabinieri
di Alassio (i Nas di Bologna e Firenze giravano già da alcune ore al seguito della corsa senza farne un
segreto) e portati in caserma, sei i corridori. Il vincitore Paolo Savoldelli (al quale non fu possibile pre-
sentarsi alla premiazione), il russo Pavel Tonkov, il belga Alex Merckx e gli italiani Ivan Gotti, Gianluca
Bortolami e Alessandro Bertolini. Quest’ultimo, raggiunse spontaneamente la caserma di Alassio, solo
alle 18 del pomeriggio, poiché per una caduta durante la corsa, era stato portato all'ospedale Santa Co-
rona di Pietra Ligure, per fare delle radiografie. Ovviamente grazie ai giornalisti, presenti come proci, di
fronte alla caserma, il Bertolini aveva tentato la fuga, ma non era affatto così. Perché il fermo dei sei?
Erano stati seguiti dal medico Ferrari e furono interrogato come persone informate sui fatti.

Sul vincitore.
Nato a Clusone il 7 maggio 1973. Completo. Alto 1,80 m. per 70 kg. Professionista dal 1996 al 2008, con
28 vittorie. Di Paolo Savoldelli tutti ricordano la sua punta, il suo pezzo forte, in quelle capacità di disce-
sista, che gli valsero il nomignolo di “Falco” e dove, in effetti, va valutato come uno dei più grandi nella
storia del ciclismo. Ma di punte questo ragazzone di Clusone, ne aveva un’altra che è stata forse la più
importante nei suoi più grandi successi: la capacità tattica. In pochi nel ciclismo moderno, robotizzato da
quelle radioline che mettono i corridori sempre più nelle mani dei tattici reali, ovvero i diesse, han mo-
strato qualità vicine alle sue. Il “Falco” sapeva leggere i momenti dell’affondo oltre alle traiettorie in di-
scesa, conosceva le sue doti ed i suoi limiti e sapeva osservare le qualità ed i difetti degli altri, le “eco-
nomie” di gara, i rapporti e le alleanze spesso involontarie che si distribuivano nelle consumazioni delle
corse. Insomma, uno che valeva 80 e che alla fine, per tutto questo, si poteva spendere per 100. E che
oggi faccia il commentatore in moto per la Tv e sia preciso, essenziale, senza fronzoli, ed in grado di
leggere le condizioni di chi osserva, non è altri che la prosecuzione di ciò che è stato sulla bicicletta. Uno
davvero forte, non già per il talento di nascita, che pure era buono, ma
per cervello agonistico.
Nelle categorie minori mostrò ciò che è più importante: crescere con co-
stanza. Soprattutto nel ’95, il suo ultimo anno da dilettante, seppe vince-
re corse che raramente mentono come il Trofeo Alcide De Gasperi, la
Coppa della Pace e la Medaglia d’Oro Frare-De Nardi. Nel 1996 passò
professionista nella Roslotto-ZG Mobili, team diretto da Moreno Argen-
tin. Partecipò subito al Tour de France dive ottenne un 5° posto di tappa
e chiuse a Parigi al 33° posto. Nel ’97 vinse la 4° tappa della Hofbrau
Cup e partecipò al suo primo Giro d’Italia che finì al 13° posto. Nel 1998
si trasferì alla Saeco, sodalizio che gli fece capire subito di puntare su di
lui per le corse a tappe. Paolo rispose vincendo una tappa e la Classifi-
ca finale del Giro del Trentino, cogliendo qualche bel piazzamento e
chiudendo 9° il Giro d’Italia. Nel 1999 l’esplosione. Vinse da subito il
Trofeo Laigueglia con una bella sparata, s’aggiudicò di nuovo il Giro del
Trentino, dove colse anche la prima tappa e al Giro d’Italia dell’oscura
defenestrazione del dominatore Marco Pantani, fu autore di una porten-
tosa discesa del Fauniera che gli valse la tappa di Borgo San Dalmazzo ed il 2° posto finale. In quell'edi-
zione del Giro, fu anche Maglia Rosa per un giorno, ma non l’indossò, perché per lui il titolare era, ap-
punto, l’appena defenestrato Pantani. Partecipò poi al Tour de France, ma si ritirò nella 10° frazione. Nel
2000, vinse la 3a tappa del Giro del Trentino che chiuse poi 3° e partecipò al Giro di Romandia, dove
vinse il Prologo ed il Giro stesso. Al Giro d'Italia partì bene poi cadde e s'infortunò alla schiena. Questo
episodio condizionò negativamente le sue prestazioni sia in quell’edizione che chiuse al 24° posto, che
in quella successiva. Partecipò poi al Tour de France, ma fu ovviamente incolore, 41°. Il 2001 di Savol-
delli s’aprì con un ambo di successi al Giro di Romandia, il Prologo e la 2a tappa, poi con una partecipa-
zione anonima al Giro d’Italia, dove chiuse 14°, ma non fu mai un protagonista. Partecipò poi alla Vuelta
di Spagna, ma come gli era già capitato nella prima partecipazione nel ’98, su ritirò nel corso della 11a
tappa. A fine anno, la Saeco decise di puntare su Gilberto Simoni e Savoldelli cambiò squadra, acca-
sandosi alla Index-Alexia Alluminio. Una squadra debole, che, però, segnò la sua rinascita. Vinse infatti
l’edizione 2002 del Giro d'Italia, grazie anche alle disavventure dei suoi rivali: Stefano Garzelli fu squali-
ficato per la positività ad un controllo antidoping, Gilberto Simoni si ritirò su invito del suo team poiché
trovato positivo alla cocaina ad un controllo effettuato due settimane prima del Giro (ma fu in seguito to-
talmente scagionato da tale accusa), Cadel Evans ebbe una crisi di fame durante l'ultima tappa di salita
e Francesco Casagrande fu escluso dalla competizione per aver spinto a terra un ciclista.
Da quel momento in poi, la fortuna incominciò a voltare le spalle a Savoldelli: tra il febbraio 2003 e il
gennaio del 2005 ebbe parecchi infortuni con tanto di fratture che lo tennero lontano dalle corse pratica-
mente per due anni. Con la maglia della T-Mobile, praticamente non corse mai e nel 2005 passò alla Di-
scovery Channel di Lance Armstrong. Col il nuovo team, debolissimo e praticamente solo sulla carta, da
solo, seppe vincere il Giro d'Italia 2005, precedendo Gilberto Simoni e giungendo così alla definitiva
consacrazione. Un successo costruito con grande intelligenza sulla linea del traguardo della frazione di
Zoldo Alto e con la sagacia tattica fuori dal comune, nella tappa del Colle delle Finestre. Voinse poi il GP
Formaggi Guffanti e, come spalla di Armstrong partecipò al Tour de France. Qui, contribuì alla vittoria
del suo team nella cronometro a squadre e, soprattutto, vinse la tappa Revel. Nel 2006, vinse il Prologo
del Giro di Romandia e la prima tappa, a cronometro, del Giro d’Italia, in quel di Seraing, in Belgio. Con-
quistò la Maglia Rosa che difese per due giorni e choiuse poi 5° a Milano. Nel 2007 passò all’Astana,
squadra del Kazakistan, vinse il cronoprologo di Friburgo al Giro di Romandia, poi a causa di una caduta
non fu in grado di puntare alla Maglia Rosa del Giro, dove chiuse 12°, ma con un bel successo di tappa:
nella cronometro di Bardolino di Verona. Nel finale di stagione vinse il Criterium di Horgen in Svizzera.
Corse poi la sua ultima stagione, quella del 2008, per la LPR Brakes-Ballan assieme a Danilo Di Luca.
Tolto da ogni possibilità di successo al Giro, a causa di una bronchite, aiutò il compagno di squadra con
grande disponibilità e la solita straordinaria intelligenza tattica. Chiuse il Giro 15° ed a fine anno lasciò il
ciclismo pedalato per salire a bordo delle moto-cronaca della RAI.

Ordine d’arrivo:
1° PAOLO SAVOLDELLI (Saeco) km 172,6 in 4h23'27" alla media di
39,915 kmh; 2° Andrea Ferrigato (Ballan) a 12"; 3° Davide Rebellin (Polti);
4° Wladimir Belli (Festina Lotus); 5° Giuliano Figueras (Mapei Quick Step)
a 41"; 6° Giuseppe Palumbo (Riso Scotti Vinavil); 7° Fabio Baldato (Polti);
8° Mirko Celestino (Polti); 9° Luca Mazzanti (Cantina Tollo); 10° Michael
Bladzun (Den-Jack & Jones); 11° Geert Verheyen (Bel-Lotto); 12° Roberto
Petito (Saeco); 13° Jens Voigt (Ger-Credit Agricole); 14° Daniele Nardello
(Mapei Quick Step); 15° Chris Horner (Usa-La Francaise Des Jeux); 16° An-
drea Noe (Mapei Quick Step); 17° Bradley McGee (Aus-La Francaise Des
Jeux); 18° Tobias Steinhauser (Ger-Mapei Quick Step); 19° Axel Merckx
(Bel-Mapei Quick Step); 20° Sebastien Demarbaix (Bel-Lotto) a 3'03", segue il resto del gruppo.

37a edizione: 15 febbraio 2000

La speranza di poter vedere allo start Marco Pantani al rientro dopo le note vicende, portò a Laigueglia
un pubblico strabocchevole. Ma le attese andarono deluse: il Pirata non fu tra i partenti e la corsa fu a
lungo monotona. Poi ad infiammare la folla ci fu il tifo per l’idolo locale Mirko Celestino, ed alla fine…non
mancarono gli applausi per il vincitore, Daniele Nardello (Mapei). La cronaca, come anticipato, fu molto
scarsa. Solo al secondo passaggio da Laigueglia, si verificò uno scossone ad opera di Camenzind
(Lampre), rimasto poi vittima di una caduta nella fase finale. Poi ci provarono Rebellin (Liquigas). Di Lu-
ca (Cantina Tollo) e Basso (Amica Chips), ma con tentativi che furono prontamente spenti. Quindi la fu-
ga decisiva a 30 chilometri dal termine ad opera di Nardello della Mapei, di Roberto Petito e Tadey Val-
javec della Fassa-Bortolo e di Andrei Kivilev (AGR2 Prevoyance). Ad inseguire e neutralizzare la fuga ci
hanno provato, negli ultimi 20 chilometri, una ventina di corridori, tra i quali Celestino (Polti) e di nuovo
Ivan Basso Campione del Mondo dilettanti '98, ma tutto è stato mutile. Sul rettilineo d'arrivo il quartetto si
presentò con un margine che permetteva loro di impostare tranquillamente lo sprint decisivo, dove ad
emergere fu Nardello davanti a Petito, Kivilev e Valijavec (quest'ultimo vincitore del settimo Memorial
Diego Pellegrini riservato al più combattivo).

Sul vincitore.
Nato a Varese il 2 agosto 1972. Passista scalatore. Alto 1,81 m per 69 kg. Professionista dal 1994 al
2009 con 27 vittorie. Figlio d’arte, il padre Primo fu professionista con l’Ignis dal 1963 al 1965, Daniele
va considerato come uno dei corridori italiani più evidenti a cavallo del nuovo millennio. Atleta abbastan-
za completo, a cui mancavano adeguate punte, soprattutto sulle lunghe salite, anche se nel complesso il
suo rendimento era buono anche lì, ed in possesso di una tangibile capacità tattica, ed una palpabile di-
sponibilità a fungere da pedina di squadra. Potremmo dire un perfetto figlio del ciclismo dei tempi mo-
derni, dove la spalla o il gregario di un tempo, con le nuove dinamiche, si sono trasformati in figure vin-
centi, in grado di raggiungere un più che buon palmares.
Iniziò a gareggiare a nove anni con la maglia dell'Unione Ciclistica Arcisate facendo poi tutta la trafila
delle categorie giovanili senza soluzione di continuità, ed aumentando via via il rendimento e
l’adattabilità ai filoni di questo sport, compresa la pratica di quella pista che solo i tecnici miopi del pedale
non sanno vedere come un momento precipuo nella formazione di
un corridore. Fra gli allievi, infatti, vinse il Tricolore nell’inseguimento
a squadre, indi fra gli juniores, nel 1990, conquistò prima il titolo di
Campione Regionale e, poi, si laureò Campione Italiano su strada.
Nei tre anni della sua permanenza tra i dilettanti, conquistando tredi-
ci vittorie e il Campionato Italiano "militari" su pista, nel 1991. Nel
1994 passò professionista nelle file della Mapei Clas, vincendo, una
tappa e la classifica finale dell'Australian Alpine Classic. L'anno suc-
cessivo si impose nella Paris-Bourges e nel Gp Zele ed a fine sta-
gione sfiorò il grande successo nel Giro di Lombardia, finendo 2°,
beffato, al pari del superato in volata Michele Bartoli, dall’allungo di
Gianni Faresin. Nel 1996, ottenne la sua prima vittoria italiana nella
Milano-Torino, che non fu l’unica, poiché aggiunse al successo tori-
nese la tappa di Naranco alla Vuelta di Spagna, una del Circuit de la
Sarthe e il GP d’Europa, una crono coppie corsa con Fabio Roscioli.
A dimostrazione della sua versatilità e completezza, fu selezionato
per i Mondiali a Crono di Lugano, dove chiuse 4°, uno dei migliori
piazzamenti italiani di sempre nella manifestazione. L’anno succes-
sivo vinse il Giro d’Austria e due tappe dello stesso e il Criterium
d’Abruzzo e partecipò al suo primo Tour de Frabnce che chiuse 18°.
Nel 1998, trovò proprio nella Grande Boucle i suoi migliori acuti di stagione: vinse la tappa di Carpentras
e chiuse 8° nella generale a Parigi. Vinse pure una frazione del “Guglielmo Tell” in Svizzera e fu selezio-
nato per i Mondiali su strada di Valkenburg, che chiuse 57°. Nel ’99 oltre a buoni piazzamenti, si miglioro
al Tour de France, dove finì 7°, vinse a Val d’Aran una tappa della Vuelta di Spagna e riconquisto la Pa-
rigi-Bourges. Ai Mondiali di Verona chiuse 10°. Iniziò alla grande la prima stagione del nuovo millennio,
vincendo il Trofeo Laigueglia, indi vinse il Tour d’Haut-Var, il Circuito Franco Belga, la “Duo Normand”,
crono coppie con Laszlo Bodrogi, una tappa del Giro d’Austroa e finì 10° il Tour de France. Nella stagio-
ne successiva mantenne un gran ruolino di piazzamenti e trovò tre acuti: rivinse il Tour d’Haut-Var, con-
quistò una tappa del Giro d’Austria e, soprattutto, a Carate Brianza, si laureò Campione Italiano su stra-
da. Fu poi doppio azzurro ai Mondiali di Lisbona: 24° a crono e 44° nella prova in linea. Senza grandi
acuti la sua stagione 2002, anche sovente piazzato. Vinse la Coppa Bernocchi e colse un’altra Maglia
Azzurra a Zolder, nel giorno del trionfo di Cipollini: chiuse 98°. Nel ’93, con la chiusura della Mapei passò
alla Telekom di Jan Ullrich e trovò anch’egli il modo di gioire alla grande: vinse il Campionato di Zurigo,
due tappe e la Classifica finale del Rheinland-Pfalz Rundfahrt, in Germania. Ai Mondiali di Hamilton
chiuse 65°. Ormai votato al compito di spalla e di gregario giunse a correre fino al 2009, passando pure
attraverso la LPR nel 2007, nella Selle Italia Diquigiovanni nel 2008 fino a chiudere con la Fuji Servetto.
Fu abcora azzurro nel 2004 ai Mondiali di Verona, dove chiuse 67°. In carriera ha corso 5 Giri d’Italia fi-
nendone 3 (miglior piazzamento 42° nel 2002), 8 Tour de France, tutti finiti (miglior piazza il 7° posto del
’99) e 5 Vuelta di Spagna (il 15° posto del ’96, fu il suo risultato migliore). A livello di classiche monu-
mento, da segnalare i due quinti posti nel “Fiandre” (2001 e 2002), l’8° alla “Roubaix” (2003), il 2°, il 4° e
il 5° posto nel “Lombardia” (rispettivamente nel 1995-’96 e 2004). Oggi è un collaboratore tecnico della
Green Edge Racing Team.
Ordine d’arrivo:
1° DANIELE NARDELLO (Mapei Quick Step) km 176 in 4h19'20"
alla media di 40,711 kmh; 2° Roberto Petito (Fassa Bortolo); 3° An-
drei Kivilev (Kaz-Ag2r Prevoyance); 4° Tadej Valjavec (Slo-Fassa
Bortolo) a 9"; 5° Markus Zberg (Sui-Rabobank) a 25"; 6° Ludovic Tur-
pin (Fra-Ag2r Prevoyance); 7° Mauro Zinetti (Colpack); 8° Nicolas
Zandarin (Alessio); 9° Luca Mazzanti (Fassa Bortolo); 10° Eddy Maz-
zoleni (Polti); 11° Guillano Figueras (Mapei Quick Step); 12° Cyrille
Saugrain (Fra-La Francaise Des Jeux); 13° Andrej Hauptman (Slo-Vini
Caldirola); 14° Danilo Di Luca (Cantina Tollo); 15° Oscar Camenzind
(Sui-Lampre Dainkin); 16° Rinaldo Nocentini (Mapei Quick Step); 17°
David Delrieu (Fra-Ag2r Prevoyance); 18° Marco Serpellini (Lampre
Dainkin); 19° Merckx (Bel-Mapei Quick Step); 20° Ivan Basso (Amica
Chips), segue il resto del gruppo. Partiti 190, arrivati 71.

38a edizione: 20 febbraio 2001

Il via ufficiale dei 192 partenti venne dato alle ore 11 e 6 minuti. Il primo vero attacco della giornata dopo
66 km, ad opera di Scinto (Mapei Quick Step), Loda (Fassa Bortolo) e Konyschev (Fassa Bortolo) che
guadagnarono una ventina di secondi ma lungo la discesa di Capo Mele vennero riassorbiti. Al primo
passaggio sul traguardo di Laigueglia, il gruppo transitò compatto ad andatura sostenuta, con la media
che dopo due ore di corsa, a 39,800 kmh. Sulle prime rampe del secondo passaggio sul Testico, anda-
rono all’attacco D'Hollander (Lotto-Adecco) e Scinto che transitarono in cima con 15" su un primo gruppo
inseguitore. Al secondo passaggio a Laigueglia (55 km all'arrivo), il tandem di testa registrò un anticipo
di '28" su Baliani e 1'45" sul gruppo dei migliori. A Villanova d'Albenga (40 km all'arrivo), il margine della
coppia di testa scese a 1'15" sul grosso che aveva riassorbito Baliani e sulla salita del Paravenna, dopo
54 km di fuga la coppia venne ripresa. L’ascesa, vide poi l’allungo di Davide Rebellin (Liquigas Pata), al
cui inseguimento si lanciarono Peter Farazjin (Cofidis) e Dario Frigo (Fassa Bortolo). In vetta al Para-
venna, Rebellin scollinò con 10" di vantaggio sui due e 15" sul gruppo dei migliori (20-25 unità). A 25 km
dall'arrivo, in testa si formò un quartetto composta da Rebellin, Farazjin, Frigo e da Bartoli autore di un
bel inseguimento. A 15" un primo gruppo d’inseguitori ed a 25" un altro gruppetto. In breve i primi inse-
guitori raggiunsero i 4 formando al comando un drappello di 21 unità. Al termine della discesa di Villano-
va, a 15 km dall’arrivo, allungarono in sei: Mirko Celestino (Saeco), Roberto Petito (Fassa Bortolo), Da-
vide Rebellin, Daniele Nardello (Mapei
Quick Step), Axel Merckx (Domo Farm
Frites) e Denis Lunghi (Colpack). Ai me-
no dieci, il loro vantaggio registrò 20" e
due km dopo, raggiunse il mezzo minuto.
Ai meno cinque, quando i battistrada an-
ziché condurre regolari iniziarono le sca-
ramucce, ugualmente si capì che la lotta
per il successo era una loro esclusiva.
Lunghi, tentò il colpo a sorpresa ben due
volte all'ultimo km, ma venne ripreso. Nel-
lo sprint decisivo a sei, l’allungo deciso di
Celestino ai 350 metri, fu sufficiente per
farlo vincere nettamente davanti a Nar-
dello, Rebellin, Petito e Merckx nell'ordi-
ne.

L’arrivo vincente di Celestino


(foto Bettini)
Sul vincitore.
Nato ad Albenga il 19 marzo 1974. Completo. Alto 1,73 m. per 65 kg di peso. Professionista su strada
dal 1996 al 2007 con 14 vittorie. Poi è diventato uno specialista delle marathon sulle ruote grasse, per
intenderci in quella mountain bike che lo vede tutt’oggi figura importante di questa specialità. Su strada
lo si è sempre aspettato come una futura star, perlomeno nelle classiche in linea, ma è rimasto peren-
nemente nell’anticamera della gloria assoluta. Un ottimo corridore s’intende e pur sempre in grado di e-
sibire un palmares che in tanti vorrebbero, ma un pizzico di delusione, nel rendicontare la sua carriera,
resta innegabile. Ed è pur vero che nel suo lungo tratto professionistico, ha incontrato sovente pagine
di sfortuna, che hanno inciso sui suoi valori di pregio. Gran discesista, forte sul passo ed in possesso di
una sparata da finisseur a cui aggiungeva un più che discreto spunto velo-
ce, Mirko Celestino è stato comunque un nome sul quale le attenzioni non si
sono mai appannate. Anche quando la sua tenuta sulle lunghe salite, che gli
precludeva velleità sui GT, evidenziò possibilità concretissime solo sulle
corse di un giorno e delle brevi corse a tappe.
Da dilettante fu molto tangibile, vinse corse importanti come il Palio del Re-
ciotto e con la maglia azzurra nel 1995, vinse il Campionato Europeo su
strada in quel di Trutnov,nella Repubblica Ceka, dove anticipò due futuri iri-
dati come Roman Vansteins e Giuliano Figueras. Nel 1996 passò al Profes-
sionismo, con il Team Polti. Dopo tanti piazzamenti, anche di peso, come il
3° posto nella tappa di Camaiore al Giro d’Italia ’97 ed il 2° nella Coppa
Placci dello stesso anno, ottenne le prime vittorie nel 1998, imponendosi nel
Giro dell'Emilia e nel Regio Tour, dove vinse la classifica finale e una tappa
e fu selezionato in azzurro per i Mondiali di Valkenburg, dove si ritirò nel
corso del 13° giro. Nel 1999, conquistò la vittoria nella Cyclassics di Amburgo, prova di Coppa del Mon-
do di Amburgo, indi la Coppa Placci, corse il Mondiale di Verona che chiuse 25° ed il sabato successi-
vo la prova iridata, fece suo il Giro di Lombardia, dove anticipò Di Luca e Mazzoleni, al termine di una
condotta di gara decisa e coraggiosa. Sembrava consacrato al grande ciclismo, ma nel 2000, anche per
qualche malanno, non ottenne vittorie, ma solo piazzamenti di prestigio nazionale che gli valsero co-
munque una nuova selezione per i Mondiali di Plouay, dove chiuse 58°. Nel 2001, passò alla Saeco, ed
aprì l’anno con la conquista, allo sprint, del comunque prestigioso Trofeo Laigueglia. Indi proseguì con la
speranza, che è sempre stata tutta sua in quanto ligure, di vincere la “Sanremo” che chiuse quell’anno
16°. Superato un appannamento sempre dovuto a momenti di sfortuna si rifece a fine stagione, vincendo
prima la Tre Valli Varesine, indi la più vecchia delle classiche: la Milano-Torino. Nel 2003, dovendosi di-
videre la squadra, con Danilo Di Luca, ebbe meno opportunità, ma fece bene, al punto di sfiorare la vitto-
ria nella “Classicissima” Milano-Sanremo, dove finì 2°, solo perché si trovò stretto nella forbice del suo
Mapei, composto da Paolo Bettini, che vinse, e Luca Paolini che fu 3°. Nell’anno comunque colse altri
piazzamenti di prestigio e conquistò due belle vittorie: la Settimana Ciclistica Internazionale Coppi & Bar-
tali a tappe e, nuovamente, la Milano Torino. Nel 2004 partì bene vincendo la frazione iniziale della
“Coppi & Bartali” che chiuse 2° in classifica, ma nel resto di stagione anche per recuperare un infortunio,
fu anonimo. Nel 2005 passò alla Domina Vacanze, dove fece incetta di grandi piazzamenti nazionali ed
internazionali (2° nella Milano-Torino, 3° nell’Amstel Gold Race, nel giro dell’Emilia e nella Coppa Saba-
tini), ma non ritrovò la vittoria. Ormai al declino continuò a correre fino al 2007, passando al Team Mil-
ram che aveva rilevato la Domina Vacanze, ma non trovò più il colpo di pedale d’un tempo, anche se
colse diversi piazzamenti: su tutti il 2° posto nel Tricolore 2006, dietro Bettini. A fine 2007 il passaggio
alla mountain bike, nella specialità “marathon”, dove vinse gli Italiani nel 2009 e 2011 e, nel 2010, finì 2°
agli Europei di Mointebelluna.

Ordine d’arrivo:
1° MIRKO CELESTINO (Saeco) km 172,6 in 4h16'07" alla media di 40,434
kmh; 2° Daniele Nardello (Mapei Quick Step); 3° Davide Rebellin (Liquigas Pata);
4. Roberto Petito (Fassa Bortolo); 5° Axel Merckx (Bel-Domo Farm Frites); 6° De-
nis Lunghi (Colpack); 7° Nicolay-Bo Larsen (Den-CSC) a 25"; 8° Gianluca Borto-
lami (Tacconi Sport Caldirola); 9° Raimondas Rumsas (Lit-Fassa Bortolo); 10° Se-
bastien Demarbaix (Bel-Ag2r Prevoyance); 11° Serge Baguet (Bel-Lotto); 12° An-
drea Ferrigato (Alessio) a 1'20"; 13° Freddy Gonzalez (Col-Selle Italia); 14° Mario
Aerts (Bel-Lotto); 15° Nicolas Vogondy (Fra-La Francaise Des Jeux); a 1'28"; 16°
Tom Stremersch (Bel-Vlaanderen T Interim); 17° Ruber Marin (Col-Selle Italia); 18° Paolo Savoldelli
(Saeco); 19° Federico Giabbecucci (Cantina Tollo); 20° Dario Frigo (Fassa Bortolo), segue il gruppo.
39a edizione: 19 febbraio 2002

Furono 194 i corridori allo start. Molto attesi Danilo Di Luca (Saeco) e Michele Bartoli (Fassa Bortolo),
già protagonisti nelle prime gare di stagione. Fu sul Paravena che si infiammo una corsa fino a quel
momento controllata delle squadre dei favoriti soprattutto sulle ascese del Testico. Ad accendere le po-
veri Paolo Bettini (Mapei Quick Step) sul quale chiuse Michele Bartoli, ed in contropiede partirono Rodol-
fo Massi (Amore e Vita) e Ivan Gotti (Alessio), ma anche il loro tentativo durò poco. Il colpo più vero lo
portò Danilo Di Luca che scollinò con 10" su una coppia formata da Michele Bartoli e Raimondas Rum-
sas (Lampre-Daikin) e 15" su Giuliano Figueras (Panaria Fiordo). Sul battistrada riuscirono poi a rientra-
re Bartoli, Figueras e Rumsas. In fondo alla discesa però, ritornarono sui 4, altri 14 corridori che sareb-
bero stati 15 se Tiralongo (Fassa Bortolo) non fosse caduto. Negli ultimi chilometri provarono a più ripre-
se l'allungo Vinokourov (Telekom), Mazzoleni (Tacconi Sport), Massi e Baguet (Lotto Adecco). Proprio
un attacco di quest'ultimo ad un km dal termine, scompaginò i piani dello sprint. Quando il belga sem-
brava aver messo a segno il colpo del finisseur, partì Di Luca con Mazzoleni e Dotti (Cage Maglierie) a
ruota. I tre chiusero il buco e Danilo trovò la forza di rilanciare lo sprint e battere Mazzoleni, Baguet e
Dotti nell'ordine. Michele Bartoli vinse la volata per il quinto posto. Poi un episodio curioso: il francese
Frederic Finot (Jean Delatour), anticipando di qualche metro il gruppo, esultò in modo plateale convinto
d’aver vinto….fra le risate e gli sfottò.

Sul vincitore.
Nato a Spoltore (PE) il 2 gennaio 1976, Completo. Alto 1,68 m. per 61 kg. Professionista dal settembre
1998 con 51 vittorie ad oggi. Aldilà del chiacchiericcio che avvolge i bacchettoni e gli inconsapevoli guer-
rafondai dell’osservatorio ciclistico, a giudizio di chi scrive, Danilo Di Luca è stato probabilmente il corri-
dore più forte, ed a tutto tondo, che l’Italia abbia avuto dopo l’assassinio di Marco Pantani. Tra l’altro in
possesso di una completezza che ha retto e superato con og-
gettività, ogni possibile confronto con chi pretende di equipa-
ragli qualche altro “nostrano”.
La sua storia, rappresenta l’ellisse di una passione che prima
ancora del soggetto in questione presenta le basi di un retro-
terra, quello familiare dove il ciclismo, sembra quasi il pane.
Che Danilo diventasse corridore lo si capì subito e che ini-
ziasse presto, fin dagli esordienti, crescendo pian piano in
sincronia con lo sviluppo fisico, altrettanto. Non a caso esplo-
se da dilettante e non come sovente avviene in chi crede di
avere fra le mani un Merckx, nelle categorie dove sarebbe le-
gittimo giocare: le prime a livello giovanile. Nel 1998, l’apice
della sua carriera dilettantistica, lo evidenziò come corridore in
grado di poter ambire ad un futuro professionistico completo,
valido su ogni tipo di gara. Aspetto, questo, che molti superfi-
ciali osservatori quarda caso contenuti in importanti, ma sem-
pre più decadenti giornali hanno dimenticato. Fatto sta che in
quella stagione, Danilo, nelle file del team friulano “Record
Cucine Caneva” vinse il Campionato Italiano, il Giro del Friuli
e il Giro d'Italia baby ed arrivò 3° ai Mondiali di Valkenburg. Il
quel palmares, c’era un annuncio, ripeto, troppo dimenticato.
Nel settembre di quell’anno passò come stagiaire fra i prof e
dall’alba della stagione ’99 in pianta stabile, all’interno del
team “Cantina Tollo-Alexia”. Il suo esordio fu ottimo: vinse
una tappa del Giro d'Abruzzo, ma soprattutto, si piazzò 2° al Giro di Lombardia, 2° nella classifica finale
del Giro d'Abruzzo, 2° nel Gp di Larciano e 2° nella tappa del Monte Sirino al Giro d'Italia. Nel 2000,
conquistò dapprima il Trofeo Pantalica, indi una difficile tappa al Giro dei Paesi Baschi che chiuse 2°, poi
il Gran Premio Industria e Commercio di Larciano, due tappe al Giro d'Abruzzo e, soprattutto, la frazione
di Gargano al Giro d'Italia. Si guadagnò il pass per le Olimpiadi di Sydney, che chiuse 11°, e per i Mon-
diali di Plouay dove si ritirò. Il 2001, l’ultimo con la Cantina Tollo, lo consacrò. Vinse 7 corse, fra le quali
una tappa del Giro d’Italia ed una della Settimana Catalana, ma, soprattutto, fece suo il Giro di Lombar-
dia. Nel 2002 passò alla Saeco, vincendo subito il Trofeo Laigueglia, a cui aggiunse altri sei successi,
ossia il Giro del Veneto, una tappa alla Vuelta di Spagna, una in quella di Valencia, due frazioni della Tir-
reno Adriatico ed il GP Mengoni. Si distinse anche coi piazzamenti di prestigio: 3° nell'Amstel Gold Ra-
de, 11° alla Freccia Vallone, 8° alla Liegi-Bastogne-Liegi e 3° nella Classica di San Sebastian. La sta-
gione successiva, l’ultima con le maglie rosse della Saeco, fu deludente in quanto a vittorie (il Trofeo
Matteotti, il Brixia Tour e una frazione della Vuelta a Murcia), ma continuò a vederlo protagonista nelle
Ardenne: fu 2° nella Freccia Vallone e 4° nell’Amstel Gold Race.
Nel 2005, passò alla Liquigas, e di lui parlò tutto il mondo. Vinse
la prima edizione dell'UCI ProTour, classifica che ha da sempre
l’ambizione di premiare il miglior ciclista della stagione, grazie ai
successi al Giro dei Paesi Baschi, all'Amstel Gold Race ed alla
Freccia Vallone, il 4° posto al Giro d'Italia con due vittorie di
tappa. Il suo nomignolo, “Killer di Spoltore”, sembrò a tanti come
uina lettura fedele delle sue risultanze atletiche. Il 2006, vissuto
per la prima volta con lo scopo di vincere il Giro d’Italia, lo vide
più appannato, ma sempre protagonista piazzato nelle “classi-
che ardennesi” e poi deludente nella corsa rosa. Anche al Tour
de France una delusione, stavolta a causa di una infiammazione
al sottosella, che lo costrinse al ritiro. Nel 2007 però, si rifece
con gli interessi: vinse dapprima la Milano-Torino ed una tappa
alla Settimana Internazionale di Coppi e Bartali, indi si scatenò
nelle classiche delle Ardenne, con la vittoria nella Liegi-
Bastogne-Liegi, qualla che gli mancava, ed i terzi posti all'Am-
stel Gold Race ed alla Freccia Vallone. Poi, caso non certo co-
mune nel ciclismo della decadenza, “dell’armstronghismo” e dei
santoni, medesime facce del sempre più involuto pedale
d’attualità, dopo la campagna delle classiche, s’aggiudicò il 90°
Giro d'Italia, arricchito da due successi di tappa. Un successo
dieci anni dopo la vittoria nel Giro Baby, primo abruzzese a riuscirvi, nonché vincitore italiano più meri-
dionale della storia. Nel 2008, passò alla LPR Brakes-Farnese Vini e subì una flessione: vinse la Setti-
mana Lombarda più una tappa della stessa e, soprattutto il Giro dell’Emilia, ma al Giro d’Italia chiuse 8°
anche se sfiorò la Maglia Rosa nella tappa di Monte Pora. L’anno successivo, dopo il successo in una
tappa del “Trentino”, partecipò al Giro d'Italia del Centenario, con ovvie ambizioni, ma fu costretto ad in-
chinarsi al russo Denis Menchov. Arricchì il 2° posto finale, con una vittoria di tappa. Il 22 luglio venne
ufficializzata, in attesa delle controanalisi, la sua positività al CERA in due controlli antidoping al Giro d'I-
talia. Le controanalisi confermarono la positività: fu licenziato dalla Lpr ed il 1º febbraio 2010, venne
squalificato per due anni dal tribunale nazionale antidoping del Coni. Tornò a correre nel 2011 con team
Katusha, giusto in tempo per qualche piazzamento. Buona invece la sua stagione 2012, corsa
nell’Acqua & Sapone. Due vittorie: il GP Nobili Rubinetterie e una tappa del Giro d’Austria, nonché diver-
si piazzamenti in classiche nazionali, culminate nel 2° posto al Campionato Italiano. Attualmente, dopo la
chiusura del sodalizio, è in trattativa con la “Vini Fantini” per prolungare la sua carriera che resterà, co-
munque vada questa appendice, da autentico campione.

Ordine d’allivo:
1° DANILO DI LUCA (Saeco Macchine Caffè) km 172,5 in 4h29'36"
alla media di 38,412 kmh; 2° Eddy Mazzoleni (Tacconi Sport); 3° Serge
Baguet (Bel-Lotto Adecco); 4° Fausto Dotti (Cage Maglierie) a 2”; 5° Mi-
chele Bartoli (Fassa Bortolo); 6° Mirko Celestino (Saeco Macchine Caf-
fè); 7° Giuliano Figueras (Ceramiche Panaria Fiordo); 8° Paolo Bettini
(Mapei Quick Step); 9° Raffaele Ferrara (Alessio); 10° Luca Mazzanti
(Mercatone Uno); 11° Alexandre Vinokourov (Kaz-Telekom); 12° Davide
Rebellin (Gerolsteiner); 13° Paolo Savoldelli (Index Alexia Alluminio);
14° Raimondas Rumsas (Lit-Lampre Daikin); 15° Massimiliano Gentili
(Acqua & Sapone Cantina Tollo); 16° Alexandre Botcharov (Rus-Ag2r
Prevoyance); 17° Ivan Gotti (Alessio);18° Rodolfo Massi (Amore e Vita);
19° Frédéric Finot (Fra-Jean Delatour) a 1'23"; 20° Tom Boonen (Bel-US
Postal) a 1'25", che supera in volata il gruppo.
40a edizione: 18 febbraio 2003

Il via ufficiale dei 198 partenti fu dato alle 10,51 a Laigueglia-Badarò. Partenza turistica: dopo la prima
ora di corsa la media del gruppo compatto era di 31,5 kmh. La bagarre in testa iniziò sul primo GPM di
Passo del Ginestro (la cui classifica fu intitolata alla memoria di Denis Zanette), dove transitò al coman-
do Hernan Dario Munoz (Colombia Selle Italia) su Freddy Gonzalez (Colombia Selle Italia) e Francesco
Bellotti (Mercatone Uno), ma fu solo un episodio dei tanti che seguirino senza però alzare più di tanto la
media generale. Dopo 100 km di gara, infatti, al comando un gruppo ancora forte di una novantina di
corridori ed una media dopo tre ore di corsa di soli 33,9 kmh. Ancora qualche piccola scaramuccia e ce-
dimenti figli dell’impreparazione, fino al km 115, dove si registrò l’allungo di Michele Colleoni (De Nardi
Colpack) e Mirko Marini (Tenax), sui quali si riportarono subito Matthew White (US Postal), Kyrylo Po-
spyeyev (Domina Vacanze) e Frederick Willems (Vlaanderen). A Ceriale, dopo 127 km, il vantaggio del
quintetto sul resto del gruppo fu di 1'05", poi, pian piano, l’anticipo dei battistrada iniziò a scendere. Al
km 138 i Colleoni e Marini si rialzarono e vennero ripresi dal gruppo ed un chilometro dopo la stessa sor-
te capitò agli altri tre. A quel punto nuove scaramucce, ma nonostante la salita del Passo Balestrino,
all'innesto con l'Aurelia, in testa si ritrovò un gruppo forte di 27 unità. Dietro ad inseguire, altri gruppetti.
L’andatura, finalmente veloce dettata dalle trenate di gregari e spalle degli uomini più veloci del drappel-
lo al comando, al fine di non far rientrare avversari pericolosi fu la costante che portò i battistrada fino a
5 km dal traguardo. Qui provarono ad uscire Kim Kirchen (Fassa Bortolo), Michael Rogers (Quick Step)
e Yaroslav Popovych (Landbouwkrediet), indi Mirko Celestino (Saeco), ma nulla di fatto e nella volata
finale emerse piuttosto facile un regale Filippo Pozzato.

Sul vincitore.
Nato a Sandrigo (VI) il 10 settembre 1981. Passista veloce. Alto 1,83 m. per 73 kg. Professionista dal
2000 con 49 vittorie ad oggi. E’ ancora troppo presto per dire che le attese su Filippo Pozzato sono an-
date deluse. Ha ancora la possibilità di rifarsi su alcuni traguardi che erano nelle sue possibilità, ma è
certo che, pur con un buon palmares ad oggi, in pochi, agli inizi del mil-
lennio, lo avrebbero pronosticato ad un livello come quello odierno.
Spesso i predestinati non divengon tali, perché nel momento
dell’annuncio si è accecati dalle qualità fisiche, ma i grandi campioni di
qualsivoglia sport, giungono a quei livelli per quella componente che ab-
bisogna di tempo per verificarsi e che viene volgarmente definita “testa”.
Sia chiaro, non significa deficienza di QI, ma un insieme di facoltà e di-
sponibilità, sublimate su una particolare psicologia, che stanno nei centri
nervosi del cervello, ovvero il computer più complicato che ci sia, ed ir-
raggiungibile da qualsivoglia macchina chiamata così. Per buona pace di
chi di fronte al progresso non solo si piega ma si prostituisce, guarda ca-
so proprio con la prostituzione peggiore che non sta nel sesso ma nella
mente. Filippo Pozzato è, per ora, uno strereotipo di atleta dal potenziale
fisico sommo e con una “testa” che non risponde come si deve. Basti ci-
tare come s’è trovato, sovente, nelle condizioni cruciali di gare importan-
ti, afflitto da crampi di chiara origine psicologica. Forse non c’erano ma
lui li sentiva. Quando invece non aveva niente da perdere, ma solo da
conquistare, ha vinto in linea con quel talento che gli riconosce fin da al-
lievo. I suoi successi più belli ed importanti, li ha conquistati così. Da
menzionare, in ordine temporale, i due Laigueglia conquistati (2003-’04),
la Tirreno Adriatico (2003), la tappa di Saint-Brieuc al Tour (2004), l’Hev
Cyclassics (2005), il Giro del Lazio (2005), la Classicissima Milano- San-
remo (2006), l’Het Volk (2007), la tappa di Chablis al Tour (2007) e l’E3
Prijs Harelbeke. Gli altri successi sono stati decisamente meno significa-
tivi, compreso il Tricolore vinto nel 2009 e la tappa del Giro d’Italia a Por-
to Recanati nel 2010. Si sbloccherà compitamente in questo 2013 che
correrà con la Lampre Merida? Speriamo. E sono due sono le corse che possono rendere la sua carriera
più piena ed linea con quel che di lui si pensava: il Giro delle Fiandre e la Parigi Roubaix. Avrà una
squadra a disposizione, deve pensare da capitano assoluto, anche se ci sono altri nomi con ambizioni
nel team. Lo deve fare, perché nessuno nell’iper-claudicante ciclismo italiano possiede la sua classe. Se
non lo farà perderà un’occasione d’oro, probabilmente l’ultima.

Ordine d’arrivo:
1° FILIPPO POZZATO (Fassa Bortolo) km 183 ien 4h53'13"
alla media di 37,446 kmh;
2° Fabio Sacchi (Saeco Macchine per Caffè); 3° Fabio Baldato (A-
lessio); 4° Paolo Bettini (Quick Step Davitamon); 5° Massimiliano
Mori (Formaggi Pinzolo Fiavè); 6° Viatcheslav Ekimov (Rus-Us
Postal Service); 7° Mirko Celestino (Saeco Macchine per Caffè); 8°
Sergio Barbero (Lampre); 9° Luca Mazzanti (Ceramiche Panaria–
Fiordo); 10° Uros Murn (Slo-Formaggi Pinzolo Fiavè); 11° Cédric
Vasseur (Fra-Cofidis); 12° Giuseppe Palumbo (De Nardi Colpack);
13° Peter Farazijn (Bel-Cofidis); 14° Vladimir Miholjevic (Cro-
Alessio); 15° Nick Nuyens (Bel-Quick Step Davitamon); 16° Jurgen
Van de Walle (Bel-Vlaanderen T Interim); 17° Kyrylo Pospyeyev
(Ukr-Domina Vacanze Elitron); 18° Michele Scarponi (Domina Va-
canze Elitron); 19° Yaroslav Popovych (Ukr-Landbouwkrediet Col-
nago); 20° Raimondas Rumsas (Lit-Lampre); 21° Roberto Petito
(Fassa Bortolo); 22° Paolo Tiralongo (Panaria Fiordo); 23° Lorenzo Bernucci (Landbouwkrediet Colna-
go); 24° Dario Frigo (Fassa Bortolo) a 10”, seguono altri frazionati.

41a edizione: 17 febbraio 2004

Alla start dei 194 corridori partecipanti, a dominare fu la commozione per òla scomparsa di Marco Pan-
tani, al cui ricordo vebnne osservato un minuto di silenzio. Il via alle 10,48, vede dato dal Sindaco di Lai-
gueglia Silvano Montaldo. Andatura regolare e gruppo compatto per i primi 37 km di corsa. Poi una lun-
ga fase di tentativi e ricongiungimenti fino ad un episodio di peso maggiore al km 70, quando ad andar-
sene furono De Schrooder (Vlaanderen), Moncoutie (Cofidis), Pospyeyev (Acqua & Sapone) e Salomo-
ne (Team Barloworld), sui quali rientrano quasi immediatamente anche Adyeyev (Landbouwkrediet),
Southam (Amore&Vita), Flecha Giannoni (Fassa Bortolo), Paolini (Quick Step), Jaksche (Team CSC).
Rebellin (Gerolsteiner), Jones (Domina Vacanze), Lotz (Rabobank) e Bertolini (Alessio). L’iniziativa dei
13 battistrada fu tale fino al novantesimo chilometro di gara. Ancora una fase di scaramucce ed al cen-
tesimo chilometro il gruppo di testa s’era assottigliato a 25 unità. Dopo tre ore di gara la media fu di
37,350 kmh. Poco prima dell'inizio della salita verso l'ultimo GPM di Passo Balestrino, il vantaggio del
primo drappello sul grosso frazionato scese a 53". I primi versanti del Passo causarono il cedimento da-
vanti di Adyeyev (Landbouwkrediet) e
Southam (Amore&Vita). A 2 km dal
GPM, restarono in testa solo Kim Kir-
chen (Fassa Bortolo) e Simone Ma-
sciarelli (Vini Caldirola), poi in cima al
Balestrino, il lussemburghese passò
solo, con 10” su Masciarelli, 45” su
Giunti (Domina Vacanze) e gli altri 20.
Il gruppo passò con un ritardo di
1'05". In discesa forò Bertolini (Ales-
sio) e uscì di strada Cunego (Team
Saeco) senza conseguenze, mentre
furono numerosi i rientri. Al comando
si riformò la coppia Kirchen-
Masciarelli che a 27 Km dell'arrivo,
registrò un vantaggio sul gruppo, ri-
composto, di 45". Ad 8 chilometri dal
termine la coppia al comando fu riassorbita dagli inseguitori. Ai meno 6 attaccarono Popovych (Lanbo-
wcredit) e Rebellin (Gerolsteiner), ma il gruppo li raggiunse in poco più di un chilometro. Gli uomini della
Fassa Bortolo a quel punto operarono un treno e la volata divenne inevitabile. Come l’anno precedente,
un nuovo regale sprint di Filippo Pozzato, gli donò il bis.

Sul vincitore.
Tutte le vittorie da prof di Filippo Pozzato (49).
2002 (Mapei-Quick Step-Latexco) 14 vittorie: 11a tap-
pa Vuelta a Cuba (Cronometro); Classifica generale
Vuelta a Cuba; Giro del Lago Maggiore; Prologo Tour de
Normandie; 2a-3°-5a tappa Tour de Normandie; Tour du
Lac Leman; 4a-7a tappa Giro di Slovenia; Prologo Bohe-
mia Tour; 1a tappa Tour de l'Avenir (Cronometro); 5a
tappa Tour de l'Avenir; Duo Normand (con Evgenij Pe-
trov, Cronocoppie). 2003 (Fassa Bortolo) 5 vittorie: Tro-
feo Laigueglia; Giro dell'Etna; 2a tappa Tirreno-Adriatico
(Sabaudia-Tarquinia); Classifica generale Tirreno-
Adriatico; Trofeo Matteotti.
2004 (Fassa Bortolo) 3 vittorie: Giro della Liguria; Tro-
feo Laigueglia; 7a tappa Tour de France (Chateaubriant-
Saint-Brieuc). 2005 (Quick Step-Innergetic) 3 vittorie:
Cyclassics di Amburgo; Giro del Lazio; 2a tappa Giro di
Germania (Pegnitz-Bodenmais). 2006 (Quick Step-
Innergetic) 3 vittorie: Milano-Sanremo; 3a tappa Tour of
Britain, Criterium Chiavari.
2007 (Liquigas) 7 vittorie: Tour du Haut-Var; Omloop
Het Volk; 5a tappa Tour de France (Chablis-Autun); Tro-
feo Matteotti; 6a tappa Tour de Pologne; Gran Premio In-
dustria e Commercio di Prato; Criterium Herentals.
2008 (Liquigas) 4 vittorie: 1a tappa Giro della Provincia
di Grosseto; Classifica generale Giro della Provincia di
Grosseto; Wiener Radfest; 1a tappa Vuelta di Spagna
(Granada, cronosquadre). 2009 (Team Katusha) 6 vitto-
rie: E3 Prijs Vlaanderen; 1a tappa Tre Giorni di La Pan-
ne; Coppa Placci, Campionato Italiano; Giro del Veneto;
Memorial Cimurri. 2010 (Team Katusha) 2 vittorie: 12a
tappa Giro d'Italia (Città Sant'Angelo-Porto Recanati); 3°
tappa Vuelta a Burgos (Cronosquadre). 2011 (Team Ka-
tusha) una vittoria: Gran Premio Bruno Beghelli. 2012 (Farnese Vini) una vittoria: Gran Premio Indu-
stria e Artigianato.

Ordine d’arrivo:
1° FILIPPO POZZATO (Fassa Bortolo) km 183,3 in 4h35'28"
alla media di 39,924 kmh; 2° Lorenzo Bernucci (Landbouwkrediet
Colnago); 3° Romans Vainsteins (Let-Lampre); 4° Serhiy Honchar
(Ukr-De Nardi); 5° Luca Paolini (Quick Step Davitamon); 6° Mar-
kus Zberg (Sui-Gerolsteiner); 7° Daniele Pietropolli (Tenax); 8° Pa-
olo Bossoni (Lampre); 9° Massimiliano Gentili (Domina Vacanze);
10° Massimo Giunti (Domina Vacanze); 11° Michael Skelde (Den-
Alessio Bianchi); 12° Antonio Bucciero (Saeco); 13° Alessandro
Vanotti (De Nardi); 14° Mauro Zinetti (Vini Caldirola Nobili Rubi-
netterie); 15° Giuseppe Palumbo (Acqua & Sapone Caffè Mokam-
bo);16° Fabio Sacchi (Fassa Bortolo); 17° Andrea Moletta (Barlo-
world); 18° Alessandro Bertolini (Alessio Bianchi); 19° Mauro San-
tambrogio (L.P.R. Piacenza Magagement); 20° Benny De Schrooder
(Bel-Vlaanderen T Interim), segue il resto del gruppo.
42a edizione: 15 febbraio 2005

Furono in 183 allo start di Laigueglia-Badarò alle 10,45 del mattino. Il primo tentativo dio una certa porta-
ta ad opera del francese Florent Brard (Agritubel), al km 32. Al passaggio di Passo del Ginestro (km.
39,8) primo Florent Brard, secondo José Rujano Guillen (Colombia Selle Italia) a 2'30" terzo Andrea Tafi
(Saunier Duval) a 3'45". Il gruppo transitò a 3'50". Mentre gli inseguitori vennero presto assorbiti, il batti-
strada continuò ad aumentare il vantaggio fino ai 9 minuti registrati al km 72. Al passaggio sul traguardo
di Laigueglia (km 110,9) Brard era ancora al comando con un vantaggio ridotto a 5'15", sul gruppo allun-
gato. Un nuovo rilevamento al km122, registrò una ulteriore diminuzione del vantaggio del transalpino:
4'48". Sotto la spinta degli uomini Liquigas e Ceramiche Panaria l’anticipo del fuggitivo continuò visto-
samente a diminuire fino all’assorbimento al km.136, dopo ben 104 km in avanscoperta. Al km 150 (33
al termine), scattarono Pellizotti (Liquigas Bianchi) e Marzoli (Acqua & Sapone). Sulla salita che portava
al terzo GPM (Passo Balestrino), mollò Marzoli ed in cima passarono nell’ordine Kirchen (Fassa Borto-
lo), Pellizotti, Frigo (Fassa Bortolo) e Tiralongo (Panaria Navigare). I quattro al comando aumentarono il
loro vantaggio lungo la discesa. A Ceriale il loro anticipo registrò una ventina di secondi su un altro quar-
tetto composto da Flecha (Fassa Bortolo), Gobbi (Domina Vacanze), Marzoli (Acqua&Sapone) e Lo-
vkvist (Française des Jeux), a 42" il gruppo. Quando mancavano 10 km all'arrivo, il ritardo dei primi in-
seguitori salì a 43", mentre il disavanzo del gruppo fu di 1'12". Gli ultimi chilometri non cambiarono la si-
tuazione e nello sprint decisivo Pellizotti partì ai 150 metri, seguito da Kirchen, Tiralongo e Frigo, ma
negli ultimi 50 l’affondo del lussemburghese fu decisivo. Dopo tanto protagonismo in questa corsa, Kir-
chen poté finalmente gioire.

Sul vincitore.
Nato a Rammeldange (Lux) il 3 luglio 1978. Passista scalatore. Alto 1,78 m per 68 kg. Professionista dal
2001 al 2010 con 23 vittorie. Figlio d’arte, il padre Ernest è stato professionista nel 1974, anche i suoi
secondi zii, Jengh e Jim, erano stati valenti figure del ciclismo lus-
semburghese. Ciononostante, Kim non divenne subito ciclista: fino ai
sedici anni, infatti, giocava prevalentemente a calcio, con apparizioni
ciclistiche solo dall’età di 13 anni, seppur subito evidenti nelle risultan-
ze. Nel primo anno in cui si dedicò completamente al pedale, a quasi
18 anni, vinse il titolo juniores: era il 1996. Nel 1998, entrò a far parte
del piccolo team semiprofessionistico della De Nardi, in Italia.
L’esordio nella massima categoria, sempre con la squadra veneta av-
venne nel 2000. In quegli anni Kirchen era comunque divenuto un faro
del movimento ciclistico del Grandicato. Nel 2001 entrò nello squadri-
ne della Fassa Bortolo ed arruvò la prima vittoria pesante e da consi-
derarsi totalmente professionistica: la 3a tappa del Giro di Lussem-
burgo. La stagione successiva rimarcò i suoi progressi internazionali:
vinse il Giro d’Olanda a tappe e il Tour di Berna. Nel 2003, fece capire
di poter emergere nelle classiche: Vinse la Parigi Bruxelles e ben si
comportò nell’Het Volk, nella “Sanremo”, nella Freccia Vallone ed in
quella del Brabante. Partecipò al suo primo Giro d’Italia che chiuse
29° e chiuse il Tour de Suisse al 4° posto, a solo 1’46” dal vincitore
Vinokourov. In altre parole, un corridore completo. Tanti piazzamenti
nel 2004, su tutti il 5° posto alle Olimpiadi nella gara in linea, ma pure
tre vittorie: il Campionato Nazionale su strada, la 5a tappa del Giro di
Lussemburgo e il Gala Topur de France, manifestazione che lo vide
partecipare e concludere al 63° posto. Aprì alla grande il 2005, vin-
cendo il Trofeo Laigueglia, il GP Chiasso, la 1a tappa (cronosquadre)
e la 5a della Settimana ciclistica Internazionale Coppi & Bartali, finì 2°
nella Freccia Vallone dietro Danilo Di Luca. Nel prosieguo di stagione
chiuse al posto d’onore il Campionato Nazionale e la Coppa Placci e vinse, dominando, il Giro di Polonia
arricchito da un successo di tappa e nella Classifica a punti. Nel 2006, con la chiusura della Fassa Bor-
tolo, passò alla Telekom, squadrone tedesco, ma incocciò in una stagione assai inferiore alle attese:
vinse il Titolo Nazionale su strada ed il Prologo del Giro di Lussemburgo. Si riprese l’anno successivo,
dove, pur non tagliando per primo nessun traguardo, fu protagonista piazzato in diverse classiche e
chiuse 7° il Tour de France, trovandosi poi vincitore del tappone di Louron per la squalifica per positività
all’antidoping di Vinokourov. Dopo difficili fasi iniziali nella stagione 2008, esplose al Giro dei Paesi Ba-
schi, dove vinse due tappe e finì 2° nella Classifica a punti. Trionfò poi alla grande nella Freccia Vallone,
la seconda classica a finire nel suo palmares. Conquistò in estate il Titolo Nazionale a cronometro e,
nell’atteso per lui Tour de France, non si miglioro: chiuse 7°. Partecipò alle Olimpiadi finendo 46° nella
prova in linea e 22° in quella a cronometro. La stagione 2009 iniziò male per Kim Kirchen, che fu vittima
di una caduta nel Giro della California, rompendosi una clavicola che gli impedì di partecipare le classi-
che di primavera. A fine giugno, dopo aver riconquistato il Titolo Nazionale contro le lancette, cercò di
raggiungere quella “top 5” al Tour de France che era il suo sogno, ma non riuscì ad emergere, anzi andò
spesso in crisi al punto di chiudere con un modesto 57° posto. Nel 2010, lasciò il Team Colombia che
aveva ereditato la Telekom, per approdare al Team Katusha. La sua salute però cominciò a scricchiola-
re in aprile, dive finì in ospedale per accertamenti, per poi degenerare dirante la settima tappa del Giro di
Svizzera, quando fu colpito da un attacco di cuore. Grazie alla prontezza del medico della sua squadra,
fu portato in clinica pur in condizioni critiche. Qui fu posto in coma artificiale per quattro giorni. Fortuna-
tamente si riprese, ma lì chiuse la carriera agonistica. Oggi lavora al Dipartimento dello sport del Gran-
ducato di Lussemburgo.

Ordine d’arrivo:
1° KIM KIRCHEN (Lux-Fassa Bortolo) km 183,3 in 4h50' alla media
di 37,924 kmh; 2° Franco Pellizotti (Liquigas – Bianchi); 3° Paolo Tira-
longo (Ceramica Panaria Navigare); 4° Dario Frigo (Fassa Bortolo); 5°
Ruggero Marzoli (Acqua & Sapone Adria Mobil) a 37”; 6° Michele
Gobbi (Domina Vacanze); 7° Juan Antonio Flecha Giannoni (Esp-Fassa
Bortolo); 8° Thomas Lovkvist (Swe-Française des Jeux); 9° Mauro San-
tambrogio (Team L.P.R.) a 51”; 10° Manuel Quinziato (Saunier Duval
Prodir); 11° Fabio Sacchi (Fassa Bortolo); 12° Mirko Celestino (Domina
Vacanze); 13° Pasquale Muto (Miche); 14° Daniele Pietropolli (Tenax
Salmilano); 15° Crescenzo d'Amore (Acqua & Sapone Adria Mobil); 16°
Moises Aldape Chavez (Panaria Navigare); 17° Alessandro Cortinovis
(Domina Vacanze); 18° Marlon Alirio Perez Arango (Col-Colombia Selle
Italia); 19° Lénaïc Olivier (Fra-Agritubel); 20° Philippe Gilbert (Bel-
Francaise Des Jeux), segue il resto del gruppo.

43a edizione: 14 febbraio 2006

Alla partenza alle 10,46 si presentarono in 184. Il primo episodio di nota dopo 18 km, ad opera di Buffaz
(Agritubel), Wegelius (Liquigas), Dyudya (Milram), Pidgornyy (Tenax) e Caccia (Barloworld). Questi uo-
mini restarono al comando fino al km 46. Al km 57 allungò il francese Crosbie (Agritubel) sul quale poco
più di 10 chilometri dopo si riportò Grivko (Milram). I due proseguirono senza mai registrare un grosso
vantaggio per una ventina di chilometro poi il transalpino mollò ed anche l’ucraino fu riassorbito dal
gruppo al km 97. Successivamente si registrarono i tentativi di Bodrogi (Credit Agricole) e di Christensen
(Barloworld) che rimaserpo al comando insieme per una decina di chilometri, poi l’ungherese mollò men-
tre il danese continuò, fino ad una cinquantina di km dal traguardo. Nel gruppo si scatenò la battaglie ed
in testa si portò un folto drappello di una ventina di unità. Sulla salita di Balestrino passò primo Illiano
(Selle Italia), seguito da Ballan (Lampre) e Ghisalberti (Milram), a 20" un primo gruppo d'inseguitori ed a
48" il gruppo ammiraglie. La discesa ricompattò il primo drappello ed in testa rimasero in sedici. Al cartel-
lo dei meno 15 all'arrivo il loro vantaggio registrò un anticipo di 1'20". Quattro chilometri dopo allungaro-
no Visconti (Milram), Ballan, Caucchioli (Credit Agricole), Nocentini (Acqua & Sapone) e Cumming (Lan-
dbouwkrediet) che divennero presto imprendibili. Nella volata decisiva ai cinquecento metri provò Cauc-
chioli, ma Visconti chiuse ed trecento metri lanciò lo sprint. Troppo presto però, ed a vincere fu Ballan,
su Cumming e Nocentini.
Sul vincitore.
Nato a Castelfranco Veneto (TV) il 6 novembre 1979. Fratello minore di Andrea, prof con la De Nardi
Montegrappa nel 2002. Alessandro ha iniziato a correre ad 8 anni, tra i giovanissimi dell'UC Giorgione.
Nel 1998 è passato dilettante militando nella Zalf Fior, Trevigiani e Cyber Team. Nelle 6 stagioni di per-
manenza nella categoria, ha collezionando 13 vittorie, tra le quali il Trofeo Zssd (2003) e il terzo posto
(sempre nel 2003), al Campionato Italiano degli elite. Nel 2004 è passato professionista con la Lampre,
evidenziando, specie nel 2005, ottime doti sul passo ed una sparata da finisseur, la medesima che gli ha
procurato i suoi migliori successi. Presto queste qualità lo evidenziarono soprattutto nelle classiche del
Nord e sul pavè in particolare: fu 3° alla Parigi-Roubaix 2006 (grazie alla squalifica di tre corridori giunti
davanti a lui, rei di aver attraversato un passaggio a livello chiuso) e, una settimana prima, il 6° posto al
Giro delle Fiandre. Nel 2007, ha fatto sua la classica monumento per
eccellenza della terra “di religione ciclistica”, il Giro delle Fiandre ap-
punto, scattando sul muro di Grammont e, poi, piegando negli ultimis-
simi metri di corsa, il belga Leif Hoste. Qualche mese dopo, ha vinto la
Hew-Cyclassics Cup, con una grande azione da finisseur, a meno di un
chilometro dal traguardo. Nel 2008 arrivò ancora 3° nella Parigi Rou-
baix, indi in estate si preparò per un buon finale di stagione partecipan-
do alla Vuelta di Spagna, dove vinse la tappa di Andorra. Partecipò poi
ai Mondiali di Varese (era già stato azzurro in azzurro alle rassegne iri-
date del 2006 e 2007 contribuendo ai due successi di Paolo Battini) e
qui ancora con un’azione da gran finisseur arrivò a conquistare la Ma-
glia Iridata. Scattò a due chilometri da traguardo, lasciando annichiliti i
compagni di fuga. Poi un calo di rendimento anche a causa di diversi
acciacchi (attualmente, ad esempio, sta smaltendo i postumi di una ro-
vinosa caduta…), ma non tale da considerarlo ormai un ex: ha infatti
ancora la possibilità di raccogliere qualche buon bersaglio. Tutti i suoi
successi ad oggi.
2005 (Lampre-Caffita) 2 vittorie: 1a tappa Tre Giorni di La Panne; 4a
tappa del Tour del Benelux. 2006 (Lampre-Fondital) una vittoria: Tro-
feo Laigueglia. 2007 (Lampre-Fondital) 5 vittorie: Giro delle Fiandre; Cyclassics Hamburg; Classifica
Generale Tre Giorni di La Panne; Mandel-Leie–Schelde; 1a tappa Giro di Polonia (cronosquadre). 2008
(Lampre) 2 vittorie: Campionato del Mondo; 7a tappa Vuelta di Spagna. 2009 (Lampre NGC) 3 vitto-
rie: 5a tappa Giro di Polonia; Classifica Finale Giro di Polonia; Criterium Wilrijk (dietro derny). 2012
(BMC Racing Team) 3 vittorie: Giro di Toscana; 7a tappa Benelux Tour; 1a tappa Giro del Trentino
(cronosquadre).
I suoi migliori piazzamenti ad oggi.
2005: 2° nella Classifica Generale Tre Giorni di La Panne; 3° nella Classic Haribo. 2006: 2° nella E3
Harelbeke; 3° nella Classifica Generale Tirreno-Adriatico; 3° nella Classifica Generale Giro di Polonia.
2008: 2° nella Strade Bianche; 2° nella GP Ouest France; 3° nella Parigi-Roubaix; 3° nella 11a tappa
Tour de France. 2009: 3° nella Classifica Generale Giro di Sardegna (ITA); 2010: 2° nella 15a tappa
Tour de France; 3° nel Campionato Nazionale su strada. 2011: 2° nella Strade Bianche; 4° nella Milano-
Sanremo; 6° nella Parigi-Roubaix. 2012: 2° nel Campionato Mondiale Cronosquadre; 3° nel Giro delle
Fiandre; 3° nella Parigi-Roubaix; 4° nella Strade Bianche.

Ordine d’arrivo:
1° ALESSANDRO BALLAN (Lampre Fondital) Km 183,3 in 4h33’15”
alla media di 40,248 kmh; 2° Stephen Cummings (Gbr-Landbouwkrediet
Colnago); 3° Rinaldo Nocentini (Acqua & Sapone - Caffè Mokambo); 4°
Giovanni Visconti (Team Milram); 5° Pietro Caucchioli (Crédit Agricole);
6° Leonardo Bertagnolli (Cofidis, le Credit par Telephone) a 16”; 7° Giam-
paolo Cheula (Barloworld) a 1’06”; 8° Mirko Celestino (Team Milram); 9°
Giuliano Figueras (Lampre Fondital); 10° Paolo Bettini (Quick Step–
Innergetic); 11° Gabriele Bosisio (Tenax); 12° Raffaele Illiano (Selle Italia
Serramenti Diquigiovanni); 13° Alexandre Arekeev (Rus-Acqua & Sapo-
ne); 14° Moires Duenas (Esp-Agritubel); 15° Sergio Ghisalberti (Team Mil-
ram); 16°Vicenzo Nibali (Liquigas Bianchi); 17° Nicolas Crosbie (Fra-
Agritubel) a 3'08"; 18° Dainius Kairelis (Lit-Amore e Vita McDonald’s);
19° Daniele Pietropolli (Tenax); 20° Roberto Petito (Tenax), segue il resto del gruppo.
44a edizione: 20 febbraio 2007

Dall’inviato di Cicloweb: Sebastiano Cipriani

Come fila il pupetto! - Ignatiev stacca tutti al Laigueglia


Il vincitore della 44a edizione del Trofeo Laigueglia non ha ancora
compiuto 22 anni ma nel suo palmarés vanta già il titolo di cam-
pione olimpico su pista delle corsa a punti (ad Atene nel 2004) e
numerosi titoli di campione del mondo sempre su pista, più il cam-
pionato del mondo a cronometro conquistato a Madrid tra gli under
23: adesso Mikhail Ignatiev sta cominciando a farsi conoscere tra il
grande pubblico anche nel mondo dei professionisti su strada.
Meno di una settimana fa, infatti, si è imposto nella tappa di Marsi-
glia del Giro del Mediterraneo attaccando da solo a 20 km dall'arri-
vo e riuscendo a resistere al gruppo tirato dalle squadre dei veloci-
sti, oggi un successo ancora più importante che, nel suo piccolo, lo
accosta ad Armstrong: anche l'americano, infatti, si è imposto sul
traguardo di Laigueglia (nel 1993) non ancora ventiduenne.
La giornata di sole con temperature più che primaverili richiama
tantissima gente sulle strade, sia sul lungomare dove è posto l'ar-
rivo, sia sulle salite su cui transita la corsa; c'è addirittura chi si or-
ganizza con vino e dolci in attesa del passaggio dei ciclisti, sembra
quasi di essere al Giro d'Italia.
Il Laigueglia ottiene un grande successo non solo di pubblico ma anche tra le squadre: 25 team iscritti
per un totale di 193 partenti. Nella prima ora di corsa, però, l'andatura è molto blanda e successivamen-
te i tentativi di fuga (tra cui uno dello stesso Ignatiev al km 110) non guadagnano mai più di 30" e ven-
gono quasi subito ripresi.
La gara si movimenta solo nel finale con la scalata del passo del Balestrino, la cui vetta dista 32 km
dall'arrivo. Sulla salita si muovono uomini importanti come Garzelli, Carrara, Grivko e Serrano ma ven-
gono ripresi. La corsa esplode quando il gruppo torna sull'Aurelia. A 12 km dall'arrivo si muovono Solari,
Kreuziger, Kiryienka e l'idolo locale Celestino e subito dopo si accodano a loro Ballan, vincitore della
scorsa edizione, Nibali, Sella, Ascani e Ignatiev.
A 7 km dall'arrivo il momento decisivo: il talentuoso russo della Tinkoff allunga e guadagna una decina di
secondi; il gruppo composto da una quarantina di unità non riuscirà più a ridurre il gap e Ignatiev può al-
zare le braccia già a 300 metri dall'arrivo. La volata del gruppo per il secondo posto viene vinta da Mirco
Lorenzetto, per lui ancora un'ottima prova dopo la vittoria di Sanremo al Giro del Mediterraneo; sul gra-
dino più basso del podio c'è Pozzato che conferma il suo feeling con la corsa ligure già vinta due volte,
che riesce a lasciarsi alle spalle il velocista della Lampre Daniele Bennati. Da segnalare anche le buone
prove in salita di Simoni (sua la classifica Gpm) e Rujano che si rivede finalmente ad alti livelli.
Sotto al podio, però, la festa è tutta per un raggiante Ignatiev che riceve i complimenti dal suo ds Orlan-
do Maini. Mikhail racconta subito del suo "marchio di fabbrica" che gli ha permesso di vincere sia a Mar-
siglia al "Mediterraneo" sia oggi su un traguardo ben più prestigioso, ossia l'allungo solitario nei chilome-
tri finali col gruppo che insegue invano.
Incontriamo nuovamente Ignatiev in sala stampa accompagnato dal suo team manager Omar Piscina
che lo aiuta con le domande visto che il giovane vincitore se la cava meglio con l'inglese e lo spagnolo
che con l'italiano.
Subito viene fatto notare alla coppia Tinkoff la piccola affinità con Armstrong ma Ignatiev dice chiara-
mente che per ora non vuole essere paragonato a corridori di tale livello e che deve ancora crescere
molto.
Visto lo stato di forma viene d'obbligo chiedergli quali siano i suoi obiettivi a breve termine e un parere
sulla Milano-Sanremo e ci spiega tutto Omar Piscina: «La prossima corsa sarà il Tour du Haut Var in
Francia e dopo Mikhail si concentrerà sui mondiali su pista a Mallorca dove gareggerà sicuramente nella
corsa a punti e nel Madison (insieme con Trussov, compagno di squadra nella Tinkoff). La Milano-
Sanremo non è quindi nei suoi programmi anche perché deve ancora migliorare molto in discesa e Ci-
pressa e Poggio sono molto pericolose; quasi certamente però lo vedremo in azione al Giro».
Ignatiev dedica la vittoria al proprio direttore sportivo Konyshev (che ha compiuto gli anni domenica)
mentre Piscina sottolinea come questa vittoria vuole essere una risposta alle dichiarazioni del presidente
dell'Uci McQuaid che contestava la wild card ottenuta dal team italo-russo per il Giro d'Italia e si scaglia-
va contro Hamilton e Hondo, due dei membri principali della Tinkoff.
In conclusione il russo racconta che il suo sogno di sempre era di vincere l'Olimpiade nella corsa a punti
e che dopo averlo coronato a soli 19 anni non riusciva quasi più a trovare le giuste motivazioni. Motiva-
zione che per fortuna ha ritrovato con le gare su strada, tanto che ora il suo grande sogno è di diventare
campione del mondo anche qui; Armstrong qualche mese dopo aver vinto il Laigueglia battè tutti ad O-
slo, Mikhail saprà sorprenderci anche a Stoccarda?

Sul vincitore.
Nato a San Pietriburgo il 7 maggio 1985. Passista e pistard endurance. Alto 1,76 m. per 67 kg. Open dal
2004 e professionista dal 2007, con 22 vittorie ad oggi. All’indomani della vittoria al Trofeo Laigueglia,
chi scrive, dalle pagine di Cicloweb scrisse ciò che segue….

La precocità negli atleti dell’est, spesso viene presa e confusa col talento di nota. Ci sono molti casi che
dovrebbero far riflettere. Questi ragazzi vengono spremuti presto, in tutti i sensi, ed è naturale che diano
il massimo in anticipo, poi, raramente sanno mantenersi a certi livelli. L’osservazione fila come un orolo-
gio svizzero, anche per quei tanti che vengono in Italia giovanissimi ed affamati, ed anche qui, in tutti i
sensi. Non dimentichiamo un particolare, il danaro… Faccio un esempio. In Ucraina, un ventisettenne
che ha un buon lavoro, percepisce un salario di 50/60 dollari al mese. In Italia, ad uno juniores-dilettante
di quel paese, vengono offerti soldi, in un solo mese, ben superiori a quelli percepiti da un connazionale
maturo, in un anno. Pur di arrivare ad altre cifre e al professionismo, questi giovani, sono disposti ad in-
goiare il fiele. Anni fa, si diceva che Petrov e, soprattutto, Yaroslav Popovych, erano delle stelle. Dire
che hanno deluso (sissignori il discorso vale anche per l’ex rampollo-trucidato da Locatelli, oggi Disco-
very) è perlomeno legittimo.
Per cercare di non prendere stecche, è necessario guardare certo la misura del talento, ma, soprattutto,
l’avvicinamento dei singoli al ciclismo che
conta. E qui scopriamo, ad esempio, che ci
sono differenze enormi fra il russo Ignatiev
e l’ucraino Popovich. Il primo, ha vinto tanto
e di più quello che può contare e significa-
re, partendo dalla pista, la scienza del cicli-
smo; l’altro, ha fondato nei bollini di tipico
stile Locatelliano e, totalmente sulla strada,
il suo tratto certo importante e pure iridato.
Mikhail, ha vinto le Olimpiadi e sette mon-
diali (se consideriamo anche quelli junio-
res), ma lo ha fatto ad intensità media. Ya-
roslav, invece, ha fatto sforzi da navigato
corridore di tempi non attuali, nel ciclismo
che conta poco più di un fico secco, se ri-
mane come vertice di carriera. Ignatiev è
arrivato alla strada pieno di risorse, con dei
difetti ampiamente rimarginabili, Popovych
s’è semicotto, ed è oggi destinato a fare il
gregario di spessore, per un massimo di 30
gg l’anno. Il talento di Ignatiev, come ho
sostenuto al telefono col grande Mario Ca-
saldi, può divenire spumeggiante e conti-
nuativo, soprattutto se saprà osare e di-
menticare quanto ci sia nel suo passato
denso d’anelli, iride ed europei. In altre parole, se capirà fino in fondo che sta iniziando una nuova carrie-
ra. Di corridori dell’est, degni dell’attesa e per tanti anni presenti sul pedale che conta, ne abbiamo ve-
ramente visti pochi, troppo pochi, e Mikhail, più di ogni altro, può arrivare là dove non sono giunti i
connazionali. Alludo a quelle corse a tappe dove, per trovare un russo o ucraino capace di dare
l’impressione di vincere, dobbiamo scendere negli anni e scomodare l’amico, “ex Armata Rossa”, Piotr
Ugrumov (lettone, solo per graffio storico, ma in realtà russo). Qualcuno dirà che ci sono anche Gonchar
tone, solo per graffio storico, ma in realtà russo). Qualcuno dirà che ci sono anche Gonchar e Menchov,
ed io rispondo, trattenendo un sorriso tendente alla risata, che il primo è stato un più che onesto preten-
dente ai possibili podi delle circostanze, mentre l’altro è una “mezza figura” (da squadretta 35-40 anni
fa), divenuta vincente solo per un ammasso di situazioni e circostanze, nonché per la grande povertà di
talenti circolanti nel ciclismo di questo periodo. Diverso è il discorso per le gare di un giorno, dove dagli
ex paesi del realcomunismo, non è arrivato il solo grande Tchmil.
Quindi, Ignatiev, ha caratteristiche che, se ben curate, visto che è ancora un “picotto” come diciamo in
Romagna, potranno farlo emergere come un corridore di grande, grandissimo spessore, per acutezza e
polivalenza. E’ un gioiello, su cui peserà non poco la gestione che proporrà il suo Team. Carota e basto-
ne, forse, ma, soprattutto, una lettura quotidiana attenta ed in grado di percepire le qualità da curare, an-
che per correggere quelle che presentano, allo stato attuale, difetti e nebulosità. Sono sempre i punti for-
ti l’anello crogiolo che aiutano a riprendere ed alzare i più deboli, nonostante i credi ammazza sport dei
santoni, ed in simili contesti, è il lavoro psicologico a pettine, a divenire fondamentale. Chi sia l’uomo I-
gnatiev mi è impossibile saperlo, ma se in lui, come mi auguro, poggia una sufficiente intelligenza, ed
una disponibilità a vivere con la basilare leggerezza interiore la disciplina (solo i poco dotati, sono co-
stretti a vivere da monaci e da programmatori automi….), potrà davvero scrivere pagine di grande cicli-
smo. Spero inoltre, che i preparatori di Mikhail, chiunque essi siano, non lo ammazzino con allenamenti
da bestia da soma, perché quelli… vanno bene solo per coloro che non hanno sangue blu e sono co-
stretti ad eleggersi campioni (di serie “B” o “C” aggiungo…), con le sofferenze, i pori chiusi e le ovvie
miopie, appunto, delle bestie.
Le specificità di Mikhail Ignatiev
Il ragazzino non è figlio di solo ciclismo, fortunatamente. Ha praticato ciò che la sua terra poteva dargli
con una certa facilità: il pattinaggio e lo skiroll. Quanto basta per costruirsi una muscolatura più completa
(per capirlo basta guardare la traduzione avvenuta sui suoi polpacci), una coordinazione più tangibile e
la costruzione di una flessibilità della schiena, marcata su linee diverse. A completare l’apprendimento e
l’evoluzione sullo sport scelto, l’iniziazione avvenuta attraverso la variabile scientifica per antonomasia:
la pista (se l’amico Silvio Martinello, mi leggerà, come mi auguro, ne sarà contento e mi dirà: “Finalmen-
te ti sei deciso a ribadire, questo giusto cavallo di battaglia!”).
Sui velodromi, Mikhail, ha praticato di tutto, affinando il colpo di pedale ed il richiamo ritmico, emergendo
per qualità polivalenti e di primario pregio. L’osservatorio non sa, dimentica o sottostima, il grande valore
delle risultanze su pista, presenti nel passato di questo ragazzo. A 17 anni, ha vinto i titoli mondiali junio-
res nella Corsa a punti, nell’inseguimento a squadre, nonché il titolo continentale, sempre nella Corsa a
punti. A 18 anni, s’è cimentato nell’Americana, vincendo l’iride e confermando quello nell’inseguimento a
squadre (qui ha vinto anche l’Europeo). Nel 2004, all’esordio fra gli under s’è laureato Campione Olimpi-
co nella Corsa a punti, battendo i marpioni navigati delle Sei Giorni. Un risultato di pregio assoluto, che
non può sfuggire a chi conosce il ciclismo a 360°! Con la base venuta dalla pista, e senza preparare
specificatamente la prova, ha poi vinto su strada entrambi i titoli mondiali juniores a cronometro possibili,
nel 2002 e 2003 (in questo anno, ha poi vinto, in Germania, una importante corsa a tappe per la catego-
ria). All’indomani delle Olimpiadi di Atene, ha iniziato a frequentare maggiormente la strada, dimostran-
do, senza ricercarsi, una crescita notevole, poi tradotta nella conquista del titolo mondiale under 23 a
cronometro, dove ha superato, più di quanto non dicano i 35”, il fenomeno annunciato e solo apparen-
temente più attrezzato, Dmytro Grabovskyy, l’ucraino, di cui parlerò dopo. Altrettanto poco considerati,
ma estremamente significativi, i suoi successi nel 2006, dove ha sì perso il titolo mondiale crono (l’unica
vera sconfitta nell’immacolato ruolino di Mikhail), ma ha colto vittorie in Spagna, che non debbono sfug-
gire, come la Vuelta a Lleida, due tappe della stessa, nonché la Clasica Txuma. Significativi poi, i piaz-
zamenti nella Vuelta di Madrid (3°) e nella Cinturon Mallorca (4°). Grandi dimostrazioni dunque, ma con
ancora tanta crescita per avvicinare l’ideale del suo potenziale. Già, perché sulla bicicletta, alla luce del
cronometro e del suo futuro traducibile nel suo essere passista, Ignatiev, trasmette ancora parzialmente
le facoltà. Quelle fasce muscolari donate dalla polivalenza sportiva (anche Cunego era simile, ma “qual-
cuno” ha preferito disarmarlo di quest’arma), stanno ancora istintivamente spingendo Mikhail ad un uso
della potenza superiore all’esigenza, quando potrebbe adagiarsi al ritmo acquisito dalla pista, rispar-
miando così le risorse esplosive per i momenti più necessari. La pedalata, è ancora echeggiante nella
presa sui pedali, dell’uso del pattino, con spostamento laterale del piede ed una minor efficacia di spinta
solo in parte corretta dal potenziale muscolare. L’uso ancora esagerato delle spalle, in parte dovuto alle
voci dello skiroll e dello stesso pattinaggio ed in parte maggiore per una muscolazione degli arti superiori
non ancora ottimale. Questi difetti visibili, sono correggibilissimi senza snaturare il suo potenziale e, so-
prattutto, senza snervarsi nell’ammazza risorse mentali….di volersi correggere a tutti i costi.
In salita, per il fisico che si ritrova (1,76 di altezza per 67 kg, che sono solo un poco limabili se non vuol
perdere parte di se stesso, alla faccia dei santoni) e le fibre dello scatto che possiede a iosa, anche se le
usa solo parzialmente, ne può uscire come un naturale evidente. Non avrà mai le icone del grimpeur, ma
se saprà distribuire lo sforzo, usando con lucida intermittenza, le sue qualità di base, in tempi molto rav-
vicinati, potrà divenire passista scalatore di prima fascia. In altre parole, ha tutto per non temere quello
che oggi passa il convento ciclistico su questa variabile. Da questo quadro, ne esce un pianeta che ri-
mane in formazione, ma con tutto ciò che serve per affermarsi come talento di livello superiore, a quel
livello che siamo costretti, nel povero ciclismo odierno, a vedere come massimo.

Un’analisi molto ottimistica che, pur avendone ancora le possibilità vista la sua anagrafe, ben difficilmen-
te Ignatiev, riuscirà a concretizzare. Da quel giorno del 2007, infatti non ha fatto altro che peggiorare, o
tingersi di anonimato, non solo su strada, ma pure su pista. Vedremo cosa ci riserverà in futuro. Tutte le
sue vittorie da “Open” e professionista. 2003 (Lokomotiv) una vittoria: World Cup Sydney-Corsa a
punti. 2004 (Lokomotiv) una vittoria: Medaglia d’Oro ad Atene-Corsa a punti. 2005 (Lokomotiv) 3 vit-
torie: Campionato Mondiale Crono Under 23; World Cup Los Angeles-Corsa a punti; World Cup Mosca-
Madison (con Nikolai Trusov). 2006 (Tinkov Restaurant) 10 vittorie: World Cup Los Angeles-Corsa a
punti; Clasica Internacional Txuma; 1a e 2a tappa Volta Ciclista Internacional a Lleida; Classifica Gene-
rale Volta Ciclista Internacional a Lleida; Campionati Europei su pista nell’inseguimento individuale;
Campionati Europei su pista nell’inseguimento a squadre (con Rovny, Serov e Trusov); World Cup
Sydney-Corsa a punti; World Cup Sydney-Madison (con Nikolai Trusov); World Cup Mosca-Corsa a
punti. 2007 (Tinkov Credit System) 5 vittorie: Trofeo Laigueglia; 3a tappa Giro del Mediterraneo; 1a
tappa Vuelta Ciclista a Burgos; 4a tappa Regio Tour International; Prologo Ster Elektrotoer. 2008 (Tin-
kov Credit System) una vittoria: Medaglia di Bronzo ai Giochi Olimpici di Pechino-Madison (con Alexei
Markov). 2010 (Team Katusha) una vittoria: 6a tappa Tirreno-Adriatico. 2011 (Team Katusha) una
vittoria: Campionato Nazionale a cronometro.

Ordine d’arrivo:
1° MIKHAIL IGNATIEV (Rus-Tinkoff Credit Systems) km 183,3
in 4h36’05” alla media di 39,980 kmh; 2° Mirco Lorenzetto Team
Milram a 4”; 3° Filippo Pozzato (Liquigas); 4° Daniele Bennati (Lam-
pre Fondital); 5° Stefano Garzelli (Acqua & Sapone - Caffè Mokambo);
6° Massimo Giunti (Miche); 7° Daniele Pietropolli (Tenax); 8° Ri-
cardo Serrano González (Esp-Tinkoff Credit Systems); 9° Pasquale Mu-
to (Miche); 10° Antonio D'Aniello (Ceramica Flaminia); 11° Matteo
Carrara (Unibet.com); 12° Mauro Santambrogio (Tenax); 13° Rinaldo
Nocentini (Ag2r Prevoyance); 14° Domenico Quagliarello (Ceramica
Flaminia); 15° Vasil Kiryienka (Blr-Tinkoff Credit Systems); 16° Anto-
nio Bucciero (Ceramica Panaria Navigare); 17° Hubert Dupont (Fra-
Ag2r Prevoyance); 18° Luca Solari (Androni Giocattoli LPR); 19° Sé-
bastien Joly (Fra-Ag2r Prevoyance); 20° Jelle Vanendert (Bel-
Chocolade Jacques Topsport Vlaanderen), segue il resto del gruppo.

45a edizione: 23 febbraio 2008

Dall’inviato di Cicloweb: Sebastiano Cipriani

Colpo di reni per ripartire - A Paolini il Laigueglia al fotofinish


Nelle ultime settimane non si può dire che in casa Acqua & Sapone l'umore sia dei migliori: l'esclusione
da Giro d'Italia, Milano-Sanremo e Tirreno-Adriatico è stata una mazzata durissima e inattesa. Oggi, pe-
rò, a Laigueglia tutta la squadra ha dato una grande dimostrazione di forza e compattezza portando ad
una bella vittoria proprio quel Luca Paolini che veniva da una stagione con pochi alti e parecchi bassi a
causa delle indagini (ad oggi in una situazione di stallo imbarazzante) che lo coinvolgono da circa un
anno e mezzo. La corsa parte ad un ritmo sostenuto e bisogna aspettare il km 49 per assistere alla pri-
ma, e unica, fuga di giornata: lungo la discesa del Passo del Ginestro parte Le Boulanger che viene pre-
sto raggiunto dal lituano Dainius Kairelis, attivissimo in questo inizio stagione. La coppia al comando
raggiunge il vantaggio massimo nei pressi del primo passaggio sulla linea d'arrivo, quando il gruppo è
staccato di 9'35". A condurre l'inseguimento è proprio la squadra di Palmiro Masciarelli diretta in ammi-
raglia da Franco Gini: sotto la spinta degli uomini in rosso il vantaggio comincia a calare sensibilmente e,
quando si organizzano anche altre squadre per tirare la sorte dei due di testa è segnata.
Sul Passo del Balestrino il ritmo è elevato e, a parte un breve tentativo di Axelsson ed Ermeti, nessuno
riesce a scattare: sulla cima, Kairelis e Le Boulanger hanno 2'50" su un gruppo di una cinquantina di uni-
tà condotto magistralmente da Stefano Garzelli. Arrivati sull'Aurelia i fuggitivi vengono dunque ripresi
anche a causa del forte vento contrario.
Lo sprint è condotto dagli uomini Lampre per Mirco Lorenzetto (secondo lo scorso anno) da un lato e
dagli uomini LPR per Pietropolli dall'altro: ma, come ben si sa, tra i due litigati a godere è il terzo e grazie
ad perfetto colpo di reni Paolini riesci a spuntarla per pochi centimetri su Pietropolli e Richeze mentre
l'attesissimo Pozzato chiude solo settimo mancando l'appuntamento col tris che l'avrebbe fatto diventare
il plurivittorioso di sempre della corsa ligure.
Sotto il palco premiazioni il primo a raccontare la volata è l'argentino Richeze della CSF Group Navigare:
"C'era la Lampre che tirava e io sono riuscito a mettermi a ruota di Lorenzetto, l'ho saltato ma Paolini è
uscito molto bene. Peccato che c'era un pò di vento contro, ma il team ha lavorato tanto e bene per ri-
prendere la fuga. Io all'inizio non mi sentivo bene, tanto che sulla prima salita mi sono staccato ma dopo
mi sono ripreso e sull'ultima salita sono riuscito
sempre a stare davanti con i primi".
Un pò di delusione anche per Daniele Pietropolli
che ringrazia il compagno Di Luca che "ancora
una volta mi ha dato un grande aiuto, ho svolto
un ottimo lavoro portandomi ai 500 metri finali in
ottima posizione". Paolini, invece, racconta la
sua gara nella classica conferenza stampa del
vincitore: "Questa è stata una vittoria meritata
dalla squadra, ci siamo mossi per primi nell'inse-
guimento e abbiano faticato parecchio visto che
nel finale il vento era contrario. Garzelli mi ha
portato avanti negli ultimi due chilometri e nella
volata sono stato bravo a dare quella pedalata in
meno per poter dare un colpo di reni più incisi-
vo". Luca si sofferma anche sul momento difficile
che sta attraversando il suo team: "Abbiamo fat-
to vedere di essere tutti grandi professionisti,
abbiamo continuato a fare al meglio il nostro la-
voro anche se a volte è difficile rimanere sereni.
Per fortuna ho una famiglia che mi sostiene e mi
da tanta forza per andare avanti. Sono anche
molto grato a Palmiro che in un momento non
facile ha creduto in me e mi ha dato fiducia: per questo non prendo neanche in considerazione l'idea di
cambiare squadra per disputare la Sanremo anche se, inevitabilmente, ora siamo costretti a rivedere un
pò il calendario".

Sul vincitore.
Nato a Milano il 17 gennaio 1977. Passista veloce. Alto 1,74 m. per 66 kg. Professionista dal 2000 con
18 vittorie ad oggi. Un amico dell’azzurro a cui è mancato poco, perlomeno fino ad oggi, perché a 35 an-
ni è ancora validamente sulla breccia, per vincere una maglia iridata, una grande classica o un titolo.
Davvero singolare ed a tratti beffardo il suo ruolino e va subito detto che nei grandi successi di Bettini in
particolare, la sua mano è stata grande come quella di Polifemo. Comunque è incredibile, come un cor-
ridore col suo potenziale primario per le corse di un giorno, avallato da una disponibilità alla professione
di nota, abbia un curriculum, ci si permetta, assai scarno rispetto al meritato. Buonissimo dilettante, nel
1998 e ’99 vesti sovente l’azzurro e nell’ultimo anno del millennio scorso, si ritrovò con due secondi posti
che, a distanza di tre lustri, dimostrano quanto le maglie iridate o continentali delle categorie antecedenti
il professionismo, siano spessissimo una iattura. Luca giunse secondo dietro Michele Gobbi, in fuga nel
finale, agli Europei di Lisbona. Poco più di un mese dopo, stessa sorte gli capitò ai Mondiali per Under
23 di Verona: se ne andò Leonardo Giordani e Paolini vinse la volata per il posto d’onore. Passato pro-
fessionista nel 2000 all’interno dello squadrone Mapei, vinse 3 corse nell’anno d’esordio, due nel 2001 e
nel 2003, dopo la chiusura della squadra di patron Squinzi, si accasò alla belga Quick Step, mettendosi
in evidenza soprattutto come gregario di Paolo Bettini. Ciononostante si ritagliò alcune volte spazi impor-
tanti, come quando vinse il Gran Premio Bruno Beghelli nel 2003 e la Freccia del Brabante nel 2004. In
quei due anni giunse 3° alla Sanremo (2003) e ai Mondiali di Verona (2004), divenendo un punto fermo
della Nazionale Italiana. Basti citare che, a tutt’oggi, Luca Paolini ha corso 9 volte la gara Iridata ed ha
partecipato a 2 Olimpiadi, un record nella correlazione delle due grandi manifestazioni. Tanto più in con-
siderazione del fatto che non è mai stato una comparsa. Anche nelle classiche il suo ruolino, pur senza
successi, ha mostrato quanto siano di spessore le sue
qualità per quel tipo di corse. In tutte le “Monumento”,
ad esempio, salvo la “Liegi”, ha sempre sfiorato
l’impresa, ed un solo corridore nel panorama interna-
zionale attuale, gli è marcatamente superiore in quanto
a completezza: Philippe Gilbert. Luca, vanta due terzi
posti alla Sanremo (2003 e ’06), un terzo ed un settimo
al Fiandre (2007 e 2012), l’undicesimo alla Roubaix
(2012) un quarto ed un undicesimo al Lombardia (2009
e 2011). Anche nelle altre s’è fatto notare: il 2° nelle
Hev Cyclassics (2005), il 3° e il 7° nella Parigi Bruxelles
(2008 e 2003), il 6° nella Gand Wevelgem (2008), l’8°
nella Parigi Tours (2003) il 12° nell’Amstel Gold Race
(2004). Ma non ci sono solo piazzamenti, oltre alle
menzionate sopra, ha vinto pure belle corse come il Gi-
ro del Piemonte, il Trofeo Laigueglia, la Coppa Placci, la
Coppa Bernocchi, una tappa alla Vuelta di Spagna, una
alla Tre Giorni di La Panne. Ecco comunque il quadro
preciso del suo ruolino vincente fino ad oggi.
2000 (Mapei-QuickStep) 3 vittorie: 1a tappa Tour de
l'Avenir; 2a tappa Vuelta a la Argentina; 3a tappa Tour
de Normandie. 2001 (Mapei-QuickStep) 2 vittorie: GP
Lugano; Criterium Oostende. 2002 (Mapei-QuickStep)
una vittoria: Giro del Piemonte. 2003 (Quick Step-
Davitamon) una vittoria: GP Beghelli. 2004 (Quick
Step-Davitamon) una vittoria: Freccia del Brabante.
2005 (Quick Step-Innergetic) 3 vittorie: 3a tappa Tour
de la Région Wallonne; 3a tappa Tour of Britain; 6a tappa Tour of Britain. 2006 (Liquigas) 2 vittorie:
GP Città di Camaiore; 12a tappa Vuelta di Spagna. 2007 (Liquigas) una vittoria: 1a tappa Tre Giorni di
La Panne. 2008 (Acqua e Sapone-Caffè Mokambo) 2 vittorie: Trofeo Laigueglia; Coppa Placci. 2009
(Acqua e Sapone-Caffè Mokambo) 2 vittorie: Coppa Bernocchi; 6a tappa Settimana Ciclistica Lom-
barda.

Ordine d’arrivo:
1° LUCA PAOLINI (Acqua & Sapone Caffè Mokambo) km 183,3 in
4h39'13" alla media di 39,388 kmh; 2° Daniele Pietropolli (LPR Brakes
Ballan); 3° Maximiliano Ariel Richeze (Arg-CSF Group Navigare); 4° En-
rico Gasparotto (Barloworld); 5° Mirco Lorenzetto (Lampre); 6° Matti
Breschel (Den-Team CSC); 8° Filippo Pozzato (Liquigas); 8° Alessandro
Bertolini (Serramenti PVC Diquigiovanni Androni Giocattoli); 9° Massi-
mo Giunti (Miche Silver Cross); 10° Tiziano Dall'Antonia (CSF Group
Navigare); 11° Theo Eltink (Ned-Rabobank); 12° Antonio D'Aniello (Ce-
ramica Flaminia Bossini Docce); 13° Pieter Jacobs (Bel-Silence Lotto);
14° Linus Gerdemann (Ger-High Road); 15° Maurizio Francesco Biondo
(Ceramica Flaminia Bossini Docce); 16° Gennady Mikhaylov (Rus-
Mitsubishi Jartazi); 17° Raffaele Illiano (Serramenti PVC Diquigiovanni
Androni Giocattoli);18° Dries Devenyns (Bel-Silence Lotto); 19° Ricardo
Serrano González (Esp-Tinkoff Credit Systems); 20° Serge Pauwels (Bel-Topsport Vlaanderen), segue il
gruppo.
46a edizione: 21 febbraio 2009

Altimetria del percorso

Articolo di: Marco Grassi

Ginanni! L'ottimismo... - È il profumo della vita! Pozzato 2°


Basta scorrere l'albo d'oro per rendersi conto che vin-
cere il Trofeo Laigueglia non è un risultato come tanti
altri. Senza risalire ai tempi di Merckx, se restiamo agli
ultimi vent'anni vedremo che questa corsa (che fino a
poco tempo fa rappresentava l'apertura della stagione
italiana) se la sono portata a casa uomini del calibro di
Rolf Sörensen, Pascal Richard, Lance Armstrong, Jo-
han Museeuw, Frank Vandenbroucke, Michele Bartoli,
Paolo Savoldelli, Danilo Di Luca, Filippo Pozzato e A-
lessandro Ballan: tutti personaggi nei cui palmarès il
Laigueglia è accompagnato da vittorie di prestigio as-
soluto.
Anzi, per molti di loro la classica italiana è stata proprio
la prima affermazione di un certo rilievo, ideale rampa
di lancia per carriere ricche di soddisfazioni. Quale mi-
glior augurio a se stesso poteva quindi fare Francesco
Ginanni, se non vincere proprio il Trofeo Laigueglia?
A dire la verità, più che un successo personale, do-
vremmo parlare di una consacrazione di un'intera
squadra, quella Diquigiovanni-Androni di cui in questo
periodo non finiamo più di scrivere, visto che con que-
sta siamo già all'undicesima vittoria stagionale. Non
avevamo ancora finito di incensare Davide Rebellin alla
Vuelta a Andalucía, che ritroviamo il vicentino calato
nei panni di pesce pilota per il suo giovane collega (e,
possiamo azzardare?, forse erede), dopo che una bel-
lissima azione di Scarponi aveva infragilito le gambe di diversi avversari. Dopo la classica fuga iniziale
(oggi è toccato a Kaisen e Belkov), tenuta entro distacchi ragionevoli dalla stessa Diquigiovanni, che ha
concesso ai due un vantaggio massimo di 8'40", la corsa ha preso una sua direzione sulla Cima Para-
venna, ultima salita di giornata con vetta a 31 km dal traguardo. Su quelle rampe Scarponi ha preso il
volo, scollinando con 25" di vantaggio su un gruppetto in cui Garzelli, Francesco Masciarelli, Pietropolli e
Niemiec inseguivano, e Rebellin - che aveva il compagno in fuga - controllava.
In discesa il margine tra Scarponi e gli altri si è pure dilatato, arrivando a toccare un vantaggio massimo
di 43". Ma il gruppetto si è ben presto organizzato e rimpolpato di forze supplementari, e la ISD si è ac-
collata il compito di inseguire in maniera organizzata. Tuttavia, ai 3 km il marchigiano aveva ancora 15",
e ai 2 km 13" da amministrare. Ma i segugi, sentito l'odore della lepre, hanno accelerato, e agli 800 metri
sono piombati sull'attaccante.
Poco male per la Diquigiovanni, dal momento che se hai in squadra un Rebellin di quella levatura, e se
poi disponi di un Ginanni così pimpante, puoi permetterti il lusso di piazzare il primo a tirare la volata al
secondo, mentre le altre squadre erano lì a fare la conta delle risorse rimaste dopo l'inseguimento al
fuggitivo. Rebellin ha preso il compagno ai 600 metri e l'ha condotto in testa, per poi lasciarlo alle sue
responsabilità ai 200 metri. E il giovane toscano non ha mancato di essere perfettamente all'altezza di
cotanta investitura: risucchiato Cummings che aveva preso la volata con eccessiva prosopopea, il
23enne pistoiese ha resistito benissimo al ritorno di un Pozzato che anche col cambio di maglia (dalla
Liquigas alla Katusha) continua ad essere preoccupantemente affezionato alla seconda posizione, e di
un Rossi che porta la Flaminia sul podio all'alba di una stagione molto importante per il team laziale.

Sul vincitore.
Nato a Serravalle Pistoiese (PT) il 6 ottobre 1985. Passista veloce. Alto 1,77 m. per 62 kg. Professioni-
sta dal 2008 al 2012 con 7 vittorie. Dovendo parlare di un ragazzo che, quasi certamente ha chiuso la
carriera a 27 anni, viene rabbia. Soprattutto se si pensa a cosa pareva promettere. E viene in mente a
chi scrive un suo vecchio pallino: è meglio iniziare
l’agonismo a 15-16 anni, essere dei dilettanti in cresci-
ta e senza porre troppi bollini vincenti che illudono e,
poi, sparare tutto fra i prof, perché è la categoria asso-
luta, che segna quasi completamente la carriera di
un’atleta. La storia del ciclismo, sport duro e stressante
nella mente quanto nel fisico, quasi sempre dice que-
ste cose. Francesco Ginanni ha iniziato presto, ed è
stato uno di quei dilettanti che ha vinto troppo, illuden-
do ed illudendosi, per non dire bruciarsi. Buon per lui
che è passato abbastanza presto nell’elite del pedale
(abbastanza, attenzione, ma sempre più tardi di ciò
che sarebbe ideale) e non è un caso se il 90% dei suc-
cessi ottenuti fra i prof, Francesco li ha ottenuti nei
primissimi anni, quando ancora aveva in serbo energie
fisiche e mentali. Fatto sta che il ragazzo pistoiese, fra
i dilettanti Elite/Under-23, vestendo la divisa della Fi-
nauto-Zoccorinese, conquistò numerose vittorie: sette
nel 2006 e addirittura 14 nel 2007. Le principali (che
valgono meno del 2 di coppe con la briscola a bastoni
se le si prende con eccessivi segnali), furono la Mila-
no-Busseto e il Giro del Valdarno nel 2006, il Giro del
Casentino, la Coppa Fiera di Mercatale e la Firenze-
Viareggio nel 2007. Ovviamente fu azzurro ai Mondiali
Under 23 in entrambi gli anni, chiudendo le prove irida-
te al 64° posto a 12” dal vincitore nel 2006 e al 32° po-
sto col tempo del vincitore l’anno successivo. Nel
2008 è passato professionista con la Diquigiovanni-
Androni di Gianni Savio, ed al primo anno vinse il Gran
Premio di Carnago, la Tre Valli Varesine e il Giro del
Veneto, si piazzò 2° nel Gran Premio di Larciano, 3° in
una tappa del Giro di Turchia e quarto nella Coppa Placci e nel Gran Premio Industria e Commercio di
Prato. Grazie a questi risultati, fu convocato come riserva per i Mondiali di Varese ed alla fine dell’anno
gli fu assegnato il Giglio d’Oro quale rivelazione della stagione. Nel 2009 aprì alla grande vincendo il
Trofeo Laigueglia, una settimana dopo il il Gran Premio d’Insubria in Svizzera e poi, in agosto, nuova-
mente il Gran Premio di Carnago. Nel 2010, vinse ancora il Trofeo Laigueglia, si classificò settimo alla
Milano-Sanremo e poi il lento ed inesorabile declino, pur con qualche piazzamento, ma sempre non di
nota. Oggi, come detto, anche per la chiusura del suo ultimo team, l’Acqua & Sapone, è praticamente un
ex.

Ordine d’arrivo:
1° FRANCESCO GINANNI (Serramenti PVC Diquigio-
vanni Androni Giocattoli) km 176,1 in 4h33'02" alla me-
dia di 38,698 kmh; 2° Filippo Pozzato (Team Katusha); 3°
Enrico Rossi (Ceramica Flaminia Bossini Docce); 4° Franci-
sco José Ventoso (Esp-CarmiOro NGC); 5° Alessandro Bal-
lan (Lampre N.G.C.); 6° Daniele Pietropolli (LPR Brakes
Farnese Vini); 7° Stephen Cummings (Gbr-Barloworld); 8°
Simon Clarke (Aus-Amica Chips Knauf); 9° Pasquale Muto
(Miche Silver Cross Selle Italia); 10° Stefano Garzelli (Acqua
& Sapone Caffè Mokambo); 11° Giovanni Visconti (ISD);
12° Davide Rebellin (Serramenti PVC iquigiovanni Androni
Giocattoli); 13° Andrea Moletta (Miche Silver Cross Selle I-
talia); 14°Jelle Vanendert (Bel-Silence Lotto); 15° Ben Her-
mans (Bel-Topsport Vlaanderen Mercator); 16° Przemyslaw
Niemiec (Pol-Miche Silver Cross Selle Italia); 17° Philipp
Mamos (Ger-Amore & Vita McDonald's); 18° Oliver Zaugg
(Sui-Liquigas); 19° Rodrigo García Rena (Esp-Miche Silver
Cross Selle Italia); 20° Roman Kreuziger (Cze-Liquigas), segue il gruppo.

47a edizione: 20 febbraio 2010

Altimetria del percorso


Dall’inviato di Cicloweb: Sebastiano Cipriani

Ci ha proprio preso gusto - Ginanni si ripete dodici mesi dopo


Anche quest'anno così come lo scorso Francesco Ginanni ha trovato al Trofeo Laigueglia il primo suc-
cesso stagionale: il toscano dell'Androni evidentemente ha tro-
vato subito un feeling particolare con la corsa ligure e adesso si
candida con decisione ad un posto tra i grandi protagonisti per
la Milano-Sanremo. D'altronde oggi Ginanni è stato autore di
una volata da grandissimo campione e s'è imposto nettamente
sulla coppia Lampre Gavazzi-Pietropolli: la giovane promessa
azzurra che corre agli ordini di Gianni Savio non sarà un veloci-
sta ma allo sprint è in grado di raggiungere punte molto elevate
e sa passare molto bene le salite di media difficoltà, fatto che lo
rende sempre molto pericoloso nelle corse di un giorno. L'anno
scorso dopo un grande avvio di stagione Ginanni fallì proprio
alla Sanremo ma durante la conferenza stampa al termine della
corsa è lui stesso a confermare che quest'anno la Classicissi-
ma di primavera sarà il suo primo grande obiettivo e che per ar-
rivarci al meglio ha leggermente ritardato la condizione. Lode-
vole anche la dedica che lo stesso Ginanni ha voluto fare non
solo nei confronti di Ballerini ma anche di tutta la sua famiglia,
la moglie Sabrina ed i figli Gian Marco e Matteo
Dopo tanta pioggia e un grande freddo nelle corse precedenti,
in Liguria i corridori hanno finalmente trovato una giornata di pieno sole e dalle temperature quasi prima-
verili, il che ha fatto sì che sulle strade ci fossero davvero molti tifosi, forse anche più che negli anni pas-
sati. Queste condizioni, però, non hanno portato ad una condotta di gara particolarmente battagliera tra i
corridori più attesi del gruppo: per fortuna ad animare la corsa ci hanno pensato gli italiani Cannone
(Flaminia), D. Caruso (De Rosa), Pirazzi (Colnago), Muto (Miche) e Longo Borghini (ISD) oltre ai france-
si Pichot (Bouygues) e Bonnafond (AG2R, premiato poi come più combattivo) ed all'estone Mandri
(anch'esso portacolori AG2R). Questi otto corridori sono partiti dopo una trentina di chilometri toccando
un vantaggio massimo di 6'35" proprio in prossimità del primo passaggio da Laigueglia: il buon accordo
davanti ed un po' di sonnolenza in gruppo hanno fatto sì che i battestrada abbiano cullato per un po' il
sogno di ottenere qualcosa di più che la solita dose di visibilità. L'unica azione partita dal gruppo e de-
gna di nota è stato un tentativo a due di Rossi e Chiarini che però si è esaurito non appena il gruppo s'è
svegliato.
Chi invece si merità un grande applauso è il ragusano della De Rosa Damiano Caruso che è stato tra i
più generosi in fuga passando per primo su tre dei quattri Gpm in programma; grazie anche ad una con-
dotta di gara molto intelligente Caruso, insieme al francese Pichot, è stato l'ultimo ad essere ripreso a
circa 8 km dal traguardo dopo una fuga durata praticamente 140 km. Il premio spettante al vincitore della
classifica dei Gpm forse non rende merito alla lunga cavalcata del 22enne siciliano, sicuramente una
delle maggiori promesse del ciclismo italiano.
Nel finale si sono succeduti molti tentativi di allungo, tutti senza fortuna: Salerno, Niemec e Taborre ci
hanno provato ai meno 7, Giampaolo Caruso ai meno 3 mentre all'ultimo km è stato Canuti a provare la
sparata. La Lampre ha svolto un ottimo lavoro per preparare la volata di Francesco Gavazzi ma forse
qualcosa non ha funzionato al meglio: Ponzi e Mori hanno tenuto alto il ritmo ma all'uscita dell'ultima
curva Pietropolli e Gavazzi erano già appaiati in testa dando la sensazione (non confermata però dai
due diretti interessati) che ognuno abbia fatto la volata per se. Con un Ginanni così non ci sarebbe stato
molto da fare perché il vincitore della passata edizione del Laigueglia è rimasto coperto fino ai 150 metri
finali andando poi a superare i due Lampre con estrema facilità lasciandoli a più di una bicicletta di di-
stacco. Quarta posizione per Enrico Rossi che probabilmente nella volata finale ha pagato le energie
spese in una fuga dalla dubbia utilità.
Tra i nomi più attesi del giorno ha sicuramente deluso Visconti, mai nel vivo della corsa come anche Fi-
netto che sulla carta poteva presentarsi come leader della Liquigas. Non ha preso il via invece Petacchi
alle prese con problemi intestinali: ci dispiace perché sarebbe stato molto interessante vedere la sua te-
nuta in salita e, in una corsa affrontata a ritmi piuttosto bassi, avrebbe anche potuto rimanere nel nume-
roso gruppo (una cinquantina di unità) che si è giocato la corsa.

Sul vincitore.
Le vittorie di Francesco Ginanni. 2008: Tre Valli Varesine; Giro del Veneto; GP Industria Artigianato e
Commercio Carnaghese. 2009: Trofeo Laigueglia; GP dell'Insubria; GP Industria Artigianato e Commer-
cio Carnaghese. 2010: Trofeo Laigueglia.
I suoi piazzamenti. 2008: 2° nel Prologo Giro di Turchia; 3° nella 2a tappa Giro di Turchia; 2a nel GP
Industria & Artigianato Larciano; 4° nella Coppa Placci; 4° nel GP Industria & Commercio di Prato. 2009:
4° nel GP Costa degli Etruschi; 4° nel Memorial Marco Pantani; 4° nel Giro di Romagna; 10° nel GP Cit-
tà di Camaiore. 2010: 3° nel GP Città di Camaiore; 6° nella Strade Bianche; 6a nella 2a tappa, 9° nella
3a e 10° nella 1a della Tirreno-Adriatico; 6a nel GP Industria Artigianato e Commercio Carnaghese; 7°
nella Milano Sanremo; 8° nella 2a tappa del Giro della Provincia di Reggio Calabria; 8° nella 3a tappa
Brixia Tour. 2011: 3° nella Fleche d'Emeraude; 5° nel Trofeo Matteotti; 7° nella Coppa Bernocchi; 10°
nel GP Città di Camaiore; 10° nel Giro della Romagna. 2012: 8° nella Strade Bianche; 9° nella 1a tappa
del Giro del Mediterraneo.

Ordine d’arrivo:
1° FRANCESCO GINANNI (Androni Giocattoli Serramenti PVC Di-
quigiovanni) km183 in 4h48'15" alla media di 38,092 kmh; 2° Francesco
Gavazzi (Lampre Farnese Vini); 3° Daniele Pietropolli (Lampre Farnese Vi-
ni); 4° Enrico Rossi (Ceramica Flaminia); 5° Matteo Montaguti (De Rosa
Stac Plastic); 6° Luca Paolini (Acqua & Sapone D'Angelo & Antenuc-
ci); 7° Jure Kocjan (Slo-Carmiooro NGC); 8° Cyril Dessel (Fra-AG2R La
Mondiale); 9° Luca Mazzanti (Team Katusha); 10° Enrico Zen (Colnago CSF
Inox); 11° Arthur Vichot (Fra-FDJ); 12° Aleksandr Kuschynski (Blr-Liquigas
Doimo); 13° Riccardo Chiarini (De Rosa Stac Plastic); 14° Alexander Efim-
kin (Rus-AG2R La Mondiale); 15° Ludovic Turpin (Fra-AG2R La Mon-
diale); 16° Peter Sagan (Svk-Liquigas Doimo); 17° Oscar Gatto (ISD Neri);
18° Maxime Vantomme (Bel-Team Katusha); 19° Simone Ponzi (Lampre
Farnese Vini); 20° Blel Kadri (Fra-AG2R La Mondiale), segue il gruppo.

48a edizione: 19 febbraio 2011

Altimetria del percorso

Dall’inviato di Cicloweb: Francesco Sulas


Pietropolli, il bottino cresce - Daniele batte Ponzi nella classica ligure
«Mi sono lanciato ai duecento metri,
Vicioso mi ha chiuso, costringendomi a
frenare. Ho dovuto urlare due, tre volte,
prima di poterlo superare». L'urlo di
Daniele Pietropolli arriva dalla Calabria,
di cui ha vinto la Challenge, sino in quel
di Laigueglia, nella gara di apertura del
calendario nazionale. Un'affermazione
importante, ottenuta davanti ad un otti-
mo Simone Ponzi ed a Angel Vicioso.
La giornata era iniziata con una fuga
partita dopo soli sette chilometri. Fuo-
riescono in sei: si tratta di Pavel Brutt
(Katusha), Kristof Goddaert (AG2R La
Mondiale), Cayetano Sarmiento (Acqua
& sapone), Manuele Caddeo (Colnago-
Csf Inox), Stefano Borchi (De Rosa-
Ceramica Flaminia) e Luca Fioretti (Ora
Hotels). Sulle rampe del Passo del Ba-
lestrino il vantaggio dei fuggitivi lievita
ed il gruppo lascia fare. Si arrriva così
allo scollinamento con i sei in vantaggio di 5'10" sul gruppo. Il Passo del Balestrino vede il transito del
colombiano Sarmiento, vincitore del Giro Bio 2009, che precede Borchi ed il ragazzo di Andora, Caddeo.
La media della prima ora è di 37,9 Km/h ma da dietro il gruppo capisce che se non vorrà brutte sorprese
al traguardo sarà meglio darsi una mossa. Puntualmente si mettono al lavoro l'Androni Giocattoli, con
Ginanni che punta allo storico tris, la Liquigas di Basso e Sagan e la Lampre, che ha in Francesco Ga-
vazzi e Daniele Pietropolli le sue punte, mentre Damiano Cunego è ancora in cerca della forma migliore.
Il vantaggio dei sei scende e ad Albenga - sono trascorsi 60 km di gara - è di 4'44". Il vento laterale che
spira dal mare non aiuta i battistrada. Disposti in doppia fila transitano sotto al traguardo di Laigueglia,
tra gli applausi del pubblico, con un margine di cinque minuti su un plotone compatto tirato da Bertolini
dell'Androni Giocattoli e da Righi della Lampre. Si vedono nelle posizioni d'avanguardia anche le maglie
della Liquigas-Cannondale. Mancano 114 Km alla conclusione.
Vengono affrontati Capo Mele e Capo Cervo, ad Imperia si svolta nell'entroterra. Inizia la salita del Pas-
so del Ginestro, seconda asperità di giornata. Sarmiento non indugia e saluta la compagnia. Soltanto il
russo Pavel Brutt è in grado di tenere le sue ruote. I due se ne vanno, dietro Borchi si avvantaggia sui
compagni d'avventura. Guadagna fino a 37" sugli ormai ex fuggitivi ma non riesce a portare a termine
l'inseguimento dei due battistrada. Borchi, Caddeo, Fioretti e Goddaert, vengono riassorbiti da un gruppo
che sui tornanti del Ginestro perde parecchie unità (tra cui un Alessandro Petacchi non ancora brillante
ed il vincitore delle ultime due edizioni, Francesco Ginanni).
È ora la Liquigas a tirare ed in questo modo i due battistrada perdono parecchi secondi. Sarmiento tran-
sita per primo anche sul Passo del Ginestro, seguito da Brutt. In terza posizione lo scalatore imperiese
della Liquigas, Cristiano Salerno, che tira il gruppo, distanziato di 1'15". Nella discesa Brutt e Sarmiento
vengono recuperati velocemente. Il loro vantaggio scende dapprima ad 1', quindi a 30". Infine, sul terzo
Gran Premio della Montagna, quello di Cima San Damiano, i due battistrada scendono ad un risicato
margine di 8", sino ad essere ripresi. I primi a transitare sul Gpm sono Salerno, Basso e Ponzi.
Ora il gruppo è formato da circa cinquanta atleti, tra i quali possiamo riconoscere un Ivan Basso in ottima
forma, Peter Sagan, Emanuele Sella, Alessandro Ballan e Damiano Cunego. Inizia l'ultima salita, Cima
Paravenna. I Liquigas tirano determinati. Ivan Basso effettua alcune progressioni, mantenendo l'andatu-
ra sempre elevata. Anche la BMC di Ballan e Santaromita è presente nelle prime posizioni del gruppo.
La selezione non tarda ad arrivare, con Sella, Cunego, Basso, Serpa, Taborre, Baliani e Moinard che
fuoriescono. A distanza di 50 metri troviamo Pietropolli, che stringe i denti e rientrerà sui sette battistrada
insieme a Santaromita. Sulla Cima Paravenna, ultima asperità di giornata, transita per primo Fabio Ta-
borre dell'Acqua & Sapone, seguito da Ivan Basso e Josè Serpa.
In discesa la situazione si consolida, con dieci atleti al comando: Basso (Liquigas), Cunego, Gavazzi,
Pietropolli (Lampre-ISD), Taborre (Acqua & Sapone), Baliani (D'Angelo & Antenucci), Santaromita, Moi-
nard (BMC Racing), Sella, Serpa (Androni Giocattoli). Il vantaggio di 34" tende a salire fino a raggiunge-
re i 41". Dietro inseguono in ventiquattro, tra cui Vicioso (Androni Giocattoli), Sagan, Ponzi (Liquigas),
Ballan, Santambrogio (BMC Racing) ed il debuttante nelle gare italiane, Danilo Di Luca. È proprio il killer
di Spoltore che, insieme a Niemec e Ballan, guida l'inseguimento. Il vantaggio dei battistrada scende ra-
pidamente e quando mancano 12 km all'arrivo il gruppo è nuovamente compatto. Con il vento legger-
mente sfavorevole della strada litoranea, Ballan tenta l'allungo. La Lampre, grazie ad un magnifico Nie-
mec, chiude rapidamente il buco venutosi a creare. Il polacco prova a rilanciare l'azione ma il gruppo
torna compatto. Poco prima di Alassio il gruppo si fraziona. Davanti Brutt - che a fine gara riceverà il
Premio della combattività - Basso, Ponzi, Taborre, Ciavatta, Ballan e Vicioso. Ad inseguire c'è proprio
Pietropolli, in compagnia di Amorison e Baliani. I tre si congiungono con i sette battistrada quando man-
cano tremila metri alla conclusione. Il resto del gruppo viene tagliato fuori, 35" sono troppi da recuperare.
Anche perché davanti c'è un Ivan Basso scatenato. «Ivan
ha svolto un grande lavoro, ha accellerato ed accelerato
ancora per lanciarmi al meglio nella volata - afferma Si-
mone Ponzi, relegato oggi alla piazza d'onore. Avevamo
in mente di fare la corsa per Peter Sagan, poi ci siamo
adattati alle dinamiche di gara». Sul rettilineo d'arrivo un
sorprendente Vicioso si lancia in volata ma costringe Pon-
zi e Pietropolli a cambiare traiettoria per non essere urtati.
L'aragonese di Alhama de Aragón termina le energie con-
servate per lo sprint all'altezza dei 50 metri. Ponzi lo sor-
passa a sinistra, Pietropolli è più lesto, lo passa sulla de-
stra e va a cogliere la terza vittoria stagionale. «Da quan-
do sono professionista - conclude il ragazzo di Bussolen-
go - ho raccolto tutti i piazzamenti possibili nei primi dieci
qui a Laigueglia. È una corsa che ho imparato a conosce-
re. Se aspetti la volata e la inizi troppo davanti sei fregato,
spesso c'è un leggero vento contro, meglio restare coperti
sino all'ultimo».

Sul vincitore.
Nato a Bussolengo (VR), l’11 luglio 1980). Passista veloce. Alto 1,74 m. per 61 kg. Professionista dal
2003 con 8 vittorie ad oggi. Un corridore che ha dimostrato negli anni, pur crescendo sempre, di essere
particolarmente pimpante nelle fasi iniziali di stagione. Tutti i suoi succes-
si da professionista, infatti, stanno in quella fascia. Esordì nella massima
categoria nel 2003, nelle file della Tenax, diretta da Fabio Bordonali. Con
quel team, ha corso fino al 2007, senza mai cogliere successi (gran parte
della stagione 2005 la passò ad assorbire vari malanni), ma si evidenziò
come un ottima pedina di squadra dalle risultanze personali crescenti. Di-
verse volte piazzato nelle classiche nazionali ruppe il ghiaccio nel febbra-
io del 2008, quando in maglia LPR, vinse allo sprint la terza tappa del Gi-
ro della Provincia di Reggio Calabria, manifestazione che poi riuscì a
conquistare. Nel 2009, col medesimo team, tornò al successo conqui-
stando sempre a febbraio, oltre all’ultima tappa, anche la classifica finale
del Giro della Provincia di Grosseto. Poco più di un mese dopo, fece sua
un’altra breve corsa a tappe: la Settimana Ciclistica Lombarda. Nel 2010
passò alla Lampre-Farnese Vini, entrando così in un team Pro Tour dove
continuò il suo servizio in appoggio allo sprinter Alessandro Petacchi e
dove trovò come capitano, un vecchio compagno di squadra fra i dilettanti
in seno alla Zalf: Damiano Cunego. Nel 2011, tornò al successo aggiudi-
candosi, tra gennaio e febbraio, una tappa e la classifica finale del Giro
della Provincia di Reggio Calabria (sua seconda vittoria dopo quella nel 2008), e il Trofeo Laigueglia. Nel
2013 correrà nelle file della Lampre-Merida.
Ordine d’arrivo:
1° DANIELE PIETROPOLLI (Lampre ISD) km 183,8 in
4h42'20" alla media di 39,060 kmh; 2° Simone Ponzi (Liquigas
Cannondale); 3° Angel Vicioso Arcos (Esp-Androni Giocattoli
C.I.P.I); 4° Fabio Taborre (Acqua & Sapone); 5° Pavel Brutt (Rus-
Katusha Team); 6° Fortunato Baliani (D’Angelo & Antenucci Nippo);
7° Alessandro Ballan (BMC Racing Team); 8° Frederic Amorison
(Bel-Landbouwkrediet); 9° Paolo Ciavatta (Acqua & Sapone); 10°
Ivan Basso (Liquigas Cannondale); 11° Peter Sagan (Svk-Liquigas
Cannondale) a 52"; 12° Francesco Gavazzi (Lampre ISD); 13° Ryan
Anderson (Can-Team SpiderTech powered by C10); 14° Yonathan
Monsalve Pertsinidis (Ven-Androni Giocattoli C.I.P.I); 15° Constan-
tino Zaballa Gutiérrez (Esp-Miche Guerciotti); 16° José Rodolfo Ser-
pa Pérez (Col-Androni Giocattoli C.I.P.I); 17° Mauro Santambrogio
(BMC Racing Team); 18° Leonardo Fabio Duque (Col-Cofidis le
Crédit en ligne); 19° Luca Ascani (D'Angelo & Antenucci Nippo);
20° Philipp Mamos (Ger-Amore & Vita), segue il gruppo.

49a edizione: 18 febbraio 2012

Altimetria del percorso

Dall’inviato di Cicloweb: Francesco Sulas

Non è un nome casuale quello di colui che si presenta tutto solo sul traguardo di Laigueglia. Moreno
Moser, figlio di Diego e nipote del grande campione Francesco, nato il giorno di Natale del 1990, se ne
va quando al traguardo mancano 3 km e nelle gambe ne ha più di 193.
Un colpo di mano, un'azione in contropiede, un colpo di classe per il neoprofessionista in forza alla Li-
quigas. Mai come in questo caso vale il detto che la classe non è acqua: «Sono frastornato - ammette
Moser - ancora non ci credo. Puntavo a restare nei 15, sognavo un podio, ma la vittoria è davvero trop-
po... Devo ancora realizzare».
Avevano forzato per tutto il finale di corsa, gli uomini in verde, affrontato il Pinamare ad una velocità tale
da far staccare un Ivan Basso in versione gregario di lusso (ed all'esordio stagionale). Prende 50 metri,
poi 100, Moser, ed il gruppo tirato dalla Lampre non lo vede più. Non prima del podio, almeno. La vittoria
di Moser va a completare una giornata perfetta per i Liquigas, che poche ore prima, in Oman, avevano
assistito alla prima stagionale di un Vincenzo Nibali già in gran condizione.
Stamane erano partiti in 190, con un Pozzato eroico (operato alla clavicola domenica scorsa, ha ricevuto
il premio della combattività), un Cunego in fase di rodaggio, un Basso all'esordio assoluto nel 2012 e gli
Astana determinati a vincere con Ponzi, Gasparotto o Gavazzi. Dopo una ventina di chilometri di scatti e
controscatti se ne vanno Giairo Ermeti ed Alfredo Balloni, che presto vengono raggiunti dal neoprò Luca
Dodi. Si aggrega anche il colombiano Osorio della Colombia-Coldeportes con Vincenzo Garofalo. I cin-
que si apprestano a scalare il Passo del Balestrino. Stiven Fanelli prova ad agganciarsi ma il suo distac-
co dalla testa della corsa non sarà inferiore ai 20". Raggiunto il Paravenna il quintetto ha ormai accumu-
lato un vantaggio di 9' sul gruppo. Nella discesa verso Andora Ermeti è vittima di una foratura e perde
terreno. Recupererà. Al primo passaggio da Laigueglia, quando mancano 99 km all'arrivo, i cinque di te-
sta viaggiano di comune accordo, conservando 6' su Stiven Fanelli (che verrà riassorbito all'uscita di A-
lassio) e 6'25" sul gruppo tirato dagli uomini Liquigas. Filippo Pozzato pedala ancora a centro gruppo
dopo 99 km non certo semplici. Quando inizia la seconda ascesa al Paravenna i cinque fuggitivi conser-
vano solo 5' sul treno della Liquigas (e qui, che gli uomini in verde stessero bene, lo si poteva immagina-
re). Sulle rampe del Paravenna i cinque battistrada perdono ancora terreno su un gruppo che adesso di-
sta soltanto 3'09". Nel mentre Pozzato si stacca dal gruppo dei migliori al km 121 e torna tranquillamente
verso il traguardo di Laigueglia, dove si ritirerà. Per lui circa 150 km percorsi oggi, più che ottimo allena-
mento in vista dell'Het Nieuwsblad. In cima al Paravenna il primo a transitare è, come nella prima torna-
ta, Giairo Ermeti, mentre il gruppo, tirato ora da Liquigas ed Acqua e Sapone, ha un ritardo di soli 2'20".
Nella discesa il plotone guadagna ancora e, quando mancano poco più di 60 km al traguardo, il vantag-
gio dei cinque battistrada è di 1'10". Ritornati sull'Aurelia i fuggitivi riguadagnano terreno sul gruppo, ri-
portando il vantaggio a 1'25". Al secondo passaggio da Laigueglia - siamo ai -45 km - rimangono in testa
Balloni, Dodi, Ermeti e Garofalo, mentre Osorio è staccato di 12" ed alzerà presto bandiera bianca.
Il gruppo, al primo passaggio colorato di verde Liquigas, adesso è tirato dal turchese degli Astana ed ha
un distacco di 1'35". Poco dopo Alassio si registra una progressione di Malacarne, però subito ripreso
dal gruppo che ora è separato dai quattro battistrada da soli 20". Astana ed Acqua e Sapone in testa a
tirare e quando i fuggitivi vengono ripresi, dopo 162 chilometri di corsa (e 141 di fuga), è la Liquigas a
prendere in mano le redini della
corsa. Mai immagine fu più chia-
ra: oggi sarà la squadra da bat-
tere.
Infatti sull'ultima ascesa al Para-
venna se ne vanno in cinque:
Brutt, Modolo, Rocchettti, Rogi-
na e appunto Moser («ma non ci
credevo troppo, infatti non ho
neanche collaborato»). Al Gpm
l'azione viene annullata e nella
discesa il gruppo è nuovamente
compatto. Ci prova Reda ma la
resa è vicina quanto l'ultima, ter-
ribile asperità: il Pinamare, 1500
metri che tirano all'insù. E natu-
ralmente è ancora la Liquigas a
scandire il ritmo. «Quando Lon-
go Borghini ha terminato il suo
lavoro - ammette Moser - mi so-
no sentito in dovere di andare a
tirare. Invece Ivan (Basso, ndr),
mi ha detto di stare dietro e di
fare la mia corsa, per questo
devo soltanto ringraziarlo».

Sul vincitore.
Nato a Trento, il 25 dicembre 1990. Completo. Professionista dal 2012 con cinque vittorie ad oggi. è un
ciclista su strada italiano che corre per il team Cannondale Pro Cycling. È l’attualità più prorompente del-
la grande dinastia ciclistica dei Moser. Moreno, è infatti figlio di Diego (corridore prof dal 1970 al ’73), ni-
pote del grande Francesco (prof dal 1973 al 1988 e da considerarsi fra i più grandi ciclisti della storia), di
Aldo (prof dal 1954 al 1974) e di Enzo (prof dal 1962 al 1965),
nonché fratello minore di Leonardo, professionista dal 2005 al
2009. Anche l’altro fratello maggiore, Matteo, è stato un buon di-
lettante, mentre il cugino Ignazio, figlio di Francesco, è attualmen-
te un ottimo under 23. Con un simile “pedigrèe”, Moreno iniziò a
gareggiare nel 2007, da juniores, con l’US Montecorona, ottenen-
do 18 successi, 6 nel 2007 e 12 nel 2008. Dal 2009 al 2011 ha
corse fra gli Under 23 in senno alla Lucchini-Maniva Ski, ottenen-
do 10 successi, tra cui due tappe del Girobio 2011. Proprio que-
ste lo misero in grande evidenza al punto di interessare diverse
squadre professionistiche di nome. Moser scelse la Liquigas-
Cannondale, esordendo fra i prof, prima come stagiaire nel 2011
e, poi, in pianta stabile dal 2012.
La strepitosa vittoria al Trofeo Laigueglia, colta a 21 anni e 55
giorni, oltre che essere stata la sua “prima” ne ha evidenziato
qualità da grandissimo finisseur, doti poi confermate nel prestigio-
so GP di Francoforte, grazie ad un altro portentoso assolo nel fi-
nale. Dopo il 2° posto nel Trofeo Melinda, un buon Tour de Suisse
(3° nella tappa inaugurale a cronometro) ed il 3° nel Campionato
Italiano, è tornato al successo vincendo due tappe e la classifica
finale del Giro di Polonia. S’è poi classificato al posto d’onore nel
Gran Premio di Montreal, guadagnandosi così la prima convoca-
zione nella Nazionale assoluta per i campionati mondiali in pro-
gramma a Valkenburg, dove risultò come il più giovane dei par-
tenti. In questo 2013 correrà nelle file del Team Cannondale Pro
Cycling, l’ex Liquigas. Moreno Moser è più di una speranza per il
nostro non certo florido ciclismo.

Ordine d’arrivo:
1° MORENO MOSER (Liquigas Cannondale) km 196,5 in
4h58'15" alla media di 39,531 kmh; 2° Miguel Ángel Rubiano
Chavez (Col-Androni Giocattoli Venezuela) a 4”; 3° Matteo
Montaguti (AG2R La Mondiale); 4° Gianluca Brambilla (Colna-
go CSF Inox); 5° Francesco Gavazzi (Astana Pro Team); 6° Mar-
co Frapporti (Team Idea); 7° Enrico Gasparotto (Astana Pro
Team); 8° Edoardo Girardi (Utensilnord Named); 9° Francesco
Reda (Acqua & Sapone); 10° Daniele Pietropolli (Lampre ISD);
11° Eros Capecchi (Liquigas Cannondale); 12° Elia Favilli (Far-
nese Vini Selle Italia); 13° Fortunato Baliani (Team Nippo); 14°
Dominik Nerz (Ger-Liquigas Cannondale); 15° Jerome Pineau
(Fra-Omega Pharma Quick Step); 16° Fabio Andrés Duarte Are-
valo (Col-Colombia Coldeportes); 17° José Rodolfo Serpa Pérez
(Col-Androni Giocattoli Venezuela); 18° Ángel Vicioso Arcos
(Esp-Katusha Team); 19° Giampaolo Caruso (Katusha Team);
20° Francesco Failli (Farnese Vini Selle Italia), segue il gruppo.

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