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CICERO, CICERONIS

Biografia
Avvocato, oratore, filosofo, retore. Marco Tullio Cicerone nasce in una piccola cittadella nei
pressi di Roma, Arpino, il terzo giorno del gennaio del 106 a.C. E’ questa sua origine che gli
renderà difficile mostrarsi agli occhi dei futuri senatori come proprio pari; infatti, Arpino è un
villaggio rurale e fedele alle sue tradizioni contadine. Perciò, nonostante venga da una
famiglia agiata - il padre appartiene anche all’ordine dei cavalieri - il Cicerone che giunge in
politica è un homo novus.
Se viene beffato all’inizio per il cognome dal significato ridicolo e volgare, Cicerone è un
uomo dalla straordinaria cultura, interessato alla filosofia e dotato di grandi capacità oratorie.
Anziché dedicarsi alla vita militare, si sottopone alla guida dei due Scevola, l’augure e il
pontefice. E’ in questi anni che incontra Attico, che rimarrà tutta la vita suo confidente.
Esordisce con la difesa di Sesto Roscio Amerino, accusato di parricidio e in realtà vittima di
un intrigo di Crisogono, uno dei liberti di Silla. A sostenere l’accusa c’era colui che allora era
il più illustre oratore dell’epoca, Ortensio. Cicerone, in preda agli umori caldi giovanili, sfidò
sia Crisogono sia Ortensio; ne uscì trionfante: il suo discorso fece crollare le prove e mostrò
la corruzione di Crisogono. Tuttavia, dovette partire per la Grecia, per evitarne la vendetta.
Ma la sua carriera non finisce qui. Nel 76 a.C. viene nominato questore di Sicilia, e nel 77
a.C. torna a Roma. Nel 70 a.C. Cicerone scende nuovamente in campo contro Ortensio, che si
pone a difesa di Verre. Ma ancora una volta, Cicerone vince e non solo: tanto era potente la
sua orazione, che Verre se ne andò in esilio prima che fosse proclamata una sentenza.
Ormai Cicerone è uno degli attori della scena politica.
Dopo la nomina a pretore, Cicerone aspira alla carica di consolato. E’ nell’anno del suo
consolato, il 63 a.C., che sventa una delle più grandi congiure che Roma abbia mai visto:
quella di Catilina. Un salvataggio all’ultimo momento quasi. Cicerone riesce a intervenire in
tempo grazie alle informazioni donate da una spia. Affronta Catilina durante la seduta del
Senato, e conseguentemente si lancia in una serie di filippiche affinché venga preso atto del
tradimento e Catilina e i suoi seguaci vengano uccisi. E’ proprio la loro esecuzione senza
processo che dà all’acerrimo nemico di Cicerone, Publio Clodio, il modo per colpire: egli fa
promuovere una legge che prevede la pena di morte per quei magistrati che giustiziavano i
cittadini romani senza che fossero prima sottoposti a un processo.
Per salvarsi, Cicerone non può far altro che andare in esilio. Non durò molto. Con l’appoggio
di Pompeo riesce a tornare, e con l’orazione Pro domo sua riesce a riavere la propria
abitazione. Nei bollori politici, Clodio viene ucciso; Cicerone si presenta a difesa del
mandante dell’assassinio, Milone, ma perde la causa.

Opere oratorie
Indipendentemente dalle loro condizioni, di Cicerone restano cinquantotto orazioni.
La più antica è la Pro Quinatio; a seguire, viene la Pro Sexto Roscio Amerino con la quale
difende il nominato; tra le altri prime orazioni ricordiamo anche la Pro Archia, in difesa di un
poeta greco accusato di aver rubato la cittadinanza romana.
Non si può tralasciare la Pro Sestio, dalla cui si può notare l’aspro rapporto che scorre tra
Cicerone e Clodio, i cui tirapiedi accusano un sostenitore di Cicerone, che per ironia della
sorte porta il nome di Publio.
Le più famose orazioni di Cicerone, però, sono tre: le Verrine, le Catilinarie e le Filippiche.
Le prime sono il vero cavallo di battaglia con cui Cicerone irrompe nel teatro politico
dell’epoca; un’arringa contro Verre, tiranno che abusava del suo potere secondo la legge dello
ius verrinum, ovvero tutto ciò che lo dilettava era lecito. All’interno di questa orazione ne è
presente un’altra, con la quale Cicerone demolisce il primo stratagemma di Ortensio, la
Divinatio in Q. Caecilium.
Le seconde sono, senza bisogno di spiegazioni, le quattro orazioni che Cicerone recitò per
esporre Catilina. Di queste, due sono probabilmente danneggiate per coprire il fatto che,
indubbiamente, Cicerone aveva giustiziato dei cittadini romani senza sottoporli a un
processo.
Il titolo della terza raccolta allude ai discorsi che l’ateniese Demostene dedicava a Filippo II
di Macedonia; infatti, dopo l’assassinio di Giulio Cesare, Cicerone delizia Marco Antonio
con quattordici discorsi con l’intento di convincere i cittadini a opporsi a lui. Però, proprio
come Demostene, Cicerone fallisce e paga con la vita.

Opere retoriche
Le grandi doti oratorie di Cicerone sono accompagnate da un grande impegno nello studio
della retorica. Il primo trattato di retorica di Cicerone è il De inventione, ma non è nulla più di
una dimostrazione del fatto che egli fosse consapevole che l’ars dicendi si fonda su una
solida base di cultura, tra cui la rhetoriké téchne. Infatti, era solo una raccolta di appunti
giovanili prese da fonti greche.
La sua più grande opera in questo campo, è il De Oratore. Scritto negli anni dell’esilio a
causa di Clodio, composto in tre libri, paradigma del perfetto oratore. E’ strutturato secondo
il modello platonico del dialogo. Nell’opera, gli interlocutori sono Crasso e Antonio. Nel
primo libro, laddove Crasso sostiene che il buon oratore deve avere una grande cultura,
Antonio ritiene necessari solo l’ingenium e l’esperienza. Crasso, però, portavoce di Cicerone,
dice che senza la padronanza dell’argomento dovuta alla conoscenza, l’orazione risulterà
vuota. Nel secondo e terzo libro, il dialogo assume una piega più manualistica: nel secondo
Antonio spiega tre delle cinque fasi della costruzione di un’orazione: inventio, dispositio,
memoria. Le altre due vengono lasciate a Crasso nel terzo libro: elocutio - con particolare
attenzione all’ornatus - , actio.
Similmente a questi due libri, Cicerone ha composto un’altra opera, le Partitiones oratoriae,
in cui descrive le fasi dell’esposizione di un’orazione: exordium, propositio, narratio,
argumentatio, peroratio.
Altre due opere di retorica di un certo calibro sono il Brutus e l’Orator.
La prima è quasi una protesta in quanto viene scritto in un momento storico in cui la dittatura
di Cesare aveva stroncato ogni possibilità di dialogo politico, lasciando andare in decadenza
l’eloquenza. Inoltre, è dedicata a uno degli interlocutori dell’opera, ovvero Bruto, il quale
usava appunto uno stile molto semplice e disadorno.
Anche la seconda è dedicata a Bruto; quest’ultima non è in forma dialogica, ma un’orazione
in prima persona indirizzata al dedicatario. In quest’opera, Cicerone definisce nuovamente i
compiti del perfetto oratore: probare, delectare, flectere; rispettivamente lo stile dev’essere
umile, medio, sublime.

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