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MANZONI

Vita di Manzoni: Manzoni nasce nel 1785. Sua madre va ad abitare a Parigi e lui rimane in Italia in un collegio fino a 16
anni; in collegio si formò una solida cultura classica e una avversione per i principi tradizionalisti. Nel 1801 scrive il suo
primo componimento intitolato “il trionfo della libertà”. Nel 1805 Manzoni raggiunge la madre (Giulia)a Parigi; quando
arriva, il marito della madre muore improvvisamente e tra la madre e il figlio scoppia un intensissimo affetto che
durerà fino alla morte delle madre nel 1839. A Parigi Manzoni frequenta l’ambiente degli “ideologi”, eredi del pensiero
illuminista, di orientamento liberale e critici verso l’assolutismo napoleonico. Nel 1808 Manzoni si sposa con
Enrichetta Blodel. Poco dopo si verifica la svolta fondamentale della sua vita, la conversione religiosa; nello stesso
periodo anche Giulia torna alla pratica religiosa ed Enrichetta abiura la fede calvinista per la cattoilica.
Nel 1810 Manzoni si stabilisce a Milano. Per tutta la vita non si muoverà più da lì, se non per viaggi di qualche mese a
Parigi e in Toscana. Sceglie insomma una vita tranquilla, conforme al suo carattere, e insieme rinuncia all’ambiente
cosmopolita di Parigi per impegnarsi nel rinnovamento del proprio paese. Gli anni che vanno fino al 1827 sono gli anni
di grande fervore creativo. La maturità e la vecchiaia furono segnate da pochi avvenimenti, per lo più luttuosi: la morte
della moglie Enrichetta(1833), la morte di sei dei nove figli, un nuovo matrimonio (1837) con Teresa Borri.
Nel 1860 fu nominato senatore e l’anno dopo di recò a Torino per votare la costituzione del regno d’Italia. Nel 1868 fu
nominato presidente di una commissione per l’unificazione della lingua italiana. Nel 1873 morì a 88 anni.

Le idee:
La sua interpretazione del romanticismo è estranea a ogni tendenza irrazionale o sentimentale: il suo è un
romanticismo milanese, e a Milano la parola romanticismo ha designato un complesso d’idee più ragionevole, più
ordinato, più generale che in nessun altro luogo. Nella lettera d’Azeglio, Manzoni, traccia una sintesi del sistema
romantico distinguendo una “parte negativa”, cioè critica, e una positiva. La prima consiste nel rifiuto della mitologia,
dell’imitazione servile dei classici e delle regole imposte dalla tradizione retorica. È notevole che Manzoni rifiuti la
mitologia per ragioni non solo letterarie, ma morali e religiose: la mitologia è idolatria perché era fondata nell’amore,
nel rispetto, nel desiderio delle cose terrene, delle passioni, dei piaceri che portano fino all’adorazione.
Il criterio del “vero” risponde a un’esistenza di serietà della letteratura: il bisogno della verità è l’unica cosa che possa
farci attribuire importanza a tutto ciò che apprendiamo. I temi delle opere devono essere attinti a ciò che è realmente
accaduto nella storia: come si distingue allora il compito dello storico? Lo storico si attiene a dati oggettivi, agli
avvenimenti esterni, mentre alla poesia spetta di approfondire le loro ragioni intime, i movimenti interiori dei
protagonisti: è questo lo spazio della creazione artistica. La quale non consiste in una invenzione gratuita che
rappresenti sentimenti artificiosi e convenzionali, ma in una ricostruzione di ciò che realmente accede nel cuore
umano. Dunque oggetto della poesia sono i sentimenti le passioni; il suo scopo però non è di suscitarli nel lettore, ma
al contrario, di spingerlo a distaccarsene: dalla commozione nascerà la comprensione, il dominio morale sulla passioni.
È questo l’utile che deve mirale la poesia, vivificano e sviluppando l’idea di giustizia e di bontà che ogni anima porta
con sé. Su questa base si capisce come Manzoni potesse riconoscere una tendenza cristiana nel romantiscimo come lui
lo intendeva.

Opere:
-Dal 1812 al 1822 compone gli “Inni sacri” che contengono “la Resurrezione”,”il nome di Maria”,”il Natale”,”la
Passione”questi sono stati pubblicati nel 1815 invece “la Pentecoste” nel 1822. Gli “Inni Sacri” sono nati dalla svolta
spirituale della conversione e rappresentano anche il primo tentativo di creare una forma poetica nuova, adatta alle
idee sui compiti delle letteratura. I tema di quest’opera sono la rievocazione dell’episodio della storia sacra celebrato
in ciascuna festività, il suo significato per i fedeli, i riti propri del giorno, la preghiera collettiva, quindi si può definire
una poesia corale e non soggettiva;
-Nel 1819 “Osservazioni sulla morale cattolica”;
-Nel 1821 Manzoni compone le “Marzo 1821” che fa parte delle “Odi Civili”.“Marzo 1821” fu composta nel momento
in cui sembra che Carlo Alberto stesse per far guerra l’Austria per liberare Milano. La poesia nasce da un’aspettativa di
guerra e si conclude con un appello agli italiani perché si uniscano alla lotta. Mal’ispirazione è lontana dal militarismo
nazionalista: nel rivolgersi agli austriaci oppressori il poeta si appella ai diritti di tutti i popoli in nome di Dio, chiamato
a garante della giustizia internazionale.
-L’ode “il Cinque Maggio” fu scritta quando il poeta ebbe la notizia che Napoleone era morto nella solitudine di
S.Elena, confortato dalla fede ritrovata. Diversamente che in “Marzo 1821”, qui Dio non è invocato a sostegno
dell’azione giusta, ma si rivela a uno sconfitto nel momento in cui comprende la vanità di ogni azione.(“Marzo 1821” e
“il Cinquie Maggio” fanno parte entrambe delle “le odi civili”).
-Tra il 1816 e il 1820 Manzoni scrive la tragedia “Il Conte di Carmagnola” che è ispirato a un episodio delle guerre tra
gli stati italiani del Quattrocento.
-Tra il 1820 e il 1822 Manzoni compone l’Adelchi che ha per tema la sconfitta di Desiderio, ultimo re dei Longobardi,
ad opera di Carlo Magno.
Breve Riassunto di tutta la tragedia:
la tragedia di apre con il ritorno alla corte longobarda di Ermengarda, figlia di Desiderio e sposa di Carlo, che
l’ha ripudiata per calcolo politico. L'offesa spinse desiderio a riprendere le azioni ostili nei confronti del Papa,
di cui Carlo è protettore, nonostante le perplessità del figlio Adelchi, associato al trono; intanto la prosperità
di una guerra con i Franchi spinge diversi duchi Longobardi al tradimento. L'esercito di Carlo viene bloccato
alle Chiuse di Susa, ma un diacono latino scopre un sentiero fra le montagne che permette di aggirare
l'ostacolo e di mettere in fuga i re longobardi; essi si chiudono nelle città longobarde quei pochi vassalli
rimasti fedeli. Intanto, nel monastero di Brescia in cui è stata accolta dalla sorella, Ermengarda muore,
consumato dal dolore per l'abbandono da parte di Carlo. Tradito dai difensori di Pavia, desideri e fatto
prigioniero. Adelchi tenta un'ultima sortita ma viene mortalmente ferito e muore davanti al padre e a Carlo
vittorioso.

Coro dell’atto III:i Franchi, sconfitti i Longobardi, dilagano nella pianura padana. I Latini, all’annuncio della sconfitta
dei loro oppressori, sembrano risvegliarsi improvvisamente dal torpore della schiavitù.

CONTENUTO: Una folla dispersa esce all'improvviso degli atri dei vecchi palazzi coperti di muschio, dalle piazze
cadenti, dai boschi dalle officine e dai campi bagnati dal sudore dei contadini diventati servi, dopo aver sentito un
rumore insolito che aumenta continuamente di intensità.
Dagli sguardi interrogativi dei volti impauriti esce, come un raggio di sole che esce da folte nuvole, l'antico orgoglio
degli avi: negli sguardi della folla si alternano l'umiliazione subita e l'orgoglio del passato si raduna desiderosa di
conoscere le sorti della battaglia, ma subito si disperde impaurita per vie tortuose col passo incerto di chi non ha una
meta, la folla si raduna animata dalla voglia di fare ma subito si disperde spaventata. Guarda riguarda la schiera
dispersa sbandata dei crudeli padroni che fugge dalle spade senza concedersi un attimo di sosta.
Li vede ansimanti come animali feroci cercare un nascondiglio nelle loro case impauriti, con le folte criniere dritte per
la paura, e qui le donne guardano i propri figli ammutoliti col volto pallido dalla paura.
Come cani lanciati all'inseguimento di una preda arrivano altri guerrieri con la spada avida di sangue correndo e
frugando ovunque. Dopo averli visti travolti dalla felicità anticipa gli eventi e sogna iniziano a sognare la fine della dura
schiavitù.
Uno della folla invita gli altri ad ascoltare le sue parole perché i guerrieri franchi sono arrivati da lontano per strade
difficoltose ed essi sembrano i vincitori precludono la salvezza dei vostri nemici. I Franchi hanno dovuto sospendere i
festeggiamenti e prepararsi alla imminente battaglia.
Tornavano a dir addio alle donne preoccupate che hanno lasciato nelle stanze della casa natale, le quali li pregava nodi
aver cura di se stessi. Sono arrivati qui con elmi già ammaccati dei colpi dei precedenti nemici, hanno messo le selle
cavalli e si sono recati sul ponte che rimbombava degli zoccoli dei cavalli.
Passarono a schiere da una terra ad un'altra cantando allegre canzoni di guerra, ma portando nel cuore la propria
casa. Stettero svegli ed armati nelle fredde notti in mezzo a valli petrose e scoscesi dirupi, ricordando i discorsi
d'amore con le proprie donne.
I pericoli sconosciuti di luoghi pericolosi, le marce estenuanti su per dirupi mai toccati prima da orme umane, la dura
disciplina, la fame, vedere continuamente le lance calare sui petti, sfiorare gli scudi, rasentare gli elmetti, udirono le
frecce volare fischiando.
il premio sperato promesso a questi valorosi guerrieri sarebbe di rivoltare la condizione di un popolo straniero per
mettere fine al suo dolore? Tornate nella superbe rovine alle opere inutili delle riarse officine,ai campi bagnati di
sudore servile.
I Franchi vittoriosi si uniscono ai nemici vinti. Accanto al nuovo padrone rimane quello vecchio; gli uni e gli altri vi
domineranno.
Si dividono gli schiavi e gli armenti. Si adageranno insieme sui campi bagnati di sangue che appartengono ad un popolo
disperso e senza nome.

COMMENTO: Il coro è la sintesi del dramma di tre popoli: quello dei Longobardi, costretti alla fuga; quello
dei Franchi vittoriosi, ma a prezzo di grandi sacrifici, fatiche e pericoli; quello degli italici, volgo disperso che
si illude di poter riacquistare la libertà. Il popolo italico, accorso al rumore della battaglia, osserva pieno di
ansia e speranza.
Ma è l’assurda speranza di un volgo disperso, non del popolo che discende dagli antichi romani.
Come può illudersi che quei guerrieri abbiamo lasciato le loro case, la moglie, i figli, gli agi per venire a
liberarlo?
Si rassegni dunque a continuare ad essere un popolo dominato ed asservito allo straniero, che certo non
butterà via la sua vita per ridare la patria perduta ad un volgo che non ha più dignità né virtù. Un popolo
deve conquistarsi la propria libertà da solo perché nessuno gliela regala.
-la prima parte presenta una scena di guerra: i Longobardi in fuga, i Franchi all’attacco, i latini spettatori
inerti e illusi di quanto sta accadendo in caso loro.
-nella seconda parte l’autore si rivolge ai Latini con un appello diretto. Inutile illudersi il prezzo che questi
guerrieri pagano è troppo alto perché la posta in gioco sia il riscatto di un “volgo straniero”. Il messaggio
sottointeso è che la libertà, un popolo deve conquistarsela in proprio: nessuno gliela regala.

Coro dell’atto IV: Dopo essere stata ripudiata, Ermengarda si è rifugiata in un convento di Brescia. Qui muore,
consumata dall'amore per Carlo.

Tutto discorso ha un tono accorato di un compianto funebre. Compare subito il tema della morte come soluzione dei
mali della vita.
-nella prima parte del coro il personaggio di Ermengarda viene colto in tutta la sua drammatica lacerazione. La sua
figura, da viva, risulta sdoppiata. Prima entra in scena la donna ripudiata, un'ombra nella notte che si aggira senza
pace per il convento; poi appare la regina dei giorni felici, moglie invidiata di un giovane e prestante sovrano. Le due
immagini sottolineano il contrasto passato/presente, felicità/dolore, accentuando il senso di una perdita irreparabile.
-nella seconda parte la figura di Ermengarda viene proiettata nel panorama ampio ed terribile della storia, affollato di
vittime innocenti, pieno di violenza e di sangue punto lo sguardo del poeta si allontana da Ermengarda morente e la
completa dall'alto, in una prospettiva di eternità: solo a questo punto il sacrificio di Ermengarda acquista il suo
significato.

In questo coro sono presenti le similitudini:


1°-come la rugiada porta sollievo al cespuglio, ai fiori e rianima gli steli bruciati dal sole che rinverdiscono nel tepore
moderato del mattino, Ermengada veniva risollevata dalle parole amiche delle suore che la portavano a smettere di
pensare a Carlo.
2°-il sole però tornava e quindi le parole delle suore davano per un po' sollievo ma poi tornava l'angoscia per l'amore
che ha per Carlo.

Ermengarda e Adelchi erano degli oppressori che vengono soppressi e quindi sono entrambi degli eroi romantici
perchè sono dei vinti che si riscattano in modo morale e religioso.

<<Una feroce forza il mondo possiede>>: l’Adelchi si conclude con un incontro a tre: Carlo Vittorioso, Desiderio
prigioniero, Adelchi morente.

Desiderio all’inizio incarna la figura del sovrano campione di forza e di arroganza; alla fine è un vecchio in lacrime che,
troppo tardi, scopre il suo ruolo di padre. Carlo, che ha ripudiato Ermengarda per i suoi interessi politici, ora è il
vincitore che, a partita conclusa con il suo trionfo, mostra sentimenti magnanimi. I due sono sovrastati dalla figura di
Adelchi in agonia a cui tutto adesso è chiaro: il potere è solo strumento di male, la storia è una sporca vicenda di
soprusi e di sangue, nella vita non c'è alternativa: o si è vittime o carnefici. Dunque l'unico modo per non fare il male è
non agire, e ogni valutazione umana è capovolta: la posizione di chi è ridotto all'impotenza è migliore di quella del
potente.
Con la morte di Adelchi si riscatta anche il padre.

Il Cinque Maggio: Napoleone è morto. Come il suo corpo rimase immobile dopo aver esalato l'ultimo respiro,
così immobile rimase il mondo, colpito, stordito dall'annunzio, ammutolito, pensando all'ultima ora
dell'uomo del destino; nè sa quando il passo di un uomo altrettanto grande tornerà a percorrere le stesse
orme macchiate di sangue.
    Il mio ingegno poetico lo vide solitario vincitore ed in auge, e tacque e così continuò anche quando, con
alterne fortune cadde, si risollevò e fu definitivamente sconfitto, non unendo la sua voce a quella di tanti altri
poeti: si innalza ora commossa, non contaminata di elogi servili e di vili insulti, all'improvvisa morte di una
figura simile; e dedica alla tomba un canto che forse resterà eterno.
    Dall'Italia all'Egitto, dalla Spagna alla Germania le azioni fulminee di quell'uomo senza esitazioni
seguivano immediatamente il suo improvviso apparire; agì impetuoso dall'estrema punta dell'Italia fino al
Don, dal Mediterraneo all'Atlantico.
    Fu vera gloria? Lasciamo ai posteri la difficile sentenza: noi ci inchiniamo umilmente al Sommo Creatore
che volle imprimere su di lui un sigillo più forte della sua potenza creatrice.
    Egli sperimentò tutto: la tempestosa e trepida gloria di un grandissimo disegno, l'insofferenza di un animo
ribelle che deve obbedire ma pensa al potere e poi lo raggiunge e ottiene un premio che sarebbe stato una
follia sperare;
    provò la gloria tanto più grande dopo il pericolo, la fuga e la vittoria, il potere e l'esilio umiliante; due
volte sconfitto, due volte vincitore.
    Egli si diede il nome: due epoche storiche tra loro opposte guardarono a lui rispettosamente come
aspettando il destino; egli fece silenzio e si sedette tra loro come arbitro.
    Nonostante tanta grandezza, improvvisamente scomparve e finì la sua vita in ozio, prigioniero in una
piccola isola, bersaglio di immensa invidia e di rispetto profondo, di grande odio e di grande amore.
    Come sulla testa del naufrago incombe e grava l'onda su cui poco prima lo sguardo del misero scorreva
alto e proteso invano ad avvistare lontani approdi,
    così sull'anima di Napoleone scese il peso dei ricordi. Oh, quante volte ha iniziato a scrivere le sue
memorie! E quante volte su quelle pagine cadde la sua stanca mano!
    Quante volte al tramonto stette con gli occhi bassi e le braccia conserte e lo assalì la malinconia e il ricordo
del passato!
    E ripensò agli accampamenti militari continuamente spostati, alle trincee, lo scintillare delle armi e
l'avanzare della cavalleria, e agli ordini concitati e alla loro rapida esecuzione.
    Ah, forse a tanto dolore cadde il suo spirito e si disperò, ma valido venne l'aiuto di Dio, che lo trasportò
pietoso in una realtà più serena;
lo guidò verso la beatitudine eterna, lo guidò verso quel luogo dove la gloria terrena non vale nulla.
    Bella, immortale, benefica fede, abituata alle vittorie! Annovera anche questo tuo trionfo, rallegrati; perché
nessuna personalità più grande si è mai chinata davanti alla croce di Crist
Tu, o fede, allontana dalle stanche spoglie di quest'uomo ogni parola malvagia: il Dio che può tutto, che ci dà
i dolori e ci consola si è posato accanto a lui, per consolarlo nel momento della sua morte.

COMMENTO: L’autore rievoca la figura di Napoleone partendo dall'evento della sua morte, che provoca
sgomento in tutti perchè egli ha retto le sorti di un'epoca. Se la sua gloria sia meritata o no, dice il poeta, è ancora
presto per dirlo; certamente però non è stato un uomo come gli altri. Una prodigiosa carriera, le leggendarie imprese,
le alterne fortune, e infine l'umiliazione di un esilio definitivo: una luminosa parabola spezzata da una irreparabile
caduta, per ritrovare nel dolore, attraverso la fede, la via giusta verso la salvezza e la pace.
La rievocazione si svolge intorno a due temi centrali:
-La grandezza di Napoleone non era che un pallido riflesso della grandezza di Dio a cui devono essere ricondotte le
vicende umane; la storia infatti, con il suo travaglio inesplicabile di eventi, prova un senso solo se vista nella
prospettiva di un misterioso disegno provvidenziale;
-la sconfitta e la sofferenza diventano, se cristianamente vissute, un'occasione fortunata di riscatto.
Il componimento appartiene, in un certo senso, a un genere tradizionale: la poesia d'occasione, celebrativa di un eroe.
Ma è un eroe che trova la sua più profonda autenticità quando è spogliato del potere e della gloria, ridotto alle
condizioni di un uomo comune, un "naufrago" della storia, secondo la similitudine che fa da cardine alla poesia.
Questa poesia contiene una similitudine:
-come un’onda travolge il naufrago i ricordi travolgevano Napoleone. Questa similitudine con il naufrago è presente
anche nella divina commedia.

Romanticismo italiano:
-Attenzione per la situazione temporale;
-riferimento alla fede.

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