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MATTANZA

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“Aja mola,….Aja mola”, il canto dei tonnaroti si leva ritmato e ripetitivo mentre, in piedi,
tirano le reti. Ad ogni invocazione di santi e benedizione per una pesca abbondante
questi rispondono, dando così ordine e tempo alla loro fatica. E’ l’inizio della “Mattanza”,
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e le “cialome”, antichissimi canti rituali religiosi e propiziatori, ne segnano l’avvio. I tonni

sono appena entrati nella camera della morte, l’ultima di una serie di stanze costruite
con millenaria maestria. E’ un dedalo di reti calate lungo la rotta del Tonno, che lo
costringono ad infilarsi in una serie di gabbie da cui uscirà solo per il sacrificio finale .
Siamo a Favignana, piccola isola sulla costa occidentale della Sicilia, che insieme a
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Marettimo e Levanzo forma l’arcipelago delle Isole Egadi. Questi tonni, da sempre, nel

periodo primaverile entrano dallo Stretto di Gibilterra per riprodursi nelle acque più
calde del Mediterraneo. Seguono delle rotte prestabilite che costeggiano la Sicilia ed il
nord Africa. E’ così che questo “mare fra due terre”, diventa punto di incontro e di
comunione di spirito. Le femmine nuotano in profondità seguite più sopra da quattro
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cinque maschi pronti a fecondarne le uova. Gli uomini della Mattanza da sempre

conoscono i loro segreti e li attendono. Da giorni hanno calato le reti agli ordini del Rais,
incontrastato capo e sacerdote di questo rito. E’ lui che sceglie i tonnaroti ed assegna i
compiti. E’ lui che, dalla “muciara”, piccola imbarcazione al centro del quadrato, con gesti
precisi ed insindacabili, carichi di significato e di memoria, dirige uomini e tonni. Il Rais
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scruta le correnti ed il vento per stabilire il momento adatto alla raccolta. E quando

l’ordine arriva gli uomini si radunano all’alba al porto, e su barconi di legno, trainati da
un’unica barca a motore, si recano sul lugo di pesca. Lì viene calato il “coppo”, il fondale
di rete dell’ultima stanza che servirà a fare venire a galla i tonni. In mezzo alle reti spicca
una boa. E’ il “palo di San Pietro”. In mezzo a delle foglie di palma, le immagini di Gesù
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Cristo, della Madonna ed altri santi, proteggeranno i tonnaroti di Favignana. Le barche si

dispongono allora in un magico quadrato. Le voci concitate hanno lasciato il posto ad un


religioso silenzio. Si attende solo il segnale di inizio. E quando questo arriva i sentimenti
si confondono. Urla di gioia e preghiere. Canti antichissimi che seguono lo stesso ritmo
del sangue che comincia a scorre sempre più veloce. Un tempo tutta la Sicilia all’unisono
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cantava le stesse preghiere. Dall’esito della pesca dipendeva la vita della comunità, intere
famiglie,
intere
città, si

spostavano sulle coste per mesi. Il rais aveva in mano il destino del suo popolo. La sua
guida, la sua energia, il suo carisma erano essenziali. Un tempo questo veniva benedetto
in chiesa e portato a spalla dai tonnaroti sulla muciara senza toccare terra, per non
perdere la sua energia. Corpi bruciati da sole e corrosi dal sale lottavano, con profondo
sentimento di rispetto, con i giganti del mare. Spesso restavano in mare fino altramonto
facendo una, due, tre mattanze di seguito. Antichi Rais dicevano che “il tonno si deve
pescare quando il signore lo manda”. Ancora oggi gli uomini della Mattanza sono gelosi
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custodi delle loro tradizioni. La “Camparia” il luogo ed il tempio dove vengono custodite

“a rizza” e i “varcuna”, le reti ed i vascelli, sono luoghi di difficile accesso. Ancora oggi nel
momento in cui le figure scure dei tonni si vedono affiorare dalla profondità del mare, si
riaccendono antiche magie. Anche la luce cambia colore. Il tempo si ferma e millenni di
storia riprendono forma e vita, tornano a danzare. Il mare di Sicilia, che già ispirò Omero,
dà spazio alle voci dei popoli che l’hanno santificato. Fenici, Greci, Arabi, Spagnoli, sono
tutti lì. Le reti sono quasi in superfice, i tonni si dimenano con colpi di coda sempre più
affannati alla ricerca di una impossibile via di fuga, ferendosi l’un l’altro. I ritmi sono
frenetici e solo apparentemente confusi. Tutto ha in realtà un suo ordine naturale. Il
colore del mare si tinge di rosso intenso. Gli uomini si sporgono dalla nave a tre alberi
con arpioni micidiali. Afferrano il tonno prima dalla coda mentre altre mani ,con armi più
corte, arpionano il tonno dalla testa, e due, tre, quattro tonnaroti issano a bordo, con una
forza immensa, i grandi pesci, uno dopo l’altro. Il rosso diventa il colore unico. Mare,
uomini, tonni, vascelli, condividono lo stesso sangue. Il sangue che scorre impazzito nelle
vene dell’uomo e quello del tonno che dipinge il mare, sono lo stesso sangue. E’ un rito
sacrificale, da cui nasce la vita. E allora il tonno non è più vittima, ma un fratello che la
natura ed il Dio hanno mandato. E quando tutti i tonni sono in barca, le reti si mollano, le
voci si disperdono, il mare si richiude e torna come di incanto di un blu intenso. Il rito si è
compiuto. Le preghiere hanno placato gli spiriti del mare. Si dice che già i Fenici
praticassero la pesca del Tonno, e sembra che il termine Mattanza derivi dallo spagnolo
“Matar”. Tuttavia questo rito ultramillenario oggi è in pericolo. Le grandi flotte navali
dell’estremo oriente solcano i mari del Mediterraneo copiose, alla conquista dei grandi
pesci. Le micidiali “tonnare volanti” vanno alla conquista del tesoro del Mediterraneo. Le
carni del tonno, consumate crude, sono un bene pregiato, che incontra innumerevoli
estimatori. Ma in una piccola isola della Sicilia, ancora oggi il tempo si ferma. Ed il mito, il
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sacro, l’alito di Dio, respirano ancora con fierezza attraverso il sudore e la fede di questi
uomini.
©–
Gabriele
Lentini
2007

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