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23/3/2016 Il paradosso Lampedusa, isola simbolo della grande migrazione | il Ducato

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Il paradosso Lampedusa,
isola simbolo della grande
migrazione

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23/3/2016 Il paradosso Lampedusa, isola simbolo della grande migrazione | il Ducato

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 di Libero Dolce

Lampedusa invasa, Lampedusa abbandonata, Lampedusa eroica. L’isola il cui nome evoca
subito immagini di sbarchi e tragedie in mare non ha deciso di diventare il simbolo che è
adesso. Negli ultimi quindici anni migliaia di esseri umani ne hanno calpestato il suolo pe
varie ragioni. I migranti certo, ma anche migliaia di turisti attratti dal mare cristallino,
militari ormai onnipresenti, i curiosi, gli operatori del terzo settore. Un via vai continuo
che ha cambiato volto alla comunità semichiusa del secolo scorso. Indietro non si torna e
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“nuova” isola sta ancora facendo i conti con questa nuova identità, in parte imposta
dall’esterno in parte faticosamente in costruzione all’interno.

ESTATE
TRE MESI FRENETICI – L’ISOLA A COMBUSTIBILE – UN SISTEMA CHE NON PUO’ DURARE – FANTASMI ESTIVI
NOBEL PER LA PACE

INVERNO
NO FINGERPRINTS – SOLIDARIETA’ SUSSIDIARIA – D’INVERNO – TURISTI ANCHE A GENNAIO

UN ULTIMO SGUARDO PRIMA DI PARTIRE

Le cifre. A Lampedusa arriva e se ne va ogni anno l’equivalente in abitanti di una città


grande come Messina. La maggioranza tra questi non sono migranti, perché il loro afflusso
determinato da fattori esterni indipendenti. Condizioni meteorologiche, l’apertura e
chiusura di altri passaggi per l’Europa a est o a ovest, gli accordi statali per il recupero d
naufraghi. A raccontarlo sono i dati del Ministero dell’Interno. Nel 2011, l’anno del boom
degli sbarchi, a Lampedusa, Linosa e Lampione arrivano 51.753 persone. L’isola, per varie
ragioni, rischia di annegare sotto questa pressione. L’anno dopo però gli arrivi sono 5.202
che risalgono a 14.753 nel 2013. Ancora sull’altalena gli anni successivi: 4.194 nel 2014,
19.019 l’anno scorso.

E i turisti? Difficile stimarli con esattezza. Gli albergatori registrano le presenze ma nei
flussi estivi c’è molto nero ed è difficile ricavare un dato preciso. Per l’ultimo quinquennio
dati dell’Ast aeroservizi dicono che, prendendo in considerazione il periodo che va da
giugno a settembre, nel 2011 si è avuto il dato più basso: 55.277 arrivi. L’anno dopo
risalgono di quasi settemila, arrivando a 62.968 e nel 2013 si raggiunge il picco di 72.370
sbarcati sulla pista di Lampedusa. Il totale ha poi oscillato tra i 64.000 e i 66.000 negli ulti
due anni. A questi sono da sommare gli arrivi con la nave, che portano circa 20.000 person
in media ogni anno.

Definire correlazioni di causa-effetto tra i due fenomeni sarebbe temerario oltreché


impreciso. Se da un lato è vero che nel 2011, l’anno con più migranti, gli arrivi in aereo
scendono sotto i 60.000, è possibile anche vedere come nel 2012 c’è una risalita che
evidentemente non ha risentito della “cattiva pubblicità” dell’anno prima. “Tra gennaio e
febbraio i lampedusani fanno filosofia – ironizza don Mimmo Zambito, parroco dell’isol
dal 2013. “Sono preoccupatissimi, temono che non arriverà nessuno e che sarà un disastro
Poi ad aprile qualcuno comincia ad arrivare, d’estate c’è il boom e a settembre, stremati, n
vedono l’ora che vadano via”. Normali paradossi di un’isola che d’estate vive di turismo e
d’inverno aspetta e alimenta i suoi rimpianti su una gestione dei flussi che potrebbe esser
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migliore.

 DOCUMENT
Report 2013 sul turismo in provincia di Agrigento

Don Mimmo nel suo studio

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L’ESTATE
Tre mesi frenetici. “Io preferirei si tornasse all’isola com’era prima – racconta Nino
Taranto, gestore dell’Archivio storico di Lampedusa – con meno chioschi e folla nei lid
Prima del boom degli anni Ottanta. Un turismo più selettivo che affatichi meno il territori
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magari stimolato di più a immergersi nella storia del posto”. In una piovosa mattina
d’agosto, che ha svuotato in parte le spiagge, Taranto accoglie i visitatori dentro la sede
dell’associazione e interrompe il racconto ogni volta che entra qualcuno a chiedere
informazioni. Stranieri perlopiù, che si fermano davanti alle foto d’epoca, le mappe antich
e all’anfora di origine nordafricana ripescata in mare, custodita qui finché non aprirà il
museo archeologico delle Pelagie. Taranto è fiero del lavoro svolto dall’associazione ma
critico verso l’assenza di alternative: “Lampedusa è un posto che vive di tanti miti: il mito
dei missili di Gheddafi, quello dei turisti, quello dei migranti. Ora c’è anche il mito del
sindaco, nel bene e nel male. Sono come un ufficio della Pro Loco ma non è questa la
funzione dell’Archivio. Ecco una mancanza dell’isola. Si può vivere di turismo senza saper
offrire a chi arriva, senza sapersi raccontare?”.

Alternative al turismo però non ce ne sono. “Nel ventesimo secolo – spiega Taranto – la
scoperta del passaggio del pesce azzurro nelle acque circostanti ha stimolato una discreta
industria del pescato e della conservazione ma rimane un’attività incapace di trainare da
sola l’economia isolana”. Un’alternativa per poche famiglie. In più la concorrenza dei
pescherecci di Sciacca, e soprattutto dell’imponente flotta da pesca mazarese, taglia fuori
pescatori locali dalle aree più pescose. Fiorente, prima, era anche l’attività della pesca del
spugne, entrata in crisi sia perché incapace di reggere la concorrenza dell’industria sinteti
sia perché le spugne vivono in un ecosistema fragile. Impossibile tirarne fuori troppe senz
causare un prosciugamento della risorsa. Così i lampedusani si sono trasformati, con diver
fortuna, in imprenditori del turismo.

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L’isola a combustibile. A luglio e agosto l’isola si trasforma in un formicaio. Gli arrivi son
gestiti dagli operatori turistici, in genere con la formula del “sei notti e sette giorni”. La
maggior parte degli arrivi provengono dagli aeroporti del nord Italia, con voli charter
comprati per intero dall’operatore (la cosiddetta formula “vuoto per pieno”) che poi riven
il solo biglietto di andata e ritorno all’acquirente o all’interno di un pacchetto completo.
Volo, albergo, mezzo di trasporto. Quest’ultimo è essenziale in un’isola con le spiagge
distanti l’una dall’altra, raggiungibili in alternativa soltanto con la non troppo frequente
navetta blu. Trovare uno scooter, una macchina o una mehari in alta stagione, se non lo si
fatto con anticipo, può essere complicato.

In paese il rombo di scooter e macchine durante l’estate è incessante. Il rumore è molto


fastidioso, come il traffico dell’ora di punta in una grande città. Al tramonto, quando si
ritorna dal mare verso il paese, il tanfo dei gas di scarico rende l’aria irrespirabile per la
puzza di oli bruciati e benzina. Raro che conducenti e passeggeri indossino un casco o la
cintura ma le forze dell’ordine sembrano non farci caso. Uno studio del Politecnico di Tori
ha evidenziato che il parco macchine di Lampedusa è molto vasto, con circa il 70% degli
abitanti che possiede una macchina contro il 63% dell’isola madre. “Basti pensare che a
Lampedusa – scrivono Massimiliano Curto e Marco Diana su QualEnergia- quasi un veicol
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su quattro è di categoria Euro 0 mentre la media a livello nazionale è un veicolo Euro 0 og


10”. Il 74% delle persone che arrivano si muovono con mezzi in affitto, mentre il 15% si
muove con mezzi propri. Solo l’11% sceglie le navetta. Considerando che durante le
settimane centrali di Agosto il picco di presenze supera tranquillamente le 14.000 presenz
si ha un’idea dell’affollamento di mezzi.

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Un sistema che non può durare. A Cala


Pisana, una piccola insenatura molto suggesti
nel lato est dell’isola, c’è un B&B molto
particolare. Attraverso un cancelletto abbellit
dal disegno di alcuni edifici di stile orientale s
accede al bianco patio frondoso. Strano a dirsi
un’isola ma sembra di entrare in un’oasi di pa
mentre fuori tutto si agita. Il B&B è gestito
da Paola e Melo, coppia di palermitani da 13
anni trapiantati a Lampedusa. “Il problema è l
sostenibilità – ragiona Paola a proposito delle
presenze –  un criterio che non ispira nessuno
Il patio di Paola e Melo
dei grossi operatori turistici dell’isola. Non è m
stato fatto uno studio serio sulla capacità di
carico di Lampedusa perché lavorando quattro mesi all’anno riusciamo a campare di rendi
per tutto il resto dell’anno. C’è quasi da augurarsi una crisi perché si faccia una riflessione
seria”.

Un’isola di 20 kmq con seimila abitanti che durante l’estate arriva a ospitare tra i 30.000 e
40.000 visitatori. “Non so fare una previsione – continua Paola – l’isola può reggere maga
per altri venti o trent’anni ma alla fine non resterà più niente da salvare. Lampedusa attira
turisti per l’ambiente e il mare ma se continui a scaricarci dentro i rifiuti di quasi
cinquantamila persone, se continui a costruire case abusive e brutte a un certo punto sarà
un disastro”. Il turismo sostenibile non è un’opzione ma l’unico modo con cui si può
garantire a una comunità fondata sui visitatori e la bellezza una sopravvivenza a lungo
termine. Alternative al turismo? Per Paola non ce ne sono. “Potrebbero trasformarlo in un
enorme centro d’accoglienza o un grande presidio militare ”, conclude scherzando amara.

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Fantasmi estivi. “Dove sono? A Lampedusa i migranti non si vedono, stanno al centro e p
li rimandano via. Bisogna dirle queste cose”. Salvatore Brignone, proprietario del
frequentatissimo Bar dell’amicizia, non ha dubbi su cosa rispondere a chi chiede se turism
e migrazioni siano legati: “Nel 2012 c’è stato un notevole calo delle presenze, anche a cau
di come l’hanno raccontata i giornali. Adesso la situazione è tranquilla, i turisti e i migran
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non si incrociano”.

Il 2011 in effetti è un anno complicatissimo per l’isola. In Nord Africa e Medio Oriente
iniziano le cosiddette primavere arabe che divampano dalla Tunisia. Uomini e donne
cominciano a fuggire da un paese diventato caldissimo, dove il dittatore presidente Ben A
faceva sparare sui manifestanti. Nel febbraio di quell’anno a Lampedusa arrivano in
quattromila. Un numero ingestibile per il Centro di primo soccorso e accoglienza.

Moltissimi dormivano per strada, in condizioni di disagio in un’isola non attrezzata per la
situazione. In televisione passano di continuo immagini di cortei di uomini esasperati, di
sbarchi e soccorsi in mare. Alla fine sull’isola sarebbe arrivato il presidente del consiglio
Silvio Berlusconi a rassicurare tutti: “Nel giro di due giorni a Lampedusa ci saranno solo
lampedusani”.

La crisi invece continuò finché il 20 settembre al centro esplose la rivolta. In 1500 dent
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una struttura capace di ospitarne 300, alcuni appiccarono il fuoco ai materassi infiammab
Il Cpsa (centro di primi soccorso e accoglienza) finì in cenere, fortunatamente senza che
nessuno morisse. Il giorno dopo i migranti raccolti nel campo comunale, vicino al porto,
minacciarono di fare esplodere alcune bombole di gas. Furono caricati dalla polizia per
disperderli. Ma in questo caso i lampedusani esasperati scesero in strada, bersagliando i
migranti in rivolta con una sassaiola.

Finì che sull’isola vennero inviate le navi turistiche per sgombrare i tunisini e portarli sull
terraferma. Le immagini delle proteste, delle cariche e dei volti trasfigurati
dall’esasperazione fecero il giro del mondo. Quell’anno Berlusconi propose Lampedusa
per il premio Nobel alla pace.

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Il Nobel per la pace. Candidata al premio da quattro anni, Lampedusa continua a non
vincerlo. La recente vittoria dell’Orso d’oro a Berlino del film di Rosi “Fuocoammare”
rilanciato per quest’anno la candidatura dell’isola. Premiare un luogo divenuto simbolo
tramite il premio simbolico per eccellenza, in un gioco di specchi da far perdere
l’orientamento. “Non lo vincerà mai” dicono quasi tutti in paese, perlopiù disinteressati a
cosa. D’altronde premiare Lampedusa perché accoglie i migranti sembra un paradosso.
Come fa un’isola ad accogliere? A farlo sono i singoli, i gruppi o le associazioni. Non tutti,
con i normali distinguo interni a una comunità variegata, attraversata come tutte da
contraddizioni e interessi divergenti. Il gruppo Askavusa, un collettivo critico attivo
sull’isola, in un post sul suo blog commentando il film Rosi ha commentato così la
candidatura: “Il premio Nobel temiamo che prima o poi possa anche arrivare. Perché non
darlo all’isola dell’ ‘accoglienza’, armata fino ai denti per le guerre NATO, che toglie diritt
ai propri cittadini e che detiene dietro le sbarre i migranti con giusto un paio di cessi e di
docce per centinaia di persone”.

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L’INVERNO
“No fingerprints, no fingerprints”. È uno dei cortei più strani cui si può assistere quello
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che sfila il 6 gennaio 2016 tra le vie di Lampedusa. Scortato e fotografato all’inverosimile


dalle forze dell’ordine che lo accompagnano. Ordinato e organizzato, con un uomo al
megafono che scandisce slogan e rivendicazioni precise: niente impronte e libertà di
proseguire il percorso in Europa.

dove europa? va deto e ripeterei fingerprints. La controparte del corteo però è molto p
a nord, a Roma forse. O piuttosto a Bruxelles, dove da qualche mese si chiede all’Italia più
severità nelle procedure d’identificazione dei nuovi arrivati. Se chi deve capire ha occhi e
orecchie a Lampedusa durante questa piovosa vigilia dell’Epifania, sono occhi e orecchie
silenziosi. Finora la prassi si è scostata dalla teoria, con le autorità italiane che chiudevano
un occhio sulla sorte di diversi profughi, scomparsi durante i trasferimenti nei vari centri.

Corteo contro le impronte digitali a Lampedusa

Per il gruppo che ha deciso di manifestare è diverso. L’Italia ha accolto le richieste europe
dal 2015 il primo hotspot europeo è Lampedusa. Dal punto di vista strutturale tutto è
rimasto com’è: stesso edificio, stesso personale, stessa capienza. La differenza sta nella
sostanza. Ora chi arriva deve farsi identificare, tramite le impronte, in modo che le autorit
stabiliscano se il migrante può rimanere o deve essere rimpatriato, in base al paese di
provenienza. Una mannaia che cala impietosa su gran parte dei migranti economici,
costretti a fare retromarcia. Per chi si fa identificare ed è idoneo al passaggio scatta la
seconda fase dell’accoglienza, la ricollocazione nei vari paesi europei. Sulla base di un
sistema di quote proporzionalmente distribuite tra i vari stati europei secondo le dimensio
dell’economia, la popolazione e al numero di richieste di asilo ricevute.

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Non è l’uomo a scegliere il paese ma il paese a scegliere l’uomo. Il sistema della relocation
bene per chi scappa: è una forzatura
Ibrahim Esmael

Ibrahim ha 32 anni, ha superato il mare ma in Libia ha lasciato la moglie. Prima del viaggi
hanno divisi e lei è stata rapita. Divide le giornate tra lunghe telefonate, per provare ad
avere sue notizie, e l’organizzazione dei suoi connazionali. Sorride sempre. La protesta è
cominciata con un raduno di fronte alla chiesa, a dormire sui gradini in 200 col freddo
invernale sollevato dal vento costante. Don Mimmo segue la vicenda in un
andirivieni dentro e fuori alla parrocchia. Ha subito aperto le porte della chiesa per chi
volesse dormire dentro. Le donne e i bambini si rifugiano, gli altri restano fuori. Per farsi
vedere, perché la protesta sia presa sul serio.

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Solidarietà sussidiaria. Durante il giorno un


gruppo di lampedusani si dà il cambio nella
piazza. Per portare una coperta o un vestito, p
offrire ai bambini una doccia, per parlare. Son
pochi e volenterosi. Eleonora Maggiore
Yadira Torrente sono due amiche, ventenni,
Yadira Torrente che studiano fuori. ‘Nel continente’ si sarebbe
detto un tempo, quando la Sicilia era una terra
migranti economici. Sono sull’isola per gli ultimi giorni di pausa dallo studio. “Con gli
hotspot hanno creato un casino e non sanno come risolverlo”, sbotta Eleonora. “È come se
io vivessi a Lampedusa – continua – e mio padre a Palermo e mi dicessero: ‘No, non puoi
andare da lui, ti trasferiamo a Catania’. È inutile che i miei compaesani mi dicano ‘basta d
le impronte e tutto si risolve’. Non possiamo costringerli ad andare in un posto, sono anda
via proprio da questo e non è stato facile per nessuno di loro’.

Gli operatori della Misericordia, la srl che


gestisce l’hotspot di contrada Imbriacola,
dicono che non possono intervenire fuori dal
centro. Per il cibo dunque occorre arrangiarsi. La
prima sera un giro dei panifici e distribuzione di
calzoni, pane, pizze e panettoni. Il giorno dopo
si va a cucinare nel resort di Yadira. Pentoloni su
pentoloni di riso, comprato dalle ragazze e
distribuito agli infreddoliti davanti alla chiesa.
S’improvvisa con il sorriso. Dopo due giorni i Eleonora Maggiore

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migranti si convincono a rientrare al centro, con


la mediazione del sindaco, di don Mimmo e di don Mussie Zerai, sacerdote eritreo che neg
ultimi 20 anni ha contribuito a salvare migliaia di migranti africani passati dal mar
Mediterraneo.

L’hotspot però rischia di tramutarsi in un


imbuto. Alcuni di loro sono arrivati a inizio
dicembre e sono stati portati via solo a metà
gennaio. Dopo il trasferimento in nave in Sicil
alcuni raccontano d’impronte prese con la for
nelle questure sull’isola. “Un’occasione persa
per ripensare un modello di accoglienza divers
più inclusivo ed efficace”, si rammarica don
Un piccolo eritreo manifesta per i suoi diritti
Mimmo. “Lampedusa è il primo approdo per
questa gente e potrebbe essere tutt’altra l’idea
Europa che trasmettiamo a chi spera in noi”. La gente però è stanca e la questione interes
sempre meno. “Un luogo di venti chilometri quadrati che deve assolvere alla missione
storica e geografica di salvare i migranti”, dice don Mimmo. A suo dire Lampedusa è
fortunata proprio perché qualcosa arriva da fuori però lo stato non ha mai voluto farsi cari
del fardello che sopportano i lampedusani. Don Mimmo suggerisce mancanza di volontà:
“Dopo anni e anni di centro d’accoglienza ci sono ancora delle falle e si procede a tentoni.
evidente che qualcosa non va e si vuole far sì che continui così”.

Il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini sui problemi dell'hot-spot

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D’inverno. Difficile per un europeo fare turismo più a sud di Lampedusa senza dover tirar
fuori il passaporto e macchiarlo con un timbro. Impossibile invece per chi raggiunge l’isol
da meridione oltrepassarla senza tingere d’inchiostro il dito per lasciare le impronte digita
su di un foglio. Le porte girevoli di questa isola, divenuta soglia d’Europa suo malgrado,
funzionano in modo diverso a seconda della direzione di arrivo e due fenomeni
all’apparenza contraddittori, turismo e migrazioni, qui si toccano finendo per provocare u
cortocircuito ma anche una finestra sui possibili mondi che verranno.

Sul volo Palermo-Lampedusa delle 10:30 del 5 gennaio, a metà del viaggio, un passeggero
abbandonato il libro che stringeva in mano dal decollo per mettere a parte la sconosciuta
fianco del suo stupore riguardo la collocazione geografica di Lampedusa. Il punto più
meridionale d’Europa. Il più avanzato avamposto africano nel vecchio continente. Punti d
vista. A pensarci volando poco più a ovest si atterrerebbe in Tunisia in pochi minuti. “Se
salta Schengen – lo interrompe la signora secca dopo qualche assenso di malcelata noia –
passaporto toccherà tirarlo fuori anche qui. Pensa un po’”.

Ad accogliere i passeggeri sbarcati alle 11:30 all’aeroporto non c’è però nessuna guardia d
frontiera. L’Unione europea e il suo trattato di libera circolazione tengono e per chi si
avvicina da nord alla “porta d’Europa” l’accesso è ancora garantito esibendo solo il
documento d’identità. Dei 68 posti liberi sull’ ATR 72 500 della compagnia Mistral Air più
della metà sono vuoti e l’apertura della porta automatica degli “Arrivi” spalanca ai 30
passeggeri la visione di un aeroporto semideserto. Lampedusa è in regime di continuità
territoriale con l’Italia. Significa che i collegamenti con la penisola sono un diritto, che g
isolani hanno conquistato solo nel 2003. Il transito di passeggeri è in media al di sotto del
200.000 unità annuali, ben al di sotto della soglia dei 500.000 che servirebbero per chiuder
il bilancio in pari.

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Turisti anche a gennaio. Non molti arrivano in inverno qui e la speranza di


“destagionalizzare i flussi”, mantra ripetuto da chiunque si interessi di turismo sull’isola,
quindi quasi tutti, rimane un auspicio che finora non ha avuto seguito. L’isola scoppia
d’estate e va in letargo d’inverno. E l’idea di allungare la stagione turistica per diversificar
gli arrivi non ha finora trovato dei riscontri pratici. Quasi inutile pensare di sedersi in un
locale in centro fuori dalla stagione estiva. Le decine di ristoratori che per tre o quattro me
si danno battaglia a colpi di menù turistici al ribasso e pietanze tipiche, si riducono duran
l’inverno a uno o due locali aperti frequentati perlopiù da militari e altri forestieri che per
qualche ragione si trovano a lavorare a Lampedusa. I trasporti sono infrequenti e scomodi
barche per i giri turistici dell’isola ferme o in secco, la maggior parte dei bar chiusi.

“Mi accusano di occuparmi solo di migranti e mai di turismo – si lamenta il sindaco Giusi
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Nicolini – ma non si capisce come vorrebbero destagionalizzare. Faccio un esempio:


l’opposizione consiliare ha bocciato la convenzione per la gestione del museo archeologic
La mia giunta ha preso il museo che era stato espropriato, ristrutturato e poi abbandonato
vent’anni fa, ho convinto la Sovrintendenza utilizzando fondi dell’ultima programmazion
Po Fesr a completarlo aprendo un dialogo per gestirlo noi da qui e loro in consiglio
comunale l’hanno respinto. Le pare sensato?”. Il presidente dell’Associazione Albergatori
Lampedusa, Tonino Martello, sostiene di aver presentato insieme ad altri una proposta p
gestire privatamente il Museo e metterlo a disposizione del comune, ricavi compresi.
Soprintendenza e sindaco respingono questa ricostruzione. Il risultato di questa
contrapposizione è che il Museo è chiuso. Il bando indetto dalla Soprintendenza di
Agrigento per lavori di restauro e allestimento data al 2012 ma la struttura è chiusa e non
accoglie né opere né ovviamente visitatori. Un’incompiuta piuttosto evidente, collocato
com’è alla fine di via Roma, la via del passeggio lampedusano, a costeggiare la terrazza
panoramica che si affaccia sul porto.

Un senso d’irrisolto e d’abbandono che non si


limita al museo. Lampedusa è un’incompiuta in
divenire, brutta e scorticata. Prospetti mai
ultimati, edifici crollati, lavori fermi su piani
superiori abbozzati e mai completati. Sarà
difficile per il forestiero che passeggia per la
prima volta in paese scorgere uno scorcio in cui
la palazzina a due o tre piani, ormai l’edificio
classico di Lampedusa, sarà in una qualche
armonia cromatica con quelli che lo attorniano. Tonino Martello
Secondo una relazione del Cru (Comitato
regionale urbanistico) i seimila abitanti di Lampedusa gestiscono un patrimonio edilizio
capace di ospitare tra i 60.000 e i 70.000 turisti. Dieci volte più dei residenti.

Si è costruito per anni, noncuranti di regole o limiti. L’equilibrio con il paesaggio e la natu
completamente trascurato, finendo per costruire villette squadrate a pochi passi dal mare
edifici del tutto incongrui col circostante, veri e propri cubi di cemento color grigio colata
Secondo Giusi Nicolini le istituzioni, le amministrazioni precedenti “hanno fatto un accor
silenzioso e scriteriato con i lampedusani. Non ci sono soldi, il turismo è in difficoltà? Noi
facciamo fare case senza dire nulla, così almeno aumentate i ricavi”. Può funzionare una
scambio del genere? “Porta a un modello ingestibile – commenta amaro il sindaco – dove
regole sono considerate un fastidio e modelli più sani di turismo vengono rifiutati perché
poco convenienti. Non si capisce che il problema viene proprio da un turismo che invece d
rispettare il territorio lo impoverisce”.

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 Un ultimo sguardo prima di partire. “Mio padre arrivò per lavoro nel ‘75, dalla Puglia,
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decise di rimanere. S’innamorò di questo posto dove, appena sbarcato, i primi isolani
conosciuti lo invitarono a casa loro. Prima funzionava così, vivendo da un posto di mare
qualunque cosa ti arrivi dal mare la devi accogliere”. Non è l’unico a usare questa
espressione Mauro Buccarello, “giornalista trapiantato” sull’isola, che fotografa la grande
migrazione e racconta l’isola per Associated Press.

Nel 2007 l’occhio dei media si è posato sull’iso


con molta insistenza. “Non è stato un anno di
grandi numeri, credo fossero 30.000 i migrant
arrivati quell’anno ma vennero rilanciati su tu
la stampa italiana. Uno dei motivi per cui ho
scelto un’agenzia estera. Io sentivo sempre
“Lampedusa invasa” ma andavo al molo e que
invasione non la vedevo. Mi ricordavo di quell
che avevo visto fuori, a Brindisi, ad Agrigento,
Macerata dove vedevi realmente l’immigrazio
Lì ovunque andassi c’erano migranti, dalla
stazione ai vari luoghi di aggregazione”. A
Lampedusa non esiste questa forma di
Mauro Buccarello migrazione, qui c’è la realtà della prima
accoglienza. La parte, enfatizzata a dismisura
nel racconto pubblico, del soccorso ai disperati delle carrette del mare. Quella che si prest
interpretazioni iperboliche e distorsive, nella linea che può si muove dalla retorica
dell’eroismo a quella dell’invasione terroristica.

Mauro ha un’idea precisa della correlazione esistente tra il turismo e i migranti: “Nel 2009
c’è stata un’assenza del movimento migratorio, a causa dei respingimenti in mare.
Quell’anno non c’è stato un aumento del turismo nonostante non ci fossero migranti. È un
cosa che hanno inculcato nella testa dei lampedusani che le migrazioni facciano calare il
turismo. In realtà si tratta di un problema strutturale che ha l’economia turistica, che non
sempre può stare sullo standard di 50.000 presenze”. Salite e discese fisiologiche, come pe
altre località turistiche in un mercato che è legato oltre che alla percezione, alla moda e al
quadro economico generale.

“Quel che veramente servirebbe – sostiene Mauro – sarebbe un ripensamento


dell’accoglienza su tutto il territorio, alleggerendo il ruolo dell’isola che il suo lo fa. Il fatt
che ormai con l’accoglienza si fanno i soldi, come hanno dimostrato le inchieste. Molti
parlano di Lampedusa per approfittarne, per far soldi con quel che rappresenta. Una spugn
che lava le coscienze di tutti e riempie i portafogli di alcuni”.

Tra poco si ricomincerà a pensare alla prossima estate di turismo. L’isola aspetta i turisti,
qualcuno aspetta il Nobel mentre altri stanno al loro posto per dare dignità a chi arriva da
mare. I muri che si alzano ad ogni frontiera nella cosiddetta “rotta balcanica”
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23/3/2016 Il paradosso Lampedusa, isola simbolo della grande migrazione | il Ducato

potrebbero significare un ritorno alla centralità delle rotte sul mediterraneo ovest. Tra
Sicilia e Africa il paradosso Lampedusa resta dov’è, quello di un’isola che sopravvive
consumandosi e recupera accoglie i migranti sulla soglia di un’Europa fortezza. In attesa c
qualcuno provi ad affrontarlo.

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