CAPITOLO 1
1. Farsi un nome FRA i BARUYA: introduce il tema del “farsi un nome” con la descrizione del percorso di
iniziazione del popolo BARUYA finalizzata a due grandi separazioni DONNE/UOMINI e UOMINI/GRANDI
UOMINI
2. Farsi un nome CON I BARUYA: introduce il parallelismo dell’esperienza professionale dell’antropologo
che si fa un nome studiando altri uomini. A questo proposito introduce il tema dell’etnografia e la
valenza conoscitiva dell’esperienza sul campo attraverso i punti di vista di diversi studiosi: Bronislaw
Malinowski, Franz Boas, Claude Levi Strauss, Marc Augè, Victor Turner, Renato Rosaldo.
L’antropologia è una disciplina, l’iniziazione è una pratica rituale e sociale: le due si rispecchiano l’una
nell’altra; possiamo parlare di iniziazione nell’antropologia e antropologia dell’iniziazione.
3. In lotta con le categorie. Iniziazione nell’antropologia: come i rituali sono stati descritti, classificati,
interpretati dagli antropologi; in quale modo essi hanno affrontato il problema dell’iniziazione e quali
sono gli aspetti maggiormente posti in evidenza.
In questo paragrafo si identificano i criteri che definiscono l’iniziazione e si considerano le prospettive
delle diverse scuole antropologiche soprattutto la visione rituale e quella funzionale. Un riferimento
importante a Van Gennep.
Le tendenze più recenti dell’antropologia hanno spostato l’interesse dal maschile al femminile e
sull’esperienza provata dall’iniziato in termini di emozioni e sentimenti (dolore, terrore, coraggio,
umiliazione, determinazione).
L’idea del processo iniziatico come trasformazione dell’individuo prende il nome di antropo-poietica.
4. Una certa idea di umanità. Antropologia nell’iniziazione, specifiche antropologiche all’interno dei rituali
iniziatici.
La riflessione antropologica all’interno dei riti iniziatici. La riflessione su sé stessi, sulle scelte compiute e
quelle scartate. “Il neofita è nulla e potenzialmente tutto”. Il neofita è un essere transizionale per
eccellenza.
CONCLUSIONE: i rituali di iniziazione contengono etnografie spontanee, riflessioni antropologiche,
considerazioni di ordine esistenziale. Ciò è possibile quando i processi iniziatici lascino spazio a dubbi,
domande, ipotesi sull’essere umano. Lo scarto tra modi di vivere in società e fra umani e non umani
favorisce confronti, contagi e comparazioni che alimentano a loro volta la riflessione e il senso critico.
Ricerca etnografica e teoria sono due aspetti imprescindibili della ricerca antropologica, si intersecano, si
condizionano e, insieme, possono incrementare il sapere sulle forme di vita degli esseri umani in società.
2. Un suono contagioso. Il Mokumo (Wagenia) è l’uccello della circoncisione, ovvero uno strumento
musicale che riproduce il suono di un uccello. Il Mokumo prende il nome di ESUMBA (Bapere),
OLOSUMBA (Nande) ESOMBA (Maniema) LUSUMBA (Pigmei). Un uccello che muta nome nelle diverse
comunità mantenendo i suoi connotati misteriosi e di legame con l’iniziazione. Uomini e suoni che
viaggiano attraverso le foreste. Una sommaria comparazione che sfata il mito di un’Africa fatta da
microcosmi etnici e chiusi in se.
CAPITOLO 3 – TRASFORMAZIONI
1. Iniziazione, movimenti e mutamenti. Importanza della dimensione temporale. La supposta non storicità
dei percorsi iniziatici è smentita da alcuni studi in cui si mostra come specifici eventi storici siano stati
incorporati e abbiano modificato la cultura locale e i suoi riti. Le esperienze migratorie e la mobilità ne
sono un esempio. Concreta esigenza del viaggio. Parallelismo iniziazione-viaggio. E richiamo a Van
Gennep.
Inoltre i classici rituali di iniziazione sono destinati ad essere riformulati (vedi il caso al capitolo 2 dei
Mangbetu, Balika, Babudu e Pigmei) oppure a scomparire.
L’antropologia contemporanea deve studiare queste trasformazioni.
Il viaggio=limbo=fase liminare.
Rifugiati somali.
3. Altri migranti, altre iniziazioni. Un esempio significativo del nesso fra migrazione e iniziazione. Giovani
emigranti mozambicani che trascorrevano lunghi periodi nei campi minerari del sud africa.
Questo caso dimostra anche come determinate pratiche rituali facciano propri trasformazioni e
cambiamenti sociali indipendenti o derivanti dall’esterno. Dimostra come il rito sa adattarsi alla storia.
4. Iniziazione e globalizzazione. Capacità dei processi iniziatici di navigare nel flusso culturale adattandosi
e rinegoziando la propria esistenza in un ambito globale ed anche in logica di business.
- I riti nel Gambia contemporaneo (turismo culturale etc.…)
- I riti di iniziazione femminile nelle città africane. Il Chisungu “rivisitato” in chiave multietnica,
praticato attraverso l’associazionismo femminile cattolico. Gruppi che permettono di costruire un
reticolo urbano, di relazioni svincolate dai legami parentali tipici del villaggio. Jules-Rosette che li ha
studiati fa anche notare come molti dei valori connessi con la vita matrimoniale siano propri sia
degli insegnamenti iniziatici sia dell’educazione cattolica.
Radin (1927) esprime la convinzione che gli ideali di condotta dei popoli primitivi siano
l’autodisciplina, l’autocontrollo, lo sforzo a mantenere il senso della misura in ogni circostanza.
(vedi caso dei Baruya nel 1 capitolo).
1, Lo specchio riflesso
ES. FRANZ BOAS che nel 1897 inizia il suo racconto sullo scambio cerimoniale diffuso tra i KWAKIUTL del
Nord America (uno dei più noti esempi etnografici) mostrando il complesso meccanismo dell’attribuzione
del nome.
ES. BRONISLAW MALINOWSKI nel 1929 realizzò un resoconto etnografico sulla vita sessuale degli abitanti
delle isole Trobriand nella Melanesia N-O. Nella prefazione elenca le proprie credenziali e al primo posto
indica “un lungo periodo di tempo trascorso sulle isole”. Per l’antropologo la miglior credenziale sembra
consistere nell’essere stato sul posto, nell’aver fatto il viaggio.
ES. CLAUDE LEVI-STRAUSS nel 1955 fa un significativo riferimento al viaggiare nelle pagine di TRISTI
TROPICI. Pone l’accento sull’azione santificante del viaggio, è la prima credenziale dell’antropologo a torto
o a ragione: grazie a questo ne guadagna consapevolezza e rispetto. Ma il viaggiatore stesso ne esce
trasformato.
ES. MARC AUGE’ anni ’60 – Lo stesso discorso sul viaggio vale anche quando l’antropologo inizia a viaggiare
prima ancora di aver intrapreso la prefessione, come è accaduto ad Augè che raggiunse l’Africa per ragioni
militari e i mesi trascorsi in Algeria, nelle sue pagine autobiografiche, hanno valore iniziatico alla
professione.
ES. NIGEL BARLEY – vivente. Sottolinea la forza santificante del viaggio antropologico considerandolo alla
stregua di un vero culto iniziatico. Il viaggio diventa indispensabile per farsi un nome come antropologo,
cioè per compiere un passaggio. Avviene una trasformazione nell’individuo, con uno status e una
autorevolezza nuovi.
Non tutti gli antropologi concordano con il fatto che l’osservazione diretta sul campo sia il metodo
dell’antropologia e nemmeno concordano con l’identificazione dell’antropologia con il metodo etnografico.
Tuttavia pare logico intendere l’esperienza etnografica come una sorta di rito iniziatico professionale. E’ un
rito di passaggio che consacra il passaggio dallo stadio di novizio a quello di iniziato.
(Paul Rabinow: great fieldworkers – uomini resi grandi dall’esperienza sul campo).
Non si possono evitare riflessioni critiche circa il metodo etnografico (Rabinow parla di alchimia). Si è in
sostanza assistito a una mistificazione e demistificazione della cosa con conseguenti semplificazioni dall’una
e dall’altra parte.
ES. VICTOR TURNER - 1963: Betwist and Betwin / 1967: La foresta dei simboli.
Sono rilevanti le sue riflessioni sul ruolo dell’esperienza nell’indagine antropologica, a fronte della crisi della
rappresentazione etnografica. Mette in risalto l’esigenza di rifondare la disciplina circa la CENTRALITA’
dell’ESPERIENZA nei PROCESSI CONOSCITIVI. E quindi ribadisce il parallelismo tra ricerca sul campo e riti di
passaggio. Parla di POTERE TRASFORMATIVO DELLA RICERCA SUL CAMPO. Mette però in guardia che non
tutta l’esperienza è necessariamente trasformativa. Perché sia tali occorre:
- Che il ricercatore realizzi una immersione qualitativamente elevate (sospendere condizionamenti,
sviluppare competenze nuove) che si realizza con il perdurare a lungo su quel specifico campo di
ricerca.
- Cioè non solo prolungare i soggiorni (fisici) ma persistere nella frequentazione mentale di un
mondo che va conosciuto, seguito e interpretato nelle sue trasformazioni.
- Il campo diventa doppiamente trasformativo, per il ricercatore che fa esperienza e per i mezzi
concettuali e teorici che porta sul campo o appronta in relazione ad esso.
Ancora, Turner si sforza di scindere l’antropologia dalle trappole quali empatia, sentimentalismo, mistica
intuitiva, ma non sembra disdegnare una sorta di comprensione intuitiva che viene dall’esperienza.
PRIMA CONCLUSIONE
- Centralità della ricerca sul campo
- Coinvolgimento del ricercatore in qualche processo iniziatico con maggiore o minore
consapevolezza critica
- Necessità di affiancare la ricerca sul campo con strumenti teorici e metodi di comparazione.
L’antropologia è una disciplina, l’iniziazione una pratica sociale. Si rispecchiano l’una nell’altra.
1.3 INIZIAZIONE NELL’ANTROPOLOGIA (come i rituali sono stati descritti, classificati, interpretati dagli
antropologi).
Cosa si intende per iniziazione? Il singolo muta e specifica il suo status all’interno del gruppo di
appartenenza. Esistono varie categorie di riti di iniziazione:
- Passaggio alla vita adulta
- Ingresso in una società esclusiva o segreta
- Iniziazione a un culto specifico.
L’autore si focalizza sull’iniziazione tribale puberale all’età adulta, che sono le più ricche di materiale
etnografico a supporto.
Fa un lungo riferimento a Van Gennep che ne ha sottolineato il carattere essenzialmente sociale e culturale,
ma non ha preso in considerazione la componente fisiologica. (Vedi Van Gennep e la sua classificazione dei
riti). Sostiene che i meriti di V.G. sono di aver mostrato che l’iniziazione non si limita a determinati passaggi
della vita ma la si ritrova in molteplici contesti: gruppi politici, classi e caste, società guerriere, gruppi
professionali, religioni universalistiche.
In alcuni riti, come detto, l'individuo subisce una morte simbolica; dopodiché viene spogliato – certe volte
anche fisicamente – e ridotto a una regressione sociale – alle volte fino all'animalità; in questo modo
l'iniziato e pronto a lasciare che i segni della nuova appartenenza vengano impressi sul suo corpo e sulla sua
mente.
Nella sua fase centrale il rito può anche prevedere un periodo di formazione, in cui l'individuo acquisisce
competenze culturali ed educative consone al suo nuovo ruolo nel gruppo.
Alcuni antropologi hanno paragonato il rito di iniziazione a una scuola, e le sue diverse fasi alle classi.
Tuttavia, questa interpretazione è stata criticata in quanto cerca di ricondurre i riti iniziatici a un'ottica
occidentale: il rito andrebbe a perdere la sua funzione simbolica, assumendo connotati eccessivamente
funzionali ed educativi.
Victor Turner cerca di coniugare le due visioni – funzionalista e rituale – sottolineando come, nel periodo
liminare del rito, vi sia una massiccia produzione simbolica, accompagnata da una densa riflessione
educativa.
Turner riporta come, nell'iniziazione maschile dei Ndembu, una parte fondamentale sia rappresentata dalla
trasmissione dei valori tribali, delle tecniche di caccia e delle istruzioni sessuali da parte degli anziani ai
ragazzi. L'obiettivo femminile sarebbe invece la preparazione delle ragazze al matrimonio.
L'iniziazione femminile presso i Dii del Camerun settentrionale (Muller), consiste in precise istruzioni
sessuali. La ragazza da iniziare viene sottoposta al doloroso tiramento del clitoride con delle pinze: la donna
addetta all'operazione, sentendo i gemiti della ragazza, la informerà che in futuro dovrà soffrire in quel
modo se praticherà l'atto sessuale senza i preliminari di lubrificazione della vagina. L'iniziazione consiste
nell'invitare la ragazza a frenare l'irruenza nei rapporti.
Vi sono poi riti i cui insegnamenti sono rilevanti soprattutto da un punto di vista simbolico e metaforico, riti
dal carattere autoreferenziale.
E il caso dell'Olusumba Nande, che oltre ad essere la circoncisione, indica anche l'insieme degli oggetti
rituali. Questi oggetti sono mostrati agli iniziati dopo la circoncisione; questi oggetti sono fonte di sofferenza
per coloro che li guardano prima di essere iniziati: in questo caso, quindi, l'iniziazione e un “far vedere
qualcosa”, un “mostrare” qualcosa che prima non si poteva guardare: e qui evidente la natura
autoreferenziale del rito.
Simile a questo e il rito legato al Tambaran Varku, un mostro che terrorizza donne e bambini non ancora
iniziati. Una volta iniziati i bambini coglieranno l'inganno, in quanto diverranno parte della comunità di
uomini, che ammettono di essere loro stessi il Tambaran.
Due tematiche centrali della riflessione antropologica sull’iniziazione sono il genere e l’esperienza:
La questione di genere con significativo spostamento di interesse dal maschile al femminile;
L’esperienza dell’iniziato, con la conseguente valorizzazione delle emozioni e dei sentimenti
connessi al processo iniziatico (il dolore, il terrore, il coraggio, l’umiliazione e la determinazione.
Tuttavia, il modello proposto da Van Gennep può risultare limitativo perche offre una lettura
unidimensionale che guarda al passaggio di una persona da una condizione ad un’altra. In esso, infatti, si
tende a non considerare i cambiamenti della personalità e delle relazioni sociali sottese al rito,
concentrandosi solamente sul passaggio da una condizione all'altra.
I rituali, oltre a sancire il passaggio sociale, portano alla “fabbricazione” di nuovi uomini e alla strutturazione
della sfera psichica attraverso una trasformazione della personalità e delle emozioni.
Ritornando ai Gisu, i maschi iniziati riescono a provare l’emozione del Lirima ovvero sentimenti violenti e
disposizioni positive come coraggio e determinazione.
Questa idea del processo iniziatico come processo di trasformazione dell'individuo e chiamata prospettiva
antropopoietica. Il processo di trasformazione dell'individuo è rintracciabile nel superamento di
determinate prove psicofisiche, mentre l'atto finale di tale processo è un segno impresso sul corpo, un
“marchio di fabbrica” - come la circoncisione – che segna in modo indelebile l'appartenenza a un “noi” che
ha già attraversato questo cambiamento psicologico.
Con la circoncisione, ad esempio, si marca il passaggio fisico – attraverso l'atto in se – e il passaggio
psicologico – attraverso il dolore dell'atto, e la sopportazione dello stesso.
L'iniziazione passa attraverso un'attribuzione di forma al proprio corpo, ai propri sentimenti e alla propria
personalità.
1.4 UNA CERTA IDEA DI UMANITA’ – Antropologia nell’iniziazione (specifiche antropologiche all’interno dei
rituali iniziatici).
Abbiamo fino ad ora affrontato in che modo gli antropologi intendano l'iniziazione – propria e del loro
oggetto di studio.
Analizziamo ora le riflessioni indigene all'interno dei propri riti iniziatici.
Victor Turner, nel saggio betwixt and between. The Liminal Period in “Rites de Passage”, dichiara il suo
interesse nei confronti della specifica situazione liminare dell’individuo durante il rito, quella in cui vive
periodi di marginalità, così da non essere riconducibile ad alcuno stato particolare all’interno di una società.
Secondo Turner l'individuo che attraversa questa fase e l'essere transizionale per eccellenza: non e più e
non e ancora, se per certi versi e “morto”, per altri deve ancora “nascere”. Questa fase potrebbe essere
intesa come il “no” a tutte le affermazioni strutturali, e al tempo stesso come il campo della possibilità pura.
Il neofita non e nulla, ma e potenzialmente tutto.
Jackson connette l’iniziazione al senso delle possibilità concrete ed incarnate. Nel rito femminile che
riguarda le ragazze Kuranko (Sierra Leone), da lui studiato, vi e una propria apertura delle iniziande a
possibilità incarnate che non sarebbero state prese in considerazione nella quotidianità: le iniziande si
vestono da uomo e mettono in scena la vita maschile. L’inversione dei ruoli mette in rilievo una reciprocità
di punti di vista.
Chi coglie la portata etnografica e Fabre: egli sottolinea come, per mezzo dei riti di iniziazione, prenda
forma una sorta di etnografia spontanea, disposta a far riflettere sulle scelte compiute e sulle possibilità
scartate, ancora una volta temi cari all’antropologia.
Ed e in questa ottica che il gruppo a cui appartiene l'individuo può essere paragonato all'antropologo: non e
forse compito dell'antropologo esplorare la gamma delle alterità concepibili? Allo stesso modo, per mezzo
dei riti di iniziazione, prende forma una “etnografia spontanea”, che riflette sulle scelte compiute e le
possibilità scartate.
Durante il periodo liminare, i neofiti sono costretti e incoraggiati a meditare sulla loro società; la luminaria
può essere descritta come una fase di riflessione... Come suggerisce Daniel Fabre, le popolazioni
“primitive”, realizzando la propria identità sociale attraverso l'iniziazione, inevitabilmente si interessano a
come i loro vicini operano in vista del medesimo fine.
E la logica del “giro lungo” (Kluckhohn): conoscere gli altri permette di comprendere noi stessi, permette un
ritorno “critico e riflessivo” su di se: ci si specchia negli altri per rilevarne somiglianze, differenze e scelte
culturali.
L’antropologia permette di effettuare un giro lungo fra le altre società e culture, favorisce una riflessione
critica sulla propria società: e un giro fra gli altri che favorisce un immediato ritorno critico e riflessivo su di
se. Insomma, ci si specchia negli altri per rivelarne le somiglianze, le differenze e le scelte culturali compiute
all’interno di una gamma di possibilità.
Al pari degli antropologi, gli iniziandi viaggiano nella foresta e in altri luoghi dove e situato il campo
dell'iniziazione della propria società, dove ci si interroga sui fondamenti dove spesso ci si confronta con
alterità e con il senso delle possibilità di scelta.
Come dice Clifford Geertz, “un uomo può vivere mille vite, ma finisce per viverne una sola”.
I Banande studiati da Remotti, ad esempio, durante il rito di iniziazione domandano al proprio dio di
insegnare loro ad abitare le colline. Questa domanda sottende il dubbio verso la propria tradizione, e per
avere conferma di essere nel giusto ci si appella alla divinità, che naturalmente risponderà in base alla
tradizione, ovvero “abbattete gli alberi”.
Questa considerazione e importante perché i Banande vivono circondati da altri gruppi etnici che
intrattengono con la natura un rapporto di coesistenza, di conseguenza questa differenza di
comportamento può suscitare nei Banande un principio di dubbio sulla legittimità del loro comportamento,
da cui deriva la domanda alla divinità durante il rito.
Quest’ultimo diviene quindi spazio di riflessione antropologica sulle differenti forme di umanità e sul
rapporto fra essere umano e ambiente.
Casi: pag. 38, pag. 48, pag. 50, pag. 51.
I rituali di iniziazione contengono etnografie spontanee, riflessioni antropologiche, considerazione di ordine
Esistenziale; ciò è possibile quando i processi iniziatici lascino spazio a dubbi, domande, ipotesi circa il ruolo
Interstiziale dell’essere umano. Lo scarto esistente fra modi di vivere in società e fra umani e non umani
(animali e divinità) favorisce confronti, contagi e comparazioni che, a loro volta, alimentano la riflessione ed
il senso critico
2. Comparazioni e contagi
2.1 La pelle del leopardo e dei circoncisi: note dal campo
Nel capitolo precedente abbiamo affrontato due aspetti imprescindibili e al tempo stesso intersecati
dell'antropologia: teoria e ricerca etnografica. Il terzo elemento fondamentale è la comparazione.
Le critiche, giustificate, all'iniziale utilizzo “selvaggio” della comparazione non ne hanno sancito la fine, ma
hanno aiutato a regolarla, con la giusta prudenza e coerenza nella scelta dei criteri.
Evans- Pritchard invita appunto ad effettuare comparazioni più controllate e rigorose, “restringendo il
campo di indagine ad argomenti di carattere più limitato o a società di un certo tipo o facendo entrambe le
cose”.
Le attuali comparazioni sono “limitate”, sia dal punto di vista dell'argomento, sia dal punto di vista della
società: questa modalità di comparazione è considerata un'ottima alternativa a, da una parte, alle
comparazioni indiscriminate del primo periodo, e, dall'altra, agli studi etnografici fortemente localizzati del
periodo successivo.
Particolarmente sofferente a quest'ultimo metodo, localizzato e indifferente al contesto regionale, e
l'antropologo africanista belga Jan Vansina. Benché principalmente interessato alle forme di organizzazione
politica in Congo, Vansina propone rigorose comparazioni regionali. Partendo dai suoi studi, si intende
proporre una sorta di viaggio in alcune realtà etnografiche dell'Africa centrale.
Per Vansina, occuparsi delle istituzioni politiche del Congo significa mettersi idealmente sulle tracce del
leopardo, un animale simbolicamente connesso al potere. Vigeva infatti tradizione di portare al capo il
leopardo ucciso, in omaggio alla sua supremazia. Era sufficiente trattenere per se tali trofei per dichiarare la
propria indipendenza.
Le orme del leopardo e della sua pelle, dunque, viaggiano dal cacciatore fino alla più alta autorità, e
descrivono la rete delle alleanze fra villaggi e la struttura gerarchica sottesa.
BOKAPA EKOPO: dividere la pelle del leopardo l’etimologia del termine pelle di leopardo riconduce al
termine pelle, prepuzio dovuto probabilmente alle migrazioni dei Bantu occidentali.
Sempre nell'ambito dell'apertura dell'indagine alle regioni limitrofe, si colloca il rito di circoncisione fra i
Medje-Mangbetu (Noutu). Era infatti tradizione che questo rito funzionasse come un'alleanza tra Mangbetu
e diversi gruppi.
Ogni famiglia sceglie di circoncidere i propri bambini insieme con quelli di un altro gruppo etnico,
generalmente fra i Pigmei, i Babudu, i Balika e i Mayogo. Dalle testimonianze raccolte si possono anche
ricavare i motivi alla base della scelta della famiglia con cui allearsi.
I tre principali motivi sono:
vi e stato un aiuto precedente fra le diverse famiglie, e si vuole sancire formalmente il
proseguimento di questo legame di cooperazione;
esigenza di scambiarsi beni e prodotto. Questo avviene generalmente fra famiglie che si
differenzino rispetto all'accesso a determinate risorse: per esempio fra famiglie di coltivatori e
famiglie di cacciatori;
esigenza di avere un appoggio in un'area che, per motivi di lavoro, commercio o servizi occorre
frequentare regolarmente.
Raggiunta un'intesa preliminare le due famiglie si fanno visita vicendevolmente, fino a che non si sia
instaurato un legame di forte fiducia.
La scelta dei propri Amekenge e una questione delicata da affrontare, in quanto la fratellanza implica la
comunanza dei beni. Scelti i partner di circoncisione, si stabilisce la data per l'operazione, il luogo del rituale
corrisponde all'abitazione di colui che ha avuto l'iniziativa.
Dopo che il circoncisore ha tagliato i due prepuzi, i due circoncisi vengono portati a una buca d'acqua dove
possano pulirsi e mischiare il proprio sangue, sancendo la fratellanza fra le due famiglie.
Nel periodo successivo alla circoncisione, i due ragazzi sono considerati Éigwa – impuri, sporchi -, termine
riservato anche al vedovo durante il lutto. In questa fase – anche per il vedovo - l'igiene personale non deve
essere curata, in modo da aumentare il senso di precarietà.
Interessante in questo rito e anche il ruolo che esercita l'asse oriente-occidente (Zebo-Zebu). Nelle terre del
bacino del Congo, tutti i fiumi scorrono da oriente a occidente, e il cammino dell'uomo e inteso come una
marcia da est a ovest.
Nelle settimane che seguono la circoncisione e che precedono la fine del rito, i bambini vengono fatti
dormire a zebu, a ovest, da soli, a simboleggiare la solitaria e individuale lotta dell'uomo contro le forze
avverse.
La mattina dell'ultimo giorno si lascia l'abitazione a zebu, a est, e ci si dirige verso zebo, est. Una volta
terminato il rito, i bambini verranno invece lavati insieme nel fiume, simbolicamente posto ad ovest
rispetto al resto, a simboleggiare l'alleanza stabilita.
In questo contesto etnografico, sono state le stesse caratteristiche del rito analizzato a imporre una
metodologia di ricerca incentrata sulla comparazione regionale. Interessante in questa questione sono
anche le risposte dei Medje-Mangbetu riguardo ai riti di circoncisione limitrofi. Essi non distinguono tra chi
si circoncide e chi non si circoncide, ma con chi ci si circoncide.
Il primo risultato della comparazione e stato la conferma che i gruppi con cui si fa la circoncisione
attribuiscono ad essa gli stessi significati orbitanti intorno all’idea di alleanza. L’istituzione del patto di
sangue era assente presso i villaggi delle foreste, verso sud (Lika e Budu); era, invece, tenuta in
considerazione nei gruppi insediati nella savana, a nord (Azande e altri).
Prima, infatti, la circoncisione non era collegata alla logica dell'alleanza ma ai classici riti di passaggio alla
vita adulta, comprendenti la trasmissione dei segreti, il rafforzamento dell’identità etnica, la lunga fase
liminare di reclusione nella foresta. Nel corso del tempo la logica dell’alleanza si sarebbe imposta sulla
logica dell’iniziazione, trasformando e rimodellando nelle forme e nei significati il rito di circoncisione.
Questa condivisione cerimoniale deriva principalmente dall'arrivo dei bianchi, dell'ordine coloniale sul
territorio africano che determino:
- la diminuzione dei conflitti fra tribu, in quanto le entita politiche tradizionali furono svuotate di valore
dall'arrivo coloniale;
- la riorganizzazione territoriale e amministrativa, che ha scardinato le unita di appartenenza indigene;
- spostamenti di manodopera nelle piantagioni e conseguente trasformazione degli insediamenti;
- la lotto contro determinati rituali, interpretati dai bianchi come atti cospirativi ed immorali;
- la sostituzione, con il sistema scolastico occidentale, di ogni istituzione che potesse essere interpretata
come strumento di educazione e formazione.
Lo stesso rito in se e il risultato di due differenti tradizioni: da una parte il patto di sangue tipico dei gruppi
della savana a nord, dall'altra l'iniziazione “puberale” e tribale dei gruppi della foresta a sud. Il rito di
alleanze tramite circoncisione sarebbe il risultato di questo incontro.
Ritorna l'importanza di un'indagine estesa e non prettamente localizzata. La comparazione regionale e
l’analisi delle variazioni storiche sono fondamentali per cogliere elementi cruciali per comprendere i
significati del rito; permettono inoltre di aprire il ventaglio dell’indagine al di la dell’identita ed etnicita,
cogliendo non solo valori, quali la chiusura, la segretezza, l’identita, appunto ma anche elementi di scambio
e apertura.
E, infatti, la natura delle relazioni con i vicini a determinare il crescere e l’imporsi di una pratica culturale
interetnica.
Anche l'antropologo rumeno Mircea Eliade, ritiene le società “primitive” prive di memoria storica, che
“tendono a proiettare ogni acquisizione nuova nel tempo primordiale”, per loro la Storia è chiusa, si è
esaurita nei pochi avvenimenti dell'Inizio.
Anche per questo, forse, l'antropologia ha per lungo tempo fornito descrizioni sincroniche, insensibili allo
sviluppo dei riti di iniziazione; tuttavia, negli ultimi decenni, sono apparsi importanti studi attenti alla storia
dei rituali.
Un esempio lampante di questo sono le esperienze migratorie. E' proprio in relazione alla mobilità, alla
concreta esigenza del viaggio, che emergono inediti percorsi iniziatici in cui non e più la morte simbolica a
permettere il cambiamento dell'individuo, ma la possibilità di sopravvivenza spinge l'individuo a diventare
qualcos'altro.
Prima ancora che la migrazione, è l'iniziazione stessa ad essere correlata alla dimensione del viaggio: i
classici percorsi iniziatici presuppongono simbolici spostamenti – l'abbandono del villaggio, la scoperta della
foresta.
D'altra parte, molti viaggi possono acquistare una dimensione iniziatica.
Abbiamo già visto come il viaggio risulti centrale nel processo di iniziazione della professione di
antropologo, allo stesso modo, ciò vale per gli iniziati che questi studiano.
A riprova del parallelismo tra iniziazione e viaggio, è la possibilità di poter applicare lo schema tripartito di
Van Gennep a questo secondo elemento (partenza – viaggio - arrivo : separazione – margine –
aggregazione).
Tuttavia, se il viaggio e facilmente riconducibile al “passaggio”, esattamente come l'iniziazione, più difficile è
considerare il viaggio come un rito, e scorgerne i tratti rituali. A questo proposito, quindi, al viaggio si
applica in modo migliore la fase centrale e liminare dello schema, che come abbiamo visto e, generalmente,
la parte cruciale. Il viaggio rappresenta una sorta di limbo fra cio che si e lasciato e si conosceva, e cio che si
raggiunge e che non si conosce.
Se il pellegrinaggio e una scelta, diverso e il caso dell'esiliato o dei profughi. Anche in relazione a questi
particolari viaggiatori e stato utilizzato il concetto di liminarita. A questo riguardo, e importante l'opera di
Liisa Malkki, in cui sono riportati i risultati della sua ricerca nei campo profughi burundesi in Tanzania.
I rifugiati vivono in una fase di liminarita in quanto “strutturalmente invisibili”, “non piu e non ancora
classificate”, sono colore che vivono un'esperienza totale di perdita, pensati come un'umanita “nuda” e
“spogliata”.
Altro esempio di liminarita e fornito dai rifugiati somali. Questi, prima di raggiungere la destinazione finale,
trascorrono un periodo di transizione in paesi diversi. Durante questa delicata fase transitoria viene
formulato un mito connesso alla partenza, un “sogno”. Se il periodo di transizione si prolunga, allora la
persistenza dei sogni inerenti all'esodo puo causare una perdita di contatto con la realta, si delineano viaggi
immaginari attraverso l'attivita onirica.
Questi viaggi immaginari vengono successivamente raccontati durante le riunioni e danno forma a una vera
e propria “mitologia della partenza”.
Questo mito del viaggio e da ricondurre alla centralita che il viaggio ricopre nella cultura dei gruppi somali
nomadi dediti alla pastorizia. “Il viaggio e visto come l'unica fonte di esperienza, una sorta di rito di
passaggio verso la maturita”, queste sono le parole di un giovane somalo. Nella Somalia settentrionale,
viaggiare e considerato una fonte di saggezza e un uomo che ha viaggiato e uno che sa molto, e una volta
rientrato nel paese natale viene invitato a mangiare dai saggi del villaggio. Nei gruppi nomadi della Somalia
settentrionale, lo spostamento era funzionale alla ricerca di nuovi pascoli, ed era quindi socialmente
apprezzato. La migrazione verso i paesi stranieri viene quindi incorporata nei modelli positivi della mobilita.
Il mito della partenza e quindi connesso alle modalita attraverso cui un individuo accresce il proprio status e
diventa uomo.
Delineare tale contesto culturale permette di fare luce sul dramma personale che si trovano a vivere coloro
che, essendo bloccati nel bel mezzo del passaggio, vedono franare i loro progetti di migrazione, e di
conseguenza i loro progetti di innalzamento sociale, culturale e personale.
Uno dei contesti africani piu significativi sulla centralita del nesso fra migrazione e iniziazione e quello dei
giovani emigranti mozambicani che trascorrevano lunghi periodi nei campi minerari del Sud Africa.
Nella seconda meta dell'Ottocento il Mozambico era teatro di numerosi scambi commerciali gestiti, pero,
interamente dai coloni europei. Di conseguenza, la regione non offriva molte possibilita di impiego e si
svilupparono cosi crescenti flussi migratori verso le miniere di diamanti sudafricane.
Le terre meridionali del Mozambico divennero il teatro di transito di lavoratori, e cosi si trasformarono in
“percorsi rituali”. Le partenze dei migranti divennero riti iniziatici: emigrare significava diventare uomini.
Patrick Harries e l'antropologo che piu si e interessato all'argomento mozambicano, concentrando i suoi
studi al periodo 1860-1910.
Secondo Harries, il lavoro migratorio, pur essendo una risorsa per l'economia dei centri industriali, non e
svincolato dal mondo rurale da cui proviene. Cio e dovuto al forte pendolarismo fra le comunita e i centri di
produzione.
Harries si sofferma sulle trasformazioni socioculturali determinate dall'introduzione del denaro nei circuiti
di scambi tradizionali, un cambiamento che influenzo anche i rapporti tra lavoratori e capi locali
mozambicani.
Il mancato controllo della ricchezza salariale minacciava l'autorita dei capi, e di conseguenza le tradizionali
relazioni di subordinazione tra capi e popolazione.
Per mantenere la gerarchia e la propria autorita, i capi tribu decisero di incorporare l'esperienza migratoria
nelle credenze locali e nelle pratiche rituali; cio fu reso possibile dall'imposizione di uno specifico rito della
partenza eseguito dalle persone piu anziane. Il giovane migrante doveva recarsi all'altare degli antenati per
chiedere la loro protezione con preghiere ed offerte.
Attraverso la ritualizzazione, i capi resero istituzionale cio che altrimenti sarebbe potuto diventare una forza
capace di distruggere la societa tradizionale e la loro autorita.
Il lavoro migratorio, come detto, era considerato una tappa importante del passaggio dall'adolescenza alla
piena maturita dell'uomo adulto. Coloro che tornavano dal Sud Africa acquisivano un nuovo status sociale e
venivano chiamati gayisa, contrapposti a coloro che non migravano, i mamparas, e venivano per questo
disprezzati.
Abbiamo prima visto il rituale precedente alla partenza, che nella tripartizione di Van Gennep
rappresenterebbe la separazione.
La fase liminare e invece rappresentata dalla permanenza nei campi di estrazione mineraria. Questa fase e
caratterizzata, come abbiamo piu volte visto, da una condizione di confusione e incertezza; cosi come nel
rituale baruya (in apertura di libro) anche il giovane mozambicano attraversa una fase di incertezza
sessuale. Nella prima fase di permanenza egli sperimenta infatti una relazione omosessuale. Era infatti
diffusa la pratica del “matrimonio della miniera” fra un minatore adulto e uno giovane – anche dodici anni.
Nel mondo violento della miniera, il “matrimonio” rappresenta allo stesso tempo il volto piu brutale e
l'esigenza di costruire legami.
Il caso dei minatori emigranti mozambicani, oltre a ricondurre il viaggio a un rito iniziatico, ci mostra come
determinate pratiche rituali si impossessino di cambiamenti e trasformazioni sociali indipendenti, o
derivanti dall'esterno. E' la dimostrazione di come il rito e la tradizione riesca ad adattarsi alla storia.
IL CASO DEI DANDY CONGOLESI – Non si tratta solo di lettura mimetica, rimodellano il proprio corpo. Gli
indumenti che comprano lungo le rotte migratorie consentono una rigenerazione del corpo. Non è una
semplice imitazione, attraverso l’abito incorporano una forza vitale in grado di accrescere il loro essere.
Una lettura iniziatica del loro viaggio migratorio in europa. Essere più di ciò che si è. Anche un processo di
riconnessione con l’europa.
CASO: Impatto dell’urbanizzazione e cristianesimo su rito di iniziazione femminile dei Bemba del Zambia
(CHISUNGU).
Il rito si è praticamente trasferito nel contesto urbano e parzialmente incorporato nelle pratiche di alcune
chiese cristiane. Lo ha studiato JULES ROSETTE. L’urbanizzazione ha determinato l’interruzione delle
pratiche iniziatiche maschili, essendo queste centrate su valori di identità etnica e potere di un gruppo; al
contrario ha portato alla riscoperta delle pratiche rituali femminili, centrate sulle responsabilità domestiche
e la vita familiare e che quindi possono sopravvivere nella città multietnica.. C’è una logica di continuità nei
valori tradizionali, ma al tempo stesso sono agente di cambiamento.
RESOCONTO ETNOGRAFICO: nel 1992. Vengono veicolati i valori del passato ma rientra nel quadro
dell’associazionismo femminile delle parrocchie cattoliche. SI vengono a creare dei reticoli sociali svincolati
dalla parentela e dai legami di villaggio. Questo è reso possibile dalla condivisione dei valori che sono
collegati alla vita domestica e familiare (fertilità, monogamia, verginità, fedetà). Attraverso i gruppi
parrocchiali divengono valori universali in un quadro multietnico.