Sei sulla pagina 1di 21

I RITI DI INIZIAZIONE – ALLOVIO – SCHEMA LOGICO/RIASSUNTIVO

CAPITOLO 1

1. Farsi un nome FRA i BARUYA: introduce il tema del “farsi un nome” con la descrizione del percorso di
iniziazione del popolo BARUYA finalizzata a due grandi separazioni DONNE/UOMINI e UOMINI/GRANDI
UOMINI
2. Farsi un nome CON I BARUYA: introduce il parallelismo dell’esperienza professionale dell’antropologo
che si fa un nome studiando altri uomini. A questo proposito introduce il tema dell’etnografia e la
valenza conoscitiva dell’esperienza sul campo attraverso i punti di vista di diversi studiosi: Bronislaw
Malinowski, Franz Boas, Claude Levi Strauss, Marc Augè, Victor Turner, Renato Rosaldo.

Una prima conclusione:

 Centralità della ricerca sul campo


 Il ricercatore è coinvolto in qualche processo iniziatico, seppure con maggiore o minore
consapevolezza critica
 E’ necessario affiancare la ricerca sul campo con strumenti e metodi di comparazione.

L’antropologia è una disciplina, l’iniziazione è una pratica rituale e sociale: le due si rispecchiano l’una
nell’altra; possiamo parlare di iniziazione nell’antropologia e antropologia dell’iniziazione.

3. In lotta con le categorie. Iniziazione nell’antropologia: come i rituali sono stati descritti, classificati,
interpretati dagli antropologi; in quale modo essi hanno affrontato il problema dell’iniziazione e quali
sono gli aspetti maggiormente posti in evidenza.
In questo paragrafo si identificano i criteri che definiscono l’iniziazione e si considerano le prospettive
delle diverse scuole antropologiche soprattutto la visione rituale e quella funzionale. Un riferimento
importante a Van Gennep.

Le tendenze più recenti dell’antropologia hanno spostato l’interesse dal maschile al femminile e
sull’esperienza provata dall’iniziato in termini di emozioni e sentimenti (dolore, terrore, coraggio,
umiliazione, determinazione).
L’idea del processo iniziatico come trasformazione dell’individuo prende il nome di antropo-poietica.

4. Una certa idea di umanità. Antropologia nell’iniziazione, specifiche antropologiche all’interno dei rituali
iniziatici.
La riflessione antropologica all’interno dei riti iniziatici. La riflessione su sé stessi, sulle scelte compiute e
quelle scartate. “Il neofita è nulla e potenzialmente tutto”. Il neofita è un essere transizionale per
eccellenza.
CONCLUSIONE: i rituali di iniziazione contengono etnografie spontanee, riflessioni antropologiche,
considerazioni di ordine esistenziale. Ciò è possibile quando i processi iniziatici lascino spazio a dubbi,
domande, ipotesi sull’essere umano. Lo scarto tra modi di vivere in società e fra umani e non umani
favorisce confronti, contagi e comparazioni che alimentano a loro volta la riflessione e il senso critico.

CONCLUSIONE DEL CAPITOLO

Ricerca etnografica e teoria sono due aspetti imprescindibili della ricerca antropologica, si intersecano, si
condizionano e, insieme, possono incrementare il sapere sulle forme di vita degli esseri umani in società.

CAPITOLO 2 – COMPARAZIONI E CONTAGI


Un terzo elemento, da aggiungere alla ricerca sul campo e alla teoria, è la comparazione, che per
l’antropologo è principalmente il confronto tra realtà etnografiche differenti. Spesso il confronto avviene
con etnografie già prodotte da altri colleghi in tempi e luoghi differenti. Parliamo di METODO
COMPARATIVO.

1. La pelle del leopardo e dei circoncisi. Note dal campo.


Necessità di comparazioni rigorose e controllate e non “selvagge”.
Caso di studio in merito alle ricerche di Vansina sull’organizzazione politica in Congo che si sono
ampliate ai riti iniziatici.
L’etimologia del termine pelle di leopardo riconduce al termine pelle, prepuzio dovuto probabilmente
alle migrazioni dei Bantu occidentali.
Allovio, riporta poi una propria ricerca circa i riti iniziatici presso i Mangbetu del Sud (R.D.Congo) e sulla
scorta di Vansina, ha effettuato comparazioni regionali delle azioni rituali, ponendo in evidenza un
criterio di alleanza fra gruppi diversi.
Conclusione: l’incontro con l’altro può portare a variare una pratica rituale sviluppando una sorta di
pratica inter-etnica.

2. Un suono contagioso. Il Mokumo (Wagenia) è l’uccello della circoncisione, ovvero uno strumento
musicale che riproduce il suono di un uccello. Il Mokumo prende il nome di ESUMBA (Bapere),
OLOSUMBA (Nande) ESOMBA (Maniema) LUSUMBA (Pigmei). Un uccello che muta nome nelle diverse
comunità mantenendo i suoi connotati misteriosi e di legame con l’iniziazione. Uomini e suoni che
viaggiano attraverso le foreste. Una sommaria comparazione che sfata il mito di un’Africa fatta da
microcosmi etnici e chiusi in se.

3. Altre storie di contagi e di prepuzi.


Caso comparazione ragazze Dij (cosa la aspetta) e ragazze Gbaya (provare dolore per dimostrare
coraggio).
Caso Sara limitrofi ai Gbaya; il loro capo tribù che avrebbero acquistato lo stile rituale da una tribù
limitrofa. Studiato da Jaulin.
Muller ancora offre una testimonianza dei rituali dei maschi Dij.
In conclusione: i contagi avvengono orizzontalmente, da gruppo a gruppo e verticalmente tra
generazione e generazione.

CAPITOLO 3 – TRASFORMAZIONI
1. Iniziazione, movimenti e mutamenti. Importanza della dimensione temporale. La supposta non storicità
dei percorsi iniziatici è smentita da alcuni studi in cui si mostra come specifici eventi storici siano stati
incorporati e abbiano modificato la cultura locale e i suoi riti. Le esperienze migratorie e la mobilità ne
sono un esempio. Concreta esigenza del viaggio. Parallelismo iniziazione-viaggio. E richiamo a Van
Gennep.
Inoltre i classici rituali di iniziazione sono destinati ad essere riformulati (vedi il caso al capitolo 2 dei
Mangbetu, Balika, Babudu e Pigmei) oppure a scomparire.
L’antropologia contemporanea deve studiare queste trasformazioni.

Il viaggio=limbo=fase liminare.

2. Pellegrini e rifugiati. I casi.


Turner: pellegrino- Pellegrinaggio alla Mecca
Malkki: profughi burundesi in Tanzania

Rifugiati somali.

3. Altri migranti, altre iniziazioni. Un esempio significativo del nesso fra migrazione e iniziazione. Giovani
emigranti mozambicani che trascorrevano lunghi periodi nei campi minerari del sud africa.
Questo caso dimostra anche come determinate pratiche rituali facciano propri trasformazioni e
cambiamenti sociali indipendenti o derivanti dall’esterno. Dimostra come il rito sa adattarsi alla storia.

4. Iniziazione e globalizzazione. Capacità dei processi iniziatici di navigare nel flusso culturale adattandosi
e rinegoziando la propria esistenza in un ambito globale ed anche in logica di business.
- I riti nel Gambia contemporaneo (turismo culturale etc.…)
- I riti di iniziazione femminile nelle città africane. Il Chisungu “rivisitato” in chiave multietnica,
praticato attraverso l’associazionismo femminile cattolico. Gruppi che permettono di costruire un
reticolo urbano, di relazioni svincolate dai legami parentali tipici del villaggio. Jules-Rosette che li ha
studiati fa anche notare come molti dei valori connessi con la vita matrimoniale siano propri sia
degli insegnamenti iniziatici sia dell’educazione cattolica.

CAPITOLO 4 – Immortalità provvisoria e contegno durevole.


1. Aspirazione all’immortalità attraverso la fama come antropologo e tensione alla trascendenza dei
riti. Per essere veri uomini occorre partecipare e ambire a una sorta di trascendenza.
2. Strategie di trascendenza:
a. La violenza di ritorno (Bloch) da preda a cacciatore
b. Convinzione che il rituale abbia la forza di trasformare le persone.
c. Ruolo dei tatuaggi, maschere, medicine per interiorizzare forme di trascendenza.
3. Dolore, sofferenza e violenza nei riti di iniziazione.
a. Schema tripartito di Bloch. Allontanamento=violenza degli adulti sui bambini (marchi e
prove dolorose). Liminare=morte simbolica, rinascita. Ricongiungimento=ritorno al villaggio
esplosione della violenza di ritorno sugli animali.
b. Indispensabilità del dolore, imprimere nella memoria (pedagogia dell’affermazione).
Funzione psichica del dolore (legame mentale, solidarietà fra iniziati; provare il lirima).
L’adrenalina modifica la personalità e i sentimenti.
4. Contegno durevole e condiviso. (Caso della cerimonia degli indiani Mandan – 1832 –O kee Pa). Il
silenzio come agente di sottomissione al gruppo. La grandezza dell’iniziato non è rappresentata solo
dalla forza e dal coraggio ma anche dal contegno. Il coraggio mentre lo si affronta.

Radin (1927) esprime la convinzione che gli ideali di condotta dei popoli primitivi siano
l’autodisciplina, l’autocontrollo, lo sforzo a mantenere il senso della misura in ogni circostanza.
(vedi caso dei Baruya nel 1 capitolo).

Prologo, L'iniziazione degli antropologi


Il titolo del prologo – L'iniziazione degli antropologi – deve fungere da chiave di lettura ed essere inteso fin
da subito in un duplice significato: quello che l'antropologia può dire riguardo ai riti di iniziazione, e quello
che gli antropologi percepiscono come il loro particolare processo iniziatico alla professione.
In questo libro, oltre a voler mostrare l'antropologia attraverso l'iniziazione, si vuole ribadire la centralità
del metodo etnografico connesso a una “immersione” nella realtà indagata che gli antropologi hanno
descritto come una sorta di iniziazione alla disciplina.
In secondo luogo, si vuole sottolineare l'importanza della comparazione nella ricerca antropologica: una
comparazione controllata e attenta a definire i criteri e l’estensione della stessa. Tale prudenza si configura
nel presente volume in una valorizzazione della comparazione regionale che favorisca una aderenza al
terreno e ai significati indigeni.
Nel terzo capitolo pone in evidenza l’importanza della prospettiva diacronica, attenta alle trasformazioni e
ai processi storico-sociali. Nel quarto capitolo l’autore elabora alcune spiegazioni generalizzate che possano
abbracciare una vasta serie di riti di iniziazione.

1, Lo specchio riflesso

1.1 FARSI UN NOME FRA I BARUYA


Nuova Guinea, Altopiani orientali, 1967.
Antropologo francese Maurice Godelier visita per la prima volta i villaggi Baruya.
Nel 1982 pubblica una celebre monografia dedicata ai Baruya: La production des Grands Hommes, in cui
analizza la doppia disuguaglianza all'interno della società Baruya: donne - uomini; uomini “comuni” -
“grandi uomini”.
La production des Grands Hommes è in gran parte dedicato alla descrizione delle istituzioni e delle fasi
iniziatiche Baruya deputate a fabbricare e legittimare questa doppia disuguaglianza.
1) Tutto ha inizio alla nascita. Il neonato rimane senza nome per più di un anno, fino all'inizio della
dentizione. Questa attesa è connessa alla valutazione delle possibilità di sopravvivenza del piccolo;
2) all'apparire dei primi denti, il bambino riceve un nome che lo accompagnerà fino all'iniziazione, ovvero a
circa nove anni, quando verrà brutalmente separato dalla madre;
3) viene condotto alla Moukaanga – una casa provvisoria vicina a quella degli uomini – e trasformato in
Mouka;
4) per un mese viene sottoposto a cerimonie – forato il naso – e diventa Yiveumbwayè. Da questo
momento può vivere nella casa degli uomini in un ruolo marginale.
La fase Yiveumbwayè è la fase di transizione, la fase liminare, tra l'abbandono della madre e il
riconoscimento del padre.
A sottolineare la transitorietà del momento, l'iniziato veste per metà da donna e per metà da uomo, viene
sottoposto a insulti, umiliazioni, senza poter rispondere o reagire;
5) a dodici anni si trasforma in Kawetniè, e prosegue l'allontanamento dall'universo femminile,
abbandonando gli abiti nella foresta;
6) a quindici anni, diventano Tchouwaniè, nel corso di cerimonie che durano 5 settimane, durante le quali
viene costruita una casa (Tsimia), concepita come il “corpo” dell'intero gruppo;
7) al termine della costruzione, agli iniziati viene posto sulla testa un becco di uccello calao terminante in
due zanne di maiale, che vengono conficcate nella fronte; per tutta la notte gli iniziandi dovranno
sopportare il dolore, girando senza sosta attorno alla Tsimia;
8) al termine della cerimonia, i giovani saranno reputati socialmente responsabili, nei confronti del gruppo
e della futura sposa – scelta dai genitori;
9) l'iniziato, ora considerato adulto e pronto al ruolo di padre, diventa Kalavè;
10) possiamo ora dire che il giovane “si è fatto un nome”.
Tuttavia, solo pochi di loro potranno aspirare a diventare “grandi uomini”. Per il momento, la distinzione
operata e solo fra donne-uomini. Solo pochi si “faranno un nome” nell'accezione attribuita a questa
espressione nella nostra società. I “grandi uomini” sono individui capaci nell'arte della guerra, nelle abilita
sciamaniche o nella pericolosa caccia al casuario – un grosso uccello. A questo scopo, per scegliere
potenziali “grandi uomini”, i giovani vengono seguiti durante tutti il periodo dell’iniziazione, ne viene
osservato il comportamento e verificata la forza fisica e psicologica.

FARSI UN NOME CON I BARUYA (VALENZA CONOSCITIVA DELL’ESPERIENZA SUL CAMPO)


S. Allovio sottolinea il parallelismo con le vicende professionali dell’antropologo che “si fa un nome”
studiando sul campo altri uomini intenti a farsi un nome nella loro società. Così l’opera di Godelier non è
solo il titolo reale ma anche il titolo ideale di una autobiografia dell’autore.
L’autore invita a riflettere su questo parallelismo che non ritiene solo un gioco di parole, anzi assegna una
valenza iniziatica al metodo etnografico, basato su una esperienza prototipica e paradigmatica di
osservazione sul campo, presso il gruppo umano che si intende indagare.

ES. FRANZ BOAS che nel 1897 inizia il suo racconto sullo scambio cerimoniale diffuso tra i KWAKIUTL del
Nord America (uno dei più noti esempi etnografici) mostrando il complesso meccanismo dell’attribuzione
del nome.

ES. BRONISLAW MALINOWSKI nel 1929 realizzò un resoconto etnografico sulla vita sessuale degli abitanti
delle isole Trobriand nella Melanesia N-O. Nella prefazione elenca le proprie credenziali e al primo posto
indica “un lungo periodo di tempo trascorso sulle isole”. Per l’antropologo la miglior credenziale sembra
consistere nell’essere stato sul posto, nell’aver fatto il viaggio.

ES. CLAUDE LEVI-STRAUSS nel 1955 fa un significativo riferimento al viaggiare nelle pagine di TRISTI
TROPICI. Pone l’accento sull’azione santificante del viaggio, è la prima credenziale dell’antropologo a torto
o a ragione: grazie a questo ne guadagna consapevolezza e rispetto. Ma il viaggiatore stesso ne esce
trasformato.

ES. MARC AUGE’ anni ’60 – Lo stesso discorso sul viaggio vale anche quando l’antropologo inizia a viaggiare
prima ancora di aver intrapreso la prefessione, come è accaduto ad Augè che raggiunse l’Africa per ragioni
militari e i mesi trascorsi in Algeria, nelle sue pagine autobiografiche, hanno valore iniziatico alla
professione.
ES. NIGEL BARLEY – vivente. Sottolinea la forza santificante del viaggio antropologico considerandolo alla
stregua di un vero culto iniziatico. Il viaggio diventa indispensabile per farsi un nome come antropologo,
cioè per compiere un passaggio. Avviene una trasformazione nell’individuo, con uno status e una
autorevolezza nuovi.

Non tutti gli antropologi concordano con il fatto che l’osservazione diretta sul campo sia il metodo
dell’antropologia e nemmeno concordano con l’identificazione dell’antropologia con il metodo etnografico.
Tuttavia pare logico intendere l’esperienza etnografica come una sorta di rito iniziatico professionale. E’ un
rito di passaggio che consacra il passaggio dallo stadio di novizio a quello di iniziato.
(Paul Rabinow: great fieldworkers – uomini resi grandi dall’esperienza sul campo).
Non si possono evitare riflessioni critiche circa il metodo etnografico (Rabinow parla di alchimia). Si è in
sostanza assistito a una mistificazione e demistificazione della cosa con conseguenti semplificazioni dall’una
e dall’altra parte.

ES. VICTOR TURNER - 1963: Betwist and Betwin / 1967: La foresta dei simboli.
Sono rilevanti le sue riflessioni sul ruolo dell’esperienza nell’indagine antropologica, a fronte della crisi della
rappresentazione etnografica. Mette in risalto l’esigenza di rifondare la disciplina circa la CENTRALITA’
dell’ESPERIENZA nei PROCESSI CONOSCITIVI. E quindi ribadisce il parallelismo tra ricerca sul campo e riti di
passaggio. Parla di POTERE TRASFORMATIVO DELLA RICERCA SUL CAMPO. Mette però in guardia che non
tutta l’esperienza è necessariamente trasformativa. Perché sia tali occorre:
- Che il ricercatore realizzi una immersione qualitativamente elevate (sospendere condizionamenti,
sviluppare competenze nuove) che si realizza con il perdurare a lungo su quel specifico campo di
ricerca.
- Cioè non solo prolungare i soggiorni (fisici) ma persistere nella frequentazione mentale di un
mondo che va conosciuto, seguito e interpretato nelle sue trasformazioni.
- Il campo diventa doppiamente trasformativo, per il ricercatore che fa esperienza e per i mezzi
concettuali e teorici che porta sul campo o appronta in relazione ad esso.
Ancora, Turner si sforza di scindere l’antropologia dalle trappole quali empatia, sentimentalismo, mistica
intuitiva, ma non sembra disdegnare una sorta di comprensione intuitiva che viene dall’esperienza.

ES. RENATO ROSALDO – 1980 Tuhami, ritratto di un uomo in Marocco.


Introduce il concetto di COMPRENSIONE INTUITIVA, privilegia la POSIZIONE rispetto all’ESPERIENZA, cioè il
modo in cui le esperienze di vita possono inibire o favorire particolari forme di comprensione intuitiva. Ad
esempio citando una esperienza nelle Filippine, in particolare la caccia alle teste, non comprese lo stato di
dolore e rabbia del lutto fino a che non morì la moglie.
Ancora, in modo autobiografico, spiega come capitalizzare mentalmente e concettualmente un’esperienza
vissuta predisponendoci ad una comprensione passiva (disembodied).

SINTESI: la nuova antropologia, interpretativa, riflessiva, si è scagliata contro la mistica etnografica, la


retorica visione del campo come luogo iniziatico per l’antropologo. Ma anche posto le condizioni teoriche e
di metodo perché la mistica etnografica-iniziatica riemergesse nell’antropologia contemporanea.
Così le idee e le ideologie riproducono a distanza ciò che avevano combattuto.
L’efficacia passa attraverso l’INTROIEZIONE dei PRESUPPOSTI di AUTOREVOLEZZA, cioè non è più l’essere
stati là, ma la vita vissuta dall’etnografo, le sue memorie, ricordi che riemergono e si condividono. Si parla
anche di INCORPORAZIONE, cioè l’esperienza corporea dell’etnografo, il corpo dello scienziato è coinvolto
fisicamente e sensorialmente, quindi di venta agente di conoscenza.
Di nuovo, la dimensione INCARNATA è connessa ai riti iniziatici. L’incorporazione dei presupposti di
autorevolezza ha bisogno dell’iniziazione.

PRIMA CONCLUSIONE
- Centralità della ricerca sul campo
- Coinvolgimento del ricercatore in qualche processo iniziatico con maggiore o minore
consapevolezza critica
- Necessità di affiancare la ricerca sul campo con strumenti teorici e metodi di comparazione.

L’antropologia è una disciplina, l’iniziazione una pratica sociale. Si rispecchiano l’una nell’altra.

1.3 INIZIAZIONE NELL’ANTROPOLOGIA (come i rituali sono stati descritti, classificati, interpretati dagli
antropologi).

Cosa si intende per iniziazione? Il singolo muta e specifica il suo status all’interno del gruppo di
appartenenza. Esistono varie categorie di riti di iniziazione:
- Passaggio alla vita adulta
- Ingresso in una società esclusiva o segreta
- Iniziazione a un culto specifico.
L’autore si focalizza sull’iniziazione tribale puberale all’età adulta, che sono le più ricche di materiale
etnografico a supporto.
Fa un lungo riferimento a Van Gennep che ne ha sottolineato il carattere essenzialmente sociale e culturale,
ma non ha preso in considerazione la componente fisiologica. (Vedi Van Gennep e la sua classificazione dei
riti). Sostiene che i meriti di V.G. sono di aver mostrato che l’iniziazione non si limita a determinati passaggi
della vita ma la si ritrova in molteplici contesti: gruppi politici, classi e caste, società guerriere, gruppi
professionali, religioni universalistiche.

Di Norma gli elementi tipici dell’iniziazione sono:


- Allontanamento e isolamento in un luogo appartato (morte e rinascita)
- Superamento di specifiche prove da parte del novizio
- Necessità di segnare il corpo del novizio e quindi di fornire una prova esplicita e visibile
dell’avvenuta trasformazione.

In alcuni riti, come detto, l'individuo subisce una morte simbolica; dopodiché viene spogliato – certe volte
anche fisicamente – e ridotto a una regressione sociale – alle volte fino all'animalità; in questo modo
l'iniziato e pronto a lasciare che i segni della nuova appartenenza vengano impressi sul suo corpo e sulla sua
mente.
Nella sua fase centrale il rito può anche prevedere un periodo di formazione, in cui l'individuo acquisisce
competenze culturali ed educative consone al suo nuovo ruolo nel gruppo.
Alcuni antropologi hanno paragonato il rito di iniziazione a una scuola, e le sue diverse fasi alle classi.
Tuttavia, questa interpretazione è stata criticata in quanto cerca di ricondurre i riti iniziatici a un'ottica
occidentale: il rito andrebbe a perdere la sua funzione simbolica, assumendo connotati eccessivamente
funzionali ed educativi.

Victor Turner cerca di coniugare le due visioni – funzionalista e rituale – sottolineando come, nel periodo
liminare del rito, vi sia una massiccia produzione simbolica, accompagnata da una densa riflessione
educativa.
Turner riporta come, nell'iniziazione maschile dei Ndembu, una parte fondamentale sia rappresentata dalla
trasmissione dei valori tribali, delle tecniche di caccia e delle istruzioni sessuali da parte degli anziani ai
ragazzi. L'obiettivo femminile sarebbe invece la preparazione delle ragazze al matrimonio.

L'iniziazione femminile presso i Dii del Camerun settentrionale (Muller), consiste in precise istruzioni
sessuali. La ragazza da iniziare viene sottoposta al doloroso tiramento del clitoride con delle pinze: la donna
addetta all'operazione, sentendo i gemiti della ragazza, la informerà che in futuro dovrà soffrire in quel
modo se praticherà l'atto sessuale senza i preliminari di lubrificazione della vagina. L'iniziazione consiste
nell'invitare la ragazza a frenare l'irruenza nei rapporti.

Vi sono poi riti i cui insegnamenti sono rilevanti soprattutto da un punto di vista simbolico e metaforico, riti
dal carattere autoreferenziale.
E il caso dell'Olusumba Nande, che oltre ad essere la circoncisione, indica anche l'insieme degli oggetti
rituali. Questi oggetti sono mostrati agli iniziati dopo la circoncisione; questi oggetti sono fonte di sofferenza
per coloro che li guardano prima di essere iniziati: in questo caso, quindi, l'iniziazione e un “far vedere
qualcosa”, un “mostrare” qualcosa che prima non si poteva guardare: e qui evidente la natura
autoreferenziale del rito.
Simile a questo e il rito legato al Tambaran Varku, un mostro che terrorizza donne e bambini non ancora
iniziati. Una volta iniziati i bambini coglieranno l'inganno, in quanto diverranno parte della comunità di
uomini, che ammettono di essere loro stessi il Tambaran.

Due tematiche centrali della riflessione antropologica sull’iniziazione sono il genere e l’esperienza:
 La questione di genere con significativo spostamento di interesse dal maschile al femminile;
 L’esperienza dell’iniziato, con la conseguente valorizzazione delle emozioni e dei sentimenti
connessi al processo iniziatico (il dolore, il terrore, il coraggio, l’umiliazione e la determinazione.

Tuttavia, il modello proposto da Van Gennep può risultare limitativo perche offre una lettura
unidimensionale che guarda al passaggio di una persona da una condizione ad un’altra. In esso, infatti, si
tende a non considerare i cambiamenti della personalità e delle relazioni sociali sottese al rito,
concentrandosi solamente sul passaggio da una condizione all'altra.

L'attenzione antropologica sull'iniziazione si è progressivamente avvicinata ai risvolti individuali e psicofisici,


senza dimenticare, naturalmente, la funzionalità sociale.
Houseman valorizza, per esempio, non solo l’agire specifico ma soprattutto il patire, l’esperienza di chi
partecipa.
Rappresentativo di questa nuova sensibilità e lo studio di Heald sul rituale di circoncisione presso i Gisu
(Uganda orientale). La Heald preferisce interpretarlo come rito trasformativo: l’Imbalu, cosi chiamato, e
capace di trasformare l’individuo seguendo modelli indigeni di processi psicologici. In tal modo l’attenzione
si sposta dalla funzionalita sociale ai risvolti individuali psicofisici. Esso, avendo lo scopo di definire cio che
l’individuo maschile deve essere, è innanzitutto un rito di androgenesi.

I rituali, oltre a sancire il passaggio sociale, portano alla “fabbricazione” di nuovi uomini e alla strutturazione
della sfera psichica attraverso una trasformazione della personalità e delle emozioni.
Ritornando ai Gisu, i maschi iniziati riescono a provare l’emozione del Lirima ovvero sentimenti violenti e
disposizioni positive come coraggio e determinazione.

Questa idea del processo iniziatico come processo di trasformazione dell'individuo e chiamata prospettiva
antropopoietica. Il processo di trasformazione dell'individuo è rintracciabile nel superamento di
determinate prove psicofisiche, mentre l'atto finale di tale processo è un segno impresso sul corpo, un
“marchio di fabbrica” - come la circoncisione – che segna in modo indelebile l'appartenenza a un “noi” che
ha già attraversato questo cambiamento psicologico.
Con la circoncisione, ad esempio, si marca il passaggio fisico – attraverso l'atto in se – e il passaggio
psicologico – attraverso il dolore dell'atto, e la sopportazione dello stesso.
L'iniziazione passa attraverso un'attribuzione di forma al proprio corpo, ai propri sentimenti e alla propria
personalità.

1.4 UNA CERTA IDEA DI UMANITA’ – Antropologia nell’iniziazione (specifiche antropologiche all’interno dei
rituali iniziatici).

Abbiamo fino ad ora affrontato in che modo gli antropologi intendano l'iniziazione – propria e del loro
oggetto di studio.
Analizziamo ora le riflessioni indigene all'interno dei propri riti iniziatici.

Victor Turner, nel saggio betwixt and between. The Liminal Period in “Rites de Passage”, dichiara il suo
interesse nei confronti della specifica situazione liminare dell’individuo durante il rito, quella in cui vive
periodi di marginalità, così da non essere riconducibile ad alcuno stato particolare all’interno di una società.
Secondo Turner l'individuo che attraversa questa fase e l'essere transizionale per eccellenza: non e più e
non e ancora, se per certi versi e “morto”, per altri deve ancora “nascere”. Questa fase potrebbe essere
intesa come il “no” a tutte le affermazioni strutturali, e al tempo stesso come il campo della possibilità pura.
Il neofita non e nulla, ma e potenzialmente tutto.

Jackson connette l’iniziazione al senso delle possibilità concrete ed incarnate. Nel rito femminile che
riguarda le ragazze Kuranko (Sierra Leone), da lui studiato, vi e una propria apertura delle iniziande a
possibilità incarnate che non sarebbero state prese in considerazione nella quotidianità: le iniziande si
vestono da uomo e mettono in scena la vita maschile. L’inversione dei ruoli mette in rilievo una reciprocità
di punti di vista.
Chi coglie la portata etnografica e Fabre: egli sottolinea come, per mezzo dei riti di iniziazione, prenda
forma una sorta di etnografia spontanea, disposta a far riflettere sulle scelte compiute e sulle possibilità
scartate, ancora una volta temi cari all’antropologia.
Ed e in questa ottica che il gruppo a cui appartiene l'individuo può essere paragonato all'antropologo: non e
forse compito dell'antropologo esplorare la gamma delle alterità concepibili? Allo stesso modo, per mezzo
dei riti di iniziazione, prende forma una “etnografia spontanea”, che riflette sulle scelte compiute e le
possibilità scartate.
Durante il periodo liminare, i neofiti sono costretti e incoraggiati a meditare sulla loro società; la luminaria
può essere descritta come una fase di riflessione... Come suggerisce Daniel Fabre, le popolazioni
“primitive”, realizzando la propria identità sociale attraverso l'iniziazione, inevitabilmente si interessano a
come i loro vicini operano in vista del medesimo fine.
E la logica del “giro lungo” (Kluckhohn): conoscere gli altri permette di comprendere noi stessi, permette un
ritorno “critico e riflessivo” su di se: ci si specchia negli altri per rilevarne somiglianze, differenze e scelte
culturali.
L’antropologia permette di effettuare un giro lungo fra le altre società e culture, favorisce una riflessione
critica sulla propria società: e un giro fra gli altri che favorisce un immediato ritorno critico e riflessivo su di
se. Insomma, ci si specchia negli altri per rivelarne le somiglianze, le differenze e le scelte culturali compiute
all’interno di una gamma di possibilità.
Al pari degli antropologi, gli iniziandi viaggiano nella foresta e in altri luoghi dove e situato il campo
dell'iniziazione della propria società, dove ci si interroga sui fondamenti dove spesso ci si confronta con
alterità e con il senso delle possibilità di scelta.
Come dice Clifford Geertz, “un uomo può vivere mille vite, ma finisce per viverne una sola”.
I Banande studiati da Remotti, ad esempio, durante il rito di iniziazione domandano al proprio dio di
insegnare loro ad abitare le colline. Questa domanda sottende il dubbio verso la propria tradizione, e per
avere conferma di essere nel giusto ci si appella alla divinità, che naturalmente risponderà in base alla
tradizione, ovvero “abbattete gli alberi”.
Questa considerazione e importante perché i Banande vivono circondati da altri gruppi etnici che
intrattengono con la natura un rapporto di coesistenza, di conseguenza questa differenza di
comportamento può suscitare nei Banande un principio di dubbio sulla legittimità del loro comportamento,
da cui deriva la domanda alla divinità durante il rito.
Quest’ultimo diviene quindi spazio di riflessione antropologica sulle differenti forme di umanità e sul
rapporto fra essere umano e ambiente.
Casi: pag. 38, pag. 48, pag. 50, pag. 51.
I rituali di iniziazione contengono etnografie spontanee, riflessioni antropologiche, considerazione di ordine
Esistenziale; ciò è possibile quando i processi iniziatici lascino spazio a dubbi, domande, ipotesi circa il ruolo
Interstiziale dell’essere umano. Lo scarto esistente fra modi di vivere in società e fra umani e non umani
(animali e divinità) favorisce confronti, contagi e comparazioni che, a loro volta, alimentano la riflessione ed
il senso critico

2. Comparazioni e contagi
2.1 La pelle del leopardo e dei circoncisi: note dal campo
Nel capitolo precedente abbiamo affrontato due aspetti imprescindibili e al tempo stesso intersecati
dell'antropologia: teoria e ricerca etnografica. Il terzo elemento fondamentale è la comparazione.
Le critiche, giustificate, all'iniziale utilizzo “selvaggio” della comparazione non ne hanno sancito la fine, ma
hanno aiutato a regolarla, con la giusta prudenza e coerenza nella scelta dei criteri.
Evans- Pritchard invita appunto ad effettuare comparazioni più controllate e rigorose, “restringendo il
campo di indagine ad argomenti di carattere più limitato o a società di un certo tipo o facendo entrambe le
cose”.
Le attuali comparazioni sono “limitate”, sia dal punto di vista dell'argomento, sia dal punto di vista della
società: questa modalità di comparazione è considerata un'ottima alternativa a, da una parte, alle
comparazioni indiscriminate del primo periodo, e, dall'altra, agli studi etnografici fortemente localizzati del
periodo successivo.
Particolarmente sofferente a quest'ultimo metodo, localizzato e indifferente al contesto regionale, e
l'antropologo africanista belga Jan Vansina. Benché principalmente interessato alle forme di organizzazione
politica in Congo, Vansina propone rigorose comparazioni regionali. Partendo dai suoi studi, si intende
proporre una sorta di viaggio in alcune realtà etnografiche dell'Africa centrale.
Per Vansina, occuparsi delle istituzioni politiche del Congo significa mettersi idealmente sulle tracce del
leopardo, un animale simbolicamente connesso al potere. Vigeva infatti tradizione di portare al capo il
leopardo ucciso, in omaggio alla sua supremazia. Era sufficiente trattenere per se tali trofei per dichiarare la
propria indipendenza.
Le orme del leopardo e della sua pelle, dunque, viaggiano dal cacciatore fino alla più alta autorità, e
descrivono la rete delle alleanze fra villaggi e la struttura gerarchica sottesa.
BOKAPA EKOPO: dividere la pelle del leopardo l’etimologia del termine pelle di leopardo riconduce al
termine pelle, prepuzio dovuto probabilmente alle migrazioni dei Bantu occidentali.

Sempre nell'ambito dell'apertura dell'indagine alle regioni limitrofe, si colloca il rito di circoncisione fra i
Medje-Mangbetu (Noutu). Era infatti tradizione che questo rito funzionasse come un'alleanza tra Mangbetu
e diversi gruppi.
Ogni famiglia sceglie di circoncidere i propri bambini insieme con quelli di un altro gruppo etnico,
generalmente fra i Pigmei, i Babudu, i Balika e i Mayogo. Dalle testimonianze raccolte si possono anche
ricavare i motivi alla base della scelta della famiglia con cui allearsi.
I tre principali motivi sono:
 vi e stato un aiuto precedente fra le diverse famiglie, e si vuole sancire formalmente il
proseguimento di questo legame di cooperazione;
 esigenza di scambiarsi beni e prodotto. Questo avviene generalmente fra famiglie che si
differenzino rispetto all'accesso a determinate risorse: per esempio fra famiglie di coltivatori e
famiglie di cacciatori;
 esigenza di avere un appoggio in un'area che, per motivi di lavoro, commercio o servizi occorre
frequentare regolarmente.
Raggiunta un'intesa preliminare le due famiglie si fanno visita vicendevolmente, fino a che non si sia
instaurato un legame di forte fiducia.
La scelta dei propri Amekenge e una questione delicata da affrontare, in quanto la fratellanza implica la
comunanza dei beni. Scelti i partner di circoncisione, si stabilisce la data per l'operazione, il luogo del rituale
corrisponde all'abitazione di colui che ha avuto l'iniziativa.
Dopo che il circoncisore ha tagliato i due prepuzi, i due circoncisi vengono portati a una buca d'acqua dove
possano pulirsi e mischiare il proprio sangue, sancendo la fratellanza fra le due famiglie.
Nel periodo successivo alla circoncisione, i due ragazzi sono considerati Éigwa – impuri, sporchi -, termine
riservato anche al vedovo durante il lutto. In questa fase – anche per il vedovo - l'igiene personale non deve
essere curata, in modo da aumentare il senso di precarietà.
Interessante in questo rito e anche il ruolo che esercita l'asse oriente-occidente (Zebo-Zebu). Nelle terre del
bacino del Congo, tutti i fiumi scorrono da oriente a occidente, e il cammino dell'uomo e inteso come una
marcia da est a ovest.
Nelle settimane che seguono la circoncisione e che precedono la fine del rito, i bambini vengono fatti
dormire a zebu, a ovest, da soli, a simboleggiare la solitaria e individuale lotta dell'uomo contro le forze
avverse.
La mattina dell'ultimo giorno si lascia l'abitazione a zebu, a est, e ci si dirige verso zebo, est. Una volta
terminato il rito, i bambini verranno invece lavati insieme nel fiume, simbolicamente posto ad ovest
rispetto al resto, a simboleggiare l'alleanza stabilita.

In questo contesto etnografico, sono state le stesse caratteristiche del rito analizzato a imporre una
metodologia di ricerca incentrata sulla comparazione regionale. Interessante in questa questione sono
anche le risposte dei Medje-Mangbetu riguardo ai riti di circoncisione limitrofi. Essi non distinguono tra chi
si circoncide e chi non si circoncide, ma con chi ci si circoncide.
Il primo risultato della comparazione e stato la conferma che i gruppi con cui si fa la circoncisione
attribuiscono ad essa gli stessi significati orbitanti intorno all’idea di alleanza. L’istituzione del patto di
sangue era assente presso i villaggi delle foreste, verso sud (Lika e Budu); era, invece, tenuta in
considerazione nei gruppi insediati nella savana, a nord (Azande e altri).
Prima, infatti, la circoncisione non era collegata alla logica dell'alleanza ma ai classici riti di passaggio alla
vita adulta, comprendenti la trasmissione dei segreti, il rafforzamento dell’identità etnica, la lunga fase
liminare di reclusione nella foresta. Nel corso del tempo la logica dell’alleanza si sarebbe imposta sulla
logica dell’iniziazione, trasformando e rimodellando nelle forme e nei significati il rito di circoncisione.
Questa condivisione cerimoniale deriva principalmente dall'arrivo dei bianchi, dell'ordine coloniale sul
territorio africano che determino:
- la diminuzione dei conflitti fra tribu, in quanto le entita politiche tradizionali furono svuotate di valore
dall'arrivo coloniale;
- la riorganizzazione territoriale e amministrativa, che ha scardinato le unita di appartenenza indigene;
- spostamenti di manodopera nelle piantagioni e conseguente trasformazione degli insediamenti;
- la lotto contro determinati rituali, interpretati dai bianchi come atti cospirativi ed immorali;
- la sostituzione, con il sistema scolastico occidentale, di ogni istituzione che potesse essere interpretata
come strumento di educazione e formazione.
Lo stesso rito in se e il risultato di due differenti tradizioni: da una parte il patto di sangue tipico dei gruppi
della savana a nord, dall'altra l'iniziazione “puberale” e tribale dei gruppi della foresta a sud. Il rito di
alleanze tramite circoncisione sarebbe il risultato di questo incontro.
Ritorna l'importanza di un'indagine estesa e non prettamente localizzata. La comparazione regionale e
l’analisi delle variazioni storiche sono fondamentali per cogliere elementi cruciali per comprendere i
significati del rito; permettono inoltre di aprire il ventaglio dell’indagine al di la dell’identita ed etnicita,
cogliendo non solo valori, quali la chiusura, la segretezza, l’identita, appunto ma anche elementi di scambio
e apertura.
E, infatti, la natura delle relazioni con i vicini a determinare il crescere e l’imporsi di una pratica culturale
interetnica.

2.2 Un suono contagioso


Come visto, dunque, l'incontro con lo “altro” puo determinare credenze e riti. La relazione fra rito e
“alterita” e caratterizzata anche dal ruolo che spesso ricopre la donna. In molte credenze, infatti, e proprio
la donna alla base del mito: e lei, nella comunita Komo, che trova la conchiglia con cui costruire strumenti
musicali esoterici usati durante i riti, e lei, nella comunita Babira, che vide le scimmie circoncidersi nella
foresta, e lei, nella comunita Wagenia, ad aver trovato su una canoa gli strumenti della circoncisione.
A proposito dei Wagenia, in quella canoa vi era anche il mokumo, “l'uccello della circoncisione”, ovvero uno
strumento musicale che riproduce il suono di un uccello.
Questo mokumo assume il nome di esumba nella comunita dei Bapere. Nome simile al rito olusumba nella
comunita Nande, al rito esomba nella comunita Maniema, al lusumba nei Pigmei.
Che cosa emerge da questa densa e approssimativa comparazione? Emergono tracce di un uccello, il
mukumo, che in realta ha le sembianze di uno strumento musicale, l'isumba, che muta il suo nome nelle
diverse societa, ma che mantiene i suoi connotati misteriosi. Un suono misterioso, un'intricata rete di
misteri, di suoni e di uomini che viaggiano e interegiscono contagiandola foresta con simboli e ideologie.
Questa comparazione sfata il mito di una certa immagine dell'Africa caratterizzata da microcosmi etnici
autonomi ed esclusivi, portatori di valori quali l'identita tribale e la chiusura. Un mito che non permette di
cogliere quegli elementi di apertura e mescolanza.

2.3 Altre storie di contagi e di prepuzi


In relazione alla valorizzazione della comparazione regionale va annoverato lo studio di Jean-Claude Muller
sui riti di circoncisione e di escissione fra i Dii dell'Adamawa.
Muller compara la pseudoescissione delle ragazze Dii con l'escissione fra i vicini Gbaya. Entrambi i casi
puntano a provocare dolore, ma l'obiettivo del dolore e differente: fra i Dii lo scopo e quello di far capire
alla ragazza cosa la aspetta nel caso non si rapporti sessualmente nella giusta maniera; fra i Gbaya lo scopo
e quello dimostrare il coraggio.
Tra le popolazioni limitrofe ai gruppi Gbaya vi sono i Sara, i cui riti sono stati studiati da Robert Jaulin, e che
risultano emblematici in relazione alla tematica dello scambio e dei prestiti del rituale. Fra i Sara infatti,
l'iniziazione fu introdotta da un capo tribu che compro letteralmente lo stile rituale Ndo Bla dai vicini
Ngama-Tele per un cavallo.
Jaulin interpreta l'iniziazione come agente di avvicinamento, non solo tra gli individui di uno stesso gruppo,
ma anche fra tribu limitrofe. Nel caso sopracitato, quando gli Ngama-Tele vendettero il rituale Ndo Bla,
consegnarono al capo tribu un miscuglio di polvere avanzata dal rituale precedente, che a sua volta
derivava da un ammasso “primordiale” messo insieme dagli inventori del sistema. Fra i Sara, da quel
momento, viene utilizzato quel miscuglio durante il rito, e questo non viene mai terminato e viene aggiunta
altra polvere avanzata dai rituali. In questo modo si costituisce una sequela infinita avente in teoria una sola
origine per entrambe le tribu.
Al riguardo dei resti derivanti dai rituali precedente, anche Jean-Claude Muller offre una testimonianza. Nei
rituali maschili Dii, i prepuzi, una volta circoncisi, vengono conservati e fatti essiccare. Dopodiche, nella
cerimonia successiva, questi verranno polverizzati e fatti bere in una birra agli iniziati. I prepuzi conservati
dovranno provenire dairagazzi piu coraggiosi, affinche possano rappresentare un condensato di virtu
maschili.
Come si puo vedere, dunque, i contagi avvengono su un doppio binario: orizzontale, da gruppo a gruppo;
verticale, da generazione a generazione.
A viaggiare da territorio a territorio, di generazione in generazione, sono i canovacci, i significati, i simboli, i
riti stessi, gli oggetti.

3, Trasformazioni (la dimensione diacronica)


3.1 Iniziazione, movimenti e mutamenti
Raccomandazione a non perdere mai di vista l’aderenza al terreno anche lungo le trasformazioni storiche.
Cioè l’antropologo deve CONCEDERE STORICITA’ ALLE SOCIETA’ ALTRE, cosa che non sempre è accaduta.
L’antropologia classica ha teso a sottrarre le società ALTRE alla dimensione temporale (ALLOCRONISMO),
soprattutto da parte dell’Occidente alle società altre, quando si consideri un imprecisato mondo primitivo
collocato in una sorta di tempo primordiale ammantato di sacralità. Una visione in cui emergono dicotomie
che tendono a semplificare le realtà a distanza, contrapponendole a una non precisata modernità.

Anche l'antropologo rumeno Mircea Eliade, ritiene le società “primitive” prive di memoria storica, che
“tendono a proiettare ogni acquisizione nuova nel tempo primordiale”, per loro la Storia è chiusa, si è
esaurita nei pochi avvenimenti dell'Inizio.
Anche per questo, forse, l'antropologia ha per lungo tempo fornito descrizioni sincroniche, insensibili allo
sviluppo dei riti di iniziazione; tuttavia, negli ultimi decenni, sono apparsi importanti studi attenti alla storia
dei rituali.

Ciò che si vuole sottolineare è che:


1) La supposta non storicità dei percorsi iniziatici (connessi alla ripetizione rituale della cosmogonia e
del tempo primordiale) sembra opporsi ad alcuni studi in cui si mostra come specifici eventi storici
siano stati incorporati e abbiano modificato la cultura locale e i suoi riti.
2) I classici rituale di iniziazione sono destinati ad essere riformulati (cap.2 Mangbetu, Balika, Babudu,
Pigmei) o a scomparire. L’antropologo contemporaneo deve studiare tali trasformazioni.

Un esempio lampante di questo sono le esperienze migratorie. E' proprio in relazione alla mobilità, alla
concreta esigenza del viaggio, che emergono inediti percorsi iniziatici in cui non e più la morte simbolica a
permettere il cambiamento dell'individuo, ma la possibilità di sopravvivenza spinge l'individuo a diventare
qualcos'altro.

Prima ancora che la migrazione, è l'iniziazione stessa ad essere correlata alla dimensione del viaggio: i
classici percorsi iniziatici presuppongono simbolici spostamenti – l'abbandono del villaggio, la scoperta della
foresta.
D'altra parte, molti viaggi possono acquistare una dimensione iniziatica.
Abbiamo già visto come il viaggio risulti centrale nel processo di iniziazione della professione di
antropologo, allo stesso modo, ciò vale per gli iniziati che questi studiano.
A riprova del parallelismo tra iniziazione e viaggio, è la possibilità di poter applicare lo schema tripartito di
Van Gennep a questo secondo elemento (partenza – viaggio - arrivo : separazione – margine –
aggregazione).
Tuttavia, se il viaggio e facilmente riconducibile al “passaggio”, esattamente come l'iniziazione, più difficile è
considerare il viaggio come un rito, e scorgerne i tratti rituali. A questo proposito, quindi, al viaggio si
applica in modo migliore la fase centrale e liminare dello schema, che come abbiamo visto e, generalmente,
la parte cruciale. Il viaggio rappresenta una sorta di limbo fra cio che si e lasciato e si conosceva, e cio che si
raggiunge e che non si conosce.

3.2 Pellegrini e rifugiati


A proposito della dimensione di viaggio, Victor Turner si sofferma su una particolare figura di viaggiatore: il
pellegrino.
Questi rappresenta un'emblematica condizione liminare, in quanto sospende la vita sociale e ordinaria e
partecipa a un'esperienza inusuale e straordinaria. L'abbigliamento, i comportamenti e i modi in cui si
relazione sono i segni manifesti di una radicale trasformazione consona a cio che impone la cornice rituale.
Il caso forse piu noto e il pellegrinaggio alla Mecca, che ogni musulmano deve obbligatoriamente fare
almeno una volta nel corso della vita, se le condizioni fisiche ed economiche glielo permettono.
Lo stato liminare di questo pellegrinaggio e sottolineato dalle privazioni sessuali e dagli impedimenti
imposti (non spargere sangue, non sradicare piante) che ricordano le indicazioni che gli iniziati devono
seguire durante il periodo liminare dei “classici” rituali di passaggio.

Se il pellegrinaggio e una scelta, diverso e il caso dell'esiliato o dei profughi. Anche in relazione a questi
particolari viaggiatori e stato utilizzato il concetto di liminarita. A questo riguardo, e importante l'opera di
Liisa Malkki, in cui sono riportati i risultati della sua ricerca nei campo profughi burundesi in Tanzania.
I rifugiati vivono in una fase di liminarita in quanto “strutturalmente invisibili”, “non piu e non ancora
classificate”, sono colore che vivono un'esperienza totale di perdita, pensati come un'umanita “nuda” e
“spogliata”.
Altro esempio di liminarita e fornito dai rifugiati somali. Questi, prima di raggiungere la destinazione finale,
trascorrono un periodo di transizione in paesi diversi. Durante questa delicata fase transitoria viene
formulato un mito connesso alla partenza, un “sogno”. Se il periodo di transizione si prolunga, allora la
persistenza dei sogni inerenti all'esodo puo causare una perdita di contatto con la realta, si delineano viaggi
immaginari attraverso l'attivita onirica.
Questi viaggi immaginari vengono successivamente raccontati durante le riunioni e danno forma a una vera
e propria “mitologia della partenza”.
Questo mito del viaggio e da ricondurre alla centralita che il viaggio ricopre nella cultura dei gruppi somali
nomadi dediti alla pastorizia. “Il viaggio e visto come l'unica fonte di esperienza, una sorta di rito di
passaggio verso la maturita”, queste sono le parole di un giovane somalo. Nella Somalia settentrionale,
viaggiare e considerato una fonte di saggezza e un uomo che ha viaggiato e uno che sa molto, e una volta
rientrato nel paese natale viene invitato a mangiare dai saggi del villaggio. Nei gruppi nomadi della Somalia
settentrionale, lo spostamento era funzionale alla ricerca di nuovi pascoli, ed era quindi socialmente
apprezzato. La migrazione verso i paesi stranieri viene quindi incorporata nei modelli positivi della mobilita.
Il mito della partenza e quindi connesso alle modalita attraverso cui un individuo accresce il proprio status e
diventa uomo.
Delineare tale contesto culturale permette di fare luce sul dramma personale che si trovano a vivere coloro
che, essendo bloccati nel bel mezzo del passaggio, vedono franare i loro progetti di migrazione, e di
conseguenza i loro progetti di innalzamento sociale, culturale e personale.

3.3 Altri migranti, altre iniziazioni


Un’altra situazione emblematica è quella dove IL RITORNO assume una importanza fondamentale: il
processo migratorio diventa parte della costruzione dell’individuo, chiamato a diventare qualcosa d’atro
per effetto/reazione a situazioni storiche. La migrazione diventa iniziazione.

Uno dei contesti africani piu significativi sulla centralita del nesso fra migrazione e iniziazione e quello dei
giovani emigranti mozambicani che trascorrevano lunghi periodi nei campi minerari del Sud Africa.
Nella seconda meta dell'Ottocento il Mozambico era teatro di numerosi scambi commerciali gestiti, pero,
interamente dai coloni europei. Di conseguenza, la regione non offriva molte possibilita di impiego e si
svilupparono cosi crescenti flussi migratori verso le miniere di diamanti sudafricane.
Le terre meridionali del Mozambico divennero il teatro di transito di lavoratori, e cosi si trasformarono in
“percorsi rituali”. Le partenze dei migranti divennero riti iniziatici: emigrare significava diventare uomini.
Patrick Harries e l'antropologo che piu si e interessato all'argomento mozambicano, concentrando i suoi
studi al periodo 1860-1910.
Secondo Harries, il lavoro migratorio, pur essendo una risorsa per l'economia dei centri industriali, non e
svincolato dal mondo rurale da cui proviene. Cio e dovuto al forte pendolarismo fra le comunita e i centri di
produzione.
Harries si sofferma sulle trasformazioni socioculturali determinate dall'introduzione del denaro nei circuiti
di scambi tradizionali, un cambiamento che influenzo anche i rapporti tra lavoratori e capi locali
mozambicani.
Il mancato controllo della ricchezza salariale minacciava l'autorita dei capi, e di conseguenza le tradizionali
relazioni di subordinazione tra capi e popolazione.
Per mantenere la gerarchia e la propria autorita, i capi tribu decisero di incorporare l'esperienza migratoria
nelle credenze locali e nelle pratiche rituali; cio fu reso possibile dall'imposizione di uno specifico rito della
partenza eseguito dalle persone piu anziane. Il giovane migrante doveva recarsi all'altare degli antenati per
chiedere la loro protezione con preghiere ed offerte.
Attraverso la ritualizzazione, i capi resero istituzionale cio che altrimenti sarebbe potuto diventare una forza
capace di distruggere la societa tradizionale e la loro autorita.
Il lavoro migratorio, come detto, era considerato una tappa importante del passaggio dall'adolescenza alla
piena maturita dell'uomo adulto. Coloro che tornavano dal Sud Africa acquisivano un nuovo status sociale e
venivano chiamati gayisa, contrapposti a coloro che non migravano, i mamparas, e venivano per questo
disprezzati.
Abbiamo prima visto il rituale precedente alla partenza, che nella tripartizione di Van Gennep
rappresenterebbe la separazione.
La fase liminare e invece rappresentata dalla permanenza nei campi di estrazione mineraria. Questa fase e
caratterizzata, come abbiamo piu volte visto, da una condizione di confusione e incertezza; cosi come nel
rituale baruya (in apertura di libro) anche il giovane mozambicano attraversa una fase di incertezza
sessuale. Nella prima fase di permanenza egli sperimenta infatti una relazione omosessuale. Era infatti
diffusa la pratica del “matrimonio della miniera” fra un minatore adulto e uno giovane – anche dodici anni.
Nel mondo violento della miniera, il “matrimonio” rappresenta allo stesso tempo il volto piu brutale e
l'esigenza di costruire legami.
Il caso dei minatori emigranti mozambicani, oltre a ricondurre il viaggio a un rito iniziatico, ci mostra come
determinate pratiche rituali si impossessino di cambiamenti e trasformazioni sociali indipendenti, o
derivanti dall'esterno. E' la dimostrazione di come il rito e la tradizione riesca ad adattarsi alla storia.
IL CASO DEI DANDY CONGOLESI – Non si tratta solo di lettura mimetica, rimodellano il proprio corpo. Gli
indumenti che comprano lungo le rotte migratorie consentono una rigenerazione del corpo. Non è una
semplice imitazione, attraverso l’abito incorporano una forza vitale in grado di accrescere il loro essere.
Una lettura iniziatica del loro viaggio migratorio in europa. Essere più di ciò che si è. Anche un processo di
riconnessione con l’europa.

3.4 Iniziazione e globalizzazione


In questo capitolo si vorrebbe sottolineare la capacita dei processi iniziatici di muoversi nel flusso culturale
adattandosi e modificandosi e rinegoziando la loro esistenza in relazione alle dinamiche globali di idee e
persone.

CASO: Impatto dell’urbanizzazione e cristianesimo su rito di iniziazione femminile dei Bemba del Zambia
(CHISUNGU).
Il rito si è praticamente trasferito nel contesto urbano e parzialmente incorporato nelle pratiche di alcune
chiese cristiane. Lo ha studiato JULES ROSETTE. L’urbanizzazione ha determinato l’interruzione delle
pratiche iniziatiche maschili, essendo queste centrate su valori di identità etnica e potere di un gruppo; al
contrario ha portato alla riscoperta delle pratiche rituali femminili, centrate sulle responsabilità domestiche
e la vita familiare e che quindi possono sopravvivere nella città multietnica.. C’è una logica di continuità nei
valori tradizionali, ma al tempo stesso sono agente di cambiamento.
RESOCONTO ETNOGRAFICO: nel 1992. Vengono veicolati i valori del passato ma rientra nel quadro
dell’associazionismo femminile delle parrocchie cattoliche. SI vengono a creare dei reticoli sociali svincolati
dalla parentela e dai legami di villaggio. Questo è reso possibile dalla condivisione dei valori che sono
collegati alla vita domestica e familiare (fertilità, monogamia, verginità, fedetà). Attraverso i gruppi
parrocchiali divengono valori universali in un quadro multietnico.

CASO: MERCIFICAZIONE DEI RITI – BAPEDI in SUDAFRICA


Le scuole iniziatiche diventano una risorsa economica (strategia imprenditoriale).

CASO: MERCIFICAZIONE DEI RITI - GAMBIA


Gruppi etnici si propongono sul mercato come mercanti della propria cultura, attuando strategie
imprenditoriali e organizzando un vero business attorno ai propri riti iniziatici.
E' il caso dei riti nel Gambia contemporaneo. Questo piccolo stato dell'Africa occidentale e stati oggetto di
interesse turistico da parte di molti afroamericani alla ricerca dei fili identitari spezzati dalla traccia
atlantica.
Questo fenomeno si inserisce nel contesto ben piu ampio della recente sensibilizzazione internazionale sui
temi della schiavitu, per favorire il recupero della memoria e valorizzare i luoghi connessi alle tristi vicende.
A fianco del restauro dei siti della tratta, della costruzione di monumenti commemorativi, mostre e musei,
si e assistito alla diffusione di una forma di turismo culturale ideata da agenzie statunitensi specializzate
nell'organizzare “viaggi alle radici”.
Cosi, in alcuni villaggi del Gambia, individui indigeni vendono la loro “primitivita” sul mercato dell'esotico
facendo partecipare i ragazzi statunitensi alla cerimonia d'iniziazione, il bukut.
I giovani americani sono affidati a una famiglia indigena, passano la notte nella foresta sacra, l'indomani
indossano abiti cerimoniali e svolgono il rito. Al termine della cerimonia, ricevono un attestato di frequenza
e un certificato di adozione in una delle famiglie locali.
Questo ultimo esempio rende l'idea del graduale aumento di difficolta per l'antropologo nel rintracciare
tratti autentici di una cultura. L'antropologo si deve guardare, come diceva Levi-Strauss, “dagli
imbastardimenti asserviti alle esigenze della vita”.
L'abilita dell'antropologo consiste nell'evitare di essere inghiottito da qualche vortice etnografico (troppo
localizzato per bastare a se stesso) e nell'evitare, al contempo, di venire sbalzati dal turbinio delle
trasformazioni.

4, Immoralità provvisoria e contegno durevole


4.1 Le cose imperiture
In quest'ultima parte del volume si vogliono proporre alcune chiavi interpretative dei riti di iniziazione alla
vita adulta.
La prima argomentazione riguarda il concetto di “immortalita provvisoria”, e sulle strategie di trascendenza.
Su questo tema, si cerchera ancora una volta di sostenere il parallelismo fra antropologi e iniziandi.
Come si e visto, gli antropologi tentano, attraverso foto, descrizioni, registrazioni, di immortalare la vita
degli altri. In un certo senso l'antropologia ha una missione salvifica, va a raccontare e a salvare dall'oblio
qualcosa che e stato detto o fatto da qualcuno che ora non c'e piu.
Con l'antropologia non si salva dalla morte nessuno, certo, ma in qualche modo si rende immortale una
cultura; anzi, grazie alle sue opere, che resistono nel tempo, l'antropologo potrebbe concepirsi immortale.
Eppure, per quanto si possa rimanere appagati dalla “missione salvifica” dei propri scritti, si finisce col
rendersi conto di quanto sia invece provvisorio e illusorio fissare brandelli di cultura, la quale continua a
vivere non certo grazie ai resoconti etnografici, ma all'incessante creativita trasformatrice degli esseri
umani.
La tendenza all'immortalita attraversa tutta la storia del genere umano; basti pensare che il primo eroe di
cui si conoscano le gesta – Gilgames, eroe mesopotamico – orienti la sua impresa verso una ricerca
ossessiva dell'immortalita.
Fra i Tallensi del Ghana, l'immortalita della discendenza viene richiesta ai propri antenati in cambio della
sottomissione.
Negli Stati Uniti l'immortalita viene richiesta ai discendenti. E' il caso dei “criogeni”, ovvero colo che hanno
deciso di farsi ibernare una volta deceduti, per farsi scongelare in un futuro in cui la malattia sara stata
sconfitta.
Hannah Arendt sostiene che per essere realmente umani si debba tendere a una fame immortale; chi si
appaga vive e muore come un animale.
L'idea che per essere veri uomini occorra partecipare e ambire a una sorte di trascendenza e un aspetto
rinvenibile anche in molti rituali di iniziazione alla vita adulta.
Il concetto di immortalita nei riti e generalmente espresso attraverso la continuita fra passato e presente,
fra antenati e discendenti.
Un esempio e riscontrabile nei riti iniziatici Banande. I continui richiami agli antenati, gli insegnamenti e gli
ammonimenti contribuiscono ad accrescere la coscienza storica e la riconoscenza dei giovani verso i
predecessori.
Inoltre, durante l'iniziazione essi si vedono trasformati in uomini adulti, e al contempo vedono la loro vita
brevis inserirsi in un continuum che coinvolge gli antenati. Con l'incisione di tatuaggi, ad esempio, gli
antenati segnano i nuovi uomini, per confermare e ribadire nella loro carne la continuita rispetto al passato,
e questo un concreto tentativo di trasformazione del singolo individuo in qualcosa di piu. Non a caso i segni
impressi sono gli stessi riportati sugli oggetti rituali, che rappresentano il “condensato” della saggezza, il
mistero e il tesoro della comunita.
Ricordiamoci che gli oggetti rituali sono fondamentali in tutti i riti di iniziazione, alle volte vengono mostrati
dopo il rito e rappresentano la “scoperta” della nuova vita, altre volte vengono mostrati sia prima che dopo,
e rappresentano il “cambiamento di prospettiva” della nuova vita.

4.2 Strategie di trascendenza e semi-immortalità


Come detto, il tentativo di raggiungere una sorta di semi-immortalita (immortalita provvisoria) e rinvenibile
in molti rituali di iniziazione. Tuttavia, occorre precisare che essa non si configura sempre come desiderio di
immortalita, incerti case si configura come un'ambizione di resistenza, uno sforzo atto a perdurare ancora
un po'.
Una delle riflessioni piu efficaci sul nesso esistente fra iniziazione e immortalita e contenuta nel testo di
Maurice Bloch, Da preda a cacciatore. Bloch ritiene possibile individuare il “nucleo irriducibile del processo
rituale”. Bloch definisce la sua ipotesi un tentativo di semi-universalita.
La semi-universalita individuata da Bloch e la presenza di una forma di “violenza di ritorno” nei processi
rituali, dovuta al recupero trionfale della vitalita che succede al rito di iniziazione, in particolare alla sua fase
liminare/marginale.
L'esempio etnografico principale a cui si affida Bloch e l'iniziazione alla vita adulta degli Orokaiva della
Papua Nuova Guinea.
All'inizio del rituale, i villaggi orokaiva vengono invasi da persone che indossano maschere di uccelli e
maiale: questi rappresentano gli spiriti dei morti del villaggio che, giunti dalla foresta, hanno il compito di
catturare i bambini che verranno sottoposti al rito di iniziazione.
I bambini, terrorizzati e catturati, vengono condotti fuori dal villaggio, dove vengono simbolicamente uccisi
e dovevengono sottoposti a prove e insegnamenti esoterici.
Una volta “trasformati”, i bambini faranno ritorno al villaggio, dove si impegneranno in un'importante
caccia al maiale, esercitando, appunto quella che Bloch definisce “violenza di ritorno”.
Per comprendere appieno la sequenza rituale e la “violenza di ritorno”, Bloch invita a riflettere sul fatto che
gli Orokaiva vivono a stretto contatto con i maiali, e i bambini sono considerati simili ai maiali.
L'iniziazione rappresenta quindi un tentativo di riscatto esistenziale: i bambini, considerati inizialmente
prede, alla stregua dei maiali, una volta acquisite le pratiche e gli insegnamenti esoterici si trasformano in
cacciatori dei maiali stessi. Appunto, come il titolo del libro, Da preda a cacciatore.
Questo ribaltamento di prospettive e comportamenti serve a marcare la differenza fra animali e uomo,
cercando di trascendere il legame di “inevitabile mortalita” che lega l'uomo all'animale.
Tuttavia, nonostante la morte e la rinascita simbolica, nonostante i tatuaggi che segnano la discendenza,
nonostante la marcatura della differenza dagli animali, una volta terminato il rito l'iniziato ritornera alla vita
ordinaria, reinserendosi nel solco di quella parabola discendente che conduce alla morte.
A che cosa serve, allora, sottoporsi a processi iniziatici? La sfida risiede nella convinzione che il rituale abbia
realmentela forza di trasformare le persone. Gli iniziandi partecipano per un breve lasso temporale alla
natura trascendente dell'esistenza, grazie al manifestarsi degli spiriti – grazie, solitamente, a specifiche
maschere.
E proprio le stesse maschere, oltre che osservandole, anche indossandole, sembrano garantire il passaggio
a un'esistenza spirituale e atemporale. Per un momento, essi credono davvero di essere spiriti e uccelli.
Le maschere, quindi, oltre ad essere oggetti simbolici, diventano anche strumento di trasformazione.
Tornando al concetto di immortalita, in questi contesti e possibile interpretare l'utilizzo delle maschere
iniziatiche come via di uscita temporale dalla vita brevis: tornare al villaggio dopo essere stati per qualche
attimo spiriti colloca l'uomo in una dimensione che va oltre la morte.

Altro “strumento di immortalita”, se non strumento perlomeno “portatore di immortalita”, sono le


medicine. Abbiamo gia incontrate sostanze del genere in precedenza: sono pozioni o preparati che gli
iniziandi devono ingurgitare per rendere piu efficace la trasformazione iniziatica.
Queste medicine, lungi dall'esaurirsi, si rinnovano nel tempo, incorporando a ogni occasione rituale gli
ingredienti necessari; in tal modo esse resistono al trascorrere del tempo e trasmettono l'idea di una
sostanza inestinguibile. E' ilcaso, per esempio, del rituale Ndo Bla in voga fra i Sara e i Ngama-Tele.
Gli ingredienti di queste “medicine” sono altamente significativi in relazione al rapporto immortalità-
oggetti rituali:
ceneri di “oggetti sacralizzati”, ceneri del letto del ragazzo circonciso, ceneri del fuoco acceso durante la
cerimonia, ceneri di corteccia posta sotto il pene dei circoncisi per assorbire il sangue, etc.
Questo insieme di ceneri rappresenta il legame di continuita con il passato, e simboleggia anche la natura
stessa del rito; ingurgitandolo, e come se l'iniziando incorporasse la propria “storia” e l'essenza stessa del
rituale.
Come “indossare le maschere – immortali -”, dunque, anche “bere la pozione – immortale -” permette di
superare la finitudine, e porsi al di sopra della vita brevis, anche se provvisoriamente.
Indossare maschere e incorporare medicine permette di interiorizzare forme di trascendenza.

4.3 Dolore, sofferenza e violenza nei riti di iniziazione


Come gia accennato, e a volte possibile scorgere tracce di semi-universalita nei diversi riti di iniziazione. Con
sguardo comparativo e possibile individuare certi tratti evidenti, senza pero comprenderne il senso: e
questo il caso del dolore e della violenza nelle prove che l'iniziando deve affrontare.
Come si domanda Alan Morinis, nell'incipit di un suo saggio dedicato al dolore nei riti di iniziazione: perche,
un po' ovunque nel mondo, occorre provare dolore per diventare adulti? Perche le comunita accolgono i
nuovi membri adulti con raffiche di botte, soprusi, umiliazioni e violenze?
La ricerca di un nesso e di una spiegazione fra violenza e riti rappresenta una costante per la ricerca
antropologica, esattamente come e costante il legame tra questi due aspetti.
Nelle pagine che seguono non si vuole fornire una rassegna, ma esporre alcune proposte interpretative che
si ritengono significative. In primo luogo, occorre domandarsi quali tipi di violenza contengano i riti di
iniziazione.
Come abbiamo gia visto, in molti contesti si registra una duplice violenza: degli educatori sugli iniziati, e
degli iniziati su, il piu delle volte, animali.
Per Maurice Bloch, come abbiamo visto, la trasformazione da vittime in carnefici costituisce un aspetto
fondamentale e tipico dei rituali di iniziazione.
Bloch delinea uno schema tripartito, riprendendo quello di Van Gennep – a cui criticava l'assenza di
un'analisi della violenza, soprattutto di quella “di ritorno”:
1) allontanamento – violenza degli adulti sui bambini (marchi e prove dolorose);
2) fase marginale/liminare – morte simbolica, e rinascita;
3) ricongiungimento – ritorno al villaggio, esplosione della “violenza di ritorno” su animali.
Nonostante la centralita della “violenza di ritorno”, e opportuno soffermarsi sulla violenza iniziale sugli
iniziandi.
Il processo rituale prevede un intervento modificatore permanente sul corpo; il passaggio da uno status
all'altro implica una trasformazione del corpo, inscrivendo sul corpo una particolare forma di umanita. Il
corpo e designato come “il solo spazio appropriato a portare il segno di un passaggio, l'assegnazione di
un destino”.
Alla domanda “perche il suo corpo e stato cosi modellato?”, un anziano mangbetu, dai lobi perforati, i denti
limati, e le ossa del cranio modellate, ha risposto, semplicemente: “perche non son un animale.”
L'iscrizione sul corpo, dunque, ancora prima che essere segno distintivo fra diverse culture, e un segno di
separazione dall'universo animale, il segno tangibile della propria “non-animalita”.
Abbiamo quindi spiegato la necessita di dare forma al corpo dell'iniziato, tuttavia, risulta piu difficile
comprendere la necessita del dolore.
La necessita di provocare dolore risulta essere essenziale, come se questo fosse costitutivo di un processo
formativo.
Vi sono riscontri etnografici in cui il marchio necessario alla “trasformazione” dell'individuo, seppure si
possa fare con strumenti meno dolorosi, venga effettuato con strumenti volutamente strazianti.
Ma perche il dolore e indispensabile?
La volonta di temprare e manifestare il coraggio e una delle spiegazioni, certo, ma cio non spiegherebbe la
presenza del dolore anche nei riti di iniziazione femminile.
Una spiegazione viene fornita da Pierre Clastres, antropologo studioso delle tribu paraguayane.
Secondo Clastres, il segno modellatore del corpo e un ostacolo all'oblio, che rimane per sempre a
dimostrare l'appartenenza al gruppo.
Il dolore, invece, imprime la legge del gruppo sull'individuo. Mentre il segno la ricorda, il dolore la
imprime. Il dolore si spiega all'interno della pedagogia insita nel rituale, una pedagogia di “affermazione e
non di dialogo”.
Per capire la necessita del dolore occorre collegarla al silenzio che gli iniziati devono mantenere sotto
tortura: questo silenzio simboleggia la totale e incondizionata sottomissione alla legge della societa; una
legge di uguaglianza fondata ul silenzio al dolore: tu non vali meno di un altro, tu non vali più di un altro.
Un'altra spiegazione della necessita del dolore e fornita da Julian Pitt-Rivers, che si collega alla dimensione
psichica riguardante il dolore. Al momento dell'incisione, infatti, non solo il corpo viene segnato, ma anche
la psiche. Il dolore, in quanto condiviso, va a rafforzare la solidarieta con i compagni di iniziazione, e va a
formare un legame mentale tra coloro che vi sono stati sottoposti.
A questa componente “psichica” si aggiunge quella che gli iniziati Gisu dell'Uganda chiamano lirima, ovvero
il sentimento che questi provano durante l'iniziazione: una sorta di eccitazione, un nodo in gola che
potrebbe essere prodotto dal rilascio di adrenalina provocato dalla cerimonia.
Pitt-Rivers, affidandosi agli “anatomisti” - “capaci di stimare gli effetti dell'adrenalina sulla personalita”-,
sostiene che l'adrenalina che deriva dal dolore, dalla paura, dall'umiliazione modificano la personalita e i
sentimenti degli iniziati.
Oltre alle trasformazioni materiali del corpo, dunque, ci sarebbero anche trasformazioni chimiche interne
al corpo.
Sempre sulla funzione dell'adrenalina si basa anche una terza teoria di spiegazione della necessita del
dolore. Secondo uno studio condotto da Jim McGaugh e dai suoi colleghi dell'Universita della California,
certi ormoni – come, appunto, l'adrenalina – svolgerebbero un ruolo fondamentale nel consolidare i
processi della memoria.
Il rilascio di adrenalina durante il rito, dunque, aiuterebbe a consolidare il ricordo dell'esperienza di
“trasformazione”.
Il dolore andrebbe ad aggiungersi alla componente corporea del “segno”, andando a unire le due
componenti proposte da Clastres. Questa connessione tra adrenalina e memoria e stata possibile grazie agli
studi sui cosiddetti “ricordilampadina”:
tutti sappiamo dove eravamo quando e morto Kennedy, quando sono cadute le Twin Towers, etc: questo e
connesso, appunto, al rilascio di adrenalina del momento, che ha impresso con maggiore forza l'accaduto
nella nostra memoria.

4.4 Per un contegno durevole e condiviso


Tornando alla teoria di Clastres sulla centralita del silenzio nei riti di iniziazione, analizziamo un particolare
rituale dei Mandan, indiani nativi delle praterie del Nord America: l'O-Kee-Pa.
America Settentrionale, Upper Missouri, 1832. George Catlin, pittore e avvocato statunitense, assiste ai
supplizi inferti dagli Indiani Mandan ai giovani novizi.
Da cio che racconta Catlin, il rituale dura quattro giorni, in un crescendo di danze e di eccitazione generale.
Il quarto giorno, un uomo dipinto di nero, una sorta di maschera dello spirito malvagio, dopo aver
scorrazzato per il villaggio a terrorizzare donne e bambini, viene sconfitto e scacciato: e il segnale di inizio
della parte piu crudele della cerimonia.
Sfiniti dalla fame, dalla sete e dalla stanchezza, gli iniziati vengono trafitti da bacchette conficcate nella
carne su tutta la superficie corporea. Le bacchette conficcate all'altezza delle scapole vengono legate a
corde, per mezzo delle quali gli iniziati vengono sollevati da terra, creando una scena che a Catlin ricorda un
mattatoio. Alle altre bacchette vengono appesi teschi di bufalo, scudi e faretre, per appesantire il tutto.
La pelle lacerata si tende incredibilmente per sorreggere il peso del corpo e il sangue cola ovunque.
Quello che sconvolge Catlin, oltre, naturalmente alla scena in se, e l'impassibilita negli occhi dei suppliziati:
“molti di loro, vedendomi fare schizzi, mi fecero cenno di guardare le loro facce, e non vi erano altro che
sorrisi distesi.”
I giovani vengono poi adagiati per terra una volta svenuti, e quando riprendono conoscenza, ancora con le
bacchette conficcate, viene loro reciso il mignolo della mano sinistra, come sacrificio al Grande Spirito.
Infine gli iniziati vengono costretti a ballare freneticamente, fino a che le bacchette non fuoriescano da sole
dalla carne.
Nel 1890, la cerimonia O-Kee-Pa viene vietata per legge, ma a quel tempo i Mandan erano ormai decimati
dal vaiolo.
A questo proposito e interessante comparare le due sofferenze: mentre il dolore degli iniziandi favorisce
l'identificazione e tiene uniti i partecipanti, il dolore di una grave malattia crea smarrimento, annichilisce e
provoca sensazioni opposte.
La cerimonia dei Mandan colpisce per un duplice aspetto: - la sofferenza quasi disumana di una
pratica culturalmente accettata; - il contegno e il silenzio degli iniziati. Concentriamoci sul secondo aspetto.
Per Clastres, come detto, questa cerimonia rappresenta il grado massimo di supporto alla sua teoria del
silenzio come agente di sottomissione al gruppo e al tempo stesso di totale uguaglianza sociale.
Al contrario, Dominique Casajus ritiene che occorra leggere il racconto di Catlin con poca attenzione per
ritenere che i giovani iniziati diventino “uguali” all'interno di una comunita di “uguali”.
Per Casajus, l'O-Kee-Pa e una prova a cui si sottopongono coloro che vogliono raggiungere la grandezza e
l'eccellenza all'interno della comunita. Al contrario, quindi, e una cerimonia di smarcamento sociale,
piuttosto che di livellamento.
Secondo Casajus la sofferenza e il prezzo da pagare per marcare la differenza, generalmente verso le
donne, che ne restano fuori. La sofferenza “disumana” di questo rituale induce quindi Casajus a pensare
che questo sia un ulteriore grado di smarcamento, tra i “grandi uomini” e gli uomini comuni.
La questione del silenzio ci conduce anche a un'altra riflessione molto importante. La resistenza al dolore, il
silenzio davanti a questo, e la sua accettazione, suggeriscono che la grandezza dell'iniziato non sia
rappresentata solo dal coraggio e dalla forza ma anche, e forse soprattutto, dal contegno degli iniziati.
Si viene cosi a formare un ideale di “umanita” contrassegnato da concetti quali contegno, autocontrollo,
ritegno, pudore, compostezza. Piu che il coraggio nell'affrontarlo, e il contegno mentre lo si affronta a
marcare la differenza. Per dimostrare questa ipotesi “generalizzante”, l'unico strumento in mano
all'antropologo e la comparazione etnografica.
A questo proposito e fondamentale l'opera di Paul Radin del 1927, L'uomo primitivo come filosofo.
Radin esprime la convinzione che gli ideali di condotta dei popoli primitivi siano l'autodisciplina,
l'autocontrollo, e uno sforzo a mantenere un senso della misura in tutte le circostanze.
Il primo esempio e portato dai Baruya della Nuova Guinea, analizzati nel primo capitolo: gli iniziati rivelano
il loro contegno e la loro compostezza quando, insultati, umiliati e provocati continuamente dai membri
adulti, sono costretti a non rispondere. Dopodiche devono dimostrare di saper sopportare il dolore delle
zanne di maiale conficcate nella fronte.
Anche in questo caso, a supporto della teoria di Casajus, come abbiamo visto, gli iniziandi sono osservati
attentamente dai membri anziani, pronti a scovarne le eccellenze fisiche e mentali che faranno, di alcuni,
“grandi uomini”, sulla base del contegno e della compostezza.
Altri esempi dell'importanza del contegno sono i pastori nomadi samburu, nel Kenya settentrionale, dove il
tratto di umanita fondamentale e il nkanyt, ovvero la pazienza, l'autocontrollo, la capacita di non reagire in
modo impulsivo.
Oppure fra i Fulbe, allevatori dell'Africa occidentale, dove si e considerati veri uomini nel momento in cui si
possiede il pulaaku, al tempo stesso un codice di comportamento (pazienza, prudenza, autocontrollo) e un
ideale a cui tendere (dominare se stessi, controllare le emozioni).
Le generalizzazioni sono rischiose; nonostante cio, pare fondata l'idea che “il controllo in pubblico delle
emozioni e delle reazioni” sia connesso non solo alle buone maniere, ma anche alla concezione stessa
dell'essere umano in quanto contrapposto a cio che umano non e appieno o del tutto. Una concezione
dell'essere umano che puo ricordare, per certi aspetti, lo stoicismo senechiano.

Epilogo, In direzione ordinata e contraria


Tendere all'immortalita e alla compostezza significa quindi tendere a un ideale di umanita che difficilmente
si realizza in modo compiuto: l'immortalita e evidentemente irraggiungibile, la compostezza va in frantumi
in piu di un'occasione.
Ma allora, perche tante sceneggiate? Per rispondere bisogna tornare a quel concetto di “piu”, “quel di piu”
che si raggiunge attraverso l'iniziazione. Un “di piu” che significa trascendere l'umanita ordinaria e tendere
verso un'umanita ideale che si intravede, ma che si realizza in modo emblematico solamente nella cornice
rituale dell'iniziazione.
L'immagine che ritorna e quella di un essere umano che procede in direzione ordinata e contraria rispetto
alla vita ordinaria e alla natura zoologica umana.
Queste direzioni contrarie testimoniano il grande desiderio degli esseri umani di lottare contro la natura e
contro la propria condizione corporea ed emozionale.
Sceneggiate, mascherate, finzioni, cruenza, urla e segreti sono tutte, nel loro piccolo, espressione delle
ambizioni degli uomini

Potrebbero piacerti anche