1 Introduzione
In termini giuridici con danno ambientale vengono intese le esternalità negative indotte
sull’ambiente inteso come bene pubblico-collettivo da un’attività, comportamento o pratica
antropica che implica una responsabilità civile e quindi un obbligo al risarcimento nei
confronti dello Stato/collettività.
La distinzione tra costi privati e costi sociali è stata formulata, nell’ambito di uno studio
che ha esaminato i rapporti tra economia e ambiente, da A. C. Pigou (1920) nel suo lavoro
“Economia del benessere” (Unione tipografico editrice torinese, 1948, Torino). Egli,
infatti, intuì che l’inquinamento prodotto dall’attività di produzione o di consumo diventa
spesso causa di costi esterni, cioè di costi non sostenuti dai privati bensì dalla collettività
nel suo complesso e sostenne che tali costi devono essere posti a carico degli inquinatori,
stabilendo il principio dell’inquinatore pagatore.
Con la diffusione del concetto di sviluppo sostenibile (Rapporto Our Common Future della
World Commission on Environment and Development - Commissione Bruntland, 1987) si
è imposta con forza la necessità che gli organi di governo promuovano l’azione di
risarcimento nei confronti del danno ambientale per favorire la salvaguardia, il ripristino e
la valorizzazione delle risorse ambientali.
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2 Il Contesto Giuridico
Nel nostro ordinamento il principio della responsabilità civile per danno ambientale è stato
introdotto con l’art. 18 della Legge n. 349 del 1986, con l’obiettivo di creare uno strumento
giuridico per la tutela dell’ambiente, che recepisse un principio fondamentale del diritto
internazionale, quello tradizionalmente noto come “chi inquina paga”. Infatti, tale
strumento introduce un regime di prevenzione e riparazione del danno ambientale,
rendendo consapevoli gli operatori che effettuano pratiche e comportamenti che
comportano rischi per l’ambiente riguardo all’obbligo di risarcire il danno ambientale
eventualmente causato1.
Il principio della responsabilità civile nei confronti del danno ambientale viene esercitato
dal Giudice ordinario nell’ambito di un procedimento penale o civile e per essere applicato
necessita che:
il danno sia causato da un fatto doloso o colposo in violazione di una disposizione di
legge o di provvedimenti adottati in base a una legge;
siano identificati gli autori/responsabili del danno;
il danno sia determinato e quantificato in termini di alterazione, deterioramento o
distruzione totale o parziale dell’ambiente;
venga dimostrata la relazione causa effetto tra fatto doloso/colposo e danno ambientale,
lo Stato o un Ente territoriale competente (come regioni, province, comuni, enti parco,
ecc.) promuova, di fronte al giudice penale o civile, un’azione di risarcimento a
beneficio dello Stato.
A livello comunitario, il regime di responsabilità, basato sul principio “chi inquina paga“
(art. 174 del Trattato istitutivo della CE - Roma, 1957), è stato riconosciuto fondamentale
per rafforzare la prevenzione e incentivare l’adozione di sistemi di
contenimento/abbattimento delle fonti inquinanti, per indurre comportamenti più
ecocompatibili e per dissuadere da comportamenti incauti o colposi, ed è stato oggetto di
molteplici iniziative.
1
ANPA (Manuali e linee guida 12/2002) – Il danno ambientale ex art. 18 L. 349/86. Aspetti teorici e
operativi della valutazione economica del risarcimento dei danni (Allegati I –II).
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La Direttiva trae origine da una serie di atti preparatori della Commissione europea nel
corso degli anni ’90 (Libro Verde del 1993 e Libro Bianco del 2000), ed ha l’obiettivo di
creare un regime di responsabilità per il danno ambientale uniforme su tutta l’UE.
Il regime comunitario ha introdotto una sorta di responsabilità oggettiva nei confronti del
danno ambientale (o di minaccia imminente di tale danno) causato da una serie di attività
intrinsecamente pericolose, elencate in un apposito allegato, che può essere esclusa solo se
l’operatore dimostri che non gli è attribuibile un comportamento doloso o colposo. Un
operatore di attività diverse da quelle intrinsecamente pericolose, è invece ritenuto
responsabile solo nei confronti del danno (o di minaccia imminente di tale danno) causato
alle specie e agli habitat e nel caso che gli sia attribuibile un comportamento doloso o
colposo.
Con l’accertamento della responsabilità l’autore del danno viene obbligato a porre in essere
apposite misure di riparazione, atte a ricostruire la risorsa ambientale lesa ovvero a
costituire una risorsa ambientale equivalente a quella lesa. Non sono previste forme di
risarcimento puramente economiche.
Per quanto concerne il risarcimento dei danni ambientali causati alle aree marine da una
fuga o da uno scarico di idrocarburi di una nave, la materia è attualmente disciplinata da
una serie di apposite convenzioni internazionali.
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L’obbligo di corrispondere il risarcimento ricade sul proprietario della nave nei limiti di un
determinato ammontare, oltre il quale il Fondo internazionale deve provvedere in via
sostitutiva o integrativa.
Al riguardo si deve evidenziare che, negli ultimi anni, alcuni Stati hanno richiesto di
modificare tali disposizioni, ritenendo che le stesse, introducendo il limite dei “costi
ragionevoli” di ripristino e prevedendo un ammontare massimo dei risarcimenti, non
consentano una effettiva e completa riparazione di questo tipo di danni ambientali.
3. L’azione di Risarcimento
L’esercizio delle azioni giudiziarie per il risarcimento dei danni all’ambiente presuppone lo
svolgimento di una elaborata attività istruttoria, diretta a dimostrare gli effetti di uno o più
comportamenti illeciti sulle componenti ambientali ed a consentire la valutazione
economica di tali effetti, e richiede la valutazione integrata di una serie di aspetti di
carattere giuridico, scientifico ed economico.
Tale istruttoria viene svolta, su attivazione del Ministero, dall’APAT o da un altro Organo
tecnico del Ministero (Corpo Forestale dello Stato, ICRAM, ecc.).
APAT (come ex ANPA) ha iniziato a svolgere tale attività a partire dal 1998 e, con la
pubblicazione del DPR n. 207 del 2002 (Regolamento recante approvazione dello statuto
dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici), ha istituito un Settore
specifico con il compito di coordinare il supporto tecnico-scientifico interdisciplinare
necessario per inquadrare, sotto il profilo giuridico, scientifico ed economico, tutti i casi di
danno ambientale che lo stesso Ministero decida di sottoporre all’Agenzia.
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La figura seguente schematizza le diverse fasi attraverso cui si sviluppa la Valutazione del
danno ambientale.
Valutazione
del Danno Ambientale
Determinazione
del Danno Ambientale
Quantificazione
del Danno Ambientale
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Il termine di sorgente viene descritto in termini di tipo, quantità, forma (fisico, chimica,
biologica, ecc.) e le modalità con cui il fatto doloso (rilascio di sostanze tossiche e/o
nocive, trasformazioni territoriali illecite, ecc.) si è verificato. Le vie di esposizione
vengono descritte in termini di modalità con cui la sorgente impatta sui bersagli. I bersagli
vengono descritti in termini di componenti ambientali sicuramente o potenzialmente
esposte all’impatto del termine di sorgente.
Le evidenze oggettive sono costituite da misure, foto, analisi, testimonianze, ecc. che
possono dimostrare/attestare gli effetti sulle componenti ambientali, attraverso
caratteristiche che evidenziano in modo quantitativo e oggettivo le compromissioni delle
diverse componenti ambientali.
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Per Quantificazione del danno si intende la misura articolata/analitica del danno arrecato
all’ambiente in termini di grado di alterazione, grado di deterioramento e grado di
distruzione, parziale o totale, (per tipo, valore, estensione, durata, ecc. delle componenti
ambientali) a seconda se si ha:
1. una variazione dello stato originario/naturale (alterazione);
2. una riduzione del grado di usabilità e/o di funzionalità-ecologica (deterioramento);
3. una perdita di uno o più usi e/o di funzioni-ecologiche (distruzione parziale);
4. una perdita di tutti gli usi e/o di funzioni-ecologiche (distruzione totale).
In modo ingegneristico ciò può essere ottenuto attraverso l’introduzione di una serie di
parametri, definiti all’interno di una scala da 0 a 1, facilmente riportabili in %, che
esprimano il grado di alterazione (Alt), il grado di deterioramento (Det) o la distruzione
(Dis) delle componenti ambientali, calcolati sulla base di un confronto degli indicatori
dello stato attuale (Ia), dello stato di riferimento (Ir) e con i limiti di compromissione
massimi ammissibili (Lmax) consentiti ai fini degli usi/funzioni-ecologiche della
componente ambientale.
Una tabella che riassuma questi parametri (per di tipo di contaminante e per tipo di risorsa
ambientale) è, pertanto, in grado di quantificare lo scostamento relativo dello stato attuale
rispetto a quello di riferimento e/o al limite massimo ammissibile e fornisce quindi una
quantificazione articolata/analitica del danno.
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Alcune delle utilità delle componenti ambientali sfuggono al mercato e quindi sono prive
di un valore/prezzo. Le utilità che non trovano uno specifico riconoscimento nel prezzo
sono riconducibili ai valori di non uso delle risorse (di esistenza, di lascito e di opzione) e
agli usi non governati o non governabili dal mercato.
Nel caso in cui non sia possibile una precisa quantificazione (economica) del danno
ambientale il comma 6 dell’art. 18 della legge 349/86 prevede la possibilità che il Giudice
possa determinare il risarcimento economico in via equitativa sulla base dei seguenti
parametri:
l’illecito profitto conseguito dal trasgressore;
la gravità della colpa;
il costo per il ripristino dello stato dei luoghi.
L’illecito profitto conseguito dal trasgressore, tiene conto degli eventuali costi di gestione,
ottimizzazione, ristrutturazione e ammodernamento tecnico-gestionale dell’impianto che,
se attuati, avrebbero evitato il danno ambientale contestato ma che non sono stati sostenuti
dai responsabili del danno (altre interpretazioni ipotizzano come profitto del trasgressore
quello maturato dai responsabili durante e a seguito delle condotte illecite contestate).
La gravità della colpa, tiene conto delle situazioni aggravanti/attenuanti che specificano le
circostanze in cui sono maturati gli illeciti (colpa, dolo, continuità, associazione, ecc.).
Il costo per il ripristino dello stato dei luoghi, comprende le spese necessarie,
eventualmente già sostenute dalle amministrazioni dello Stato, per il monitoraggio, la
messa in sicurezza, la bonifica e la rinaturalizzazione dei luoghi/componenti ambientali
compromesse.
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Il ripristino, tuttavia, non esaurisce l’azione di risarcimento in quanto è solo uno dei fattori
che possono entrare nella richiesta di risarcimento e non copre i costi connessi alla
temporanea indisponibilità del bene. Inoltre, l’obbligo al ripristino, non è sempre
applicabile in quanto richiede la reversibilità del danno e la fattibilità (tecnica ed
economica) dell’azione di ripristino.
In linea con la Direttiva comunitaria il concetto di ripristino non deve intendersi come
ripristino a qualunque costo delle condizioni precedenti l’evento dannoso, ma
un’equilibrata scelta riparatoria che assicura il miglior risultato al minor costo.
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possono produrre dei danni irreversibili ed il ripristino delle condizioni iniziali appare di
difficile fattibilità.
Nel caso di rilasci accidentali di sostanze inquinanti in ambienti estesi (mare, atmosfera,
ecc.) è evidente la difficoltà oggettiva che si incontra nella Determinazione del danno, dal
momento che deve essere effettuata a fronte di uno scenario dinamico caratterizzato da un
inquinante che si diffonde in un mezzo “non confinato”, e quindi sottoposto a una forte
diluizione dovuta a fenomeni di dispersione e diffusione.
Per questi motivi gli accertamenti per verificare gli impatti negativi sulle diverse matrici
coinvolte vanno effettuati sin dai primi momenti successivi al verificarsi del rilascio e, a
fronte di una situazione di rischio identificata, vanno predisposti appositi sistemi di
monitoraggio.
La Quantificazione del risarcimento può fare riferimento ai costi di ripristino del recettore
quantitativamente valutato attraverso il prodotto dei quantitativi delle sostanze rilasciate
per la loro capacità di inquinamento valutata in base alle concentrazioni massime
ammissibili.
I costi di ripristino dello stato originario del recettore non riesce ad esprimere la
complessità del danno causato a un’area marina da un rilascio di sostanze inquinanti e, in
alcuni casi, tali costi possono essere integrati con la valutazione degli interventi di
mitigazione e compensazione che sono in grado di favorire la ricostruzione delle
componenti ambientali lese ovvero a costituire una componente ambientale equivalente a
quella lesa.
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Un altro approccio interessante che può essere applicato per stimare il valore economico
degli usi passivi (lascito, esistenza, ecc.), ed utilizzato ad esempio nell’incidente alla Exon
Valdez2 del 1989, è basato sulla costruzione di un mercato virtuale realizzato con interviste
che raccolgono la somma di quanto i membri della “comunità interessata” sono disposti a
pagare per mantenere/ripristinare integra e disponibile la risorsa ambientale danneggiata
(valutazione contingente).
Nel periodo che va dal 2000 al 2005, APAT è stata chiamata a fornire un supporto tecnico
all’azione di risarcimento dello Stato in più di 200 procedimenti giudiziari (di cui solo 7 in
ambito civile) relativi a casi di danno ambientale sulle diverse componenti ambientali
(inquinamento dell’aria e dell’ambiente idrico, inquinamento del suolo e del sottosuolo,
inquinamento elettromagnetico, questioni riguardanti l’alterazione dell’ecosistema,
l’insieme delle componenti naturali-paesaggistiche nonché gli elementi di interesse storico-
artistico la cui tutela è affidata all’Amministrazione dello Stato).
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Evaluation of Environmental Damage by the Exxon Valdez Incident, Molly McCammon (Executive
Director Exxon Valdez Oil Spill Trustee Council), February 28, 2003
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7%
EMISSIONI
37%
TRASFORMAZIONE
18% TERRITORIELE
CONSERVAZIONE
NATURA
SUOLO
29%
ALTRO
A riguardo possiamo sottolineare che il danno alle acque (73 casi) costituisce la tipologia
più frequente e comprende 23 casi relativi alle aree marine, gran parte dei quali fanno
riferimento a una serie di procedimenti penali (vongolari, petrolchimico, scarichi
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industriali, ecc.) in cui vengono contestati il danno alle componenti ambientali della laguna
di Venezia.
Tra i casi più significativi possiamo citare le provvisionali ottenute dall’Avvocatura dello
Stato di Venezia (il cui ammontare superano i 2 milioni di Euro) in oltre dieci
procedimenti, la provvisionale di 400.000 Euro ottenuta nel procedimento riguardante gli
sversamenti di Formaldeide in un immissario del Lago Maggiore (Verbania) e la
provvisionale di 5 milioni di Euro ottenuta nel procedimento riguardante una
contaminazione da amianto a Bari.
Accanto a questi risultati, vanno ricordati i procedimenti che hanno sentenziato l’obbligo
del ripristino dello stato dei luoghi a carico dei responsabili. Tra questi ricordiamo il caso
dell’inquinamento di DDT e altre sostanze pericolose, causato dallo stabilimento Enichem
di Pieve Vergonte (Verbania) in cui il Giudice ha concesso il patteggiamento della pena
solo sulla base di una fideiussione di 53,700 miliardi di vecchie lire a favore del Ministero
dell’Ambiente e per la Tutela del Territorio, per la realizzazione di un progetto di bonifica
del sito approvato dallo stesso Ministero, fatto salvo ogni eventuale azione di risarcimento
del danno ambientale residuo.
Infine si sottolinea il ruolo propulsivo che il principio della responsabilità civile ha avuto
nei confronti degli operatori economici che eserciscono attività potenzialmente inquinanti.
Infatti tale istituto ha sicuramente favorito la convergenze tra proprietari/responsabili degli
stabilimenti (chimici, industriali, ecc.) e istituzioni (Comune, Provincia, Regione e
Ministero) intorno a un accordo di programma, al fine di impegnare l’impresa al
raggiungimento di una serie di obiettivi relativi alla qualità/risanamento/bonifica
ambientale per migliorare la qualità ambientale mediante l’adozione delle migliori
tecnologie disponibili nonché per la riduzione degli impatti ambientali. Tra questi
ricordiamo il caso dello stabilimento Solvay di Rosignano Marittimo (Livorno).
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4. Iniziative in corso
Tre le iniziative in corso si segnala la Legge delega sull’ambiente promossa dal Governo
che tra i Decreti attuativi di riordino prevede anche la materia del risarcimento del danno
ambientale e il recepimento della Direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale
in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale.
3
Attualmente sono state stipulate convenzioni con le Agenzie del Veneto, Campania, Abruzzo, Friuli
Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Trento, Sicilia, Marche, Umbria, Lazio, Toscana, Valle
D’Aosta, Calabria e sono in corso le attività per completare la lista con tutte le altre Agenzie.
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promozione nei confronti dei Parchi Nazionali che intendono esercitare un’azione di
risarcimento del danno ambientale nell’ambito del territorio da loro tutelato.
Infine, a partire da alcuni casi che implicavano danni ai beni culturali (paesaggistici,
storici, architettonici, ecc.), la cui tutela è affidata al Ministero per i Beni e le Attività
Culturali, si è evidenziata ed avviata una iniziativa per concordare le modalità di una
collaborazione (nell’ambito di una apposita Convenzione) con lo stesso Ministero e con le
Sovrintendenze ai Beni Culturali per sviluppare un’adeguata valorizzazione dei beni
paesaggistici nell’ambito della valutazione dei danni ambientali.
5. Conclusioni
I danni ambientali causati dalle attività, dai comportamenti e dalle pratiche antropiche
rappresentano un problema urgente per tutta la comunità internazionale in quanto
provocano una contaminazione e/o un degrado dell’ambiente quantitativamente e
qualitativamente molto diffuso e sono tra le cause maggiormente responsabili della perdita
e dell’impoverimento generalizzato dell’ambiente (ecosistemi, bellezze naturali, paesaggi,
ecc.) e di minaccia alla salute umana.
Il principio della responsabilità civile nei confronti del danno ambientale, ovviamente, non
stabilisce un principio per la monetizzazione del degrado ambientale perché non sancisce
una generalizzata libertà di inquinare subordinata al pagamento di somme di denaro. Al
contrario, tale principio tende a valorizzare le esigenze primarie di conservazione, di
salvaguardia e di uso razionale delle risorse ambientali, la cui scarsità costituisce
preoccupazione condivisa dalla comunità nazionale e internazionale unitamente alla
consapevolezza del carattere non esauribile delle risorse e sostanzia gli sforzi sociali ed
economici verso uno sviluppo sostenibile.
Infine, possiamo concludere con l’osservazione che, dopo venti anni dall’entrata in vigore
della Legge 349/86, è stata sviluppata un’istruttoria tecnica ed economica capace di
effettuare una valutazione economica di un bene fuori mercato come l’ambiente, utile per
assicurare la risarcibilità delle lesioni ad esso arrecate ma anche per valorizzare il valore
patrimonale delle sue risorse e delle sue funzioni.
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