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Decima Conferenza Nazionale delle Agenzie Ambientali - Pescara, 6-7 Marzo 2006

La valutazione del danno ambientale e problematiche connesse alle aree marine

Ing. Giuseppe Di Marco


APAT- Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i Servizi Tecnici
Servizio Emergenze Ambientali - Settore Valutazione del Danno Ambientale

1 Introduzione

Comunemente, per danno ambientale vengono intese le conseguenze/esternalità negative


indotte nell’ambiente o su una sua componente intesa come risorsa unitaria (flora e fauna
selvatica, aria; atmosfera; suolo; sottosuolo e corpo idrico) o integrata (ecosistema,
biodiversità, territorio) o funzioni da queste assicurate (paesaggistica, sussistenza, salute,
depurazione, ecc.), da un’attività, comportamento o pratica antropica.

In termini giuridici con danno ambientale vengono intese le esternalità negative indotte
sull’ambiente inteso come bene pubblico-collettivo da un’attività, comportamento o pratica
antropica che implica una responsabilità civile e quindi un obbligo al risarcimento nei
confronti dello Stato/collettività.

Molte sono le attività, i comportamenti e le pratiche antropiche che determinano


un’esternalità negativa nell’ambiente, ma, in accordo ai vari regimi giuridici vigenti, solo
alcuni di queste o parte di queste danno luogo a danni risarcibili dai relativi responsabili.

La distinzione tra costi privati e costi sociali è stata formulata, nell’ambito di uno studio
che ha esaminato i rapporti tra economia e ambiente, da A. C. Pigou (1920) nel suo lavoro
“Economia del benessere” (Unione tipografico editrice torinese, 1948, Torino). Egli,
infatti, intuì che l’inquinamento prodotto dall’attività di produzione o di consumo diventa
spesso causa di costi esterni, cioè di costi non sostenuti dai privati bensì dalla collettività
nel suo complesso e sostenne che tali costi devono essere posti a carico degli inquinatori,
stabilendo il principio dell’inquinatore pagatore.

Con la diffusione del concetto di sviluppo sostenibile (Rapporto Our Common Future della
World Commission on Environment and Development - Commissione Bruntland, 1987) si
è imposta con forza la necessità che gli organi di governo promuovano l’azione di
risarcimento nei confronti del danno ambientale per favorire la salvaguardia, il ripristino e
la valorizzazione delle risorse ambientali.

In questa relazione viene presentato lo stato di applicazione dell’azione di risarcimento del


danno ambientale in Italia attraverso l’illustrazione del contesto giuridico nazionale,
comunitario e internazionale, le modalità attraverso cui viene esercitata l’azione di
risarcimento, lo schema dell’istruttoria tecnica, giuridica ed economica per la
quantificazione del risarcimento (la Valutazione del danno ambientale) e lo stato delle
attività in corso.

In particolare verranno sottolineate le specificità, i risultati e le problematiche relative ai


casi in cui il danno ambientale faccia riferimento alle aree marine.

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2 Il Contesto Giuridico

Nel nostro ordinamento il principio della responsabilità civile per danno ambientale è stato
introdotto con l’art. 18 della Legge n. 349 del 1986, con l’obiettivo di creare uno strumento
giuridico per la tutela dell’ambiente, che recepisse un principio fondamentale del diritto
internazionale, quello tradizionalmente noto come “chi inquina paga”. Infatti, tale
strumento introduce un regime di prevenzione e riparazione del danno ambientale,
rendendo consapevoli gli operatori che effettuano pratiche e comportamenti che
comportano rischi per l’ambiente riguardo all’obbligo di risarcire il danno ambientale
eventualmente causato1.

Il comma 1 dell’articolo 18 L. 349/86 stabilisce che “Qualunque fatto doloso o colposo in


violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che
comprometta l’ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o
distruggendolo in tutto o in parte, obbliga l’autore del fatto al risarcimento nei confronti
dello Stato”.

L’azione di risarcimento è finalizzata al recupero economico dei danni ambientali o al


ripristino originario della componente ambientale danneggiata. Il risarcimento può pertanto
essere effettuato in forma specifica (ripristino dello stato dei luoghi a spese del
responsabile) o per equivalente (attraverso una precisa quantificazione
economica/monetaria del danno o attraverso una valutazione equitativa operata dal Giudice
sulla base della gravità della colpa, del profitto conseguito dal trasgressore e del costo
necessario per il ripristino dei luoghi).

Il principio della responsabilità civile nei confronti del danno ambientale viene esercitato
dal Giudice ordinario nell’ambito di un procedimento penale o civile e per essere applicato
necessita che:
 il danno sia causato da un fatto doloso o colposo in violazione di una disposizione di
legge o di provvedimenti adottati in base a una legge;
 siano identificati gli autori/responsabili del danno;
 il danno sia determinato e quantificato in termini di alterazione, deterioramento o
distruzione totale o parziale dell’ambiente;
 venga dimostrata la relazione causa effetto tra fatto doloso/colposo e danno ambientale,
 lo Stato o un Ente territoriale competente (come regioni, province, comuni, enti parco,
ecc.) promuova, di fronte al giudice penale o civile, un’azione di risarcimento a
beneficio dello Stato.

A livello comunitario, il regime di responsabilità, basato sul principio “chi inquina paga“
(art. 174 del Trattato istitutivo della CE - Roma, 1957), è stato riconosciuto fondamentale
per rafforzare la prevenzione e incentivare l’adozione di sistemi di
contenimento/abbattimento delle fonti inquinanti, per indurre comportamenti più
ecocompatibili e per dissuadere da comportamenti incauti o colposi, ed è stato oggetto di
molteplici iniziative.

1
ANPA (Manuali e linee guida 12/2002) – Il danno ambientale ex art. 18 L. 349/86. Aspetti teorici e
operativi della valutazione economica del risarcimento dei danni (Allegati I –II).

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Tra queste si segnala la Direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale in materia di


prevenzione e riparazione del danno ambientale, approvata dal Parlamento e dal Consiglio
Europeo il 21 aprile 2004, che dovrà essere recepita, dagli Stati membri, entro il 30 aprile
2007.

La Direttiva trae origine da una serie di atti preparatori della Commissione europea nel
corso degli anni ’90 (Libro Verde del 1993 e Libro Bianco del 2000), ed ha l’obiettivo di
creare un regime di responsabilità per il danno ambientale uniforme su tutta l’UE.

In particolare è stato introdotta la definizione di danno ambientale inteso come mutamento


negativo misurabile di una risorsa naturale o un deterioramento misurabile di un servizio di
una risorsa naturale, che può prodursi direttamente o indirettamente e articolato in tre
diverse tipologie: i danni alla biodiversità (ossia i danni che ledono significativamente lo
stato di conservazione della biodiversità, individuato ai sensi delle direttive 79/409 e
92/43), i danni alle acque (ossia i danni che ledono significativamente la qualità delle
acque, individuata ai sensi della Direttiva 2000/60), i danni al suolo (ossia i danni che
creino un rischio significativo per la salute umana a seguito di una contaminazione del
suolo).

Il regime comunitario ha introdotto una sorta di responsabilità oggettiva nei confronti del
danno ambientale (o di minaccia imminente di tale danno) causato da una serie di attività
intrinsecamente pericolose, elencate in un apposito allegato, che può essere esclusa solo se
l’operatore dimostri che non gli è attribuibile un comportamento doloso o colposo. Un
operatore di attività diverse da quelle intrinsecamente pericolose, è invece ritenuto
responsabile solo nei confronti del danno (o di minaccia imminente di tale danno) causato
alle specie e agli habitat e nel caso che gli sia attribuibile un comportamento doloso o
colposo.

Con l’accertamento della responsabilità l’autore del danno viene obbligato a porre in essere
apposite misure di riparazione, atte a ricostruire la risorsa ambientale lesa ovvero a
costituire una risorsa ambientale equivalente a quella lesa. Non sono previste forme di
risarcimento puramente economiche.

Infine si sottolinea l’incoraggiamento al ricorso degli operatori ad apposite coperture


assicurative o ad altre forme di garanzia finanziaria.

Per quanto concerne il risarcimento dei danni ambientali causati alle aree marine da una
fuga o da uno scarico di idrocarburi di una nave, la materia è attualmente disciplinata da
una serie di apposite convenzioni internazionali.

In particolare, la Convenzione sulla responsabilità civile per i danni da inquinamento


petrolifero, adottata a Bruxelles nel 1969, e la Convenzione istituiva del Fondo
internazionale per i danni da inquinamento petrolifero, adottata a Bruxelles nel 1971,
prevedono che i danni ambientali causati da sostanze pericolose trasportate via mare
devono essere risarciti “nei limiti dei costi ragionevoli delle misure di ripristino
effettivamente adottate o da adottarsi”. Le medesime disposizioni sono altresì contenute
nella Convenzione sulla responsabilità per il trasporto marittimo di sostanze pericolose

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elaborata in sede IMO (Organizzazione Marittima Internazionale), adottata a Londra nel


1996.

L’obbligo di corrispondere il risarcimento ricade sul proprietario della nave nei limiti di un
determinato ammontare, oltre il quale il Fondo internazionale deve provvedere in via
sostitutiva o integrativa.

Al riguardo si deve evidenziare che, negli ultimi anni, alcuni Stati hanno richiesto di
modificare tali disposizioni, ritenendo che le stesse, introducendo il limite dei “costi
ragionevoli” di ripristino e prevedendo un ammontare massimo dei risarcimenti, non
consentano una effettiva e completa riparazione di questo tipo di danni ambientali.

3. L’azione di Risarcimento

Il Ministero dell’Ambiente e per la Tutela del Territorio può avviare l’azione di


risarcimento del danno ambientale in un procedimento civile con un’autonoma iniziativa
nei confronti dei responsabili, mentre nell’ambito di un procedimento penale, può essere
avviata, previa autorizzazione della Presidenza del Consiglio, solo se l’Autorità giudiziaria
riconosce che i reati contestati hanno potuto causare una compromissione dell’ambiente, ad
esempio con l’invio del Decreto di Citazione a Giudizio.

L’esercizio delle azioni giudiziarie per il risarcimento dei danni all’ambiente presuppone lo
svolgimento di una elaborata attività istruttoria, diretta a dimostrare gli effetti di uno o più
comportamenti illeciti sulle componenti ambientali ed a consentire la valutazione
economica di tali effetti, e richiede la valutazione integrata di una serie di aspetti di
carattere giuridico, scientifico ed economico.

Tale istruttoria viene svolta, su attivazione del Ministero, dall’APAT o da un altro Organo
tecnico del Ministero (Corpo Forestale dello Stato, ICRAM, ecc.).

APAT (come ex ANPA) ha iniziato a svolgere tale attività a partire dal 1998 e, con la
pubblicazione del DPR n. 207 del 2002 (Regolamento recante approvazione dello statuto
dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici), ha istituito un Settore
specifico con il compito di coordinare il supporto tecnico-scientifico interdisciplinare
necessario per inquadrare, sotto il profilo giuridico, scientifico ed economico, tutti i casi di
danno ambientale che lo stesso Ministero decida di sottoporre all’Agenzia.

Più precisamente, l’APAT presenta inizialmente al Ministero una relazione di tipo


preliminare, diretta a fornire gli elementi utili a decidere in merito all’opportunità di
procedere all’azione di risarcimento. Sulla base di questa valutazione il Ministero può
avviare l’azione di risarcimento nell’ambito del procedimento giudiziale tramite
l’Avvocatura Distrettuale dello Stato competente. In questa fase, l’APAT può essere
ancora chiamata, sempre dal Ministero, a supportare l’azione di risarcimento, condotta
dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato, attraverso la Valutazione del danno ambientale
connesso alla presunta compromissione dell’ambiente diretta a dimostrare gli effetti dei
comportamenti illeciti sulle componenti ambientali ed a consentire la quantificazione
economica del relativo risarcimento.

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Le criticità emerse in questi venti anni di applicazione dell’istituto possono essere


ricondotte all’esigenza di provare la sussistenza del danno e il rapporto di causalità
corrente tra attività illecite e fatto dannoso, e all’individuazione del sistema da utilizzare
per la quantificazione del relativo risarcimento.

Nonostante queste difficoltà, il Settore Valutazione del Danno Ambientale ha sviluppato,


con il contributo specialistico di altre unità dell’APAT e di altri enti e organizzazione
esterne (ARPA, ISS, NOE, CNR, CFS, ICRAM, ENEA, Università, ecc.), un’attività
istruttoria che si concretizza nell’elaborazione di una relazione avente ad oggetto la
Valutazione del danno ambientale.

4. La Valutazione del Danno Ambientale

La Valutazione del danno ambientale è una istruttoria tecnica, giuridica ed economica


finalizzata alla Quantificazione del risarcimento.

La Quantificazione del risarcimento viene effettuata a valle di due fasi preliminari e


successive: la Determinazione e la Quantificazione del danno.

La figura seguente schematizza le diverse fasi attraverso cui si sviluppa la Valutazione del
danno ambientale.

Valutazione
del Danno Ambientale

Determinazione
del Danno Ambientale

Quantificazione
del Danno Ambientale

Quantificazione del Risarcimento

Figura 1 Fasi della Valutazione del danno ambientale

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4.1 La Determinazione del Danno Ambientale

Per Determinazione del danno si intende l’accertamento e la documentazione dello


scenario di riferimento (termine di sorgente, vie di esposizione e bersagli) e degli effetti
alle diverse componenti ambientali (atmosfera e ambiente idrico, suolo e sottosuolo,
vegetazione flora, fauna, ecosistemi, paesaggio e salubrità) riferibili alle specifiche e
presunte violazioni contestate ai responsabili.

Il termine di sorgente viene descritto in termini di tipo, quantità, forma (fisico, chimica,
biologica, ecc.) e le modalità con cui il fatto doloso (rilascio di sostanze tossiche e/o
nocive, trasformazioni territoriali illecite, ecc.) si è verificato. Le vie di esposizione
vengono descritte in termini di modalità con cui la sorgente impatta sui bersagli. I bersagli
vengono descritti in termini di componenti ambientali sicuramente o potenzialmente
esposte all’impatto del termine di sorgente.

Gli effetti/conseguenze riferibili alle specifiche e presunte violazioni contestate ai


responsabili, ovvero la relazione causa-effetto tra scenario e danni arrecati alle diverse
componenti ambientali, vengono descritti in termini di evidenze oggettive e/o di una serie
di elementi di supporto precedentemente già dimostrati in quanto in sede processuale
spesso mancano molte delle condizioni necessarie a dimostrarne l’esistenza ex novo.

Le evidenze oggettive sono costituite da misure, foto, analisi, testimonianze, ecc. che
possono dimostrare/attestare gli effetti sulle componenti ambientali, attraverso
caratteristiche che evidenziano in modo quantitativo e oggettivo le compromissioni delle
diverse componenti ambientali.

Costituiscono elementi di supporto alla dimostrazione dell’esistenza di un effetto alle


diverse componenti ambientali gli studi scientifici, le indagini statistiche, le simulazioni e
le evidenze oggettive riferite a stesse o “analoghe” situazioni.

La Valutazione del danno viene in genere effettuata relativamente ad eventi avvenuti, in


media, due anni prima, e ciò spesso comporta l’impossibilità/difficoltà che, in tempi
successivi all’istruttoria dei PM e/o lontani dagli eventi, si possa effettuare autonome e più
approfondite indagini in grado di migliorare (integrare, chiarire, completare, quantificare)
gli accertamenti effettuati dai PM, specialmente per quanto riguarda lo scenario originario
e la raccolta delle evidenze oggettive degli effetti riferibili alle specifiche e presunte
violazioni contestate agli imputati portati in giudizio.

A riguardo è importante evidenziare che l’istruttoria di un procedimento giudiziario,


condotta dai PM per la formulazione dei relativi capi di imputazione, è essenzialmente
finalizzata ad accertate le violazioni di legge (azione penale) e trascura l’accertamento
degli effetti/conseguenze dannose che le condotte illecite possono aver arrecato
all’ambiente (azione civile).

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4.2 La Quantificazione del Danno Ambientale

Per Quantificazione del danno si intende la misura articolata/analitica del danno arrecato
all’ambiente in termini di grado di alterazione, grado di deterioramento e grado di
distruzione, parziale o totale, (per tipo, valore, estensione, durata, ecc. delle componenti
ambientali) a seconda se si ha:
1. una variazione dello stato originario/naturale (alterazione);
2. una riduzione del grado di usabilità e/o di funzionalità-ecologica (deterioramento);
3. una perdita di uno o più usi e/o di funzioni-ecologiche (distruzione parziale);
4. una perdita di tutti gli usi e/o di funzioni-ecologiche (distruzione totale).

In modo ingegneristico ciò può essere ottenuto attraverso l’introduzione di una serie di
parametri, definiti all’interno di una scala da 0 a 1, facilmente riportabili in %, che
esprimano il grado di alterazione (Alt), il grado di deterioramento (Det) o la distruzione
(Dis) delle componenti ambientali, calcolati sulla base di un confronto degli indicatori
dello stato attuale (Ia), dello stato di riferimento (Ir) e con i limiti di compromissione
massimi ammissibili (Lmax) consentiti ai fini degli usi/funzioni-ecologiche della
componente ambientale.

Caratterizzando, ad esempio, le matrici mediante un indicatore di compromissione dello


stato attuale (per esempio la concentrazione di una sostanza inquinante), il danno arrecato
alle risorse dell’ambiente potrà essere quantificato attraverso le seguenti relazioni:

Alt = (Ia - Ir)/Ia


Det = (Ia-Ir)/(Lmax-Ir)
Dis = 1 se Ia>Lmax

Una tabella che riassuma questi parametri (per di tipo di contaminante e per tipo di risorsa
ambientale) è, pertanto, in grado di quantificare lo scostamento relativo dello stato attuale
rispetto a quello di riferimento e/o al limite massimo ammissibile e fornisce quindi una
quantificazione articolata/analitica del danno.

4.3 La Quantificazione del Risarcimento

La Determinazione e la Quantificazione del danno costituiscono fasi preliminari della


Valutazione del danno ambientale, ed è importante sottolineare che, se venissero condotte
durante la fase istruttoria del procedimento giudiziario, potrebbero concorrere
all’accertamento delle violazioni e alla formulazione dei relativi capi di imputazione,
mentre questi da soli non esauriscono tutte le informazioni necessarie per la definizione
degli elementi tecnici, giuridici ed economici che concorrono alla Quantificazione del
risarcimento.

La Quantificazione del risarcimento è finalizzata a raccogliere gli elementi tecnici ed


economici utili per avanzare la richiesta per il recupero economico dei danni ambientali
(risarcimento per equivalente) o per il ripristino originario della risorsa ambientale
danneggiata (risarcimento in forma specifica).

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4.3.1 Il Risarcimento per Equivalente

In via prioritaria la Legge italiana privilegia il risarcimento economico per equivalente,


valutato sulla base di una “precisa” quantificazione economica/monetaria del danno.

La quantificazione economica del danno avviene attraverso l’attribuzione di un


valore/prezzo in base alle utilità sociali ricavate dalle componenti ambientali danneggiate.
Una precisa quantificazione deve pertanto fare riferimento a tutte le possibili utilità
pubbliche dell’ambiente e porta alla valutazione del cosiddetto Valore Economico Totale
(VET).

Alcune delle utilità delle componenti ambientali sfuggono al mercato e quindi sono prive
di un valore/prezzo. Le utilità che non trovano uno specifico riconoscimento nel prezzo
sono riconducibili ai valori di non uso delle risorse (di esistenza, di lascito e di opzione) e
agli usi non governati o non governabili dal mercato.

Pertanto, una quantificazione economica precisa e oggettiva delle risorse ambientali


danneggiate è, ad oggi, tecnicamente difficile da realizzare, le informazioni necessarie
sono difficili da reperire e i risultati non sono sempre condivisi e quindi deboli ad essere
utilizzati in sede giuridica in quanto si prestano a varie contestazioni.

Nel caso in cui non sia possibile una precisa quantificazione (economica) del danno
ambientale il comma 6 dell’art. 18 della legge 349/86 prevede la possibilità che il Giudice
possa determinare il risarcimento economico in via equitativa sulla base dei seguenti
parametri:
 l’illecito profitto conseguito dal trasgressore;
 la gravità della colpa;
 il costo per il ripristino dello stato dei luoghi.

L’illecito profitto conseguito dal trasgressore, tiene conto degli eventuali costi di gestione,
ottimizzazione, ristrutturazione e ammodernamento tecnico-gestionale dell’impianto che,
se attuati, avrebbero evitato il danno ambientale contestato ma che non sono stati sostenuti
dai responsabili del danno (altre interpretazioni ipotizzano come profitto del trasgressore
quello maturato dai responsabili durante e a seguito delle condotte illecite contestate).

La gravità della colpa, tiene conto delle situazioni aggravanti/attenuanti che specificano le
circostanze in cui sono maturati gli illeciti (colpa, dolo, continuità, associazione, ecc.).

Il costo per il ripristino dello stato dei luoghi, comprende le spese necessarie,
eventualmente già sostenute dalle amministrazioni dello Stato, per il monitoraggio, la
messa in sicurezza, la bonifica e la rinaturalizzazione dei luoghi/componenti ambientali
compromesse.

In questo ambito l’azione di ripristino viene ipotizzata indipendentemente dalla


reale/opportuna fattibilità dell’intervento in quanto l’unica finalità è quella di fornire un
quadro più realistico possibile per poter effettuare una stima dei costi sulla base delle
estensioni dei luoghi/componenti ambientali compromesse (in termini di volumi, superfici,
pesi, ecc.) e dei prezzi relativi alle attività necessarie per il ripristino.

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4.3.2 Il Risarcimento in Forma Specifica

Il risarcimento in forma specifica ha finalità prettamente riparatrici, a differenza di quello


per equivalente il cui carattere è prevalentemente economico. Ove e per quanto è possibile,
il Giudice, su richiesta dello Stato e in accordo a quanto previsto dal comma 8 dell’art. 18
L. 349/86, dispone il risarcimento in forma specifica, ovvero l’obbligo al ripristino dello
stato dei luoghi a spese del responsabile.

L’applicazione delle modalità di risarcimento previste nell’ambito dell’art. 18 della Legge


349/86 richiede la colpevolezza, ma l’obbligo di messa in sicurezza, bonifica e ripristino
ambientale del suolo, sottosuolo, acque superficiali e sotterranee che risultino inquinate ai
sensi del D.M. 471/99 (o in situazione di pericolo concreto ed attuale di contaminazione)
previsti dall’art. 17 del Dlgs 22/97 e dall’art. 58 del Dlgs 152/99 prescinde dalla
colpevolezza.

La bonifica è imposta in via amministrativa e sorge da una situazione di inquinamento


definita dalla norma (superamento o pericolo di superamento di limiti legali di accettabilità
di inquinanti), mentre il risarcimento va chiesto davanti al Giudice ordinario, e il diritto
sorge da una situazione di compromissione causata da una violazione di legge colpevole.

Il ripristino, tuttavia, non esaurisce l’azione di risarcimento in quanto è solo uno dei fattori
che possono entrare nella richiesta di risarcimento e non copre i costi connessi alla
temporanea indisponibilità del bene. Inoltre, l’obbligo al ripristino, non è sempre
applicabile in quanto richiede la reversibilità del danno e la fattibilità (tecnica ed
economica) dell’azione di ripristino.

La reversibilità del danno è la capacità del sistema ambientale danneggiato di attivare


meccanismi di reazione fisici, chimici, biologici, ed ecologici che annullano gli effetti
provocati dall’evento avverso.

Quindi la reversibilità è condizionata dalla natura fisico-chimico-biologica dagli effetti e


dalle peculiarità dei beni colpiti. Nelle situazioni più gravi, ad esempio, gli effetti iniziali
continuano a propagarsi nell’ambiente e ne peggiorano la qualità anche dopo la
sospensione dell’evento dannoso oppure la reversibilità avviene su tempi estremamente
lunghi.

La ripristinabilità del danno, si riferisce invece alla possibilità, mediante opportuni


interventi dell’uomo, di favorire il ristabilirsi delle condizioni esistenti prima dell’evento di
danno.

In linea con la Direttiva comunitaria il concetto di ripristino non deve intendersi come
ripristino a qualunque costo delle condizioni precedenti l’evento dannoso, ma
un’equilibrata scelta riparatoria che assicura il miglior risultato al minor costo.

Un ripristino totale e definitivo delle attività economiche o del patrimonio costruito


dall’uomo che è stato danneggiato è verosimile, perché coinvolge dei beni prodotti
dall’uomo e, quindi, riproducibili. Al contrario, gli effetti sull’ecosistema e sulla salute

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possono produrre dei danni irreversibili ed il ripristino delle condizioni iniziali appare di
difficile fattibilità.

Pertanto, in seguito all’accertamento e alla cessazione dell’evento dannoso, i responsabili


possono o sono chiamati ad eseguire interventi di ripristino che attenuino la gravità del
danno fino al completo o parziale ristabilimento delle condizioni iniziali, ma spesso tali
interventi consentono solo un recupero parziale.

5. Problematiche connesse alle aree marine

Nel caso di rilasci accidentali di sostanze inquinanti in ambienti estesi (mare, atmosfera,
ecc.) è evidente la difficoltà oggettiva che si incontra nella Determinazione del danno, dal
momento che deve essere effettuata a fronte di uno scenario dinamico caratterizzato da un
inquinante che si diffonde in un mezzo “non confinato”, e quindi sottoposto a una forte
diluizione dovuta a fenomeni di dispersione e diffusione.

Per questi motivi gli accertamenti per verificare gli impatti negativi sulle diverse matrici
coinvolte vanno effettuati sin dai primi momenti successivi al verificarsi del rilascio e, a
fronte di una situazione di rischio identificata, vanno predisposti appositi sistemi di
monitoraggio.

In questi casi le estensioni dei luoghi compromessi diventano difficile da perimetrare e di


conseguenza anche la valutazione del grado di alterazione o di deterioramento o di
distruzione delle varie componenti ambientali, diventa incerta. In ogni caso l’immissione
nell’ambiente di una certa quantità di inquinanti comporta una compromissione dello stato
originario e complessivo del recettore e si traduce in una diminuzione, seppure
temporanea e/o locale, della capacità di carico del recettore (il mare) e in una
compromissione degli usi e/o delle funzioni da esso assicurato.

La Quantificazione del danno può essere effettuata in base al carico dell’inquinante


immesso nell’ambiente a seguito del rilascio (termine di sorgente), al peggioramento
massimo raggiunto/raggiungibile dagli indicatori dello stato attuale e al confronto,
temporaneo e/o locale, con i livelli massimi ammissibili.

La Quantificazione del risarcimento può fare riferimento ai costi di ripristino del recettore
quantitativamente valutato attraverso il prodotto dei quantitativi delle sostanze rilasciate
per la loro capacità di inquinamento valutata in base alle concentrazioni massime
ammissibili.

I costi di ripristino dello stato originario del recettore non riesce ad esprimere la
complessità del danno causato a un’area marina da un rilascio di sostanze inquinanti e, in
alcuni casi, tali costi possono essere integrati con la valutazione degli interventi di
mitigazione e compensazione che sono in grado di favorire la ricostruzione delle
componenti ambientali lese ovvero a costituire una componente ambientale equivalente a
quella lesa.

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Una ricerca del Dipartimento Territorio e Sistemi Agroforestali dell’Università di Padova,


promossa dall’APAT, ha illustrato gli aspetti teorici e operativi di una metodologia
finalizzata a stimare il valore economico delle utilità pubbliche delle componenti
ambientali che influenzano il mercato (valori d’uso) a partire dalle modificazioni che un
loro danneggiamento induce nella funzione di spesa dei consumatori (approccio duale).

Un altro approccio interessante che può essere applicato per stimare il valore economico
degli usi passivi (lascito, esistenza, ecc.), ed utilizzato ad esempio nell’incidente alla Exon
Valdez2 del 1989, è basato sulla costruzione di un mercato virtuale realizzato con interviste
che raccolgono la somma di quanto i membri della “comunità interessata” sono disposti a
pagare per mantenere/ripristinare integra e disponibile la risorsa ambientale danneggiata
(valutazione contingente).

5. Stato di applicazione della responsabilità civile

Nel periodo che va dal 2000 al 2005, APAT è stata chiamata a fornire un supporto tecnico
all’azione di risarcimento dello Stato in più di 200 procedimenti giudiziari (di cui solo 7 in
ambito civile) relativi a casi di danno ambientale sulle diverse componenti ambientali
(inquinamento dell’aria e dell’ambiente idrico, inquinamento del suolo e del sottosuolo,
inquinamento elettromagnetico, questioni riguardanti l’alterazione dell’ecosistema,
l’insieme delle componenti naturali-paesaggistiche nonché gli elementi di interesse storico-
artistico la cui tutela è affidata all’Amministrazione dello Stato).

A fronte di innumerevoli fatti lesivi che compromettono quotidianamente l’ambiente, le


azioni di risarcimento sono sicuramente ancora limitate ma sono, ormai, diventate una
pratica diffusa e consolidata e fanno riferimento anche a diversi procedimenti che
implicano un danno alle aree marine.

Le figure seguenti mostrano la distribuzione, sul territorio nazionale, delle azioni di


risarcimento supportate dall’APAT nel periodo 2000-2005 e la loro distribuzione per
tipologie di danno.

2
Evaluation of Environmental Damage by the Exxon Valdez Incident, Molly McCammon (Executive
Director Exxon Valdez Oil Spill Trustee Council), February 28, 2003

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Figura 2: Aree interessate da azioni di risarcimento di danno ambientale

TIPOLOGIE DANNO AMBIENTALE


3%
ACQUA
2%
4% RIFIUTI

7%
EMISSIONI
37%
TRASFORMAZIONE
18% TERRITORIELE
CONSERVAZIONE
NATURA
SUOLO
29%
ALTRO

Figura 3 Distribuzione delle azioni di risarcimento per tipologie di danno

A riguardo possiamo sottolineare che il danno alle acque (73 casi) costituisce la tipologia
più frequente e comprende 23 casi relativi alle aree marine, gran parte dei quali fanno
riferimento a una serie di procedimenti penali (vongolari, petrolchimico, scarichi

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industriali, ecc.) in cui vengono contestati il danno alle componenti ambientali della laguna
di Venezia.

In questo periodo va comunque sottolineata un’evidente e progressiva crescita delle azioni


di risarcimento, una tendenza a un’omogeneizzazione della distribuzione geografica dei
luoghi da cui si originano tali azioni e una crescita delle somme recuperate.

Tra i casi più significativi possiamo citare le provvisionali ottenute dall’Avvocatura dello
Stato di Venezia (il cui ammontare superano i 2 milioni di Euro) in oltre dieci
procedimenti, la provvisionale di 400.000 Euro ottenuta nel procedimento riguardante gli
sversamenti di Formaldeide in un immissario del Lago Maggiore (Verbania) e la
provvisionale di 5 milioni di Euro ottenuta nel procedimento riguardante una
contaminazione da amianto a Bari.

Inoltre va ricordato che il danno ambientale è stato più incisivamente quantificato in


occasione della definizione transattiva di alcuni contenziosi, sulla base di un accordo
liberamente stipulato delle parti in causa. Tra tutte si possono ricordare le due transazioni
che hanno definito l’ammontare del risarcimento del danno ambientale conseguente
all’inquinamento del mare provocato dal naufragio della petroliera Haven (100 miliardi di
lire) e all’inquinamento provocato nel corso degli anni dallo stabilimento del Petrolchimico
di Porto Marghera (550 miliardi di lire da parte di una delle due Società coinvolte). In
entrambi i casi, l’accordo transattivo è stato raggiunto a prescindere dall’esito del giudizio
che riguardava il fatto lesivo.

Le azioni di risarcimento hanno, in particolare, permesso il recupero di alcune somme


significative e hanno rappresentato, per lo Stato, una fonte di reperimento di fondi utilizzati
per finanziare interventi urgenti di perimetrazione, caratterizzazione e messa in sicurezza
dei siti inquinanti, interventi di disinquinamento, bonifica e ripristino ambientale sia per i
luoghi per i quali si è avuto il risarcimento del danno sia per altri luoghi/siti inquinati.

Accanto a questi risultati, vanno ricordati i procedimenti che hanno sentenziato l’obbligo
del ripristino dello stato dei luoghi a carico dei responsabili. Tra questi ricordiamo il caso
dell’inquinamento di DDT e altre sostanze pericolose, causato dallo stabilimento Enichem
di Pieve Vergonte (Verbania) in cui il Giudice ha concesso il patteggiamento della pena
solo sulla base di una fideiussione di 53,700 miliardi di vecchie lire a favore del Ministero
dell’Ambiente e per la Tutela del Territorio, per la realizzazione di un progetto di bonifica
del sito approvato dallo stesso Ministero, fatto salvo ogni eventuale azione di risarcimento
del danno ambientale residuo.

Infine si sottolinea il ruolo propulsivo che il principio della responsabilità civile ha avuto
nei confronti degli operatori economici che eserciscono attività potenzialmente inquinanti.
Infatti tale istituto ha sicuramente favorito la convergenze tra proprietari/responsabili degli
stabilimenti (chimici, industriali, ecc.) e istituzioni (Comune, Provincia, Regione e
Ministero) intorno a un accordo di programma, al fine di impegnare l’impresa al
raggiungimento di una serie di obiettivi relativi alla qualità/risanamento/bonifica
ambientale per migliorare la qualità ambientale mediante l’adozione delle migliori
tecnologie disponibili nonché per la riduzione degli impatti ambientali. Tra questi
ricordiamo il caso dello stabilimento Solvay di Rosignano Marittimo (Livorno).

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4. Iniziative in corso

In questo contesto si segnala la recente pubblicazione del Decreto del Ministero


dell’Ambiente e del Territorio del 14 ottobre 2003 (G.U. n 99 del aprile 2004) di
Disciplina sulle modalità di funzionamento ed accesso al fondo di rotazione istituito ai
sensi del comma 9.bis dell’art. 18 della L. 349/86, che andrà a incentivare l’azione e il
contributo degli enti territoriali, oggi, sempre più interessati a trovare nel risarcimento del
danno ambientale una fonte di finanziamento per realizzare interventi di messa in
sicurezza, bonifica e ripristino dei siti contaminati/danneggiati.

Tre le iniziative in corso si segnala la Legge delega sull’ambiente promossa dal Governo
che tra i Decreti attuativi di riordino prevede anche la materia del risarcimento del danno
ambientale e il recepimento della Direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale
in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale.

A riguardo, rinviando commenti e valutazioni di merito a valle della loro definitiva


pubblicazione e quindi a tempi e occasioni successive, si segnala che, nell’ambito della
Finanziaria 2006, il Governo ha anticipato (commi 439-443) una parte del regime previsto
nella suddetta Direttiva e ha introdotto, in alternativa/affianco all’Art. 18, lo strumento
dell’ordinanza per ingiungere al responsabile il ripristino della situazione ambientale o il
pagamento dei costi per il ripristino se il responsabile non provveda o il ripristino risulti in
tutto o in parte impossibile oppure eccessivamente oneroso.

In questo quadro anche l’APAT ha promosso ed ha avviato, in accordo con il Ministero


dell’Ambiente e per la Tutela del Territorio, una serie di azioni per rafforzare l’efficacia
dell’azione di risarcimento dello Stato.

In particolare l’APAT ha stipulato apposite convenzioni per promuovere l’azione sinergica


del sistema delle Agenzie (APAT/ARPA/APPA)3 e di altri organismi che operano nel
territorio (come il Corpo Forestale dello Stato) nell’istruttoria tecnica economica
necessaria per la valutazione del danno ambientale, sta sviluppando, in collaborazione con
l’ARPA Veneto, un manuale operativo per la valutazione del danno ambientale da
approvare nell’ambito del sistema delle Agenzie, ed ha avviato una nuova collaborazione
con il Dipartimento Territorio e Sistemi Agroforestali dell’Università di Padova per
l’aggiornamento degli aspetti teorici e operativi della valutazione economica del
risarcimento dei danni ambientali.

Inoltre, l’Agenzia ha assicurato, nell’ambito di una specifica convenzione con il Ministero


dell’Ambiente e per la Tutela del Territorio, un supporto specifico all’Avvocatura
Distrettuale dello Stato di Venezia nei procedimenti di danno ambientale rilevanti ai fini
della salvaguardia della Laguna di Venezia; ha intrapreso, sempre nell’ambito di una
convenzione (stipulata ad aprile 2003), un’attività di supporto tecnico al Commissario
straordinario di Cengio per promuovere un’azione di risarcimento dei danni ambientali
causati dall’attività industriale esercita nel sito; ed ha avviato un lavoro di supporto e

3
Attualmente sono state stipulate convenzioni con le Agenzie del Veneto, Campania, Abruzzo, Friuli
Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Trento, Sicilia, Marche, Umbria, Lazio, Toscana, Valle
D’Aosta, Calabria e sono in corso le attività per completare la lista con tutte le altre Agenzie.

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promozione nei confronti dei Parchi Nazionali che intendono esercitare un’azione di
risarcimento del danno ambientale nell’ambito del territorio da loro tutelato.

Infine, a partire da alcuni casi che implicavano danni ai beni culturali (paesaggistici,
storici, architettonici, ecc.), la cui tutela è affidata al Ministero per i Beni e le Attività
Culturali, si è evidenziata ed avviata una iniziativa per concordare le modalità di una
collaborazione (nell’ambito di una apposita Convenzione) con lo stesso Ministero e con le
Sovrintendenze ai Beni Culturali per sviluppare un’adeguata valorizzazione dei beni
paesaggistici nell’ambito della valutazione dei danni ambientali.

5. Conclusioni

I danni ambientali causati dalle attività, dai comportamenti e dalle pratiche antropiche
rappresentano un problema urgente per tutta la comunità internazionale in quanto
provocano una contaminazione e/o un degrado dell’ambiente quantitativamente e
qualitativamente molto diffuso e sono tra le cause maggiormente responsabili della perdita
e dell’impoverimento generalizzato dell’ambiente (ecosistemi, bellezze naturali, paesaggi,
ecc.) e di minaccia alla salute umana.

Il principio della responsabilità civile nei confronti del danno ambientale, ovviamente, non
stabilisce un principio per la monetizzazione del degrado ambientale perché non sancisce
una generalizzata libertà di inquinare subordinata al pagamento di somme di denaro. Al
contrario, tale principio tende a valorizzare le esigenze primarie di conservazione, di
salvaguardia e di uso razionale delle risorse ambientali, la cui scarsità costituisce
preoccupazione condivisa dalla comunità nazionale e internazionale unitamente alla
consapevolezza del carattere non esauribile delle risorse e sostanzia gli sforzi sociali ed
economici verso uno sviluppo sostenibile.

Infatti il rispetto/efficacia delle leggi e dei regolamenti emanati per la regolamentazione e


la limitazione dei consumi e/o degli usi delle risorse ambientali è stato sicuramente
rafforzato dall’introduzione di un fattore economico (responsabilità civile) che è andato a
disincentivare la spinta ad una fruizione ambientale eccedente le tollerabilità/compatibilità
stabilite.

Inoltre, l’interesse a trovare nel risarcimento del danno ambientale la fonte


economica/impositiva per realizzare interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino
dei siti contaminati/danneggiati, rafforzerà il contributo diffuso degli enti territoriali
all’azione già in atto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio.

Infine, possiamo concludere con l’osservazione che, dopo venti anni dall’entrata in vigore
della Legge 349/86, è stata sviluppata un’istruttoria tecnica ed economica capace di
effettuare una valutazione economica di un bene fuori mercato come l’ambiente, utile per
assicurare la risarcibilità delle lesioni ad esso arrecate ma anche per valorizzare il valore
patrimonale delle sue risorse e delle sue funzioni.

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