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FENOMENOLOGIA DELLA VIOLENZA SQUADRISTA E RAPPORTO FRA MILIZIA E PARTITO FINO ALLA

MARCIA SU ROMA

Sono sicuramente utili:

-Dittature Mediterranee di Giulia Albanese

-Emilio Gentile, The problem of the party in italian fascism

-Giulia Albanese, Brutalizzazione e violenza alle origini del fascismo

Quali temi affrontare?


Come si articola la violenza squadrista; come sono organizzate le squadre, esempi magari attingendo al caso
di Fiume. L’articolo dell’Albanese fornisce l’analisi delle varie letture sula violenza fascista; può essere utile
in certi punti: violenza squadrista come elemento di governo informale. Non è solo uno strumento di
minaccia ma anche un mezzo di costruzione del consenso. Infine il rapporto con il partito fascista,
basandosi ampiamente sull’articolo di Gentile, che però si concentra molto sula fase del fascismo al
governo. Può essere utile ricordarne alcuni passaggi, ma senza soffermarcisi più di tanto.
Dagli appunti di Marcuzzi: le tre fasi della violenza squadrista.

Appunti dal Gentile

Dicotomia tra lo squadrismo e il partito; è il primo ad avere reso il fascismo un movimento di massa.
Opposizione degli squadristi dovuta principalmente ad un fattore psicologico: mentalità ribelle e idea
originale del movimento in chiave anti-partitica. Lo squadrismo nello statuto del PNF rimane un elemento
essenziale, vera e propria spina dorsale.
Per lo squadrismo, gli oppositori politici non sono avversari con cui non andare d’accordo, ma nemici da
eliminare e umiliare.

Appunti articolo dell’Albanese

Riflessione storiografica sul rapporto tra violenza e fascismo: Gentile, Storia del partito fascista. 1919-1922.
Movimento e milizia e George L. Mosse, Fallen Soldiers: Reshaping the Memory of the World Wars.
Importanza dell’esperienza della guerra, della violenza e della morte come stimoli fondamentali verso l’uso
della violenza nel dopoguerra e l’adesione allo squadrismo. Nesso non solo politico ma anche esistenziale
tra guerra e fascismo. Mosse parla della categoria di “brutalizzazione della politica” come ipotesi
interpretativa per spiegare la diffusione in tutta Europa della violenza politica. Questo permette di
considerare gli effetti di lunga durata della violenza, a prescindere dalle implicazioni ideologiche: viene
messa implicitamente in discussione la classica lettura di un biennio rivoluzionario seguito da un biennio
controrivoluzionario. Roberto Vivarelli analizza le origini del fascismo fino al 1920; rileva come il fascismo
fosse effetto della crisi dello Stato liberale e non il contrario, ma rifiuta qualsiasi riflessione. Va
completamente ripensato il meccanismo rivoluzione-reazione.

Come strutturare il paper:

-introduzione, alla fine.


-La violenza squadrista: come si presenta, quali forme assume, quali sono le reazioni dell’opinione pubblica,
alcuni casi esemplari.(Libro dell’Albanese, articolo di Fincardi)
-Inserire la violenza squadrista nel più ampio contesto della brutalizzazione della politica (articolo
dell’Albanese).
- Rapporto tra squadre e Partito fascista fino all’ottobre del ’22 (Gentile).
-Conclusione con alcuni accenni a ciò che avviene successivamente (riferimenti allo scontro con Farinacci e
ai segretari successivi).

Ricordati p.14 e pp.34-35 del Dottorato di Millan

La violenza squadrista

Nel marzo del 1919, Mussolini fonda a Milano i Fasci di Combattimento. Se inizialmente, alle elezioni del
’19, il neonato movimento subisce una batosta elettorale, non riuscendo a entrare in Parlamento,
successivamente riuscirà a inserirsi con successo, grazie anche alla cooptazione nei blocchi nazionali, che
riunivano l’eterogenea galassia liberale, oltre che nazionalisti e talvolta democratici e popolari. Questo
avvenne prima alle elezioni amministrative del 1920 e poi in quelle nazionali del maggio del
’21(Albanese ,p.60). “A favore dei fascisti giocavano la violenza e la legittimazione politica che questa
determinava nelle classi dirigenti sociali ed economiche del paese”(p.59). “Lo sviluppo del movimento
fascista all’indomani delle elezioni non era solo una conseguenza di questa alleanza , ma soprattutto il
frutto dell’uso sapiente della violenza fatto nei mesi precedenti […] per contrastare e soppiantare le
organizzazioni del Partito socialista e della CGdL”.
Un episodio che rese evidente fin da subito la radicalizzazione della violenza fu l’incendio all’Hotel Balkan,
centro delle attività slovene a Trieste, nel luglio del 1920. Dunque in questa prima fase del fascismo hanno
un ruolo di primo piano le squadre d’azione, che si costituiscono tra 1919 e 20 e a cui partecipa il 95% degli
aderenti. Tra questi vi è un abbondante 40 % che non ha pregressi militari.
A Bologna, dove si stava per insediare un’amministrazione socialista, il 21 novembre 1920, mentre migliaia
di persone festeggiavano in piazza Maggiore l’elezione del sindaco, un gruppo di fascisti aprì il fuoco sulla
folla. Gli scontri provocarono dieci morti e sessanta feriti, e il governo sciolse l’amministrazione comunale.
“Mussolini e i fascisti trassero dall’episodio un’importante lezione: la violenza pagava” (Gerwarth, pp.152-
153). “Migliaia di squadristi diffusero il terrone nelle campagne, distruggendo le sedi dei partiti “sovversivi”,
occupando intere città, picchiando e umiliando gli oppositori politici[…] nel complesso si stima che fra il
1919 e il 1922 ci furono 3000 morti[…] Mussolini poté così trarre vantaggio sia dalla diffusa paura del
bolscevismo sia dall’instabilità governativa”. (p.153).
Frank Snowden parla di due tipi di fascismo, uno iniziale di stampo urbano e uno di stampo rurale, che sarà
quello in grado di fare del movimento una forza politica di massa. Importanza della distinzione a livello
locale: in certi casi l’espansione nelle campagna avviene attraverso la violenza, in altri si ebbe un effettivo
consenso.

Fin dal 1919 «la tendenza a costituire corpi armati era presente nei Fasci»; nel novembre di quell’anno,
quando la polizia perquisisce le sedi del Fascio e degli Arditi a Milano scopre che è stato organizzato un vero
e proprio «corpo armato», il cui scopo – si legge in un rapporto di polizia – «a prescindere da ogni secondo
fine sconfinante forse in più grave criminalità consisteva precisamente sul proposito determinato e fermo e
più volte pubblicamente manifestato e concretato dal fatto di avvalersi di qualunque mezzo anche illegale,
e di ricorrere all’uso delle armi in modo sproporzionato alla provocazione, con deliberato proposito di
lesioni personali e di omicidi pur di vincere qualsiasi ostacolo, per il raggiungimento del fine propostosi,
della reazione eccessiva e violenta contro le provocazioni socialiste anche semplicementi [sic] verbali»
(Dottorato Millan)

Si possono individuare essenzialmente tre ondate di violenza fascista prima della marcia su Roma:
la prima si caratterizza come una serie di agitazioni urbane che si espandono tentando di allargarsi alle
campagne; la seconda ondata comincia dal patto di pacificazione, tentativo voluto dal Presidente del
Consiglio Bonomi, nell’agosto del’21 tra socialisti e fascisti, ma che verrà sabotato dagli squadristi più
violenti; la terza ondata si sviluppò nel luglio del ’22 come risposta allo sciopero generale voluto
dall’Alleanza del Lavoro, e culminerà poi nella Marcia su Roma.

In generale, secondo Millan, le pratiche di violenza squadrista avrebbero pesato anche durante il regime e
siano state una delle forme del controllo del dissenso. La violenza si articola come uno strumento di
minaccia ma anche come un mezzo di costruzione del consenso. Come gli “italiani comuni” hanno
partecipato a queste pratiche [articolo Albanese].

Sebbene gli squadristi si autorappresentino in genere come dei rivoluzionari, per buona parte del 1921
l’opinione pubblica dei locali «Blocchi d’ordine» non vede illegalità nell’imporre l’ossequio al tricolore con
pistole e bombe: lunghe catene di reati diventano così giustificabili per una parte politica, intollerabili per
l’altra. Lo scontro simbolico evolve presto in altri gesti bellicosi, compreso il rogo della stampa avversaria,
divenendo il pretesto per spedizioni armate contro le organizzazioni operaie (Fincardi).

Gli squadristi cercano però di evitare omicidi controproducenti, sebbene castighino gli avversari senza
pietà, in quanto «negatori della patria», pure quando si tratta di reduci di guerra. Per attenuare agli occhi
dell’opinione pubblica la violenza dei loro atti, cercano sempre di degradare e ridicolizzare gli avversari. Per
questo propagandano un proprio uso folklorizzato del bastone, come se gli avversari fossero bestie da
domare; più che la loro vera arma, il manganello è emblematico di punizioni buffonesche, o di metodi
sbrigativi in spregio alla dialettica politica. E la punizione deve risultare plateale e umiliante: preferibilmente
l’incendio se si tratta di una sede di giornali o ritrovi avversari; con avvilimenti fisici invece sulle persone,
«cresimate» (malmenate), «legnate» (bastonate) o «lubrificate» (costrette a bere oli rivoltanti e purgativi,
per evacuare il proprio «male»), «tinte» o «incipriate» (imbrattate con nerofumo) nel caso di donne.
Attraverso tali supplizi ritualizzati, la nazione verrebbe epurata dai corpi estranei che ne contaminano la
vita sociale e i «negatori della nazione» espierebbero le proprie colpe, venendo costretti a rinnegare in
pubblico le proprie idee politiche, o a rinunciare a cariche pubbliche o in associazioni, sotto le percosse e le
armi puntate. (Fincardi)

In questa fase si assiste allo scardinamento di molte amministrazioni rosse attraverso la violenza, come
avviene nel caso di Bologna (Albanese, p. 60). Nell’autunno del 1920 furono violentemente colpite molte
zone dell’Emilia e della Toscana. L’uso della violenza fu uno dei principali vettori di crescita del fascismo,
tanto che nel corso del 1920 le poche migliaia di aderenti iniziali a San Sepolcro erano diventati decine di
migliaia. In città come Cremona, Ferrara, Bologna si mobilitarono i “ras” come Farinacci, Balbo e Grandi
che con le loro squadre aggredivano i socialisti e i sindacalisti e commettevano violenze contro le
organizzazioni del movimento operario. Gli agrari non leninavano i finanziamenti. Dall’Emilia Romagna lo
squadrismo fascista si diffuse rapidamente in Toscana e Umbria(Salvadori p.159). Secondo Franzinelli
l’80,6% delle amministrazioni comunali furono commissariate entro il 1921. Le azioni fasciste furono
appoggiate e finanziate da settori della classe dirigente liberale, da proprietari terrieri e imprenditori, che
speravano di poter controllare il fascismo (p.61). Per le settimane della campagna elettorale del maggio
1921 ci fu un’ondata estrema di violenze, con 176 morti, in maggioranza socialisti; nei primi sei mesi
dell’anno i fascisti distrussero oltre 700 sedi di tipografie e giornali, case del popolo, camere del lavoro, sedi
di cooperative, leghe, sindacati.

La violenza squadrista nel contesto più ampio della brutalizzazione politica


Negli studi più recenti, soprattutto quelli successivi alla guerra fredda, ci si è soffermati ampiamente sulle
origini del fascismo, ripensando completamente il nodo sulle sue origini e cercando di inserirlo nel contesto
più ampio del panorama europeo. In questo senso Giulia Albanese sottolinea l’importanza dell’opera di
George L. Mosse, Fallen Soldiers: Reshaping the Memory of the World Wars. Si tratta di un’ampia
concettualizzazione della categoria di “brutalizzazione della politica” come ipotesi della diffusione della
violenza in ambito politico in tutta Europa: si pone la preminenza dell’esperienza e della pratica della
violenza e della guerra sulle ideologie; nesso di causalità nel rapporto tra guerra e dopoguerra. Questo servì
a mettere in discussione il rapporto tra rivoluzione e reazione. Questo tipo di studi entra in rotta di
collisione con la classica tradizione storiografica sulle origini del fascismo (fascismo come reazione rispetto
all’elemento rivoluzionario del socialismo e del sindacalismo operario: contrapposizione tra il biennio rosso
e il biennio nero).

Grazie al filtro della violenza e della brutalizzazione è stato possibile un dialogo tra la storia delle origini del
fascismo e la storiografia internazionale. Si può poi mettere in discussione parzialmente l’efficacia di questa
categoria storiografica, in particolare per il ruolo che Mosse da all’esperienza della guerra, che può essere
in certi casi ridimensionata.

Rapporto tra Squadre e Partito Fascista

Un momento di svolta nello squadrismo è sicuramente quello della nascita del PNF con il Congresso di
Roma del novembre 1921. Questo provoca una rottura rispetto all’ala più radicale del fascismo più
violentemente antipartitica e antipolitica; il primo anno del nuovo partito fu infatti caratterizzato dai
conflitti interni. Infatti nel 1919 il Movimento era stato creato come un “antipartito”. Non si tratta
nemmeno di un’ideologia, ma piuttosto di un’attitudine nei confronti della vita, di uno spirito di rivolta
contro l’ordine esistente. Organizzazione e metodi erano dettati dalle circostanze e dalle situazioni. Lo
squadrismo era il nerbo del movimento, anche se dalle elezioni del ’21 è presente anche un ridotto gruppo
parlamentare. La proposta di Mussolini di creare un vero e proprio partito aveva un obbiettivo specifico:
fare della massa eterogenea dei fascisti un gruppo compatto, omogeneo sotto la sua leadership. Lo
squadrismo provinciale cercherà di resistere a queste pretese di egemonia di Mussolini; tra questi i
maggiori capi provinciali (i cosiddetti “ras”) erano Balbo, Farinacci, Dino Grandi, che propose
un’interpretazione del fascismo come erede del fiumanesimo, con un carattere essenzialmente transitorio,
e che avrebbe portato a termine il suo compito dando vita a una democrazia nazionale.

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