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Angelo Scotto

IL PRIVATO SOCIALE NELLE POLITICHE PUBBLICHE


DELL'IMMIGRAZIONE: I CASI DI PAVIA E FOGGIA
1. Introduzione
Da più di vent'anni l'immigrazione è uno dei temi principali del dibattito politico italiano, a tutti i livelli: ha avuto
un ruolo centrale in numerose campagne elettorali, a partire dai primi anni Novanta sino alle elezioni politiche e
amministrative del 2008; è stata ed è tuttora al centro dell'attenzione dei policymaker; e anche a livello
accademico l'attenzione è cresciuta in maniera costante. Ma il termine immigrazione, se da un lato rimanda a un
fenomeno ben definito, dall'altro abbraccia un campo più vasto di tematiche e processi, e questi non hanno
goduto della stessa attenzione nel corso degli anni. Come molti paesi che hanno sperimentato la fase di
transizione migratoria, l'Italia ha dovuto affrontare prima di tutto le politiche riguardanti il controllo delle
frontiere e la regolazione dei flussi migratori. Solo in un secondo momento, mentre sempre più numerosi
migranti diventavano stanziali nel paese, nel dibattito si sono aggiunte le politiche per l'integrazione, che
comunque non sono mai riuscite a ottenere, presso gli elettori e la classe politica, la rilevanza delle politiche per
le frontiere.
Questa situazione può cambiare, o dà segni di cambiamento? Al momento è difficile dare una risposta, e non è
l'obiettivo principale in questa seda. Però è importante notare un dato: nell'attuale periodo di recessione
economica, i flussi migratori verso l'Italia sono diminuiti1: i migranti, a quanto pare, non considerano più il
nostro paese una meta appetibile. A prescindere dalle cause, comunque, è ipotizzabile che la riduzione dei flussi
migratori potrebbe far diminuire la rilevanza delle politiche di controllo del fenomeno; ma non per questo
diminuirà l'importanza della presenza straniera in Italia, che sicuramente aumenterà ancora per molti anni, grazie
alle ben note dinamiche demografiche attuali. Il che vuol dire che le politiche per gli immigrati, quale che sia la
scelta dei termini (inclusione, integrazione, incorporazione...) e dall'orientamento dei policymaker, manterranno
o aumenteranno la loro importanza.

Su questa considerazione si fonda il presente articolo, in cui sono presentati i primi risultati della ricerca che sto
svolgendo per la mia tesi di dottorato. La ricerca si propone di analizzare il processo decisionale delle politiche
per gli immigrati nelle province di Foggia e Pavia. In questa sede non affronterò tutte le ipotesi del mio progetto,
ma mi concentrerò sul ruolo del privato sociale, ovvero le associazioni di volontariato e del terzo settore. Che
esse giochino un ruolo importante nelle attività di accoglienza degli immigrati è evidente anche all'osservatore
più superficiale, ma è una considerazione che non dice molto su come svolgano effettivamente questo ruolo. La
letteratura più didattica sul terzo settore ci dice che il suo scopo primario è di andare a “colmare i buchi”:
soddisfare, cioè, quelle domande che non vengono recepite né dal settore pubblico né dal mercato. Il che è vero,
ma se immaginiamo questo intervento in materia più dinamica ci rendiamo conto che possono innestarsi dei
processi che ampliano il ruolo del privato sociale: da un lato, infatti, quanto più gli operatori del terzo settore
intervengono tanta più esperienza e conoscenza accumulano, un capitale culturale la cui utilità diventa sempre
più chiara ai governanti; dall'altro, sono gli stessi operatori, proprio grazie all'esperienza accumulata, a
considerare limitante il ruolo di tappabuchi e ad attivarsi per avere un ruolo più importante nelle politiche in
senso lato.

1 Meno immigrati, c'è crisi, “il manifesto”, 12 dicembre 2011.

1
Questi processi portano a interazioni sempre maggiori tra classe politica e privato sociale, e soprattutto a livello
locale, essendo gli enti locali quelli che erogano direttamente la maggioranza dei servizi ai residenti sul loro
territorio. Qui voglio analizzare il modo e la misura in cui le associazioni del terzo settore sono coinvolte nel
processo decisionale delle politiche migratorie. Ma il mio obiettivo non è solo quello di proporre un'analisi
descrittiva; poiché le politiche per gli immigrati sono trasversali alle categorie classiche delle politiche pubbliche
(sociali, culturali, della cittadinanza...), studiando questo settore ritengo di poter porre le basi per arrivare a un
modello più generale del coinvolgimento del privato sociale nelle politiche pubbliche locali.

2. L'approccio alla ricerca: letteratura, teoria, metodologia


Il fenomeno migratorio viene trattato nelle scienze sociali sin dall'Ottocento, tanto nella teoria marxista come
nel pionieristico lavoro di Ernst George Ravenstein (The Laws of Migration, 1885), di matrice positivista. Da
allora la ricerca è andata molto avanti sia in termini qualitativi sia nella varietà di argomenti trattati, i migration
studies si sono evoluti diventando un settore di ricerca a sé, ferma restando la multidisciplinarietà dell'argomento
e degli approcci teorici. Questi ultimi sono diventati tanti e tali che diventa impossibile delinearne una
panoramica soddisfacente in questa sede (a tal fine, si rimanda a Cohen 1996, Pollini e Scidà 2002, Ambrosini
2005, Castles e Miller 2012).
A fronte di una storia della disciplina più che secolare, le ricerche sulle politiche per l'immigrazione, in
particolare le politiche per l'integrazione, sono molto più recenti. Lo studio dell'integrazione degli immigrati nei
paesi di arrivo si sviluppa negli anni Sessanta, e per i primi decenni gli studiosi si concentrano sui casi nazionali,
su singoli gruppi di migranti o flussi migratori, o su determinate tipologie di immigrati (Penninx, Spencer e van
Hear 2008). Negli anni Ottanta e, soprattutto, nel decennio successivo c'è stata una forte espansione di questo
settore di ricerca, ed è aumentata l'attenzione verso le esperienze locali, complice la concentrazione degli
immigrati delle migrazioni post-fordiste nelle aree urbane.
Contemporaneamente, anche lo studio delle politiche migratorie ha subito una evoluzione analoga. A fianco
delle politiche per regolare gli ingressi negli stati, si sono imposte anche le politiche relative al trattamento e
all'integrazione degli immigrati man mano che si diffondeva la consapevolezza che le migrazioni non erano un
fenomeno temporaneo, al termine del quale gli immigrati sarebbero rientrati nei paesi di origine, ma avevano
dato vita a insediamenti stabili degli stranieri nei paesi di arrivo. I modelli classici di inclusione degli stranieri
corrispondono alle politiche degli stati nazionali, in uno spettro di possibili approcci che va
dall'assimilazionismo francese al pluralismo del Regno Unito (Martiniello 2000). Tuttavia, anche in questo
ambito è aumentato progressivamente l'interesse per il ruolo degli enti locali nelle politiche per gli immigrati. I
motivi sono numerosi: innanzitutto il generale aumento dei poteri degli enti locali che ha interessato molti paesi
dell'Europa occidentale negli ultimi decenni (Bobbio 2002), e la promozione del principio di sussidiarietà da
parte dell'Unione Europea, che hanno quindi portato a un aumento dell'interesse verso i processi di policy dei
governi locali; la già citata concentrazione degli immigrati nelle aree urbane, con la conseguenza che sono i
governi locali, soprattutto i comuni, a dover gestire la presenza migratoria; la consapevolezza crescente che le
decisioni e le pratiche nella gestione dell'immigrazione a livello locale sono in grado di influenzare la politica
nazionale, a volte anche negli ambiti di sua esclusiva pertinenza come le leggi sulla cittadinanza (McDonald
2012). Già nel 1998 l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico pubblica una raccolta di
articoli di studi di caso di politiche locali per gli immigrati in varie città di Europa, America e Australia (OECD

2
1998), e oggi la letteratura in materia è vastissima sia in termini di studi di caso che di contributi teorici.
Per quanto riguarda il caso italiano, a livello generale contributi importanti sono quelli di Ambrosini (2001) e
Pugliese (2004 (con Macioti), 2006) da un punto di vista sociologico, mentre utili riferimenti per la legislazione
in materia di immigrazione si trovano in Einaudi (2007) e Barbagli (2007); infine, vanno citati i dossier statistici
sull'immigrazione della Caritas Migrantes, i volumi della serie “Stranieri in Italia” dell'Istituto Cattaneo e i
rapporti annuali sulle migrazioni della Fondazione Cariplo-Ismu. Lo studio delle politiche migratorie a livello
locale si è sviluppato nella seconda metà degli anni Novanta, similmente al resto d'Europa (una panoramica
completa delle ricerche in ambito locale in Italia si trova in Zincone e Caponio 2006), e alcuni dei principali
lavori sul campo hanno optato per una comparazione tra città di diverse aree del paese. Questa differenziazione
si ritrova nelle ricerche di Caponio (2006), che ha analizzato le politiche locali a Milano, Bologna e Napoli, e
Campomori (2008), con uno studio su Prato, Vicenza e Caserta. Infatti, le forti differenze economiche e sociali
tra le macroregioni italiane (il Nord-Ovest industriale, il Nord-Est e il Centro caratterizzati da piccole e medie
imprese e da forti appartenenze politiche, il Sud e le Isole) si ripercuote sulla qualità e la natura delle
amministrazioni locali, come ci ricorda l'ormai classica ricerca di Putnam (1993); non solo, ma se l'Italia
settentrionale ha già sperimentato, negli anni Cinquanta, la forte immigrazione di cittadini meridionali in cerca di
lavoro, e quindi aveva esperienze e strumenti per affrontare i nuovi flussi migratori iniziati negli anni Ottanta,
per l'Italia meridionale essere terra di immigrazione, e non solo di emigrazione, è una esperienza nuova, che ha
trovato più impreparati gli amministratori locali.
È mia intenzione mantenermi nel solco di queste ricerche, perciò ho scelto di fare una comparazione tra una
provincia dell'Italia settentrionale e una dell'Italia meridionale. Gli altri criteri di scelta dei casi di studio sono più
complessi, e vanno descritti in maniera più approfondita.

Motivazione scelta casi


La crescente importanza del livello locale nell'analisi delle politiche per gli immigrati si traduce al momento in
un numero cospicuo di studi di caso riguardanti l'azione dei governi delle città. Questa preferenza per il livello
comunale risponde a una logica ben precisa: innanzitutto, i comuni sono gli enti che – nella maggior parte dei
casi – erogano direttamente i servizi e gli strumenti per gli immigrati, e quindi sono l'oggetto di analisi
privilegiato. In secondo luogo, se le forme e l'organizzazione dei governi locali possono variare da un paese
all'altro, le città sono un modello di aggregazione sociale ormai pressoché universale, per cui le politiche
comunali si prestano bene a analisi comparate, anche a livello internazionale (come si vede in alcune delle opere
già citate, come OECD 1998, Penninx et al. 2004, Caponio e Borkert 2010).
Detto questo, ho scelto la provincia come unità di analisi perché ritengo che, oltre ai suddetti vantaggi, il livello
comunale abbia anche alcuni limiti. Esso funziona egregiamente per le città più grandi, i cui governi hanno
spesso le risorse, se non le competenze, per rispondere in maniera adeguata alle questioni poste dall'integrazione
– e se le risposte non sono adeguate dipende da altri fattori, come ad esempio l'inesperienza nel settore. Invece
comuni di dimensioni piccole o medio-piccole possono trovarsi in situazioni di partenza peggiori, a causa di
maggiori ristrettezze finanziarie e di carenze strutturali, che rendono quindi difficile offrire servizi per gli
immigrati. Questi limiti non sono un problema sinché la quasi totalità dei migranti si concentra nelle grandi città.
Ma i dati ci dicono che la popolazione immigrata sta aumentando anche nei piccoli centri (IFEL 2012), per varie
ragioni: l'aumento dell'impiego di stranieri nei lavori domestici e nell'assistenza alle persone anziane fa crescere

3
la domanda di manodopera immigrata anche nei piccoli comuni; gli stessi immigrati che lavorano in grandi città
o aree metropolitane possono scegliere di vivere in centri minori, dove gli affitti e i servizi costano meno; i
rifugiati – la cui libertà di movimento nello stato ospitante è spesso limitata – possono essere ospitati nell'ambito
di progetti di accoglienza in aree lontane dalle metropoli. Sta di fatto che i piccoli comuni si trovano a dover
gestire una presenza migratoria senza avere gli strumenti adatti per farlo, e in questo caso la presenza di un ente
locale sovracomunale diventa un supporto utile. Che tale ente sia la provincia e non la regione lo si capisce,
perché le province hanno solitamente un'omogeneità territoriale maggiore delle regioni, e questo, insieme alla
minore estensione territoriale, permette una maggiore vicinanza tra le amministrazioni, e una migliore capacità
di intervento2. Non è un caso che i centri di servizio per il volontariato, istituiti con la legge quadro sul
volontariato 266/1991, sono costituiti quasi tutti su base provinciale (65 su 78)3.
Si può obiettare che non è necessariamente vero che i comuni minori non siano mai in grado di affrontare da soli
il fenomeno immigratorio. Di certo è così, anche se per riconoscere l'importanza del livello sovracomunale non è
necessario che tutti i comuni siano privi di strumenti, risorse o know how, ma solo una parte rilevante di essi. Vi
è però un ulteriore elemento da tenere in considerazione: la presenza di migranti in una determinata area
geografica può dipendere da fattori che non possono essere isolati geograficamente nel territorio di un singolo
comune. Il caso più ovvio è quello del lavoro agricolo, che si svolge in aree che amministrativamente sono sotto
la gestione di diversi comuni, ma di fatto costituiscono un territorio omogeneo, e ben distinto dalle aree cittadine
dove pure si trovano, spesso, i loro sindaci. Questo è un altro caso in cui la provincia può affrontare le questioni
con una visione di insieme migliore di quella dei singoli comuni.
L'esempio del lavoro agricolo non è stato scelto a caso; in almeno uno dei casi di studio affrontati, infatti,
l'agricoltura svolge un ruolo importante.
La mia ricerca parte dalla provincia di Foggia. Qui il settore agricolo è uno dei più importanti per l'economia del
territorio, ed è anche la principale fonte di impiego per gli immigrati. Buona parte dell'immigrazione in
Capitanata è composta da lavoratori stagionali, impiegati nei mesi estivi nella raccolta del pomodoro. A questi
lavoratori si aggiungono, in percentuali molto minori, quelli impiegato nel settore edile e in quello dei servizi
alla persona. Un altro elemento che caratterizza la situazione migratoria in provincia di Foggia è la presenza di
un campo che ospita un CIE (centro di identificazione e espulsione) e un CARA (centro di accoglienza
richiedenti asilo), nella località di Borgo Mezzanone, frazione del comune di Manfredonia, ma geograficamente
più vicino al capoluogo Foggia.
La gestione di questo centro è argomento che esula dallo scopo di questo articolo, in quanto attiene più
all'ambito delle politiche immigratorie nazionali che a quello delle politiche locali per gli immigrati; tuttavia, gli
ospiti del CARA, che pernottano nel campo ma sono liberi di lasciarlo durante il giorno, fanno attivamente parte
del mercato del lavoro di Capitanata, e sono target dei progetti e delle attività di enti locali e associazioni al pari
degli altri immigrati, e dunque non ci si può esimere dal citarli.
Inoltre, menzionare Borgo Mezzanone permette di introdurre una delle caratteristiche peculiari
dell'immigrazione in Capitanata: le “borgate”, aree rurali poco o per niente abitate, dove abita la maggior parte
degli immigrati impiegati nel lavoro agricolo, spesso in case abbandonate in mezzo ai campi. Questa dispersione

2 Purtroppo questo genere di considerazioni non si ritrova spesso nell'ormai decennale dibattito giornalistico e
politico sull'abolizione delle province, affrontato solo in termini di risparmio economico e non di efficienza
amministrativa.
3 Dati del Coordinamento nazionale dei Centri di servizio per il volontariato, http://www.csvnet.it.

4
abitativa è uno dei fattori che rende più importante l'azione provinciale rispetto a quella dei singoli comuni.
La scelta della provincia di Foggia come caso di studio è dovuta anche ai fatti di cronaca avvenuti negli anni
passati: i casi di immigrati polacchi ridotti in stato di semischiavitù nel lavoro agricolo. Questi eventi, che hanno
goduto di una certa copertura giornalistica (Gatti 2007, Leogrande 2008), sono una degenerazione del fenomeno
conosciuto come caporalato, una forma di mediazione illegale nell'accesso al mercato del lavoro4. La
consapevolezza dell'esistenza di questo fenomeno e la risonanza mediatica dei succitati casi di cronaca ha
stimolato tanto l'azione delle amministrazioni regionale e locali quanto le iniziative e i progetti di sindacati e
associazioni, ma non ha avuto un'eco reale nell'opinione pubblica della Capitanata, anche per via della
invisibilità dei lavoratori agricoli stranieri dovuta alla dispersione nelle aree rurali e nelle borgate (Mincuzzi
2008). Nonostante la presenza migratoria, quindi, e l'esistenza di numerose problematiche legate
all'immigrazione, questo non sembra un tema in grado di influenzare le scelte di politics5. In molte ricerche già
esistenti l'immigrazione era un tema rilevante nelle agende politiche locali dei casi di studio, e quindi anche le
scelte di policy erano molto influenzate dalle considerazioni sul loro effetto elettorale. Ritengo utile concentrarsi
anche su casi in cui tale influenza, se non assente, è comunque molto minore. In situazioni simili i policymaker
possono scegliere di non fare nulla, per evitare il rischio che l'indifferenza pubblica si tramuti in ostilità, ma non
sempre è possibile ignorare i problemi, come nel caso del caporalato in provincia di Foggia. E questa
considerazione completa i motivi che giustificano questa scelta di analisi.
Dopo aver individuato nella provincia di Foggia il primo caso di studio, ho cercato di individuarne un secondo.
Dopo aver deciso di guardare all'Italia settentrionale, ho scelto di concentrarmi sulla Lombardia in quanto così
avrei avuto a disposizione i dati e le analisi dell'ISMU (Istituto studi sulla multietnicità) e dell'ORIM
(Osservatorio regionale su immigrazione e multietnicità) Lombardia sulla presenza migratoria nella regione, una
mole di dati che permette di fondare su basi più concrete le ricerche suelle politiche. Alle ricerche di questi
istituti corrispondono, per la provincia di Foggia, i lavori dell'OPIF (Osservatorio provinciale sull'immigrazione
a Foggia), che però non vanno oltre il 2008, quando l'Osservatorio ha cessato le sue attività.
La provincia di Pavia non è stata la prima scelta, ma dopo una serie di considerazioni è risultata essere la più
rispondente ai criteri che avevo fissato.
Come primo elemento, volevo trovare una provincia in cui il tema dell'immigrazione non fosse molto rilevante
nell'agenda politica, criterio che mi ha portato a escludere le province più grandi e con maggiore presenza
migratoria (Milano, Brescia). In secondo luogo, ho ritenuto che il principale elemento di diversità tra i casi,
quello che deve fare da variabile nella comparazione, è proprio l'elemento territoriale, Italia settentrionale e
meridionale, ma, a parte questo, i due casi di studio devono avere quante più affinità possibili. È a questo punto
che la provincia di Pavia si è dimostrata la scelta migliore; innanzitutto, dal punto di vista demografico è secondo
solo a Como tra le province lombarde (rispettivamente, 548307 e 594988 residenti al 1 gennaio 2011, dati Demo
Istat) per affinità alla provincia di Foggia (640836 residenti); ma Pavia è più simile a Foggia per densità abitativa
(Pavia: 184,9 abitanti per km2, Foggia: 92,0; Como: 461,9). Una somiglianza marginale ai fini
della ricerca, ma che si riporta per completezza, è che la provincia di Pavia è geograficamente
divisa dai fiumi che la attraversano in tre parti: Pavese, Lomellina e Oltrepò; una tripartizione simile, anche se

4 Per approfondimenti sul caporalato: Zaccaria 1998, Curci 2008.


5 Nella mia ricerca tenerò di verificare questa ipotesi sulla rilevanza politica dell'immigrazione, cfr. infra il
paragrafo sulla metodologia.

5
dovuta a rilievi montuosi, troviamo in Capitanata, che è divisa tra promontorio del Gargano, Tavoliere delle
Puglie e Subappenino dauno.
Più importante, ci sono similitudini – più sottili, ovviamente – anche nella situazione socio-economica: provincia
industriale, Pavia ha anche un forte settore agricolo. Vale anche la pena di notare, sebbene sia una discorso
troppo lungo da affrontare in questa sede, che entrambe che le province vivono una fase di stagnazione
economica, Pavia a causa del declino industriale, Foggia per l'incapacità di modernizzazione del settore agricolo.
Questa situazione si traduce in un forte pendolarismo verso Milano a Pavia, in un aumento dell'immigrazione
verso il Nord e l'estero a Foggia.
Un'altra affinità è nelle dinamiche politiche recenti. Negli ultimi anni Foggia e Pavia hanno sperimentato, sia a
livello di capoluogo che di amministrazione provinciale, un'alternanza tra coalizioni di centrodestra e
centrosinistra, il che permette di osservare direttamente se ci sono stati cambiamenti di politiche dettate dal
colore politico. Ma un fattore importante, che è stato decisivo nella scelta finale, è stato lo scoprire, attraverso
una dichiarazione del segretario della camera del lavoro di Stradella, di cui ho poi trovato conferma anche in
fonti giornalistiche6, che anche nell'agricoltura pavese ci sono fenomeni di caporalato che interessano i lavoratori
immigrati.

Framework teorico
Lo studio del ruolo del privato sociale nel policymaking va inquadrato nel più ampio ambito dell'analisi delle
politiche pubbliche locali. Prima di tutto, però, bisogna specificare bene cosa intendiamo per politiche
dell'immigrazione. Infatti, se partiamo dalla quadripartizione di Dente (1990,14), che distingue tra politiche
istituzionali, politiche economiche, politiche territoriali e politiche sociali7, ci rendiamo conto che il settore
dell'immigrazione può toccare temi attinenti a più di una di queste categorie. Per questo è prima necessaria una
distinzione all'interno delle politiche immigratorie: qui riprenderò la classificazione di Caponio (2006, 28-30)
che distingue tra politiche di immigrazione, riguardanti le norme di ingresso e espulsione e di controllo delle
frontiere; politiche per i migranti, che riguardano la prima accoglienza e assistenza, a prescindere dallo status
giuridico dei soggetti; politiche per gli immigrati, cioè i migranti regolari, stabilmente presenti sul territorio, che
coprono le questioni dell'accesso ai servizi sociali, dell'inserimento lavorativo e abitativo, della cittadinanza e
della partecipazione pubblica.
Nella mia ricerca non affronterò le politiche di immigrazione, i cui contenuti e processi decisionali sono di
pertinenza pressoché esclusiva del governo nazionale. Per quanto riguarda le altre due categorie, invece, il ruolo
dei governi locali è molto più rilevante, anche se in misura diversa a seconda delle questioni specifiche. Mi
concentrerò dunque su di queste.
Tornando alla classificazione di Dente, le politiche per i migranti e per gli immigrati si concentrano nell'ambito
delle politiche territoriali e delle politiche sociali. Queste ultime sono il principale oggetto di analisi in questa
sede, perché sono l'ambito in cui il terzo settore è, per definizione, più attivo, soprattutto per quanto riguarda le
politiche di assistenza sociale (Ferrera 2006, 234). Ma l'azione complessiva delle associazioni del terzo settore
non può essere ridotta esclusivamente a tale ambito, per questo ritengo che sia più utile non restringere troppo il
campo di analisi, ma di tenere conto anche delle politiche che non rientrano completamente nelle sociali, fermo

6 Cfr. La denuncia di Ronchetti: “Caporalato in campagna”, “La Provincia Pavese”, 29 luglio 2012.
7 Questa tipologia è, già per l'autore, senza pretese di completezza; ma è comunque un utile criterio di partenza
per distinguere tra le diverse forme di politiche pubbliche.

6
restando che ciò non vuol dire negare a queste la loro preminenza.
Stabilito il campo di analisi, si tratta ora di affrontare il processo di policymaking, e il modo in cui il privato
sociale viene coinvolto o meno. Il processo di policy può essere scomposto in quattro fasi (Howlett e Ramesh,
2003): la formulazione dell'agenda, la formulazione delle politiche, la loro attuazione e la loro valutazione. Le
associazioni del terzo settore possono essere virtualmente presenti in tutte e quattro le fasi, ma in questa sede mi
concentrerò sulle prime tre, in quanto il momento della valutazione richiede strumenti e competenze che esulano
dall'argomento della ricerca. Gli attori coinvolti nelle politiche locali per gli immigrati e i migranti sono:
− le amministrazioni, quindi i governi locali, ma anche gli altri uffici pubblici coinvolti a diversi livelli
nella gestione dell'immigrazione o di questioni correlate: le prefetture, le aziende sanitarie locali, le
questure, i distretti scolastici, ecc.;
− i partiti politici, sia di maggioranza che di opposizione, fondamentali nell'orientare le politiche. Come
già detto, se la rilevanza del tema immigrazione è bassa nell'agenda politica locale può avvenire che i
partiti non agiscano molto sull'argomento, e quindi potrebbero essere considerati attori non influenti;
ma, anche ipotizzando un interesse nullo sull'argomento – ed è poco credibile – resta il fatto che sono
comunque i partiti a esprimere i componenti dei governi locali, e quindi una loro influenza comunque
c'è a prescindere, e occorre tenerne conto;
− i gruppi di interesse toccati dal tema dell'immigrazione. Possono variare molto a seconda del contesto
locale, ma possiamo individuare: a livello economico, le associazioni imprenditoriali e sindacali dei
settori lavorativi con maggior presenza di manodopera straniera8; a livello politico e sociale, i comitati
di cittadini nelle aree ad alta presenza migratoria e gli immigrati stessi, se hanno creato delle proprie
associazioni di rappresentanza o di mutua assistenza.
− le associazioni del privato sociale, che svolgono sia la funzione di imprese non profit fornitrici di
servizi sia il ruolo di gruppi di interesse pubblico, che pubblicizzano la tematica dell'immigrazione,
perorano le richieste degli immigrati, cercano di sensibilizzare l'opinione pubblica sulle problematiche
correlate e sull'interculturalismo.
Si noti che questi attori sono, su scala locale, gli stessi che possono partecipare al policymaking nazionale
sull'immigrazione. Ciò che cambia sono le modalità di interazione e i rapporti di forza: ad esempio, i gruppi di
interesse economici hanno più influenza nella stesura delle politiche di immigrazione, in cui le decisioni su chi e
quanti ammettere nel paese dipendono anche dalle necessità di manodopera dei settori produttivi. Al contrario, il
privato sociale, in quanto detentore di expertise e di presenza sul territorio, ha un ruolo più importante a livello
locale.
Prima di affrontare il processo di policy, bisogna tenere presente che tutti gli attori, a prescindere se siano guidati
da interessi economici o politici o da motivazioni ideali, devono formulare delle preferenze su come vorrebbero
gestire il fenomeno migratorio. Ovvero, a livello più o meno esplicito e più o meno coerente, devono fare delle
scelte rispetto a modelli di azione. Qui mi rifaccio a due tipologie: a un livello più generale riprendo la
classificazione dei modelli di integrazione che Pollini (1993, cit. in Pollini e Scidà 2002) costruisce sulla base

8 Einaudi (2007) nota che, nel dibattito parlamentare che ha portato all'approvazione della legge Turco-
Napolitano sull'immigrazione, il principale partito dell'allora opposizione di centro-destra, Forza Italia, si
distingueva dalle posizioni più nettamente di chiusura all'immigrazione di altri partiti di destra proprio per le
pressioni dei gruppi imprenditoriali, di cui il partito era il maggiore referente politico, per più ingressi,
necessari a soddisfare la loro domanda di manodopera.

7
delle sfere di integrazione (culturale, sociale, politica e economica), e che suddivide sulla base del tipo di
pluralismo:
− subordinazione: un modello di pluralismo ineguale in cui le minoranze sono divise dalla maggioranza,
con diritti compressi, ghettizzazione sociale e esclusione da certi settori del mercato del lavoro;
− corporativizzazione: un modello di pluralismo segmentario in cui tutti i gruppi presenti nella società
sono separati e in tensione tra loro, e tale divisione viene salvaguardata a livello sociale, politico e
economico;
− assorbimento: un modello di pluralismo residuale in cui agli individui vengono riconosciuti pari diritti
in base a un criterio universalistico, e i gruppi minoritari devono conformarsi alla cultura maggioritaria;
− coordinazione: un modello di pluralismo paritario in cui tutti i gruppi concorrono alla creazione di una
nuova cultura, senza discriminazioni e con l'intervento attivo dello stato per favorire questi processi.
A questa classificazione, che al di là della sua utilità ai fini di analisi e ricerca serve a indicare i modelli a cui si
ispirano gli attori impegnati sul tema dell'immigrazione, si affianca la tipologia di Zincone e Di Gregorio (2002)
sulle posizioni che gli attori possono assumere e sostenere nel processo di policy, posizioni distinte in base alle
attività concrete:
− solidarista: la priorità è incrementare i diritti degli immigrati;
− funzionalista: la priorità è regolare gli ingressi sulla base del fabbisogno;
− legalitaria: la priorità è reprimere l'irregolarità e la criminalità immigrata;
− identitaria: la priorità è favorire l'immigrazione di stranieri più simili agli italiani per cultura o
discendenza.
Questa tipologia, più facile da applicare nell'analisi del policymaking, si differenzia da quella di Pollini non solo
per il focus sulle politiche invece che sui modelli, ma anche perché, mentre i tipi di integrazione di Pollini sono
mutuamente escludentisi (possiamo immaginare una società che si evolve gradualmente da un modello di
subordinazione a un modello di coordinazione, ma i due tipi non possono esistere contemporaneamente), le
posizioni individuate da Zincone e Di Gregorio possono coesistere, a parte quella identitaria, e anzi è utile che le
politiche riescano a conciliare solidarismo e legalitarismo, se l'obiettivo è tutelare i diritti degli immigrati senza
causare reazioni di rigetto da parte dei cittadini italiani.

Sia a livello locale che nazionale, l'attore principale è il governo, a cui sta la scelta di come impostare il processo
di policy. Ritengo che l'approccio più adeguato per analizzare il comportamento degli enti pubblici sia quello
neocorporativo. Nonostante le numerose e giustificate critiche che il modello del neocorporativismo ha ricevuto
nel corso degli anni, sostengo che resta valido il nucleo centrale dell'approccio, così come è stato formulato da
Lehmbruch (1984), ovvero la partecipazione istituzionalizzata dei gruppi alla produzione delle politiche
pubbliche. Questo elemento, infatti, è presente anche negli approcci nati come critica al neocorporativismo, in
particolare quelli riconducibili alle reti di policy. I modelli di policy che ritengo più compatibili con lo studio
delle politiche locali sull'immigrazione sono l'issue network (Heclo 1978) e le policy community (Rhodes e
Marsh 1992). Entrambi i tipi indicano reti di policy in cui attori di diversa natura – governi, gruppi di interesse,
burocrati, esperti – interagiscono nel processo decisionale; ciò che le distingue è l'estensione e l'apertura di tali
reti, più ampie nell'issue network, più ridotte e impermeabili nelle policy community (Mattina 2010, 52-56). Con
questo approccio è possibile analizzare il processo decisionale nel complesso. Per quanto riguarda in particolare

8
il ruolo del privato sociale, ritengo utile integrare l'approccio delle reti di policy con la tipologia proposta da
Pavolini (2003) dei modelli relazioni tra ente pubblico e organismi del terzo settore, definiti in base al
coinvolgimento di queste ultime nel processo decisionale:
− accreditamento: l'ente pubblico seleziona le associazioni del terzo settore con cui collaborare in base a
criteri qualitativi da esso definiti.
− mutuo accomodamento: il terzo settore non partecipa alla definizione delle politiche e ottiene
finanziamenti senza vincoli di utilizzo e controlli.
− vendor: il terzo settore è “reclutato” dall'ente pubblico come fornitore di servizi in un'ottica di riduzione
dei costi.
− negoziazione: il terzo settore è coinvolto nella definizione e implementazione delle politiche.

Ipotesi di ricerca
Il mio studio, come approfondirò più in avanti, sarà condotta con metodi di tipo qualitativo. Per strutturare
meglio l'analisi delle modalità di coinvolgimento del privato sociale nelle politiche migrazione farò ricorso a tre
ipotesi di ricerca.
La prima, di carattere più generale, riprende quanto detto nel sottoparagrafo precedente: assumo che i governi
locali, nel policymaking sull'immigrazione, adottino un approccio neocorporativo che prevede la partecipazione
istituzionalizzata di determinati attori al processo decisionale. Si noti che, in Italia, l'istituzionalizzazione della
partecipazione degli attori non pubblici è stata già prevista a livello nazionale con l'istituzione dei consigli
territoriali per l'immigrazione, che lavorano su base provinciale, e che sono tavoli consultivi tra enti locali,
prefetture e associazioni. Il senso di questa ipotesi è quindi che tale coinvolgimento è perseguito concretamente
dai governi locali, e non resta una semplice dichiarazione di intenti.
Il ruolo dell'ente pubblico è, quindi, soprattutto di coordinamento e finanziamento, ma in che proporzione si
presentano questi due elementi? La sopraccitata classificazione di Pavolini si basa proprio sulla gradazione di
questi due ruoli. La mia seconda ipotesi è che, quanto più l'immigrazione diventa un tema rilevante nell'agenda
politica locale, tanto più il governo locale tende a assumere una funzione di orientamento e coordinamento, e a
svolgere un ruolo centrale. Se invece il tema pesa meno, la tendenza è a delegare a privati non solo la messa in
atto delle politiche, ma anche parte importante del processo decisionale (es. si danno i finanziamenti alle
associazioni lasciando carta bianca per il loro utilizzo; modello del mutuo accomodamento). Tuttavia, il
completo disimpegno delle amministrazioni locali è un caso estremo che difficilmente si può verificare, anche a
causa dell'aumento dell'attenzione e dei controlli sull'utilizzo dei fondi pubblici. Inoltre, il coinvolgimento delle
associazioni nel processo decisionale non avviene solo in forma di delega, ma dipende anche dall'orientamento
politico dei governi locali sulle questioni migratorie: le amministrazioni che danno più peso alla posizione
legalitaria o identitaria coinvolgeranno meno le associazioni nel processo decisionale, quelle più vicine a una
posizione solidarista saranno più aperte a concertazione e partenariato.
Infine, bisogna tenere presente che le amministrazioni locali nelle loro scelte non possono basarsi esclusivamente
su considerazioni elettorali o preferenze ideologiche, ma devono tenere conto della situazione concreta in cui
agiscono: quali e quante sono le risorse a loro disposizione, quali sono i vincoli nazionali che devono rispettare,
quali sono i soggetti dotati delle competenze necessarie per applicare le misure prese, ecc. Nel caso particolare
delle politiche immigratorie, soprattutto nei primi anni del fenomeno, le associazioni già presenti e attive sul

9
territorio nell'ambito dell'accoglienza hanno supplito agli eventuali buchi dell'operato delle amministrazioni
locali, in particolare di quelle che hanno iniziato più tardi a affrontare il problema. Questa presenza si traduce in
un bagaglio di esperienze spesso difficilmente sostituibili, e in una rete di conoscenze con gli enti pubblici
preposti al settore; si crea quindi una situazione di vantaggio rispetto ad altre associazioni del terzo settore, e una
capacità di influenzare le scelte dell'amministrazione. Un altro elemento di vantaggio è quello delle associazioni
più grandi, presenti su tutto il territorio nazionale – ad esempio i sindacati, o le associazioni di origine cattolica o
nate come braccia sociali del movimento socialista e comunista – che sono in grado di differenziare le loro
attività e di creare al proprio interno sezioni ad hoc sulla questione dell'immigrazione. Spesso queste
associazioni hanno già, in altri settori delle politiche sociali o del lavoro, una posizione di influenza sugli enti
locali, e per questo tendono a “monopolizzare” anche altri settori per mantenere il proprio vantaggio, a scapito
così delle associazioni più piccole, nate sul territorio e che hanno meno possibilità di accedere in un sistema già
rodato. La mia terza ipotesi è che questa disparità all'interno del privato sociale si traduca in una competizione
tra le diverse associazioni per avere influenza nel processo di policy. In questo senso, le proposte di progetti e
attività avanzate da esse ai governi locali sarebbero miranti non solo a offrire le risposte più adeguate alle
problematiche dell'immigrazione, ma anche a favorire se stessi rispetto a associazioni concorrenti, e questo
sarebbe più vero quanto più le associazioni dipendono economicamente dai fondi pubblici. In una scenario di
concorrenza, la natura multilivello della governance dell'immigrazione può offrire uno strumento alle
associazioni minori che, escluse dal policymaking locale, possono tentare di ricorrere a finanziamenti da bandi
nazionali e europei, rompendo così gli equilibri preesistenti tra amministrazioni locali e associazionismo.

Metodologia
Per sottoporre a verifica empirica le tre ipotesi, ricorrerò a una ricerca sul campo basata su interviste aperte. Gli
intervistati saranno persone coinvolte in prima persona nella gestione del fenomeno immigratorio:
− politici: presidenti e assessori provinciali, assessori del comune capoluogo e dei principali comuni
provinciali per presenza migratoria; eventualmente, se dalle altre interviste dovesse risultare utile,
dirigenti locali dei partiti di maggioranza e opposizione;
− funzionari pubblici: impiegati di enti pubblici che, a livello amministrativo, sono coinvolti nelle
politiche per gli immigrati e i migranti. Quindi addetti e tecnici dei comuni e delle province, prima di
tutto; poi i responsabili per l'immigrazione nelle prefetture e nelle aziende sanitarie locali; esponenti di
altri eventuali soggetti (es. Università e distretti scolastici) coinvolti in progetti o attività
sull'immigrazione;
− associazionismo: rappresentanti di sindacati che si occupano di immigrazione; i dirigenti dei centri di
servizio per il volontariato, che sono l'anello di congiunzione tra la pubblica amministrazione e
l'associazionismo; esponenti di associazioni del settore; esponenti di associazioni di stranieri, se
esistono; personalità coinvolte a titolo individuale nella questione migratoria.
Le interviste partiranno da una serie di domande comuni – distinte per le tre tipologie di soggetti intervistati –
sulla base delle quali si svilupperà un dialogo in cui le tematiche saranno approfondite in maniera diversa a
seconda del genere di risposte. L'obiettivo comune a tutte le interviste è quello di descrivere i rapporti tra i vari
attori del processo di policy, in modo da realizzare una mappa del policymaking migratorio nei due casi di studio.
Quando il lavoro sul campo sarà terminato, i risultati della ricerca saranno organizzati in maniera tale da fare una

10
comparazione tra la provincia di Pavia e quella di Foggia, in modo da verificare se è possibile delineare o meno
un modello comune di policymaking sull'immigrazione per i governi locali italiani.
Le interviste sono il nucleo principale della mia ricerca, ma perché siano condotte bene è necessario un lavoro
preparatorio adeguato. Per questo, nella prima fase di ricerca, oltre allo studio della letteratura esistente, ho
analizzato altri due tipi di materiale:
− politico: gli articoli di cronaca politica dei principali giornali locali (“La Provincia Pavese” e l'edizione
foggiana de “La Gazzetta del Mezzogiorno”) pubblicati durante le campagne elettorali per le elezioni
amministrative comunali e provinciali, e i programmi elettorali – quando disponibili – dei principali
partiti e candidati per le stesse. Questa analisi serve sia a verificare il rilievo dato al tema
dell'immigrazione nelle campagne elettorali sia i tipi di discorsi adottati dai diversi soggetti politici, per
misurare il grado di divergenza;
− istituzionale: tutti i documenti riguardanti l'immigrazione che hanno un'influenza sulle politiche locali.
Quindi le direttive e le raccomandazioni comunitarie, le leggi nazionali, le leggi delle regioni
Lombardia e Puglia, i programmi operativi regionali per la programmazione europea 2000-2006 e
2007-2013, le ordinanze provinciali e comunali. A questi documenti pubblici si affiancano le analisi dei
report sulla situazione migratoria nelle due province, condotte sia da istituti di ricerca (i già citati ISMU
e OPIF) sia da associazioni e sindacati.
Condurrò le interviste in più cicli, la previsione attuale è di quattro, due per caso di studio. Al momento è
concluso il primo ciclo, consistente di diciotto interviste, condotto in provincia di Foggia, dove sono stati
intervistati assessori e tecnici della provincia di Foggia e dei comuni di Foggia, Manfredonia e Lucera, dirigenti
e rappresentanti dell'azienda sanitaria locale, del centro di servizio per il volontariato e dell'Università, e nove
esponenti di associazioni di volontariato.

3. La ricerca: contesto e risultati preliminari


L'immigrazione nelle province di Foggia e Pavia
La storia migratoria delle province di Foggia e Pavia presenza sostanziali differenze: a Foggia, come in tutta la
Puglia, il tema dell'immigrazione diventa importante con i drammatici eventi del 1991, quando, in seguito alla
crisi del regime comunista in Albania, decine di migliaia di albanesi in fuga arrivano a Bari in navi stipate
all'inverosimile. È proprio in questa occasione – che segna, da un punto di vista simbolico, la definitiva
trasformazione dell'Italia in paese di immigrazione – che alcuni religiosi dell'ordine degli Scalabriniani creano a
Borgo Mezzanone un centro di accoglienza per immigrati, sulla cui base nascerà in seguito il centro istituzionale
cui si è già accennato, una struttura che ha finito per far sviluppare in Capitanata le attività di accoglienza per
rifugiati e richiedenti asilo. La provincia di Pavia ha avuto un'esperienza diversa: un territorio a vocazione sia
agricola sia industriale, vicino all'area metropolitana di Milano, la sua storia di immigrazione è in linea con
quella delle regione Lombardia, che ha iniziato ad attirare immigrati extraeuropei sin dalla fine degli anni
Settanta, nei settori edilizio, domestico e industriale. L'immigrazione nel pavese è quindi più che trentennale, e
prova ne sia il gran numero di associazioni di stranieri, in cui appaiono nazionalità ormai minoritarie nei flussi
migratori più recenti9, mentre in provincia di Foggia simili associazioni sono ancora poche, anche se secondo
alcuni degli intervistati ci sono associazioni allo stato embrionale che si stanno sviluppando.

9 Cfr. http://www.stranieripavia.it/associazionistranieri.

11
Il diverso livello di associazionismo degli stranieri non è dovuto solo alla maggiore o minore lunghezza del
periodo di immigrazione, ma anche al tipo di presenza migratoria. I dati ISTAT mostrano che, a fronte di una
crescita costante dell'immigrazione in entrambe le province nell'ultimo decennio (tabella 1), al 31 dicembre 2010
gli stranieri residenti in provincia di Pavia sono il 9,66% della popolazione, mentre in Capitanata sono solo il
3,21%. Ma agli immigrati presenti stabilmente sul territorio si devono aggiungere gli stagionali che si spostano
da una regione (o da un paese) all'altra in base ai periodi di raccolta agricola, e che sono parecchie migliaia a
Foggia d'estate, per la raccolta del pomodoro. È più difficile dare numeri precisi su questi immigrati, anche e
soprattutto perché tra loro molto alta è l'incidenza degli irregolari, di certo superiori all'8% di irregolari stimati in
provincia di Pavia [ORIM 2011]. Se le principali nazionalità presenti in entrambe le province sono le stesse più
diffuse su tutto il territorio italiano (albanesi, marocchini, romeni, questi ultimi diventati dopo l'ingresso in UE il
gruppo principale), vediamo che in provincia di Pavia c'è una presenza importante di immigrati dall'America
centrale e meridionale (dominicani, peruviani e ecuadoriani) e di una forte comunità egiziana, mentre in
provincia di Foggia sono preponderanti gli immigrati provenienti dall'Europa orientale e balcanica (tabelle 2 e
3).
L'immigrazione in Italia è soprattutto lavorativa, ma in questo ambito un ostacolo alla comparazione tra le
situazioni delle due province è l'assenza di dati per gli anni più recenti per la provincia di Foggia, visto che,
come si è detto, l'istituto che si occupava di queste ricerche, l'OPIF, ha cessato le attività nel 2008. Tuttavia,
anche se i dati presenti nelle tabelle 4 e 5 non si riferiscono allo stesso periodo temporale, offrono comunque
informazioni utili sui principali settori di lavoro: in particolare, si vede che in entrambe le province il lavoro
femminile si concentra nel lavoro domestico (che, nei dati per Foggia, rientra nel settore “altre attività”), mentre
il lavoro maschile si concentra nel lavoro dipendente in industria ed edilizia in provincia di Pavia,
nell'agricoltura in provincia di Foggia. Da notare che tra gli stranieri in provincia di Pavia l'impiego in
agricoltura è estremamente ridotto, probabilmente per il maggior ricorso a sistemi meccanizzati (nonché per la
diversità del tipo di colture) rispetto alla Capitanata.

Dopo aver descritto la situazione migratoria delle due province, sarà utile, per inquadrare meglio il
comportamento dei vari attori, descrivere il contesto regionale a livello di politics.
Si è già specificato quanto l'immigrazione sia un tema fondamentale nell'agenda politica nazionale. Tale rilievo
ha avuto ricadute locali non indifferenti. Dal 1995 (anno delle prime elezioni regionali con elezione diretta del
presidente di regione, e anche prima tornata elettorale in cui si sono presentate le coalizioni politiche che, con
poche variazioni, hanno dominato la scena politica italiana sino al 2011), la Lombardia è governata da coalizioni
di centrodestra a guida di Roberto Formigoni, e dal 2000 tali alleanze includono anche la Lega Nord. La Puglia
ha invece subito un'alternanza politica nel 2005 quando, dopo due giunte di centrodestra, è stato eletto presidente
regionale Nichi Vendola, allora esponente di Rifondazione comunista, sostenuto da una coalizione di
centrosinistra. La vittoria di Vendola avvenne in un periodo in cui era forte, da sinistra, la polemica nazionale
contro la legge Bossi-Fini sull'immigrazione, in particolare contro l'istituto dei centri di permanenza temporanea
(CPT)10. Infatti, pochi mesi dopo le elezioni regionali del 2005, i presidenti di regione di centrosinistra presero

10 In realtà i CPT sono stati introdotti nel 1998 con la legge Turco-Napolitano, di cui la Bossi-Fini è una
modifica in senso restrittivo.

12
congiuntamente posizione contro i CPT11, e anche in anni successivi Vendola ha polemizzato con i governi
nazionali di centrodestra sul tema dell'immigrazione. Tuttavia, a questa opposizione tra giunta regionale e
governo nazionale non corrisponde una simile polarizzazione tra destra e sinistra a livello regionale. La
precedente giunta di centrodestra, infatti, non aveva promosso politiche restrittive sull'immigrazione, e quindi su
questo tema l'alternanza politica non ha portato a una reale discontinuità nelle politiche. Un esempio degno di
nota a conferma di ciò è stato fatto da uno degli intervistati, che ha ricordato come uno degli ultimi
provvedimenti della giunta di Raffaele Fitto (il predecessore di Vendola) sia stato quello di istituire quattro centri
interculturali, pensati sia come sportelli assistenziali sia come luoghi di integrazione, su tutto il territorio
pugliese.
In Lombardia, invece, troviamo una situazione quasi opposta: assenza di conflitto tra giunta regionale e governo
nazionale, anche nei periodi in cui governava il centrosinistra, ma forti polemiche interne sulle politiche per gli
immigrati. Si deve sottolineare che le giunte Formigoni sono esposte a due tipi di pressioni diverse: da un lato
quelle della Lega Nord, partito populista da sempre sostenitore di politiche migratorie restrittive e ispirate a un
modello di subordinazione, dall'altro quelle del mondo cattolico che, anche nelle sue espressioni più
conservatrici (come Comunione e liberazione, cui Formigoni è molto vicino), dà molta importanza alla
solidarietà, al volontariato, all'accoglienza. Negli anni più recenti il peso degli approcci di chiusura è aumentato,
sia per il rafforzamento elettorale della Lega Nord, basato proprio sulle parole d'ordine della lotta
all'immigrazione, sia per l'allontanamento di parte del mondo cattolico dal centrodestra. Di conseguenza, dal
2008 molte amministrazioni comunali e provinciali del Nord Italia, e in Lombardia in particolare, hanno emanato
ordinanze discriminatorie contro gli immigrati, come ad esempio l'espulsione degli stranieri nel periodo delle
festività12 o il divieto di vendere “cibi etnici”. Quest'ultimo è stato adottato anche dall'amministrazione regionale
lombarda13, e ha ricevuto critiche durissime dall'opposizione di centrosinistra. Paradossalmente, quindi, sembra
che in Lombardia, nonostante la stabilità nel tempo del governo regionale, le politiche migratorie abbiano
sperimentato una trasformazione più forte che non in Puglia.
Andiamo ora a esaminare i due casi di studio: da un punto di vista politico, entrambe le province evidenziano
una differenza di orientamento tra il capoluogo e il resto del territorio; questa differenza è più netta nel caso della
Capitanata, dove il capoluogo Foggia ha da sempre una tradizione conservatrice, con forte radicamento dei
monarchici prima e del Movimento sociale poi, mentre le aree rurali del Tavoliere sono state una delle prime
zone di radicamento del movimento socialista nel Sud, radicamento accentuatosi grazie all'operato del segretario
della CGIL negli anni Quaranta e Cinquanta, Giuseppe Di Vittorio. Questa dicotomia, negli ultimi decenni, si è
tradotta in coalizioni di centrosinistra al governo della provincia, e di centrodestra al governo della città. Una
situazione opposta è quella di Pavia, dove la sinistra ha governato il capoluogo ed è rimasta all'opposizione in
provincia; se in questo caso parlo di una differenza più sfumata è perché l'elettorato del capoluogo, mentre
votava sindaci di sinistra, si orientava verso il centrodestra e la Lega nelle elezioni nazionali (per esempio, nel
1996, alle elezioni comunali i partiti di centrosinistra hanno ottenuto, complessivamente, il 47,3% dei voti, ma
solo il 39,3% nelle concomitanti elezioni politiche). Tuttavia, negli anni più recenti queste tradizioni di voto si
sono tutte indebolite: nel 2004 per la prima volta a Foggia diventava sindaco un esponente del centrosinistra,

11 Quattordici regioni contro i CPT per i diritti dei migranti, “l'Unità”, 11 luglio 2005.
12 Un bianco Natale senza immigrati. Per le feste il comune caccia i clandestini, “la Repubblica”, 18 novembre
2009.
13 La Lombardia e la legge anti-kebab, “Corriere della sera”, 22 aprile 2009.

13
mentre nel 2008 la provincia passava al centrodestra; a Pavia il centrosinistra ha perso il governo del capoluogo
nel 2009, in seguito allo scioglimento anticipato della giunta precedente, ma nel 2011 si è imposto nelle elezioni
provinciali, sino ad allora vinte dal centrodestra.

Il policymaking migratorio
Questi numerosi casi di alternanza, anche se recenti, permettono di verificare se c'è stato o meno un
cambiamento di approccio nelle politiche migratorie. Una prima – e ancora incompleta – analisi del materiale
elettorale delle tornate amministrative sopraccitate sembra indicare che il tema dell'immigrazione non ha avuto
molta rilevanza in nessuna delle due province. Se dal momento della campagna elettorale si passa a quello delle
dichiarazioni di intenti delle amministrazioni in carica, si trovano degli elementi che paiono confermare l'assenza
di polarizzazione politica su questo tema, o addirittura una convergenza di vedute tra destra e sinistra. Mi
riferisco a dei brevi brani firmati da assessori provinciali di giunte di centrodestra per introdurre ricerche
sull'immigrazione. Nel 2008 l'assessore alle politiche sociali della provincia di Foggia scrive nella presentazione
della già menzionata ricerca di Curci sul caporalato:
La nostra Provincia ha espresso nella sua storia il bisogno di comunità e di interdipendenza fuori
dagli schemi del nazionalismo e dell’intolleranza. In questo senso, è multirazziale e multiculturale
già nelle radici […]. L’immigrazione e il consolidamento della presenza straniera nel nostro
territorio necessitano di servizi e infrastrutture sociali sempre più qualificati, atti a rendere migliori
le condizioni di vita degli immigrati, a favorire il processo di integrazione;
mentre nella presentazione del rapporto 2010 dell'ORIM sull'immigrazione straniera in
provincia di Pavia l'assessore alle politiche per la coesione sociale e sicurezza dice:
L’ottavo rapporto sull’immigrazione straniera nella provincia di Pavia [...] è anche l’occasione,
partendo dalle preziose informazioni che esso ci restituisce, per programmare azioni positive
affinché il fenomeno, che talvolta viene rappresentato come un problema, diventi invece una
opportunità.
[…] È innegabile che l’immigrazione porti con sé dei problemi, ma è altrettanto necessario che il
fenomeno non lo si affronti lasciandosi guidare dalla paura e dall’emotività che sono sempre
irrazionali e cattive consigliere. Compito di ogni amministrazione locale, che in un difficile
momento socio economico come l’attuale deve con più vigore impegnarsi nel perseguire il bene
comune, è quello di conoscere e studiare il fenomeno migratorio, prendere coscienza della sua
natura strutturale e governarlo, valorizzandone le opportunità positive.
[…] Il futuro dell’Europa, e dunque anche quello della nostra provincia, è legato indissolubilmente
alle politiche di coesione e di integrazione sociale che riusciremo tutti insieme ad attuare; il futuro
di ciascuno di noi dipende dal tipo di società che la politica oggi è in grado di progettare. [...] gli
stranieri immigrati sono portatori di valori e che la loro presenza costituisce un’opportunità da
saper cogliere attraverso un’opera efficace di formazione della mentalità e delle coscienze, sia
degli “ospitanti” che degli stessi immigrati.
Non bisogna sopravvalutare queste frasi: esse sono pur sempre dichiarazioni di principi
generiche, quasi atti di cortesia istituzionale, e nel contesto di lavori di ricerche che

14
raggiungono solo un pubblico specialistico, di “addetti ai lavori”, e non certo la massa dei
cittadini-elettori. Ma comunque, il fatto che politici di centrodestra adottino un linguaggio
che, a livello di politica nazionale, e anche in molti enti locali, sembra appannaggio della
lettura di sinistra dell'immigrazione, deve far pensare che anche nel momento delle politiche
effettive ci sia una continuità a livello di attività e progetti tra giunte di colore differente.
Nel primo ciclo di interviste compiuto in provincia di Foggia, i soggetti istituzionali
confermano questa continuità. L'assessore provinciale alle politiche sociali ha dichiarato che,
essendo la maggior parte degli interventi per gli immigrati di carattere sociale e non politico14,
la scelta è stata di tenersi in continuità con l'operato della precedente giunta di centrosinistra,
portando avanti i migliori progetti ereditati. Anche un dirigente dell'assessorato comunale ai
servizi sociali del capoluogo ha confermato che i cambi di maggioranza al comune non hanno
influito sull'approccio delle politiche, sia per quanto riguarda i contenuti sia per il
coinvolgimento delle associazioni nel processo decisionale. L'assessore alle politiche sociali
del comune di Manfredonia, dove invece è stabile da parecchi anni una maggioranza di
centrosinistra, ha rimarcato che i provvedimenti per gli immigrati non sono oggetto di
conflitto o critica da parte dell'opposizione di centrodestra, e questo nonostante gli impiegati
dei servizi sociali a volte ricevano critiche da alcuni utenti – cittadini italiani di Manfredonia –
che lamentano un presunto accesso preferenziale degli immigrati ad alcuni servizi, in
particolare quello abitativo15.
Questa uniformità di giudizio si incrina, ma non si infrange, nelle dichiarazioni degli operatori
del terzo settore. Gli intervistati sinora non rappresentano la maggioranza delle associazioni
attive sul territorio sul tema dell'immigrazione, e quindi i risultati sono lungi dall'essere
definitivi, ma ci sono almeno tre tipi di opinioni che emergono: alcuni confermano la
continuità nell'operato delle giunte, e sostengono di avere rapporti positivi con le stesse e gli
altri soggetti pubblici, come la prefettura; altri, pur concordando sull'assenza di differenze
politiche, danno un parere più negativo sull'operato delle amministrazioni, accusate di scarso
interesse o vera propria indifferenza, e degli uffici, tacciati di eccessiva burocrazia; infine c'è
chi, a proposito dell'operato della provincia, sostiene che con il cambio di maggioranza del
2008 c'è stato un peggioramento del rapporto tra ente e associazioni, in quanto nella giunta

14 Questa distinzione, che riprendo testualmente dall'intervista, tra sociale e politico è indicativo di come la
convergenza tra destra e sinistra sulle politiche migratorie possa passare solo per una depoliticizzazione della
stessa, e quindi per la rinuncia su una visione più ampia di cosa debba essere l'immigrazione per la società di
destinazione.
15 Lamentele di questo tipo sono espressioni di un malcontento leggero verso gli immigrati che è stato riferito
anche da altri, ma non si va oltre manifestazioni di questo tipo. Quasi tutti gli intervistati concordano nel dire
che in provincia di Foggia non ci sono fenomeni rilevanti di razzismo o xenofobia, e in effetti anche le
cronache non riportano atti violenti contro gli immigrati, a parte un caso isolato nel 2009.

15
precedente l'assessore alle politiche sociali, un medico molto attento alle questioni sociali, era
stato molto attivo non solo nell'affrontare tutte le problematiche correlate all'immigrazione,
dalle questioni più generali ai casi dei singoli, ma anche nel promuovere il fare rete tra ente
pubblico e associazioni; secondo questi ultimi intervistati, con la nuova giunta tale attivismo
sarebbe venuto meno, sostituito da un'attenzione di facciata e da un atteggiamento meno
propositivo. Anche in questo caso, però, non è la continuità della politica a essere messa in
dubbio, in quanto il fattore che avrebbe portato a un peggioramento nel rapporto tra
istituzione e privato sociale (un rapporto che, va ricordato, per altri intervistati non è
peggiorato) è di natura personale, slegato dagli indirizzi della nuova giunta.
Considerazioni simili sono state fatte anche per quanto riguarda le amministrazioni comunali.
A Foggia, dopo le elezioni del 2009 che hanno confermato li centrosinistra al governo della
città, ma con un sindaco di provenienza tecnica e con una maggioranza allargata all'Unione di
centro, nella giunta c'è stato un cambiamento in seguito al quale è stato soppresso
l'assessorato specificamente preposto all'immigrazione, mentre il nuovo assessore alle
politiche sociali ha dimostrato meno interesse verso le potenzialità professionali del terzo
settore. Situazione molto diversa a Manfredonia, dove l'assessore ai servizi sociali è stabile
nel ruolo da otto anni, e proviene proprio dal mondo dell'associazionismo. Questo si è tradotto
in una maggiore disponibilità e prontezza del comune di Manfredonia ad aderire alle
iniziative, istituzionali e non, in tema di immigrazione, come riconosciuto dagli stessi
operatori delle associazioni e da altri soggetti intervistati. Queste considerazioni sembrano
indicare che, se discontinuità c'è, non è tanto al livello delle politiche migratorie, ma a quello
più ampio delle politiche sociali nel complesso: e la divergenza è tra chi cerca di promuovere
consapevolmente un modello negoziale di welfare mix, basato su una interazione sinergica
costante tra enti pubblici e associazioni, e chi invece sceglie un approccio di corto respiro,
legato a una immagine più tradizionale del settore nonprofit.
Si noti che a queste due visioni dei politici corrisponde una dicotomia simile anche
all'interno dell'associazionismo stesso: nelle interviste condotte sinora emerge abbastanza
chiaramente la divisione tra chi vede il proprio operato come una forma di assistenza
caritatevole (quindi figlia della concezione tradizionale e di matrice cattolica del
volontariato), ma slegata da una visione più ampia del ruolo degli immigrati nella società di
arrivo, e chi invece dichiara la necessità di andare oltre e di avviare processi di integrazione in
cui gli immigrati sono soggetti attivi: quindi una presa di posizione esplicita a favore del
modello di coordinazione. Dalle interviste risulta che le associazioni del primo tipo sono
quelle che dichiarano rapporti migliori con gli enti pubblici, mentre le seconde risentono di

16
più delle timidezze e delle lentezze burocratiche. Allo stesso modo, i funzionari degli
assessorati di Foggia e Lucera e l'assessore provinciale, alla domanda su quali fossero le
principali attività messe in campo per l'immigrazione hanno indicato prima di tutto progetti
rivolti all'accoglienza, alla tutela dei rifugiati, all'assistenza per stranieri sfruttati nella
prostituzione, mentre molto meno è stato detto su politiche di integrazione o incorporazione.
Bisogna però specificare che la differenza di posizioni tra le associazioni, per quanto
chiaramente espressa, non implica difficoltà o diffidenza reciproca nella collaborazione. Anzi,
diversi intervistati hanno detto che negli ultimi anni la capacità di fare rete dei vari soggetti
impegnati sull'immigrazione è molto aumentata rispetto al passato. Il luogo deputato per
questa rete è il consiglio territoriale per l'immigrazione, ospitato dalla prefettura, ma come ha
fatto notare uno degli intervistati l'utilità di tale luogo istituzionale per il dialogo tra tutti gli
attori è amplificata quando a coordinare l'attività ci sono persone competenti e interessate al
tema, e non semplici burocrati. Nel caso specifico, lo sviluppo della rete è attribuito
all'operato del già citato assessore provinciale di centrosinistra, che avrebbe dato così un
contributo fondamentale alla forma del sistema provinciale delle politiche migratorie.
Un passaggio fondamentale nella costruzione della rete è stato il progetto “NonSoloBraccia”,
pensato per la sensibilizzazione e la condivisione di strumenti sul tema delle condizioni di vita
degli immigrati impegnati nel lavoro agricolo, che è stato patrocinato da undici comuni della
provincia e ha coinvolto oltre venti associazioni, tra cui l'Arci, l'Acli, la Cgil e varie
associazioni locali. Il valore di questo progetto non è stato tanto nei risultati effettivi –
l'assessore ai servizi sociali di Manfredonia, quando si è discusso della possibilità di una
seconda edizione del progetto, ha posto il problema di portare contenuti innovativi, e di non
creare “l'ennesimo sportello” - ma appunto nell'instaurazione di un dialogo e di una
collaborazione continuativi tra soggetti diversi.
Questa collaborazione coinvolge anche le due tipologie che ho citato nelle ipotesi di ricerca. I
soggetti intervistati escludono casi di competizione tra le associazioni nate sul territorio e le
diramazioni delle associazioni nazionali. La competizione, sostiene il direttore del centro di
servizio per il volontariato, avviene solo nei casi di bandi, dove peraltro è ovvia e positiva, ma
in generale non vi sono rivalità e conflitti. Per spiegare questa situazione gli intervistati hanno
indicato due fattori: innanzitutto, essendo ogni associazione specializzata in una certa
tipologia di azione, e presentando la provincia di Foggia diversi tipi di immigrazione, ognuno
con le sue peculiarità e le sue problematiche (gli stagionali nelle campagne, i richiedenti asilo
nel campo di Borgo Mezzanone, gli irregolari nei “ghetti” come quello di Rignano Garganico,
i rifugiati a Manfredonia), non ci sono molti casi di sovrapposizione e di competenze; ci sono

17
stati in passato, in un momento in cui, stante il minore coordinamento e dialogo fra i vari
attori, alcuni progetti tendevano a proporre le stesse attività. L'altro fattore è la riduzione dei
fondi pubblici per le politiche migratorie, di fronte alla quale molte associazioni sono
diventate consapevoli che, senza cooperazione e supporto reciproco, il lavoro sarebbe
diventato impossibile16.
Tra le associazioni nazionali occorre distinguere tra quelle che hanno già una presenza
consolidata sul territorio, come è il caso dei sindacati, delle Arci e delle Acli, e della Caritas, e
quelle che invece hanno iniziato a operare in provincia di Foggia negli anni più recenti: è il
caso di associazioni come Emergency e Medici senza frontiere, che sono intervenute sul
problema delle condizioni di vita dei migranti impiegati nel lavoro agricolo. Medici senza
frontiere ha denunciato in alcuni dossier (Medici senza frontiere 2005 e 2007) le pessime
condizioni di salute degli immigrati nella raccolta del pomodoro, ha creato delle cliniche
mobili e in seguito ha firmato protocolli di intesa con la regione Puglia e l'azienda sanitaria
locale per garantire accoglienza e accesso servizi ai lavoratori stagionali; mentre Emergency,
negli anni successi allo scandalo dei polacchi ridotti in schiavitù, ha firmato un protocollo di
intesa con la ASL di Foggia per portare assistenza sanitaria nei campi con un caravan adibito
a ambulatorio mobile. Questa iniziativa ha avuto buoni risultati e ha riscosso notevole
apprezzamento, tanto che nella sua seconda edizione, nell'estate 2012, vi ha preso parte anche
la regione Puglia, che ha offerto il suo supporto.
Ho citato questo esempio perché è interessante vedere come Emergency è stata coinvolta :
l'idea di portare assistenza sanitaria nelle campagne è nata nell'ambito del gruppo di lavoro
per la tutela della salute dei migranti che stato istituito cinque anni fa all'interno dell'azienda
sanitaria locale per iniziativa spontanea di un gruppo di medici; il nome di Emergency – sino
ad allora non presente sul territorio foggiano, a parte un piccolo gruppo di sostegno – come
partner per l'iniziativa è stato fatto dal dirigente della cooperativa sociale che gestisce il centro
interculturale Baobab di Foggia; in questo caso, quindi, non solo realtà locali e nazionali
collaborano, ma addirittura le associazioni locali invitano esterni a lavorare nel territorio. La
rete creatasi nel tempo si dimostra non solo funzionante, ma anche in grado di ampliarsi e di
coinvolgere nuovi soggetti, nonostante i suoi promotori originari non ricoprano più le loro
cariche istituzionali.

16 Una consapevolezza che non sembra emergere tra le associazioni che gestiscono il CARA, dove i fondi sono
molto più consistenti, in quanto coinvolgono le politiche per il controllo delle frontiere. Qui una querelle tra
gli enti gestori che si sono succeduti (la Croce Rossa prima, il consorzio Connecting people poi) ha creato
problemi sfociati nel licenziamento di molti operatori attivi nel campo. Una valutazione critica della gestione
del campo e dello scarso coinvolgimento degli ospiti si trova in Colangelo (2009).

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Inoltre, si evidenzia il ruolo dell'azienda sanitaria locale, in cui il gruppo di lavoro per la tutela
della salute dei migranti ha promosso protocolli di intesa con decine di associazioni, oltre alle
due già citate, e ha fatto opera di pressione sulla giunta regionale per istituire ambulatori
dedicati per i migranti in tutte le ASL pugliesi. Anche qui l'elemento personale è importante,
in quanto il coordinatore del gruppo è un dirigente dell'ASL con formazione sociologica, e
fautore della sussidiarietà nelle politiche di welfare17.
Le attività messe in campo per gli immigrati che lavorano nelle campagne offrono altri
esempi utili per questa ricerca. Dopo la denuncia dei casi di sfruttamento la regione Puglia ha
promulgato una legge per contrastare il caporalato che ha suscitato molti apprezzamenti, ma
che non è entrata in vigore per la mancata definizione di alcuni parametri tecnici (Perrotta e
Sacchetto 2012, 51-52). Risultati migliori sono venuti dalle attività svolte per fornire servizi e
condizioni di vita più dignitose ai braccianti stranieri; in questo ambito vi sono state già
numerose iniziative, a partire dalle campagne della federazione agricola della CGIL contro il
lavoro nero, o il già citato progetto “NonSoloBraccia”. La regione, partendo dalla
consapevolezza che uno dei modi per garantire l'assoggettamento dei migranti nel sistema del
caporalato è la trattenuta dagli stipendi dei braccianti di forti somme per vitto e alloggio, ha
promosso la nascita dell'albergo diffuso, una struttura dove gli immigrati possono dormire e
consumare pasti a prezzi molto ridotti. Partito dalla regione, il progetto si è concretizzato in
due alberghi diffusi, a Foggia e Cerignola, che sono stati affidati in gestione dai rispettivi
comuni alla cooperativa sociale Arcobaleno, che gestisce anche il sopraccitato centro
interculturale Baobab. Questo progetto è esemplare di un certo tipo di comportamento
evidenziato da vari intervistati provenienti dal privato sociale: governi locali (in particolare i
comuni) che in sé sono poco attenti alla gestione dell'immigrazione si attivano su pressione
del governo regionale, che demanda ad essi la messa in atto di determinate iniziative, e
ricorrono alle associazioni per la gestione dei progetti. In questo esempio di governance
multilivello dell'immigrazione la regione svolge un ruolo propulsivo e propositivo, e può
essere considerato come un “alleato” del terzo settore, che appoggiandosi ad essa può
superare le resistenze di enti locali indifferenti, o restii a imbarcarsi in nuove forme di
collaborazione, o semplicemente privi delle risorse finanziarie sufficienti.

Il progetto “NonSoloBraccia”, le campagne di Emergency e l'albergo diffuso sono solo tre


esempi dei numerosi progetti relativi all'immigrazione attuati e ancora in atto nella provincia
di Foggia. Citarli tutti sarebbe impossibile in questa sede, e se quelli descritti sopra sono stati

17 Cfr Guadagno (2008).

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scelti perché più adatti a evidenziare le caratteristiche del policymaking locale, ce ne sono
molti altri altrettanto significativi. Bisogna accennare almeno alla grande varietà di iniziative
per la sensibilizzazione della cittadinanza, che vanno da attività nelle scuole a feste pubbliche,
e alle attività di assistenza ai rifugiati nell'ambito della rete SPRAR (sistema di protezione per
richiedenti asilo e rifugiati).
Questa mole di attività e la vitalità delle rete dei soggetti coinvolti non devono però far
pensare che il quadro delle politiche migratorie in Capitanata sia roseo. Quasi tutti gli
intervistati, infatti, hanno sottolineato i limiti che depotenziano l'azione degli enti locali e
delle associazioni.
Un problema che trova tutti concordi è la riduzione dei fondi per gli enti locali, e quindi delle
risorse disponibili: se da un lato questo rende impossibile il ricorso a pratiche inefficienti del
passato, come i finanziamenti a pioggia, impone un uso più razionale delle risorse e stimola
gli attori alla cooperazione, dall'altro un calo così consistente non può non minare la
possibilità di azione dei soggetti, e l'efficacia delle loro attività.
Un altro limite è proprio nel grado di collaborazione: anche gli intervistati che hanno parlato
di grandi miglioramenti nella capacità di fare rete riconoscono che c'è ancora molta strada da
fare, e che se da un lato non c'è competizione tra associazioni, dall'altra gelosie e diffidenze
frenano ancora, in certi casi, la cooperazione. Inoltre, la rete è più sviluppata in certe
dimensioni, come il dialogo tra le varie associazioni e tra l'associazionismo e alcuni governi
locali, ma non in altre: ad esempio, tra le amministrazioni comunali non c'è collaborazione, né
attività congiunte, l'azione sovracomunale rimane completamente affidata all'iniziativa della
provincia e della regione.
Un'altra considerazione da fare su questa rete è che dalle interviste appare chiaro che il suo
funzionamento dipende in maniera predominante dalla volontà di singoli individui. La
provincia di Foggia, insomma, ha avuto la fortuna di avere in enti pubblici chiave per il
policymaking, come l'ASL, la prefettura e alcuni assessorati, persone attente e interessate a un
approccio partecipativo nella gestione dell'immigrazione. Il problema è se la rete nata in
queste circostanze favorevoli è in grado di stabilizzarsi e continuare a funzionare anche senza
quelli che l'hanno sviluppata; vale a dire, se è in corso un processo di stabilizzazione dell'issue
network; al momento le interviste danno risposte discordanti.

4. Conclusioni
Lo stato attuale della ricerca, con la quasi totalità del lavoro sul campo in provincia di Pavia
ancora da compiere, non permette di trarre indicazioni definitive per quanto riguarda gli

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obiettivi dichiarati all'inizio di questo articolo. Tuttavia, il primo ciclo di interviste svolto in
provincia di Foggia ha già fornito dati interessanti. Poiché nel secondo ciclo prevedo di
intervistare un numero di soggetti almeno uguale a quello del primo, i risultati preliminari
sono suscettibili di cambiamenti, ma il fatto che gli intervistati del primo ciclo appartengano
non a una sola, ma a tutte e tre le categorie di soggetti che ho individuato, è lecito ritenere che
il quadro delineato in questa prima fase, essendo espressione di punti di vista diversi, sia
fedele alla realtà, e che le successive interviste approfondiranno e chiariranno alcuni elementi,
ma senza stravolgere quanto ottenuto sinora. In particolare, contributi preziosi arriveranno
dalle interviste ai rappresentanti delle associazioni di stranieri, che forniranno il punto di vista
ancora assente in questa prima fase.
Detto questo, quali sono le osservazioni che si possono fare rispetto alle tre ipotesi di ricerca?
Innanzitutto, che il modello di policymaking sia a preminenza del governo locale non c'è
dubbio, visto che le attività e i progetti per migranti e immigranti dipendono pressoché
esclusivamente dai fondi pubblici, e le altre fonti (ad esempio le risorse dei centri di servizio
per il volontariato, finanziati per legge dalle fondazioni bancarie, o il 5 per mille) sono
variabili, e attualmente in fase calante per via della crisi economica; la partecipazione
istituzionalizzata delle associazioni al policymaking è promossa dalla legge, con l'istituto dei
consigli territoriali per l'immigrazione, e incoraggiata dal governo regionale, ma le modalità
di questa partecipazione, nei suoi contenuti più concreti al di là degli incontri in prefettura,
non sono ancora stabilizzati.
Per quanto riguarda la seconda ipotesi, l'influenza della politics sulle politiche per migranti e
immigrati è solo indiretta: l'immigrazione non è un tema centrale nel dibattito politico locale,
e i principali partiti e coalizioni non lo usano come argomento identitario. Governi locali di
diverso colore adottano le stesse parole d'ordine di integrazione e di coinvolgimento del terzo
settore nelle attività per gli immigrati. E ciò nonostante, le giunte di centrosinistra esprimono
assessori competenti in materia di immigrazione che sono più attivi nel settore e sono dotati
sia di maggiore expertise sia di una visione più complessa del rapporto fra enti pubblici e
privato sociale, mentre nelle giunte di centrodestra sembra prevalere più l'indifferenza verso il
tema, il che non porta a una totale inattività, ma a una mera gestione dell'esistente. Questa
differenza può avere una spiegazione di tipo storico, considerando che una parte
dell'associazionismo italiano (e soprattutto nell'ambito dell'immigrazione) ha rapporti stretti
con esperienze politiche che oggi si riconoscono nell'area del centrosinistra; o si può
ipotizzare che per i politici di destra, a prescindere dalla retorica, sia comunque più rischioso,
in termini elettorali, dare rilievo alle politiche per gli immigrati. L'immigrazione non può

21
essere brandita come una minaccia, perché i numeri e la natura del fenomeno in Capitanata
non lo rendono un tema “caldo”, ma non la si può nemmeno valorizzare come una risorsa,
perché quest'ultimo è un frame inequivocabilmente associato alla sinistra. Per questo l'unica
scelta possibile è quella del basso profilo: collaborare, non smantellare ciò che c'è già, ma
nemmeno andare oltre.
Le interviste fatte sinora sembrano smentire completamente la terza ipotesi: le associazioni
non competono tra loro per conquistare posizioni migliori nei confronti dei governi locali,
perché questi ultimi si dividono tra quelli che applicano volontariamente l'approccio della
negoziazione, e nei tavoli istituzionali coinvolgono tutti gli attori possibili, e quelli che invece
sono più inerti; le associazioni possono cercare di superare gli ostacoli posti da comuni
recalcitranti e burocrazie inefficienti ricorrendo alle possibilità offerte da altri attori, come la
regione, ma per fare questo il lavoro di rete è fondamentale. Per questo, la competizione è
meno conveniente della collaborazione, che tutti considerano come la strada maestra da
seguire – anche se la traduzione pratica di questo obiettivo non è sempre facile.
Per concludere, la natura aperta e in espansione della rete tra governo provinciale e
comunale, enti pubblici e associazioni, indica che ci troviamo di fronte a un caso di issue
network in espansione e con rapporti di potere interni fluidi, che si è sviluppato grazie alla
presenza di personalità interessate al suo sviluppo, ma è da vedere se questo sistema riuscirà a
crescere e diventare autosufficiente in assenza di una adeguata attenzione da parte delle
istituzioni.

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TABELLE

Provincia di Pavia Provincia di Foggia


Stranieri residenti % Stranieri residenti %
31/12/02 13075 2,63% 6105 0,89%
31/12/06 30187 5,79% 9860 1,45%
31/12/10 52986 9,66% 20557 3,21%

Tabella 1: Stranieri residenti nelle provincie di Pavia e Foggia. Dati Demo Istat.

Al 31 dicembre 2002 Al 31 dicembre 2006 Al 31 dicembre 2010


Albania: 2790 Albania: 5401 Romania: 13607
Marocco: 1836 Romania: 5075 Albania: 7183
Romania: 1153 Marocco: 3263 Marocco: 4701
Egitto: 806 Egitto: 2038 Egitto: 3867
Tunisia: 771 Ucraina: 1481 Ucraina: 3237
Rep. Popolare cinese: 367 Tunisia: 1292 Tunisia: 1689
Repubblica dominicana: 317 Ecuador: 1164 Rep. popolare cinese: 1328
Senegal: 254 Rep. Popolare cinese: 707 Perù: 1293
Grecia: 231 Perù: 610 Moldova: 1009
Costa d'Avorio: 231 Repubblica dominicana: 599 Bulgaria: 838
Filippine: 202 Bulgaria: 506 Repubblica dominicana: 818
Altri: 4747 Altri: 8051 Altri: 13416

Tabella 2: Stranieri residenti nella provincia di Pavia per nazionalità. Dati Demo Istat.

Al 31 dicembre 2002 Al 31 dicembre 2006 Al 31 dicembre 2010


Albania: 1934 Albania: 2430 Romania: 7592
Marocco: 956 Marocco: 1212 Albania: 2494
Tunisia: 532 Ucraina: 1085 Marocco: 1687
Serbia e Montenegro: 398 Romania: 749 Polonia: 1532
Senegal: 218 Polonia: 692 Ucraina: 1379
Macedonia: 201 Tunisia: 479 Bulgaria: 1174
Polonia: 196 Macedonia: 435 Macedonia: 573
Rep. popolare cinese: 179 Rep. popolare cinese: 415 Rep. popolare cinese: 565
Romani: 164 Senegal: 246 Tunisia: 424
Germania: 157 Serbia e Montenegro: 206 Senegal: 318
Altri: 1170 Altri: 1911 Altri: 2819

Tabella 3: Stranieri residenti nella provincia di Foggia per nazionalità. Dati Demo Istat.

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Uomini Donne Totale
Operai generici industria 14,50% 4,30% 9,80%
Operai generici terziario 5,40% 0,40% 3,10%
Operai edili 21,10% / 11,30%
Operai agricoli e assimilati 3,80% / 2,10%
Addetti alle pulizie 3,10% 3,70% 3,40%
Impiegati esecutivi e di 1,20% 2,80% 1,90%
concetto
Addetti alle vendite e 2,00% 4,30% 3,00%
servizi
Addetti alle attività 12,70% 7,70% 10,40%
commerciali
Addetti alla ristorazione 12,20% 5,00% 8,90%
alberghi
Mestieri artigianali 3,40% 0,60% 2,10%
Addetti ai trasporti 9,80% / 5,30%
Domestici fissi 0,90% 9,40% 4,90%
Domestici ad ore 0,90% 13,10% 6,60%
Assistenti domiciliari 1,70% 29,80% 14,80%
Baby sitter / 3,50% 1,60%
Assistenti in campo sociale 0,30% 5,00% 2,50%
Medici e paramedici 0,40% 1,80% 1,00%
Mestieri intellettuali 1,80% 5,80% 3,60%
Prostituzione / 0,40% 0,20%
Altro 4,80% 2,50% 3,70%
Totale 100,00% 100,00% 100,00%

Tabella 4: Stranieri >14 anni in provincia di Pavia per lavoro svolto e genere. Dati ORIM.

Settore Primo trimestre Secondo trimestre Terzo trimestre Quarto trimestre


attività
M F Tot M F Tot M F Tot M F Tot
Agri- 1240 416 1656 1214 410 1624 1235 437 1672 1244 442 1686
coltura
(317) (135) (452) (282) (129) (411) (594) (303) (897) (781) (496) (1277)
Industria 77 23 100 81 20 101 73 20 93 80 23 103
(55) (5) (60) (55) (4) (59) (50) (23) (73) (96) (10) (106)
Altre 60 174 234 59 179 238 57 184 241 60 187 247
attività
(93) (67) (160) (144) (111) (255) (117) (149) (266) (97) (82) (179)
Non 933 650 1583 908 657 1565 947 694 1641 945 722 1667
classifi-
cati
TOTAL 2310 1263 3573 2262 1266 3528 2312 1335 3647 2329 1374 3703
E
(465) (207) (672) (481) (244) (725) (761) (475) (1236 (974) (588) (1562)
)
Tabella 5: Immigrati avviati alle liste di collocamento e avviati al lavoro (tra parentesi) per settore di attività e genere in
provincia di Foggia al 31/12/06. Dati OPIF.

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