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Il termine inclusione sociale si riferisce alla società e alle sue attività inclusive. Indica
lo stato di appartenenza a qualcosa, sentendosi accolti e avvolti, rappresenta la
condizione in cui tutti gli individui vivono in uno stato di equità e di pari opportunità,
indipendentemente dalla presenza di disabilità o di povertà. È descritta da
caratteristiche specifiche:
È quindi facile capire da cosa derivi la necessità dell’inclusione sociale: tra gli
individui possono esserci delle differenze a causa delle quali una persona o un gruppo
sono “esclusi” dalla società. I motivi che possono portare all’esclusione sociale sono
diversi:
razza;
sesso;
cultura;
religione;
disabilità.
La discriminazione per uno di questi motivi può avere luogo in ambito lavorativo
(decisione di licenziare/non assumere), politico (s’impedisce a un gruppo di persone
si essere adeguatamente rappresentate nelle sedi istituzionali), sociale (i diritti
fondamentali e i servizi necessari non sono riconosciuti a tutti per ragioni
discriminatorie). In sostanza, l’inclusione sociale ha l’obiettivo di eliminare
qualunque forma di discriminazione all’interno di una società, ma sempre nel rispetto
della diversità. Secondo i dati della Banca mondiale, la povertà non risparmia
nemmeno l’Europa. Dove il 24 per cento della popolazione è a rischio povertà o
esclusione sociale. Le categorie maggiormente e rischio sono i bambini, gli over 65 e
il nove per cento delle persone che hanno un lavoro. Nei Paesi del sud del mondo, la
situazione è ancora più grave, le donne non hanno diritto a niente, per loro, la realtà
di tutti i giorni è fatta di discriminazione. Impegnarsi per favorire l’inclusione
sociale significa fare qualcosa di concreto per combattere la fame e la povertà.
L’Onu, infatti, ha posto come undicesimo degli “Obiettivi di sviluppo sostenibile” la
necessità di rendere le città più vivibili, sicure e soprattutto inclusive; essi sono da
raggiungere entro il 2030 e tutti noi possiamo dare il nostro contributo. Spesso il
concetto di inclusione viene sovrapposto a quello di integrazione e i due termini
vengono utilizzati come sinonimi, ma l'inclusione non è assimilazione e nemmeno
integrazione. Negli ultimi decenni, i servizi hanno assunto come punto di riferimento
concetti come normalizzazione e integrazione, che pongono in risalto la necessità di
operare per eliminare le differenze, assimilare e avvicinare il più possibile le persone
con disabilità a una condizione di normalità. Questa prospettiva considera la
disabilità come un elemento negativo da rimuovere, per questo il processo
assimilativo ritiene il diverso colui che deve cambiare e adattarsi alla cultura e alla
società in cui vive. I concetti di inclusione e integrazione differiscono anche per la
base filosofica: il concetto integrativo rappresenta una sorta di valore aggiunto
rispetto al lavoro svolto da un servizio; mentre l'inclusione consiste in un diritto
fondamentale a prescindere dalle condizioni e dalle capacità individuali. L'Index è un
documento completo a sostegno dello sviluppo inclusivo delle scuole. In esso
“l'inclusione si riferisce all'educazione di tutti i bambini, ragazzi con BES e
con apprendimento normale”; nel nostro paese viene sottolineata la necessità di
rafforzare progressivamente l'autonomia decisionale delle scuole “almeno per gli
elementi di gestione meno rilevanti visto che il presupposto è che l'autonomia vada
sviluppata «a costo zero» per quanto riguarda i contributi dello stato”. L'ICF è una
Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute e
rappresenta una revisione della Classificazione Internazionale delle Menomazioni,
della Disabilità e degli Handicap (ICIDH), pubblicata per la prima volta nel 1980
dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Lo scopo generale è di fornire un
linguaggio standard e unificato che funga da modello di riferimento per la descrizione
della salute e degli stati ad essa correlati. Ne esistono 2 versioni in modo da
rispondere alle necessità dei diversi utilizzatori e ai diversi livelli di apprendimento
necessari; una versione completa in cui è presente una classificazione a quattro livelli
di approfondimento e una versione breve contenente i primi due livelli della
classificazione.
Uguaglianza di genere
L'uguaglianza di genere, conosciuta anche come parità tra i sessi, parità di
genere, uguaglianza sessuale o uguaglianza dei generi, è una condizione nella quale
le persone ricevono pari trattamenti, con uguale facilità di accesso a risorse e
opportunità, indipendentemente dal genere, a meno che non ci sia una valida
ragione biologica per un trattamento diverso. L'affermazione della parità di genere è
solennemente avvenuta nella Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni
Unite che cerca di creare uguaglianza nel diritto e nelle situazioni sociali, come ad
esempio in attività democratiche, e di garantire parità di retribuzione a parità di
lavoro. Questo è il 5° obiettivo dei diritti umani dell'ONU, n precedenza, essa era più
che altro frutto di elaborazioni intellettuali. Nell'Ottocento, invece, nella pratica
sociale andò affermandosi la lotta femminista, anche se già si erano avuti alcuni
esperimenti sociali in direzione di un pieno riconoscimento della parità dei sessi. Con
la decisione del Consiglio del 20 dicembre 2000: "l’Unione Europea ha previsto,
anche sulla base della relazione annuale presentata dalla Commissione nel 2004,
interventi specifici di sensibilizzazione sulle problematiche di genere, studi
sull’efficacia delle politiche comunitarie in materia, forme di finanziamento utili alla
stessa realizzazione del programma". La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
Europea, all’articolo 23, prevede che «il principio di parità non osta al mantenimento
o all’adozione di misure che prevedano vantaggi a favore del sesso
sottorappresentato». Di qui la necessità che le norme statali prevedano meccanismi di
flessibilità che evitino, sostanzialmente, discriminazioni alla rovescia.
Fatti e cifre
Circa i due terzi dei Paesi in regioni in via di sviluppo hanno raggiunto la parità di
genere nell’istruzione primaria. Nel 1990, in Asia meridionale, solo 74 bambine
erano iscritte alla scuola primaria per 100 bambini. Nel 2012, i tassi d’iscrizione
erano gli stessi per le ragazze e per i ragazzi. Nell’Africa subsahariana, in Oceania e
in Asia occidentale, le ragazze ancora incontrano ostacoli nell’accesso alla scuola
primaria e secondaria. In Nord Africa, le donne detengono meno di un quinto dei
posti di lavoro retribuiti in settori non agricoli. La proporzione di donne che
occupano posti di lavoro retribuiti al di fuori del settore primario è aumentato dal 35
% del 1990 al 41% del 2015. In 46 paesi, le donne detengono oltre il 30% di seggi nei
parlamenti nazionali in almeno una Camera.