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Le donne di Ingres
Una bellezza femminile senza tempo.
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in Neoclassicismo e Romanticismo – Data: Marzo 11,
2020 1 commento 7 minuti
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Versione audio:
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La bagnante di Valpinçon
Nel 1806, Ingres partì per Roma. Avrebbe vissuto in Italia, a più riprese, per oltre trent’anni.
Durante il primo soggiorno romano (1806-24), il classicismo dell’artista francese trovò un
modello insuperato nella pittura di Raffaello e dei manieristi italiani, esprimendosi in opere
di grande equilibrio compositivo, come La bagnante di Valpinçon del 1808.
Jean-Auguste-Dominique Ingres, La bagnante di Valpinçon, 1808. Olio su tela, 146 x 97 cm.
Parigi, Musée du Louvre.
L’opera mostra una donna seduta mentre si appresta a calarsi in una vasca. Ben poco dello
spazio intorno ci spiega quale sia il soggetto del quadro: solo il tondino a bocca di leone, da
cui sgorga uno zampillo d’acqua, e la luce fredda riflessa dalla vasca piena, che s’intravede
dietro la tenda, denunciano che la donna si trova in una stanza da bagno.
Jean-Auguste-Dominique Ingres, La bagnante di Valpinçon, 1808. Particolare.
Vista di spalle, ella è ferma, come sospesa (ma non bloccata) in una statuaria immobilità.
Sembra consapevole che gli occhi dello spettatore stanno scorrendo sulla sua schiena, sino a
scivolare sulle cosce, le caviglie, i piedi. La sua integrale nudità è appena protetta dalla veste
che, avvolta attorno al gomito, verosimilmente le copre ancora il ventre. La sua sensualità è
perfino esaltata dal pudore di quel gesto, memore certamente delle “Afroditi pudiche”
dell’Ellenismo. In fondo, non ha un bel corpo, la bagnante, almeno non secondo i canoni
classici: la sua schiena è troppo larga, i fianchi troppo espansi, le gambe troppo sottili: ma
quel fisico ampio e dilatato serve al pittore quasi da schermo per la luce solare, che proviene
da sinistra e, riflessa dal candore del lenzuolo, scivola come una carezza sulla pelle di
alabastro.
Jean-Auguste-Dominique Ingres, La bagnante di Valpinçon, 1808. Particolare.
La grande odalisca
Un altro celebre nudo femminile di Ingres è La grande odalisca, dipinta nel 1814. Si tratta
della donna di un harem, con i capelli raccolti in un turbante e sensualmente adagiata sui
morbidi tessuti di un letto.
Jean-Auguste-Dominique Ingres, La grande odalisca, 1814. Olio su tela, 91 x 162 cm. Parigi,
Musée du Louvre.
Jean-Auguste-
Dominique Ingres, La grande odalisca, 1814. Particolare.
Scandalizzati dal corpo molle e sensuale della Grande odalisca, apparentemente privo di
tendini e muscoli, i contemporanei accusarono Ingres di aver adottato una pittura priva di
volume e di profondità, caratterizzata da una stesura cromatica debole e piatta e da una
sostanziale mancanza di naturalismo. I critici cercarono persino di calcolare il numero di
vertebre della donna, concludendo che il lunghissimo busto avrebbe dovuto contenerne tre in
più del normale.
Ingres, insomma, fu considerato come una sorta di “ribelle” dai neoclassici più ortodossi,
perché si rifiutava di attenersi scrupolosamente alle regole definite e corrette dell’accademia e
si ostinava ad attribuire più importanza ai valori lineari e di superficie che agli effetti
volumetrici. Il suo credo classicista, tuttavia, non fu mai messo in discussione; d’altro canto,
egli fu esplicito nell’affermare che «l’arte dev’essere solo bellezza e deve insegnare solo la
bellezza».
Jean-Auguste-Dominique Ingres, La grande odalisca, 1814. Particolare.
Il bagno turco
Nel 1841, Ingres tornò a vivere a Parigi, dove fu accolto in modo trionfale ricevendo
importanti commissioni; tuttavia, già nel 1849, una malattia agli occhi lo costrinse a ridurre la
mole di lavoro e a ricorrere sempre più spesso all’aiuto di collaboratori. Ma oramai era
ricercatissimo fra borghesi e aristocratici che facevano a gara per avere un suo ritratto. Ingres
era diventato, insomma, una sorta di monumento della pittura francese. Basti pensare che
nel 1855, all’Esposizione Universale di Parigi, vennero scelte ben quarantatré sue opere.
Certo, i tempi erano assai cambiati da quando Ingres aveva realizzato le sue prime bagnanti e
odalische; però nessuno, nemmeno tra i giovani pittori più trasgressivi, si sognò mai di
mancare di rispetto al grande maestro neoclassico. Nel 1862, l’artista ormai vecchio dipinse Il
bagno turco, l’ultimo capolavoro che la critica considera una somma delle sue esperienze
pittoriche precedenti e una sorta di testamento spirituale.
Jean-Auguste-Dominique Ingres, Il bagno turco, 1862. Olio su tela, diametro 1,05 m. Parigi,
Musée du Louvre.
Il soggetto di questo dipinto è ispirato alle lettere di Lady Mary Wortley Montagu,
ambasciatrice d’Inghilterra nel Regno ottomano, che nel 1805 erano state pubblicate in
edizione francese con le descrizioni degli harem orientali. Un gruppo di donne,
completamente nude e mollemente abbandonate su cuscini e tappeti, si gode il piacere di una
sauna, in un ambiente che facilmente identifichiamo con un bagno turco, da cui il titolo del
quadro.
Il singolarissimo taglio circolare, un tempo destinato alle Madonne e alle Sacre Famiglie,
evoca di fatto la forma di uno spioncino e ha il palese intento di scatenare nell’osservatore una
componente voyeuristica. La tela venne acquistata dall’imperatore Napoleone III ma fu in
seguito restituita al pittore per le proteste della moglie Clotilde, scandalizzata dalla sensualità
e dall’erotismo di quei nudi femminili. In effetti, questo dipinto ospita il pantheon delle “dee”
alle quali l’artista consacrò tante delle sue opere. Ritroviamo la bagnante di Valpinçon, già
riproposta nel 1828 come Piccola bagnante e qui di nuovo presentata nella figura di
suonatrice posta di schiena in primo piano.
Jean-Auguste-Dominique Ingres, Il bagno turco, 1862. Particolare.
Questo ripetersi dei medesimi soggetti non deve stupire: Ingres amava riproporre i temi del
suo repertorio in nome di una continua e ossessiva ricerca di ordine formale. Egli ripresentò
più volte figure, immagini, particolari nei suoi dipinti, convinto che in pittura, come nella
musica, la nuova esecuzione di un “pezzo” era legittima, in quanto suscettibile di sempre
maggiore perfezione. Il soggetto di un quadro non lo interessava in sé stesso: egli concepiva
l’arte come pura forma. I nudi femminili di Ingres non ritraggono, dunque, una stessa donna
nella medesima posa, quanto piuttosto lo stesso ideale formale di donna.
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Di Ingres apprezzo la resa della materia, che pone la differenza fra gli oggetti e la
materia vivente, trattando egli con pari attenzione epidermidi dorate, morbidi tessuti,
lucenti ceramiche. Cromatismo tonale ed atmosfera senza tempo, anticipano l’estetismo
di una realtà non ritratta, bensì ricreata nella composizione pittorica, dove ogni forma
vive in un perfetto equilibrio armonico, superando le durezze tecniche e la retorica del
suo Maestro per aprire la strada alla ricerca di un equilibrio interiore.
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