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ERRORE SUL FATTO

L’errore è uno stato mentale che consiste nella falsa rappresentazione di un dato della realtà
naturalistica o di una quella normativa. Dall’errore differisce l’ignoranza, che si caratterizza in
negativo in quanto mancata conoscenza di qualcosa. Questo non toglie che i due si equivalgano.

Diverso è il dubbio il quale suscita nella mente del soggetto un conflitto di giudizi e impedisce il
formarsi di quella convinzione soggettiva che caratteristica dell’errore. Nel dubbio, l’unica cosa da
fare sarebbe quella di astenersi dall’agire e con ciò non accettare la prospettiva di realizzare il fatto
tipico. Es. se Tizio durante una sosta in autostrada, acquista da uno sconosciuto dall’aspetto
trasandato un orologio di notevole valore per un prezzo molto conveniente dubitando della sua
provenienza lecita, risponderà certamente di delitto di ricettazione ex art. 648 c.p. Nel dubbio,
l’unica cosa da fare sarebbe astenersi dall’agire e con ciò non accettare la prospettiva di realizzare
il fatto tipico.

Vi sono anche dei casi in cui il dubbio non è sufficiente per giustificare un’imputazione a titolo di
dolo: si pensi alla fattispecie della calunnia art. 368 c.p., la cui integrazione richiede la
consapevolezza dell’innocenza dell’incolpato, non ravvisabile nel caso di dubbio. Possiamo
distinguere:

- l’errore motivo, che incide sulla componente rappresentativa e di riflesso su quella


volitiva, del dolo.
- l’errore-inabilità, che entra in gioco nelle ipotesi di reato aberrante (= quando a causa di
un errore nell’esecuzione dello stesso, la gente provoca un’offesa ad un bene, diverso da
quello cui voleva provocare il danno oppure quando la gente pone in essere un reato
diverso da quello realmente voluto).  entrando nel gioco del reato aberrante
In dottrina non manca chi distingue tra un errore proprio e un errore improprio, a seconda che
l’effetto cui la legge si riferisce dipenda o meno dalla falsa rappresentazione. Un tipico esempio di
errore improprio sarebbe rappresentato dal c.d. reato putativo, che ricorre quando taluno agisce
nell’erronea supposizione di commettere un reato.

L’art. 47 c. 1 c.p. dispone che “l’errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità
dell’agente”. E ciò perché esso esclude, al più presto, la configurabilità del dolo, al cui momento
rappresentativo sottrae uno o più elementi costitutivi del fatto tipico.

Errore e dolo sono dunque stati psicologici alternativi e incompatibili. Perché si possa escludere il
dolo occorre che l’errore si focalizzi su uno degli elementi essenziali del fatto tipico, vale a dire su
un aspetto della realtà fenomenica la cui mancanza porterebbe a escludere la conformità del fatto
concreto al modello legale. L’errore sull’identità della persona offesa o dell’oggetto materiale del
reato è privo di rilevanza e non esclude il dolo, a meno che non si tratti di persone o di cose che
assumono un diverso significato sul piano della valutazione giuridica e sempre fatta salva
l’applicabilità dell’articolo 60 c.p.

Esistono nel nostro sistema penale, delle ipotesi particolari in cui l’ignoranza o l’errore non
producono l’effetto di escludere il dolo. Potrebbero scusare soltanto se inevitabili e dunque
incolpevoli. Dispone in effetti l’articolo 609-sexies c.p. che quando i delitti contro la libertà sessuale
previsti negli articoli 609-bis (violenza sessuale) , 609-ter (circostanze aggravanti), 609-quater (atti
sessuali con minorenne) , 609-octies (violenza sessuale di gruppo) e 609-undecies(adescamento
di minorenni), sono commessi in danno di un minore degli anni 18, il colpevole non può invocare a
propria scusa l’ignoranza dell’età della persona offesa, salvo che si tratti di ignoranza inevitabile.
(inserito all’art. 609 sexies)

Nel 2012 il legislatore è intervenuto apportando alla previsione normativa la modifica di cui si è
detto. Una soluzione che cerca di contemplare due opposte esigenze: quella di dare piena
attuazione al principio di colpevolezza e quella di garantire una più decisa ed efficace tutela
laddove siano in gioco dei beni giuridici di particolare significatività. Resta il fatto che l’età della
persona offesa viene a essere esclusa dall’oggetto del dolo e dunque sottratta alla disciplina
prevista dall’art. 47 comma 1 c.p. in relazione all’errore sul fatto.

Basterà dunque la semplice colpa dell’autore del fatto, consistente nel non avere evitato
un’ignoranza evitabile.

● Quando si tratta di fattispecie a forma libera non occorre, ai fini della sussistenza del
dolo, la rappresentazione di un particolare svolgimento della dinamica causale, dato che
questo non è un elemento essenziale del fatto tipico. Pertanto l’eventuale divergenza tra
causalità reale e causalità ipotizzato della gente non produrrà alcun effetto sul versante
dell’imputazione soggettiva.
● nell’ipotesi di fattispecie a forma vincolata, nelle quali sono puntualmente specificate le
modalità di realizzazione dell’evento tipico, la divergenza tra voluto e realizzato, pur
lasciando sussistere il dolo, rende atipico il fatto commesso.
Nel caso in cui si parli di errore del soggetto non imputabile, cioè incapace di intendere di volere,
bisogna distinguere tra due diverse ipotesi:

1. Se l’errore non ha nulla a che fare con la causa che determina l’incapacità, cioè si può
ragionevolmente supporre che chiunque, trovandosi nella stessa situazione del non
imputabile, sarebbe incorso nel medesimo l’errore, nulla quaestio: troveranno integrale
applicazione le disposizioni dell’articolo 47 c.p. sicché, se l’errore non può ritenersi
determinato da colpa, l’incapace andrà prosciolto con la formula “perché il fatto non
costituisce reato”.
2. Quando invece si tratti di un errore patologico o condizionato, dovuto cioè lo stato di
incapacità di intendere e di volere, bisogna escludere la rilevanza dell’errore ex art. 47
commi 1 e 3 c.p., così come di quello previsto dall’art. 59 comma 4 c.p. Il fatto in questo
caso è un chiaro sintomo della pericolosità del suo autore e sarebbe contrario a ogni logica
ritenere che non gli si possa applicare una misura di sicurezza.

All’errore sul fatto fa da pendant l’errore sul precetto, che ricade nella sfera di applicazione
dell’art. 5 c.p. e che non esclude mai il dolo benché se inevitabile, faccia venir meno uno dei
presupposti su cui si fonda il rimprovero di colpevolezza. Il criterio differenziale è dato dalla
diversità dell’oggetto finale su cui viene a cadere l’errore: il fatto che costituisce reato nell’un caso,
la sua qualificazione in termini di illecita penale, nell’altro:

- Errore sul fatto: l’autore vuole un fatto diverso da quello tipizzato nella fattispecie legale;
- Errore sul precetto: l’autore vuole proprio quel fatto ma lo considera penalmente lecito
ovvero ne ignora la contrarietà alla norma incriminatrice.

Al binomio errore sul fatto-errore sul precetto si contrappone il binomio errore di fatto-errore di
diritto. Ciò che fa la differenza in questo caso è l'oggetto immediato dell’errore che:

● può dirsi di fatto quando verta su un dato della realtà fenomenica richiamato, senza alcuna
mediazione, da un elemento descrittivo di fattispecie. Ad esso è dedicato l’articolo 47
comma 1 c.p.
● può dirsi di diritto quando abbia oggetto una norma giuridica, la quale, a sua volta, potrà
essere sia la stessa norma incriminatrice sia una norma diversa (extrapenale), da questa
richiamata tramite un elemento normativo di fattispecie. Questo è preso in considerazione
l’articolo 47 comma 3 c.p.
Se è vero che l’errore sul precetto è sempre un errore di diritto non è per niente vero il
contrario perché l’errore di diritto può benissimo convertirsi in un errore sul fatto ed escludere il
dolo. L’errore di fatto è perlopiù un errore di percezione.

L’errore di sussunzione verte sull’ampiezza dell’elemento descrittivo e quindi sulla portata della
norma incriminatrice e cioè un errore sul precetto che non ricade nell’ambito di disciplina
dell’articolo 47, ma è attratto nella sfera di applicazione dell’articolo 5 c.p.

L’errore di diritto è, almeno di regola, un errore di interpretazione, sempre che non si identifichi tout
court con l’ignoranza della norma incriminatrice. A monte ci potrebbe essere anche un errore di
percezione, si pensi ad esempio, al caso in cui, per un errore di stampa non si riporti una norma
incriminatrice, e questo determini un errore nell’interpretazione della norma

ERRORE SUL FATTO DETERMINATO DA COLPA

Se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto
dalla legge come delitto colposo. Potrà dunque residuare, nonostante l’errore, una responsabilità
colposa per il fatto commesso, sempre che ricorrano le due condizioni esplicitate dalla norma in
questione. Non si tratta di una colpa impropria ma di una vera e propria colpa di cui ricorrono tutti i
requisiti:

-da un lato manca, a causa dell’errore, la volontà di realizzare il fatto tipico;

-Dall’altro, vi è però la violazione di una regola di diligenza rimproveravi dell’autore, che gli ha
impedito di rendersi conto di un aspetto rilevante della realtà effettuale.

Benché l’articolo 47 comma 1 c.p. faccia esplicito riferimento soltanto ai delitti esso troverà
senz’altro applicazione anche rispetto agli illeciti contravvenzionali, per i quali, vale la regola della
pari rilevanza di dolo e colpa, ciò significa che di norma è sufficiente la colpa (art. 42 comma 4 c.p.

Può darsi che l’errore consiste nel ritenere già realizzato, a seguito della condotta posta in essere,
l’evento tipico, il quale in realtà si verifica soltanto in un secondo momento, per effetto di un’altra
condotta dello stesso autore, finalizzata a uno scopo diverso (dolo generale). Qui l’errore portare a
escludere il dolo che dovrebbe sorreggere la condotta realmente causale rispetto all’evento e
l’autore dovrà rispondere di tentato omicidio e al contempo di omicidio colposo, sempre che un tale
errore a norma dell’art. 47 comma 1 c.p. sia stato determinato da colpa.

L’art. 47 comma 3 c.p. dispone che “L’errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la
punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce reato”. Quando l’errore su legge
extra penale si converte in un errore sul fatto, che esclude la punibilità perché esclude il dolo, e
quando, invece si traduce in un errore sul precetto che rientra invece nell’ambito di applicazione
dell’articolo cinque. In giurisprudenza si è diffusa da tempo un atteggiamento di pervicace
ostracismo nei confronti di questa previsione normativa, che si è tradotto nella sua sistematica
disapplicazione.

Occorre distinguere tra:

- Leggi extra penali integratrici della norma penale,


- Leggi extra penali e non integratrici della norma penale, quelle leggi destinate in origine
a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporato in una
norma penale o da quest’anno richiamate.
Quindi qualsivoglia norma, comunque richiamata nella fattispecie legale dovrà considerarsi parte
integrante del progetto e l’errore che verta su di essa non potrà che essere sottoposto alla
disciplina prevista dall’articolo 5 c.p.

Argomentando in questo modo si è esclusa a priori la possibilità di ammettere la rilevanza ex


articolo 47 comma 3 c.p. dell’errore che verta su una legge penale diversa dalla norma
incriminatrice. Quella tra norme integratrici e enorme non integratrici del precetto è una distinzione
plausibile e può essere considerata un valido punto di partenza, a patto che si riesca trovare un
adeguato criterio di differenziazione. Sono da considerare integratrici le disposizioni a carattere
definitorio, le quali definiscono la sfera dei possibili significati di un dato elemento della fattispecie
penale. Es. nozioni di pubblico ufficiale, di incaricato di un pubblico servizio.

Le norme definitorie concorrono alla descrizione della fattispecie tipica è l’errore su DS non può
escludere il dolo perché non si traduce in un errore sul fatto. Esso ricade nella sfera di
applicazione dell’articolo 5 c.p.

● Può darsi che l’errore cade direttamente sull’ampiezza sul significato dell’elemento
normativo. Questo tipo di errore si traduce immancabilmente in un errore sull’ampiezza e
sul significato del precetto e potrà assumere rilevanza solo nell’ottica dell’art. 5 c.p.
● Può darsi invece che l’errore abbia oggetto le norme extra penali richiamate le quali in
realtà nulla aggiungono alla descrizione della fattispecie astratta ma si limitano a
specificare il formale criterio di applicazione del concetto normativo nelle concrete
situazioni. Ignoranza o errata interpretazione di queste norme risulta del tutto compatibile
con la conoscenza del precetto penale: l’errore consisterà nel non aver ritenuto applicabile,
in una data situazione la qualificazione espressa dal concetto normativo.

Errore che riguarda l’ampiezza e il significato degli elementi normativi di fattispecie resta un
errore sul precetto che non esclude la configurabilità del dolo e può escludere la
colpevolezza per il fatto doloso

Errore che ha ad oggetto le norme extra penali che specificano soltanto i criteri di
applicazione delle qualifiche normative; esso si risolve in un errore sul fatto che costituisce
reato.

Si deve ritenere che l’errore su norma extra penale richiamata da un elemento normativo esclude
sempre il dolo e la punibilità per il fatto commesso.

Possono esservi anche nei casi in cui l’errore cade su una norma extra penale non
espressamente richiamata nella fattispecie legale.
Non potrà che sottostare, in quanto errore sul precetto, alla disciplina dettata dall’art. 5 c.p. quello
che verta sulla disposizione integratrice di una norma penale in bianco.

In realtà è l’intero precetto a essere individuato per il tramite del rinvio a una norma diversa, la
quale per così dire prende il posto della norma incriminatrice.

Altra questione da considerare e se possa assumere rilevanza, ex art. 47, ult. comma, anche
l’errore che cade sulle norme richiamate da elementi normativi di carattere extragiuridico.
L’orientamento in dottrina dominante risponde di sì, ritenendo che vi sia spazio per un
procedimento di tipo analogico, che sarebbe ovviamente in bonam partem e pertanto senz’altro
ammissibile. Risulta assai difficile distinguere tra l’errore sul nucleo significativo del concetto
dell’errore che verte sul parametro oggettivo di valutazione. In questo caso sembra trattarsi
piuttosto di un errore di sussunzione, il quale è un errore sull’ampiezza del precetto, che potrà
rilevare soltanto entro i limiti dell’art. 5 c.p.

Talvolta la fattispecie astratta fa rinvio, per il tramite di un concetto normativo, ad altre


disposizioni, anch'esse penali, che specificano il criterio di applicazione di quel concetto nelle
situazioni concrete. Si consideri ad esempio la fattispecie delineata dall’articolo 361 che punisce il
delitto di omessa denuncia da parte del pubblico ufficiale di un reato che egli abbia avuto notizia.

La locuzione legge diversa dalla legge penale va intesa in chiave estensiva, in quanto riferibile
anche alle norme stricto sensu penali diverse dalla norma incriminatrice che si tratta di applicare
nel caso concreto.

L’ERRORE SUGLI ELEMENTI SPECIALIZZANTI DELLA FATTISPECIE

Specializzanti o differenziati, sono quegli elementi che determinano l’instaurarsi di una relazione di
specialità tra due figure di reato contigue. Una relazione siffatta può ravvisarsi ad esempio tra la
violenza privata e la resistenza a pubblico ufficiale. L’elemento specializzante può operare o in
funzione aggravante o attenuante.

L’errore potrà consistere nell’ignorare l’esistenza o nel supporre l’inesistenza di un elemento


specializzante obiettivamente esistente, ovvero nel rappresentarsi come esistente un elemento
che in realtà non esiste. Occorre dunque distinguere tra due diverse ipotesi

Ove sia ignorata l’esistenza di un elemento specializzante errore su un elemento specializzante attenuante art. 47.2

Aggravante o ne sia erroneamente ritenuta l’esistenza,

troverà applicazione l’art. 47.2 c.p. il quale stabilisce

che l’errore sul fatto che costituisce un determinato

reato non esclude la punibilità per un reato diverso, e


l’autore dovrà rispondere del reato meno grave, soggettivamente

voluto.

ERRORE DETERMINATO DALL’ALTRUI INGANNO

Può anche darsi che l’errore sia effetto di un inganno perpetrato nei confronti di chi tiene la
condotta vietata dalla norma incriminatrice. Per questa ragione provvede l’art. 48 c.p.  le
disposizioni dell’art. si applicano anche se l’errore sul fatto che costituisce reato è determinato
dall’altrui inganno, ma in questo caso risponderà la persona chi ha determinato a far commettere
l’errore al soggetto ingannato. Da un lato si esclude la punibilità del deceptus, colui che subisce
l’inganno, ma sotto questo profilo la norma può ritenersi superflua in quanto l’art. 47 c.p. avrebbe
trovato applicazione in mancanza di uno specifico richiamo.

L’inganno può consistere in qualunque artificio o altro comportamento atto a sorprendere l’altrui
buona fede, attraverso il quale l’autore mediato induca in errore l’autore immediato del delitto.

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