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L’analisi del reato nasce a partire dal XIX con Franz von Liszt studio analitico di quegli elementi
dell’illecito penale che si rinvengono perlopiù nelle parti generali dei codici moderni. L’analisi
conosce due metodologie:
1. Metodo deduttivo o analitico, che intende risolvere i casi particolari attraverso l’utilizzo
diretto della norma;
2. Metodo tipico o ermeneutico, che cerca le soluzioni dei casi a partire dal particolare.
Lo studio dei reati è bifasico, e comprende un metodo analitico-sintetico; per quanto riguarda
l’analisi, si esaminano i presupposti di diritto sostanziale della punibilità, tratti dalle singole
fattispecie criminose; mentre con la sintesi si costruiscono delle categorie generali a partire
dall’analisi. con questo sistema si suole garantire equità e omogeneità, stagliandosi il principio
di uguaglianza art. 3 Cost.
L’analisi del reato, inoltre, rivela una fondamentale dimensione critica: attraverso di essa diventa
infatti possibile basare l’intero sistema giuridico - penale sui principi e valutare la compatibilità con
essi delle sue singole parti. L’analisi consente un controllo posteriore della razionalità, non solo
rispetto al sistema, ma rispetto ai principi costituzionali. In sintesi, la comprensione analitica
dell'illecito è imposta da precise basi assiologiche, quelle dei principi costituzionali. In particolare,
l'illecito penale deve essere suddiviso nelle sue componenti perché l'assenza anche solo di un
elemento del reato esclude la punibilità.
A tale suddivisione di tipo analitico corrisponde sul piano processuale un'identica scansione
dell'accertamento per gradi (se manca la piena prova di un elemento antecedente, non si procede
alla verifica probatoria di un elemento successivo, con il seguente proscioglimento dell'imputato) e
una scansione delle formule processuali assolutorie: infatti, ai sensi dell'art. 530.1 cpp è prevista
l'assoluzione
a) categorie o istituti, in cui gli accadimenti della vita quotidiana vengono inquadrati e riqualificati
in termini giuridico - penali secondo la ratio e le funzioni proprie del sistema (condotta, evento,
nesso causale, dolo, colpa, tentativo, concorso di persone, colpa per assunzione ecc)
b) livelli sistematici di analisi, ossia categorie di carattere più generale che compongono la
struttura fondamentale del diritto penale (tipicità, antigiuridicità, colpevolezza, punibilità)
c) principi sovraordinati
- l’azione è intesa in senso naturalistico, come movimento corporeo guidato dalla volontà
- la tipicità indica la corrispondenza tra l’azione oggetto di giudizio e un fatto previsto da una
norma incriminatrice
- l’antigiuridicità discende da un giudizio illiceità alla luce dell’ordinamento giuridico; essa è
indiziata dalla tipicità dell'azione, e tale indizio può essere sconfessato solo dalla presenza di una
scriminante
La teoria neoclassica del reato, influenzata dal neokantismo e propugnata da Mezger, propone
uno sviluppo del modello tedesco, tentando di recuperare alcuni elementi valorativi e teleologici
assenti nella teoria precedente. L’azione rimane sempre al centro del sistema, ma viene intesa
come agire umano; il fatto tipico viene connotato in senso valorativo tramite riferimento alla
funzione di tutela di beni giuridici; l'antigiuridicità viene ancorata alla lesione di detti beni, con
estensione anche a cause di giustificazione non codificate ricavate attraverso bilanciamento di
interessi a favore del reo; infine, la colpevolezza è intesa in senso normativo come "giudizio di
rimproverabilità" per l'azione che non doveva essere tenuta.
La teoria del finalismo, influenzata dall'hegelismo e propugnata da Welzel, ebbe molto successo
nel dopoguerra, dominando la scena della dogmatica tedesca. Essa concepisce l’agire umano come
rispondente a determinate strutture radicate nella natura delle cose. L'azione rimane al centro del
sistema, ma viene intesa come orientata a determinate finalità: tant'è che il dolo viene riletto
come contrassegno della condotta umana che la rende illecita (è la finalità che costituisce l'illecito,
non basta la mera causazione oggettiva della lesione di un interesse protetto), divenendo il cuore
dell'illecito fino ad essere spostato dalla sede della colpevolezza ad elemento della tipicità;
l'antigiuridicità viene sdoppiata nel concetto di illecito penale d'azione - scolpito sulla persona
dell'agente - e d'evento - orientato alla lesione dell'oggetto giuridico di tutela.
rivoluzionata dalla teoria della funzione normativa di Jakobs. Base del sistema non sono più
concetti ricavati con metodo analitico - sintetico dalle disposizioni giuridico - penali, ma le norme,
intese come aspettative che caratterizzano l'identità di una società: il reato viene visto come
espressione di senso contraria a tali aspettative, divenendo lesione simbolica della vigenza della
norma (e di conseguenza, la pena viene vista come ristabilizzazione controfattuale di tale vigenza).
Rispetto alla violazione della norma non si individua un autore, ma un soggetto competente; la
competenza, a sua volta, dipende dal ruolo normativo assunto nel contesto sociale: questo genera
attese comportamentali negli altri consociati, e correlativamente l'infrazione del ruolo comporta
responsabilità. Quest'ultima è modellata su due tipi fondamentali di ruoli, cui corrispondono due
diversi paradigmi di imputazione:
a) ruolo comune di cittadino, che implica l'obbligo di comportarsi come persona inserita in
un'organizzazione regolata dal diritto, e quindi di organizzare la propria attività in modo tale da
non mettere a repentaglio quella degli altri consociati
BIPARTITA La concezione bipartita ritiene che il reato sia composto da due elementi:
BIPARTITA
- elemento oggettivo: tutto ciò che di oggettivo si trova nella descrizione legale, inclusi tanto gli
elementi positivi, quanto quelli negativi, la cui mancanza si rende necessaria per l'integrazione
della tipicità del reato;
- elemento soggettivo: il collegamento psichico tra fatto e autore. Nella concezione bipartita,
dunque, le scriminanti sono considerate "elementi negativi del fatto": ossia, requisiti che devono
mancare perché il fatto non risulti lecito.
- tipicità: insieme degli elementi oggettivi descritti dalle singole norme incriminatrici,
- colpevolezza: insieme dei caratteri psicologici che rendono punibile il reo. Questa teoria può
essere definita di tipo gradualistico: sul piano sostanziale, la colpevolezza presuppone la tipicità e
l'antigiuridicità; sul piano processuale, non è ammissibile per il giudice l'accertamento di un grado
successivo se manca la prova del precedente. Esaminiamo in primis l'elemento della tipicità. Esso
assume diverse sfaccettature:
- da un lato, esprime un carattere del reato: quello di essere descritto “per tipi”, ossia secondo
schemi predeterminati dal legislatore (tipicità formale); in questo senso, la tipicità rappresenta
implementazione del principio costituzionale di legalità-determinatezza
- dall’altro, determina il requisito minimo perché un fatto sia penalmente rilevante: il fatto
concreto oggetto di giudizio deve corrispondere a quello astratto previsto dal legislatore in tutti i
suoi elementi, in quanto la mancanza di uno solo di essi esclude la tipicità (giudizio di conformità
del fatto al tipo); in questo senso, la tipicità rappresenta un giudizio di conformità di un certo fatto
storico alla descrizione operata dal legislatore nella norma incriminatrice: il giudice deve operare
una sussunzione del fatto concreto nel modello astratto contenuto nella norma.
a) l’ipotesi astratta presa come modello di riferimento: fattispecie come schema ideale astratto cui
ricondurre una serie di oggetti aventi caratteri comuni. In particolare, in diritto penale abbiamo
schemi predeterminati legalmente (fattispecie come previsione legale), che servono a ridurre la
molteplicità a unità predeterminate e a definire in modo chiaro e tassativo i fatti sanzionabili
b) il fatto conforme allo schema ideale: viene in questione il concetto di tipicità come conformità
del caso concreto al modello astratto (fattispecie come fatto tipico).
La colpevolezza, ultimo elemento della teoria tripartita, costituisce il giudizio di responsabilità sul
rapporto tra fatto e suo autore: in esso, il rimprovero a carico dell'agente diventa personale, in
relazione alla sua situazione motivazionale. Nella colpevolezza rientrano l’imputabilità, la
conoscibilità dell’illiceità, l’assenza di cause di esclusione della colpevolezza o scusanti.
QUADRIPARTITA In tempi più recenti è stata suggerita sistematica quadripartita del reato, in
cui agli elementi tradizionali della tripartizione si aggiunge quello della punibilità. Tuttavia si è
rilevato come la punibilità non potrebbe costituire il quarto elemento dell’analisi del reato, in
quanto essa presupporrebbe già un reato completo, non essendo quindi oggetto di accertamento
giudiziale. Si è suggerito di assumere come quarto livello sistematico di analisi la non punibilità,
quale categoria esterna del reato: di fronte ad un fatto umano accertato come tipico, antigiuridico
e colpevole, la punibilità può venire meno in virtù dei vari istituti previsti dall'ordinamento che
permettono di eliminare ridurre o degradare la sanzione.
Comune tanto alla bipartizione quanto alla tripartizione è la divisione tra due strutture
fondamentali dell’illecito penale:
- l’elemento soggettivo (o psichico) quale sintesi dei requisiti della colpevolezza, o imputazione
soggettiva Nella concezione tripartita assume valenza autonoma il paradigma dell'antigiuridicità
(nella concezione bipartita, si ricorda, l'antigiuridicità risulta una qualifica del reato globalmente
considerato). Secondo questo modello, il reato si può descrivere come la causazione di una lesione
a un bene giuridico su cui si innesta la colpevolezza; tale paradigma risponde all'esigenza di
accertamento per gradi: prima bisogna fornire la prova dell'elemento oggettivo, e solo dopo potrà
provarsi quello soggettivo. Tuttavia, questa concezione bidimensionale ha subito numerose
critiche da parte della dottrina:
a) il concetto classico di fatto tipico è stato messo in discussione dalla scoperta di elementi di tipo
valutativo (es: l'ingiustizia del danno o del profitto, il buon costume, il senso del pudore ecc) e
teleologico (es: il fine di trarre vantaggio) che difficilmente possono essere inquadrati nella rigida
dicotomia tra oggettivo e soggettivo
b) secondo tale teoria, la valutazione giudiziale deve limitarsi alla mera constatazione di un fatto
significativo dal punto di vista naturalistico (causazione di una lesione a un bene giuridico);
tuttavia, non ogni produzione di un pregiudizio a interessi protetti è rilevante, di per sé, dal punto
di vista penale.
La cultura penalistica italiana si è caratterizzata per una concezione oggettivistica del reato: ciò
significa che l’illecito penale va concepito come offesa di un bene giuridico, non come
manifestazione di volontà malvagia: è l’effetto sociale lesivo ciò che rende meritevole di pena un
determinato fatto, non l’elemento soggettivo dell’agente. In parallelo, ciò che qualifica il reato è il
disvalore d'evento, non quello d'azione. Da ciò si spiega la diffidenza della dottrina italiana tanto
nei confronti delle fattispecie criminose a dimensione oggettiva qualificante (reati a dolo
specifico), quanto nei confronti di quelle caratterizzate da uno spiccato disvalore d'azione e
dall'anticipazione della tutela (reati di pericolo astratto, reati di attentato, reati associativi ecc), o
da un contenuto puramente formale di illiceità (contravvenzioni, violazioni di prescrizioni
protocollari ecc). Molti dei dogmi dell’oggettivismo col tempo sono stati sottoposti a critiche
dottrinali:
- all'idea della lesione di beni giuridici di rango costituzionale come tratto essenziale del reato, si è
obiettato che anche altre forme di illecito pregiudicano interessi tutelati allo stesso modo; inoltre,
spesso i beni oggetto di tutela penale sono puramente ideologici/funzionali/eticizzanti o a
dimensione collettiva, insomma inadeguati a radicare l'incriminazione su oggettività giuridiche
dotate di una dimensione materiale empiricamente rilevabile
La concezione classica di von Liszt inquadrava il dolo e la colpa nell'elemento soggettivo, quali
forme della colpevolezza: infatti, mentre il fatto tipico veniva inteso come manifestazione
esteriore empiricamente verificabile nella sua materialità, all'ambito della colpevolezza si riteneva
appartenesse la valutazione dell'elemento soggettivo del reo. Così, bisognava prima accertare il
fatto tipico, poi la colpevolezza dolosa o colposa. Con la teoria del finalismo di Welzel, l'elemento
soggettivo assume rilevanza ai fini della caratterizzazione della stessa azione tipica: l'assunzione
del dolo e della colpa all'interno del fatto tipico, quali suoi elementi costitutivi, rimane il lascito più
cospicuo dell'eredità welzeliana.
Ma cosa significa affermare che il dolo e la colpa fanno parte del fatto tipico? Significa che dolo e
colpa costituiscono il comportamento delittuoso. A prima vista sembrerebbe logico ritenere che il
fatto non sia altro che un accadimento umano, a prescindere dall'elemento soggettivo che ispira
l'agente mentre lo compie. MA IN REALTA' NON È COSI'.
In realtà, le modalità dolose e quelle colpose per l’ordinamento giuridico - penale sono
“oggettive”: non qualsiasi intenzione malvagia, né qualsiasi disattenzione o incuranza sono
penalmente rilevanti, ma solo quelle che scolpiscono in via immediata e delimitano il fatto tipico.
Un fatto privo di dolo o di colpa non può essere un fatto di reato: può integrare un illecito
extrapenale, ma non un illecito penale, perché questo richiede necessariamente che il fatto sia
connotato da una componente dolosa o colposa. In questo senso, dolo e colpa rappresentano
categorie basiche del reato, cioè gli elementi essenziali perché il fatto possa considerarsi
penalmente rilevante. Oltrepassare i limiti della propria sfera di diritto - ossia i doveri giuridici che
la circoscrivono - richiede piena rappresentazione ovvero negligenza, altrimenti la violazione non
sarà penalmente rilevante. In particolare, la colpa ha come base strutturale la violazione di regole
cautelari, il dolo un pericolo non consentito di livello inaccettabile.
Ricapitolando: il dolo e la colpa “segnano” il fatto tipico in tutti i suoi elementi, in particolare:
- determinano i caratteri del fatto tipico, segnando il limite tra lecito e penalmente illecito: solo un
fatto contrassegnato di tipicità da dolo o da colpa può essere assoggettato a pena.
- permettono di distinguere tra illeciti penali diversi: quello doloso e quello colposo.