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NUMERO 9
E. Vertova
FEBBRAIO 2011
Editoriale
L’estetica come metatema dell’intellettualismo odierno
Aesthetics
What is the relationship between art – artifice – and beauty?
We reside in an age of the artificial in which art is intrinsically bound, not just to the beautiful, but to the grotesque and
– increasingly – to the moral.
Aestheticism, the British branch of a European movement most notably represented by Oscar Wilde, found its roots in
the Romantics. The likes of Keats and Shelley saw nature as a direct expression of God; therefore its beauty was divine. It
was Keats, in his popular poem Ode on a Grecian Urn, who said “‘Beauty is truth, truth beauty’: that it is all ye know on
earth, and all ye need to know.” Despite the ambiguity of Keats’ oft-quoted closing lines - they are persistently debated
- it is clear that the Romantics understood beauty as intrinsically moral.
The Aesthetes of the late 19th century preserved the importance of beauty in art, and accentuated it so much that, for
them, art became almost solely focused on sensual pleasure. In their refusal to adopt the Victorian utilitarian ideal of
art, the Aesthetes became renowned for their decadence and their moral abandon. Wilde in particular came under great
criticism for the morally indignant qualities of his work, having to drastically revise The Portrait of Dorian Gray, as well
as his play Salome being forbidden its London premiere in 1892 due to the illegality of depicting biblical figures on the
stage. The movement, quite fittingly, died with Oscar Wilde’s trial and conviction in 1895.
The transformation of the relationship between beauty, art and morality has clearly evolved since the days of Wilde.
Where Wilde expected beauty and sensuality hand in hand, mass culture today almost ruthlessly divides the two. As
Theodor Adorno noted, we are part of a culture deprived of satisfaction, we must be content with looking. The effects
this has on morality are rather telling in the emphasis of a variety of things, from fashion and plastic surgery to political
correctness.
Art has often been at the forefront of moral transformation, bringing to public attention issues and taboos that have
not been properly addressed. The tools we use to express our identities and beliefs, such as language and physical ap-
pearance, literature and art, are intrinsically bound to the ideological and cultural values of a society. It is arguable that
our current awareness of the relationship between artifice and morality is a result of our more acute recognition of how
reality has been, and increasingly becomes, ideologically and socially structured. As a result of this, the struggle to tran-
sform our view of reality has inevitably turned to the artificial. In some ways, the process has been reversed. In the case
of political correctness, what we already class as immoral, for example racism and homophobia, is artificially driven
from our everyday language. Unfortunately, positive discrimination is discrimination nonetheless, and PC comments
often serve to draw attention to the minority that ought to be free from oppression.
The advent of plastic surgery, and increasingly available beauty products, seals the relationship between art and beauty,
transporting it into the realm of everyday life. It seems that beauty is steadily becoming not just an aesthetic concern,
but also a moral concern. Where individuals were once exempt from responsibility for their physical and natural appe-
arance, it is quite possible that the ability to drastically and artificially change their exterior will lead to laying blame at
the feet of those who refuse to change their appearance.
Despite the far-fetched nature of some of these ideas, they provide interesting food for thought. Though I hold no pre-
sumptions that Western society should degenerate into an Orwellian nightmare in which beauty, art and morality are
inextricable; I believe there is an underlying mode of thought to support their unison.
And as T.S. Eliot criticized: “On re-reading the whole Ode, this line strikes me as a serious blemish on a beautiful poem,
and the reason must be either that I fail to understand it, or that it is a statement which is untrue.”
La virtuosità trascendente.
Scriveva Nietzsche in Umano troppo umano che noi sia- tare le strade più impervie e sa portare alla luce del sole i
mo abituati in ogni cosa perfetta a trascurare la questione misteri della forma e del suono?
del divenire, ad allietarci di ciò che ci sta davanti come se L’aspirazione a trascendere i limiti dello strumento fu una
fosse sorto dalla terra per un colpo di bacchetta magica; delle molteplici aspirazioni Wilhelm von Lenz definiva
come se la realizzazione artistica fosse il gesto di una qual- Liszt il concetto stesso di virtuosismo, Liszt non suona il
che divinità, particolarmente incline a far doni agli umani. pianoforte, al pianoforte egli racconta il suo destino.
Naturalmente il primo ad assecondare quest’illusione Ma chi era questo musicista di cui il 2011 celebra il cente-
è l’artista stesso il quale sa che gran parte del magico nario?
effetto che egli suscita dipende dalla sua capa- Il bambino dodicenne che, mentre studia a
cità di far credere ad un’improvvisazione, Vienna, viene accolto con effusione con
ad una miracolosa istantaneità. Il suo un bacio sulla fronte nientemeno che
compito è proprio quello di dispor- da Beethoven, quello che viene chia-
re l’animo dell’ascoltatore in modo mato dall’editore Diabelli a scri-
tale che questi creda all’improvvi- vere una delle Variazioni su un
so scaturire del perfetto. Il vir- proprio tema di valzer? O ancora
tuoso di valore si presenta così l’adolescente che vive solo con
al suo pubblico, nascondendo la madre a Parigi, il giovane
sotto la luminosa e levigata artista ispirato e visionario che
superficie di un’esecuzione im- entra in contatto con i circoli
peccabile tutto il lavoro, la tena- intellettuali e la migliore socie-
ce e paziente ricerca e la profon- tà intellettuale della capitale?
dità dello studio. Così ogni epoca Il ragazzo ventenne che guarda
ha i suoi interpreti prediletti. La lontano, fuori dall’inquadratura
giovanile e spesso geniale identi- dei dagherrotipi, e dopo aver ascol-
ficazione con i grandi capolavori del tato Paganini decide di fare di se stes-
passato porta grazie ai nuovi interpreti so il più grande pianista dell’epoca? O
uno sguardo di novità che ogni volta si ri- è l’uomo fuggitivo che abbandona Parigi
genera proprio grazie alla grande duttilità del per amore di una contessa e con lei attraversa la
loro saper giocare con la musica. Svizzera e l’Italia? Marie d’Agoult è la donna che in quegli
Da Biskra nell’aprile del 1896 André Gide scriveva: “Ath- anni gli dà tre figli e lo incoraggia ad apparire sulla scena
man mi ha chiesto Chi ha inventato la musica? rispondo: non solo come pianista, ma come intellettuale. Oppure è il
dei musicisti. Non è soddisfatto; insiste. Allora rispondo concertista di successo che abbandona le scene per dedi-
gravemente che è stato Dio. No – dice subito – è stato il carsi alla composizione e al nuovo amore per la ricchissi-
diavolo.” Il giovane compagno Athman in quella circo- ma Carolyn zu Sayn-Wittgenstein. O ancora è l’uomo che,
stanza spiegò allo scrittore che per gli arabi tutti gli stru- incapace di ogni impegno matrimoniale, decide di dedicar-
menti musicali erano strumenti infernali, anche se esiste- si, cum grano salis, allo spirito e dunque riceve gli ordini
vano virtuosi capaci di suonare così bene che pare si apra minori? E’ il pianista, maestro inimitabile di generazioni
una porta del cielo. di pianisti che lo inseguono per tutta Europa, o l’innovato-
Come non immaginare dunque che dietro al virtuosismo re della musica che manifesta una dedizione generosa alla
non ci sia anche la suggestione diabolica di chi sa affron- musica di Wagner, neppure troppo incrinata dal matri-
monio di quest’ultimo con quella amatissima figliola nata un tappeto sonoro sul quale Liszt tesse la sua musica. Liszt
anni prima sulle rive del lago di Como? non inventò la tecnica trascendentale per stupire il suo
Liszt attraversò l’epoca romantica come un pioniere e un pubblico e annientare i rivali, bensì per trarre dal piano-
protagonista. Non ci fu movimento, rivoluzione, pensiero, forte sonorità orchestrali, che aumentassero a dismisura
corrente filosofica, che egli non abbia tenuto in considera- le capacità espressive dello strumento e di questo gli sono
zione. Scriveva musica, libri, articoli, frequentava salotti e debitori tutti i compositori che dopo di lui hanno scritto
se non fosse stato musicista, diceva, avrebbe voluto essere per il pianoforte.
un diplomatico. Invece fu un musicista, un grande pro- Diceva Goethe che una poesia è tanto più perfetta quanto
gressista, uno straordinario interprete. più si avvicina alla trasparenza della vita esteriore. Da que-
L’universo fantastico cui diede vita durante la sua non bre- sto punto di vista non c’è raccolta che più si avvicini al con-
ve carriera di virtuoso e compositore si arricchì negli anni cetto goethiano di trasparenza di questi studi. E certo deve
di un numero elevatissimo di composizioni straordinaria- essere la pura essenza del virtuosismo, smaterializzata, ad
mente innovative e originali. Dettò nuove regole, Liszt, nel isolare queste composizioni in un territorio ultramondano
campo del ritmo, in quello del suono e tracciò per sempre al quale nessuna epoca storica l’ha mai sottratto.
i nuovi confini del virtuosismo che lui definì trascendenta- Non sempre però il virtuosismo mostra il suo lato più ap-
le. I dodici studi “d’execution transcendante” contengono pariscente, a volte è un virtuosismo segreto quello che fa
sfide digitali senza precedenti e talora senza seguito. La eccellere l’interprete. La febbrile inquietudine di queste
raccolta venne pensata e rivista in tre successive occasio- pagine visionarie è l’eco di una vita. Lo stile è dunque la re-
ni. Ci fu una prima occasione, quando il compositore era alizzazione materiale dello sguardo sul mondo dell’artista,
appena adolescente, nel 1826; poi una successiva nel 1839, è il modo in cui egli dà senso alla sua vita, ed è un percorso
quando Liszt si presentava al pubblico come un pianista segreto e soprattutto arduo, anche quando fluisce scintil-
di fama. Fu questa l’occasione in cui gli studi acquisirono lante e seducente.
il loro aspetto trascendentale. Nel 1847 poi Liszt presen- Gli Studi sono l’enciclopedia didattico-filosofica di Liszt
tò Mazeppa, questa volta con il titolo che si riferiva alla frammentaria e universale, capace di racchiudere l’intera
ben nota vicenda narrata da Byron e Hugo. Infine nel 1852 umanità romantica. Per definire tutto questo Liszt aveva
Liszt ripubblicò tutti gli studi, questa volta tutti eccetto due fin da ragazzo usato una parola che poi ha dedicato alla
portavano un titolo. Tra la seconda e la terza versione po- versione definitiva dei suoi 12 Studi: Trascendenza. E da
chissime sono le differenze. Ma sbaglierebbe chi crede che sola ci può permettere, direbbe ancora Nietzsche, di conti-
Liszt li abbia scritti per mettere in luce le sue fenomenali nuare a sognare ma sapendo di sognare.
capacità virtuosistiche. Invero queste grandi composizioni
sono affatto inadeguate per il pianista che sia solo in grado Anna Maria Rastelli
di affrontarle tecnicamente. Le difficoltà sono uno sfondo,
Cigni
Religione biodegradabile
«E noi, l’una dell’altro
I colli reclini attorcigliammo
Come due cigni solitari.»
Anne Sexton
Credo in quell’unico dio
condensa sui finestrini Ci adagiammo
nubi liquide di fiato come quei due cigni,
quando si fa l’amore in macchina. senza accorgerci
che era una prigione
Credo in quell’infinito
che risulta dalla somma che anche se di piume
d’uno più uno, acqua e farina ci stringeva entrambi.
anima e carne su carne e anima.
La metafisica è sangue,
Angela Crucitti
-fantasia enzimi lievito-
la parola rubricata
nei fiumi silenziosi delle arterie.
Rita Sozzi
Una nuova iniziativa:
Il POETRY SLAM!
“Il poetry slam nasce come una proposta. La proposta di un nuovo modo di intendere la poesia:
aprirla a tutti, attraverso le voci degli stessi poeti, sperando di comunicare tutte le possibilità che può
implicare il verso. Soprattutto ora, quando il piacere della Parola, della Bella Parola, si sta perden-
do nella nostra società. Anche perché a Milano non ci sono molte manifestazioni simili spontanee.
Quindi la poesia in pubblico serve a riappropriarci del significato e del valore di ciò che diciamo.
Per chiunque voglia partecipare si iscriva alla pagina di Facebook “Poetry Slam”. Lì ci sono tutti i
contatti e l’aggiornamento delle date in cui si svolgeranno le performances. Qui riportiamo alcu-
ne delle poesie lette durante il primo di tanti - speriamo - poetry slam, tenutosi l’11 febbraio.”
Erotocrazia
1
Lo specchio che ho di fronte che son di tutto questo un vanto?
Mi rimanda un viso a me non noto, Ah! Ma basta con l’inganno,
son forse mie queste rughe, che cessi la lusinga!
quest’occhi scavati Questo vecchio sono io,
e questa barba io e nessun altro!
che ha perduto lentamente il suo colore? E teste ne sia
Non io, questo pallido mosaico
non sono io di certo … sui nostri corpi!
Io sono il centro, la luce, Lunga sarà la notte, in
il sole. questa veglia,
Io sono il Gran Re di e le campane già suonano
tutte le contrade, la mezza
cento mi sono i popoli e coi rintocchi, lontani
soggetti, assai dall’alba,
e dieci e dieci lingue girano le pagine di tutta
si parlano tra i confini la mia vita,
del mio regno. come se fosse un gambe-
Costui è solo un vecchio ro veloce.
malandato, Ed ecco, quasi come in
uscito per ischerno da sogno,
uno specchio. rinvigorir lo spirto arden-
Non io, te dei vent’anni
non sono io di certo … e salir nella mia mente
Io sono il leone della un viso obliato
guerra; dall’antro del cuor, ove
Forte è il mio braccio, era ben celato.
fatale la mia spada, Prima arrossir di verginal pudore,
quando come un fulmine s’abbatte sulle mischie, poi sorridermi con labbra e con lo sguardo,
avida di sangue. così profondo, seppur così lucente,
Non posso più contar le pugne, che tanto di disìo empito m’avea il cuore,
le disfide e le campagne, mentre le declamavo d’amor quei rozzi versi.
né gli assedi, Ah, mia antica dolce musa, dove sei?
le brecce Che fai? Che ne è di te?
e le città conquise Se’ viva ancor or se’ tu già morta?
che ora mi versano i tributi. Io me ne andai, ricordo, assai lontano,
E come posso contare lungo la strada della gloria,
le rosse cicatrici sul mio corpo ma a che servì fare questo viaggio?
Che cosa son le mie corone, e leggerti ancor ben più politi versi,
la mia spada ed il mio scettro? ma con lo stesso ardore dei vent’anni!
Non più felice son di lor, or che sono vecchio!
Li venderei siccome latta e peltro,
e in ogni dove prenderei a cercarti, Dario Piscopo Aveni
fino alla morte, pur di ritrovarti
L’inverno
Non c’è che il martirio
di ognuno di noi
in questa danza d’ infinito.
Dario Albertini
Troppo presto
La preghiera degli alberi in Febbraio
soavemente sale a un cielo nuvoloso
e il viluppo spesso della notte s’attorciglia
a un tremore invernale. Non da adesso
sono stato ad osservare il sovrapporsi
degli attimi nell’alba, ma da ieri
e il tempo che scolora m’è compagno
tra la ghiacciata polvere riflessa
di luce che si schiara. Nella corsa
degli autobus festosi quel che resta
dell’umido silenzio si rintana
tra la mia testa e i portici, gli ombrosi
buchi dei mattoni hanno ospitato
generazioni di muschio e di lana.
Stefano Pietrosanti
Estetica e Repubblica
Partiamo dalla senso eti- mente notare la dimensio- lizzazioni, appunto per que- di un fenomeno; però qui
mologico della parola este- ne politica del concetto: di sto mi occupo d’economia, siamo su una rivista che si
tica: la capacità di senti- estetica sono fatti i confini una scienza che funziona occupa d’arte e penso che
re. Sta a dire, l’estetica è il di ogni ordinamento socia- bene quando e se riesce a un linguaggio di simboli sia
primo canale per entrare in le, poiché gli spazi politici distinguere cause, concau- più consono a questo conte-
comunicazione col conte- si delimitano a forza di sim- se e motivazioni nascoste sto. E quale miglior simbo-
sto in cui si è immersi, per boli, ritualità, miti condivisi
influire su questo e per ri- e richiami a sensazioni che
spondere alla pressioni che formano il sentire comune
questo ci trasmette. For- di coloro che fanno parte di
zando un poco, si potrebbe qualsiasi comunità civile.
quindi dire che ordinamen- Ora, si può dire che l’Italia,
ti come quelli democratici, dagli anni sessanta fino agli
che vivono del dialogo tra anni ottanta, ha vissuto un
componenti formalizzato periodo anestetico, un pe-
dalla legge, sono ordina- riodo che l’ha privata del-
menti fondati sull’estetica. la sua capacità di sentire.
In un altro senso, più ri- Senza particolari progetti
stretto, la parola estetica di vita comune, la sua vita è
esprime il concetto di capa- stata in buona parte il fruire
cità di sentire il bello. Assu- del benessere garantito dal-
me quindi una dimensione la crescita economica mo-
relativa, perché questo sen- dulata da un generoso stato
timento è sottoposto all’ela- sociale e dal soffocante scu-
borazione e all’accettazione do americano che bloccava
di una serie di regole di mas- le pressioni dell’autocrazia
sima cui attenersi. Anche in sovietica ad est. Personal-
questo senso, si può facil- mente non amo le genera-
lo vivente di quel periodo se come un compromesso per rimangono a lungo liberi ce. Conservatrice di cosa?
non l’onorevole Andreotti? dare una veste accettabile in natura, lo spazio aperto Dell’ideale rivoluzionario
Al netto di tutti i più cupi alla gestione del potere, con (anestetizzato) del sentire è repubblicano e dell’este-
sospetti, la principale colpa il vantaggio di smorzare i stato presto occupato dalla tica pubblica che questo
che gli ascrivo è essere stato toni di qualsiasi scontro. cricca berlusconiana e da si porta dietro. Per questo
esattamente questo: un mo- A forza di passettini e frasi ciò che questa rappresen- sono convinto di due cose:
numento all’anestesia e allo velenose dette a voce tre- tava a livello di costume. in primo luogo, che la mia
stesso tempo l’incarnazione mante, tutto questo ha ste- Non voglio sdilinquirmi opposizione all’andazzo
della grande anestesia na- rilizzato in culla la Repub- nella critica di quest’este- delle cose sia pre-politica e
zionale. Dal vestire bigio al blica, lasciandone la vuota tica ormai nemmeno più trans-politica, più che altro
motto “meglio tirare a cam- scorza a onta degli sforzi di tanto nuova, mi va solo di un’opposizione estetica; in
pare che tirare le cuoia”, un Pertini e delle altre mo- trasporre su carta un con- secondo luogo, che si pos-
la rappresentazione sceni- sche bianche che hanno vis- cetto che maturo da tempo: sa tranquillamente dire,
ca di un mondo appiattito suto la democrazia liberale io mi considero un liberale con un bon mot, che Berlu-
tra il non detto mostruoso e repubblicana come ciò di sinistra, quindi progres- sconi è la continuazione di
della bomba, l’impoten- che effettivamente è: uno sista, ma sono convinto che Andreotti con altri mezzi.
za dell’esser presi tra i due dei tanti ideali rivoluziona- il mio fastidio per l’onore-
blocchi, la tacita conside- ri, a mio parere il più nobile. vole Berlusconi abbia una Stefano Pietrosanti
razione della democrazia Dato che gli spazi vuoti non radice tutta conservatri-
La Ballerina di Piombo
E mentre sistema la camicia sulla gruccia di legno, ripensa niente pasta al sugo, niente Nutella. La Nutella la mangiava
alla sera prima. Enrico le aveva promesso che sarebbero comunque ma poi vomitava tutto e di quel concentrato calo-
usciti quella sera. Lei si era rico non rimaneva più nulla, solo un grande senso di colpa.
truccata di tutto punto e ave- Suo padre era stato un ballerino classico in una del-
va indossato il suo tubino le compagnie più famose della Let-
rosa antico, quello che pia- tonia, dove aveva
ceva tanto al marito. Enri- incontrato sua ma-
co era arrivato di corsa dal dre che faceva la
lavoro, aveva abbandona- fotografa e girava il
to la camicia sul letto e mondo. Aveva pen-
si era cambiato in fretta. sato bene di metterla
Poi erano usciti, diretti incinta e quando i due
verso il loro ristorante s’interrogarono sul
preferito. Lì lui l’aveva posto in cui dare alla
lasciata. Per un uomo. luce il “coso”, come lo
Le aveva detto: - Io ti chiamavano, decisero
amo ma… non amo entrambi di ritornare
più il tuo corpo..- Si nel loro paese natio, l’I-
era sentita colpire talia. In Italia il padre
dritta al cuore e la aveva continuato per un
forchetta le era sfug- po’ a ballare, poi si era
gita dalle dita esili. rassegnato a fare l’inse-
- Non amo il tuo cor- gnante; la madre invece
po…non amo il tuo continuava imperterrita a
corpo…- Ora ripensa a quella fare il suo lavoro e a girare
frase, se la ripete tra sé e sé mormorando e prolun- per il globo terrestre, lei che
gando l’agonia. Neanche lei aveva mai amato il suo corpo. non aveva bisogno del suo
Tutti quegli anni spesi a ricercare la perfezione, a dimagri- corpo per scattare fotografie.
re, a levigare la pelle, a depilarsi, a correre e a fare pilates - Devi essere magra per alzare la gamba così- le urlava suo
per piacere agli altri, perché piacere a se stessa era troppo padre e poi le tirava su la gamba sottilissima con il suo ba-
difficile. Non avrebbe mai voluto avere un corpo di carne, stone. Lei avrebbe solo voluto mangiarsi di tutto, ma suo pa-
avrebbe voluto essere fatta solo di aria. Sua padre le diceva dre doveva essere accontentato. Quindi pancia in dentro ed
che le ballerine “sono leggere, si cibano di aria per vola- ossa in fuori e saltella comunque anche se fa male al cuore.
re, mica ballano semplicemente.” E quindi niente salame, La salvò sua madre quell’estate in cui era diventata così
magra che le si poteva vedere attraverso. La madre era ap- re, di poter ballare sulle nuvole e sorridere al sole.
pena tornata da un viaggio in India e rimase sconvolta da- Enrico l’aveva salvata da se stessa e dal suo processo di
vanti alla figuretta smilza di Dafne. – Ti ho chiamata così autodistruzione. Lei si amava finalmente, ma quell’amore
perché tu potessi essere libera, non schiava del tuo corpo. non era che il riflesso dell’amore di Enrico. Se ne rende
La portò via da suo padre, dal balletto e dalla fame a conto ora quanto sia flebile un riflesso, ha bisogno di luce
quindici anni. Voleva farla mangiare, voleva insegnarle per esistere e ora lei si sente completamente al buio. -A
ad amare il suo corpo e se stessa. Ma Dafne pensava “se che serve il mio corpo- si chiede, guardandosi allo spec-
neanche mio padre mi chio- se nessuno lo usa,
ama, chi mai potrà farlo?” lo abbraccia, lo guar-
Più tardi Enrico l’amò da, lo ama? A cosa serve
e lei si sentì finalmente aver sofferto così tanto?
uscita dalla spirale della Forse a qualcosa è ser-
bulimia. Lei non ha obbe- vito: oggi Dafne è una
dito al solito clichè dell’a- bravissima ballerina e
noressica che si mette quando balla il suo corpo
con un dottore, frustrato vola anche senza ali. Ma
perché ha gli strumenti adesso la ballerina si sen-
per guarirla ma non ne te di piombo e vorrebbe
è capace. Enrico è uno tanto essere un soldatino
scrittore, scrive favole e per poter essere leggera.
fiabe per bambini. E lei Toglie la camicia dalla
che da bambina di fia- stampella e se la infi-
be ne aveva avute poche, la. Annoda stretti i ca-
ascoltava curiosa quelle pelli sulla nuca e con
di Enrico. Anche ades- la matita si dipinge
so si ricorda quando il un paio di baffi. Se è ri-
marito le raccontò la sua versione della fiaba del solda- uscita a trasformare il suo corpo in aria, chi dice
tino di piombo e la ballerina. Ci scherzavano sempre che non possa trasformarlo in quello di un uomo?
sopra, dicendo che Enrico era il soldatino ingessato e Il telefono squilla. Lei si alza stordita e ri-
rigido e lei era la sua ballerina leggera e volteggiante. sponde. – Pronto?- dice ingrossando la voce.
Enrico, io sono magra…non leggera.- gli aveva det-
to la prima volta che avevano fatto l’amore. Anche Angela Crucitti
se quella volta finalmente le era sembrato di vola-
Claude Cahun
QUANDO L’ESTETICA DEI CORPI NON É NIENT’ALTRO CHE LIMITAZIONE
Claude Cahun una tra gli artisti più geniali (e ingiustamen- Ma chi era davvero Claude Cahun?
te sottovalutati) del ’900, tra i primissimi ad indagare le
migrazioni notturne transgender, a minare le fondamenta Fotografa, saggista, critica letteraria, poetessa, attrice te-
profonde dei concetti di identità e di Io, a sperimentare, atrale, militante antinazista (serve altro??), che fece della
in prima persona, mettendosi davanti e dietro la macchi- fotografica il mezzo di indagine diretto e impietoso sulla
na fotografica. L’esito delle sue indagini e delle sue sco- rappresentazione del genere. “L’iride che io non posso
perte hanno cambiato la concezione di estetica nei corpi. truccare. Memoria? Frammenti scelti. La mia anima e’
Claude Cahun, nata Lucy Renee Mathilde Schwob nel frammentaria. Tra la nascita e la morte, il bene e il male,
1894 a Nantes, della sua nascita dira’: “Avendo preso tra i tempi verbali, il mio corpo mi serve da transizione.”
coscienza fin dall’inizio di essere indesiderata e prefe-
rita nata morta, potei uscire dalla via che mi era stata Ma parlare di questa artista semi sconosciuta e cosi’ proli-
tracciata solo grazie alla percezione della ribellione”. fica e complessa non e’ impresa facile. Soprattutto perche’,
Precoce autrice di saggi e scritti originali, si fir- anche solo ad una prima occhiata, la sua opera - di cui fan-
mo’ dapprima Claude Courlis, poi per un cer- no parte fotografie, collages, poesie, scritti drammaturgici
to periodo Daniel Douglas (pare in onore del e politici - appare come un intreccio di temi e suggestio-
perduto amore di Oscar Wilde), prima di assumere defini- ni che si puo’ seguire solo a patto di lasciarsi trasportare
tivamente il nome di Claude Cahun:”rappresenta ai miei lungo un avventuroso e sorprendente percorso umano ed
occhi il mio vero nome, piuttosto che uno pseudonimo”. artistico ancora tutto da esplorare. A parte la prima e unica
biografia apparsa in Francia nel 1992 (François Leperlier, e il processo di astrazione del femminile. L’intera vicenda
Claude Cahun. L’écart et la métamorphose, Jean Michel artistica e biografica di Cahun è segnata dal suo legame
Place, 1992), è grazie alla critica e storia d’arte femminista
che nel corso degli anni Novanta si sono create le condi-
zioni per una riscoperta di Claude Cahun. Non solo per-
ché Cahun condivide con molte donne artiste il destino di
essere dimenticate dalla storiografia ufficiale, ma anche e
soprattutto perché la sua opera presenta un ventaglio di
intuizioni, forme espressive e immaginari di grande at-
tualità: il lavoro sul corpo dell’artista, i temi dell’identità,
del genere e della sessualità, il travestimento, la masche-
ra, l’androgino. L’infinita galleria di autoritratti realizzati
da Cahun nel corso della sua vita, testimonia una ricerca
insistita e mai conclusa su questi temi. Ricerca che pone
Cahun in una posizione originale ed eccentrica rispetto ai
suoi contemporanei surrealisti e intorno alla quale si apre
un ampio ventaglio di ipotesi interpretative. Laura Cot-
tingham scrive che “nonostante l’uso di alcuni dei tropi fa-
voriti del surrealismo quali gli specchi, il doppio, le distor-
sioni, gli accessori, la messa in scena, l’autoritrattismo di
Cahun rettifica in modo significativo e critica implicita-
mente la spettacolarizzazione del corpo femminile tipica
delle pratiche surrealiste dominanti” (Laura Cottingham,
Cherchez Claude Cahun, Édition Carobella Ex-natura,
2002, p. 14) e a questo potremmo aggiungere maschilista.
Ma l’aspetto radicalmente innovativo del lavoro di Cahun
è da ricercarsi, a mio parere, in quella spinta a minare
le fondamenta stesse della nozione di identità. Ciò che con la donna che è stata per più di trent’anni sua compa-
ci permette di vedere in lei una contemporanea antelit- gna di vita e d’arte, Suzanne Malherbe, illustratrice e arti-
teram, ovvero un’artista che ha giocato con i temi cari sta, conosciuta professionalmente con il nome maschile di
all’arte e al pensiero contemporanei quali la maschera, Marcel Moore. Colei che, chiamata da Cahun “l’autre moi”,
la mobilità e instabilità del sé e delle categorie di genere. ha partecipato all’ideazione e realizzazione di gran parte
I mille travestimenti adottati da Cahun, con una messa in della produzione fotografica attribuita alla sola Cahun.
scena teatrale ed un trucco esagerato, l’uso di abiti maschi- Come fa notare Abigail Solomon-Godeau, a tale proposi-
li o femminili, o la semplice espressività del suo corpo an- to, “questa doppia intimità assume nuovi significati in
drogino, ci permettono di entrare in un mondo in cui non è relazione agli autoritratti di Cahun, perché Malherbe
non solo regolava l’esposizione, ma era la pri-
ma audience, la prima spettatrice alla quale
– per la quale?– Cahun indirizzava l’immagi-
ne e per i cui occhi costruiva le pose. Sembre-
rebbe appropriato quindi considerare queste
immagini come pensate in relazione all’altra
piuttosto che come pertinenti alla categoria
dell’autoritratto nel suo senso più solipsisti-
co” (Abigail Solomon-Godeau, The equivo-
cal “I”: Claude Cahun as lesbian Subject, in
Inverted odysseys: Claude Cahun, Maya
Deren, Cindy Sherman, edited by Shelley,
Cambridge, London, The MIT press, 1999).
Detto questo sarebbe comunque restrittivo con-
siderare Cahun solo come “artista lesbica” in
un’accezione contemporanea. Semmai il lato
più interessante e scivoloso dell’artista è la sua
capacità di esprimere con il suo lavoro e la sua
vita una forza di trasformazione e di sottrazione
al luogo comune, alla fissazione in un canone o
genere (artistico e identitario), che la rende sin-
golare, sfuggendo a una definizione univoca e ad
tanto rilevante il fatto che si possa giocare a divenire l’altro una identificazione. Cahun è cioè singolare e molteplice.
genere, ma piuttosto che è il confine stesso tra i generi che si Bisogna infatti tenere sempre a mente che Cahun è con-
dissolve rendendo sfumata e inoperativa l’opposizione. Ma temporaneamente donna, lesbica ed ebrea. Con il suo
vi è ancora un altro fondamentale elemento che mi sembra pseudonimo Cahun rende evidente la compresenza di que-
necessario evidenziare per capire in che senso le fotografie ste “diversita’” che la compongono e afferma già col nome
di Cahun, e lei stessa, destabilizzano la nozione di identità proprio, Claude, che in francese vale sia per il maschile
che per il femminile, lo sfaldamento dell’identità a partire ne di una identità (di genere, sessuale o razziale), quanto
dal genere sessuale. Ma anche con la scelta del cognome, attraverso la messa in discussione dei processi culturali e
Cahun (nome della famiglia della sociali che fanno dell’identità uno
madre), opera un ulteriore atto strumento di controllo personale
politico. Come ricorda Rosalind e sociale, e che si basano proprio
Krauss, “Cahun è una forma fran- sulla costruzione di differenze
cese di Cohen, e pertanto implica come elementi svalorizzanti. Ri-
di appartenere, tra gli ebrei, alla chiusa con la sua compagna nella
classe rabbinica. […] L’atto provo- prigione di St. Helier fino alla li-
catorio inerente la scelta di lascia- berazione da parte degli alleati nel
re il nome “Schwob” per prendere Maggio del 1945 (Claude morira’
quello di “Cahun” può essere visto nel 1954), la maggior parte della
soltanto come la volontà di sbatte- loro produzione fotografica consi-
re in faccia al forte antisemitismo derata “oscena e pervertita” sara’
della Francia del dopoguerra la distrutta da quello stesso pensiero
propria appartenenza al popolo nazista che l’artista condannava.
ebraico, un tipo di provocazio- E ora prima di lasciarvi una picco-
ne in tutto e per tutto pericolosa la riflessione di Claude: “La mia
quanto quella di esibire il proprio opinione sull’omosessualita’
lesbismo” (Rosalind Krauss, Celi- e gli omosessuali e’ esatta-
bi, Codice Edizioni, 2004, p. 44). mente la stessa opinione che
E di conseguenza bisogna tenere ho dell’eterosessualita’ e gli
in massima considerazione il fatto eterosessuali: tutto dipende
che la Cahun artista ha vissuto in dagli individui e dalle circo-
prima persona le conseguenze del stanze. Io reclamo la liberta’
proprio posizionamento di donna assoluta dei costumi, di tutti
lesbica ebrea, finendo imprigiona- quelli che non ledono la tran-
ta e condannata a morte durante la seconda guerra mon- quillita’, la liberta’ e la serenita’ del prossimo”.
diale, e ha dato voce alla potenza della resistenza –arti-
stica e umana– agli esiti nefasti di un pensiero e di una N.J.W.
politica nazisti, non attraverso l’affermazione o negazio-
Un grazie a tutti voi, cari lettori, per averci seguiti anche in questo numero di Feb-
braio! E scusateci ancora per il ritardo! E non vi preoccupate cercheremo di essere
puntuali per il numero di Marzo!
Il prossimo numero si intitolera’: La nuova rivoluzione é DONNA!
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