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Aquae divinae

Riti e miti nelle Alpi


tra preistoria e cristianità

con contributi di:

Gabriele Archetti
Luca Giarelli
Francesca Roncoroni
Paola Zanovello

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Aquae divinae
riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

Soggetto promotore:
Parco dell’Adamello
Comunità Montana di Valle Camonica
Piazza Tassara 3
25043 Breno (BS)

L’edizione di questo libro è stata curata da:


Luca Giarelli

Contributi:
- Testi: Gabriele Archetti, Luca Giarelli, Francesca Roncoroni, Paola Zanovello.
- Fotografie: Gianpietro Bolis (pp. 53, 84), Dario Furlanetto (pp. 10, 79), Luca Giarelli (pp. 21,
72), Andrea Laffranchi (pp. 26, 58), Giovanni Morandini (pp. 25, 31), Valerio Orlandini (p. 55).
- Copertina: Giovanni Morandini (Fiume Oglio, Esine).
- Illustrazioni e cartografia: Bruna Poetini (p. 16), Moravian Library (p. 89).

Si ringraziano gli autori delle fotografie e delle illustrazioni che hanno gentilmente messo a
disposizione il materiale per il completamento dell’opera.
Senza il permesso scritto è vietata la riproduzione del presente lavoro sotto qualsiasi forma.
Prima edizione italiana, giugno 2015.

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Indice

Oliviero Valzelli - Sonia Cantoni pag. 4


Prefazione

Dario Furlanetto » 7
Presentazione

1. Luca Giarelli » 9
Acque sante e santi d'acqua
Introduzione

2. Francesca Roncoroni » 25
Ritualità delle acque nella protostoria.
Breve analisi di un fenomeno archeo-antropologico in area alpina
e in Italia settentionale

3. Paola Zanovello » 57
Le acque nei miti di epoca classica

4. Gabriele Archetti » 67
La diffusione del cristianesimo lungo le vie d’acqua
Suggestioni dall’area alpina

3
Prefazione
Oliviero Valzelli
Presidente Comunità Montana di Valle Camonica

Il volume «Aquae divinae», dedicato alla sacralità delle acque, è inserito


nell’ormai corposa serie di pregevoli pubblicazioni divulgative denominate
«Conoscere il Parco», promosse dal Parco dell’Adamello.
L’argomento affrontato, benché di non facile sintesi, riesce a fornire una
concreta panoramica sia dei riti e miti legati sin dalle epoche più antiche al
culto delle acque, sia della funzione delle vie fluviali e lacustri nella diffusione
della religione cristiana nell’età tardo antica.
Entrando nel merito tre sono i periodi storici approfonditi dagli studiosi du-
rante il convegno «Le acque del mito nelle Alpi: acqua santa e acque del diavo-
lo» tenutosi a Breno il 28 giugno 2013 all’interno della «Fiera della Sostenibi-
lità nella natura alpina» e qui raccolti.
La fase più antica è stata analizzata dalla dott.sa Francesca Roncoroni del-
la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia, che ha descritto
reperti, luoghi di culto e riti nelle Alpi nell’epoca preistorica e protostorica.
Successivamente la prof.ssa Paola Zanovello dell’Università degli Studi di Pa-
dova, ha fornito una visione ad ampio respiro della mitologia classica legata alle
acque. Il prof. Gabriele Archetti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha
infine affrontato il tema della diffusione del cristianesimo lungo le vie d’acqua,
suggerendo l’immagine dei fiumi alpini come arterie di comunicazione tra la
pianura ed il cuore delle montagne.
Un sentito ringraziamento va quindi rivolto al dott. Dario Furlanetto, Direttore
del Parco dell’Adamello che ha voluto, con questa pubblicazione curata da dott.
Luca Giarelli, affrontare, nell’anno di EXPO Milano «Nutrire il Pianeta, Energia
per la Vita», un tema affascinate ed evocativo quale quello delle «Acque divine».

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Prefazione
Sonia Cantoni
Consigliere delegato alle tematiche ambientali della Fondazione CARIPLO

L’acqua è una risorsa essenziale per la vita del nostro pianeta, per uno svi-
luppo sostenibile di tutti i territori, di tutte le comunità. Ma è anche una risorsa
limitata, a rischio, soggetta a molte pressioni. Inquinamento, siccità, allaga-
menti sono i fenomeni legati all’acqua che si manifestano con sempre maggio-
re e devastante intensità. Su questi fenomeni incidono sia l’uso indiscriminato
dell’acqua, che la gestione incontrollata dei processi di produzione e consumo
dei beni, i rifiuti che vengono immessi nell’ambiente, il consumo di suolo, lo
spreco di energia e i cambiamenti climatici già in atto.
La diversità biologica è la variabilità degli organismi viventi, degli ecosistemi
terrestri, acquatici e i complessi ecologici che essi costituiscono, coesistenza di
svariate forme di vita, tutte utili e selezionate nel corso dei millenni. La biodiver-
sità è «il pilastro della salute del nostro pianeta», dalla varietà di forme di vita ani-
mali e vegetali, infatti, dipendono sia la qualità dell’esistenza umana sia la nostra
stessa possibilità di sopravvivenza. Se la varietà della vita è più ampia, infatti,
ogni ecosistema reagisce meglio, è più «resiliente» rispetto alle pressioni negati-
ve. Ma anche la biodiversità dei nostri ambienti, nel nostro territorio, è a rischio.
La relazione tra acqua e biodiversità è molto stretta: l’acqua gioca un ruo-
lo importante in tutti i processi biologici, la biodiversità promuove la qualità
dell’acqua, disponibilità e qualità dell’acqua condizionano la consistenza della
biodiversità in un ecosistema, i corsi d’acqua possono svolgere la funzione
strategica di corridoi ecologici per le specie sia acquatiche sia terrestri.
Ecco perché salvaguardare la biodiversità di specie faunistiche e floristiche,
attraverso la tutela e lo sviluppo dei corridoi ecologici sia terrestri che fluviali, è
da anni un obiettivo di interesse prioritario per l’Area Ambiente della Fondazione
Cariplo. In particolare dal 2006 - grazie ai bandi «Tutelare la qualità delle acque»,

5
«Tutelare e valorizzare la biodiversità» e dal 2012 con il bando «Realizzare le con-
nessioni ecologiche» - sono stati finanziati oltre 250 progetti mirati a proteggere
l’ambiente della nostra regione, attraverso attività di studio, monitoraggio, pianifi-
cazione, progettazione e anche la realizzazione di interventi concreti sul territorio.
Il Parco regionale dell’Adamello Lombardo è un esempio virtuoso di ammi-
nistrazione pubblica, impegnato com’è nella valorizzazione e nel potenziamen-
to della rete ecologica fluviale che da Ponte di Legno - nell’estrema area setten-
trionale della Valle Camonica - arriva fino a Darfo Boario Terme e oltre grazie
alle positive collaborazioni con il Parco regionale dell’Oglio Nord e il GAL
Valle Camonica Val di Scalve. La pianificazione e la progettazione di interventi
di riqualificazione fluviale e miglioramento di habitat presenti lungo il corso
del fiume Oglio trovano in particolare realizzazione grazie ai progetti «Azioni
e interventi finalizzati al miglioramento delle condizioni ecologiche, paesag-
gistiche e idromorfologiche del Fiume Oglio nel suo tratto intermedio (Edolo
– Breno)» e «Interventi funzionali al miglioramento della connessione ecolo-
gica del Fiume Oglio nel suo tratto intermedio (Darfo Boario Terme e Breno)»
(rispettivamente sui bandi «Connessione ecologica» 2012 e 2013). Si tratta di
interventi finalizzati al potenziamento della connettività fluviale longitudinale e
laterale, attraverso azioni di miglioramento delle condizioni ecologiche, biolo-
giche e idromorfologiche del fiume Oglio, «corridoio regionale primario» con
funzioni di collegamento nord-sud fino al bacino del Lago d’Iseo.
La realizzazione e la divulgazione di questo volume rappresentano una tappa
importante del percorso di collaborazione tra il Parco, le amministrazioni locali
e gli stakeholders presenti sul territorio, con il supporto di Fondazione Cariplo.
Riteniamo quindi di estrema importanza proseguire su questa strada che sta
portando a risultati eccellenti per la salvaguardia della biodiversità. La comu-
nicazione e la sensibilizzazione nei confronti dei cittadini, in un contesto di più
ampio respiro, regionale e con attenzione ai fenomeni globali in atto, sono un
tassello fondamentale per la salvaguardia del nostro territorio.
La Fondazione Cariplo continuerà a sostenere questo impegno e a diffondere
il valore di questa esperienza.

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Presentazione
Dario Furlanetto
Direttore Parco dell’Adamello

Il secondo appuntamento della Fiera della sostenibilità nella natura alpina


– anno 2013 – venne dedicato all’acqua. Era quello l’anno che le Nazioni Unite
avevano voluto quale «Anno internazionale per la cooperazione idrica» met-
tendo al centro del dibattito mondiale l’acqua, valorizzandola e declinandola
in tutti i suoi aspetti.
L’acqua venne dunque posta al centro del dibattito culturale e politico del
nostro territorio per l’intera manifestazione, anticipando così anche il tema che
la Valle Camonica, terra ricca d’acque, volle poi proporre quale proprio contri-
buto all’Esposizione Universale di Milano del 2015.
Alla base delle esplorazioni sul tema «ACQUA» vi furono gli elementi fon-
danti che già nel 2012 avevano ispirato la prima edizione della Fiera della
sostenibilità e che continueranno a mantenere il loro principio ispiratore anche
nell’edizione di quest’anno (2015) che sarà dedicato ad argomenti altrettanto
significativi e ricchi di spunti: «Coltivare la pace, accudire il pianeta».
L’origine della Fiera della sostenibilità nella natura alpina sta tutta nella
contrapposizione tra i due verbi che la definiscono. Infatti «sostenere» significa
tenere qualcosa o qualcuno sollevati sopportandone il peso e significa anche
rinforzare, aiutare, difendere e dare appoggio, accudire e nutrire. Viceversa
«consumare» significa ridurre al nulla e finire un bene con l’uso, logorare,
dissipare, sfruttare. Così, al centro delle riflessioni per la Fiera del 2013, tra
sostenibilità cercata e consumo indotto e subito, venne posto un elemento tanto
indispensabile per la vita sulla Terra quanto apparentemente scontato: l’acqua!
E tra i diversi temi affrontati, dalla quantità e qualità delle acque del fiume
Oglio al valore curativo delle acque termali di Darfo Boario, dalle guerre per

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Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

il possesso dell’acqua - locali e mondiali – alle «acque della paura» - tra esse
quelle del Gleno e della Val Rabbia- , non poteva mancare il tema del valore
«sacro» dell’acqua.
Gli antichi greci pensavano che Gea - o Gaia, la Madre Terra - fosse emersa
dal «caos primordiale». «Caos» è l’origine etimologica della parola gas e oggi
la scienza ci racconta che fu proprio dal gas e dalla polvere che si formò la Ter-
ra, insieme al Sole e agli altri pianeti del nostro sistema. Le moderne scoperte
sull’origine dell’Universo, a ben guardare, non sembrano poi così lontane dai
miti che hanno portato a immaginare l’origine della vita sulla terra.
Di converso, l’immagine della molecola d’acqua come unione di due atomi
di idrogeno con uno di ossigeno, se è lontana dall’idea di Democrito di un ele-
mento formato da particelle sferiche, scivolose, indivisibili, non ci offre ancor
oggi alcun indizio del perché essa sia così speciale, del perché sia la quintes-
senza dei liquidi e dei solventi, l’elemento dei fiocchi di neve e dei ghiacciai
e l’essenza stessa della vita sulla Terra. Più di quattromila anni di filosofia, di
chimica, di fisica non hanno svelato il mistero: volendo ben guardare, siamo
ancora all’inizio del nostro viaggio.
Nella storia dell’umanità, l’acqua che bagnò e alimentò le radici della civiltà
umana era acqua dolce, non salata. Le quattro grandi civiltà più antiche sorse-
ro nei pressi dei fiumi, nelle loro fertili pianure alluvionali: la Mesopotamia,
abbracciata dal Tigri e dall’Eufrate (nel moderno Iraq); la cultura Harrapan
sull’Indo (in quello che oggi è il Pakistan); la civiltà cinese, lungo i potenti
Fiumi Giallo e Azzurro, che discendono dalle cime dell’altopiano del Tibet;
quella egizia, lungo il Nilo.
La natura essenziale di questa dipendenza dall’acqua si riflette linguistica-
mente nel persiano, il cui dizionario comincia con la parola ab, che significa
acqua. Qui sta la radice della parola abode (dimora), dal persiano abad; e da
qui deriva abadan, che significa «civilizzato». In questo caso, davvero alla
lettera, l’acqua è la culla delle civiltà.
È partendo da queste considerazioni che nell’ambito della Fiera della soste-
nibilità nella natura alpina, edizione 2013, a Breno, presso il Palazzo della

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Presentazione

Cultura, venerdì 28 giugno 2013 si tenne un convegno dal titolo «Le acque del
mito nelle Alpi: acqua santa e acque del diavolo» dai cui contenuti ha preso
idea e corpo il testo che qui presentiamo.
Un ringraziamento va innanzitutto a Luca Giarelli, organizzatore dell’evento
e oggi coautore e curatore del testo «Aquae divinae» ed a seguire ai tre relatori,
oggi Autori, dei testi che lo compendiano, dandogli corpo, scientifica attenzio-
ne e piacevole lettura.
Questa edizione, voluta dal Parco Adamello nell’ambito della propria colla-
na storica, è stata possibile grazie al contributo di Fondazione CARIPLO che,
nell’ambito del progetto «Interventi funzionali al miglioramento della connes-
sione ecologica del fiume Oglio nel suo tratto intermedio (Edolo – Breno)» sta
sostenendo la riqualificazione, oltreché ecologica, paesaggistica e fruitiva del
fiume Oglio, non solo nel tratto citato ma, con un ulteriore intervento finanziato
recentemente, anche nel tratto Breno–Darfo Boario Terme. Questo volume va
dunque a integrare una serie di prodotti editoriali messi in campo dal Parco
Adamello per meglio conoscere e quindi tutelare il patrimonio naturale e scien-
tifico, ma prima ancora di ciò, culturale e identitario, della Valle Camonica.
Nulla di più pericoloso vi è, infatti, che l’oblio e l’ignoranza delle cose, sia-
no esse di natura, di scienza, di storia o di generale cultura. Solo con la cono-
scenza è possibile comprendere, sapere, «intelligere», ovvero leggere le cose
dall’interno, dalla loro essenza e quindi essere in grado di apprezzare e persino
amare. Senza comprensione non vi è capacità di azione, senza azione non vi è
tutela. Le acque della Valle Camonica hanno bisogno di comprensione nel loro
valore, di intelligenza per la loro gestione e di azioni concrete per la loro tutela.
A ciò deve contribuire questo testo!

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Fiume Oglio e Pizzo Badile Camuno. 10
Luca Giarelli

Acque sante e santi d’acqua

Quando l’oracolo predisse ad Acrisio, re di Argo, che sarebbe stato


ucciso dal figlio di sua figlia, egli non esitò a rinchiudere l’infelice Danae
in cella, confidando di poter fuggire agli effetti della profezia. Ma Zeus,
padre degli dèi, invaghitosi della giovane, trasformandosi in pioggia do-
rata, penetrò nella prigione dove si unì alla sua desiderata: da Danae
sarebbe nato Perseo, il celebre gorgonoctono, che giunto alla maggiore
età avrebbe adempiuto, inconsapevolemente come vogliono le migliori
tragedie greche, al suo fato.
Questo racconto, tratto dai miti antichi, non ripropone che uno dei va-
lori con cui gli occhi umani allegorizzavano il potere dell’acqua, liquido
che, precipitando dal cielo, aveva la capacità di rendere feconda la terra1.

«All’inizio di tutte le cose, la Madre Terra emerse dal Caos e generò nel son-
no suo figlio Urano. Dall’alto delle montagne Urano guardò la dea con occhio
amoroso e versò piogge feconde nelle sue pieghe segrete ed essa generò erba,

1
Un’illustrazione sui vari significati delle acque in epoca antica in: M. Dall’Aglio, I culti
delle Acque nell’Italia antica, Imola 2009. Alcuni spunti interessanti ritornano anche in S.
Tonutti, Acqua e antropologia, Bologna 2007.

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Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

alberi e fiori, unitamente alle belve e agli uccelli. Quelle stesse piogge fecero poi
scorrere i fiumi e colmaro d’acqua i bacini, e così si formarono laghi e mari»2.

Ma se l’acqua celeste, superiore, fungeva da seme, quella inferiore po-


teva esser percepita come un grembo. Questo accadeva, ad esempio, nel
mito della nascita di Afrodite, la medesima dea della fertilità:

«E come [Crono] ebbe tagliati i genitali [al padre Urano] con l’adamante
lì getto dalla terra nel mare molto agitato, e furono portati al largo, per molto
tempo; attorno bianca la spuma dall’immortale membro sortì, e in essa una fan-
ciulla nacque, e dapprima a Citera divina giunse, e di lì poi giunse a Cipro molto
lambita dai flutti; lì approdò, la dea veneranda e bella, e attorno l’erba sotto i
piedi nasceva; lei Afrodite»3.

Il Signore dei Mari era il dio Poseidone4, fratello di Zeus. Oltre a lui
i racconti classici enumeravano un ampio numero di divinità legate alle
acque. Tra quelle primigenie, illustrate nelle teogonie, vi sono Ponto, il
«mare infecondo di gonfiore furente», generato da Gea (la Terra) che si
autofecondò, e Oceano, nato dall’unione tra Urano e Gea5. Quest’ulti-
mo, definito «fiume» (ποταμοῖo Ὠκεανοῦ), era descritto come un corso
d’acqua che scorreva tutt’intorno alle terre emerse. Grazie al suo movi-
mento sia i fiumi e che i mari erano connessi e rimessi in circolo6.
2
R. Graves, I miti greci, I, Milano 1963, 3, p. 25.
3
Esiodo, Teogonia, vv. 188-195. Secondo alcuni il nome stesso di Afrodite era collegato al
termine ἀφρός (spuma del mare). Altri invece lo preferiscano derivato da divinità mediorien-
tali, come la fenicia Astarte.
4
A partire dal lectisternium del 399 a.C. il Poseidone greco fu associato Nettuno dei romani,
inizialmente divinità delle acque correnti (Livio, Ab Urbe Condita, V, 13). Riferimenti ai
Neptunalia in area padana in: S. Solano, Il calendario di Guidizzolo (Mantova). Feste e culti
in età romana, Carpenedolo 2012, p. 20.
5
Esiodo, op. cit., vv. 131-133.
6
Omero, Iliade, XXI, vv. 196-197. Omero descrive Oceano come «origine dei numi» (θεῶν
γένεσις) (ibidem, XIV, vv. 201; 246). Leonardo Da Vinci concordava con questa visione: «sì
che si può conchiudere che l’acqua vadi dai fiumi al mare e dal mare ai fiumi, sempre così

12
Acque sante e santi d’acqua

Per quanto non esista nella tradizione dell’antica Grecia un’unica ver-
sione della creazione del mondo, quasi tutti i miti concordano che ogni
cosa ebbe orgine dal Caos. Uno di essi ricorda come all’inizio dei tempi,
ancor prima nascita della terra, sia i cieli che le acque già esistessero.

«All’inizio Eurinome, Dea di Tutte le Cose, emerse nuda dal Caos e non tro-
vò nulla di solido per posarvi i piedi: divise allora il mare dal cielo e intrecciò
sola una danza sulle onde».

Eurinome, rimasta incinta del serpente Ofione da lei creato sfregando


tra le mani Borea, il vento del nord, dopo esser volata sul mare «prese la
forma di una colomba e, a tempo debito, depose l’Uovo Universale» dal
quale «uscirono tutte le cose esistenti figlie di Eurinome: il sole, la luna,
i pianeti, le stelle, la terra con i suoi monti, con i suoi fiumi, con i suoi
alberi e con le erbe e le creature viventi»7.
Anche nella Genesi ebraica l’elemento acquatico risulta già presente
prima che Dio8 creasse (‫ )אָ֣רָּב‬il cielo e la terra:

«In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era sterminata e vuota, le te-
nebre erano sulla faccia dell’abisso e lo spirito di Dio si librava sulla superficie
delle acque» [...] «Dio disse poi: sia una distesa in mezzo alle acque che separi
le une dalle altre. Dio fece la distesa e separò le acque che sono al di sotto della
distesa da quelle che sono al di sopra di essa. E così fu. Dio chiamò cielo la
distesa; così fu sera e fu mattino, un secondo giorno. Dio disse ‹si riuniscano le
acque che sono al di sotto del cielo in un sol luogo sì che apparisca l’asciutto›.
E così fu. Dio chiamò l’asciutto terra e chiamò mari l’ammasso delle acque»9.

raggirando e voltandosi e che tutto il mare e i fiumi sia[no] passati per la bocca del Nilo infi-
nite volte» (Manoscritto A, Paris, f. 56 r-v).
7
R. Graves, op. cit., I, 1, p. 22.
8
O meglio «gli Dei»: la parola ebraica Elohim (‫)םיִ֑הֹלֱא‬, utilizzata in questo passo, rappresenta
un nome maschile plurale.
9
Genesi, 1, 1-2 e 6-10. Testi da: D. Disegni, Bibbia ebraica. Pentateuco e haftaroth, Fi-
renze 2005.
13
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

Non distogliendosi dal libro della Genesi si può osservare come l’ac-
qua fungesse anche da strumento dell’ira divina, e poteva esser utilizzato
per punire la malvagità umana. È questo il caso biblico del diluvio di
Noè10, evento sul quale anche la mitologia greca possedeva un proprio
corrispettivo: il mito di Pirra e Deucalione.
Esso narra di come Zeus si adirò contro gli esseri umani a causa della
sfrontatezza dei figli di Liacaone che avevano osato offrirgli in pasto
un’immonda zuppa preparata con le interiora del loro fratello Nittimo.
Il padre degli dèi scagliò la sua vendetta su tutto il genere umano de-
cidendo di sterminarlo con una possente alluvione. Ma Deucalione, av-
vertito dal padre Prometeo dei disegni del Signore dell’Olimpo, riuscì a
costruire un’arca dove imbarcò la moglie Pirra e numerose vettovaglie.
Dopo che il mondo venne inondato e la strage compiuta, i due scampati
navigarono per nove giorni, finchè l’imbarcazione si adagiò su un monte.
Sbarcati sani e salvi, Deucalione e Pirra offrirono sacrifici a Zeus e lo
supplicarono di riportare in vita il genere umano. Il Dio acconsentì, a
patto che i sopravvissuti chinassero il capo in segno di sottomissione e
gettassero alle loro spalle «le ossa della loro madre». La genitrice a cui si
riferiva Zeus non era altro che la Madre Terra. Compreso così l’enigma
i due iniziarono a gettare alle loro spalle delle pietre (le ossa) le quali si
trasformarono di volta in volta in uomini o donne, a seconda che fossero
state lanciate da Deucalione o da Pirra11.
L’acqua come strumento di morte poteva anche essere direttamente le-
gata all’Oltretomba: questo era il caso dei cinque fiumi degl’inferi. Uno
di questi era Stige, dove gli dèi si recavano per il «gran giuramento»
quando tra loro sorgeva una contesa o bisognava svelare una menzogna.

10
Genesi, 6-9.
11
R. Graves, op. cit., I, 38, p. 123.

14
Acque sante e santi d’acqua

Il rito prescriveva che si dovesse bere da «un aureo boccale l’illu-


stre acqua fresca che si versa da una roccia scoscesa e alta»: qualora
tra gl’immortali venisse scoperto uno spergiuro, egli sarebbe caduto in
torpore per un anno e per altri nove non avrebbe potuto avvicinarsi ai
banchetti divini12.
Oltre a Stige le acque infernali erano il bollente Flegetonte, il gelido
Cocito ed il Lete, il fiume dell’oblio, tutti quanti confluenti dell’Ache-
ronte. Quest’ultimo era il corso principale, che la leggenda vuole esser
stato tramutato da Zeus in acqua amara come punizione per aver disseta-
to i Titani ribelli nella loro impresa contro gli dei dell’Olimpo13.
Acheronte inoltre rappresentava il concreto confine con l’Oltretom-
ba: attraversarlo significava entrare nell’Ade, il regno delle anime dei
morti, dove ai vivi – eccetto pochissime eccezioni – era vietato andare.
Le due sponde erano collegate da Caronte, il demoniaco traghettatore,
«dio di cruda e verde vecchiaia, [che] spinge la zattera con una pertica
e governa le vele e trasporta i corpi sulla barca di colore ferrigno»14.
Egli, nella sua funzione di psicopompo, trasportava da un lato all’altro
le anime che attendevano sulle tristes ripae.
Nella sensibilità antica era opportuno che tutte le divinità, sia buone
che malvagie, ottenessero un giusto tributo di onori, ricorrenze e parti-
colari venerazioni.
Nella Roma antica vi era la festa dei Fontinalia, celebrazione dedicata
alle sorgenti, che cadeva il 13 ottobre: secondo Varrone era uso in quel
giorno decorare i pozzi e gettare ghirlande di fiori nelle fonti15.
12
Esiodo, op. cit., vv. 775-806. In queste acque fu immerso Achille dalla madre Teti per
ottenere l’invulnerabilità.
13
Il nome stesso deriva da ἄχερος, «stagno, lago». Le descrizioni di Virgilio lo illustrano
come «torbido gorgo di fango» (Virgilio, Eneide, VI, vv. 296-297).
14
Ibidem, vv. 298-304. A lui è associata la figura di Charun, il demone azzurro della mitologia
etrusca, pittorescamente rappresentato nelle famose tombe di Tarquinia.
15
«Fontanalia a Fonte, quod is dies feriae eius; ab eo tum et in fontes coronas iaciunt et
puteos coronant» (Varrone, De lingua latina, VI, 22). Forse da questi riti origina la pratica
15
16
Acque sante e santi d’acqua

Anche fiumi e porti avevano ricorrenze annuali: le Tiberinalia e i Por-


tunalia erano dedicate rispettivamente al dio Tiberino (il fiume Tevere)
e a Portuno, il protettore dei porti e delle porte16. Un rito particolare era
legato al Tevere: si trattava di quello degli Argei, nome con il quale era-
no indicati dei fantocci di forma umana, costruiti con giunchi, canne e
paglia intrecciata. Questi simulacri venivano portati in processione per
un circuito cittadino e, giunti al Ponte Sublicio, il più antico dell’Urbe,
venivano gettati nel fiume dai sacerdoti17.
Aree specifiche erano inoltre permanentemente dedicate al culto de-
gli dèi: si poteva trattare sia di piccoli altari, di carattere quasi privato,
oppure di imponenti templi o santuari, aperti al culto pubblico. In Valle
Camonica, vallata alpina in provincia di Brescia, possiamo trovare due
esempi di questo tipo di venerazioni legate alle acque.
Per il primo caso abbiamo un’ara ex voto con dedica alle Fontibus di-
vinis, nota già dal XVII secolo in quanto si trovava murata nella chiesa
campestre di San Michele a Berzo Inferiore, eretta in cima ad un colle18.
L’altro esempio è rappesentato dal vasto santuario dedicato a Miner-
va rivenuto alla fine del XX secolo in comune di Breno. Qui, in epoca
romana, era stato edificato un luogo di culto addossato ad uno spero-
ne calcareo. Da questa roccia, caratterizzata dalla presenza di fessure,
sgorgava anticamente dell’acqua, ritenuta in passato probabilmente sa-
cra o salutare19.

propiziatoria di lanciare monete nei pozzi o nelle fontane.


16
Secondo alcune fonti i Tiberinalia si svolgevano l’8 dicembre (Fasti Amitenini, CIL IX,
4192), secondo altre il 17 agosto, in concomitanza con i Portunalia (Furio Dionisio Filocalo,
Chronographus anni 354).
17
Ovidio, Fasti, V, vv. 622-659. Il rito era probabilmente legato in origine a veri sacrifici umani.
18
Berzo Inferiore, CIL V, 4938: Fontibus / divinis / sacr(um) / M(arcus) Antonius / Sp(uri)
f(ilius) Stephon / v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito).
19
Un culto particolare, legato alle acque di stillicidio è documentato per un’epoca molto più
antica, quella del Neolitico medio, in alcune grotte dell’Italia centro-meridionale: Lattaia in

17
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

Gli scavi archeologici hanno inoltre riportato alla luce i resti di una
fase di frequentazione del sito più antica di quella romana, compresa tra
la media età del Ferro (VII-V a.C.) e l’età giulio-claudia.
In questo periodo, ai piedi della parete rocciosa, si trovava un altare
sul quale erano accesi roghi di carattere sacro (Brandopferplatz) e si pra-
ticava la frammentazione rituale della ceramica. Numerosi sono i resti
abbrustoliti di boccali, olle, bacili, tazze, teglie, tutti utilizzati durante i
riti di libagione20.
Tra i reperti provenienti dagli strati carboniosi della piattaforma è stato
ritrovato un pendaglio-amuleto di bronzo delle dimensioni di pochi cen-
timetri, probabilmente un ex-voto. La sua curiosa forma sembra rappre-
sentare nella parte superiore una figura antropomorfa schematica – resa
con tre elementi uguali che ricordano due braccia e una testa –, e nella
parte inferiore una barca con protomi ornitomorfe.
Se da un lato è relativamente intuitivo identificare come «barca» l’ele-
mento di connessione tra le due terminazioni opposte a forma di testa
d’uccello, caratterizzate da sinuosi becchi tipici delle teste cigni, anatidi o
comunque volatili legati alle acque, rimane più difficile associare questo
simbolo al culto solare, al quale gli studiosi fanno sovente riferimento21.
La stessa mitologia classica, solitamente così ricca d’esempi, non rie-
sce a fornire che due deboli miti a riguardo: il primo è relativo a Cicno,

Toscana, Pozzi della Piana in Umbria, Grotta dei Meri sul Monte Soratte nel Lazio e Grotta
Scaloria in Puglia. In quest’ultima sono stati trovati dei vasi - ormai colmi di concrezioni
carbonatiche - posizionati su stalagmiti troncate con lo scopo di raccogliere le acque goc-
ciolanti dalla roccia. Questo liquido era forse in qualche modo assimilato al latte materno e
utilizzato a scopo terapeutico (A. Pessina, V. Tinè, Archeologia del Neolitico: l’Italia tra VI e
IV millennio a.C., Roma 2008, p. 270).
20
A. Guglielmetti et al., Aspetti del rituale dall’analisi delle ceramiche del santuario, in Il san-
tuario di Minerva. Un luogo di culto a Breno tra protostoria ed età romana, Milano 2010, p. 318.
21
«Riguardo al suo significato, è necessario rifersi alla mitologia nordica, dove la barca a pro-
tomi ornitomorfe trasporta il sole nel suo viaggio quotidiano attraverso il cielo e l’anima del
guerriero nell’aldilà» (A.E. Fossati, L’acqua, le armi e gli uccelli nell’arte rupestre camuna
dell’età del Ferro, in Notizie Archeologiche Bergomensi, 2, Bergamo 1994, p. 210).

18
Acque sante e santi d’acqua

figlio di Apollo, che perì gettatosi nel lago Cidneo assieme alla madre
Iria, venendo poi entrambi trasformati in cigni dallo stesso Dio22. Il se-
condo ricorda solamente il particolare del carro di Apollo «trainato da
cigni» in un viaggio verso le terre degli Iperborei23.
Al di là della stretta definizione di «barca solare» o «barca a protomi
ornitomorfe», il simbolo che vede legate due teste d’uccello acquatico
contrapposte si trova diffuso dalla Svezia ai Balcani fino alle aree di cul-
tura villanoviana24. Tale rappresentazione è presente anche tra le incisioni
rupestri della Valle Camonica dove, in taluni casi, è accompagnata da una
parola in caratteri nord-etruschi disposta sulla linea retta che congiunge
le due protomi25. Trattando il tema dell’acqua e delle incisioni rupestri
camune non si può ignorare la suggestiva associazione toponomasti-
ca che vedrebbe connesso il nome della contrada di Naquane, derivato
dall’antico Aquane / Acquane / de Aquanis, alle figure mitologiche del-
le Aquane26. Benchè l’ipotesi risulti affascinante, sebbene la tradizione
folklorica della vallata non abbia memoria di tali esseri fatati, recenti

22
Ovidio Metamorfosi, VII, 371 e segg.
23
Dall’Inno ad Apollo di Alceo, fr. 307, di cui si ha la parafrasi di Imerio (Orationes, XLVIII, 10).
24
C. Iaia, Lo stile della «barca solare ornitomorfa» nella toreutica italiana della prima età
del ferro, in Preistoria e protostoria in Etruria, I, Milano 2004.
25
Questo accade ad esempio a Capo di Ponte nel Parco Nazionale delle Incisioni rupestri
dove sulla roccia 50 si possono traslitterare le sconosciute parole uaϑiaz, ilzaz e iplaz. D’altro
canto ciò non avviene sulla roccia 70 dove la invece barchetta solare si sovrappone alla figura
identificata come il dio celtico Cernunnos. (R. Poggiani Keller et al., I parchi d’arte rupestre
di Capo di Ponte, Breno 2005, pp. 20, 25). Nei casi dove compaiono dei nomi sul dorso della
barca sorgerebbe l’idea d’interpretare le stesse come mezzi funerari, al pari dell’imbarcazione
psicopompa di Caronte. Non mancano d’altra parte su queste rocce numerose incisioni d’uccel-
li, che vengono distinti in due categorie: quelli rapaci, col becco verso il basso, e quelli acquatici,
col becco verso l’alto. Sorge spontanea la domanda su come potessero venir percepiti culti e riti
riguardanti il concetto stesso d’imbarcazione tra le antiche popolazioni delle Alpi, che con esso
dovevano avere ben poca familiarità.
26
A.E. Fossati, op cit., pp. 203-206. Rimane d’altro canto affascinante il riferimento a questi
esseri mitologici, ricordati come aiguane già nel XIII secolo da Giacomino da Verona nel suo
poemetto in volgare De Ierusalem Celesti et de pulchritudine eius et beatitudine et gaudia
sanctorum (cfr. M. Centini, Incisioni rupestri ed echi di culti acquatici, in Quaderni camuni,
59, Nadro di Ceto 1992).

19
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

studi hanno avanzato che il nome del luogo possa invece derivare da una
più semplice associazione tra la morfologia ed il territorio27.
Ritornando alla placchetta votiva di Breno, alcuni studiosi ritengo-
no che l’amuleto potesse ricondurre iconograficamente ad una divinità
femminile dai tratti antropozoomorfi, forse associabile alla dea delle
acque presente nella cultura paleoveneta e conosciuta coi nomi di Pora
o Reitia, identificata dall’interpretatio romana proprio con Minerva28.
Quando la Valle Camonica fu conquistata da Roma (16 a.C.), anche il
luogo di culto protostorico dove si effettuavano riti legati alle acque subì
un rimaneggiamento. Tra l’Età Giulio-Claudia e quella Flavia si eresse un
più consono santuario dedicato a Minerva: secondo il principio dell’in-
terpretazione romana la divinità classica avrebbe dovuto richiamare le
caratteristiche di quella indigena adorata precedentemente in quel luogo.
Si scelse d’addossare il lato posteriore della vasta struttura alla parete
rocciosa dalla quale sgorgava l’acqua, mentre la facciata sarebbe sta-
ta rivolta in direzione dell fiume Oglio, in accordo con le disposizioni
vitruviane sulla costruzione dei templi29. La pianta, a ferro di cavallo30,
comprendeva un ampio cortile all’interno del quale era posizionato l’al-
tare per le libagioni. Il podio, rialzato, era decorato ai lati da due fontane
27
Il Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri, comunemente detto «di Naquane», non insiste
che marginalmente sull’antica contrata de Aquanis: essa infatti era anticamente posizionata
più a meridione, in gran parte pertinente al territorio di Nadro di Ceto, in quel sito archeologi-
co oggi chiamato «Area di Foppe». In questo luogo si trova un prato reso acquitrinoso da un
piccolo torrente che lo attraversa: è possibile che proprio questa caratteristica sia alla base del
topononimo «Aquane» (L. Giarelli, Toponomastica delle aree incise di Capo di Ponte, Ceto,
Cimbergo e Paspardo in Valle Camonica: versante orientale, in Annali della Riserva naturale
Incisioni rupestri di Ceto, Cimbergo e Paspardo, n. 1, Nadro di Ceto 2014, p. 13).
28
F. Rossi, Le lamine votive, in Il santuario di Minerva. Un luogo di culto a Breno tra protosto-
ria ed età romana, Milano 2010, p. 94. Una rassegna d’immagini di queste figure antropo-zoo-
morfe (sia ornitomorfe che equine) si trova in in F. Rossi, La dea sconosciuta e la barca solare.
Una placchetta votiva dal santuario protostorico di Breno in Valle Camonica, Milano 2005.
29
«Item si secundum flumina aedes sacrae fient, ita uti Aegypto circa Nilum, ad flumini ripas
videntur spectare debere» (Vitruvio, De architectura, IV, 4).
30
O forse quadrilatera, ma le piene del fiume hanno asportato le eventuali tracce della parte frontale.

20
21 Santuario di Minerva, Breno.
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

nelle quali erano convogliate le acque della sorgente retrostante. Delle


sette celle rivenute, la più vasta e ornata (sia con pitture che con mosaici)
era quella centrale, dove era ospitata la statua della dea, oggi conservata
al Museo Nazionale di Valle Camonica. Nella sala più meridionale, posi-
zionata letteralmente al di sotto della parete rocciosa, era contenuta una
vasca presumibilmente utilizzata per le abluzioni31.
La fine della frequentazione del santuario è databile non oltre l’inizio
del V secolo d.C., forse causata da un violento incendio. In quel secolo,
alla situazione politica complessa nell’Impero Romano, si aggiungeva
il terremoto culturale provocato dall’affermazione della nuova religio-
ne cristiana che, ormai legittimata nel suo credo, si dedicava attivamen-
te all’evangelizzazione ed alla diffusione del proprio culto32.
Neppure nei periodi seguenti mancarono le ostilità nei confronti di
quei pagani che ancora non avevano abbandonato la fede in pietre, alberi
e fonti33. È comunque innegabile che, pur dissociandosi dalle pratiche
antiche, nella religione cristiana confluirono elementi non proprio orto-
dossi, assimilati in contesti di contatto con le credenze politeiste34.

31
Per maggiori informazioni sul santuario: F. Rossi (a cura di), Il santuario di Minerva. Un
luogo di culto a Breno tra protostoria ed età romana, Milano 2010.
32
Nel 313 Costantino e Licinio sottoscrissero l’Editto di Milano o Editto di Tolleranza. Con
l’Editto di Tessalonica del 380, emanato dagli imperatori Graziano, Valentiniano e Teodosio,
il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell’Impero romano. Ad esso si aggiunsero, tra
il 391 ed il 392, una serie di decreti volti a limitare il paganesimo.
33
Nel secondo Concilio di Arles (452) si indicava ai vescovi di vigilare per impedire agli in-
fedeli di accendere fiaccole, adorare alberi, fonti o sassi. In quello di Tours del 567 si inveiva
contro coloro che «adoravano gl’Idoli, accendevano delle fiaccole, e prestavano culti ai fonti
e agli arbori». Ancora nel 732 Carlo Magno ad Aquisgrana ordinava che «si tolga via, ed abo-
lisca da per tutto il culto, che i sempliciotti prestano agli arbori, alle pietre, alle fonti» (A. dal
Pozzo, Memorie istoriche dei sette comuni vicentini, Vicenza 1820, pp. 173-174).
34
Per citare solamente le ricorrenze calendariali, tra i casi più conosciuti vi sono il Natale (25
Dicembre) in associazione con le feste pagane legate al solstizio d’inverno ed al Dies Nata-
lis Solis Invicti; la Festa dell’Incarnazione o Annunciazione che si effettuava il 25 marzo e
richiamava i culti della fertilità che si effettuavano nei dintorni dell’equinozio di primavera;
la Festa dell’Assuzione di Maria si svolgeva il 15 Agosto che ereditava le Feriae Augusti
dell’età imperiale.

22
Acque sante e santi d’acqua

Nel cristianesimo il principale rito che prevedeva l’uso delle acque


era il battesimo. Questo sacramento, finalizzato ad un processo di pu-
rificazione, consentiva ai catecumeni, in origine persone adulte, di ac-
cedere all’ecclesia mondandosi dal peccato originale. Col passar dei
secoli il rito venne sempre più anticipato a favore degli infanti, con
l’esplicita motivazione di permettere anche ai neonati, qualora fossero
deceduti, d’esser esclusi dal Limbo35.
Particolare valore assunse tra i credenti l’acqua santa, che durante
l’era volgare venne associata a poteri quasi miracolosi, tanto da esser
ritenuta cosa utilissima sia per il corpo che per l’anima. Essa era tenunta
a portata di mano alle porte delle chiese ed al capezzale, tramite la sua
aspersione si potevano scacciare i demoni da persone o dai luoghi infe-
stati, così come i fantasmi. Con essa si potevano contrastare le tentazio-
ni del Demonio e sciogliere gli incantesimi e le stregherie.
Tale acqua disponeva inoltre l’anima a ricevere la grazia di Dio e
l’assistenza dello Spirito Santo, ma poteva tornar utile per cancellare
peccati veniali con l’abbinamento di preghiere ed implorazioni. Tra le
azioni taumaturgiche dell’acqua santa vi erano quelle contro le infermi-
tà, i contagi e le infezioni, ma anche contro la sterilità, sia di uomini, che
di bestie, oltre al potere disinfestante contro le cavallette e altri animali
che danneggiavano le campagne36.

35
Nei primi decenni del Settecento la chiesa di Santa Maria a Berzo Inferiore, in Valle Ca-
monica, divenne l’epicentro di una serie di miracoli. In questo luogo si portavano «agli altari
della Vergine le creature, o figlioli, che nascono morte, e vedendosi quasi in tutte alcuni se-
gni di vita si battezzavano», in modo che potessero venir seppelliti in un luogo sacro con le
«essequie solite, e di più con sono di campane, e con messe cantate si solennizza il miracolo
rendendo gratie publicamente alla Vergine Santissima». Nonostante gli espressi divieti della
diocesi si registrarono, tra il 1746 ed il 1756, 120 casi di bambini nati morti e miracolosa-
mente tornati alla vita per essere battezzati (O. Franzoni, Un lembo di paradiso. Fede e storia
nella comunità di Berzo Inferiore, Berzo Inferiore 2010, pp. 34-35).
36
Nozioni estratte da P.M. Ferreri, Instruzioni in forma di catechismo per la pratica della
dottrina cristiana / spiegate nel Gesù di Palermo da Pietro Maria Ferreri palermitano della
Compagnia di Gesù, Palermo 1737, pp. 241-242.

23
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

La «santità» dell’acqua poteva ottenersi tramite una benedizione del


sacerdote oppure provenire da quelle sorgenti ritenute miracolose, spes-
so tradizionalmente connesse al passaggio di un santo o all’apparizione
della Madonna37. Tra le fonti d’acqua miracolosa più curiose si annovera
sicuramente quella legata al culto di Sant’Obizio da Niardo, vissuto nel
XII secolo38. A seguito della morte di questo cavaliere divenuto eremita,
il corpo venne conservato dalle religiose di Santa Giulia nella città di
Brescia. Dopo che le monache decisero di traslare le reliquie dal primo
sepolcro ad una più consona arca di marmo, da quest’ultima iniziò a sgor-
gare acqua viva dai poteri sananti, cosa che «fu trovata molto giovevole
agli infermi di febbre, che divotamente la bevevano»39. Il miracolo cessò
alla fine del XV secolo, quando si ebbe la malaugurata idea di spostare il
corpo del santo in una nuova arca, ancora più sontuosa. Ma la mattina del
10 ottobre 1505, preannunciato dal suono spontaneo della campana del
monastero e da una strana luce notturna avvistata da una monaca «tenuta
desta da un acre dolor di denti», le religiose trovano il pavimento della
sagrestia tutto bagnato: l’arca, dov’era conservato il corpo del santo, era
aperta e nuovamente ricolma d’acqua. Il prodigio proseguì almeno fino
al XVII secolo, quando la santa fonte si spense40.
37
Solo come nota di colore si segnala il caso di San Guinefort, il «santo levriero», alla cui
tomba, posizionata nei pressi di un torrente, si ottenevano miracolose guarigioni d‘infanti (É.
de Bourbon, Anecdotes historiques, légendes et apologues tirés du Recueil inédit d’Étienne
de Bourbon, a cura di Lecoy de La Marche, Paris 1877, pp. 325-328).
38
Secondo la sua ierografia Obizio si convertì a vita eremitica a seguito della battaglia della
Malamorte nei pressi di Rudiano. Tornato nella sua Valle Camonica per dar la notizia a moglie
e figli, trovò anche il tempo d’occuparsi della ricostruzione del «Ponte di Minerva» a Breno,
il cui toponimo ricordava anticamente il non ancora scoperto sito archeologico precitato.
39
A riguardo Mark Twain potrebbe ironicamente sentenziare che: «Tutte le scoperte della me-
dicina si possono ricondurre alla breve formula: l’acqua, bevuta moderatamente, non è nociva».
40
G. Guadagnini, Discorso di Giambattista Guadagnini arciprete di Cividate per la solenne
traslazione del corpo di S. Obizio dal regio monastero di S. Giulia di Brescia alla sua patria
di Niardo il dì 16 dicembre 1798, Brescia 1799, pp. 111 e segg. Relativamente ai sepolcri di
santi pieni d’acqua ricordiamo anche quello dei Santi Ambrogio, Gervasio e Protasio a Mila-
no, ritrovato colmo per due terzi a seguito della ricognizione delle relique del 1871.

24
Acque sante e santi d’acqua

Non possiamo concludere questa breve introduzione dimenticando


alcuni santi la cui iconografia è assai diffusa e comprende l’elemento
acquatico. Il primo è naturalmente San Giovanni Battista, spesso ritratto
nell’attimo del battesimo del Cristo. Poi c’è San Cristoforo, inconfondi-
bile nelle sue fattezze colossali, comunemente rappresentato nell’atto di
attraversare un fiume con il piccolo Cristo seduto sulla spalla. Per ulti-
mo un altro San Giovanni, quello Nepomuceno, identificabile grazie alla
caratteristica mantellina d’ermellino, la cui vita si spense quando venne
gettato nel fiume Moldava nel XIV secolo, ma la cui venerazione è fre-
quente in cappelle erette in prossimità di ponti e fiumi.

25 Lago di Lova, Borno.


Torrente Clegna, Capo di Ponte. 26
Francesca Roncoroni

Ritualità delle acque nella protostoria

Breve analisi di un fenomeno archeo-antropologico


in area alpina e in Italia settentrionale

In Europa, nelle età del Bronzo e del Ferro, parte della preistoria avan-
zata, ovvero della protostoria, le evidenze archeologiche hanno indotto
a parlare dell’esistenza di culti delle acque. Tale problematica è ampia
e qui è possibile solo sfiorarla, chiarendone le caratteristiche principa-
li, gli elementi che la definiscono in senso antropologico, le categorie
principali di riti e di oggetti ad essi collegati. Prima di tutto è tuttavia
necessario riflettere sul perché e se tali culti siano esistiti.
Quando si pensa alla relazione tra uomo e acqua si tende a considerarla
estremamente positiva e naturale, specie se raffrontata con altri elementi
della natura, quali ad esempio il fuoco. Tuttavia questo approccio è su-
perficiale e dettato da un rapporto scarsamente simbiotico con l’ambien-
te, certamente non tipico dell’uomo del passato, che vi si doveva adattare
maggiormente di quanto non sia necessario fare oggi.

27
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

L’acqua di sorgente è fonte di vita, perché pura e incontaminata, ma


l’acqua che scorre può portare distruzione, mentre quella ferma può esse-
re fonte di malattie. I fiumi, inoltre, sono vie di comunicazione naturali,
il cui controllo assicura la possibilità di spostarsi velocemente, svolgere
commerci, approvvigionarsi di cibo attraverso la pesca, o addirittura è
fonte di ricchezza quando si ottiene, dal controllo dei guadi o dei punti
pericolosi, il pagamento di dazi per il passaggio di persone o merci.
Pertanto l’esistenza dell’uomo non può prescindere dalla presenza
dell’acqua, e fin dalla preistoria il sentimento di necessità, ma allo stes-
so tempo di consapevole timore e rispetto nei suoi confronti, ha dettato
la scelta dei luoghi dove insediarsi, dove dare una dimora definitiva ai
propri defunti, e dove svolgere i propri culti. In sostanza la presenza e
la qualità delle acque sono stati fattori fondamentali per la delimitazione
dell’oikoumene nel senso stretto del termine.
Se quindi la presenza/assenza di un elemento naturale è tanto fonda-
mentale per la vita dell’uomo, è logico pensare che nell’immaginario
simbolico possa aver rivestito una grande importanza e che possa essere
stato oggetto di culto. L’acqua può essere utilizza come strumento ritua-
le, cioè come acqua nel culto, ad esempio nelle pratiche di purificazione
o magiche, oppure è essa stessa oggetto di culto, quindi divinità, e sede
di spiriti o divinità, come nel caso di quando la si invoca in momenti di
siccità o si chiede che cessi in periodi di eccessiva abbondanza1.
Se inoltre le acque si possono distinguere in base alla loro natura2 è
1
La distinzione tra acqua nel culto e culto dell’acqua è citata in L. Capuis, Per una geografia
del sacro nel Veneto preromano, in A. Cemella, S. Mele (a cura di), Depositi votivi e culti
dell’Italia antica dall’età arcaica a quella tardo-repubblicana, Atti del Convegni di Studi
Perugia, 1-4 giugno 2000, Bari 2005, p. 509.
2
Fonti, risorgive, acque pluviali filtrate attraverso rocce, acque correnti come torrenti o fiumi,
cascate, oppure acque ferme, quali laghi o paludi, acque pluviali che si raccoglievano in manu-
fatti (pozzi, massi scavati e, forse, le note coppelle sulle rocce) o che creavano giochi d’acqua
o cascatelle, scorrendo su superfici rocciose o insinuandosi in canalette di origine naturale.

28
Ritualità delle acque nella protostoria

plausibile che potessero essere investite di significati diversi, e pertanto


essere oggetto di riti differenti, con la deposizione di doni, tuttavia non
sempre e necessariamente capaci di lasciare tracce materiali col passare
del tempo3.
Ciò che resta a livello archeologico sono i doni votivi in materiale du-
revole, tra cui quelli a carattere esplicito, come gli strumenti per le liba-
gioni, ma anche oggetti considerati di valore intrinseco, in quanto rari o di
difficile reperibilità, prevalentemente metallici, pertinenti all’armamen-
to4, alla vita quotidiana, come gli attrezzi di lavoro o gli ornamenti relativi
al costume5, o ancora riproduzioni miniaturistiche di offerenti o divinità.
Questi oggetti si trovano soprattutto sul fondo di bacini lacustri o fiumi,
in singoli esemplari o più spesso in complessi molto numerosi, fatto che
di norma è interpretato come esistenza di un culto a cui aderiva la collet-
tività e come riconoscimento della particolare sacralità del luogo scelto.

3
L. Dal Rì Lorenzo, U. Tecchiati, I Gewässerfunde nella preistoria e protostoria dell’area
alpina centromeridionale, in L. Zemmer-Plank (a cura di), Culti nella preistoria delle Alpi:
le offerte, i santuari, i riti, Bolzano 2002, p. 458.
4
In ambito celtico un luogo che coniuga armi, strumenti di lavoro, oggetti d’ornamento e
acqua, a cui si aggiungono anche sacrifici (sia animali sia umani) è La Tène, famoso sito
eponimo della cultura celtica della seconda età del Ferro, sulle rive del lago di Neuchatel in
Svizzera. La natura del deposito non è mai stata chiarita completamente, sebbene oggi preval-
ga l’idea che si tratti di un luogo di culto. Sembra tuttavia improbabile che fosse un luogo di
culto delle acque, mentre è plausibile che l’ambiente naturale, dotato di passerelle lignee che
si inoltravano nel lago fosse un santuario. In ogni caso è innegabile che la scelta del luogo non
fosse stata casuale e che all’acqua fosse attribuito un significato fondamentale.
5
A Duchcov (Dux) in Boemia è noto un deposito votivo scoperto nel 1882 in una sorgente
d’acqua termale. Era costituito da un calderone e una grande quantità di oggetti d’ornamento
femminili, stimabili all’incirca in 2500 esemplari, tra fibule, anelli, bracciali e collane. La
maggior parte sono oggi dispersi, ma dai disegni realizzati all’epoca del ritrovamento, è stato
possibile datare il deposito alla fase Dux-Münsingen (LT B1 – LT B2). Deposto in un unico
momento attesta probabilmente la volontà di ingraziarsi la divinità tutelare della fonte, col-
legata verosimilmente, data la natura dei reperti, al mondo femminile (V. Kruta, Il deposito
votivo di Duchcov, in S. Moscati (a cura di), I Celti, Milano 1991, p. 295).

29
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

E ciò costituirebbe, a parere degli archeologi, la prova che tali culti


siano effettivamente esistiti.
Per poter tuttavia parlare con certezza di culti delle acque bisogna in
primo luogo ricordare che i culti sono costituiti da riti e che i riti, sia
individuali (cioè svolti dal singolo individuo), sia collettivi (cioè svolti
dal gruppo o dalla comunità che si riunisce in specifiche occasioni), sono
fedeli a regole. Per definizione antropologica sono ripetitivi, sono con-
servativi (anche se nel corso del tempo possono essere soggetti a piccole
variazioni – a meno che non intervengano repentini cambiamenti di re-
ligione) e di norma, in quanto inseriti in un’ideologia spirituale o in una
religione vera e propria, sono condivisi dalla comunità. Questo fatto li
rende, nella percezione generale, efficaci, sebbene non necessariamente
in grado di produrre effetti utili visibili o immediati. Vale a dire che il rito
non prevede una successione di causa effetto immediata, ma la comunità,
che lo pratica ritiene che prima o poi sopravvenga un risultato, anche se
non concreto o tangibile6.
La sporadicità di un ritrovamento, ovvero il fatto di rinvenire un singo-
lo oggetto, seppure caratterizzato da alto valore intrinseco, non autorizza
a considerarlo tout court frutto di un rito. Si potrebbe trattare infatti di un
oggetto smarrito accidentalmente7. Ciò che lo può far rientrare nella ca-
tegoria dei doni votivi è tuttavia l’analisi del contesto ambientale, la sua
pertinenza culturale e cronologica e la tipologia a cui appartiene, quindi
se rientra in una casistica più ampia.
Tornando alla questione principale, quando dunque si può parlare a
buon merito di culti delle acque in archeologia?

6
J. Cazeneuve, Sociologia del rito, ed. italiana EST, Milano 1996, pp.13-19 e ss. [orig: So-
ciologie du rite, Paris, 1971].
7
Dal Rì, Tecchiati, op. cit., p. 458.

30
Ritualità delle acque nella protostoria

31 Forra del torrente Trobiolo, Piancogno.


Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

Quando le tracce materiali inducono a ritenere che siano state realizzate


una o più azioni rituali, ripetute nel corso del tempo, condivise da uno
o più gruppi umani, e, ovviamente, quando l’ambiente abbia avuto una
stretta connessione con l’acqua, anche se oggi questa potrebbe, per vari
motivi, essere non del tutto palese o addirittura mancare. Le fonti possono
essere state drenate, i fiumi aver cambiato il loro corso, sia per accumulo
naturale di detriti, sia per l’intervento umano, le acque ferme possono es-
sersi intorbate o del tutto essiccate, per motivi climatici o perché soggette
a bonifica. Quindi luoghi insospettabili, in base all’idrografia contempo-
ranea, potrebbero essere stati in passato luoghi di culto delle acque.
Se si dice culto delle acque, tuttavia, si rischia di dare per scontato che
l’acqua ne sia l’oggetto stesso, in quanto materializzazione di un’essenza
divina all’interno di una religione, o religiosità, di tipo animista. Ma il
termine è usato in realtà in senso più ampio e comprende di fatto anche
altre forme di religiosità.
Pertanto qui si preferisce utilizzare il termine ritualità, che toglie
dall’imbarazzo di una determinazione troppo specifica. I casi di ritualità
delle acque, in area alpina e nell’Italia settentrionale in generale, possono
essere esemplificati e raggruppati in tre categorie principali.
La prima è quella delle deposizioni di oggetti metallici nelle acque di
fiumi, laghi, paludi, ma talora anche in pozzi artificiali.
La seconda è quella dei luoghi di culto in prossimità di laghi o fonti,
dove si potevano svolgere riti che prevedevano immersioni, bagni, asper-
sioni o libagioni con l’acqua, ed eventuali altri, tra cui la deposizione di
doni, riti di iniziazione o fuochi votivi8.
La terza e ultima categoria, infine, è quella dell’arte rupestre che trova
sede in prossimità di sorgenti o di luoghi ricchi d’acqua. In tale caso è

8
M. Di Pillo, U. Tecchiati, Testimonianze di culti delle acque nel Trentino-Alto Adige duran-
te l’età del bronzo. Inquadramento e spunti interpretativi, in Atti del Quinto Incontro di Studi
Preistoria e Protostoria in Etruria, Milano 2003, p. 422.

32
Ritualità delle acque nella protostoria

probabilmente inappropriato parlare di ritualità, ma piuttosto di raffigu-


razioni che alludono a credenze religiose o a riti connessi con l’acqua,
non necessariamente svolti negli stessi luoghi dove trovano spazio le
rappresentazioni.
Alla prima categoria si possono dunque attribuire un’ampia casisti-
ca di oggetti ritrovati nei letti dei fiumi, nelle paludi e nei laghi. Forse
il gruppo più cospicuo è costituito dalle armi, sia di tipo difensivo che
offensivo, ma in particolare dalle spade a manico fuso, che solo a titolo
esemplificativo, per la Germania meridionale costituiscono circa il 40%
dei ritrovamenti nelle acque9, e dalle asce, che invece risultano assai più
numerose in altri ambienti, tra cui in particolare il Trentino - Alto Adi-
ge10. Il fenomeno delle deposizioni di armi è noto fin dal Neolitico, ma
assume particolare rilevanza nel Bronzo Recente (XIII - prima metà del
XII sec. a.C.) 11, giungendo fino almeno alla Seconda età del Ferro. An-
che la diffusione geografica è assai ampia, tale da interessare non solo la
zona alpina e l’Italia settentrionale di cui si fa qui menzione, ma anche
buona parte dell’Europa. Gli esempi sarebbero numerosissimi, ma certo
parziali rispetto ad un fenomeno la cui interezza probabilmente ci sfugge
a causa del fatto che le scoperte sono state dettate per lo più dalla casua-
lità, perché avvenute a seguito di lavori di bonifica o di regimentazione
delle acque in epoca moderna e contemporanea.12 Tutto il nord Italia è
disseminato di questi tipi di rinvenimenti tra cui si possono ricordare le
spade di Corte di Lazise di Villabartolomea (VR), relative al XIII seco-

9
Addirittura alcune tipologie di spade sono note solo da questa forma di deposizioni votive.
10
Dal Rì, Tecchiati, op. cit., p. 470.
11
Ibid. pp. 467-468; H. Von Svend, Sacrificia ad flumina – Gewässerfunde im bronzezeit-
lichen Europa,in Hansel Alix und Bernhard (Konzeption und Zusammenstellung), Gaben
an die Götter, Schätze der Brozezeit Europas, Ausstellung der Freien Universität Berlin in
Verbindung mit dem Museum für Vor- und Frühgeschichte, Staatliche Museen zu Berlin -
Preussischer Kulturbesitz, Berlin 1997, p. 29.
12
Dal Rì, Tecchiati, op. cit., p. 458.

33
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

lo a.C., da un corso d’acqua attivo nell’età del Bronzo, la spada di tipo


Rankweil da Bernate, località Prato Pagano (CO), da zona paludosa e di
risorgive (fig. 1)13, la spada tipo Stockstadt dal letto del Sesia in prossi-
mità di Gattinara (VC)14 (fig. 2), queste ultime due entrambe attribuibili
al Proto-Golasecca Ca’ Morta-Malpensa (X sec. a.C.). Ad un’epoca più
tarda pare attribuirsi il caso dell’elmo di Oppeano nel veronese (fig. 3), la
cui datazione è oggetto di discussione, ma su basi stilistiche, per il con-
fronto con l’elmo di Cremona, sembra rientrare in produzioni databili tra
VI e V secolo a.C. 15. Per l’area alpina la zona di cui si conosce meglio
la situazione è quella del Trentino – Alto Adige, grazie ad una puntuale
analisi pubblicata da Del Rì e Tecchiati16.
Tra tutte le deposizioni, tuttavia, si affronta per la sua eccezionalità quel-
la di St. Moritz Bad (CH)17, in quanto non riguardante un luogo naturale,
ma artificiale. Qui, nel 1907, durante lavori di costruzione, pur essendo già
stato intercettato nel 1853, fu portato alla luce un manufatto straordinario
(fig. 4). Si tratta di due grandi cassoni di legno, l’uno dentro l’altro.
Quello esterno costruito con la tecnica del block-bau, mentre quello in-
terno realizzato con assi di legno, a sua volta contenente due recipienti
circolari scavati in grandi tronchi di larice. All’esterno, poco lontano, si
trovava un terzo recipiente cilindrico del tutto simile. Tali contenitori servi-
vano alla captazione delle acque di una vicina sorgente termale e sembrano
attestare un uso particolarmente antico delle acque per scopi curativi.

13
R. C. De Marinis, Italia omnium terrarum alumna: la civiltà dei Veneti, Reti, Liguri, Celti,
Piceni, Umbri, Latini, Campani e Iapigi, Antica madre, Milano 1988, p. 165.
14
Ibidem.
15
G. Fogolari, A. L. Prosdocimi (a cura di), I Veneti antichi, Lingua e cultura, Padova 1988,
pp. 66-67; G. Rizzetto, I cigni del sole: culti, riti, offerte dei Veneti antichi nel veronese,
Verona 2004, pp. 46-47.
16
Dal Rì, Tecchiati, op. cit.
17
M. Seifert, Vor 3466 Jahren erbaut! Die Quellfassung von St. Moritz, in Archäologie der
Schweiz, 23, 2000, pp. 63-75.

34
Ritualità delle acque nella protostoria

Fig. 4 – Sezione e pianta della struttura per la cap-


Figg. 1-2 - Spada tipo Rankweil da Bernate tazione delle acque termali di St. Moritz Bad (CH).
(CO), località Prato Pagano e spada tipo Disegno di da Seifert, op. cit., p. 64.
Stockstadt da Gattinara (VC). Disegni da
V. Bianco Peroni, Die Schwerter in Italien,
1970, nn. 282-283, tav. 42.

Fig. 3 – Elmo di Oppeano (VR). Disegno R. Fig. 5 – Reperti dal fondo del recipiente A della
Giacometti Piva da G. Fogolari, Il Veneto struttura di St. Moritz Bad (CH). Disegno da J.
nell’antichità: preistoria e protostoria, Rageth Die bronzezeitliche Quellwasserfassung
vol. 2, Verona 1984 1984, p. 673. von St. Moritz (Graubünden), 2002, p. 498, tav. 5.

35
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

Le datazioni radiocarboniche e dendrocronologiche hanno infatti per-


messo di datare il taglio dei legni usati per tali manufatti all’estate del
1466 a.C.. Sul fondo di uno dei due recipienti18 interni ai cassoni, furono
inoltre rinvenuti due spade integre a manico fuso, l’una del tipo Spatzen-
hausen e l’altra del tipo con impugnatura a sezione ottagonale, databili
tra la fine del XV e il XIV sec. a.C., una lama frammentaria di spada
con base trapezoidale del tipo Rixheim della Tarda età del Bronzo, uno
spillone e una lama di pugnale (fig. 5). Tali reperti, considerati nel loro
insieme e secondo i confronti tipologici, abbracciano un periodo di circa
centocinquanta anni, fatto per cui l’insieme si data archeologicamente tra
il 1466 e il 1300 a.C. circa19.
All’epoca del ritrovamento i reperti bronzei giacevano immersi in uno
strato fangoso alla base del deposito e la loro presenza potrebbe essere
interpretata come forma di dono votivo alla divinità della sorgente per
evitare che l’acqua smettesse di sgorgare. Data la sfasatura cronologica
di circolazione dei reperti deposti è probabile che fossero stati donati in
occasioni diverse, si suppone in coincidenza con inverni particolarmente
rigidi e con scarse precipitazioni.
Il sito di St. Moritz Bad è probabilmente un luogo che si pone a con-
fine, dal punto di vista interpretativo, tra i siti dove sono attestati doni
votivi di oggetti metallici e i luoghi destinati a bagni medicamentosi. E,
osservando le fotografie scattate nel 1907 (fig. 6), è quasi spontaneo pen-
sare che la funzione primaria fosse proprio quest’ultima.
Tuttavia se ci si interroga sulla motivazione della scelta della princi-
pale categoria dei doni votivi, a parte la naturale considerazione che si
trattava di beni di lusso e di prestigio, del cui possesso ci si privava a

18
Il recipiente A, secondo gli schizzi di Heierlis realizzati al momento del ritrovamento. Si
veda Seifert, op. cit., p. 64, abb. 2 (a).
19
Ibidem, p. 72.

36
Ritualità delle acque nella protostoria

favore di un’entità divina, non è facile darne una spiegazione univoca.


Indizi rilevanti, sebbene non probanti, sono costituiti dalle saghe me-
dievali, in particolare dalla Saga dei Nibelunghi20 e dai Romanzi della
Tavola Rotonda.
Tutti, pur avendo avuto un’elaborazione scritta piuttosto tarda (per il
primo si parla del XIII sec., per i secondi dall’XI secolo in poi), attingono
a racconti epici di lunga tradizione orale, che potrebbero pertanto aver
conservato elementi particolarmente arcaici, tali da suggerire interpreta-
zioni del fenomeno protostorico.
Il Nibelungenlied è considerato un capolavoro creato da un autore
particolarmente dotato, che tuttavia avrebbe mantenuto l’anonimato per
poter utilizzare in abbondanza riferimenti alle tradizioni germaniche pre-
cristiane e pagane, senza risponderne in prima persona (si ipotizza che
fosse addirittura un ecclesiastico)21.
Senza voler entrare nel dettaglio, che è certamente meritevole di
un’analisi congiunta con specialisti di germanistica, basterà ricordare
che Sigfrido, principe del Niederland, sposa Crimilde, figlia del re dei
Burgundi. Sigfrido sottrae un tesoro ai Nibelunghi, un popolo di nani che
vive sotto terra e conosce l’arte del ferro. Uccidendoli, può fregiarsi del
nome di Nibelungo, evidentemente non un semplice etnonimo, ma un ti-
tolo onorifico (forse proprio collegato alla conoscenza della lavorazione
dei metalli e al possesso delle ricchezze minerarie).
Sigfrido viene ucciso per una vendetta, fatto che innesca una vera e
propria faida tra Crimilde, la vedova, e Hagen, un nobile Burgundo, ucci-
sore del Nibelungo, che a sua volta si impadronisce del titolo. «La storia

20
A. Grillini, F. Negri, Il grande scenario epico, resoconto di due esemplari, L’epica tede-
sca, in G. M. Anselmi (a cura di), Mappe della letteratura europea e mediterranea: Dalle
origini al Don Chisciotte, vol. 1, Milano 2000.
21
Ibidem, p. 90.

37
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

Fig. 6 – Fotografia del rinvenimento della struttura di St. Moritz Bad (CH) del
1907. Fotografia da Seifert, op. cit., p. 63.

Fig. 8 – Vasellame potorio dal santuario di S. Pietro Mon-


Fig. 7 – Simpula dal santuario di Lagole di tagnon (PD). Fotografia da A.M. Chieco Bianchi, R. Se-
Calalzo (BL). Fotografia da Fogolari, Prosdo- rafini, 1902-2002: il Museo di Este: passato e futuro,
cimi, op. cit., p. 179.
Treviso 2002, p. 93.

38
Ritualità delle acque nella protostoria

dei Nibelunghi è dunque, in fondo, la storia di questo tesoro che passa di


mano in mano»22. Se l’analisi di Grillini e Negri è certamente logica, ai
nostri occhi è fin troppo semplice, perché non tiene conto del fatto che
Hagen, per conservare il tesoro, e di conseguenza mantenere il titolo, lo
fa nascondere sul fondo del fiume Reno.
Il possesso dei beni determina quindi lo status23 e la deposizione nel-
le acque potrebbe ricordare una pratica assai più antica, quale appunto
quella di cui ci si occupa in questa sede. In tal senso Dal Rì e Tecchiati ci
offrono una serie di possibili interpretazioni di cui una, ripresa da Gil24,
sembra particolarmente degna di attenzione, ovvero quella secondo cui
le armi metalliche, appannaggio delle élites, potessero essere alienate a
favore delle divinità delle acque al fine di riequilibrare i dislivelli sociali
dovuti all’accumulo di beni e potere nelle mani di pochi.
Quindi le ricadute positive dell’atto religioso25 avrebbero riguardato
l’intera collettività, limitando le possibili tensioni sociali, ma tuttavia
senza che il gruppo dominante rinunciasse effettivamente alle sue prero-
gative26. Insomma più che altro una forma di fittizia generosità a favore
della moltitudine, mascherata, secondo di Pillo e Tecchiati27, come dono
alle divinità. Ma ancora quest’ultima coppia di autori suppone che, in
alcuni casi, si potesse trattare anche di un modo per eliminare dalla cir-
colazione un eccesso di beni di prestigio e mantenerne di conseguenza

22
Ibidem, p. 91, nota 10.
23
«L’oro è emblema prestigioso di liberalità, ma soprattutto potere, dignità sociale e forza»
(Ibidem, p. 104).
24
J. Gil, Un’antropologia delle forze: dalle società senza Stato alle società statuali, Torino
1983, p. 22.
25
Si veda a tal proposito la questione già affrontata dell’efficacia dell’azione rituale.
26
Dal Rì, Tecchiati, op. cit., pp. 478-479.
27
Di Pillo, Tecchiati, op. cit.

39
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

alto il loro valore e significato sociale28. In fondo si tratterebbe un po’


di un’azione deflazionistica, come quando in epoca di diffusione della
moneta si provvedeva a ritirare parte del circolante29.
L’altro riferimento letterario ai romanzi della Tavola Rotonda, sem-
brerebbe riguardare più direttamente l’aspetto del dono votivo come
destinato a una divinità che aveva sede nell’acqua. Il riferimento a que-
sta saga è stato già citato da vari studiosi per cui ci si limiterà a ricor-
dare solo i due episodi chiave. Secondo Mallory30, Re Artù avrebbe
ricevuto Excalibur (in questo romanzo niente a che vedere con la spada
estratta dalla roccia) dalla Dama del Lago31. Allo stesso modo in punto
di morte il Re avrebbe chiesto al suo amico Sir Bevidere di gettarla
nuovamente nel lago32.
Costui, nonostante il ripetuto tentativo di ingannare il suo re cercando
di occultarla, alla fine assolve il suo compito, ma prima che la spada toc-
chi l’acqua, una mano femminile esce ad afferrarla per l’impugnatura per
poi portarla con sé nelle profondità.
Nei Romanzi della Tavola Rotonda ciò che rimarrebbe sarebbe dunque
il riferimento al prestigio conferito da un bene (proprietà di una fata e
quindi dotato di poteri straordinari) al suo possessore (a cui sono ricono-

28
Ibidem, pp. 424-425.
29
Forse il punto debole della teoria potrebbe in effetti essere questo, ovvero se sia plausibile
che in un’epoca così antica venissero applicate consapevolmente strategie di tipo economico
tipiche di società monetali. Ma lascio ad altri considerazioni più approfondite e consapevoli.
30
Questa è la versione ricordata nel romanzo (in origine una serie di otto romanzi poi unificati
dall’editore) Le morte Arthur di Thomas Mallory, pubblicato nel 1485, e ricavato da numero-
se fonti precedenti, seppure con una componente originale [G. Agrati, M. L. Magini (a cura
di), Storia di Re Artù e dei suoi cavalieri, Milano 2013, pp. 5-16. Per le fonti utilizzate da
Mallory ibidem, pp. 19-23]. In realtà Mallory parla di una spada conficcata in un’incudine
d’acciaio a sua volta posta su una roccia quadrangolare, simile ad un blocco di marmo (ibi-
dem, p. 33).
31
Si veda l’Appendice, brano 1.
32
Si veda l’Appendice, brano 2.

40
Ritualità delle acque nella protostoria

sciute in partenza particolari virtù). In questo caso l’aspetto da sottoline-


are è che il possessore, ovvero Re Artù, alla sua morte deve restituire il
dono, non solo come forma di restituzione alla divinità a seguito di una
promessa fatta, ma anche evidentemente perché nessuno lo può egua-
gliare in valore.
La seconda casistica, ovvero quella che prevedeva lo svolgimento di
immersioni, bagni, aspersioni o libagioni con l’acqua33, riguarda solita-
mente fonti con particolari proprietà, per la concentrazione di minerali
ritenuti curativi o in generale benefici. I doni votivi più tipici, e che ri-
mandano esplicitamente a questo ambito, sono per lo più costituiti da
simpula (fig. 7), ovvero mestoli, defunzionalizzati spezzandone il mani-
co e poi deposti nella acque, come nei casi di Lagole di Calalzo oppure
Valle di Cadore nel bellunese34.
Anche il santuario di San Pietro Montagnon (Montegrotto - PD), pres-
so alcuni bacini lacustri e datato all’VIII secolo, si annovera tra questi
luoghi, per aver restituito numerosissimi recipienti in terracotta per bere
o versare (fig. 8)35. Sono inoltre attestate deposizioni di veri e propri ex

33
Questi riti si connettono sia a mali fisici sia spirituali, la cui separazione nell’abito delle
credenze religiose non è sempre chiaramente percepita, specie nelle società che considera-
no il corpo come specchio dell’anima e le malattie frutto delle impurità, come i peccati ma
anche il contatto con oggetti o persone ritenuti tabù (Cazeneuve, op. cit., p. 135). L’acqua è
spesso collegata a riti di fecondità, in quanto elemento indispensabile alla natura per crescere
rigogliosa e rinnovarsi, e di riflesso probabilmente anche per determinare la fecondità nelle
donne. In alcuni casi il ricordo del folklore locale, che si è tramandato fino a non molte gene-
razioni fa, fornisce chiavi interpretative interessanti.
34
M. Tombolani, Culti e riti, in A. M.Chieco Bianchi, M. Tombolani (a cura di), I Paleovene-
ti, catalogo della mostra sulla civiltà dei Veneti antichi, Padova 1988, pp. 45-46; G. Gangemi,
Il santuario di Lagole di Calalzo di Cadore (BL), in L. Malnati, M. Gamba (a cura di), I Ve-
neti dai bei cavalli, Treviso 2003, p. 89; Fogolari, Prosdocimi, op. cit., p. 179.
35
Tombolani, op. cit, p. 45; M. De Min, Il santuario di S. Pietro Montagnon, in A.M. Chieco
Bianchi, M. Tombolani (a cura di), I Paleoveneti, catalogo della mostra sulla civiltà dei Ve-
neti antichi, Padova, p. 144. Solo tra i recipienti integri si parla di almeno 3.500 esemplari.

41
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

voto (ex voto suscepto o ex voto soluto36), costituiti da bronzetti di divi-


nità o devoti (fig. 9)37, parti del corpo umano (fig. 10)38, oppure laminette
a incisione e stampo (o sbalzo) con raffigurazioni di donne o uomini (fig.
11)39, che potrebbero alludere al superamento di prove iniziatiche.
Tali riti riguardanti le acque sono generalmente più tardi rispetto a
quelli delle deposizioni della prima categoria di ritualità, ma hanno lun-
ga vita e spesso in età romana vi si sovrappongono funzioni analoghe,
sebbene con il generalizzato processo di sincretismo religioso a favore di
una divinità ufficiale del pantheon romano.
Il santuario di Spinera a Breno, detto di Minerva per la presenza sia
della statua di questa divinità nelle fattezze di Atena, copia di un origina-
le greco di V sec. a.C., sfruttava le acque pluviali che filtravano attraver-
so le fenditure della collina soprastante, fino a raccogliersi in una cavità
naturale. Inglobata in un ambiente del tempio di età imperiale, sarebbe
stata oggetto di riti collegati alle libagioni già nella Prima età del Ferro,
a cui risale un Brandopferplatz, una sorta di piattaforma ad uso di altare
costituito da grosse pietre su cui si svolgevano sacrifici con il fuoco.
La maggior parte dei frammenti ceramici rinvenuti nell’area sono frutto
della rottura di boccali o bicchieri a partire dal VI-V sec. a.C. fino alla
seconda Età del Ferro40.
36
Ovvero secondo la promessa fatta o a seguito dello scioglimento della promessa.
37
Si veda ad esempio Gangemi, op. cit., p. 90 per Lagole di Calolze.
38
In Fogolari, Prosdocimi, op. cit., p. 175 si ricorda ad esempio il modellino di una gamba
umana dal santuario di San Pietro Montagnon (PD), ma si potrebbero citare numerosi altri
esempi tra cui quelli del santuario di Este dedicato a Reizia, fondo Baratella.
39
Sempre nel santuario di Reitia a Este, che sorgeva in un’area acquitrinosa in prossimità del
corso dell’Adige (Fogolari, Prosdocimi, op. cit., pp. 173-174; M. Tombolani, I luoghi di cul-
to di Este, in A. M. Chieco Bianchi, M. Tombolani (a cura di), I Paleoveneti, catalogo della
mostra sulla civiltà dei Veneti antichi, Padova 1988, p. 102).
40
I contributi di A. Massari, Materiali ceramici della più antica frequentazione, L. De Van-
na, L’area sacra tra la media età del Ferro e la prima età imperiale, e S. Solano Ceramica
della media e avanzata Età del Ferro in F. Rossi (a cura di), Il Santuario di Minerva, Un

42
Ritualità delle acque nella protostoria

Fig. 10 – Parti anatomiche in lamina bronzea dal santuario di


Reitia ad Este. Fotografia del Museo Nazionale Atestino da
Fig. 9 – Bronzetto di offerente. Fotografia A.M. Chieco Bianchi, Il Veneto nell’antichità: preistoria e
da Fogolari, Prosdocimi , op. cit., p. 109. protostoria, vol. 2, Verona 1984, p. 721.

Fig. 11 – Laminetta bronzea con figure di uomini e donne. Fotografia da Fogolari, op. cit., p. 677.

43
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

Come per il caso dei simpula già citati, tali rotture, sono considerate
forme di sottrazione degli oggetti alla sfera umana in favore di quella di-
vina. Per cosa questi boccali fossero esattamente usati non è dato saper-
lo: forse per spegnere i fuochi sacri, forse per bere, o forse per entrambi
i riti. Di certo i vasi potori, in presenza di acqua che si raccoglie ai piedi
di una collina, sono di per sé significativi. Sempre nelle vicinanze di altri
specchi d’acqua sono attestati riti con il fuoco, ad esempio a Laugen/
Luco, a Pfischer Sattel nella conca di Merano e dallo Schwartzsee nelle
Alpi Sarentine (BZ)41. Acqua e fuoco sembrano dunque, da un certo mo-
mento in poi, alternarsi o compenetrarsi in queste forme rituali.
Nell’area del Brandopferplatz di Spinera è stata rinvenuta, come dono
votivo, una placchetta bronzea, che rappresenta una figura antropomorfa
con le braccia alzate, trasportata da una barca a doppia protome ornitomor-
fa (fig. 12). Si tratta di un oggetto che in questo ambito non risulta di facile
spiegazione, soprattutto per la sua recenziorità rispetto a immagini simili
diffuse sia in Europa che in area alpina e nella stessa Valle Camonica (BS).
L’interpretazione avanzata, vede in essa la rappresentazione della divi-
nità a cui il luogo sacro era dedicato. La sua iconografia sarebbe dunque
un attardamento o forma altamente conservativa locale di un simbolo di
origine assai più antica.
Certamente è possibile cogliervi numerose analogie figurative con
placchette presenti in altri santuari, soprattutto paleoveneti o retici, e con
alcune incisioni rupestri camune42.
Per quanto concerne infine l’arte rupestre che allude a rituali collegati
con le acque ci si sofferma sul caso della Valle Camonica, dove esistono

luogo di culto a Breno tra protostoria ed età romana, Milano 2010.


41
Di Pillo, Tecchiati, op. cit., p. 422.
42
F. Rossi, La dea sconosciuta e la barca solare, Una placchetta votiva dal santuario proto-
storico di Breno in Valle Camonica, Milano 2005, pp. 9-32.

44
Ritualità delle acque nella protostoria

almeno tre luoghi particolarmente noti per la presenza di incisioni rupe-


stri vicino all’acqua. Si tratta della collina di Luine, non lontana dalle
sorgenti delle terme a Darfo Boario Terme, delle rocce dell’Area di Fop-
pe a Nadro di Ceto, accanto a cui, in alcuni punti, scorre un ruscello, e la
località di Naquane, dove sorge il Parco Nazionale delle Incisioni Rupe-
stri. Quest’ultima è probabilmente la più interessante, poiché un tempo
era nota come Contrada di Aquane, almeno secondo quanto testimoniato
da una mappa catastale degli inizi dell’Ottocento43.
Secondo i linguisti varianti del termine Aquane, chiaramente connesso
all’acqua, sarebbero in area alpina centro orientale «Aguane, Enguane,
Eguane, Gane, Sagane, Aivane e Vivane», tutti nomi con cui nel folklore
sono designate delle fate, cioè entità sovrannaturali dai caratteri antropo-
zoomorfi, in parte umane e in parte animali, spesso descritte come sirene
o fauni, oltre che dotate della capacità di prevedere il futuro e conoscere
il passato, senza tuttavia essere a conoscenza del presente44.
L’acqua nell’area di Naquane non è presente sotto forma di fiumi o ru-
scelli, sebbene naturalmente sia possibile da lì, guardando il fondo valle,
vedere il corso del fiume Oglio, che costituisce l’elemento idrografico
dominante di tutta la valle.
L’acqua piovana tuttavia in questo luogo crea spettacolari giochi incana-
landosi nelle fenditure e nelle canalette di origine glaciale, e a volte ferman-
dosi temporaneamente in conche più o meno grandi. Anzi in buona parte

43
A.E. Fossati, L’età del Ferro nelle incisioni rupestri della Valcamonica, in R. La Guardia (a
cura di), Immagini di una aristocrazia dell’età del Ferro nell’arte rupestre camuna, Milano
1991, p. 64-65, fig. 107; A.E. Fossati, L’acqua, le armi, e gli uccelli nell’arte rupestre camu-
na dell’età del Ferro, in NAB, 2, Bergamo 1994, p. 203; A.E. Fossati, Nymphs, Waterfowl,
and Saints: The Role of Ethnography in the Interpretation of the Rupestrian Tradition of
Valcamonica, Italy, in D. Keyser James, G. Poetschat, M.W. Taylor (a cura di), Talking with
the past: the Ethnography of Rock Art, Portland 2006, p. 260 e nota 6 a p. 279.
44
M. Alinei, Naquane nella Valcamonica nei suoi rapporti con le Aquane, esseri mitologici
delle Alpi centro-orientali, in Quaderni di Semantica, V, 1984, pp. 3-16.

45
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

le rocce affioranti assumono una vera e propria conformazione ad onde,


che appaiono come acqua pietrificata (fig. 13)45. La scelta di tale luogo, per
la realizzazione delle incisioni, non sembra essere stata dettata dal caso, e
sebbene non vi siano ruscelli o fiumiciattoli, come altrove, la conforma-
zione geologica del luogo richiama questo elemento in modo stupefacente.
Non sembra trovarsi in valle un luogo così evocativo e adatto alla vita
delle Aquane. Facendo infatti riferimento ad una fiaba del folklore locale,
che pare essersi conservata solo a livello di poche famiglie nella frazio-
ne di Plemo a Esine, la cosiddetta Sciurina dei pé de cavra, un’Aquana
dall’aspetto di fauno, abitava in una roccia e infilava le zampe nelle cop-
pelle proprio per aprirla e introdurvisi all’interno46. Quindi fino ad epoca
recente si è conservato questo collegamento tra rocce e acqua.
Per quanto riguarda le raffigurazioni, invece, solo alcune sono esplicita-
mente collegate ad essa. Una raffigurazione non è di per sé un rito, sebbe-
ne l’atto incisorio possa esserlo stato, ma di certo può richiamare in modo
più o meno esplicito l’esistenza di pratiche cultuali di cui non si hanno
altre tracce, come pure può essere rappresentazione di credenze o miti.
Sulla Roccia 32 del Parco di Naquane, ad esempio, è presente la raf-
figurazione di una fila di figure femminili, riconoscibili come tali per la
rappresentazione del sesso tramite un’incisione circolare tra le gambe
(fig. 14). Si tratta di oranti realizzate in uno stile schematico, con braccia
e gambe piegate ad angolo retto (forse per questo neolitiche47, ma proba-
bilmente dell’età del Bronzo per analogia con le altre scene simili come

45
Fossati, Nymphs, Waterfowl, and Saints… , op. cit., p. 261.
46
Ibidem, p. 264.
47
R.C. De Marinis, Problemi di cronologia dell’arte rupestre della Valcamonica, in XXVIII
riunione scientifica IIPP L’arte in Italia dal Paleolitico all’età del Bronzo, Firenze 20-22 no-
vembre 1989, Istituto italiano di preistoria e protostoria, Firenze 1992, pp. 169-195.

46
Ritualità delle acque nella protostoria

quelle presenti sulla Roccia 148 e sulla Roccia 4449).


Ai loro piedi, posta longitudinalmente all’interno di una canaletta di
origine glaciale, si trova un’altra figura femminile nello stesso stile, che
sembra sdraiata. A tale scena sono state date in passato varie interpreta-
zioni, tra cui quella di rito funebre e di scena di parto50. Tuttavia la pre-
senza della canaletta, che si riempie di acqua quando piove, dà l’impres-
sione che la donna rappresentata non sia semplicemente sdraiata, ma stia
nuotando, o quanto meno che sia protagonista di un rito che prevedeva
l’immersione51. Altre scene simili sono prive della canaletta52, ma non è
da escludersi che la Roccia 32 sia effettivamente quella capace di offrirci
la rappresentazione più esplicita rispetto all’atto reale. Di che rito poi
effettivamente si trattasse la prudenza invita a limitarsi ad un’interpreta-
zione oscillante tra il rito di passaggio e quello di purificazione o fertilità.
Inoltre non si deve dimenticare che Naquane, come già sottolineato varie
volte, vive una sua prima fase incisoria, in particolare nell’età del Bron-
zo, quasi di esclusivo appannaggio femminile, per poi essere utilizzata
prevalentemente come luogo dell’arte dei guerrieri dall’età del Ferro53.
Inoltre sempre collegate alla presenza di acqua sono le rappresentazio-
ni di uccelli acquatici, come anatre o cigni, ben distinguibili dagli altri
per il becco rivolto verso l’alto (fig. 15).
Questi animali sono normalmente connessi con le rappresentazioni
delle cosiddette barche solari che in Europa centro settentrionale compa-

48
Fossati, Nymphs, Waterfowl, and Saints… , op. cit., p. 269, fig. 8.
49
Fossati, L’utilizzo delle accidentalità naturali delle rocce nell’arte rupestre della Valca-
monica, in BEPA, XXII, 2011, fig. 6 a p. 253. Altre raffigurazioni simili si trovano sulla r.
1 sempre a Naquane, sulla r. 4 nell’Area di In Vall e sulla r. 51 nell’Area di Vit a Paspardo.
50
E. Anati, Civiltà preistorica della Valcamonica, Milano 1964.
51
Fossati, L’utilizzo delle accidentalità naturali, op. cit., p. 247, fig. 5 a p. 253.
52
Si veda sempre Ibidem, p. 247 e nota 19 stessa pagina.
53
Fossati, Nymphs, Waterfowl, and Saints… , op. cit., p. 270.

47
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

Fig. 12 – Laminetta votiva dal santuario di Spinera


a Breno, Valle Camonica (BS). Fotografia Soprint-
endenza per i Beni Archeologici della Lombardia, Fig. 13 – Roccia 35, Parco di Naquane. Fotogra-
L. Caldera, L. Monopoli da Rossi 2005, p. 13). fia Società Cooperativa Archeologica Le Orme
dell’Uomo.

Fig. 14 – Scena rituale sulla Roccia 32, Parco di Fig. 15 – Uccello acquatico sulla Roccia 50, Parco
Naquane. Fotografia Società Cooperativa Archeo- di Naquane. Fotografia Società Cooperativa Ar-
logica Le Orme dell’Uomo. cheologica Le Orme dell’Uomo.

48
Ritualità delle acque nella protostoria

iono nel Bronzo Medio, ma in Valle Camonica sembrano attestate solo a


partire da una fase avanzata dell’età del Ferro, sia nelle incisioni schema-
tiche che recano al di sopra iscrizioni in alfabeto camuno (es. Roccia 50
del Parco di Naquane – fig. 16), che si suppongono essere nomi di per-
sona, sia nella forma di rappresentazione di imbarcazioni vere a proprie,
con tanto di remi di cui si conoscono pochi esemplari (es. Area di Foppe
Roccia 20 – fig. 17 – e sulla Roccia 35 Parco di Naquane).
In questo ultimo caso la rappresentazione della barca è stata realizzata,
similmente a quanto già rilevato per la figura di donna della r. 32, sfrut-
tando una canaletta glaciale nella quale scorre l’acqua in caso di pioggia,
dando quindi un’interessante effetto realistico alla scena54.
La barca dell’Area di Foppe ha chiaramente protomi ornitomorfe, sia
anteriori sia posteriori, mostrate secondo la prospettiva bilaterale. Questa
rappresentazione così chiara ha permesso di interpretare come imbarca-
zioni anche altre figure, che non presentavano la curvatura delle estremi-
tà e che venivano lette come file di antropomorfi danzanti.
Nella mitologia nordica le barche solari trasportavano il sole nel cie-
lo, ma conducevano anche i guerrieri morti nell’aldilà55. Esemplare in
questo senso sono le rappresentazioni del guerriero su barca solare della
Roccia 52 dell’Area di Campanine a Cimbergo e di un guerriero armato
di tutto punto e trasportato sulla schiena da due uccelli che sembrano
andare in direzione opposta sulla Roccia 62 (fig. 18).
In realtà potrebbe trattarsi di una rappresentazione “naturalistica” della
barca solare o di una prospettiva bilaterale, per evitare di togliere chia-
rezza al soggetto. Non è da scartarsi comunque un’ultima interpretazione
che tiene conto della bifrontalità delle barche come di alcune rappresen-

Fossati, L’utilizzo delle accidentalità naturali, op. cit., p. 249.


54

G. Kossack, Studien zum Symbolgut der Urnenfelder- und Hallstattzeit Mitteleuropas, Ro-
55

emisch-Germanische Forschungen Ser. 20, Berlin 1954.

49
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

tazioni note in antico (ad es. piccoli bronzetti a forma di buoi bi-frontali o
le rappresentazioni di alcune divinità, tra cui si possono ricordare Giano
ed Ecate). La bi-frontalità è un elemento che ha a che vedere primaria-
mente con il tempo, ad esempio con il passaggio dalla vita alla morte per
quanto riguarda Ecate, con la conoscenza del passato e del futuro per
quanto riguarda Giano (e non dimentichiamo la particolarità della Aqua-
ne, a cui si è già fatto cenno, che conoscevano passato e futuro, ma non il
presente). In sostanza i simboli dotati di questa caratteristica assommano
in sé oltre al significato dettato dalla loro funzione o essenza primaria, la
barca che serve a navigare e a trasportare qualcosa o gli uccelli che sanno
volare, altri significati connessi all’ineluttabilità dello scorrere del tem-
po, alla costanza di alcuni fenomeni tra cui la morte, e alle dimensioni
spaziali differenti riservate a vivi e morti.
Un guerriero trasportato da animali che vanno in direzioni opposte,
sempre che si possa scartare una mera ipotesi legata a problemi prospet-
tici, non può essere un semplice guerriero (un antenato, un dio in armi,
qualcuno capace di tornare dall’aldilà?) o quanto meno potrebbe rappre-
sentare un momento determinante nella vita di quell’individuo.
Ecco quindi affacciarsi un’altra interpretazione, già avanzata, secondo
cui l’uccello acquatico non sarebbe semplicemente un animale psico-
pompo, ma potrebbe invece simboleggiare il superamento di particolari
prove di iniziazione, riti di passaggio da un’età ad un’altra, con conse-
guente cambiamento di ruolo e di responsabilità all’interno della società.
A tal proposito, ovvero con analogo significato, si possono ricordare le
già citate incisioni con “nomi di persona”.
Ritornando alla tradizione nordica, anche le fiabe raccolgono in sé im-
portanti elementi del folklore, e risultano conservative specie in quegli
aspetti che oggi sembrano fuori contesto, non coerenti con il resto della
narrazione. In questo senso si potrebbe trattare di elementi cristallizzati di

50
Ritualità delle acque nella protostoria

Fig. 17 – Imbarcazione con protomi ornitomorfe


Fig. 16 – Imbarcazioni solari schematiche con is- a poppa e prua rappresentata secondo una pros-
crizioni in alfabeto camuno sulla Roccia 50, Parco di pettiva bilaterale. Roccia 20, Area di Foppe, Nad-
Naquane. Rilievo Società Cooperativa Archeologica ro di Ceto. Rilievo Società Cooperativa Archeo-
Le Orme dell’Uomo. logica Le Orme dell’Uomo.

Fig. 18 – Guerriero trasportato da due uccelli acquatici sulla Roccia


62, Area di Campanine, Cimbergo. Rilievo del CCSP da U. Sansoni, S.
Gavaldo, Lucus Rupestris, sei millenni d’arte rupestre a Campanine di
Cimbergo, Capo di Ponte 2009, p. 308.

51
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

antiche tradizioni orali. Hänsel e Gretel dei fratelli Grimm è una fiaba di
origine tedesca, che ha come contenuto principale i temi dell’infanticidio e
dell’abbandono per la mancanza di cibo, probabilmente retaggi medievali.
In essa è presente anche un aspetto legato all’acqua e agli uccelli ac-
quatici, poiché i due fratellini, per poter far ritorno definitivo a casa, de-
vono superare un lago, e per fare ciò vengono aiutati da un’anatra bianca.
Solo dopo questa prova finalmente si ricongiungono al padre. Quando
giungono ad un corso d’acqua, e si accorgono che è molto grande e non
vi sono ponti, Gretel piangendo pronuncia una sorta di filastrocca (non
l’unica nella fiaba):
Entchen, Entchen
Da steht Gretel und Hänsel.
Kein Steg und keine Brücke,
nimm uns auf dein weißen Rücken56.

È innegabile come questo animale costituisca un elemento positivo, se


si coglie la chiara dicotomia fiabesca tra il regno del male, rappresentato
dalla matrigna e dalla strega, e la capacità dei bambini di liberarsi, uc-
cidere la strega e tornare a casa grazie alla loro abilità e a questo essere
fatato, che non a caso è bianco.
Nella tradizione popolare, e in particolare nelle fiabe familiari, il co-
lore stabiliva una chiara e intuitiva separazione tra bene (bianco) e male
(nero). I fratelli Grimm non furono semplici autori di favole, ma erano
linguisti e filologi, e svolsero un complesso lavoro di raccolta di raccon-
ti popolari e folklorici in lingua tedesca dandone una forma scritta, non
certo priva di un loro apporto originale, ma sempre rispettosa delle fonti.
56
«Piccola anatra, piccola anatra, qui stanno Hänsel e Gretel, non c’è nessun ponte e nessuna
passerella, portaci sulla tua bianca schiena» J. e W. Grimm, Kinder- und Hausmärchen, Göt-
tingen 1857, vol. 1, p. 107, citato in W.O. Robinson, Grimm Language: Grammar, Gender
and Genuineness in the Fairy Tales, Amsterdam 2010, p. 34.

52
Ritualità delle acque nella protostoria

53 Lago Moro, Darfo Boario Terme.


Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

Questa filastrocca fu inserita da Wilhelm Grimm tra la quarta e quinta


edizione della loro opera Kinder- und Hausmärchen («Fiabe per bambini
e persone di famiglia» , di solito pubblicato in Italia con il titolo «Fiabe
per grandi e piccoli»), utilizzando come fonte una raccolta di canzoni e
racconti del folklore alsaziano pubblicata nel 1842 da August Stöber57.
Tra gli aspetti interessanti da sottolineare vi è il fatto che i protagonisti
debbano, pur in tenera età, superare prove durissime per salvarsi la vita,
nell’isolamento totale (tratto tipico di molti riti di iniziazione), per poi fi-
nalmente fare ritorno a casa sani e salvi e anche arricchiti di beni preziosi.
Quindi animale simbolo del superamento di una prova o animale psi-
copompo? Nella favola dei Grimm sembrerebbe prevalere questa prima
ipotesi, ma d’altra parte la questione, in senso generale, e in particolare
relativamente all’ambito protostorico, non è risolvibile, né parrebbe ne-
cessariamente pretendere una risposta netta per l’una o l’altra ipotesi.
Chi potrebbe infatti negare che la morte costituisca la prova di passag-
gio più intensa e fondamentale della vita umana? E le stesse prove ini-
ziatiche non sono in fondo un far morire un modo di vivere per diventare
qualcosa di nuovo?
Questo contributo, come già annunciato in partenza, sfiora solo la que-
stione dei riti connessi all’acqua e relativi alla protostoria. In un periodo
così lungo e in un areale geografico tanto vasto, perché di fatto i casi del
nord Italia e dell’area alpina trovano una loro parziale spiegazione in un
contesto di tipo centro, se non addirittura, nord-europeo, si possono rile-
vare la pervasività di certi simboli e ideologie religiose, connessi ad una
circolazione di uomini, beni e idee assai complessa.
In alcuni casi i simboli sembrano arrivare tardivamente, ma si manten-
gono a lungo. Ex voto e luoghi caratterizzati dalle acque debbono essere
tuttavia valutati attentamente, prima di poter parlare di veri è propri culti
57
Robinson, op. cit., p. 34.

54
Ritualità delle acque nella protostoria

delle acque. Talora l’acqua potrebbe infatti essere solo un medium per lo
svolgimento di riti, confine dell’oikoumene, ma anche limen tra i territori
occupati dalle varie comunità, e quindi a volte luogo di separazione o
luogo di condivisione di un comune substrato di idee e credenze.

55
Colosso dell’Appennino (Giambologna 1579-80), Villa Medicea di Pratolino, Vaglia.
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

Appendice

Brano 1
Book 1 – Chapter XXV
How Arthur by the mean of Merlin gat Excalibur
his sword by the Lady of the Lake”

«Arthur said, I have no sword. No force, said Merlin, hereby is a sword


that shall be yours, and I may. So they rode till they came to a lake, the
which was a fair water and broad, and in the midst of the Lake Arthur
was ware of an arm clothed in white samite, that held a fair sword in that
hand. Lo! said Merlin, yonder is that sword that I spake of. With that they
saw a damosel going upon the lake. What damosel is that? Said Arthur.
That is the lady of the Lake, said Merlin; and within that lake is a
rock, and therein is as fair a place as any on earth, and beseen; and this
damosel will come to you anon, and then speak ye fair to her that she
will give you that sword. Anon withal came the damosel unto Arthur, and
saluted him, and he her again. Damosel, said Arthur, what sword is that,
that yonder the harm holdeth above the water? I would it were mine, for
I have no sword.
Sir Arthur, king, said the damosel, that sword is mine, and if ye will
give me a gift when I ask it you, ye shall have it. By my fair, said Arthur,
I will give you what gift ye will ask. Well! Said the damosel, go ye into
yonder barge, and row yourself to the sword, and take it and the scabbard
with you, and I will ask my gift when I see my time.
So Sir Arthur and Merlin alighted and tied their horses to two trees,
and so the went into the ship, and when they came to the sword hand
held, Sir Arthur took it up by the handles, and took it with him, and the
arm and the hand went under the water».

56
Ritualità delle acque nella protostoria

Brano 2
Book XXI – Chapter V
How King Arthur commanded to cast
his sword Excalibur into the water, and how he was
delivered to ladies in a barge

«Therefore, said Arthur unto Sir Bedivere, take thou Excalibur, my


good sword, and go with it to the yonder water side, and when thou
comest there I charge thee throw my sword in that water, and come again
and tell me what you there seest. […] Then Sir Bedivere departed, and
went to the sword, and lightly took it up, and went to the water side; and
there he bound the girdle about the hilts, and then he threw the sword as
far into the water as he might; and there came an arm and an hand above
the water and met it, and caught it, and so shook it thrice and brandished,
and then vanisched away the hand with the sword in the water. So Sir
Bevidere came again to the king, and told him what he saw».

(Testi tratti da:T. Mallory, Le morte d’Arthur, Sir Thomas Malory’s book of King Arthur
and of his nobles knights of the round table, 1485, pp. 52-53 e pp. 520-521).

57
La statua di Minerva di Breno.
Paola Zanovello

Le acque nei miti


di epoca classica

Come affermava Talete1 «L’acqua è il principio degli elementi» e la


terra, nella concezione antica galleggiava su una massa liquida.
L’acqua è un elemento particolare, apparentemente indistinto, ma
invece con caratteristiche molto variabili2: è infatti un elemento che si
trasforma (ghiaccio, acqua, vapore), che assume la forma di ciò che lo
contiene, un elemento che appartiene al cielo (pioggia, grandine, neve) e
alla terra (sorgente, fiume, lago).
È un elemento necessario ad ogni forma di vita; rende possibile lo svi-
luppo di animali e piante e soddisfa tutti i bisogni quotidiani dell’uomo:
disseta, lava, irriga, forma fiumi e laghi, cura e guarisce.

1
Fr. DK A12 (H. Diels, W. Kranz, Die Fragmente der Vorsokratiker, Griechisch und Deut-
sch, Berlin 1951-1952 [trad. it. G. Reale (a cura di), I Presocratici, Milano 2006]: il testo,
attribuito a Talete, è riportato da Aristotele, Metafisica, I, 983b, 20-22.
2
Sugli aspetti “filosofici” dell’acqua si veda O. Longo, L’acqua dei filosofi, in O. Longo, P.
Scarpi (a cura di), Letture d’acqua, Homo Edens III, Padova 1994, pp. 53-64, sugli aspetti
sacrali e rituali in generale A. Seppilli, Sacralità dell’acqua e sacrilegio dei ponti, Palermo
1990; R. Tölle-Kastenbein, Archeologia dell’acqua. La cultura idraulica nel mondo clas-
sico, Milano 1993, pp. 11-23; M. Fontana, Una lettura scientifica dell’acqua rituale, in O.
Longo, P. Scarpi (a cura di), Letture d’acqua, Homo Edens III, Padova 1994, pp. 127-136.

59
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

Nell’antichità era percepito come un flusso continuo, che offriva l’idea


di perennità, di risorsa inesauribile3; era considerato un dono della natu-
ra, elemento «miracoloso», come affermava Plinio il Vecchio4: in nulla
parte naturae maiora esse miracula quam in aquis, in nessuna parte del-
la natura vi sono prodigi più grandi che nelle acque.

Oceano, l’acqua primordiale

L’acqua nel mondo antico, in tutte le civiltà, è considerata un elemen-


to sacro. Nella mitologia greca tutte le acque discendevano da Oceano,
figlio di Urano e Gea e quindi del cielo e della terra: una sorta di fiume
universale, che costituiva un sistema unitario di acque sotterranee, da cui
prendevano origine mari, fiumi, laghi e sorgenti5.
Lo si legge in Esiodo6, in Omero7, ma anche nell’Inno orfico ad Oce-
ano8, dio da cui “nascono tutti i fiumi ed ogni mare e i casti umori delle
fonti terrestri”9. Oceano quindi non è all’origine il vasto mare salato, per
il quale i Greci usavano altri termini, come thàlassa, ma il grande serba-
toio di acqua dolce posto all’estremità del mondo, un flusso primordiale
inesauribile, di forma circolare10, che avvolgeva tutta la terra; così venne
3
Sull’acqua come risorsa «esauribile» si veda G. Gambolati, L’acqua: risorsa esauribile (tra
Occidente e Terzo Mondo), in C. Cremonesi, A. Greco (a cura di), I poli culturali del bere.
Acqua e vino, Homo Edens VIII, Padova 2005, pp. 63-79.
4
Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXXI, 21.
5
K. Kerényi, Gli dei e gli eroi della Grecia, Milano 1989, pp. 29-30 [orig: Die Mythologie
der Griechen, 1963]
6
Esiodo, Theogonia, v. 133
7
Omero, Iliade, XIV, vv. 201; 246
8
Inni Orfici, G. Ricciardelli (a cura di), Milano 2012. L’Inno 22 è dedicato ad Oceano e Teti.
9
Ibidem, 83, vv. 4-5.
10
Spesso Oceano è rappresentato come un grande mascherone di forma circolare, ad esempio
di bronzo; oppure è un mostro marino, come nell’altare di Zeus a Pergamo o in molti mosaici

60
Le acque nei miti di epoca classica

rappresentato, secondo la descrizione omerica11, nel grande scudo che la


nereide Teti fece forgiare da Efesto per il figlio Achille: «del fiume Ocea-
no aveva effigiato la grande potenza tutt’intorno, nel cerchio estremo del
solido scudo».
Nell’Iliade più volte Omero collega Oceano e Teti all’origine del mon-
do; in Esiodo12 essi sono ricordati come genitori di un’infinita schiera di
esseri divini: tremila maschi, i fiumi, e tremila femmine, le “Oceanine”.

Fiumi e sorgenti

Tra i fiumi erano compresi anche quelli che solcavano le terre infere,
come l’Acheronte, lo Stige, il Cocito e il Lete13; come altri elementi na-
turali, essi spesso assumono una connotazione umana o mostruosa ed in
questo modo vengono rappresentati nell’arte14.
Basti pensare al più antico dei fiumi, l’Acheloo, figlio di Oceano e Teti,
fratello del Nilo, dell’Istro, dello Scamandro, padre della fonte Kastalia
a Delfi, dipinto sulla ceramica attica del periodo arcaico, ma anche scol-
pito ad esempio nella plastica del periodo severo 15.
Anche altri fiumi compaiono, protagonisti umanizzati di una narra-
zione: nel frontone orientale del tempio di Zeus ad Olimpia chiudono la

di epoca ellenistico-romana.
11
Omero, Iliade, XVIII, 478-607.
12
Esiodo, op. cit., vv. 364, 367.
13
G.F. Gianotti, I fiumi e la storia: Erodoto e il buon uso delle acque, in O. Longo, P. Scarpi
(a cura di), Letture d’acqua, Homo Edens III, Padova 1994, pp. 75-108.
14
Per un quadro generale si veda il catalogo della Mostra: L’acqua degli dei: immagini di
fontane, vasellame, culti salutari e in grotta, Chianciano Terme 2003.
15
Si vedano ad esempio un bronzetto da Maratona, ora a Berlino, datato al 470 a.C. , ma
anche una figuretta fittile rinvenuta sul Palatino a Roma, pure risalente al V sec. a.C.; per un
rapido excursus su questo tipo di materiali si vedano Tölle-Kastenbein, op. cit., e il catalogo
L’acqua degli dei.

61
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

scena della sfida tra Pelope ed Enomao per la mano di Ippodamia, ma


soprattutto per il possesso del regno, sotto il controllo dello stesso prin-
cipale dio dell’Olimpo, i due fiumi della città sacra, il Cladeo e l’Alfeo16.
Nel frontone occidentale del Partenone sono i fiumi Cefiso ed Illisso
a chiudere la scena della contesa tra Atena e Poseidon per il dominio
sull’Attica17. Accanto è la fonte Calliroe, dal nome trasparente, quasi a
sottolineare l’importanza della presenza dell’acqua dolce, in contrappo-
sizione alla sorgente salata fatta scaturire, secondo la tradizione, da Po-
seidon sull’acropoli, con un colpo di tridente. La fonte Calliroe si trova
spesso rappresentata nella ceramica attica, talvolta con accanto il nome
generico krene, sorgente18.
Conosciamo molti nomi di sorgenti19, tutte collegate al mito, come
Aretusa, fanciulla trasformata da Artemide in fonte, che per sfuggire alle
mire amorose del fiume Alfeo, scese nel fondo del mare: Alfeo la inseguì
fino all’isola di Ortigia, presso Siracusa, dove finalmente realizzò il suo
desiderio e riunì le sue acque a quelle dell’amata20.
Un diverso legame tra il mito e l’acqua troviamo nella figura del bel-
lissimo Narciso, figlio del fiume Cefiso e della ninfa Liriope, che si inna-
morò della propria immagine riflessa al punto di morirne. In questo caso
attraverso una simbiosi con l’elemento idrico, avviene una metamorfosi
del giovane, che diviene fiore acquatico elegantissimo21.
16
I materiali sono conservati nel Museo di Olimpia.
17
Il frammento della figura di Cefiso si conserva oggi al British Museum di Londra.
18
Il nome è riportato in un frammento di idria attica a figure nere (Atene, Museo Nazionale
732); cfr. Tölle-Kastenbein, op. cit., fig. 82.
19
Per un breve quadro generale sulle sorgenti e le loro denominazioni si veda Tölle-Kasten-
bein, op. cit., tab.5, pp. 160-161,
20
Il mito è riportato da moltissimi autori, da Pindaro ad Ovidio, da Pausania (Periegesi della
Grecia, V, 7, 3), a Diodoro Siculo, a Strabone; la tradizione, tramandata anche attraverso l’an-
tica monetazione di Siracusa, si ritrova ancora nella scultura contemporanea, come «Alfeo ed
Aretusa» opera di Biagio Poidimani (1992).
21
Anche questo mito è compreso nelle Metamorfosi di Ovidio (3, vv. 414-480).
62
Le acque nei miti di epoca classica

Acqua, strumento di purificazione

L’acqua è anche elemento che purifica: lo fa attraverso eventi dram-


matici, come il diluvio, ben noto nella tradizione mitologica di tutte le
civiltà, ma anche mediante la semplice immersione o l’uso dell’acqua
nei rituali che accompagnano le celebrazioni sacre.
Nella tradizione greca sono noti diversi diluvi, ma certamente tra i più
famosi è quello legato alle figure di Deucalione e Pirra22, che portò al rin-
novamento della specie umana dopo la fine della cosiddetta “generazione
di bronzo”, che era seguita a quella dell’oro e a quella d’argento: i due
sopravvissero all’interno di un’arca appositamente costruita e ottennero
poi dagli dèi di ripopolare il mondo gettando dietro di loro delle pietre,
che si trasformavano via via in esseri umani.
Altrettanto noto è quello che vide due anziani contadini della Frigia, File-
mone e Bauci, sopravvivere, ancora grazie ad un’arca, alla grande inonda-
zione che punì il popolo di quel territorio, per non aver onorato con l’ospi-
talità due mendicanti, sotto le cui spoglie si celavano Zeus ed Ermes23.
Ancora in Frigia ci riporta la storia del re Mida, che aveva ottenuto in
dono da Dioniso di poter trasformare in oro tutto ciò che toccava; quando
si rese conto di non potersi più nutrire, chiese di restituire il dono e il dio
gli suggerì di lavarsi e purificarsi nelle acque del fiume Pàttolo, in Lidia,
che da quel momento si arricchì di sabbie aurifere, che costituirono poi
la ricchezza del territorio24.
Per la sua valenza purificatoria l’acqua è sempre presente nel rito: è
condotta in processione, come si vede nel settore nord del lungo fregio

22
Ovidio, Metamorfosi, 1, vv. 347-415; la tradizione permane anche nei secoli successivi,
come mostra un’incisione di un autore veneziano anonimo, datata 1497.
23
Anche questo mito è riportato da Ovidio (op. cit., 8, vv. 616-724). Celebre è il quadro di
Pieter Paul Rubens «Paesaggio con Filemone e Bauci» del 1630.
24
Ibidem, 11, vv. 85-198.

63
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

ionico del Partenone con la raffigurazione delle feste panatenaiche in


onore di Atena, ma aveva un ruolo fondamentale anche nelle celebrazio-
ni iniziatiche e presso i grandi santuari oracolari, come a Delfi, dove era
attiva la fonte Kastalia, a Didime presso Mileto, a Rodi25.

Acqua sacra, acqua curativa

Dal V secolo, intorno alla figura divina di Asclepio, figlio di Apollo,


e collegata alla nuova scienza medica avviata da Ippocrate di Coo (460-
350 ca.), l’acqua assume un ruolo fondamentale anche nelle pratiche te-
rapeutiche, che mantengono comunque piena valenza religiosa: è sempre
il dio che agisce attraverso l’acqua, come accade nell’Asklepieion di Per-
gamo, dove si trovava la fonte sacra al dio26.
Si cominciano ad osservare e riconoscere diversità tra le acque27 e quin-
di anche tra le loro potenzialità curative; si differenziano luoghi di culto e
cura, che divengono sempre più noti e frequentati dall’epoca ellenistica in
tutto il bacino del Mediterraneo28: le Termopili in Tessaglia, Epidauro in
Argolide, Edepso in Eubea, le fonti di Imera e Segesta in Sicilia, quelle di
San Calogero a Lipari, i Campi Flegrei in Campania, le Aquae Patavinae
in Veneto, le Aquae Sextiae in Gallia Narbonese, le Aquae Sulis in Britan-
nia solo per citarne alcune.

25
Tölle-Kastenbein, op. cit., pp. 13-14.
26
G. De Luca, Il culto di Asklepios in Asia Minore. L’esempio di Pergamo, in E. De Miro E.,
G. Sfameni Gasparro, V. Calì (a cura di), Il culto di Asclepio nell’area mediterranea, Atti del
Convegno Internazionale, Agrigento 20-22 novembre 2005, Roma 2009, pp. 97-111.
27
E. Pettenò, Acque e uso terapeutico del bagno nel mondo romano, in M. J. Perex Agorreta
(a cura di), Termalismo antiguo. I Congreso Peninsular, Actas, Arnedillo (La Rioja) 3-5 octu-
bre 1996, Madrid 1997, pp. 217-227.
28
Per un quadro generale sulla valenza delle acque curative e sui principali siti ad esse con-
nessi si veda P. Zanovello, Termalismo ed economia, 2013.

64
Le acque nei miti di epoca classica

Atena e Poseidone (ceramica VI sec. a.C. ), Cabinet de Médailles, Parigi.

Il miracolo della pioggia, Colonna di Marco Aurelio (ca 176-192 d.C.), Piazza Colonna, Roma.

65
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

Le stazioni termali o aquae erano di solito segnalate negli itinerari


antichi, come dimostra ampiamente la Tabula Peutingeriana, che ne ri-
porta indicazione per una cinquantina di siti nel territorio dell’Impero ro-
mano29. In tutte queste località le principali figure divine connesse sono,
oltre ad Asclepio, Apollo, Eracle, Serapide, Minerva, Igea, anche entità
locali, definite talvolta genericamente “ninfe” oppure con nomi che risul-
tano poi latinizzati o associati a divinità del pantheon romano, come le
Ninfe Nitrodi a Ischia.
Ne sono esempi significativi il veneto Aponus, di cui conosciamo la
denominazione latina, associato probabilmente ad Apollo30, mentre a
Bath l’indigena Sul viene associata a Minerva31, cui è dedicato anche il
nord-italico santuario di Breno32. Nella zona occidentale della Spagna,
ad Otañes – Castro Urdiales (Santander), una patera argentea33 che rap-
presenta la personificazione della sorgente curativa, ne riporta anche la
denominazione: Salus Umeritana.
Tutte le sorgenti sono sacre, come ricorda Servio34 (Nullus enim fons
non sacer), e in nessuna parte della natura vi sono meraviglie (miracula)
più grandi che nelle acque, come sottolineava Plinio il Vecchio35 (In nulla
parte naturae maiora esse miracula quam in aquis). Al dio Fonte, nella
cui figura si raccoglievano tutti i culti alle sorgenti sacre, era dedicata a
Roma la grande festa dei Fontinalia, che si celebrava il 13 ottobre.
29
A. e M. Levi, La “Tabula Peutingeriana”, Bologna 1978, pp. 117-120.
30
P. Zanovello, Termalismo e sacralità: culti e riti a Fons Aponi in età romana, in Tra proto-
storia e storia. Studi in onore di Loredana Capuis, Roma 2011, pp. 457-462.
31
B. Cunliffe, The roman baths at Bath, Bath 1993.
32
F. Rossi (a cura di), Il santuario di Minerva. Un luogo di culto a Breno tra protostoria ed
età romana, Milano 2010.
33
F. Baratte, La coupe en argente de Castro Urdiales, in R. Chevallier (a cura di), Les eaux
thermales et le culte des eaux en Gaule et dans les provinces voisines, Caesarodunum, 26,
1992, pp. 43-54
34
Virgilio, Eneide, VII, v. 84.
35
Plinio il Vecchio, op. cit., XXXI, 21.
66
Le acque nei miti di epoca classica

La rappresentazione dell’acqua

Abbondano nel mondo romano le raffigurazioni di figure idrofore e di


ninfe acquatiche36, anche se generalmente prive di specifiche connotazio-
ni: divengono spesso semplici elementi decorativi utilizzati in contesti
pubblici e privati, ovunque vi sia un richiamo da porre all’acqua, che ac-
quista in questo periodo una valenza celebrativa di uno status sociale da
esibire. Fontane, ninfei, ambienti termali divengono i luoghi privilegiati
di questa manifestazione37.
Altrettanto generica rimane nel mondo romano, soprattutto nei reper-
tori musivi, la rappresentazione del mondo marino, che diviene un con-
testo popolato da una ricca fauna ittica, veri e propri “cataloghi di pesci”,
spesso associati a personaggi del mito, quali nereidi e tritoni; il dio del
mare è Poseidon – Nettuno, di solito raffigurato con la sposa Anfitrite,
ma anche Oceano sembra assumere un ruolo parallelo ed una rappresen-
tazione analoga: dopo i viaggi oltre le colonne d’Ercole e la conoscenza
diretta di altri mari al di là del Mediterraneo, il mare nostrum, probabil-
mente all’idea del grande fiume universale si sostituisce quella dell’im-
menso mare al confine con l’ignoto; come ricorda Erodoto38, «sono un
mare solo, tutto quel mare che i Greci navigano e quello fuori delle co-
lonne d’Eracle, chiamato Atlantide».
Anche i fiumi sono meglio conosciuti e continuano ad essere rappre-
sentati, in particolare quelli che hanno ruoli importanti nella storia di

36
M. Cadario et alii, Ninfe nel mito e nella città dalla Grecia a Roma, Milano 2009.
37
Su questi aspetti si vedano: R. Borghi, L’acqua come ornamento nella domus pompeiana:
documentazione archeologica e fonti letterarie, in L. Quilici, S. Quilici Gigli (a cura di),
Architettura e pianificazione urbana nell’Italia antica (Atlante tematico di topografia antica,
6), Roma 1997, pp. 35-50; P. Zanovello, L’acqua nella città e nella casa, in S. Bullo, E. F.
Ghedini (a cura di), Amplissimae atque ornatissimae domus, Roma 2003, pp. 299-313.
38
Erodoto, Storie, I, 202, 4.

67
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

Roma: il Nilo, protagonista del grande mosaico39 rinvenuto a Praeneste,


ma raffigurato anche nella grande statuaria, ad esempio da Villa Adriana
a Tivoli40; naturalmente il Tevere, anch’esso presente a Tivoli, quasi in
un simbolico parallelismo con il grande fiume egiziano; l’Istro, ovvero
l’imponente Danubio41, onnipresente lungo i rilievi della colonna Traia-
na a Roma, che delineano lo scenario di guerra e di conquiste in Dacia
all’epoca dell’imperatore Traiano.
La stessa suggestione, di fronte alla grandiosa presenza dei fiumi, si
ritrova nella maestosa fontana del Bernini in Piazza Navona a Roma.
Anche l’acqua “distruttiva” rimane presente nel mondo romano, come
testimonia il ben noto “miracolo della pioggia” rappresentato sulla co-
lonna aureliana42: una pioggia torrenziale, quasi un diluvio, che gli dei
inviarono in soccorso dell’esercito romano per risolvere la critica situa-
zione di difesa dell’impero nel corso delle guerre contro le barbare tri-
bù germaniche. L’acqua quindi, compresa quella distruttiva, ha sempre
un ruolo anche positivo: il diluvio, attraverso la distruzione, purifica e
rinnova; la grande pioggia diventa strumento divino per l’affermazione
della potenza di Roma.

39
P.G.P. Meyboom, The Nile mosaic of Palestrina: early evidence of egyptian religion in Italy,
Leiden 1995; F. Zevi, E. V. Bove, Il mosaico nilotico di Palestrina, in E. Lo Sardo (a cura di),
La Lupa e la Sfinge. Roma e l’Egitto dalla storia al mito, Catalogo della Mostra, Roma 11
luglio – 9 novembre 2008, Milano 2008, pp. 78-87.
40
Z. Mari, I “luoghi egizi” di Villa Adriana: l’Antinoeion e la Palestra, in E. Lo Sardo (a cura
di), La Lupa e la Sfinge. Roma e l’Egitto dalla storia al mito, Catalogo della Mostra, Roma
11 luglio – 9 novembre 2008, Milano 2008, figg. a pp. 124-125.
41
F. Coarelli, La colonna Traiana, Roma 1999.
42
J. Scheid, V. Huet (a cura di), La Colonne Aurélienne. Geste et image sur la Colonne de
Marc Aurèle à Rome, Turnhout 2000.

68
Gabriele Archetti

La diffusione del cristianesimo


lungo le vie d’acqua
Suggestioni dall’area alpina

La persistenza di culti tradizionali alla penetrazione del messaggio cri-


stiano è stata ed è oggetto di numerose indagini, da variegati punti di
vista e da lungo tempo, via via avvalorata dai continui e sempre nuovi
ritrovamenti archeologici1.
1
Per un breve quadro bibliografico su questi problemi si vedano almeno: R. Manselli, Resi-
stenze dei culti antichi nella pratica religiosa dei laici nelle campagne, in Cristianizzazione
ed organizzazione ecclesiastica delle campagne nell’alto Medioevo: espansione e resistenze,
10-16 aprile 1980, Spoleto 1982 (Settimane di studio del Centro italiano di studi sull’Alto
Medioevo, XXVIII), pp. 57-108; J. Vaes, “Nova costruere sed amplius vetusta servare”. La
réutilisation chrétienne d’édifices antiques (en Italie), Actes du XIe Congrès international
d’archéologie chrétienne (Lyon, Vienne, Grenoble, Genéve et Aoste, 21-28 septembre 1986),
Città del Vaticano 1989, pp. 299-321; E. Testa, Legislazione contro il paganesimo e cristia-
nizzazione dei templi (sec. IV-VI), «Liber annuus», XLI (1991), pp. 311-326; G. Cantino
Wataghin, “… Ut haec aedes Christo Domino in ecclesiam consecratur”. Il riuso cristiano
di edifici tra tarda antichità e alto medioevo, in Ideologie e pratiche del reimpiego nell’alto
medioevo, Spoleto, 16-21 aprile 1998, Spoleto 1999 (Settimane di studio della Fondazione
Centro italiano di studi sull’alto medioevo, XLVII), pp. 673-749; B. Filotas, Pagan Survi-
vals, superstitions and popular cultures in Early Medieval Pastoral Literature, Toronto 2005
(Studies and texts, 151); P. G. Spanu, “Fons vivus”. Culti delle acque e santuari cristiani tra
tarda antichità e alto medioevo, in L’acqua nei secoli altomedievali, Spoleto, 12-17 aprile

69
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

Le fonti tardoantiche e altomedievali, sia scritte che materiali, con-


cordano nel tramandare l’immagine di paesaggi rurali abitati da ninfe,
spiriti e demoni presenti negli elementi naturali, attraverso cui queste
molteplici entità manifestavano la loro forza, entravano in contatto con
le comunità umane e ne ricevevano il religioso tributo. Presso alberi,
rocce, grotte, fonti, fiumi e sorgenti, a cui si attribuivano spesso funzioni
curative, taumaturgiche e magiche, vennero eretti templi e monumenti
votivi dove la gente accorreva «per pregare, per chiedere o sciogliere un
voto, per offrire doni alle divinità»2.
Dall’età costantiniana la normativa pubblica e quella canonica erano an-
date sempre più di pari passo nel denunciare con forza il pericolo di sincre-
tismo; allo stesso modo avevano fatto i pastori delle Chiese locali operan-
do concretamente perché il costante incedere della evangelizzazione fosse
omogeneo, robusto e convinto, tanto nelle città quanto nelle campagne.
Della rapidità delle conversioni, al di là della retorica trionfalistica di
alcuni autori cristiani, tra le tante voci, si ha conferma nella seconda metà
del IV secolo dalle parole del vescovo di Brescia Filastrio: «ora tutte le
genti – scrive nel trattato sulle eresie –, abbandonando ogni giorno l’ido-
latria del nemico apportatrice di morte, ascoltando ormai dalla legge e
dai profeti che Cristo è vero Dio e credendo e ricordando che egli è inse-

2007, Spoleto 2008 (Settimane di studio della Fondazione Centro italiano di studi sull’alto
medioevo, LV), pp. 1029-1078; G. Binazzi, La sopravvivenza dei culti tradizionali nell’Ita-
lia tardoantica e altomedievale, Perugia 2008; G. Archetti, “Evangelium nuntiare”. Chie-
se, impegno pastorale e forme di religiosità, in A servizio del Vangelo. Il cammino storico
dell’evangelizzazione a Brescia, 1. L’età antica e medievale, a cura di G. Andenna, Brescia
2010, pp. 211-314, 620-632; G. Binazzi, Il radicamento dei culti tradizionali in Italia fra
tarda antichità e alto medioevo: fonti letterarie e testimonianze archeologiche, Roma 2012
(Problemi e ricerche di storia antica, 27); Da pagani a cristiani. L’evangelizzazione della
pianura bresciana e la chiesa dei Santi Nazzaro e Celso di Leno, Atti del convegno di studio
(Leno, 5 giugno 2010), a cura di A. Baronio, Roma-Brescia 2012.
2
Si veda al riguardo il bel saggio di Spanu, Fons vivus, pp. 1037-1038.

70
La diffusione del cristianesimo lungo le vie d’acqua

parabile dal Padre, si affrettano supplici a raggiungerlo rapidamente»3, e


il suo successore alla guida della diocesi, Gaudenzio, in un sermone dice
che «il popolo dei pagani, dall’errore dell’idolatria nel quale un tempo
era travolto, ora si affretta al cielo della verità cristiana, per così dire
con la velocità d’una ruota che corre»4, mentre di un gran numero di
conversioni dà notizia pure il racconto leggendario della passio dei santi
Faustino e Giovita5.
In verità, la diffusione della fede non avvenne in modo lineare e, specie
in area alpina, resistenze paganeggianti e consuetudini devozionali etero-
dosse continuarono a sussistere a lungo. Ancora all’inizio dell’XI secolo
il vescovo Burcardo – e un secolo prima di lui l’abate di Prüm, Reginone,
nel suo manuale-guida per i pastori diocesani in visita pastorale – nel
lungo capitolo V del XIX libro della silloge nota col nome di Decretum,
che ebbe un discreto successo in Lombardia dove circolò ampiamente6,
3
San Filastrio di Brescia, Delle varie eresie, Introduzione, traduzione, note e indici di G.
Banterle, Milano-Roma 1991 (Scrittori dell’area santambrosiana. Complementi all’edizione
di tutte le opere di sant’Ambrogio, 2), Prefazione, 4.
4
San Gaudenzio di Brescia, Trattati, Introduzione, traduzione, note e indici di G. Banterle,
Milano-Roma 1991 (Scrittori dell’area santambrosiana. Complementi all’edizione di tutte le
opere di sant’Ambrogio, 2), VIII, 25.
5
Per la passio faustiniana, F. Savio, La Légende des ss. Faustin et Jovite, «Analecta Bollan-
diana», XV (1896), pp. 121, 142-143, 152, 154; P. Tomea, «Agni sicut nive candidi». Per un
riesame della Passio Faustini et Iovite BHL 2836, in San Faustino Maggiore di Brescia: il
monastero della città, Atti della giornata nazionale di studio (Brescia, Università Cattolica
del S. Cuore, 11 febbraio 2005), a cura di G. Archetti, A. Baronio, Brescia 2006 (Brixia sa-
cra. Memorie storiche della diocesi di Brescia, XI, 1), pp. 17-48; sulla Chiesa bresciana del
tempo, v. A. Zani, Filastrio e Gaudenzio vescovi di Brescia tra la seconda metà del IV secolo
e la prima decade del V secolo, in Diocesi di Brescia, a cura di A. Caprioli, A. Rimoldi, L.
Vaccaro, Brescia-Gazzada 1992 (Storia religiosa della Lombardia, 3), pp. 149-167; Archetti,
Evangelium nuntiare, pp. 212-253.
6
Sulla valenza pastorale del “de synodalibus causis” di Reginone († 915) e del “Decreto” di
Burcardo († 1025), cfr. G. Picasso, La pastorale nelle collezioni canoniche altomedievali,
in La pastorale della Chiesa in Occidente dall’età ottoniana al concilio lateranense IV, Atti
della quindicesima Settimana internazionale di studio (Mendola, 27-31 agosto 2001), Milano
2004, pp. 78-79; per una scheda su queste due collezioni – Reginone di Prüm, De synodalibus

71
Pieve di San Siro, Capo di Ponte. 72
La diffusione del cristianesimo lungo le vie d’acqua

non mancava di segnalare i rischi della commistione di tradizioni antiche


con la dottrina evangelica.
Si tratta di brevi testi che, se riecheggiano senza dubbio disposizio-
ni conciliari, penitenziali e capitolari precedenti, presentano aspetti non
meramente descrittivi. «Invece di andare a pregare in chiesa o in un luo-
go sacro – si legge nelle indicazioni al confessore su come esaminare il
penitente – che il tuo vescovo o il tuo parroco ti avevano indicato, sei
forse andato presso sorgenti, dolmen, alberi oppure ai crocicchi di qual-
che strada? Hai forse acceso in questi luoghi ceri o fiaccole in segno di
venerazione? Vi hai deposto pane o altra offerta che poi hai mangiato
per impetrare la salvezza del corpo o dell’anima? Se l’hai fatto o vi hai
prestato fede, farai tre anni di penitenza nei giorni stabiliti»7. E ancora:
«Hai forse mangiato idolotiti, ossia le offerte fatte in determinati luoghi
presso tombe, sorgenti, alberi, rupi, crocicchi? Hai innalzato pietre, alla
maniera dei dolmen, oppure posto nastri alle croci che si trovano ai bivi
delle strade? Trenta giorni di penitenza a pane ed acqua»8.
A distanza di secoli il substrato di credenze ancestrali continuava anco-
ra a permeare l’orizzonte religioso del popolo cristiano. Certo, i toni ac-
cesi dello scontro frontale con il mondo antico del IV-V secolo non erano
più necessari, ma la condanna restava altrettanto ferma, benché la distin-
zione fra religiosità, superstizione, magia e folclore delle manifestazioni
popolari apparisse ormai più consapevole nella presa di posizione dei

causis et disciplinis ecclesiasticis, Lipsiae 1840 e Burcardo di Worms, Decretum, in Patrolo-


gia latina, 140, coll. 943-1014 – J. Gaudemet, Les sources du droit canonique, VIIIe-XXe siè-
cle. Repères canoniques. Sources occidentales, Paris1993, pp. 38, 81-82; per la circolazione
lombarda del testo di Burcardo, v. R. Bellini, Un ‘abregè’ del Decreto di Burcardo di Worm:
la collezione canonica in 20 libri (ms. Vat. lat. 1350), «Apollinaris», 69 (1996), pp. 157-166.
7
Burcardo, Decretum, lib. XIX, cap. 5, col. 961, De arte magica; A pane e acqua. Peccati e
penitenza nel Medioevo. Il Penitenziale di Burcardo di Worms, a cura di G. Picasso, G. Piana,
G. Motta, Novara 1986, p. 83.
8
Burcardo, Decretum, lib. XIX, cap. 5, col. 964, De superstitione; A pane e acqua, p. 88.

73
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

chierici e nelle pene ecclesiastiche comminate per tali comportamenti.


Se il vescovo Gaudenzio di Brescia ironizza amaramente sul modo
con cui i pagani consultavano gli aruspici9 o con mano tremante, più per
l’ebbrezza che per il contatto con lo spirito del defunto, pregavano sulle
tombe dei propri cari10, al contrario dell’umile sobrietà e della speran-
za espresse nell’orazione cristiana, anche Burcardo ricorda il comporta-
mento scaramantico di alcune donne che, allo scopo di ottenere guarigio-
ni, quando la salma si trovava ancora in casa, correvano ad una fontana
e senza dir parole riempivano un recipiente e versavano il contenuto nel
luogo della bara quando la si sollevava11.

9
Gaudenzio ricorda ai suoi fedeli che l’annuncio evangelico è vano senza testimonianza di
vita e li esorta a rifuggire gli abomini dei gentili e ogni forma di idolatria, quali «i malefici, gli
incantesimi e gli amuleti, le vanità, l’interpretazione dei presagi, il culto familiare dei morti»
(Gaudenzio di Brescia, Trattati, IV, 14).
10
Gaudenzio di Brescia, Trattati, IV, 15: «In un primo tempo gli uomini cominciarono ad
imbandire i pranzi ai morti a motivo della propria golosità, per mangiarseli loro; ma dopo
osarono celebrare in loro onore anche sacrileghi sacrifici, per quanto compiano l’equivalente
di un sacrificio ai loro morti quegli stessi che organizzano i pranzi in loro onore, poiché,
versando vino con le mani tremanti per l’ebrezza sulle mense dei sepolcri, tartagliano che lo
spirito è assetato».
11
«Hai mai partecipato a veglie funebri, in cui cadaveri di cristiani venivano vegliati con
rituali pagani? Vi hai mai cantato nenie pagane o eseguito danze dai pagani stessi inventate
su suggerimento del demonio? Hai bevuto anche tu oppure hai pronunziato battute mordaci,
quasi che tu, senza rispetto alcuno e senza carità cristiana, esultassi per la morte di un tuo
fratello? […] Hai forse partecipato a quelle pratiche superstiziose cui si dedicano donne stolte
quando la salma di un uomo si trova ancora in casa? Corrono alla fontana e, senza proferir
parola, portano in un recipiente acqua che versano sotto la bara non appena questa viene
sollevata, e stanno molto attente che il feretro non venga sollevato al di sopra delle loro gi-
nocchia: credono infatti di ottenere in tal modo guarigioni […]. Hai forse compiuto anche tu,
direttamente o indirettamente, quello che fanno alcuni quando seppelliscono un uomo morto
assassinato? Gli mettono tra le mani un unguento, come se potesse dopo la morte guarire
dalla sua ferita e così lo seppelliscono?» (Burcardo, Decretum, lib. XIX, cap. 5, col. 964;
lib. II, cap. 54, col. 635; inoltre i riferimenti presenti in Reginone, De synodalibus causis,
pp. 180-181, lib. I, cap. 398: Ne super mortuorum cadaveribus carmina diabolica nocturnis
horis contentur); più in generale, Filotas, Pagans Survivals, pp. 318-337.

74
La diffusione del cristianesimo lungo le vie d’acqua

Subito dopo, però, Gaudenzio invita a distruggere i simulacri demo-


niaci, incompatibili con la nuova fede: «Credete forse che Dio possa
amare un cristiano tiepido e negligente che lascia sussistere il culto degli
idoli nei propri possedimenti? che tollera, in oltraggio a Dio, l’esistenza
di un tempietto dedicato a un demone e un altare al diavolo?»12.
Cesario di Arles († 543) e Martino di Braga († 580) criticano l’uso di
accendere ceri ed emettere voti presso alberi, pietre, fonti e ai crocicchi,
attestato anche nei sermoni inseriti nella vita di Eligio di Noyon († 660),
dove l’esistenza di fana, ossia delle piccole casette di legno costruite
accanto alle sorgenti e agli alberi ritenuti sacri dentro cui si accendevano
luci, sono definite «paganorum sacrilegas consuetudines» e perciò an-
davano recise13.
Anche di fronte alle avversità della vita, prosegue il presule, non ha
senso affidarsi a sortilegi e maghi che invocano le forze della natura, ma
bisogna avere fiducia nella misericordia divina, ricevere con fede il cor-
po e il sangue del Signore e chiedere l’olio santo alla Chiesa: «Nessuno
creda di adorare il cielo, le stelle, la terra o qualche altra creatura all’in-
fuori di Dio, poiché lui solo istituisce e dispone ogni cosa»14.
Dopo il V secolo la diffusione della fede nelle campagne, spinta
dall’opera pastorale, dalla predicazione e da gesti clamorosi, come i mi-
racoli e lo sradicamento o l’abbattimento, talvolta violento e grazie al
12
Gaudenzio di Brescia, Trattati, XIII, 28.
13
Cesario di Arles, Sermones, 53.1, 54.5, 25.4, 33.4, 13.5, 14.4, ed. D. G. Morin, Turnholti
1953 (Corpus christianorum. Series latina, CIII), pp. 233-234, 265, 145, 146, 68, 72; Martino
di Braga, Capitula, XVI, 2, in Idem, Contro le superstizioni. Catechesi al popolo, Firenze
1991, pp. 66; Vitae Eligii episcopi Noviomagensis, ed. B. Krusch, in Monumenta Germa-
niae Historica, IV, 2, Scriptores rerum Merovingicarum, Hannoverae et Lipsiae 1902, lib. II,
capp. 8, 16, pp. 639, 705-708; Burcardo, Decretum, lib. XIX, cap. 5, coll. 960-962, De arte
magica.
14
Vitae Eligii episcopi, pp. 707, 708, e prosegue: «Alto è senza dubbio il cielo, grande la terra,
immenso il mare, belli gli astri, ma è necessario che sia più immenso e più bello colui che
creò queste cose» (ivi, p. 708).

75
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

fuoco purificatore, delle statue, dei templi, delle fonti sacre alle divinità –
di cui parlano ancora le norme conciliari e i capitolari carolingi15 –, lasciò
il passo ad un atteggiamento più morbido e meno aggressivo. In genere si
fissavano i luoghi di culto – altari, cappelle, chiese – sovente nello stesso
posto o in prossimità a dove sorgevano gli idoli atterrati, non tanto per
segnare una continuità con il passato, quanto per cercare di cancellarne
completamente la memoria; le prove di queste azioni violente sono però
difficili da ritrovare e da provare, mentre nella maggior parte dei casi
l’oblio dei luoghi di culto antichi fu dovuto soprattutto al loro abbando-
no, a cui soltanto dopo parecchio tempo seguì una ripresa cristiana16 e gli
esempi dei molti siti di area alpina, sin dalla preistoria, lo attestano.
Emblematica appare la posizione di Gregorio Magno († 604), il quale,
se da una parte suggeriva ai missionari inviati in Anglia di usare grande
rispetto nei confronti delle tradizioni locali, dall’altra deplorava senza
esitazione comportamenti analoghi nei confronti delle sopravvivenze pa-
gane nella penisola italica oggetto di scandalo per le comunità cristiane.
La condotta di Benedetto nell’avvio del cenobio cassinese è presenta-
to dal papa come un modello edificante: «la fortezza chiamata Cassino
– scrive nel secondo libro dei Dialoghi – è situata sulle pendici di un
alto monte. Questo sembra accogliere il castello in una grande conca,
per poi continuare a elevarsi per oltre tre miglia, quasi tenendo la sua
cima verso il cielo.

15
Filotas, Pagans Survivals, pp. 365 sgg.
16
Rottura, continuità o ripresa cristiana dopo un periodo di abbandono degli antichi centri o
luoghi di culto tradizionali, sono i riferimenti problematici entro cui si è mossa la storiografia
tardoantica e alto medievale, la cui soluzione non può essere generalizzata per tutte le epoche
e le regioni, ma va esaminata di volta in volta alla luce dei contesti e delle fonti locali, pur
nel riconoscimento di talune tendenze comuni ben individuate e distinte tra la tarda antichità
e l’alto medioevo [J. Hubert, Sources sacrées et sources saintes, «Comptes rendus de l’Aca-
démie des Inscriptions des Belles-Lettres», 111, 4 (1967), pp. 567-473; Spanu, Fons vivus,
pp. 1040-141].

76
La diffusione del cristianesimo lungo le vie d’acqua

Qui si ergeva un tempio molto antico dove, secondo il vetusto rito dei
pagani, i contadini ignoranti adoravano Apollo. Tutt’intorno si estendeva
un bosco consacrato ai demoni, in cui sino a quel tempo numerosi infe-
deli nella loro stoltezza si davano a sacrifici sacrileghi.
Al suo arrivo, l’uomo di Dio distrusse l’idolo, rovesciò l’ara, atter-
rò il bosco; nel tempio di Apollo elevò un oratorio a san Martino e, al
posto dell’ara di Apollo, costruì un oratorio dedicato a san Giovanni.
Con un’incessante opera di predicazione, richiamava alla fede tutte le
genti del circondario»17. L’attendibilità del notissimo episodio ha trovato
conferma nel ritrovamento di strutture murarie precristiane, di statuette
votive e resti epigrafici con dedicazione pagana.
Quando invece Agostino, vescovo di Canterbury e missionario presso
gli Angli, sottopose al pontefice i suoi dubbi circa l’utilizzo di luoghi
di culto già appartenuti al mondo indigeno, Gregorio Magno gli rispo-
se senza possibilità di equivoci: «fa’ dell’acqua benedetta, spargila nei
templi, costruisci l’altare, deponi le reliquie. Se quei templi sono stati
costruiti bene, è necessario che siano convertiti dal culto del demonio
a quello del vero Dio, affinché la gente abituata a recarsi in quel luogo,
non debba essere sorpresa per la loro distruzione, ma piuttosto deponga
il proprio errore per conoscere ed adorare il vero Dio»18.
E suggeriva di preparare dei banchetti, con i buoi che si macellavano in
onore dei demoni, per quanti che intervenivano alla festa di dedicazione

17
Gregorio Magno, Dialoghi, II, VIII, 10; Binazzi, La sopravvivenza dei culti, pp. 59-61, 63-64.
18
Gregorio Magno, Registrum epistularum, XI, 56, ed. D. Norberg, Turnholti 1982 (Corpus
christianorum. Series latina, CXL), pp. 961-962, la lettera del papa è inviata all’abate Mellito
affinché ne trasmetta il contenuto ad Agostino (anno 601); su questo testo si vedano i rilievi
di C. Alzati, La diffusione del cristianesimo a settentrione del Po. Alcune considerazioni, in
Da pagani a cristiani, pp. 48-49, mentre sull’attività missionaria in Anglia, cfr. H. Chadwick,
Gregory the Great and the mission to the Anglo-Saxon, in Gregorio Magno e il suo tempo.
Incontro di studiosi dell’antichità cristiana in collaborazione con l’École française de Rome
(Roma, 9-12 maggio 1990), Roma 1991 (Studia Ephemerides Augustiniana, 33), pp. 207-211.

77
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

della chiesa o nel giorno anniversario dei martiri, permettendo loro di co-
struire «dei tabernacoli con frasche di alberi»; in questo modo, essi non
avrebbero più immolato «animali al diavolo», ma li avrebbero uccisi «a
lode di Dio per loro nutrimento» e, se venivano loro riservate delle gioie
materiali, più facilmente avrebbero potuto «essere indotti a consentire
alle gioie spirituali. Alle persone semplici infatti non si può togliere di
colpo il loro passato, ma le si eleva facendo un gradino alla volta e non
con dei salti»19.
Del resto, che questa strategia fosse ormai quella auspicabile, è avva-
lorato dal racconto di Gregorio di Tours († 594) a proposito dell’azione
missionaria di un vescovo nelle montagne del Gévaudan, in Lozère dopo
il 573, mediante la sostituzione del culto locale al genio delle acque lacu-
stri con quello di Sant’Ilario20.
I rustici si recavano, infatti, ogni anno sulle rive di un grande lago
sacro alla luna e vi gettavano panni di lana, formaggio, cera, pane e altri
oggetti; lì bivaccavano per tre giorni mangiando, bevendo e abbattendo
animali sacrificali, finché il quarto giorno non li scacciava una violentis-
sima tempesta di grandine con tuoni e saette.
Più volte il presule cercò invano di convincerli che non c’era nulla di
divino in quello specchio d’acqua e che il loro era un comportamento
sconsiderato, finché, ispirato dall’alto, decise di costruire sulle sponde
una basilica in onore di sant’Ilario, vi depose le sue reliquie, e disse loro:
«“Smettete, figli, smettete di peccare contro Dio! Non vale a nulla cre-
dere nel lago. Non macchiate le vostre anime con questi riti vani, ma

19
Gregorio Magno, Registrum epistularum, XI, 56, p. 962.
20
Gregorio di Tours, Liber in gloria confessorum, 2, in Monumenta Germaniae Historica,
Scriptores rerum Merovingicarum, I, 2, Miracula et opera minora, ed. B. Krusch, Hannoverae
1885, c. 2, pp. 299-300; A. Pierre, Un exemple de survivance païenne à l’époque contempo-
raine: le culte des fontaines dans la France de l’Ouest et du Centre-Ouest, 2e partie: du Moyen
Age à nos jours, «Annales de Bretagne et des pays de l’Ouest», 86, 4 (1979), pp. 680, 684.

78
La diffusione del cristianesimo lungo le vie d’acqua

79 Ponte di Montecchio, Darfo Boario Terme.


Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

piuttosto conoscete Dio e rivolgete la venerazione ai suoi amici! Adorate


invece il santo vescovo di Dio Ilario, le cui reliquie sono state deposte in
questo luogo! E lo stesso intercessore potrà impetrare per voi misericor-
dia presso Dio”. Allora, pentiti di cuore, quegli uomini si convertirono,
abbandonarono il lago e tutte quelle cose, che prima erano soliti buttarvi
dentro, le portavano alla basilica; così furono liberati dall’errore con cui
erano stati legati. E da quel momento anche la tempesta fu tenuta lontana
e dopo che le reliquie del beato confessore furono collocate là, non fece
più danno nella solennità che era diventata di Dio»21.
Nel caso della Valle Camonica la prima espansione cristiana non av-
venne in maniera uniforme, ma, come nel resto dell’Italia padana, ebbe
uno sviluppo dai contorni spesso oscuri, fatta di predicazione itinerante,
di testimonianza evangelica legata all’iniziativa dei singoli e di graduale
faticosa conversione della popolazione locale nella normalità quotidiana22.

21
Gregorio di Tours, Liber in gloria confessorum, p. 300; Testa, La legislazione contro il
paganesimo, p. 324.
22
È trascorso ormai più di mezzo secolo da quando don Alessandro Sina (1878-1953), sulla
rivista «Memorie storiche della diocesi di Brescia», si interrogava circa la diffusione della
fede cristiana in Valle Camonica osservando che a «rispondere a tale quesito, anche il miglio-
re e più profondo conoscitore della storia della Chiesa si troverebbe in imbarazzo» [A. Sina,
Le origini cristiane della Valle Camonica, «Memorie storiche della diocesi di Brescia», XIX
(1952), p. 17; sulla sua figura, v. Atti del convegno di studio in ricordo di don Alessandro
Sina, Esine, 19 febbraio 1994, Breno 1996 (Quaderni della “Fondazione Camunitas”, 1)]. Lo
studioso camuno denunciava poi la disinvoltura con cui in passato si è spesso dato spazio a
racconti fantastici – come nel caso dei Curiosij trattenimenti del p. Gregorio da Cané o delle
leggende legate alla predicazione di san Siro e del vescovo Apollonio –, dai contorni cele-
brativi e devozionali, privi di qualunque seria attendibilità storica [Sina, Le origini cristiane,
pp. 17-27; p. Gregorio di Val Camonica, Curiosij trattenimenti contenenti ragguagli sacri
e profani de’ popoli camuni, Venezia 1698, pp. 237 sgg. e, sulla sua opera, Atti del convegno
di studio in ricordo di P. Gregorio da Valle Camonica, Breno, 16 febbraio 1999, Breno 2000
(Quaderni della “Fondazione Camunitas”, 5)]. Al contrario, il suo intendimento era quello di
soffermarsi «sui fatti accertati» da fonti sicure per trarre «conclusioni» non contrastanti «con
la ragione e con il buon senso»; ne usciva così un saggio scrupoloso, forse il più significativo
dell’erudito nativo di Zone, nel quale egli sviluppava l’ipotesi secondo cui Cividate, ultimo
fiorente baluardo o avamposto della romanità in Valle, fu la sede della prima comunità cristia-

80
La diffusione del cristianesimo lungo le vie d’acqua

Ciò spiega la quasi totale assenza di fonti documentarie e, quando


presenti, la loro difficile collocazione cronologica, a fronte del fiorire
leggendario di una evangelizzazione, ricostruita a posteriori, ricondu-
cibile addirittura alla prima età apostolica, rispondente più alla volontà
di prestigio o di legittimazione di prerogative canonico-giurisdizionali
che alla storia23.
Difficoltà e resistenze, anche gravi, all’opera missionaria non manca-
rono e l’uccisione in Val di Non di Sisinio, Martirio ed Alessandro, alla
fine di maggio del 397 – i tre missionari inviati da Ambrogio († 397) al
vescovo di Trento Vigilio († ca 405) per la predicazione evangelica nella
sua diocesi24 –, aveva suscitato grande apprensione nelle giovani comu-
nità cristiane dell’Italia settentrionale, alcune delle quali conservavano
ancora un ricordo vivo e doloroso delle persecuzioni.
Fu lo stesso presule trentino a darne notizia a Simpliciano di Milano
(† 400) e a Giovanni Crisostomo di Costantinopoli († 397), ai quali inviò
le reliquie dei martiri che egli stesso aveva raccolto dalle macerie ancora
fumanti sul luogo dell’eccidio25; ma echi di quel martirio si ritrovano
pure in Paolino, già segretario di Ambrogio, in Massimo di Torino, in

na strutturata gerarchicamente (Sina, Le origini cristiane, pp. 41, 46-49).


23
Per queste osservazioni si rimanda a G. Archetti, Fede, pievi e fedeli nella Valcamonica
medievale, in L’evangelizzazione della Valcamonica, a cura di O. Franzoni, Brescia-Breno
2014, in stampa.
24
Su questi fatti si rimanda almeno a I martiri della Val di Non e la reazione pagana alla fine
del IV secolo, Atti del Convegno tenuto a Trento il 27-28 marzo 1984, a cura di A. Quac-
quarelli e I. Rogger, Bologna 1985; E.M. Sironi, Dall’Oriente all’Occidente: i santi Sisinio,
Martirio e Alessandro martiri in Anaunia, Sanzeno 1989; L’Anaunia e i suoi martiri, a cura di
R. Grégoire, Trento 1997 (Bibliotheca Civis, X); Vigilio vescovo di Trento tra storia romana
e tradizione europea, Atti del Convegno (Trento, 12-13 ottobre 2000), a cura di R. Codroipo,
D. Gobbi, Trento 2001 (Bibliotheca Civis, XVI).
25
Le due lettere sono pubblicate anche in Sironi, Dall’Oriente all’Occidente, pp. 79-81 (let-
tera a Simpliciano), 92-103 (lettera a Giovanni Crisostomo), e p. 92 per il particolare del
recupero delle reliquie dal rogo ancora fumante da parte del presule tridentino; inoltre, E. Me-
nestò, Le lettere di S. Vigilio, in I martiri della Val di Non e la reazione pagana, pp. 151-170.

81
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

Agostino di Ippona, in Gennadio di Marsiglia e in Gaudenzio di Brescia,


che, nel sermone per la dedicazione della chiesa denominata Concilium
sanctorum, scrive: «Abbiamo ricevuto anche le ceneri sante di Sisinio,
di Martirio e Alessandro, che una popolazione sacrilega in Anaunia ha
recentemente ucciso e bruciato tra le fiamme, mentre attendevano con
grande impegno al culto della venerabile religione, affinché fossero sa-
crificio a Dio, essi che avevano molto giustamente rimproverato e proi-
bito ai loro cristiani di offrire vittime ai demoni»26.
La loro memoria nel ricordo martiriale è coeva ai fatti e dunque an-
tichissima, ma la testimonianza del presule è altresì una conferma della
preoccupazione pastorale di fronte al paganesimo ancora forte nelle cam-
pagne. Legata alla successiva politica di rilancio episcopale, e di tutt’al-
tro tenore, è invece la notizia della Passio sancti Vigilii episcopi – un
testo agiografico redatto tra la fine del VI e dell’VIII secolo –, secondo
cui il presule tridentino avrebbe inviato ai suoi confratelli di Verona e di
Brescia una legazione per esortarli ad uscire dalle loro città ed annun-
ciare «la parola di Dio affinché non serpeggiasse più a lungo il diavolo
antico» del paganesimo tra i rustici; a cui sarebbe seguito un formidabile
impegno missionario che avrebbe portato Vigilio a fondare una trentina
di chiese nei vicini territori bresciano e veronese27.
In verità, compilata in piena età longobarda, e perciò lontano dal con-
testo vigiliano, la passio è piuttosto un documento dell’impegno antiaria-

26
San Gaudenzio di Brescia, Trattati, XVII, 13; la chiesa venne dedicata nel 400-402 e vi
trovarono posto le reliquie dei martiri anauniensi, di San Giovanni evangelista, degli apostoli
Andrea e Tommaso, dei Santi Gervasio, Protasio, Nazario e dei 40 martiri di Sebaste. Per
un quadro delle diverse testimonianze agiografiche relative al martirio in Val di Non, cfr. R.
Grégoire, Vigilio di Trento, agiografo dei Martiri d’Anaunia, in Vigilio vescovo di Trento, pp.
155-182.
27
Cfr. la nuova edizione critica proposta da G. Verrando, La trasmissione manoscritta per
una nuova edizione della Passio sancti Vigilii episcopi, in Vigilio vescovo di Trento, pp. 291-
326, a pp. 315-316.

82
La diffusione del cristianesimo lungo le vie d’acqua

no della Chiesa tridentina in seguito allo scisma dei Tre capitoli – e per
questo testimonianza preziosa di una temperie religiosa assai più ampia
–, i cui echi dovettero farsi sentire pure in Valle Camonica.
Dal V secolo si registra, però, anche la progressiva demolizione e l’ab-
bandono di alcuni dei maggiori centri di culto della Valle28 – quelli di
Breno e di Borno dedicati a Minerva, il santuario dei Massi di Cemmo, le
aree megalitiche con stele cultuali sull’altopiano di Ossimo-Borno, do-
cumentate anche a Cevo, Malegno, Cedegolo, Paspardo, ecc., i santuari
romani di Cividate e il tempio di Minerva a Lovere –, fatti di grande por-
tata che si inscrivono nella diffusione del cristianesimo divenuto ormai
religione predominante.
Allo stato attuale delle ricerche, tuttavia, per il Bresciano non è regi-
strata la sovrapposizione di chiese ad edifici di culto pagani, salvo il caso
dell’oratorio urbano eretto al dio indigeno Bergimus sulla sommità del
colle Cidneo, né sembrano documentate, almeno nei primi tempi, azioni
clamorose di demolizione dei templi indigeni29. Della presenza di spiriti
ed entità demoniache, l’area camuna è tra quelle che ha conservato le
28
Si vedano in proposito le puntuali osservazioni di R. Poggiani Keller, Un passato di 13.000
anni. Cenni sul popolamento pre-protostorico, e F. Rossi, La media Valcamonica romana:
problemi aperti e prospettive di ricerca, in Il teatro e l’anfiteatro di Cividate Camuno. Scavo,
restauro e allestimento di un parco archeologico, a cura di V. Mariotti, Firenze 2004, rispet-
tivamente pp. 5-10 e 37-45; A. Marretta, Statue stele dell’età del Rame a Campolungo di
Cedegolo e R. Poggiani Keller, Santuari megalitici dell’età del Rame in corso di scavo in
Valcamonica. Un confronto per Campolungo di Cedegolo, in Grevo. Alla scoperta di un ter-
ritorio fra archeologia e arte rupestre, a cura di S. Solano, A. Marretta, Capo di Ponte 2004
(Archivi 15), rispettivamente pp. 107-135, 137-144; R. Poggiani Keller, Le ricerche sulla
preistoria e protostoria della Valle Camonica, «Itinera», 5 (Valcamonica preistorica e roma-
na), VIII (2006), pp. 9-11; Il santuario di Minerva. Un luogo di culto a Breno tra protostoria
ed età romana, a cura di F. Rossi, Milano 2010; più in generale sull’area alpina, v. Kult der
Vorzeit in den Alpen. Opfergaben, Opferplätze, Opferbrauchtum / Culti nella preistoria delle
Alpi. Le offerte, i santuari, i riti, a cura di L. Zemmer-Plank, Bolzano 2002, specie i contributi
di E. Anati e R. Poggiani Keller.
29
Per un quadro d’insieme delle divinità pre-cristiane nel Bresciano, si veda G. Amiotti, Culti
pagani nella pianura a nord del Po, in Da pagani a cristiani, pp. 9-17.

83
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

Tramonto sul Lago d’Iseo. 84


La diffusione del cristianesimo lungo le vie d’acqua

testimonianze più numerose, benché tarde, alcune delle quali ben oltre il
periodo medievale.
Dall’intransigenza tardoantica, volta ad annientare i luoghi diabolici
e a radere al suolo i templi dedicati agli antichi idoli, si era preferito un
atteggiamento più morbido. La condanna del paganesimo da parte della
Chiesa non era venuta meno, ma si auspicava la salvaguardia dei luoghi
di culto «per il loro potenziale valore di poli aggregativi» delle popola-
zioni sparse delle campagne in nuclei insediativi di ridottissime dimen-
sioni, i cui punti di riferimento erano «le aree sacre, connesse allo stesso
tempo ai riti rivolti alle divinità e a pratiche di altro tipo, prima fra tutte
quella dello scambio»30, dove la presenza imbrifera era un presupposto
fondamentale.
Ciò appare vero a tal punto che consuetudini e simboli ancestrali con-
tinuarono a sopravvivere nei luoghi isolati o d’altura – come il Còren dei
Pagà a Vione e in molti altri siti collinari, alpini e prealpini31 – e trovano
qua e là espressività magico-folcloriche registrate nelle visite pastorali,
subito denunciate e stroncate quando venivano alla luce.
A metà del XV secolo il rettore di Borno informava il delegato vesco-
vile che il Venerdì santo alcuni frati si presentavano con buletinos, che
facevano poi portare a dei fanciulli con delle crocette in cacumine montis,
sostenendo che così le coltivazioni agricole sarebbero state risparmiate
dalla grandine per un anno32; nel 1580 il visitatore apostolico segnalava

30
Spanu, Fons vivus, p. 1038.
31
Per massi e incisioni rupestri legate a consuetudini religiose – coppelle, simboli, scritte,
demonio, streghe, fate, santi, ecc. – o presenze cultuali, v. ad esempio U. Sansoni, S. Gaval-
do, C. Gastaldi, Simboli sulla roccia. L’arte rupestre della Valtellina centrale dalle armi
del Bronzo ai segni cristiani, Capo di Ponte 1999 (Archivi, 12); per una ricognizione in età
moderna, v. G. C. Sgabussi, Per i sentieri dell’immaginario, in Il bosco nella storia del terri-
torio, a cura di O. Franzoni e G. C. Sgabussi, Breno 2003, pp. 259-347.
32
A. Scarpetta, La visita pastorale di Bartolomeo Malipiero alla Valcamonica nel 1459,
«Brixia sacra. Memorie storiche della diocesi di Brescia», XVIII, 1-4 (2013), pp. 194-195;

85
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

l’abuso che a Bione in valle Sabbia si verificava «nei giorni della Santa
Croce e di San Marco di piantare, con una solenne processione, rami di
albero ai quattro angoli del monte dove si trova la chiesa di San Vigilio,
di cantare vari passi dei quattro vangeli e di compiere altri riti contrari
agli usi della Chiesa»33; nel 1624, a Vione in alta Valle Camonica, veniva
distrutta una vasca lustrale sul monte Bles, alla quale la comunità ricor-
reva contro la siccità inviando ogni anno dodici vergini, scelte a sorte
tra le ragazze del paese, che salivano processionalmente sulla montagna
recitando preci superstiziose e versando poi dell’acqua sulla pietra, forse
antico retaggio del culto epicorio al dio Bergimo34.
Riti di protezione di una società rurale dunque, che, al di là della ritua-
lità specifica, trovano riscontri assai più antichi, come ricorda Burcardo
a proposito di un magico cerimoniale propiziatorio della pioggia estiva:
«Anche tu – scrive il presule tedesco – hai agito come alcune donne?
Queste in tempo di siccità per avere la pioggia chiamano a raccolta nu-
merose ragazze e ne scelgono una, la più giovane tra loro, come guida,
la denudano e la conducono fuori dell’abitato, fino a quando trovano il
giusquiamo, un’erba che in teutonico si chiama belisa; la fanno strappare
a questa ragazza con il mignolo della mano destra; gliela legano con un
laccio qualsiasi al ditino del piede destro; tutte le ragazze, tenendo un ba-
stone in mano, sospingono la ragazza che trascina quell’erba nel fiume e
la bagnano con l’acqua che sollevano picchiando la superficie del fiume,
nella speranza di ottenere la pioggia con questi incantesimi. Poi, cammi-
nando a ritroso, come gamberi, riportano a braccia la ragazza nell’abi-

citato anche da O. Franzoni, Per gli erti sentieri della devozione, in Chiese campestri di Valle
Camonica. Storia e arte, Breno 1995, p. 20.
33
Visita apostolica e decreti di Carlo Borromeo alla diocesi di Brescia, VI. Riviera del Garda,
Valle Sabbia e decreti aggiunti, a cura di A. Turchini, G. Archetti e G. Donni, Brescia 2007
(Brixia sacra. Memorie storiche della diocesi di Brescia, XII, 3-4), pp. 226-227.
34
R. Putelli, Miscellanea di storia e d’arte camuna da inediti documenti, Breno 1929, pp. 38-39.

86
La diffusione del cristianesimo lungo le vie d’acqua

tato. Se l’hai fatto e vi hai preso parte, venti giorni a pane ed acqua»35.
La difficoltà tuttavia a documentare la continuità, la rottura o la ripresa
cristiana di siti religiosi indigeni può trovare prove e tracce utili nella
collocazione esaugurale di chiese e cappelle nei pressi di corsi d’acqua,
di grotte, stagni e sorgenti, sulla cima dei monti, ecc., e nella loro dedica-
zione santorale. Le esemplificazioni, con differente continuità e antichità
d’uso naturalmente, possono essere numerose: Santo Stefano di Cividate
Camuno viene eretto, in posizione sopraelevata rispetto all’abitato, sui
resti votivi di un centro cultuale romano a completamento del percorso
devozionale che dal nucleo centrale del foro e del teatro si snodava fino
sul colle; la matrice mariana del medesimo abitato camuno sarebbe edi-
ficata su un sacello dedicato a Giove, se si presta fede al ritrovamento di
una colonna messa in luce dagli scavi del 1949 nell’area del sagrato; non
molto lontano, lungo l’Oglio in località Spinera, si ergeva il santuario di
Minerva prima abbandonato e poi distrutto senza essere rioccupato.
Inoltre, situazioni e processi simili sono attestati o ipotizzabili a Bor-
no, Breno, Grevo, Capo di Ponte, Rogno, Lovere, mentre la pieve di
Cemmo sorge su un baluardo roccioso a presidio di una remotissima area
sacra, ancora oggi caratterizzata dalla presenza di megalitici massi incisi
a scopo religioso.
In questo, un ruolo speciale dovevano svolgere fonti, sorgenti, fiumi e
bacini lacustri da sempre legati alla fertilità, alla vita e alla salute, le cui
sopravvivenze magico-cultuali furono oggetto di scrupolosa attenzione
da parte degli scrittori cristiani e della legislazione ecclesiastica.
«Nolite ad fontes orare»36, è l’esortazione del vescovo Cesario ai suoi
35
A pane e acqua, p. 104; inoltre, P. Golinelli, La fanciulla del giusquiamo. Un rito medie-
vale di propiziazione della pioggia tra storia e antropologia, in Chiesa, vita religiosa, società
nel medioevo italiano. Studi offerti a Giuseppina De Sandre Gasparini, a cura di M. Rossi e
G.M. Varanini, Roma 2005 (Italia sacra, 80), pp. 415-427.
36
Cesario di Arles, Sermones, 14.4, p. 72.

87
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

fedeli, che poi mette in guardia sull’inefficacia del battesimo per coloro
che offrivano doni alle fonti o praticano altre forme di idolatria37, dedica
un’intera epistola alla distruzione dei luoghi di culto pagani, tra cui quelli
lacustri dove si recavano a pregare anche i cristiani38, e riserva numerosi
passi alle forme magico-sincretiche di continuità col paganesimo.
Tra queste, per la sua valenza battesimale, terapeutica e propiziatoria,
un posto di particolare rilievo spetta alla festa di Giovanni Battista (24
giugno), per la quale Cesario menziona il costume antico di lavarsi pres-
so fonti o sorgenti e scongiura i suoi fedeli a non farlo: «vi prego […] di
ammonire i vostri vicini, tutta la famiglia e chiunque è a voi prossimo
e di castigarli severamente con zelo divino affinché nessuno nella festa
di San Giovanni presuma di potersi lavare nelle fonti, nelle paludi o nei
fiumi di notte e al mattino perché questa sventurata consuetudine provie-
ne ancora dalle abitudini pagane. Poiché infatti in quei sacrileghi bagni
muoiono non solo le anime ma, ciò che è peggio, frequentemente anche i
corpi, temano dunque la morte del corpo coloro che non si preoccupano
della salvezza della loro anima»39.
Secondo Bernadette Filotas si tratta di un rituale per ottenere la salute
fisica, che la studiosa canadese collega a tre testi penitenziali apparte-
nenti all’area settentrionale italiana, ma il collegamento con il battesimo
risulta evidente essendo la festa del Battista; ciò conferma come nel-
la cultura folklorica la salvezza spirituale sia inseparabile dalla salute
corporea40. Vale la pena però di notare la coincidenza assai interessante
di pagamenti, contrattualità, usi liturgici, rogazioni e preghiere legati al
mondo rurale con questa festa d’inizio estate, momento privilegiato per

37
Ibidem, 35.4, p. 146; 29.2.4, pp. 906, 909; 14.4, p. 72; 13.3-5, pp. 66-68; 54.5, p. 239.
38
Ibidem, 53, pp. 233-234; inoltre, Spanu, Fons vivus, pp. 1031-1037.
39
Cesario di Arles, Sermones, 35.4, p. 146.
40
Filotas, Pagan Survivals, p. 205.

88
89Seigneúrie et Republique dé Venise en Italie, 1706.
Estat de la
Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

la celebrazione del sole, della natura e della madre terra.


Di fronte alla resistenza dei rustici a lasciare le consuetudini antiche, la
scelta più efficace sembrò quella di erigere simboli cristiani – croci, al-
tari, cappelle, reliquie, riti di benedizione – in quei luoghi sacri piuttosto
che distruggerli, e consentire ai contadini di continuare a recarvisi non
più per adorare le acque o le altre forze ambientali, ma per venerare le
sante spoglie che lì erano state deposte, per chiedere la loro protezione e
affidarsi alla custodia della croce.
A Nave, nella valle del Garza sulla strada che collega le valli Trompia
e Sabbia, la chiesa battesimale di Santa Maria venne eretta su un sito di
intensa romanizzazione e i cippi in onore a Ercole e a Giove, rinvenuti
sul posto, danno conto della cultualità preesistente41; a Salò, sul lago di
Garda, nell’area della matrice sono emerse iscrizioni funerarie e votive
con dediche a Giove e ai Mani42; a Gavardo, all’imbocco della valle Sab-
bia, nella pieve di Santa Maria, posta sulle sponde del fiume Chiese, sono
state messe in luce iscrizioni votive a Ercole e a Giove43; a Bedizzole la
chiesa battesimale intitolata alla Vergine si trova accanto al medesimo
corso d’acqua e le epigrafi votive a Minerva e Giove ne attestano la tra-
dizione devozionale44; rilievi analoghi si possono fare per le matrici di
Concesio, Ghedi, Iseo, Isorella, Manerba, Manerbio, Pontevico, Vobarno
e così via45.

41
Cfr. Carta archeologica della Lombardia, I. La Provincia di Brescia, a cura di F. Rossi,
Modena 1991, nr. 1106, 1114; inoltre, Nave nella storia, dalle origini alla prima età napo-
leonica, a cura di C. Sabatti e A. Minessi, Brescia-Nave 2011, con particolare riguardo ai
contributi di A. Valvo, Dalle origini alla caduta dell’impero romano, pp. 21-27; G. Archetti,
“Terra circondata da monti”. Nave e il suo territorio in età medievale, pp. 32-38.
42
Carta archeologica della Lombardia, nr. 1478, 1485.
43
Ibidem, nr. 679.
44
Ibidem, nr. 68, 70, 81.
45
Ibidem, nr. 487, 721, 722, 724, 726, 782, 783, 797, 978, 800, 807, 984, 986, 995, 1002,
1305, 1307, 1783, 1784.

90
La diffusione del cristianesimo lungo le vie d’acqua

Colpisce pertanto, anche ad una sommaria ricognizione, come nume-


rosissime chiese battesimali, oratori rurali e pievi siano sorti in prossi-
mità di fiumi, laghi e fonti, dove il processo di sacralizzazione – dovuto
certo anche alla loro primaria funzione socio-economica per la presenza
dell’acqua, alla facilità dei collegamenti, all’esistenza di snodi commer-
ciali o di punti di approdo lacuale – portò alla sostituzione dei preceden-
ti riferimenti lustrali e religiosi con fondazioni cristiane, l’introduzione
della ritualità battesimale, la benedizione con acqua santa, la dedicazione
mariana, apostolica (Pietro, Andrea, Bartolomeo, Giovanni) o martiriale
(Vitale, Faustino, Nazzaro, Gervasio, Protasio, ecc.).
Questo non significa che tali fondazioni fossero, sempre e dovunque,
legate alla venerazione di divinità imbrifere, da verificare volta per volta,
né che fossero il frutto violento dell’intolleranza religiosa – che pure a
volte ci fu –, ma l’esito di un precedente allontanamento e decadimento
di tali luoghi o edifici.
Appare tuttavia come un dato non indifferente, di continuità se non
religiosa, certo sociale e antropica, la forza di così radicate concezioni
primordiali: lungo il corso dell’Oglio si collocano le matrici di Edolo,
Cemmo, Cividate, Rogno, Palazzolo, Quinzano, Pontevico, Comella,
Ostiano e Bizzolano; lungo il Mella quelle di Bovegno, Inzino, Conce-
sio, Azzano, Corticelle e Manerbio; lungo il Chiese quelle di Vobarno,
Gavardo, Bedizzole, Montichiari, Visano, Casalromano e Asola; lungo
il Garza quella di Nave e nei pressi delle risorgive si trovano Logra-
to, Trenzano, Brandico, Orzivecchi, Dello, Oriano, Ovanengo, Bagnolo,
Leno, Ghedi, Corvione, Castiglione, Carpenedolo Medole, Guidizzolo e
Ceresara; vicino al Sebino le pievi di Iseo, Sale Marasino e, solo nell’XI
secolo, quella di Pisogne; sul lago d’Idro quella di Santa Maria ad un-
das, mentre sul Benaco quelle di Gargnano, Toscolano, Maderno, Salò,
Desenzano e così via per molti oratori, anche minori, in cui la presenza
vitale dell’acqua è una costante.
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Aquae divinae: riti e miti nelle Alpi tra preistoria e cristianità

Si può inoltre aggiungere che questi edifici cristiani sorti in prossimità


di fonti sacre, di sorgenti, fiumi, luoghi termali o bacini idrici presentano
frequenti ricorrenze nella dedicazione: alla Vergine innanzitutto, quale
continuatrice dei culti alle ninfe, alle fate o alle divinità propiziatrici del-
la fertilità; a Giovanni Battista in stretto rapporto alla ritualità battesima-
le, la cui festa cadeva nei giorni del solstizio estivo, cioè nel momento
più alto della produttività della terra e della forza del sole; ad alcuni
martiri la cui combattiva presenza doveva fungere da baluardo contro
le forze demoniache (Michele, Martino, Giorgio); ai santi taumaturghi
che, formidabili intercessori presso Dio, davano sicurezza per la salute
del corpo e dell’anima (Andrea, Bartolomeo, Luca, Stefano, Lorenzo,
Cosma e Damiano); infine, alla protezione di angeli ed arcangeli per la
loro assonanza con gli spiriti celesti46.
Tra questi ultimi un grande impulso, specie in seguito al successo del
santuario garganico, dall’età tardoantica ebbe il culto all’arcangelo Mi-
chele, che agisce operando miracoli e guarigioni con l’acqua; una ritua-
lità, fatta propria dai longobardi, che presenta la costante frequenza di
elementi comuni – l’altura, la grotta, la sorgente – spesso in continuità
con forme magico-superstiziose quali l’incubazione, consistente nel dor-
mire in un’area sacra sotterranea allo scopo di sperimentare in sogno
rivelazioni oppure ricevere cure e benedizione.
Di sicuro interesse, quanto sconosciuto, è il caso lombardo della chiesa
di San Michele di Rovato sul monte Orfano, dichiarata “monumento na-
zionale” nel 1927, dove il modesto edificio di origini altomedievali, più
volte sistemato e con significativi resti pittorici del XV secolo, sorge su
una grotta di circa una decina di metri di diametro a cui si accede per un
angusto cunicolo. Al centro del piccolo antro vi è una pozza d’acqua, sor-
gente o di raccolta, dalle benefiche virtù terapeutiche, su cui si imposta
46
Filotas, Pagan Survivals, pp. 97-104; Spanu, Fons vivus, pp. 1074-1075.

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La diffusione del cristianesimo lungo le vie d’acqua

un robusto pilastro lapideo che serve da fondazione alla chiesa stessa47.


Luogo di frequentazione già in età preistorica e punto di riferimento
per le genti che risiedevano sul monte, dovette funzionare come sito cul-
tuale pre-cristiano; attualmente quasi inaccessibile per gli accumuli di
terra, richiede un intervento di restauro e di indagine archeologica, ma la
grotta e la chiesa restano un esempio della dedicazione micaelica e della
potente funzione protettiva contro le forze del maligno da sempre attri-
buita al principe delle milizie celesti con l’ausilio benefico delle acque.

47
A. Racheli, Memorie storiche di Rovato, Rovato 1894; ripreso in G. Donni, Il Montorfa-
no nella storia della Franciacorta antica, in Alla scoperta della Franciacorta. Miscellanea
storico-artistica archeologica e folcloristica, diretta da E. Bonomi, Bornato 1977, pp. 134,
138-139; Carta archeologica della Lombardia, nr. 1450-1453. Presenze antichissime e recu-
pero cristiano anche delle grotte sul monte Orfano in territorio di Cologne, mentre suscettibili
di sviluppi significativi, invece, le auspicabili indagini nelle grotte della Valle del Fus tra Ome
e Brione, e dell’area collinare prealpina. Cfr. G. Donni, Cologne. Storia, arte e gente, Rocca-
franca 2004 (Territori bresciani, 23), p. 163; Idem, Il Montorfano nella storia, pp. 175, 177;
A. Priuli, Incisioni rupestri parietali a Brione, «Civiltà bresciana, VI, 2 (1997), pp. 48-50;
per l’uso eremitico di alcuni di questi ripari naturali, v. G. Archetti, “Singulariter in heremo
vivere”. Forme di vita eremitica nel medioevo della Lombardia orientale, in Il monachesimo
in Valle Camonica, Atti della giornata di studio, 31 maggio 2003, Eremo dei Santi Pietro e
Paolo di Bienno - Monastero di San Salvatore di Capo di Ponte, Breno 2004, pp. 92-155.

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