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HPLC

L’HPLC è una cromatografia liquida ad alte prestazioni.


La fase mobile è costituita da un liquido a bassa viscosità. La fase stazionaria è costituite da microparticelle
impaccate nella colonna cromatografica.
Il campione è iniettato all’inizio della colona cromatografica dove è spinto attraverso la fase stazionaria
dall’eluente applicando pressioni elevate dato che le particelle della fase stazionaria hanno dimensioni
molto ridotte per ottenere un’elevata efficienza nella separazione.

Gli strumenti per HPLC sono equipaggiati con diversi contenitori per i solventi che verranno impiegati come
fase mobile. I solventi devono necessariamente essere privi di impurità, compresi gas disciolti e particolato,
per non inficiare la bontà dell'analisi; per questo motivo i contenitori integrano spesso degasatori,
distillatori e sistemi di filtraggio. L’eluente, una volta filtrato, viene spinto tramite una pompa alla colonna
cromatografica. Le separazioni con HPLC possono essere eseguite con eluizione isocratica, ossia usando un
eluente la cui composizione non vari durante l'analisi, oppure con eluizione a gradiente, in cui due o più
solventi di differenti polarità, vengono mescolati in proporzioni prestabilite. Il rapporto fra i due solventi
viene fatto variare durante l’eluizione, a volte in modo continuo, a volte attraverso una serie di steps,
durante i quali la percentuale dei solventi rimane costante per un certo periodo di tempo, per poi cambiare
nuovamente. L’eluizione in gradiente generalmente aumenta l’efficienza della separazione, così come la
variazione della temperatura influisce sulla gas cromatografia. Nel caso in cui si opera in isocratica é
sufficiente una sola pompa, mentre nel caso in cui si opera a gradiente, è necessario usare una camera di
miscelazione e due pompe per mescolare i solventi ed inviarli ala colonna. Dopo la pompa è posto un
flussimetro che regola il flusso dell’eluente. Prima della colonna c’è un iniettore che permette l’inserimento
del campione. L’iniettore è composto da una valvola che dispone di un loop in cui viene introdotto il
campione. Successivamente nel capillare viene fatto passare l’eluente che trascina il campione in colonna.
Le colonne per HPLC sono in acciaio oppure in vetro borosicolato. La lunghezza delle colonne è di solito
compresa tra 10 e 30 cm, ma è possibile disporre di colonne più lunghe per particolari esigenze. Il diametro
interno è compreso tra 2 e 4,6 mm e il diametro delle particelle del riempimento tra 3,5 e 10 µm.
riempimenti usati in HPLC sono sostanzialmente di tre tipi, a particelle pellicolari, a particelle porose e con
tecnologia fused-core.

Le particelle pellicolari sono impiegate quasi esclusivamente per le colonne di protezione. Sono granuli
sferici e non porosi di vetro o materiale polimerico, di dimensione compresa tra i 30 e i 40 µm. Sulla
superficie dei granuli viene depositato uno strato poroso di silice, allumina o resina a scambio ionico. Se si
necessita di una fase stazionaria liquida, può essere applicata per adsorbimento.
Le particelle porose hanno diametri compresi tra 3 e 10 µm, il materiale più usato è la silice microporosa,
ma possono essere costituite anche di allumina o resina a scambio ionico. Anche in questo caso vengono
applicati rivestimenti specifici, legati o per adsorbimento o attraverso legami chimici alla superficie delle
particelle.
Le particelle fused-core hanno dimensione inferiore a 2 µm, tipicamente si usa attribuire alla
strumentazione che utilizza queste colonne il nome di UHPLC (Ultra HPLC).
Spesso per proteggere la colonna da sostanze che possono essere adsorbite in modo irreversibile dal
supporto, si pone una precolonna riempita dello stesso materiale ma di granulometria più grande. Se si
sostituisce periodicamente (prima che si saturi) la precolonna, si può allungare la vita e l’efficienza della
colonna vera e propria.
In uscita dalla colonna è posto un rivelatore, che ha il compito di fornire indicazioni sulla presenza e sulla
quantità di ogni componente in uscita dalla colonna. Sono disponibili diversi tipi di rivelatori, quindi il
sistema di rivelazione usato dipende dalla natura del campione.

 spettofotometro UV/visibile: è il più usato in HPLC. Infatti molte molecole sono in grado di assorbire
radiazioni nel campo dell’UV/visibile. Nella scelta dell’eluente bisogna orientarsi verso solventi che
non assorbono alla lunghezza d’onda del rivelatore.
 fluorimetro: I rivelatori a fluorescenza presentano il vantaggio di una maggiore sensibilità rispetto ai
metodi ad assorbanza. Hanno però lo svantaggio di un minore campo di applicabilità, dato che il
numero delle specie assorbenti è notevolmente superiore rispetto a quelle fluorescenti. Si possono
comunque usare rivelatori a fluorescenza anche per analiti non fluorescenti se si riesce a trattarli
con reagenti che diano prodotti fluorescenti.
 rifrattometro: I rivelatori basati sulla variazione dell'indice di rifrazione dovuti alla presenza dei
soluti nella fase mobile hanno il grande vantaggio di avere un campo di applicabilità estremamente
vasto; sono inoltre molto affidabili e non risentono delle variazioni di flusso. Hanno però scarsa
sensibilità, non sono applicabili a eluizioni a gradiente e necessitano di essere termostatati al
millesimo di grado centigrado perché le loro prestazioni dipendono fortemente dalla temperatura e
dal cambiamento della velocità della fase mobile.

Il segnale in uscita dal rivelatore, passa al sistema di elaborazione del segnale (pc).

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